La Lettera Settembre 2018

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La lettera SETTEMBRE 2018 anno XXXII numero 3

Bollettino della parrocchia prepositurale di san Giovanni Battista in Palazzago e di san Carlo in Burligo


Orari Sante Messe Palazzago Sabato

ore 17.00 Beita ore 19.00 Chiesa Parrocchiale

Domenica ore ore ore ore

08.00 Montebello 09.00 Beita (sospesa per lavori di ristrutturazione) 10.30 Chiesa Parrocchiale 18.00 Chiesa Parrocchiale

Giorni Feriali

Lunedì ore 16.30 Brocchione Martedì ore 16.30 Precornelli Mercoledì ore 16.30 Beita (sospesa per lavori di ristrutturazione) Giovedì ore 09.00 Chiesa Parrocchiale Venerdì ore 16.30 Ca’ Rosso

Orari Sante Messe Burligo Sabato

ore 18.00 Chiesa Parrocchiale

Domenica

ore 09.00 Collepedrino ore 10.30 Chiesa Parrocchiale

Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì

ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00

Chiesa Parrocchiale Acqua Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale

Recapiti Don Giuseppe Don Roberto Don Giampaolo Don Paolo

035.550336-347.1133405 035.540059-348.3824454 338.1107970 035.550081

www.oratoriopalazzago.it parrocchia@oratoriopalazzago.it segreteria@oratoriopalazzago.it palazzago@diocesibg.it

La copertina della Lettera torna a presentarci un’opera di Arcabas, “L’annonciation faite à Marie” (Polittico dell’Infanzia di Gesù. Palazzo Arcivescovile, Malines, Bruxelles) scelta dalla Diocesi per l’anno pastorale 2018-2019. Per cinque anni, in verità, avevamo attinto alle opere di questo artista contemporaneo, accompagnando i diversi tempi liturgici e comunitari con la sua rilettura del Mistero. Vogliamo essere vicini ad Arcabas anche dopo la morte della moglie, Madame Jacqueline PIROT-ARCABAS née BARRUCAND, avvenuta il 12 gennaio 2017. Purtroppo, sistemando le bozze della Lettera, dobbiamo aggiungere anche la morte dell’artista, sopraggiunta il 23 agosto, all’età di 91 anni. Lo ricordiamo con gratitudine e affetto come “pittore della fede felice”, titolo datogli per l’uso del colore e di un diffuso senso del fiabesco. Leggeva, Maria, nella sua casa in Palestina. Si era abituata a leggere molto i sacri testi, durante il lungo periodo vissuto al Tempio. Vi era stata portata al compiere dei tre anni, per mantenere la promessa che i suoi genitori avevano fatto al Signore: “Se ci farai il dono immenso di un figlio, lo consegneremo al Tempio perché viva al tuo servizio”. La nascita di Maria aveva portato una gioia immensa nel cuore dei suoi genitori e la possibilità per Gioacchino, uomo giusto e generoso, di poter di nuovo accedere al Tempio, da cui era stato cacciato a causa dell’infertilità sua e di Anna. Maria era stata felice al Tempio: cuciva e ricamava ma soprattutto imparava i sacri testi. Al compimento del dodicesimo anno, però, i sacerdoti avevano dovuto allontanarla: una fanciulla il cui corpo ogni mese si preparava ad accogliere una nuova vita era considerata impura, e quindi indegna di vivere nello spazio sacro. Continua a pagina 4...

Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 19) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,... La Lettera

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[Editoriale]

Ancora o àncora?

Ad essere sincero, quando ho sentito che il brano guida del nuovo anno pastorale era quello dell’annunciazione (Lc

brano può “ancora” dire a me e alla Comunità e alla Diocesi… Cambiando prospettiva allora, mi sento più rasserenato

ti e le feste con quella parola detta dal vignaiolo per il fico senza frutti: “… lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi

1, 26-38), mi sono detto: “ancora?” Intendiamoci: è un brano bellissimo, intenso, accattivante ma forse proprio per questo “utilizzato” spesso nella liturgia e nei diversi percorsi. Pensare ad un anno intero con l’annunciazione per la riflessione, la predicazione…mi sembrava un po’ troppo. Poi mi son detto: ma non è molto importante ciò che devo dire io sul brano, ma ciò che il

e l’“ancora” non è più una domanda ma una prospettiva. Sì, sarà bello vedere e gustare ciò che “ancora” questo testo ci suggerisce; come ci guida a prendere in mano il progetto di Dio su ciascuno; come ci aiuta a scorgere gli “angeli” che ogni giorno ci raggiungono; come lasciare che il suo disegno si realizzi nelle giovani vite dei nostri ragazzi. Un “ancora” che scandisce gli itinerari di fede, i sacramen-

attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire…” (Luca 13,8) Così l’“ancora” di Dio diventa l’àncora della nostra salvezza che proprio l’Angelo dell’annunciazione ci ha fatto conoscere in Gesù, il “frutto benedetto”. “Ancora?” Àncora!

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...continua da pag. 2 Così Maria era tornata a casa, dai suoi genitori, allontanando il pensiero di doversi sposare, come le avevano imposto i sacerdoti. Leggeva, Maria, nella sua casa in Palestina. Forse cammina per casa, mentre legge, inquieta senza motivo. E fatica a concentrarsi su quel brano della Torah che parla del Messia che tutto il suo popolo aspetta da sempre. E poi, all’improvviso, ecco davanti a lei una creatura sconosciuta, che si presenta come l’angelo del Signore e pare riempire della sua presenza la piccola casa di Nazaret. È arrivato di slancio, coi capelli ancora mossi dal vento, la guarda e la saluta, chiamandola piena di grazia. Sorpresa e spaventata, Maria cade in ginocchio, lasciando il libro che cadendo si scompagina, portando alla luce, una dopo l’altra, tutte le profezie sul Messia. L’angelo, inginocchiato davanti a lei, le annuncia una cosa incredibile: le dice che il Signore l’ha guardata ma soprattutto parla di un figlio, un figlio mandato da Dio, un figlio per lei, che si chiamerà Gesù. Un figlio che è il figlio di Dio e al quale verrà dato il trono di Davide, suo Padre. Un figlio che sarà per tutto il suo popolo e per tutta l’umanità. Maria vorrebbe alzarsi e scappare, ma qualcosa nella voce e nell’espressione dell’angelo la blocca. Perché egli la guarda intento, la guarda fisso, sembra quasi spaventato quanto lei. La guarda e con lo sguardo, con tutto il corpo, con le mani che si portano al petto, pare dirle: so che è incredibile, ma è tutto vero, è tutto vero! Credimi, credimi! Così Maria risponde col solo arLa Lettera

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gomento logico che riesce a trovare, in questa situazione che di logico non ha nulla. Come posso crederti? Come può essere possibile quello che mi dici? Non conosco uomo... Ma l’angelo ha una risposta per tutto. Una risposta forse ancora più incredibile e illogica dell’annuncio. Lo Spirito del Signore scenderà su di te e l’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. La mente di Maria raccoglie tutte le parole dell’angelo, quasi per dare loro un senso. E non ci riesce. Quello che lui le ha detto, ogni parola che ha pronunciato, è incredibile... non è possibile. Poi riporta gli occhi sul volto dell’angelo, sulla sua espressione intenta, ansiosa. Forse capisce che anche lui è in difficoltà, chiedendole di credere a qualcosa di impossibile. Lo guarda, e vede nel suo sguardo, dietro la tensione e il timore, la forza della verità. Chiude gli occhi, scruta nel suo cuore, alla ricerca delle parole appena lette - per l’ennesima volta - dal libro; e all’improvviso mille pensieri e mille immagini le affollano la mente. Il bimbo che l’angelo le ha annunciato è figlio di Dio, che ha scelto di donarlo a lei, Maria. Ogni bambino ha bisogno dell’amore e della tenerezza di una mamma, per crescere. Anche il Bambino di Dio. Un senso di angoscia pare nascere dal profondo del cuore di Maria. Il suo Bambino non sarà suo, ma di tutta l’umanità. Lei dovrà crescerlo, amarlo, prepararlo e poi lasciarlo andare. Sente già il dolore del distacco, un dolore sconosciuto e opprimente; e per scacciarlo riapre gli occhi, li fissa ancora una volta in quelli dell’angelo. Socchiude le labbra per dire

il suo sì. Ed ecco, a fianco dell’angelo, apparire una forma d’oro, l’oro della divinità, l’oro del Paradiso: è una colomba, è “la” colomba, quella dello Spirito. Si avvicina a lei, spingendo davanti a sè una piccola croce d’oro. L’oro della divinità, nella forma del dolore e della morte. L’oro della vittoria, anche su quella forma e su quella morte. L’oro che già si diffonde sull’abito, sul volto, sulle mani di Maria, quasi trasfigurandola. Ecco, è già dentro di lei. Ha già assunto la stessa natura umana della sua mamma. È fatto d’oro e di carne. Un Dio e un uomo insieme. Anzi, un Dio e un bambino, insieme. Insieme, due nature. Arcabas ce lo prova, utilizzando un elemento semplice che spesso sfugge al primo sguardo, come l’ombra. La piccola ombra scura che la croce disegna dietro di sè, mentre non lo fa l’angelo, non lo fa la colomba. Perché la sua natura è ora perfettamente umana, oltre che perfettamente divina. L’ombra della piccola croce che è Gesù e l’ombra del libro che cade a terra. Quel libro si riempirà di altre pagine, unendo la storia del popolo d’Israele a quella dell’umanità intera. La storia si divide in prima e dopo. Prima e dopo questo momento. Da qui in poi nulla sarà più come prima. Leggeva, Maria, nella sua casa in Palestina. Poi, leggendo nel suo cuore e negli occhi dell’angelo, con un piccolo “sì” pronunciato con un soffio di fiato, è diventata lo strumento per la nostra salvezza. Ave, o Maria. Rosella Ferrari


[Il cammino dell’anno pastorale]

Uno sguardo che genera

Tempo ordinario, da settembre a novembre Rallegrati... il Signore è con te (Lc 1,28) Avvio del cammino di comunità

invito, una chiamata. In altri termini, proprio come una vocazione: siamo dei chiamati a camminare insieme, dentro un’esperienza di Chiesa.

