La lettera GIUGNO 2020
anno XXIV numero 2
Bollettino della parrocchia prepositurale di san Giovanni Battista in Palazzago e di san Carlo in Burligo
Orari Sante Messe Palazzago
STRADA E COMPAGNI
Sabato
Attesa, invocazione, domanda: leggo questi sentimenti negli sguardi e nei gesti dei Santi – Rocco, Antonio, Francesco e Sebastiano – ai piedi di Maria con il Bambino. E mentre questi stanno al loro posto - che è quello della loro chiamata, cioè il posto giusto - è proprio lui, il Bambino, a non voler stare al suo. Con mani e piedi si protende oltre l’abbraccio della Madre verso la terra, quella che si intravede oltre il drappo con gli Angeli ma, soprattutto, quella abitata dall’uomo di cui condivide il farsi carne. Quella in cui non esiste una strada felice se non la si percorre senza compagni di viaggio. Rocco, Antonio, Francesco, Sebastiano e madri e padri, e figli e figlie, e fratelli e sorelle… tutti in sua compagnia.
ore 17.00 Beita ore 19.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica
ore 08.00 Chiesa Parrocchiale ore 10.30 Chiesa Parrocchiale ore 18.00 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00
Cappella Brocchione Precornelli Montebello Cimitero Ca’ Rosso
Orari Sante Messe Burligo Sabato
ore 18.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica
ore 09.00 Collepedrino ore 10.30 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00
Chiesa Parrocchiale Acqua Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale
Giovanbattista Cesareni: Madonna con Bambino e Santi, 1692 Chiesa San Rocco in Acqua, Burligo.
Recapiti Don Giuseppe Don Roberto Don Giampaolo Don Paolo
035.550336-347.1133405 035.540059-348.3824454 338.1107970 035.550081
www.oratoriopalazzago.it parrocchia@oratoriopalazzago.it segreteria@oratoriopalazzago.it palazzago@diocesibg.it
Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 19) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,... La Lettera
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settembre ‘15
[Editoriale]
I bravi signori e la speranza
Un signore di Scandicci buttava le castagne e mangiava i ricci. Un suo amico di Lastra a Signa buttava i pinoli e mangiava la pigna. Un suo cugino di Prato mangiava la carta stagnola e buttava il cioccolato. Tanta gente non lo sa e dunque non se ne cruccia: la vita la butta via e mangia soltanto la buccia. Può sembrare strano introdurre la Lettera con questa poesia di Gianni Rodari (siamo nel centenario della nascita), a maggior ragione pensando ai mesi che hanno visto il mondo intero, e in particolare la Lombardia, fare i conti e pagare a caro prezzo la pandemia da Covid-19. Eppure mi pare che questo tempo abbia potuto aprirci gli occhi su ciò che più conta nella vita. Ciò che leggiamo nella poesia sembra contro ogni logica. Come poter buttare via castagne, pinoli, cioccolato e mangiare invece ricci, pigna e carta stagnola? Basta fare memoria della lezione che questa pandemia ci ha forzatamente obbligato a guardare: la nostra vita e la vita di uomini e donne con le quali condividiamo l’essere persone. Abbiamo sentito più volte ripetere e noi stessi l’abbiamo sicuramente detto che la vita è la cosa più importante. Ma, appunto quale vita? Quella di chi vive il tempo come una corsa continua, lasciando indietro le persone, sacrificando gli affetti, banalizzando la parola, esiliando la tenerezza, sfrattando Dio? A volte ho la sensazione che noi tutti siamo come i criceti sulla ruota della loro gabbietta. Siamo stati obbligati a fermarci. Chissà che questo ci aiuti a non mangiare soltanto la buccia, ma a gustare la vita, con persone, affetti, parola, tenerezza, Dio. E speranza. Sempre Gianni Rodari scriveva:
Se io avessi una botteguccia fatta di una sola stanza vorrei mettermi a vendere sai cosa? La speranza. “Speranza a buon mercato!” Per un soldo ne darei ad un solo cliente quanto basta per sei. E alla povera gente che non ha da campare darei tutta la mia speranza senza fargliela pagare.
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Questo virus non ci sta uccidendo, ci sta insegnando che non dobbiamo lasciarci soli, che se togli il tocco resta lo sguardo che se togli l’approccio resta il pensiero, che non c’è matematica al mondo che possa vivere di sola sottrazione, per quanto la vita a volte usi espressioni difficili noi, possiamo sommare meraviglia e moltiplicarla per chi continuamente divide finirà presto, come finiscono tutte le cose senza cuore come fanno i tornadi le onde arrabbiate dei mari giganti i terremoti, le tempeste, vengono devastano e se ne vanno, e non c’è da inaridirsi né da annaffiarci di collera spietata, è la loro natura, venire distruggere e andare è la loro natura, la nostra natura invece è quella di restare e a chi resta resta il compito di costruire e come abbiamo costruito un’Arca per salvare la vita ai tempi delle immense piogge oggi siamo chiamati a difendere le nostre piogge interiori a non lasciarci affogare dall’indifferenza dall’odio, il razzismo, la paura a costruire la nostra Arca dentro per mettere in salvo la generosità, l’accoglienza, il senso di pace, il servizio, l’umiltà questo virus non ci sta uccidendo, ci sta ricordando che siamo fragili che non dobbiamo dare per scontato questo corpo che non si scherza con la terra che non si prende in giro il cielo e che c’è sempre un’occasione per restare amorevoli non posso toccarti, dicono, ma senti, senti come ti abbracciano forte i miei occhi. (Gio Evan) La Lettera
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[Sottotitolo sottotitolo]
Diario di viaggio In queste pagine ripercorriamo i mesi tristemente segnati dalla pandemia, con alcuni momenti di grande spessore. Sono pagine intense di scritti. Leggeremo la riflessione di Papa Francesco nella piazza San Pietro deserta; una suggestiva lettura di un’opera di Rodin fatta dal Card. José Tolentino de Mendonça al termine del libro Il potere della speranza; la prima lettera mandata dal Vescovo Francesco alla terra di Bergamo; la lettera che i sacerdoti della Fraternità Mapello-Ponte hanno scritto a lui; l’affondo sul farsi prossimo della Chiesa in questo tempo. E poi immagini di ciò che abbiamo vissuto a …distanza, tra noi. «Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca... ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme. È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, nella
parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40). Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato,
salva i suoi discepoli sfiduciati. La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare
con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’imLa Lettera giugno ‘20
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munità necessaria per far fronte all’avversità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli. «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”. «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimLa Lettera
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postare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze
dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le
nostre armi vincenti. «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai. Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spe-
gniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza. Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza. «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).
HO VISTO UN UOMO Ho visto un Uomo vestito di bianco e stanco sotto la pioggia battente e il vento freddo salire lento verso l’altare carico di dolore di sofferenza ma anche di speranza. Ho visto un Uomo anziano zoppicante fare le tante scale con sulle sue spalle tutto il dolore del mondo. Ho visto un Uomo concentrato nel suo silenzio fremente nella sua preghiera chiedere il perdono di tutti i peccati degli uomini e la loro Salvezza. Ho visto un Uomo, uomo fra gli uomini, innalzarsi su tutti e pregare per tutti. Ho visto un Uomo dire “nessuno si salva da solo” perché non siamo soli se crediamo in Dio e nella sua Salvezza. Ho visto un Uomo che, con tutti gli altri uomini del mondo, si salverà perché ha creduto e crederà per sempre. La Lettera giugno ‘20
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Le mani sostengono l’anima
[di Josè Tolentino Mendonça]
Una delle sculture più note di Rodin sembra, a un primo sguardo, di una semplicità impressionante. Si tratta di una composizione in pietra che consiste in un paio di mani Sono, in verità due mani destre, di due individui differen-
dell’opera — quando ci viene annunciato il titolo. In un primo momento Rodin pensò di chiamarla L’arca dell’alleanza, ma poi optò per La cattedrale. La scultura di Rodin può venirci in aiuto nel nostro bisogno di una risposta. Una cattedrale non è solamente un territorio sacro esteriore al quale i nostri piedi ci conducono. Non è: soltanto un tempio situato in un determinato spazio. E neppure solo un rifugio sicuro segnalato dalle mappe. Una cattedrale è realizzata anche dalle nostre mani aperte, disponibili e supplicanti, ovunque noi ci troviamo. Perché dove c’è un essere umano, ferito di finitudine e di infinito, Iì si trova l’asse di una cattedrale. Dove possiamo realizzare quell’esperienza vitale di ricerca e di ascolto per la quale la risposta non è l’immanenza. Dove le nostre mani possano levarsi in alto: in desiderio, urgenza e sete. Questo sarà sempre uno degli assi della cattedrale. L’altro è disegnato dal mistero di Dio, che si avvicina a noi e ci stringe, anche quando non lo avvertiamo subito, anche quando il silenzio, un silenzio duro e denso, sembra la verità più tangibile. Fu Pascal a scrivere che <<le mani sostengono l’anima>>. Oggi abbiamo bisogno di mani — mani religiose e laiche — che sostengano l’anima del mondo. E che mostrino che la riscoperta del potere della speranza è la prima preghiera globale del XXI secolo.
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ti, i cui avambracci s’incrociano e allungano perché le dita, nel punto più alto, si tocchino disegnando come un arco. Un’idea apparentemente elementare, dunque. Ma la poesia esplode — e ci consegna in tal modo a una visione altra
[Lettera del Vescovo Francesco]
la situazione sanitaria, i provvedimenti delle autorità, le scelte pastorali fino ad ora compiute, mi inducono a condividere con voi alcune considerazioni. La vita delle nostre comunità cristiane è normalmente intensa, significativa, capace di coinvolgere e raggiungere molte persone e molte famiglie. Proprio l’abitudine a questa vitalità, come avviene per altri beni preziosi, ci induce a sottovalutarla, a volte a criticarla, comunque a considerarla ancora una parte scontata dell’orizzonte delle nostre esistenze. In certi momenti, addirittura, ci sembra che la vita della comunità cristiana, le sue iniziative e proposte, appartengano ad un mondo di diritti da rivendicare, più che frutto di un dono e di un impegno condiviso da ciascuno. Ora che le circostanze e l’esercizio della responsabilità, ci costringono a scelte che limitano la vita comunitaria, avvertiamo non solo una mancanza, uno smarrimento, per alcuni una comodità che vien meno, ma anche la moltiplicazione di interrogativi che rivelano le attese e le immagini che ciascuno di noi coltiva in relazione alla Chiesa e particolarmente a quella particolare comunità che è la Parrocchia. Queste domande diventano a loro volta come una porta su altre, più profonde, che investono la
Cari fratelli sacerdoti. Care sorelle e fratelli tutti,
fede, il modo di vivere da cristiani, di ascoltare il Vangelo, di celebrare i sacramenti e di testimoniare la carità tra noi e verso il prossimo. Queste riflessioni, che dovrebbero provocarci più frequentemente, sono alimentate, in questi giorni, da una decisione molto impegnativa: quella di celebrare l’Eucaristia senza la partecipazione dell’assemblea. Si tratta di una decisione sofferta, alla luce delle recenti disposizioni delle autorità governative, che suscita una molteplicità di sentimenti e, in alcuni casi, anche di risentimenti. Nessuno conserva memoria di tempi e situazioni in cui si sia verificata una cosa del genere. Non basta ricordare che in molte parti del mondo la celebrazione dell’Eucaristia è occasione rara e spesso richiede sacrifici non indifferenti
per poterla celebrare e potervi partecipare; non basta riconoscere che anche nella nostra Diocesi crescono le parrocchie nelle quali non si celebra l’Eucaristia ogni giorno; non basta ammettere che per molti battezzati l’Eucaristia è diventata un optional e che per anziani e malati spesso è solo un desiderio. Le obiezioni più frequenti che sto raccogliendo, partono da constatazioni molto pratiche, per arrivare a quelle più profonde. A noi, si dice, non mancano i preti: se i preti celebrano l’Eucaristia, perché i fedeli non possono parteciparvi, pur a determinate condizioni? Perché alcune attività commerciali sono consentite e aperte al pubblico e il raccogliersi insieme in chiesa no? Perché un tempo, in caso di calamità e malattie, ci raduLa Lettera giugno ‘20
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nava in chiesa e ora ci si deve allontanare? Queste domande si accompagnano ad altre, che hanno a che fare con la fede. Se l’Eucaristia è così determinante per la vita cristiana, al punto che quella domenicale è un precetto grave, perché proprio i vescovi, custodi della fede, ne privano i fedeli? Come corrispondere al desiderio e al bisogno del pane eucaristico e del ritrovarsi insieme da cristiani nell’Eucaristia? Che significato ha che i preti celebrino l’Eucaristia da soli? Riporto alcuni passaggi di lettere ricevute. “Se in questi momenti così difficili veniamo privati della possibilità di ricevere l’Eucarestia, da chi attin-
geremo la forza? Chi ci darà il coraggio di portare la speranza nei cuori di chi è più spaventato? Chi ci darà la Grazia di rimanere saldi e fiduciosi anche La Lettera
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in mezzo alla tempesta? Infine mi chiedo anche chi ci aiuterà a mantenere la consapevolezza dell’appartenenza alla Comunità Cristiana, se non possiamo ritrovarci…?” Spero che tutti voi possiate immaginare che il vescovo e i sacerdoti non solo comprendono queste domande, ma le sentono salire anche nel loro cuore. Insieme coltiviamo la convinzione della necessità della preghiera e particolarmente dell’Eucaristia nei momenti della prova e del dolore. Quanti racconti e testimonianze hanno alimentato questi convincimenti. Ho avuto il dono di incontrare a tu per tu il cardinale Van Thuan e di commuovermi nell’ascoltare come riusciva a celebrare l’Eucaristia nelle prigioni vietnamite. E quanti sacerdoti, penso al nostro don Seghezzi e tanti altri, insieme ai loro fedeli si sono trovati nelle stesse o in simili condizioni. Perché allora una scelta tanto rilevante? L’immagine biblica che mi dà forza in questa circostanza è quella dell’esilio. Questo contagio ci sta, volenti o nolenti, esiliando dalla terra della nostra vita quotidiana, dalle nostre reali, presunte e presuntuose sicurezze, dalle nostre buone e forse meno buone abitudini. Il popolo di Dio, esiliato, perde tutto: gli rimane
la fede, la preghiera e la dedicazione della propria vita agli altri, come espressione concreta della propria dedicazione a Dio. La prova, così si rivela il morbo dilagante, è il luogo del combattimento della fede. Il Signore ci indica nel silenzio e nell’ascolto della sua Parola, nella pazienza e perseveranza e nella preghiera e della carità vicendevole, le armi del nostro combattimento spirituale. Sono queste che vogliamo indossare anche noi. Sappiate, fratelli e sorelle, che ogni giorno i sacerdoti stanno celebrando l’Eucaristia per voi, anche se non con voi: essi raccolgono quel “servizio sacerdotale” che è rappresentato dalla vita generosa di ciascuno e che, nell’Eucaristia, diventa un dono gradito a Dio. Sappiate che le vostre famiglie possono essere santuario della presenza di Dio, per l’amore che vi portate, per il sacramento del matrimonio che unisce tanti di voi, per la preghiera che potete condividere. Sappiate che le nostre chiese in questo momento rimangono aperte e sono accessibili per la preghiera personale in tante forme diverse. Sappiate, che la possibilità di accostare personalmente la Parola di Dio, che in Quaresima vorremmo fosse maggiormente praticata, trova in queste circostanze un’occasione favorevole. Sappiate che le tradizionali pratiche quaresimali del digiuno, della preghiera e della generosità verso i poveri sono ancora modalità per alimentare la relazione con il Signore. Sappiate che la preghiera del rosario, così cara alla devozione mariana, continua ad accompagnare i nostri