A settembre ricominciano molti cammini: l’anno scolastico; l’anno sociale; ricomincia in maniera decisa anche il lavoro con i suoi ritmi. Tra gli altri, in modo più consapevole, ricomincia il cammino dell’anno pastorale, il cammino di comunità. Il brano di vangelo che ci guida quest’anno ci regala una bella parola sotto il segno della quale mettere il nostro ricominciare: Rallegrati! E cioè: gioisci! Non ricominciamo perché ‘ci tocca’, solo per un senso del dovere a cui non possiamo sottrarci. Ma ricominciamo nel segno di una gioia perché è un anno nuovo che ci è posto innanzi e dunque un’occasione nuova per continuare a crescere, per rinnovarsi. Ricominciamo nel segno di una gioia grata: siamo riconoscenti di poter riprovare la bella avventura di seguire il Signore insieme, con e nella nostra comunità. Ricominciamo con gioia perché sappiamo che non siamo soli nemmeno come comunità parrocchiale: è un cammino dentro il cammino di tutta una Chiesa diocesana. In quest’anno in cui ci viene chiesto di riflettere su cosa significhi la parola vocazione, riconosciamo questo ricominciare il cammino come un

Tempo di Avvento e Natale, da dicembre a gennaio. Non temere, Maria (Lc 1,30) L’accoglienza di Dio che entra nella nostra storia L’annuncio dell’angelo scombussola letteralmente Maria. Il verbo che l’evangelista utilizza è quello delle tempeste: Maria vive in se stessa un vero e proprio tsunami! Ma l’invito dell’angelo rassicura e incoraggia: Dio non entra nella sua storia e nella storia degli uomini per incutere loro paura e sospetto ma perché ha un progetto di salvezza! Egli entra nel nostro mondo non per spaventarci ma chiedendo umilmente un po’ di accoglienza. Ciò che rende compiuta la vita di Maria è questa accoglienza che si dipanerà fino alla fine dei suoi giorni e che genererà nuova vita per tutti! Oggi, forse più di altre stagioni, a noi fanno paura le scelte grandi, le scelte per la vita, le scelte che hanno il sapore del definitivo. Eppure scelte parziali, scelte a tempo non sono le scelte che hanno il sapore dell’amore vero. L’amore è infatti dedizione di tutto se stessi per l’altro, per gli altri: corpo e anima, spazio e tempo. In quest’anno in cui ci viene chiesto di riflettere su cosa

significhi la parola vocazione, cerchiamo di capire cosa ci spaventa nell’assumere la nostra vita come una vocazione, approfondiamo la riflessione su ciò che facilmente raffredda lo slancio della dedizione e cerchiamo ciò che ci dà il coraggio del per sempre. Tempo ordinario, da gennaio a febbraio ...lo chiamerai Gesù (Lc 1,31) Seguire Gesù nell’ordinarietà della vita Questo è il tempo che viene dopo il Natale: siamo abituati a chiamarlo mese della pace e della vita. Potremo vivere questo tempo come il tempo della sequela di Gesù. È il tempo in cui, nella liturgia, risentiamo la chiamata di Gesù ad essere suoi discepoli nell’ordinarietà della vita. Passo dopo passo siamo chiamati a stare dietro a Lui che cammina per le strade di Palestina, che guarisce i malati, che parla del Regno, che si presenta come il Dio che fa visita al suo popolo e che apre la sua salvezza ad ogni uomo... Questo Gesù, il Gesù con il quale i discepoli hanno condiviso giorno dopo giorno tre anni di vita è il Gesù che ci chiede di imparare a stare con Lui e di stupirci di Lui nel quotidiano scorrere dei giorni. In quest’anno in cui ci viene chiesto di riflettere su cosa significhi la parola vocazione, proviamo a porre la nostra attenzione sulla quotidianità La Lettera settembre ‘18

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che è il ‘luogo’ dove noi viviamo la nostra scelta, dove siamo chiamati all’umile fedeltà a ciò che abbiamo riconosciuto come volontà di Dio da mettere in pratica nella nostra vita. Tempo di Quaresima e Pasqua, da marzo ad aprile Ecco la serva del Signore (Lc 1,38) Maria, la serva ci porta a contemplare il Servo del Signore Le ultime parole che Maria rivolge all’angelo Gabriele sono parole di accettazione e obbedienza al progetto di Dio, alla sua volontà. Nell’autodefinirsi ‘serva del Signore’, Maria pensa al profeta Isaia, là dove si parla di uno la cui vita è tutta dedicata al bene del popolo e addirittura di tutto il mondo. Il vero ‘Servo del Signore’ è Gesù che prende su di sé la croce per amore nostro. Maria è serva perché, in fondo, impara dallo stesso Gesù cosa significa essere servi di Dio. Noi guardiamo a lei per poter guardare Gesù con i suoi occhi. Questa quaresima potrà essere il tempo in cui impariamo la contemplazione del Servo attraverso la contemplazione che ne

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ha fatto Maria, la madre. In quest’anno in cui ci viene chiesto di riflettere su cosa significhi la parola vocazione, riflettiamo come ogni vocazione nasce nel confronto con un modello. Da bambini, da ragazzi, da giovani abbiamo avuto dei modelli ed è nato in noi il desiderio di diventare come chi guardavamo con ammirazione: lì è il primo germe di vocazione. In questa quaresima contempleremo Gesù come il ‘modello unico’ (così lo definiva il Beato Charles de Foucauld), l’uomo realizzato che ci fa diventare più uomini. Tempo pasquale e tempo ordinario, da aprile in poi Lo Spirito Santo scenderà su di te (LC 1,35) Lo Spirito: Gesù abita in noi e ci rende nuovi Il tempo pasquale è il tempo dell’attesa del dono pieno che viene appunto dalla Pasqua: il dono dello Spirito Santo. La vita cristiana è una vita abitata dallo Spirito, una vita nuova, fatta di ascolto della Parola e di opere di misericordia... Il tempo ordinario dopo la Pentecoste è il tempo in cui siamo chiamati a vivere di questa vita. La prima che ha accolto lo

Spirito in sé è proprio Maria, la madre di Gesù. Guardando a lei comprendiamo cosa significa attendere ed accogliere lo Spirito. In alcune icone antiche raffiguranti la Pentecoste Maria non viene dipinta perché già ha conosciuto la presenza dello Spirito in lei proprio nella sua divina maternità. In molte altre rappresentazioni della Pentecoste, invece, si mostra Maria come colei che ci è di esempio nell’accogliere e nel vivere dello Spirito. Entrambe questi modi di raffigurare la Pentecoste ci dicono di come siamo chiamati a vivere.

In quest’anno in cui ci viene chiesto di riflettere su cosa significhi la parola vocazione, sappiamo gioire del dono della santità e cerchiamola anche per noi! Essere santi significa essere persone che rispondono con generosità alla propria vocazione. Nel tempo pasquale e in quello dopo la Pentecoste, oltre a Maria, a noi sono presentati tanti patroni - primo tra tutti san Giovanni Battista - da cui prendere esempio per continuare a dire “Sì” a Dio che chiama, alla prospettiva di una vita da vivere in pienezza.


Pensieri sulla peregrinatio Titolo Titolo Titolo di san Giovanni XX III [Don Alberto Monaci]

Sono stato più volte a Sotto il monte in queste ultime due settimane che negli ultimi quindici anni della mia vita. Ho confessato alcune ore sotto i gazebo i pellegrini, ho partecipato ad alcune celebrazioni, ho passeggiato un po’ tra le vie affollate e ho teso le orecchie. Ed è stata un’immersione nel cammino della fede semplice del popolo di Dio. Credo che solo provando a stare un po’ dentro questi giorni si sia potuto sentire “l’odore delle pecore”, ma anche e soprattutto il loro profumo, e il profumo di santità del buon Pastore e del papa buono…nonostante la puzza sotto il naso che forse invece come pastori a volte abbiamo dall’alto dei nostri pregiudizi. Ci sono alcune parole che sento riecheggiare in me. Santità popolare. Viene in mente la famosa espressione di “santità ospitale” riferita a Gesù, certo. Delpini nella sua omelia ha parlato della popolarità di papa Giovanni e questi giorni hanno mostrato la forza di un uomo che ha saputo chinarsi sull’umanità, che ha saputo riconoscere e mostrare in essa le tracce di Dio. Una santità che non ha isolato il santo, non lo ha fatto sentire lontano, irraggiungibile, ma piuttosto vicino e appunto “ponte” di quella alleanza che Dio non si è mai stancato di rinnovare col suo popolo. Abbiamo assistito alla risposta di un popolo che si è sentito accolto, e che quin-

di ha potuto trovare un luogo e una persona a cui consegnare la sua umanità tutta intera, aprire il cuore e consegnare domande, gioie, sogni, progetti, ringraziamenti… Una piccolissima traccia di questa umanità…: i genitori con la figlia adolescente che ti dicono: “non riuscivamo ad avere figli e ci siamo affidato a papa Giovanni. Lei è il suo regalo per noi.” La mamma seduta da sola al bar davanti a un caffè… che poi scopri ha una figlia nemmeno diciottenne che da un mese è sulla sedia a rotelle e non si capisce bene perché ne per quanto e che aveva un momento dopo cena è ha sentito di venire qui. La donna che percorre in ginocchio il percorso verso la cappella della pace perché “vuole strappare la grazia a papa Giovanni” per la giovane nuora malata di tumore. La persona che in confessione vuole continuare a credere al suo matrimonio che sembra spento sotto la cenere. La giovane che dovrà affrontare il carcere per scontare una pena e adesso è qui in ginocchio a chiedere forza. E c’è la donna che confessa il dramma di quel figlio che non ha voluto o potuto tenere. Il gruppo di disabili che mandano con la mano un bacio

al papa. Il bimbo che con la candela accesa canta tu scendi dalle stelle, perché questa sera gli sembra un po’ il presepio vivente … E chiunque è stato qualche ora potrebbe fare un elenco infinito. E chi può permettersi di giudicare

quello strofinio di mani sull’urna, se queste sono le consegne che in quel gesto avvengono? Più e più volte in quelle mani tese ho visto la mano di quella donna che cercava di toccare almeno il lembo del mantello… Questa umanità, realissima nella sua concretezza, ha potuto stare per quello che è, senza doversi nascondere, senza vergogna. Ha potuto consegnare la sua vita e si è sentita accolta nella sua fragilità. E come più volte detto, si è sentita pacificata e papa Giovanni ha aiutato a guardare il bene dentro ogni storia, anche la più contraddittoria. Una umanità in cerca di una guida, in tempo di smarrimento, in tempo in cui sembrano mancare i sentieri sicuri. Una umanità che La Lettera settembre ‘18

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ha percepito nella presenza di papa Giovanni la presenza di una chiesa ancora madre e maestra, insieme. È stata l’esperienza di un corpo. Quello di papa Giovanni certo: il bisogno di una presenza fisica, di una vicinanza da sentire, toccare. Perché noi anche di questo abbiamo bisogno. Perché anche nel mondo dei mille contatti vir-

tuali, gli uomini e le donne cercano le carezze di carne. Il corpo dei pellegrini, soprattutto il corpo infragilito dalla malattia, i corpi che a volte si sono trascinati fino alla cappella della pace e che di fronte alle reliquie di papa Giovanni non hanno portato solo pensieri o sentimenti, ma il peso di un corpo con tutto il suo carico di vita, sofferenza, speranza. Il corpo dei volontari: le dita che indicavano direzioni, le mani forti tese a sostenere o spingere, le braccia forti, i sorrisi gentili… il clima che si respirava era quello delle gmg: anche i piccoli disagi vissuti con leggerezza; i saluti dati a tutti, perché sembra in fondo tutti si conoscono, tutti condividono qualcosa di ciò che li ha portati lì. La generosità di tantissimi che hanno regalato ore e giornate… Il corpo delle forze dell’ordine per nulla invadenti anche se numeLa Lettera