giorni. Sappiate che le comunità monastiche e religiose, stanno incessantemente pregando per tutti. Vi chiedo, con tutto il cuore, di testimoniare nei modi che le circostanze stanno disegnando, quella carità che è il contrassegno della nostra fede, soprattutto verso i più deboli, gli anziani soli, le famiglie in difficoltà. La sofferenza di non poter partecipare alla celebrazione dell’Eucaristia, che rimane insostituibile, viene consolata dalla convinzione della misericordia di Dio per il popolo e soprattutto i più deboli e dalla più convinta adozione di uno stile eucaristico nella nostra vita. La scelta di concorrere al bene di tutti, soprattutto dei più fragili come i bambini, gli anziani, i malati, attraverso la rinuncia alla celebrazione dell’Eucaristia comunitaria, non è un appiattirsi su logiche materiali o semplicemente corrispondere ad esigenze pubbliche, dimenticando la fede; piuttosto è la decisione di fare della nostra fede la sorgente di una responsabilità morale che insieme a tanti uomini di buona volontà vogliamo esercitare perché la speranza di superare questa prova, si incarni in condizioni che la rendano credibile. Cari sacerdoti, desidero rivolgermi a voi, in modo particolare, sapendo la vostra vicinanza e dedizione alle Comunità
che vi sono affidate: sappiate dell’affetto, della considerazione e della riconoscenza per ciò che state facendo e condividendo con le persone che il Signore consegna al vostro servizio e alla vostra guida. I limiti imposti dalle circostanze, non si impongono al vostro cuore e alla vostra fede. Gli spazi di tempo, che l’impossibilità di alcune delle opere del vostro ministero vi concedono siano maggiormente dedicate alla preghiera, all’ascolto della Parola e alla più pacata preparazione delle omelie, meditazioni, riflessioni che vi attendono e vi attenderanno. Il fatto che non possiate raggiungere con facilità i vostri parrocchiani, so che non li allontana dal vostro cuore e dalla vostra premura. Anche tra voi, esprimete quella fraternità, che in questi anni stiamo cercando di riproporci in maniera più convinta e concreta. E’ proprio il caso di dire, in questa circostanza: “basta una telefonata”. Mentre vi scrivo le condizioni di salute di alcuni di noi si rivelano delicate o addirittura gravi: sia forte la nostra preghiera per loro. Ringrazio di cuore Sua Eccellenza il Vescovo Siluan, della Diocesi Ortodossa Romena in Italia che, scrivendomi la sua fraterna vicinanza, l’accompagna con queste significative parole: “La fiducia in Cristo
medico delle anime e dei corpi che andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo (Matteo 4,23), oggi come allora, venga in soccorso delle popolazioni colpite da questo morbo infausto e doni a tutti la gioia della rinascita e della vittoria. A quanti ne sono stati colpiti irrimediabilmente doni la gioia del paradiso, meta pasquale verso la quale tutti camminiamo e a coloro che soffrono della umana perdita la consolazione che in Cristo vivo e presente nella Chiesa nulla è perduto e, con sant’Agostino, vescovo d’Ippona, testimoniamo questa nostra speranza: non si perdono mai coloro che amiamo, perché possiamo amarli in Colui che non si può perdere. Ringrazio di cuore tutti voi per la vostra fede, per la preghiera, per la generosità; esprimo tutta la mia considerazione e riconoscenza agli operatori sanitari e alle autorità preposte al bene comune. Interceda per noi la Madre di Dio, Salute degli infermi, la Vergine addolorata, così cara alla nostra devozione. “Salva il tuo popolo Signore, guida e proteggi i tuoi figli”. Il vostro vescovo, Francesco Bergamo, 7 marzo 2020 La Lettera giugno ‘20
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Caro Vescovo, Carissimo don Francesco, in questi giorni facciamo esperienza della fragilità dell’uomo. Eppure la situazione ci fa toccare con mano, con il tocco grazioso dello Spirito, quanto sia bella la Comunità e quanto sia profonda la comunione che ci lega. E allora permetti
di rivolgerci a te ricordando il tuo essere con noi e per noi prete. Si rinnovi per tutti noi la consapevolezza della bellezza e della grazia della vocazione, per la quale in tutto abbiamo ricevuto: dal Signore, dalle nostre Comunità di appartenenza e dai nostri preti. Vorremmo esprimerti un grazie per il prendere la parola e l’interessarti di noi e dei nostri parrocchiani: per il manifestarci il nostro starti a cuore e l’averci fatto intuire che questa forma diversa di vicinanza è ciò che la missione del Signore in questo momento ti chiede e ci chiede. Siamo in sintonia. E ci sentiamo uniti anche a tutta la comunità civile che, sopratLa Lettera
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tutto attraverso il personale medico e sanitario e poi attraverso le decisioni politiche, economiche e di ogni altro genere è intenta a combattere la diffusione dell’epidemia. Non siamo stati risparmiati, noi preti. Ci uniamo a te nella preghiera di suffragio e di affidamento al Padre, seguendo l’esempio di Gesù che percorre il santo cammino verso la Pasqua. Nello stesso tempo sentiamo che sono anche quelle pratiche e concrete: abitudini, gesti, profilassi, … quelle cose che ora è importante rispettare e custodire, come segno di condivisione, di solidarietà e di amore verso tutti. Il Vangelo si esprime in forme altissime nella Celebrazione Eucaristica e nella comunione ecclesiale e tuttavia, reso vivo dal fuoco dello Spirito, sa sempre trovare le strade per raggiungere il cuore degli uomini e per chiamare i discepoli alla sequela e alla missione. Grazie anche di averci incoraggiati a dare man forte alla fantasia dello Spirito per escogitare stratagemmi e soluzioni per raggiungere i fedeli delle
[Lettera al Vescovo Francesco]
nostre Comunità in modi nuovi e creativi. Ce la metteremo tutta. Infine anche a noi sta a cuore il nostro Vescovo, come a figli il loro padre. Sappi che ti assicuriamo ogni giorno una vicinanza speciale: attraverso la preghiera, attraverso un pensiero durante le faccende della giornata, attraverso le devozioni buone e genuine che animano le nostre parrocchie e che sanno affidarsi ai nostri santi e alle nostre tradizioni di pietà quotidiana, spesso discrete ma tenaci come la brace sotto la cenere. Ci impegniamo a fare arrivare a tutti coloro che ci è possibile raggiungere le tue parole di vicinanza e di sprone. Coraggio don Francesco, Vescovo, anche a lei! Affidiamo insieme al Signore il cammino della nostra Speranza e della nostra Fede e chiediamo volentieri anche l’intercessione di Maria, immagine grandissima e purissima di maternità e di pietà. 12 marzo 2020 I sacerdoti della Fraternità Mapello-Ponte San Pietro
Titolo Titolo Titolo
Beretta Galdino, Burini Mario, Carrara Gianpaolo, Carrara Pierluigi, Carrara Vittorio, Comi Carlo, De Ciantis Gianluca, Facchinetti Giulivo, Favero Roberto, Gattoni Luca, Grazioli Maurizio, Lazzarini Carlo, Mazzoleni Dario, Mazzoleni Paolo, Mercante Marco, Mignani Giuseppe, Milesi Marco, Nava Alessandro, Nava Ubaldo, Navoni Giuseppe, Paravicini Bagliani Filippo, Perini Matteo, Personeni Emanuele, Plebani Roberto, Polini Fabrizio, Rigamonti Fabrizio, Rota Giordano, Scozzesi Marco, Tassetti Augusto, Testa Andrea, Tironi Giampaolo, Tironi Giorgio, Ubbiali Giacomo, Zinetti Renè La Lettera giugno â&#x20AC;&#x2DC;20
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Operazione Titolo Titolo Titolo trasparenza e chiarezza
Come la Chiesa sta aiutando famiglie, ospedali, persone in difficoltà in questo periodo segnato dall’emergenza coronavirus? Sta facendo poco o tanto? Facciamo chiarezza, lasciando parlare i numeri dei contributi stanziati per l’Italia, tra i Paesi al mondo più segnati dalla pandemia, per arrivare fino a noi, a Bergamo. E’ vero che non dobbiamo dimenticare il passo evangelico:” Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra…” (Mt 6,3) ma la conoscenza dei dati può aiutare coloro che, per partito preso o per ignoranza, sparano a zero sulla Chiesa “che non fa niente” e alla quale “bisognerebbe togliere l’8permille e ci da’ elementi per non dare per oro colato fake news che ci sono da molto prima che si usasse questa espressione… Il fondo che parte da 750mila dollari Papa Francesco ha istituito un Fondo di emergenza presso le Pontificie Opere Missionarie, al fine di aiutare le persone e La Lettera
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le comunità che sono state tragicamente colpite dalla diffusione di COVID- 19. Il Fondo di emergenza sarà utilizzato per accompagnare le comunità colpite nei paesi di missione attraverso le strutture e le istituzioni della Chiesa. Il Santo Padre ha destinato la somma di 750.000 di dollari USA (690mila euro) come contributo iniziale per il Fondo e ha chiesto a quelle realtà della Chiesa, che sono nella possibilità e lo desiderano, di contribuire a questo fondo attraverso le Pontificie Opere Missionarie di ogni Paese.
il diffondersi del contagio da (COVID-19) su tutto il territorio italiano. 30 respiratori all’Elemosineria Apostolica Giovedì 26 marzo il Papa ha affidato 30 respiratori all’Elemosineria Apostolica perché questa ne possa fare dono ad alcune strutture ospedaliere nelle zone più colpite dalla pandemia. I respiratori sono stati mandati agli ospedali dove ce n’è più bisogno, in particolare in Italia e in Spagna, Paesi in maggiore sofferenza.
100mila euro del Papa alla Caritas Italiana Per l’Italia, in particolare, Papa Francesco, tramite il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, lo scorso
60mila euro all’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo All’inizio di aprile inoltre Francesco ha donato 60mila euro all’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo come segno della sua premura e della sua carità.
18 marzo ha donato 100mila euro a Caritas Italiana per un primo significativo soccorso in questa fase di emergenza per
E nei giorni successivi, sempre tramite l’Elemosineria Apostolica, è iniziato la distribuzione di ventilatori e kit sanita-
ri negli ospedali e Rsa di tutta Italia: da Locri a Napoli, da Perugia a Genova. La Cei: 10 milioni per le persone in difficoltà Veniamo alla Chiesa Italiana, con i contributi diretti previsti dalla Conferenza Episcopale Italiana. Per sostenere le 220 Caritas diocesane, sparse sul territorio nazionale, nella loro azione di supporto alle persone in difficoltà, la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ha stanziato 10 milioni di euro provenienti da donazioni e dall’otto per mille. Priorità al sostegno economico delle famiglie già in situazioni di disagio (ad esempio tramite il pagamento di bollette), all’acquisto di viveri, prodotti per l’igiene, farmaci, ad attività di ascolto degli anziani soli e delle persone fragili e al mantenimento di mense e dormitori protetti che hanno dovuto adeguarsi alle nuove disposizioni. È stato previsto il servizio da asporto e sono state reperite
altre strutture in cui gli ospiti potessero dormire a distanza di sicurezza gli uni dagli altri.
500mila euro al Banco Alimentare Accogliendo una richiesta di sostegno della Fondazione Banco Alimentare Onlus, ha destinato 500mila euro, sempre dai fondi otto per mille, in favore delle attività di una rete che comprende 21 Banchi in tutta Italia. 6 milioni di euro per le strutture sanitarie In risposta ad alcune delle tante situazioni di necessità, inoltre, la Presidenza della Cei ha stanziato 6 milioni di euro, provenienti dall’otto per mille, per potenziare le strutture sanitarie. I tre milioni del 24 marzo sono andati – su suggerimento della Commissione episcopale per la Carità e la Salute – a favore della Piccola Casa della Divina Provvidenza – Cottolengo di Torino, dell’Azienda ospedaliera “Cardinale Giovanni Panico” di Tricase, dell’Associazione Oasi Maria Santissima di Troina e, soprattutto, dell‘Istituto Ospedaliero Poliambulanza di Brescia, che – in meno di un mese – ha mutato radicalmente l’organizzazione dell’Ospedale. Si tratta di 435 posti letto, di cui 68 di terapia intensiva e 70 di osservazione breve intensiva in Pronto Soccorso. Prima dell’emergenza i posti letto di terapia intensiva erano 16. I tre milioni del 30 marzo hanno raggiunto la Fondazione Policlinico Gemelli, l’Ospedale Villa Salus di Mestre, l’Ospedale Generale Regionale Miulli di Acquaviva delle Fonti (Ba). Altri 2,4 milioni sempre per cliniche e ospedali
In un nuovo contributo del 20 aprile, altri 2,4 milioni di euro sono stati destinati al supporto della Fondazione Papa Paolo VI di Pescara, dove l’arcidiocesi ha aperte tre case di riposo, per un totale di 150 posti, un centro per malati quasi terminali con 50 posti e un centro residenziale con 30 posti per diversamente abili; della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (Foggia), la cui “area Covid” annovera 123 posti letto e 18 posti letto di terapia intensiva estensibili in caso di necessità; della Provincia Lombardo-Veneta Fatebenefratelli, che ha visto tutte le strutture dell’Ordine Ospedaliero adoperarsi per riorganizzare i reparti e aumentare i posti letto a disposizione dei pazienti Covid-19, oltre che per proteggere e tutelare tutti gli altri ospiti dal rischio del contagio; dell’Istituto Figlie di San Camillo, nelle cui strutture sanitarie Covid-19 La Lettera giugno ‘20
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(a Roma, Treviso, Trento, Cremona e Brescia), con 321 posti letto a disposizione, sono operative 89 suore e circa 2 mila dipendenti laici; della Provincia Religiosa Madre della Divina Provvidenza, duramente colpita dall’emergenza, particolarmente nella popolazione fragile delle residenze sanitarie per anziani e per disabili. 6 milioni dall’Italia all’Africa La Cei, inoltre, ha destinato altri 6 milioni di euro per aiutare i Paesi africani e altri Paesi poveri nell’attuale situazione di crisi mondiale (di cui 5 per gli ospedali e uno per la formazione del personale). In tutto, quindi, dalla Chiesa italiana, compresi i contributi del Papa, sono stati stanziati 22milioni
660mila euro a favore dell’emergenza coronavirus. La solidarietà della Chiesa si è poi espressa attraverso le La Lettera
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opere di moltissime diocesi e parrocchie che hanno messo a disposizione strutture per la Protezione Civile, i medici e le persone in quarantena, ma anche risorse economiche e umane per far fronte alle diverse necessità. A Bergamo Nella nostra diocesi di Bergamo, la più colpita dalla pandemia, con decine i religiosi morti tra le 5mila vittime, il vescovo ha chiesto a tutti i sacerdoti di rinunciare a tre mensilità del loro “stipendio”, per metterle a disposizione dei bisognosi. Questa somma va direttamente nel progetto “Ricominciamo Insieme – Sostegno alle generazioni nella famiglia”. Il fondo conta su una somma assegnata di 5 milioni di euro: un milione ciascuno tra Diocesi di Bergamo, Caritas Diocesana Bergamasca, Associazione Diakonia Onlus, Conferenza Episcopale Italiana, contributi e offerte di enti e persone fisiche, raddoppiato da un Istituto Bancario. «Fondo Famiglia in emergenza Covid-19» contribuisce a farsi carico delle principali voci che gravano sul bilancio fami-
liare, dall’affitto della casa e delle spese ad essa collegate (mutuo, energia elettrica, gas, acqua, alimentazione….), alla scuola (retta, mensa, libri, sussidi vari, supporto per sostegno psicologico o sostegno di recupero scolastico), al lavoro (credito a sostegno della ripresa delle piccole-medie attività artigianali, commerciali, servizi di assistenza e cura di anziani, malati, persone sole, disabili, badanti, colf), agli anziani accuditi in casa (garantire che non manchi, là dove necessario, la presenza di personale che assista e curi la vita ordinaria dell’anziano), agli anziani ospiti in Rsa (intervento «una tantum» per gli enti gestori delle Rsa a garanzia degli operatori socio-sanitari perché non perdano il posto di lavoro), fino alle attività estive (opportunità a tutti i ragazzi e adolescenti – di famiglie in difficoltà economica – di prendere parte alle attività estive proposte dalle parrocchie in supporto alle famiglie). Inoltre, già dai primi giorni difficili, la Diocesi di Bergamo, con il sostegno operativo della Fondazione Angelo Custode, ha offerto un servizio telefonico di ascolto e sostegno psicologico e spirituale attraverso “il cuore che ascolta” di uomini e donne, con cammini di vita e competenze diverse.