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rosissime. E la quasi confidenza degli agenti in borghese della Digos che ti dicono, in questi giorni non solo ci siamo “riposati” a confronto delle situazioni che normalmente dobbiamo seguire, ma anche un po’ purificati… Il corpo di una chiesa in cammino un fiume di persone che pregava, cantava, andava insieme verso un’unica direzione. Preghiere semplici, ma ben curate. Litanie dei santi, rosari, brani dal giornale dell’anima e dagli scritti di papa Giovanni. Ma anche la preghiera liturgica e l’Eucarestia condivisa, l’adorazione e la riconciliazione. Si sono respirate emozioni forti: tante lacrime sui volti, e comunque occhi che brillavano. Il dolore, la rabbia, ma anche la pace, la speranza rinnovata, il non sentirsi soli. E un groppo che sale alla gola quando si è così in tanti tutti insieme a pregare, invocare, incontrare. Popolo, corpo, emozioni, chiesa, preghiera. Questi sono gli ingredienti della pietà popolare che non a caso papa Francesco ci ha indicato come via per l’evangelizzazione consegnandocela per scritto nell’Evangelii Gaudium. E che ci ha regalato dal vivo permettendoci questa esperienza. Certo c’erano anche le persone che tentavano, per la verità subito riprese da altri pellegrini vicini, di farsi il selfie davanti all’urna; c’erano tocchi che sembravano più scaramantici che devoti; c’era chi ha chiesto quando si sarebbe celebrato il funerale del papa…e chi se passasse il giro d’Italia. Anche questo c’era. Ma è stata certamente la minor parte dell’esperienza. A me è parsa semplicemente

una grazia, un dono che mi ha permesso di stare più vicino al cuore della gente, alla vita della gente, di papa Giovanni e pure di Dio che si è certamente commosso di fronte a questi suoi figli. Questi giorni ci chiedono di essere riletti con attenzione. Nessuno vuole dire che questa sia tutta e sola la fede, che questa sarà il futuro della fede a Bergamo. Né vuole gongolarsi e illudersi sulle migliaia di persone passate di qui. Ma affermare, questo sì, che in questi giorni non si è portato in giro semplicemente un cadavere. Ma si è vissuta un’esperienza di popolo di Dio. In questi giorni le “terre esistenziali” si sono date appuntamento attorno alle reliquie di un santo e ci hanno mostrato tutta la loro concretezza. E se questa esperienza come cristiani e soprattutto come pastori non ci raggiunge, non ci interpella, non parla alle nostre scrivanie, ai nostri manuali, ai nostri progetti pastorali, forse continueremo a scrivere cose perfette, ma la vita della gente continuerà a scorrere da un’altra parte. E forse avremo perso un altro appuntamento. Vale la pena tendere l’orecchio, e forse riconoscere che anche questa volta siamo stati preceduti da Dio. Lui ci precedeva e superava le nostre teorie. La vita è sempre superiore alle teorie. Sempre più ricca e complessa. Molto in ciò che nell’esperienza di questi giorni si è vissuto ci sarà da purificare, rafforzare, evangelizzare, accompagnare. Ma proprio questa è la scommessa. E la possibilità che papa Giovanni ci ha nuovamente consegnato. E che sarebbe un peccato perdere.


[Prima Comunione]

Il nostro tesoro

ANDREA VICTORIA, EDOARDO, RACHELE, DAVIDE, ANGELICA, ALESSANDRO, ANDREA, NICOLO’, MILENA, RICCARDO, MICHELLE, ALICE, EMANUELE, ELISABETTA, EMANUELE, VIOLA, VERONICA, CARL, EMMA, GIADA, SILVIA, GIOIA, MATTEO, MATTIA, MICHELE, MATTIA, NICOLA, EMILY, SVEVA, CHIARA, VITTORIA AZZURRA, BENEDETTA, REBECCA, FRANCESCO, CAMILLA, ILARIA, RICCARDO, SIMONE, ANDREA, LUCA, NICOLA.E GRAZIE AI CATECHISTI PAOLA, ELISA, SIMONE, DANIELA, ERIKA. Una giornata calda e soleggiata ci accompagna fin dal mattino; l’emozione traspare subito dai 41 bambini che arrivano con le loro famiglie e si apprestano a mettersi in fila per il corteo. Emozione che traspare anche dai loro genitori e dai catechisti (Don Giuseppe l’ha perfino sottolineato prima dell’inizio della Celebrazione). I bambini hanno portato all’altare il loro scrigno che hanno premurosamente personalizzato in segno di accoglienza del Tesoro che di lì a poco avrebbero ricevuto e custodito nel loro cuore. Hanno imparato a conoscere San Tarcisio durante il primo ritiro di Avvento e questa figura li ha accompagnati anche nei mesi successivi. La cerimonia è stata intensa e partecipata sia da parte dei bambini che dei loro genitori ed è terminata con la gioia e la consapevolezza che il loro cuore si è arricchito della presenza di Gesù. Tutte queste emozioni trapelano anche nelle impressioni che alcuni di loro hanno voluto regalarci. Erika e i catechisti La Lettera settembre ‘18

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“Il momento più bello è stato ricevere l’Eucaristia. In quel momento il cuore mi batteva forte e ho sentito Gesù nel mio cuore. Mi è piaciuto fare il corteo insieme a tutti gli altri miei compagni che hanno ricevuto la Comunione e mi sono piaciuti molto anche i canti” (Andrea B.) “In quel giorno ho provato soprattutto gioia e il momento più emozionante è stato ricevere Gesù nel mio cuore insieme a tutti i miei compagni” (Camilla) “Ho provato emozione, gioia e felicità in questo giorno di festa e mi sono resa conto che molte persone anche se non mi conoscono mi vogliono molto bene” (Elisabetta) “Ho provato emozione quando ho ricevuto il Corpo di Gesù e gioia quando ho ricevuto il Vangelo dentro il mio cofanetto. Non vorrei mai cambiare questi catechisti perché sono molto gentili con me” (Nicolò) “Ero emozionato quando ho ricevuto l’Eucaristia. Gesù è venuto dentro il mio cuore per migliorarmi e mi aiuterà a capire le cose giuste che devo fare e quelle sbagliate che non devo più fare” (Nicola V.) “Quel giorno ero felice e agitata di ricevere l’Eucaristia. Dopo mi sono sentita una persona migliore. Gesù è entrato nel mio cuore e penso che sia il migliore Tesoro del mondo! E per questo io cercherò sempre di essere una persona gentile” (Vittoria R.) “Ero agitata però sono stata contenta di ricevere il Corpo di Gesù Cristo e il Vangelo che hanno messo nel mio scrigno. Dopo aver preso l’Eucaristia mi sono sentita più cristiana e mi sono commossa quando sono salita sull’altare. Questo è stato il mio giorno migliore perché Gesù è il mio Tesoro migliore che vale più dell’oro e quindi lo devo custodire. Gesù l’ho conosciuto con le preghiere, con le letture del Vangelo e della Bibbia”. (Emily)

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Titolo Titolo Titolo [Cresima]

ALESSIA, LORENZO, CLAUDIA, E GRAZIE

Per volare in alto si incomincia dai piedi

AURORA, GUIDO, GIULIA, LUCA, NICOLE, DENISE, MELISSA, GIOVANNI, BENEDETTA, ELENA, ELISA, DAVIDE, GIORGIA, MICHELA, FELICE, GIADA, GRETA, MATTEO, RICCARDO, STEFANO, BARBARA, LUCA, GLORIA AURORA, ALEX, GIORGIO, ALESSANDRO, LORENZO, PATRICK. AI CATECHISTI LUCIA, ANGELO, LEONARDO E FRANCESCA

Venerdì 11 maggio, i cresimandi, accompagnati da don Giuseppe, le catechiste e alcuni genitori hanno vissuto la giornata di ritiro, visitando il Seminario (dove hanno incontrato il Delegato Vescovile) e una parte di città alta. Alcuni di loro non avevano mai visto né il battistero né la cripta dei vescovi né la basilica e il duomo, quindi ne sono rimasti molto affascinati. Per cena siamo stati ospiti alla mensa dei poveri del pa-

tronato san Vincenzo dove ad aspettarci c`era don Davide, il sacerdote che si occupa di questo luogo di carità. Inizialmente l`impatto emotivo è stato molto forte: toccare e vedere di persona una realtà come quella non è cosa di tutti i giorni… Non è facile descrivere a parole l`episodio che ha potuto modificare la diffidenza iniziale e ribaltare completamente la situazione. Il gesto in questione è stato un atto di genti-

lezza: la condivisione di alcune torte preparate dai genitori e fatte distribuire dai ragazzi. Questo gesto così semplice di carità nei confronti di queste persone così diverse e così lontane dal nostro mondo è riuscito a trasformare i sentimenti in gioia e entusiasmo. È stata per loro un`esperienza straordinaria. Avrei voluto filmare tutto per poter condividere con voi genitori i loro sguardi e i loro sorrisi… Francesca

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Domenica 20 maggio, è giunto il grande giorno. Tutti sono vestiti a festa e il cielo promette bel tempo. I ragazzi entrano in Chiesa, uno a uno, accompagnati dai loro padrini e dai loro genitori. Entrano in un prato, un prato verde, ben curato, dove sono posate le loro mongolfiere pronte al decollo. Tanta gente era curiosa di vedere quello

spettacolo e da tutto il paese erano arrivati per guardarli partire. Mons. Patrizio Rota Scalabrini presiede l`eucarestia. Parla di fuoco, di Spirito Santo, di coraggio. I ragazzi si preparano al decollo, sono pronti. Si rendono conto che guidare una mongolfiera non sarà così facile, ma vogliono volare perché gli adulti dicono che lassù c`è

una vista bellissima e vale la pena affrontare la paura. “Ricevi il sigillo dello Spirito che ti è dato in dono”. La fiamma si accende, il cuore arde, il pallone si gonfia. Le teste si alzano verso il cielo, i sorrisi affiorano. Sono partiti. Buon viaggio ragazzi, tenete sempre accesa la fiamma. Volate alto. Leonardo

Per volare alto, come la grande mongolfiera appesa in mezzo alla chiesa e le tante dei ragazzi tutt’intorno, si comincia dai… piedi. Ed ecco il regalo della Comunità ai ragazzi della Cresima: una sacca portascarpe, stampata con la frase del papa: “Amici, Gesù è il Signore del rischio, del sempre “oltre”. Per seguire Gesù, bisogna avere una dose di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate né pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia”. La Lettera