Uno sguardo... oltre Attendendo a lungo la riapertura delle celebrazioni con il popolo, mi ero promesso di preparare qualcosa di bello e significativo per quel momento. Il giorno tanto atteso è arrivato il 18 maggio. Ecco allora che Domenica 17, la sera prima, abbiamo lanciato il video Uno sguardo…oltre (chi ancora non l’ha visionato lo può trovare sul sito). L’introduzione ne dice il senso, lasciando poi spazio alle spettacolari riprese e al canto. In questi mesi, forse, abbiamo guardato tanto: il cellulare, la tv, i giornali… e forse abbiamo occhi pieni di immagini, volti, storie… con tanta sofferenza, con lacerazioni e ferite profonde, ma anche con tanta cura, solidarietà e vicinanza. In questi mesi, forse, abbiamo avuto anche tempo per guardarci: tra noi, nelle nostre case, ma anche dentro di noi e trovare quella incredibile forza che ci aiuta ad andare avanti. Molti hanno nutrito lo sguardo e il cuore anche con un tempo di riflessione e di silenzio, di preghiera e di domande. Nel nostro piccolo, continuando ciò che avevamo iniziato ormai da tre anni, abbiamo garantito le dirette per le messe e altri momenti serali, con il desiderio di sentirci uniti, nonostante e dentro tutto. Ora vi affido un altro sguardo: dall’alto. Quelle chiese in cui siamo entrati per le celebrazioni, quelle vie nelle quali abbiamo portato l’Addolorata con il Cristo morto, quelle case che si sono accese ad una presenza, le vediamo ora da un’altra prospettiva. E, mentre ci allontaniamo dall’ombra di morte nella quale la nostra terra è stata avvolta, vorrebbe essere questo l’augurio per ciò che ci sta davanti. Sì, uno sguardo d’insieme, nel quale la terra e il cielo si incontrano, per non dimenticare lo sguardo del Signore che ci aiuta ad attraversare il tempo della prova. Anche le parole del canto che accompagnano queste immagini lo dicono: “Oltre la notte, ho imparato che ci sei… Il tuo silenzio parla, mi racconta Te. A tutti grazie, a tutti Auguri, raccontandoci la vita. Grazie a Fabio e Luca per le riprese, ad Oscar, Daniel e Lorenzo per il video, a Riccardo e Giorgio per il canto.
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Titolo Titolo Titolo Dic nobis Maria, quid vidisti in via? “Raccontaci Maria, che hai visto sulla via?” E’ la domanda della sequenza pasquale rivolta a Maria. Quale? Maria di Magdala, l’icona che guida il cammino della nostra chiesa di Bergamo in questo anno pastorale: “Una voce che invia”. E’ la voce della Maddalena agli apostoli, ma è la voce stessa del Risorto. Lei, donna, diviene la prima discepola per i discepoli. Ma questa domanda mi ritornava nella mente nel “Passaggio” dell’Addolorata e del Cristo morto venerdì sera… E allora ho provato a chiedere a Maria, la Madonna: “Raccontaci Maria, che hai visto sulla via?” Ho visto tutte le vostre case, da Burligo a Collepedrino e poi giù, per le vie di Palazzago, nelle frazioni di Precornelli e Borghetto, Brocchione e Carosso, Montebello e Salvano, Beita e Gromlongo. E in queste vie ho visto tante case accese, anche, lumini, a dire di un’attesa e di una presenza. Case in cui questo tempo di chiusura forzata ha permesso di riscoprire legami, aiuto reciproco, attenzione e delicatezze…Case in cui gli obblighi di questo tempo han fatto riaffiorare antichi rancori, ferite mai rimarginate, ripicche e incapacità ad accettarsi per ciò che si è e ripartire. Case con persone sole che aspettano una voce, uno squillo, una preLa Lettera
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senza… Case in cui si dice “A posto noi, a posto tutti” e case in cui ci si dedica anche all’aiuto, al volontariato, al sociale, alla cosa pubblica… Raccontaci Maria, che hai visto sulla via? Ho visto famiglie preoccupate per i figli, per il lavoro, per il mutuo di casa… Famiglie in cui alcune persone non ci sono più perché una malattia e la morte le ha strappate e il vuoto si sente… Famiglie in cui qualcuno non c’è più perché altrove, a cercare realizzazione e libertà senza legami e responsabilità. Famiglie in cui Dio è di casa e altre in cui è stato sfrattato. Raccontaci Maria, che hai visto sulla via? Ho visto coppie che attendono con trepidazione e gioia la nascita di un figlio; coppie che allattano il loro bambino e coppie che lo attendono da troppo tempo e non arriva… Ho visto giovani innamorati che fanno fatica a non vedersi in queste settimane e giovani che si stanno bruciando, per cui in questo tempo il grande problema è come fornirsi di roba. Adolescenti e giovani che si stanno chiedendo cosa fare da grande e cosa fare di grande…e passo passo costruiscono il loro domani. Ho visto giovani che sanno custodire l’amore, che non lo baratta-
no solo con un po’ di piacere o stordimento. Raccontaci Maria, che hai visto sulla via? Ho visto uomini e donne che non danno niente per scontato, che danno spessore ad un gesto, ad un sorriso, ad un bacio. Uomini e donne che sanno andare controcorrente e altri che si adeguano all’ “intanto fan tutti così…” Uomini e donne che faticano a prendere sonno perché pieni di preoccupazioni, perché non riescono a prendere una decisione, perché non vogliono e non possono chiedere aiuto. Uomini e donne che lottano in una malattia perché amano
tenacemente la vita. Uomini e donne che non sanno perdonare perché “è troppo” quel torto e chi lo vorrebbe fare, ma non trova il coraggio o disponibilità dall’altra parte. Ho visto uomini e donne delusi dalla vita, che non sperano più e si sono arresi. Uomini e donne che non sanno dire no all’alcool, al fumo, al gioco. Ma, anche chi non demorde, chi riparte, chi prega. Ho visto chi ha paura del domani, chi progetta il futuro, chi non molla. Ho visto chi è arrabbiato con la vita, con gli altri e con Dio. Ho visto chi non può più andare in chiesa e lo vorrebbe e chi potrebbe e non lo vuole.
Raccontaci Maria, che hai visto sulla via? Ho visto le chiese vuote, così belle e così vuote, illuminate, certo, ma in cui non si sente più un canto, una preghiera, in cui non si accendono più candele… Ho visto case, famiglie, coppie, giovani, uomini e donne… Ho visto alcune lacrime e commozione, sorrisi e speranza. Ho visto tutto questo con occhi di Mamma. E anche ciò che qui non ho detto, l’ho visto. Ho visto tutta questa umanità, e l’ho vista con mio Figlio, il crocefisso risorto. Adesso lasciati salvare da Lui. Buona Pasqua.
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Mi presento
Quando la pandemia da corona virus ha stravolto per buona parte la vita della terra e totalmente quella della nostra di Bergamo, ho pensato che anch’io arrivo da una storia simile. Le cronache dei secoli passati ci consegnano febbri e pesti, colera e spagnola che hanno cambiato il volto delle
[Chiesa San Rocco in Acqua di Burligo]
contrade e dei paesi, lasciando dietro di sé un desolante spettacolo di sofferenza e di morte. Sicuramente, tra le più conosciute, c’è la peste del 1630, chiamata manzoniana*, perché ampiamente descritta nei Promessi Sposi. Gli uomini, ieri come oggi, hanno cercato con tutti i mezzi di scongiurare il contagio, adottando regole e divieti precisi, Certo, non pensavo che in un’epoca in cui l’uomo va da un capo all’altro del mondo in poche ore, ci potesse essere un nemico invisibile più veloce ancora. Ai miei
tempi, in queste situazioni, si invocava con tanta fede la protezione di san Rocco. Questo spiega perché sono sorte molte chiese e cappelle dedicate a questo Santo: dalle più umili e sperdute nelle campagne o nei crocicchi delle strade, alle più importanti con statue e opere d’arte ragguardevoli. Anche qui arrivò il contagio e anche qui arrivò la devozione a San Rocco. Una prima edicola lasciò il posto nel 1481 ad una chiesa più grande, costruita proprio nel centro del nucleo di case antiche, ancor oggi conosciuto come località Acqua, dove l’antica mulattiera che scendeva da Pratomarone continuava per la Selva e la Tisa, fino a Celana o a Caprino Bergamasco. Qui passava anche il sentiero che scendeva a Borghetto, sul cui tracciato c’è ancora una piccola cappel-
*«La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia». Incipit del capitolo XXXI dei Promessi sposi. La Lettera
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la della peste, facendo quindi di questa contrada, un luogo di passaggio. E io, da secoli ormai, sono custode fedele della devozione a San Rocco e ho seguito con attenzione tutti i lavori. Quelli di abbellimento dell’800, come ricordato da una lapide:” In onore di San Rocco potente sopra i contagi, i parrocchiani preservati nel 1855 dall’asiatico morbo che desolò le vicine contrade, adornarono questa cappella e fecero voto di celebrare in perpe-
tuo il giorno a lui sacro. Quelli dell’ultima parte del ‘900 che mi hanno abbellita e anche…ingrandita, costruendomi accanto un grazioso campanile con tre campane che ancora oggi richiamano alla preghiera e alla festa. Sono poi orgogliosa della tela che si ammira sulla parete sinistra, dipinta da Giovanbattista Cesareni nel 1692. Al centro, su un trono casereccio, coperto da un drappo come quello eretto dietro, tra le colonne, a creare uno sfondo importante, è seduta la Madonna con il Bambino; la madre
da una parte e Gesù dall’altra, affidano la corona del rosario ai Santi che sono accanto: San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio di Padova, San Sebastiano e San Rocco. Due angeli sostengono una corona sul capo di Maria, mentre sulla destra, quasi scostando il prezioso drappo, si apre uno scorcio di panorama con verdi colline, abitazioni e piante. In primo piano, l’immancabile cagnolino di San Rocco, con il pane in bocca e, per terra, il bastone. Il Santo vive questo momento di contemplazione ma subito, pellegrino per antonomasia, partirà di nuovo.
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Lâ&#x20AC;&#x2122;angolo della preghiera
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-14 marzo Don Camillo chiese: «Signore, cosa possiamo fare noi? Il crocifisso sorrise: «Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile e il seme fruttificherà. Bisogna salvare il seme: la fede».
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San Rocco «Pochi santi sono stati tanto popolari quanto san Rocco. Dal XV secolo, ogni volta che la peste o qualche altra epidemia si è scatenata sulla cristianità occidentale, è verso di lui che le folle hanno cresciuto le loro suppliche ardenti e angosciate, è a lui che hanno piamente affidato i cari colpiti dal contagio mortale, con la convinzione che la sua potente intercessione riuscisse ad ottenere dal cielo la guarigione che la scienza umana si dimostrava incapace di operare.» (Augustin Fliche, Saint Roch. Vol. 22 de L’Art et les Saints, Ed. Laurens, 1930) Rocco nacque a Montpellier, città della Francia meridionale, nella regione della Linguadoca, verso l’anno 1280. La tradizione narra che il bambino fosse nato con una croce impressa sul petto. Rocco rimase ben presto orfano di entrambi i genitori e con una cospicua eredità che però nel giro di qualche anno, decise di elargire ai poveri. Indossato il tipico vestito del pellegrino si avviò verso Roma: era l’anno 1300 ed il papa Bonifacio VII! poteva celebrare il giubileo al quale accorsero un gran numero di persone provenienti da tutta Europa. Condizioni igieniche non ottimali, calura estiva e diversità razziale, portarono in breve tempo ad una pestilenza e Rocco, memore degli insegnamenti ricevuti dai genitori, iniziò subito il suo apostolato a favore degli ammalati. Successivamente si spostò a Cesena e Rimini e dovunque moltiplicava prodigi e guarigioni. La sua fama di Santo miracoloso si propagava sempre più ed egli per sfuggire alle continue manifestazioni di riconoscenza decise di tornare a Roma. Novara e Pavia furono teatro delle sue mirabili gesta. Mentre si trovava a Piacenza La Lettera
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fu egli stesso colpito dalla peste e fu così che per non dare fastidio si ritirò in un bosco nella periferia della città. Un cane ebbe cura di lui, senonché non lontano dal luogo dove giace-
va Rocco, sorgeva un castello appartenente ad un certo Goliardo, nobile della zona. Questi notò che il cane ogni giorno all’ora di pranzo, azzannava un pezzo di pane e fuggiva. Un giorno un servo di Goliardo segui l’animale e, tornato al castello, tra stupore e incredulità, raccontò tutto al padrone il quale invitò Rocco nella sua dimora. Rocco rifiutò chiedendo solo di potersi costruire una capanna nel bosco così da ripararsi dalle intemperie. In tali condizioni rimase per alcuni mesi finché una notte un angelo, apparso in visione, lo
guarì dalla peste e lo esortò a tornare in Francia. Partito giovane vi ritornava ora sfigurato ed invecchiato al puntò tale da essere scambiato per un Pastore. Arrivato in Francia fu condotto davanti al giudice (lo zio al quale Rocco aveva lasciato l’amministrazione dei suoi beni) il quale non riconoscendolo lo fece consegnare alle guardie perché lo rinchiudessero in carcere. Un giorno, mentre era in preghiera, un angelo lo avvisò che era giunto il momento di ricevere il premio per la sua carità: Rocco pregò allora i suoi secondini affinché gli chiamassero un prete e, mentre parlava, il suo volto si circondò di luce viva. L’accaduto fece subito il giro del paese e molti accorsero al carcere dove si poté constatare la trasformazione avvenuta ed un alone di luce che circondava il corpo di Rocco il quale, ricevuti i sacramenti, si ritirò nuovamente in preghiera. Al mattino seguente le autorità e le guardie andarono per liberarlo ma lo trovarono steso a terra con gli occhi fissi al cielo. La morte del Santo avvenne il 16 agosto dell’anno 1327. Il corpo di Rocco fu sepolto nella chiesa di Montpellier.