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Mese di maggio La visita del Papa ad Alessano, alla tomba del Vescovo Tonino Bello, morto prematuramente 25 anni fa, ci ha fatto ricordare alcune “litanie“ da lui coniate per la Vergine Maria. Così, nel mese di maggio, l’abbiamo invocata nei diversi appuntamenti serali in giro per i paesi, riflettendo su ciò che la Parola ci suggeriva. Maria, donna feriale, in Via Al Mare e a Pratomarone. Sì, perché come dice il decreto sull’Apostolato dei laici del Concilio Vaticano II: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro». Non sulle nuvole perché i suoi pensieri non erano campati in aria. I suoi gesti avevano come soggiorno obbligato i perimetri delle cose concrete. Maria, donna del pane, nel giardino del Ristorante La Palma. Come ogni ragazza ebrea impastava il pane; nel suo grembo accolse e si formò il pane di vita; lo diede alla luce, adagiandolo in una mangiatoia, là dove mangiano gli animali; la località era Betlem, che significa casa del pane. Quel figlio, cresciuto, moltiplicherà il pane e proprio nel pane si rende presente nella storia dei credenti. Maria, donna del piano superiore, al Parco degli Alpini della Beita. È la stanza al piano superiore in cui era stata preparata la cena, è la stanza in cui Maria e gli apostoli salgono in attesa dello Spirito. Non piedistallo o distanza, ma profondità e vetta dello Spirito. Come sull’altura del Magnificat e su quella del Golgota. Maria, donna accogliente, alla cappella del Golf. Il Concilio Vaticano II dice che “Maria ha accolto nel suo corpo e nel suo cuore il Verbo della vita”. Ecco l’accoglienza: fare spazio all’altro nel corpo e nel cuore, cambiare anche i propri programmi Così Maria è grande perché mamma di Gesù, ma, ancor più, perché discepola di suo figlio. Maria, donna missionaria, al Campo delle Rane. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna...». (Gal 4). Fin dal suo timido ingresso iniziale sul vasto proscenio biblico, Maria compare accanto a un missionario. Sì, perché Gesù Cristo è il grande inviato da Dio. Il verbo «mandò», infatti, è il termine tipico per indicare la missione; qualifica il Figlio, in modo chiarissimo, come l’apostolo del Padre. E anche lei vivrà in questo orizzonte. Maria, donna gestante, nel giardino di Casa Pozzi a Cabacaccio. Quel bambino portato dallo Spirito, trova casa nel grembo di Maria e viene alla luce per illuminare ogni uomo. Così lo Spirito, seminato già dal battesimo nei suoi figli, chiede tempo e spazio perché cresca la “piena statura di Cristo” e si manifesti al mondo come Salvatore. Maria, donna del popolo, nella chiesa di San Filippo Neri a Salvano. L’ha scoperta lì, in mezzo alla gente comune, e se l’è fatta sua. Maria non aveva particolari ascendenze dinastiche. L’araldica della sua famiglia non vantava stemmi nobiliari, era una donna del popolo. Ne aveva assorbito la cultura e il linguaggio, i ritornelli delle canzoni e la segretezza del pianto, il costume del silenzio e le stigmate della povertà. Ecco perché la sentiamo così vicina, perché “una di noi”. Maria, donna dello sguardo, nella chiesa di Brocchione a conclusione del mese di maggio e nel grazie per il percorso di catechesi di bambini, ragazzi, adolescenti, giovani e adulti. Un sguardo dato e ricevuto, come nell’intreccio del Vangelo che ha guidato l’anno pastorale: “Maestro dove abiti? Venite e vedrete”. Uno sguardo che non si fa scuro, come quello del tale che aveva tanti beni, ma che si apre alla vita piena che ha il nome di Gesù. La Lettera settembre ‘18

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Giovanni, il mediano

[Festa patronale]

La festa patronale di San Giovanni Battista ha portato in Parrocchia il Vescovo Mons. Domenico Sigalini, da poco ritornato nella nativa terra bresciana da dove era partito per il Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della Conferenza Episcopale Italiana, per il comitato organizzativo di diverse Giornate della Gioventù (da Denver, passando da Manila e tante altre fino ad arrivare a quella del 2000, nell’anno del Giubileo a Roma) In seguito nominato vice assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica per cinque anni, nel 2005 viene eletto Vescovo di Palestrina. Nel 2007 diventa assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica fino al 2014 per poi passare ad occuparsi della Commissione Episcopale delle Migrazioni. Entrando nel tempo del Sinodo dei giovani abbiamo pensato a lui proprio per il grande lavoro pastorale che ha svolto nell’ambito delle nuove generazioni. Alcuni stralci dell’omelia ci ricordano il messaggio lasciato, insieme alla giovialità e immediatezza che lo caratterizzano. I giovani direbbero: “Uno di noi…”

Quando viviamo degli avvenimenti intensi sembra che il tempo si fermi. L’attesa di fa spasmodica, conti i giorni, le ore, i minuti, poi ti guardi un attimo indietro e vedi che il tempo è passato, che gli avLa Lettera

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venimenti procedono con una certa inesorabilità. La vita che è iniziata si radica, continua, ha i suoi ritmi che paiono lenti, ma che procedono inesorabili. E così avvenne anche per Elisabetta. La sorpresa, la vergogna di vedersi incinta alla sua età, la consolazione di avere Maria a farle compagnia, il grande evento che in lei si sta compiendo. Tutto continua e nessuno più ferma la nuova storia e viene il giorno in cui questo Giovanni nasce. Le meraviglie, l’incredulità, la sorpresa che pure ciascuno viveva nella sua interiorità prendono fuoco perché ora Giovanni è lì, il suo pianto è vero, il suo corpo se lo coccola sua madre, se lo mangiano con gli occhi tutti. Zaccaria è muto. È un padre ancora senza parole. Gli ripassa nella mente tutta la sequenza del tempio, della promessa. Era stato visitato dall’angelo in mezzo al fumo dell’incenso, gli disse parole che lo resero stupito “come posso diventare padre io a questa età? Mia

moglie è già rinsecchita” e temeva che questo angelo fosse una forma del fumo che lui stava offrendo a Dio, questo incenso. Invece nasce questo bambino, tutte le attenzione di questi nove mesi. Elisabetta si fa aiutare. Maria, se ricordate, dopo tre mesi ritorna a casa sua. Ora la storia di Dio continua in lei, anch’essa ha bisogno di rientrare, la Madonna, nella sua intimità e custodire il futuro dell’umanità. Il bambino di Elisabetta è nato ed arriva anche il giorno della legge: il giorno della circoncisione. Questo figlio fa parte di un popolo, non nasce in un deserto di relazioni e di storia, è dentro un nobile casato per parte di Zaccaria e anche per parte di Elisabetta, di nomi da ereditare ce ne ha un barca! E tutti nobili, tutti capaci di rievocare gesta, ruoli elevati, funzioni eminenti, a cominciare dai capostipiti: Abia per Zaccaria e Aronne per Elisabetta, ma questo bambino è destinato a far scoppiare il futuro e


non a clonare il passato. E dice il Vangelo, come avete sentito, “Chiedevano con cenni a suo padre”. I muti allora adesso sono tutti. Come si fa di solito con chi non parla, con chi si deve esprimere a cenni. Pensano forse che Zaccaria sia anche sordo e lo seppelliscono ancora di più nell’isolamento, lo privano di qualsiasi normalità e Zaccaria esprime ancora, per l’ultima volta, la sua tensione di non essere capace di dire e scrive “Giovanni è il suo nome”. Lui deve annunciare la novità assoluta, definitiva per l’umanità. Giovanni sarà il suo nome, non sarà cultore del tempio, non si metterà in fila come tutti a ripetere un passato anche glorioso, non farà come suo padre i turni settimanali dell’offerta dell’incenso, intuirà invece e indicherà con forza la venuta di Gesù, del Salvatore. Brucerà di ardore per l’attesa del compimento. Ma che vita ha fatto Giovanni Battista che i vostri avi hanno scelto come patrono della vostra parrocchia, della vostra comunità cristiana? Se mi permettete ragazzi, non sono un grande sportivo, però se dovessi paragonare a un ruolo che si ha in una squadra di calcio io direi che Giovan-

ni faceva il mediano. Adesso magari non c’è più il mediano, si dice l’assist però è sempre uno che la palla goal non la tira lui, ma la deve passare a un altro. E di fatto si mette concretamente al servizio della venuta di Gesù. Continua a predicare, riesce a capire che la religione del tempio per lui è troppo stretta, quell’immagine di Dio che viene data con tutti questi sacrifici, con tutte queste incensazioni e compagnia non gli va e con la gente si ritira nel deserto e lì comincia una purificazione della mentalità attraverso anche penitenze corporali per aiutare tutti a dire “sta arrivando qualcuno di più importante di tutto questo e se non siamo preparati a riceverlo lo buttiamo via”. Qualcuno ha ascoltato Gio-

vanni Battista, l’ha seguito nel deserto e lì cosa fa nel deserto San Giovanni Battista nei confronti di Gesù? Lo battezza nel Giordano con un battesimo che non è il nostro, era un battesimo di penitenza, questa acqua ti deve lavare dai peccati che hai, ma Gesù non ne aveva di peccati da lavare, era un simbolo che riuniva un popolo che voleva, con Gesù, cambiare il mondo. Ebbene farà da mediano sempre. Lui, Giovanni scomparirà alla Sua venuta. Vi ricordate tutti come è morto? Una ragazzina, la figlia di Erodiade che era la sposa di Erode, che aveva rubato a suo fratello, quindi c’era tutta una mescolanza, un insulto alla bontà di Dio e alla loro esistenza, questa balla bene. Erode sta con la bocca aperta, si commuove di questa ragazzina che riesce a ballare così bene e fa quella famosa promessa, ricordate? “Anche metà del mio regno, se me lo chiedi, io te lo do”. Proprio era sconvolto. Immaginate questa ragazzina come era felice. Era andata a lezione di danza classica, facilmente sua madre la spingeva tutti i giorni, non ne poteva più, però finalmente dice: “Ce l’ho fatta! La Lettera settembre ‘18

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Sono riuscita a conquistarmi questo posto nella reggia non più perché sono la figlia della moglie di Erode, ma perché valgo qualcosa anch’io”. Ricordate che fa? Va dalla mamma e le dice: “Mamma, hai sentito cosa mi ha promesso Erode? Mi dà addirittura metà del suo regno. Cos’è che devo chiedere?” E la risposta è agghiacciante. Per noi adulti è l’insulto più grande che possiamo avere nei confronti di voi giovani. Invece della realizzazione del suo sogno di ragazza che stava esplodendo, la madre ha fatto vincere di più la sua cattiveria “Il tuo futuro è la mia vendetta: la testa di Giovanni il Battista”. E conviene che vediamo anche questa in prospettiva anche se Giovanni Battista è l’unico santo di cui si celebra sia la nascita che la morte. Oggi celebriamo la nascita e vogliamo guardare ancora nella sua vita piena. Però voi sapete che quando Gesù è apparso all’orizzonte Giovanni il Battista ha puntato il suo dito e ha detto una frase che noi ripetiamo sempre tutte le volte che andiamo a messa “Ecco l’agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo”. Dopo aver puntato questo dito è stato ammazzato, più mediano di così! È ri-

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uscito a lanciare la palla goal a Gesù e Gesù ha cominciato la sua vita, la sua predicazione dietro questa indicazione, tanto che i suoi discepoli poi sono passati a Gesù. Chiudo pensando a voi ragazzi che adesso inizierete a responsabilizzarvi per questo momento di grande attività, di grande passione, molto bello, che si fa in tutti gli oratori e voi lo farete in maniera egregia. Ricordatevi che voi fate i mediani. Cioè a questi ragazzi non dovete presentare la vostra bravura, ma usare la vostra bravura perché arrivino a Gesù. Siete un dito puntato a Gesù. Voi sapete che c’è quel famoso detto cinese che quando uno col dito ti indica la luna c’è sempre qualche scemo che sta a guardare il dito. Se siete il dito che indica Gesù, sarà sempre lui a cui dovete orientare tutta la vostra passione per i ragazzi che incontrate e per il lavoro che fate. Se questo è chiaro finisco la predica, ma penso che questo sia chiaro di sicuro. +Domenico Sigalini (testo trascritto dalla registrazione e non rivisto dall’autore)


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Al termine della celebrazione, nella quale questi significati si sono intrecciati con la Parola di Dio e l’esperienza della vita coniugale, le coppie hanno ricevuto in dono un giglio dal profumo molto vicino ai fiori di limone e il cuscino con la foto del matrimonio.

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Secondo alcuni eruditi greci i limoni sarebbero stati prodotti dalla Terra in onore delle nozze di Giove e Giunone; per il loro color oro sarebbero da identificare con i famosi pomi d’oro custoditi dalle Esperidi nel loro giardino, in seguito sottratti da Ercole. Delle piante di limone sono state dipinte sui muri di alcune abitazioni di Pompei, testimonianza del fatto che erano conosciute già all’epoca dei romani, anche se probabilmente poco diffuse. Successivamente la tradizione cristiana associa l’immagine della pianta di limone a quella della Vergine Maria, in quanto questo frutto dal dolce profumo, gradevole nell’aspetto, è contemporaneamente ricco di numerose proprietà curative, non ultima quella di essere, secondo alcuni, un potente rimedio contro i veleni. In base a quest’ultima caratteristica, e poiché cresce sotto i raggi del sole, si è attribuito alla pianta anche un significato di salvezza. Il limone è, infine, simbolo di fedeltà amorosa, per la sua proprietà di produrre i frutti lungo tutto il corso dell’anno.

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Un profumo di limone accoglieva nella chiesa parrocchiale le 42 coppie degli anniversari di matrimonio, insieme a piante e frutti di limone e gigli. Si è scelta questa simbologia pensando a ciò che il limone offre e significa.

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[Chiesa di san Filippo Neri a Salvano]

Mentre si va completando il “giro delle sette chiese” (l’ultima sarà quella della Beita, dopo l’intervento che è in cantiere), questa volta tocca a me. Nella frazione di Salvano, seminascosta a chi giunge qui per la prima volta, dal 1600 ci sono io, con facciata a timpano, portale e finestre in arenaria, dedicata a San Filippo Neri, anche se la dedicazione più antica dice: Madonna del Monte. All’interno, a pianta rettangolare, essenziale e lineare, si apre l’unico altare laterale con stucchi e colori che fan risaltare la tela sulla quale il santo, chiamato anche “l’apostolo di Roma”, è raffigurato in abiti liturgici, con pianeta rossa, davanti alla Vergine con Bambino di cui ha la visione. Così infatti era stato dipinto dal celebre Guido Reni (1575-1642) per l’altare della cappella di San Filippo Neri nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma. Il pittore anonimo di ambito bergamasco che fece questa tela, si ispirò proprio a quell’opera e non fu il solo, perché molti altri seguirono il suo esempio. Tuttavia, questo non è l’unico riferimento ai grandi dell’arte. Pensa che anche il quadro che c’è sopra la mensa è stato ripreso nel 900 da un affresco di Bernardino Luini che si trova nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Lugano (1530) raffigurante Maria con Gesù Bambino e San Giovannino che gioca con un agnello. I bambini all’epoca non avevano giocattoli e i due piccoli si trastullano con l’agnello, sapendo bene che sarà proprio il Battista ad indicare Gesù come “l’agnello che toglie il peccato del mondo”. In tempi lontani qui viveva una famiglia che girava i paesi per commerci e volle porre in quella che era agli inizi la cappella di palazzo, opere significative. Così su queste colline, dove tutto era una selva (forse da qui il termine Salvano?) e dove la grande peste del 1630, immortalata anche da Manzoni nei Promessi sposi aveva falcidiato tutti gli abitanti, lasciandone salvo solo uno (salvo-Salvano?) si andava componendo un piccolo tesoro che arriva fino al giorno d’oggi. Alcuni banchi posti sopra il pavimento in cotto, ci orientano all’altare, preceduto da due graziose balaustre e ci fanno levare lo sguardo verso la statua più recente della La Lettera

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Madonna, collocata nella nicchia centrale. Come vedi, insieme alla devozione a San Filippo, sono decisamente segnata anche da quella alla madre di GesĂš, colei che ci ha regalato il Salvatore del mondo. Hai capito perchĂŠ gli antichi mi conoscevano come chiesa della Madonna del Monte?


In compagnia dell’agnello

Abbiamo vissuto la visita alle sette chiese in compagnia… dell’agnello. Non poteva che essere così, concludendo l’anno pastorale guidati dalla voce di Giovanni che, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. In ogni chiesa abbiamo letto un brano della Scrittura in cui compare l’agnello per poi giungere alla celebrazione in chiesa parrocchiale. 1) ISACCO, FIGURA DI GESU’ Genesi 22, 1-19 Chiamiamo “sacrificio di Isacco” un episodio delle storie sacre che ha per buona sorte un esito diverso, perché Isacco se la cava. Anche se legato come un capretto sopra un sasso e con un coltello nella mano del padre pronto a reLa Lettera

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cidergli la giugulare, viene salvato da Dio all’ultimo istante utile. Gli ebrei non parlano di sacrificio per lui, ma di akedà, legatura. 2) L’AGNELLO DELL’ESODO: MEMORIALE DI UNA LIBERAZIONE Esodo 12, 1-14 Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. Nella celebrazione liturgica di questi eventi, essi diventano in certo modo presenti e attuali. Proprio così Israele intende la sua liberazione dall’Egitto: ogni volta che viene celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell’Esodo sono resi presenti alla memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita. 3) IL SERVO DEL SIGNORE, FIGURA DI GESU’ Isaia 52 e 53 In Isaia 53,7, l’autore dei canti del servo constata: “E non aprì la sua bocca; era come agnello co n d ot t o al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori”. L’immagine dell’agnello è associata a quel-

[Visita alle sette chiese]

la del servo sofferente, profezia che fu applicata rapidamente a Cristo. Il popolo sarà guarito dalle sofferenze di questo servo. Il tema dell’abbassamento e dell’esaltazione è fondamentale, nei canti del servo. 4) GESU’, MUORE IN OBBEDIENZA Giovanni 19, 28-37 L’immagine dell’Agnello presente nell’Antico Testamento viene ripresa nel Nuovo. Nella Pasqua di Gesù riceve il significato definitivo: non più un sacrificio di animali ma il Figlio stesso di Dio che si dà per la salvezza di tutti. 5) GESU’, L’AGNELLO CHE APRE IL LIBRO DELLA VITA Apocalisse 5 e 7 Nell’Apocalisse Gesù è presentato come l’agnello immolato, che appare sgozzato, tuttavia in piedi, vivo, risorto, ma con i segni della passione, ad indi-

care che l’amore divino donato da Gesù alla umanità


vince la morte lasciando un segno indelebile: comunica la Vita eterna (zoe) che risorge da morte (Gv 6,54) 6) LA GERUSALEMME CELESTE Apocalisse 21, 1.27 Al termine dell’Apocalisse si dice: “Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!”. Una parola di infinita nostalgia. La dice lo Spirito, e la Sposa. La Sposa è la creazione, già generata da quel principio nell’amore, ed ora risvegliata all’amore. Ma è per lo Spirito che essa ama. È lo Spi-

rito che la muta, che le dà fervore ed apertura. 7) L’AGNELLO DIVENUTO PASTORE Nella celebrazione della messa abbiamo riletto il percorso alla luce della Parola di Dio, unita all’immagine dell’ultima cena di Leonardo (1495–1498 Milano, Chiesa Santa Maria delle Grazie) Gesù, al centro della scena, con un grande piatto vuoto davanti a sé. Lì dove dove-

va esserci l’agnello pasquale non c’è nulla perché il vero Agnello lo devi cercare alzando lo sguardo: è proprio lui.

PREGHIERA Signore, ti ringraziamo perché ti sei rivelato a noi come Agnello, con i segni della tenerezza, della bontà e della misericordia. Ti ringraziamo perché come Agnello hai portato su di te il peccato del mondo, la cattiveria degli uomini, le debolezze di tutti. Ti ringraziamo perché sei l’Agnello divenuto Pastore, che ci guida nella libertà ai pascoli della vita. Grazie Signore, per i passi che in questo anno ho fatto dietro a te, grazie per chi mi ha accompagnato nel cammino. Grazie per la tua Chiesa che custodisce la tua memoria non come qualcosa del passato ma come ciò che orienta i cuori alla sorgente della grazia. Grazie Agnello-Pastore che continui a raggiungermi con la tua Parola e mi dici: Seguimi! La Lettera settembre ‘18

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Nella terra di Giovanni Paolo II

Quarto appuntamento delle Fiaccole del cuore: Polonia. Mentre gli intrepidi correvano o pedalavano, altri volavano... in aereo, per vivere insieme alcune giornate. Prima tappa del nostro viaggio e quartier generale, Cracovia, una delle più antiche e belle città della Polonia che ci incanta. Cracovia è stata a lungo la capitale del paese e a tutt’oggi rimane il suo principale centro culturale, artistico e universitario - è sede tra le altre della Università Jagellonica, la più antica del paese e una delle più antiche d’Europa. La città vecchia, circondata dal parco di Planty e dai resti della cinta muraria medievale, ha come centro la maestosa Rynek Glówny (la piazza del mercato). Qui sorgono il Mercato dei Tessuti, un grande centro di commercio costruito durante il Rinascimento, e la basilica di Santa Maria, una chiesa gotica del XIV secolo, famosa anche per i due campanili di altezza diversa. Sin dal medioevo in cima alla torre più alta giorno e notte, vegliava un guardiano avente il compito di La Lettera

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lanciare un segnale di allarme in caso di incendi, nemici in vista e altri pericoli. In origine era suo dovere anche eseguire con la sua tromba la melodia detta “l’hejnał” all’alba e al tramonto per segnalare l’apertura e la chiusura delle porte della città. Solo più tardi si diffuse la tradizione di eseguire la stessa melodia ogni ora. L’hejnał è così divenuto il simbolo musicale di Cracovia, che risuona ancor oggi ogni ora, giorno e notte, verso i quattro angoli del mondo. Ascoltando la melodia ci siamo accorti che si interrompe bruscamente dopo poco. Il motivo c’è. Nel 1241 la città fu attaccata dai Tartari. Come narra la leggenda, il guardiano in cima alla torre cominciò a suonare l’allarme riuscendo ad avvertire la città dell’attacco, ma ad un tratto una freccia tartara gli trafisse la gola. Per commemorare l’evento la melodia viene tuttora interrotta nel punto in cui l’eroico guardiano smise di suonarla. Ma non si può tralasciare la collina di Wawel situata sulla riva sinistra del fiume Vistola a 228 metri sul livello del mare, un luogo simbolico e di grande significato per i polacchi con il Castello Reale e la Cattedrale. I reali della Polonia e alcuni illustri polacchi sono sepolti nella