Titolo Titolo Titolo [Mt 3,1-17]
In tutti i vangeli, la vita e il ministero di Giovanni Battista vengono premessi al racconto della nascita e della predicazione di Gesù (cfr. anche At 1,22; 10,37); gli evangelisti lo identificano con il «messaggero» annunciato da Malachia (MI 3,23-24; Lc 1,17), come il redivivo Elia che doveva preparare l’avvento del Cristo (Mt 17,10-13; Lc 1,17). Questo personaggio della storia di Israele, eminente fra tutti gli uomini (Mt 11,11), che nel Prologo del Vangelo di Giovanni viene definito il «testimone» per eccellenza dell’avvento del Verbo fra i suoi, ha tale importanza che taluni pensavano addirittura che fosse lui il Messia (Lc 3,15; Gv 1,20).
Giovanni Battista: il profeta nel deserto
E questa possibile confusione tra il testimone della luce e la Luce vera (Gv 1,7.9; 5,35) scaturisce dal fatto che il Battista è ‘figura’ (manifestazione simbolica) di colui che verrà dopo di lui (ma era «prima di lui»: Gv 1,30). Giovanni e Gesù si assomigliano, non tanto perché provenienti da un identico ceppo famigliare, ma perché sono mossi dal medesimo Spirito e sono chiamati a significare il medesimo dono di salvezza. Infatti il miracolo del parto di Giovanni da genitori anziani e da una madre sterile, e il nome del bambino imposto dall’angelo hanno il corrispettivo e il compimento nella nascita dal grembo verginale di Maria e nel Nome di Gesù (<<Salvatore») suggerito da Gabriele. E la stessa cosa vale per il periodo di vita ‘nascosta’, nel deserto per il Battista (Lc 1,80) e a Nazaret per Gesù (Lc 2,52), e poi per la vita ‘pubblica’ dei due, con la coincidenza nel rito del battesimo, con la convergenza nel messaggio predicato (Mt 3,2 e 4,17) e nella straordinaria efficacia della loro parola profetica che attirava le folle (Mt 3,5; 4,23-25). E infine il comune martirio, subìto per la fedeltà alla loro vocazione profetica. Accogliendo Giovanni Battista noi accogliamo dunque colui che ci porta da Gesù, che ce lo ‘fa vedere’, non solo indicandolo con lo sguardo (Gv 1,35-36), ma incarnandolo, in qualche modo,
nella sua vita: se diventiamo discepoli del testimone, egli ci farà accedere all’incontro con il Signore (Gv 1,29-37). Giovanni Battista non è un ostacolo a questo incontro, perché egli sa che non è il Cristo (Gv 1,20), e per questo deve «diminuire», perché il Messia cresca (Gv 3,30), perché venga cioè riconosciuto come Salvatore e venga amato come lo sposo (Gv 3,29). Mettersi dunque alla scuola del Battista è fare il ‘passaggio’ dall’Antico Testamento al Nuovo Testamento, dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, dal deserto alla terra benedetta. E così Giovanni ci consentirà pure di diventare come lui, di essere cioè maestri dello spirito, che sanno portare con verità gli uomini all’incontro personale con il Salvatore. La Lettera giugno ‘20
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Sebaste e la morte di Giovanni Battista
[Don Luca della Giovanna, guida in Terrasanta]
Abbiamo chiesto a don Luca Della Giovanna, nostra guida in Terrasanta, di scrivere alcune righe sulla località di Sebaste che nel pellegrinaggio parrocchiale di febbraio abbiamo visitato come luogo dell’incarcerazione e del martirio di San Giovanni Battista. Le foto sono di quei giorni e riprendono i resti della Basilica a lui dedicata e il piccolo luogo sotterraneo della decapitazione. Si notano all’esterno anche due tombe: sono dell’unica famiglia cristiana che vive lì. Il villaggio palestinese di Sabastiya, prende il nome da Sebaste, la città fondata nel 25 a.C. da Erode il Grande sul sito dell’antica Samaria, capitale del regno israelita del nord. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce spettacolari vestigia, ancora oggi visitabili sull’acropoli, tra cui la torre ellenistica ed i resti romani del tempio dedicato all’imperatore Ottaviano Augusto, il foro, la basilica, il teatro, lo stadio, le mura e la strada colonnata. Già dal primo periodo cristiano Sebaste è diventata mèta di pellegrinaggio per coloro che volevano recarsi sulla tomba di Giovanni Battista. Una chiesa venne infatti costruita sulla tomba nel periodo bizantino (V secolo), ricostruita nel periodo crociato (XII secolo) e trasformata subito dopo in moschea per essere dedicata al profeta Yahia, nome musulmano di San Giovanni Battista. Un’antica tradizione orale colloca presso questo palazzo erodiano il luogo in cui il BatLa Lettera
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tista venne incarcerato dal re (nelle fondamenta adibite a prigione) e decapitato. Tuttavia, dalle testimonianze letterarie del I secolo, abbiamo due versioni complementari rispetto al luogo e al motivo per cui Erode Antipa abbia deciso di “far fuori” Giovanni Battista: la prima è tramandata dai Vangeli Sinottici, in particolare il Vangelo secondo Marco (6,17-29); l’altra è riportata nelle Antichità Giudaiche (Libro XVIII) di Giuseppe Flavio, giudeo di origine e storico del I secolo d.C. Per Giuseppe Flavio, Giovanni fu arrestato e ucciso nella fortezza di Macheronte che si trova sulle alture desertiche ad est del Mar Morto (oggi Giordania). Era un rifugio «simile a un nido d’aquila», dove Erode si ritirava per essere fuori dal mondo e irraggiungibile. Inoltre, Giuseppe Flavio inquadra il suo racconto sul Battista dopo aver parlato della sconfitta militare di Erode contro il re nabateo di Petra: a suo
parere, la sconfitta di Erode era dovuta a una sorta di “punizione divina” per aver fatto uccidere un innocente come Giovanni. È interessante il profilo che traccia l’autore circa la figura del Battista: «Erode infatti aveva ucciso quest’uomo buono che esortava i giudei a una vita corretta, alla pratica della giustizia reciproca, alla pietà verso Dio e così facendo si disponessero al battesimo; a suo modo di vedere questo rappresentava un preliminare necessario se il battesimo doveva rendere graditi a Dio. Essi non dovevano servirsene per guadagnare il perdono di qualsiasi peccato commesso, ma come di una consacrazione del corpo, insinuando che l’anima fosse già purificata da una condotta corretta» (AG XVIII,117). Giuseppe Flavio sembra avere una buona opinione del Battista e ne presenta la missione. Lo descrive come uomo buono; dice che esortava a un rito d’immersione nell’acqua, ma quello che gli interessava di più