Cattedrale e le incoronazioni dei re avvenivano proprio lì. Wadowice, a 50 km da Cracovia, è la città natale del Santo Giovanni Paolo Il. Nella piazza principale è situata la casa in cui Karol Wojtyla nacque, trascorse l’infanzia e la giovinezza. Nel modesto appartamento, due stanze con cucina, si respira un’atmosfera di quotidianità familiare; qui sono conservati molti ricordi personali del pontefice. La visita prosegue al piano terra dove originariamente c’era il negozio del proprietario dell’edificio. Il recente allestimento del museo è davvero ben fatto: combina in modo armonioso la presentazione tradizionale dei documenti con l’uso di tecnologie multimediali. Nelle varie sale si ripercorrono tutte le tappe della vita del Santo Padre: momenti sereni come le escursioni in montagna e le gite in canoa, ma anche dolorosi come la morte della madre e del fratello e l’attentato in piazza San Pietro. Quando, su un maxischermo scorrono le immagini della sua nomina con l’indimenticabile “... mi corrigerete ... “ e quelle delle sue esequie, si ha la sensazione che sia ancora tra noi e la commozione prende. Da notare il bel pavimento in vetro con inseriti campioni di


terra di tutti i paesi visitati dal Papa. Sulla piazza sorge anche la chiesa parrocchiale dove il futuro pontefìce ricevette il battesimo. Interessante osservare come nella pavimentazione della piazza, dedicata al papa, sono inserite 167 mattonelle che ricordano i pellegrinaggi di Giovanni Paolo Il in Polonia e in oltre 100 paesi di tutto il mondo. Il pellegrinaggio è proseguito con la visita al museo-memoriale di Auschwitz-Birkenau. Attraverso questo campo sono passate più di un milione di persone che qui sono state uccise o sono decedute in conseguenza delle dure condizioni di vita. Sono luoghi sacri dedicati alla memoria, per non dimenticare le vittime e l’orrore dell’Olocausto. Una visita toccante ed istruttiva nelle atmosfere di uno dei periodi più bui della storia. Durante il percorso, si è costretti a riflettere

sulle atrocità che tuttora continuano ad essere perpetrate in molte parti del mondo con massacri di intere popolazioni. Altra tappa importante la visita del santuario mariano di Czestochowa che, al suo interno, custodisce la veneratissima Madonna Nera simbolo della spiritualità della nazione polacca. La sacra immagine era tanto cara a San Giovanni Paolo Il che espresse la forte devozione con il suo motto apostolico “totus tuus”. La visita con le guide –tra cui una suora un po’ pazzerella- ci ha permesso di immergerci nella storia del santuario e dell’effigie della Madonna Nera. Colpisce anche la compostezza e la religiosità che manifestano i tanti pellegrini presenti tra cui molti giovani e gruppi di ragazzi della prima Comunione nei tipici abiti tradizionali. Che dire? Unendo tutto que-

sto al clima di amicizia e alle proposte spirituali che ci hanno guidati non possiamo che essere contenti per esserci immersi nella terra di Giovanni Paolo II.

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Qual è il senso del Cre?

[Due parole sul tempo estivo]

Alcuni passaggi dell’intervista a don Emanuele Poletti, direttore dell’Ufficio per la Pastorale dell’Età Evolutiva, introducono la bella esperienza del cre e del baby. Che senso ha lavorare alla proposta dei Centri Ricreativi Estivi? Cosa c’è in gioco? Il Cre è certamente un servizio per le famiglie che hanno bisogno di affidare i propri figli in tranquillità e sicurezza, e lo fanno in oratorio. È un’occasione speciale per sperimentare alcuni significati particolari dell’oratorio. Durante l’estate, l’oratorio viene vissuto tantissimo, non solo il tempo di una o due ore settimanali come d’inverno; diviene allora come una seconda casa, in cui gli incontri fanno la differenza. Non solo: il Cre è una grande iniezione di fiducia negli adolescenti. Se non ci fossero loro, il Cre negli oratori non esisterebbe, sono loro il vero motore. Gli adolescenti, di solito dipinti come svogliati, in questo mese sono capaci di una grande cura educativa nei confronti dei più piccoli. Per noi adulti il Cre diventa un’occasione di riscatto dell’immagine che a volte abbiamo degli adolescenti. Quale è la bellezza del Cre? “Per educare un bambino serve un intero villaggio”, dice un proverbio africano: l’inter-generazionalità rende possibile un’educa-

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zione buona, gli adolescenti sono accompagnati da giovani coordinatori, gli adulti si occupano di laboratori, i volontari si spendono in tanti modi. Tante generazioni convivono in uno stesso spazio per un tempo prolungato, questa è una ricchezza che rende potente l’esperienza La forza del Cre è che la stragrande maggioranza delle persone che concorrono alla sua reaIizzazione lo fa in maniera gratuita: la vita buona genera, grazie al tempo speso senza chiedere nulla in cambio. Il tema del Cre è un pretesto per imparare qualcosa e vivere esperienze che abbiano valore e senso. Emerge

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un’idea di educazione, non astratta, ma che si concretizza in un esercizio da fare, che si declina in accoglienza, cura, tempo dedicato e ascolto: ingredienti necessari nei Cre. In che modo si declina nei nostri oratori un tema così vasto come l’agire dell’uomo? L’anno scorso il tema era la creazione, l’opera di Dio. Quest’anno, facendo un passo avanti, il tema è stato l’azione dell’uomo nel mondo che gli è affidato. Come svilupparlo? Abbiamo scelto di sintetizzarlo in quattro verbi: osservare, creare, scambiare e raccontare.

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E qui continuiamo con il Cre e il baby Cre di casa nostra. Abbiamo declinato i verbi nelle diverse settimane, guidati anche da una pagina di Vangelo con la quale abbiamo intrecciato lo stare insieme e le diverse attività proposte: tornei, gite, giochi, laboratori, serate genitori, canti, balli… Quattro le squadre che la filastrocca della festa finale ha presentato anche ai tanti genitori e amici accorsi: Eccoci qua alla fine del Cre per scoprire chi sarà il nuovo re. Questo è il Cre del creato e di tutto ciò che Dio ha formato. Mmmmmmmmmm vediamo: c’è la squadra dei poeti, scrittori completi e senza segreti. Ci son gli scultori, abili modellatori che ogni materiale fanno diventare vitale. Ci sono poi i pittori, grandi immaginatori che con pennelli e acquerelli fanno quadri sempre più belli. Infine i musicisti, abili strimpellatori che con la loro maestria rendono ogni nota una melodia. Ecco le quattro squadre affiatate, con ginocchia sbucciate, guance arrossate e magliette bagnate. Questa è la magia del Cre che incorona ciascuno come un re. Volete poi sapere chi ha vinto con ben 2245 punti? La squadra dei musicisti che, dopo essere stata per tre settimane fanalino di coda, ha rimontato alla grande. Come dire: “Gli ultimi saranno primi…” Ma abbiamo capito che tutti al Cre sono re. (per essere completi: Scultori 2225, Pittori 2158 e Poeti 2138) La Lettera settembre ‘18

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Festa Titolodella Titolocampagna Titolo Titolo Trentacinque anni. Si fa tanta strada in trentacinque anni. Il mio contapassi in un sabato di festa ne ha contati quasi 20.000. 20.000 passi in un giorno, per 12 giorni di festa per 35 anni… è tanta strada. È la strada di Burligo che per un mese all’anno, da trentacinque anni, porta la gente di tut-

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ta la provincia bere buon vino e a mangiare bene. È la strada di Palazzago che per 11 mesi all’anno sembra essere sconosciuta e nel mese di giugno ogni fine settimana prende vita. È tanta strada quella che in trentacinque anni tra una discesa e una salita, tra un dosso e una buca, tra uno stop e un segnale di pericolo ci ha portato ancora qui, a fare festa, a fare LA FESTA. È tanta strada quella di una manifestazione che tanti di noi li ha visti nascere, altri crescere, altri invecchiare, qualcuno strada facendo ci ha salutato, altri hanno iniziato a camminare insieme a noi, qualcuno ha cambiato strada, qualcun altro perdendosi è finito sulla nostra e ci è rimasto. È tanta strada, per chi viene da fuori, quella da fare per unirsi alla nostra festa. C’è chi ormai è allenato e quando è il momento “stanco di camminare inizia a correre” per non perdere il posto, per il tavolo migliore, per il cibo più gustoso, per il vino più buono, per la bella compagnia che strada facendo si è fatta più grande, per un altro giro di ruota o per l’ultima

canzone. È tanta strada quella fatta dai volontari in questi ultimi trentacinque anni ed è ancora tanta quella che speriamo di fare insieme a voi per i prossimi Trentacinque anni. È tanta strada quella ancora da fare, tra alti e bassi, tra gente che viene e che va, tra una processione e l’altra per non dimenticare Trentacinque anni di S. Eurosia, tra un parroco e quello dopo, tra una lamentela e un complimento. È tanta la strada ancora da fare per fare andare avanti la baracca, aggiustare quello che strada facendo si spacca, mettersi all’opera e alzare il sipario per tutti i mesi di giugno che incontreremo sul nostro cammino, con la pioggia o con il sole, tra un tavolo e l’altro, avanti e indietro senza sentire la stanchezza fino all’ultimo giorno quando spegnere le luci mette un po’ di tristezza e tanta gioia per avercela fatta per un altro anno. È tanta la strada ancora da fare, imprevedibile, in salita, spesso in alcuni tratti poco illuminata… è la strada per Burligo. Nel frattempo abbiamo preso la strada per Clusone: una bella domenica vissuta insieme, alla scoperta dei tesori della cittadina-Basilica, Museo, Danza macabra, Orologio, San Defendente…- la celebrazione eucaristica e un bel pranzo. Pochi passi nel parco, intorno alla piscina… Michela


[Tratto dall’Osservatore Romano di Enzo Bianchi]

I giovani sono i protagonisti

Ci sono due aspetti fondamentali legati al prossimo sinodo dei vescovi dedicato ai giovani e al discernimento che paiono sottaciuti in molte analisi nostrane, forse a causa di un’eccessiva semplificazione dell’argomento. Innanzitutto il fatto che si tratta di un sinodo della Chiesa cattolica, presente nei cinque continenti, e non di un’assise limitata alla sola Italia o all’Europa e ai paesi di antica cristianità. Questo significa che non si può trascurare il fatto che le Chiese in cui la presenza giovanile è più scarsa sono quelle anche di più antica tradizione e che le Chiese più giovani per epoca di fondazione sono anche quelle dove i giovani per età anagrafica sono più numerosi, in linea con l’età media della società circostante. Il che comporta, tra le altre cose, che la trasmissione della sapienza legata all’anzianità avviene con maggior difficoltà se non si favoriscono gli scambi e i contatti tra Chiese di paesi e regioni non omogenei: avremo da un lato Chiese esperte che parlano ad anziani e faticano a trovare linguaggi per le nuove generazioni e, d’altro lato, Chiese con radici ancora fragili cui mancano riferimenti e interlocutori che abbiano fatto tesoro di secoli di confronto con società via via sempre meno “cristiane”. E questa differenza di composizione anagrafica delle diverse Chiese si aggiunge a quelle legate alle caratteristiche etniche, culturali, economiche e sociali che contraddistinguono le società all’interno delle quali la Chiesa si pone come istanza significativa di una “differenza cristiana” radicata nel Vangelo. Il secondo dato è che “oggetto” — e, in qualche misura compatibile con la natura stessa di un sinodo dei vescovi, “soggetto” — delle riflessioni sono i giovani e le giovani presenti o assenti nelle no-

stre comunità ecclesiali. Troppo spesso diamo per scontata questa “inclusività”, ma chi ha un minimo di esperienza diretta del mondo giovanile è perfettamente cosciente di quanto le più serie indagini sociologiche registrano regolarmente: vi sono differenze significative nei comportamenti e nel linguaggio legate anche al genere. Tenendo queste due osservazioni preliminari come retroterra critico e focalizzando la riflessione sul mondo italiano ed europeo che frequento maggiormente, va sottolineato come nei decenni passati ci sia stata un’attenzione alla cosiddetta pastorale giovanile mai così accentuata nella storia; ma purtroppo questa fatica non è stata sufficiente, anche perché si è continuato a pensare a un rapporto esteriore tra la Chiesa da un lato e i giovani dall’altro. Non basta ascoltare i giovani né tanto meno ingabbiarli in stereotipi che fanno di loro “il futuro della Chiesa” o “le sentinelle dell’avvenire”; occorre invece considerarli e sentirli non come una categoria teologica o un’entità esterna cui la Chiesa si rivolge, bensì come una componente della Chiesa di oggi, attori e protagonisti già ora; occorre pensarli nel “noi” della Chiesa. Il documento preparatorio per il sinodo chiama i giovani e le giovani a «essere protagonisti» (III, 1) e «capaci di creare nuove opportunità» (I, 3), indicando così a tutta la Chiesa vie di evangelizzazione e stili di vita nuovi. Solo un ascolto reciproco, un confronto, un dialogo tra tutte le componenti del popolo di Dio di qualunque età e di entrambi i sessi possono innescare un processo di “inclusività” delle nuove generazioni nella Chiesa. Questa la sfida del prossimo sinodo. E la volontà di papa Francesco di farlo precedere da incontri in cui i giovani La Lettera settembre ‘18

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potessero prendere la parola e sentirsi partecipi della “conversione” richiesta a tutta la Chiesa ha posto le premesse favorevoli al passaggio da una pastorale “per i giovani” a una pastorale “con i giovani”. Si tratta, per usare un’espressione cara a papa Francesco, di «iniziare dei processi», non di fare conquiste, né di «far ritornare» i giovani alla Chiesa, o di misurare la riuscita sul numero delle risposte ottenute. Occorre “una Chiesa in uscita”, capace di unirsi ai giovani che già la frequentano per andare dove si trovano i loro coetanei, dove questi abitano, vivono, soffrono e sperano. Occorre raggiungerli in modo non generalizzato e massificante, bensì con atteggiamenti e parole in grado di rispettare e ridestare la specificità di ciascuno: i giovani hanno sete di incontri personali, di dialoghi faccia a faccia, soprattutto nel nostro contesto sociale dominato dal virtuale, e domandano silenziosamente, senza riuscire a esprimersi in modo compiuto, di essere “riconosciuti” ciascuno e ciascuna lungo il proprio cammino di ricerca di senso e di pienezza di vita. Questo significa per gli adulti cambiare lo sguardo sui giovani, accettare di mettere in discussione le proprie acquisizioni, di non riuscire sempre a capirli e tuttavia rinnovare sempre la fiducia in loro, guardando ai giovani come a “storie personalissime” e sostenendo la loro faticosa ricerca di una vita buona. In questa forma di pastorale “con” i giovani, oltre alla cultura dell’incontro deve emergere anche quella della gratuità. Se infatti «la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione» (Evangelii gaudium 14), occorre vivere ogni atteggiamento di evangelizzazione sotto il segno della gratuità, senza l’ansia di risultati in termini numerici di giovani coinvolti, vocazioni suscitate o servizi assunti. L’incontro che si deve favorire è quello umanissimo nel quale sia gratuitamenLa Lettera

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te possibile entrare in relazione con Gesù attraverso la fede e la testimonianza dell’evangelizzatore. Non dunque l’incontro con una dottrina, tanto meno con una grande idea o con una morale, ma con una realtà viva che intrighi, sia portatrice di senso e promessa di vita piena. La gratuità è uno dei valori più sentiti e vissuti dai giovani: incontro gratuito e disponibilità a camminare insieme restano urgenze assolute in un nuovo paradigma di evangelizzazione nella società odierna. La mia esperienza di ascolto, incontro e cammino con tanti giovani — diversissimi per cultura e atteggiamenti verso l’interiorità, la spiritualità, la religione e la Chiesa — mi convince sempre di più che quando approdano a conoscere la vita di Gesù ne restano affascinati e toccati. La vita di Gesù come vita buona, nella quale egli “ha fatto il bene”, cioè ha scelto l’amore, la vicinanza, la relazione mai escludente, la cura dell’altro e soprattutto dei bisognosi, è vita non solo esemplare ma capace di affascinare e di rivelare la possibilità di una “bontà” che si vorrebbe ispiratrice per la propria vita. Ma vi è anche un’attrazione nei confronti della vita bella vissuta da Gesù: il suo non essere mai isolato, il suo vivere in una comunità, in una rete di affetti, il suo vivere l’amicizia, il suo rapporto con la natura restano molto eloquenti. Infine vi è grande interesse per la sua vita beata, non nel senso di una vita esente da fatiche, crisi e contraddizioni, ma beata in quanto Gesù aveva una ragione per cui valeva la pena spendere la vita e dare la vita, fino alla morte: questa la sua gioia, la sua beatitudine. I giovani non sono insensibili, refrattari ai grandi interrogativi dell’esistenza, ma desiderano essere aiutati in questo cammino da adulti affidabili che sappiano accompagnarli senza pretese e senza accaparramenti sui cammini che tendono alla pienezza della vita e dell’amore.


[Festa a Carosso]

Per la celebrazione della festa di Santa Margherita a Carosso abbiamo chiesto a Mons. Ubaldo Nava, che già conosciamo e apprezziamo. Introducendo la sua riflessione ha detto di non essere mai entrato nella chiesa della frazione cui si è recato la settimana prima, notandone la bellezza, insieme a quella dei molti quadri e delle statue. Tra queste, soffermandosi su quella di santa Margherita cui è dedicata la chiesa, pensava: sarà Margherita di Scozia? Ma non è raffigurata come regina…Sarà Margherita Maria Alacoque? Ma non è raffigurata come suora… Sarà Margherita da Cortona? Ma non è raffigurata come terziaria francescana…E allora sono arrivato a Santa Margherita di Antiochia, trovando il lei

[Festa a Montebello]

Santa Margherita la ragazza cristiana che subì il martirio sotto Massimiano. È quindi una resistente fino alla morte, è forte, è coerente. La sua testimonianza ci fa riflettere su due aspetti: -è innamorata del Signore e, come dice la Scrittura “più forte della morte è l’amore” -non si lascia sedurre dalle lusinghe del male, rappresentato dal drago che sempre accompagna le sue raffigurazioni. È vero anche oggi ciò che un papa diceva un po’ di tempo dopo santa Margherita: “Un tempo

eravamo perseguitati nel corpo, oggi invece siamo accarezzati sulla pancia”. La celebrazione è poi continuata con la processione fino a Cabacaccio tra festoni e addobbi, musica e preghiera. Al parcheggio la benedizione e i ringraziamenti. Poi tutti alla tensostruttura per chiudere in bellezza la festa culinaria con un buon piatto di casoncelli e non solo.

San Lorenzo Qualcuno era arrivato armato di ombrelli ma, niente paura, la processione si farà. E così è stato. Prima la concelebrazione con don Carlo Comi, vicario parrocchiale di Brembate, che ha riletto la figura di San Lorenzo alla luce della parola di Dio affidataci nella Domenica, in modo coinvolgente e immediato. Poi, portando la statua del Santo, si è snodata la processione che, grazie al permesso del Corpo di Polizia Locale, ha attraversato la strada provinciale 176 (stradù lonc) con un percorso mai così esteso, tutto vestito a festa (a don Carlo avevamo detto che sarebbe stata corta, ma ormai c’era…) Preghiera finale e benedizione per concludere poi in bellezza con abbondante rinfresco e premi, tutto accuratamente preparato come il resto dalle signore e dai volontari di Montebello che ringraziamo. La Lettera settembre ‘18

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Rocco, un Santo giovane

Ezechiele, profeta, è chiamato da Dio a fare il bagaglio e questo sarà un segno per tutto il popolo. Rocco, santo, è sempre raffigurato con abbigliamento da

pellegrino, con una sacca a tracolla. E potremmo aggiungere valigia, trolley, zaino… con tutti i bagagli che anche i giovani preparano per viaggi e cammini. Nell’anno del Sinodo dei giovani, infatti, don Giuseppe ha presentato Rocco come un santo giovane: anzitutto perché muore a 32 anni, ma, soprattutto, perché ha vissuto i valori cari anche oggi ai giovani: -il sogno (da non confondere con il bi-sogno e basta)

Vacanza Adolescenti

Nemmeno il tempo di chiudere lo zainetto del CRE e pronti, partenza e via, una nuova avventura con questi ADO, questa volta verso Pinarella di Cervia in Romagna. Dopo 5 ore di viaggio sulla “freccia” orobica e un breve tratto di pullman arriviamo a destinazione: il centro Mare e Vita, un tranquillo complesso La Lettera

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affacciato sulla riviera adriatica. Ogni giorno è stato scandito dall’alternarsi di momenti insieme sia in spiaggia che in alloggio tra i pasti e le pause in camera, per poi concludersi sempre con una bella passeggiata serale. Che dire dunque di questa vacanza? E di questi ADO? Sicuramente noi, Don Roberto e Maddalena abbiamo capito il perché di tanta gioia sui volti dei genitori alla riunione e alla partenza da Bergamo, ma a parte la loro vivacità e la mancanza di sonno, ci hanno permesso di entrare nel loro mondo con i loro discorsi, pensieri e canzoni. Pensiamo che per loro sia stata un’esperienza in cui hanno avuto la possibilità di diventa-

[Festa in Acqua a Burligo]

-la libertà (che è scelta di impegnarsi per qualcuno e per qualcosa) -l’amore (sorgente e orizzonte che dà senso e spessore all’esistenza). Da queste riflessioni è poi partita la processione con la statua del santo e, accanto, l’immancabile cagnolino (come per molti oggi, ormai). Quello però era a servizio di San Rocco (ogni giorno gli portava un pane per il sostentamento). Oggi invece uomini e donne sono a servizio dei cagnolini… Valli a capire.

[di Luca e Daniele] re più indipendenti dai genitori, preparando il proprio letto, amministrando i loro soldi, rispettando gli orari di ritrovo, rafforzando così quell’autogestione sottolineata da don Giuseppe anche durante il CRE. In conclusione non potevamo non fare i nostri complimenti alle ragazze, che, seppur in grande minoranza, hanno dimostrato una maggiore maturità rispetto a molti coetanei maschi, un applauso quindi a loro. Infine ricordiamo che, anche se a Palazzago non abbiamo il mare, gli appuntamenti per stare insieme non finiscono mai: la festa di Comunità ad Agosto/Settembre e gli incontri ADO che riprenderanno ad ottobre.


Pillole “Là dove c’era l’erba”…, anzi no: là dove c’era l’asfalto, nella piazzetta don Ceroni, nel tempo del Cre ci sono stati due campetti, ottenuti con alcuni tappeti di erba sintetica. Molti coloro che, anche nelle serate estive, hanno giocato a pallavolo e basket. Se solo non ci fosse il problema dei parcheggi in centro, pensate cosa potrebbe diventare questo spazio all’ingresso dell’Oratorio con aiuole, panchine, due piante e due campetti. Certo, dovremmo trovare anche il modo di aiutare le galline di Genio perché, a detta dell’interessato, le voci notturne le trattengono nel fare le uova. A meno che manchi il gallo… L’ex casa Blinti, lasciata in eredità alla parrocchia di Burligo, è stata interessata al rifacimento della copertura, resosi necessaria per l’ammaloramento di anni e l’installazione della linea vita. Terminato e pagato il lavoro speriamo terminino anche le lamentele giunte fino in Comune. Ma si sa: chi non fa niente trova il tempo di criticare… E a proposito di tetto. Nei lavori di sistemazione del Cimitero, il Comune è intervenuto anche sulla copertura della cappella dei sacerdoti. Abbiamo così ridipinto l’interno che presentava vistosi segni di infiltrazioni, creando nuovamente un ambiente decoroso e di tutto rispetto, sia per i corpi dei sacerdoti che lì riposano (c’è solo un loculo libero) sia per le celebrazioni eucaristiche. Grazie a Rota Stabelli Emilio e Panza Andrea per il lavoro e la tinteggiatura. Grazie anche alla Signora Mariella che assicura sempre l’apertura e la pulizia. Se vuole approfittare del loculo vuoto… A Brocchione, per la conclusione del mese di maggio e per il ringraziamento dell’anno catechistico, ci siamo ritrovati in una chiesa gremita e in un’assemblea multicolore: l’invito ai diversi gruppi era infatti quello di mettere una maglietta del colore della tappa che tra le cinque dell’anno aveva caratterizzato maggiormente il cammino. Corpus Domini unitario, con Burligo e Palazzago, come ormai da alcuni anni. È sempre suggestiva la celebrazione serale nelle due chiese con le due processioni che passano tra un’infinità di lumini accesi e l’infiorata dei petali gettati a piene mani dai ragazzi della prima Comunione. Sempre sudore per i papà che portano il baldacchino e le mamme le lampade. A proposito: l’anno prossimo non avremo la prima Comunione per lo slittamento del sacramento dalla terza alla quarta elementare. Chi getterà i petali? Chi porterà il baldacchino? Chi avanzerà con le lampade? Troveremo qualcuno. L’importante che ci sia Lui… La Banda “G. Rossini” ha proposto il Concerto di san Giovanni unitamente all’Orchestra Musicalmenno con un ensemble d’effetto. Al termine non potevano mancare i fuochi d’artificio (grazie agli sposi che li hanno pagati, ma la prossima volta dovete farli partire appena finisce la musica, non sulle ultime battute dell’ultimo brano). È una delle iniziative di questo anno particolare in cui cade il 150° anniversario di fondazione che ha visto anche una trasferta in America. Thank you. “In God We Trust”.


Titoloviva Titolo Titolo Casa A che punto siamo? Dal primo prospetto vediamo la casa quasi completamente libera: mancano 20.500 € per gli ultimi saldi alle Ditte che hanno lavorato. Altro panorama per il mutuo (secondo prospetto) che ci tiene ancora molto impegnati. Anzi, ne abbiamo chiesto la rinegoziazione per abbassare le rate mensili. Non lo estingueremo quindi nel 2013, ma un po’ più in là (salvo positivi “imprevisti” di percorso…). Nel frattempo, è sempre molto grande il grazie per chi non lascia mancare il suo “aiuto per fare casa”.

FINE LAVORI FINE LAVORI IMPEGNO TOTALE € 1.095.681 di cui €1.075,181 LIQUIDATI IMPEGNO TOTALE € 1.095.681 di cui 1.075.181 LIQUIDATI

20.500

FINANZIAMENTO DI € 564.960 - NR.8 RATE ANNUE DI € 70.620

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Quando si spegne la mamma è dolore puro Ciao mamma, mai avremmo pensato di doverti salutare così presto. Non vogliamo parlare dell’immensa tristezza e del dolore lacerante che proviamo in questo momento. Troppo difficile da accettare, troppo duro da sopportare. Vogliamo ricordati e ringraziarti per averci trasmesso il tuo entusiasmo e la gioia di vivere. Ci hai insegnato l’importanza dei piccoli gesti. Inaspettati, inattesi e gratuiti. Ci hai fatto vedere che basta poco, una battuta, uno scherzo, per far fiorire un sorriso sul volto delle persone. E il tuo sorriso è stato maledettamente contagioso e ha riempito l’anima di gioia. Ci hai sempre ricordato che non si può essere generosi e disponibili con il metro in mano perché la disponibilità non si misura. Sei stata una gran lavoratrice. La tua fede incrollabile ti ha sempre sostenuto, anche nel mo-

mento della prova, delle difficoltà e della sofferenza. Sei bella come la madonna del museo parrocchiale che ti piaceva tanto. Hai sempre amato la tua famiglia. A tutte le persone che ti hanno conosciuto, fiera, hai parlato dei tuoi figli e di quanto fossi orgogliosa di loro. Sempre presente nelle vite di ognuno di noi, sei stata respiro, ordine e armonia. Noi siamo sempre stati molto orgogliosi di te, del tuo carattere forte e determinato, della tua bellezza così semplice ma vera. Hai lasciato un segno in ogni persona che hai incontrato sulla tua strada, grandi e bambini, con quel modo di fare che ti hai resa unica. Riempie il cuore sentire i ricordi e i racconti delle persone. Un passo del vangelo di Luca recita: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. E tu lo hai sempre fatto. Per pulire la

casa parrocchiale, per vendere i biglietti della comunità, per bagnare i fiori, per mettere la cera sul pavimento della chiesa. La tua insistenza è stata sempre accompagnata da tanta passione. Ci hai mostrato che si può essere sale, che si può fare la differenza anche nelle piccole cose. Te ne sei andata con la pace e la certezza di sapere che i tuoi figli hanno accanto tre ragazze meravigliose. Loro, l’amore infinito che ci hai regalato e il tuo ricordo bellissimo saranno la nostra forza per andare avanti. Stai tranquilla, ci prenderemo cura del papà. Grazie di tutto mamma. Grazie per tutto.

Sulla strada del Signore Cecilia Mangili 1957-2018, Valbrembo La casualità della Vita ci ha fatto incontrare una Donna speciale, capace di trasmettere serenità e gioia. Cecilia, capace di andare oltre lo spazio di un letto che per sessant’anni ha accolto il suo gracile corpo senza poter trattenere il suo spirito curioso, è l’esempio di una Fede profonda in grado di dare un senso positivo anche alle prove più difficili da accettare. Lei ha cercato, compreso, vissuto e trasmesso l’essenza di un’esistenza che non distingue tra normodotati e disabili, ma sa andare dritta all’essenza dell’Amore in grado di dare conforto, di trasmettere speranza, di donare un sorriso. Abbiamo voluto farle un dono, organizzando un Cammino verso

Santiago che la vedesse presente; il regalo lo abbiamo ricevuto noi preparando la partenza, superando lo sconforto di un suo ulteriore problema fisico, camminando collegati con lei grazie al web, per quindici giorni, Pellegrini tra pellegrini. Passo passo siamo diventati un’energia sola: coinvolgente, rassicurante, gioiosa, amorevole. Ciò che doveva essere un’esperienza a termine è diventata un’unione di valori che Cecilia ha saputo cogliere e valorizzare, dipingendo un meraviglioso arcobaleno con i colori dell’unicità di ognuno di noi. Cara Cecilia, non solo pittrice sei stata, ci hai stupiti anche per l’ulteriore dimostrazione di come hai saputo essere regista di vita. Il 17 agosto di un anno fa ci presentavamo insieme al cospetto di San

Giacomo; esattamente 365 giorni dopo ti sei lasciata andare tra le braccia di un Padre che tanto ami. Il 20 agosto, un anno fa al ritorno dal Cammino, ci dicesti che il viaggio era concluso ma non compiuto; oggi, 20 agosto del 2018, siamo qui a salutarti al termine del tuo viaggio terreno e augurarti un’eternità fatta di leggerezza, di gioia e di Luce. Con la sensibilità di un’artista sapevi cogliere e trasmettere emozioni; con la tua voce ti univi al nostro coro che cantava, ovunque, la gioia di “essere sulla strada che porta al Signore”. Ciao Cecilia, Buon Cammino Giorgio Buffoni

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Battesimi

Domenica 5 agosto 2018 ore 11.30 Cloe Moussa, di Michele e Delia Mandaletti, nata il 19 dicembre 2017 Aurora Butta di Cristian e Laura Panza, nata il 9 maggio 2018

Cloe

Aurora

Matrimoni

Donadoni Roberto e Locatelli Lisa Barzana 21 luglio 2018

Mazzoleni Alberto e Colleoni Giulia Palazzago 13 luglio 2018

Defunti ALESSANDRO LICINI di anni 79 deceduto il 9 luglio funerato alla Beita e sepolto a Palazzago l’11 luglio 2018 Troppo presto mi hai lasciata, rimarrai per sempre nel mio cuore. Tua moglie

BENITO MAZZOLENI detto TINO di anni 78 deceduto a Bergamo il 12 luglio, funerato e sepolto a Palazzago il 14 luglio 2018 “Il silenzio è pieno di musica. Il silenzio dà suono all’anima.” Ora in cielo diffonderai le note della tua musica. Con affetto, i tuoi cari


MARGHERITA LAZZARI in Casanova di anni 64 deceduta il 29 luglio funerata e sepolta a Palazzago il 31 luglio 2018

TERESA VISCONTI ved. CARENINI di anni 81 deceduta il 21 agosto funerata e sepolta a Palazzago il 23 agosto 2018

Il tuo sorriso e la tua voglia di vivere sono il più bel ricordo che ci lasci. Vogliamo ricordarti così. I tuoi cari

Vivere nel cuore di chi resta significa non morire mai. Con affetto, i tuoi cari

GIOVANNI PELLICIOLI di anni 93 deceduto il 12 agosto funerato e sepolto a Palazzago il 14 agosto 2018

GIOVANNI VISCONTI di anni 86 deceduto il 15 giugno funerato e sepolto a Gromlongo il 18 giugno 2018

L’anima buona del nostro caro ha serenamente raggiunto la dimora eterna. Con affetto, i tuoi cari

Nonostante il grande vuoto che ci hai lasciato, il dolce ricordo di te e dell’amore che ci hai donato, rimangono indelebili nei nostri cuori. Con affetto, i tuoi cari

Anniversari GHEZZI IOLANDA ved. GHEZZI (27 agosto 2017 27 agosto 2018)

KATIUSCIA CANDEAGO (15 settembre 1993 15 settembre 2018)

Spunta l’alba, arriva il tramonto e poi la notte. Sono passati 365 giorni da quando hai raggiunto Il tuo amato Camillo ma ti sentiamo sempre vicina e presente nei nostri cuori. Con infinito amore, i tuoi figli

Cara Kati, sarò retorica, ma sono ancora io, la tua mamma, non posso dimenticare quel 15 settembre di 25 anni fa, come i tuoi meravigliosi 18 anni. Ti ricordo con infinito amore e nostalgia, per non poter essere al mio fianco terreno, ma un giorno saremo di nuovo assieme. Ciao, la tua mamma

PREVITALI GIUSEPPE (12 ottobre 2012 12 ottobre 2018)

GIOVANNI CEFIS (1 agosto 2011 1 agosto 2018)

Le persone non muoiono mai se le hai nel cuore. Puoi perdere la loro presenza, la loro voce…ma ciò che hai imparato da loro, ciò che ti hanno lasciato, questo non lo perderai mai. La tua famiglia

Il tuo ricordo non si spegne nel tempo, ma rimane con noi ogni giorno. Con affetto, i tuoi cari

VISCONTI GIUSEPPE (30 agosto 2006 30 agosto 2018)

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Il tuo caro ricordo ci accompagna. Sei sempre nei nostri cuori. I tuoi cari

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