era il cambiamento dell’anima, la purificazione dei comportamenti. Tutti coloro che andavano da lui per l’immersione non dovevano illudersi che bastasse un bagno nell’acqua per perdonare i peccati! Il rito esterno – commenta Giuseppe Flavio – doveva corrispondere al cambiamento interno: in questo modo elogiava Giovanni Battista come un saggio. Poi prosegue nella sua descrizione: «Quando altri (cioè le folle) si affollavano intorno a lui perché con i suoi sermoni erano giunti al più alto grado, Erode si allarmò. Una eloquenza che sugli uomini aveva un effetto così grande poteva infatti portare a qualche forma di sedizione, pareva infatti che molti volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero» (AG XVIII,118a). Lo storico ricorda che con i suoi sermoni Giovanni aveva suscitato l’interesse non solo del popolo, ma anche dell’aristocrazia d’Israele e tale entusiasmo popolare era ritenuto pericoloso dal corrotto tetrarca di Galilea. Si tratta di una documentazione storica molto importante che ci dice ancora di più di quello che dicono i Vangeli. Veniamo a sapere infatti che Giovanni aveva intorno a sé un movimento con molti discepoli i quali dipendevano da lui, gli chiedevano opinione su tutto ed erano disposti a fare tutto quello che egli proponeva. Erode ebbe quindi paura che Giovanni fosse un rivoluzionario, con l’intenzione di prendere il potere organizzando una rivolta di popolo contro le autorità costituite. Anche i Vangeli ci raccontano della fama di Giovanni Batti-
sta: molti infatti accorrevano a lui da ogni parte e ricevevano nel fiume Giordano «un battesimo di perdono per il perdono dei peccati» (Mc 1,4). Non ci viene detto però quale sia il luogo esatto della prigionia. Dalla descrizione si potrebbe tranquillamente pensare a un’importante residenza erodiana adibita spesso a lauti banchetti (Gerusalemme, Gerico, Masada, Macheronte, Sebaste… tanto per ricordarne qualcuna). Un dettaglio che potrebbe collegare quella di Sebaste con Giovanni Battista è un’indicazione geografica abbastanza precisa che troviamo nel Quarto Vangelo: «Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua. Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione» (Gv 3,23-24). Dalle antiche mappe sembrerebbe che Salìm si trovasse tra la fine dei monti di Samaria e la valle del Giordano, a ovest del fiume. La fortezza di Sebaste non distava così tanto da questa zona. Non abbiamo però certezza storica capace di affermare che Giovanni fu arrestato e decapitato a Sebaste; tuttavia, non lo si può escludere a priori. Altra questione riguarda invece il motivo del suo martirio, totalmente diverso da quello
fornito da Giuseppe Flavio. Nei Sinottici si dice che la morte del Battista fu dovuta a un “capriccio” della moglie illegittima di Erode Antipa, Erodìade, già moglie di suo fratello Filippo (cfr. Mc 6,18-19). L’attenzione dei commensali non è ispirata dalla sconfitta in guerra contro i nabatei, ma dalla danza della figlia di Erodìade (di cui non si menziona il nome) che rallegrò il loro animo e i loro istinti più perversi. La promessa sproporzionata di Erode nei confronti della giovanissima figliastra lo costrinse ad accontentare la losca vendetta di Erodìade che chiese su un vassoio la testa di colui che, pubblicamente, aveva denunciato il suo adulterio.
In entrambi i casi emerge come Giovanni Battista sia stato una figura significativa non solo a livello religioso ma anche politico. Un uomo “scomodo” innamorato della verità e senza peli sulla lingua. La gente era attratta da lui perché la sua parola era dura ma vera e anche i potenti si sentivano “a disagio” rispetto ai loro complotti e alla loro corruzione. La Lettera giugno ‘20
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Titolosolo Titolo Titolo Titolo Non statue
[Sottotitolo sottotitolo]
Chi entra nella parrocchiale di San Giovanni Battista non può non notare le otto grandi nicchie ricavate nelle pareti dell’edificio e, all’interno, le statue in gesso, collocate successivamente, nella prima metà dell’800. Chi all’epoca ha pensato il progetto iconografico ha voluto dare “pari opportunità” a figure femminili e maschili, care alla tradizione biblica. Ecco allora Mosè e Aronne, Daniele e Davide, Ester e Giaele, Giuditta e la figlia di Iefte. Da questo numero del Bollettino cominciamo a riscoprirle, inviando a ciascuna di esse una lettera. Grazie a Maria R. che, rivisitando alcuni scritti di don Tonino Bello, ce le propone.
La Lettera
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Mosè, profeta di speranza “La pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui”. Es.34,29 Carissimo Mosè singolare e pure un po’ buffa la tua rappresentazione che ti vede dotato di corna, come pure particolare ne è la spiegazione. Un errore di traduzione dall’ebraico al latino, che ha confuso la parola “keren”, che in greco significa corno, con “karan” cioè raggio di luce, ti ha immortalato nei secoli così. E si riferisce a quando sei sceso dal monte Sinai con le tavole della legge, raggiante, trasfigurato da una bellezza, riflesso evidente e abbagliante della luce che hai incontrato. Non vedevi il volto di YHWH, ascoltavi solo una voce; eppure il tuo volto umano portava in sé le tracce di quell’incontro e di quel dialogo. Non sapevi di essere così luminoso, l’hai scoperto quando hai incontrato il tuo popolo. E’ l’incrocio di occhi che ci fa vedere Dio. Della tua storia mi ha messo in discussione più di ogni altra cosa, la tua fine. Non so quale sia stata la tua reazione di fronte all’improvviso decreto di Dio che ti sottraeva, di punto in bianco la gioia di arrivare in vista della meta, sospirata per quarant’anni. Non ti sei ribellato Mosè, anzi hai chiamato a raccolta il popolo, hai intonato un canto di gratitudine a Dio, hai benedetto una a una tutte le tribù di Israele e poi, appoggiandoti al bastone, sei
salito dalle steppe di Moab sulla cima della montagna. Ti ritornò in mente il fuoco del roveto. E nel crepitare di quelle fiamme rileggesti la tua vita: la chiamata di Dio, la
missione di liberare il popolo, la resistenza passiva contro il faraone, il ristagno nei Laghi Amari, l’epopea del mar Rosso, le vertigini del Sinai, i giorni fervidi dell’Alleanza, le fatiche del deserto e i discorsi e i
gesti con cui, per quarant’anni, avevi alimentato nel popolo la speranza della Terra Promessa. Era giunto il momento di un altro esodo. Ma non ti colse lo sconforto. Non ripiegasti negli spazi della delusione, altri avrebbero assaporato. A te bastava averne fatto pregustare la dolcezza e il tuo corpo si adagiò tranquillo sulla terra al di qua della frontiera. Certo, ti ha accompagnato sempre la preghiera che frantuma il recinto dei cuori per aprirli come rami al cielo. Come vento e rugiada, tempesta e quiete, lacrime. Preghiera che è la pasta madre della terra, del mondo e della vita, il lievito della fiducia, la linfa vitale che alimenta la speranza dei fiori e dei frutti e ti ha fatto proseguire giorno dopo giorno nel lungo cammino. Ecco, ti ho scritto Mosè per recuperare nella lettura della tua vita lo stile che deve caratterizzare la nostra speranza. Noi entriamo spesso in crisi di insuccesso, perdiamo entusiasmo perché non sappiamo superare, come te, il punto critico di rottura, da cui o sgorga la speranza o dilaga la disperazione. Grazie quindi Mosè dei tuoi occhi non ancora stanchi e del tuo braccio non ancora pago di additare traguardi. Grazie Mosè, profeta di SPERANZA La Lettera giugno ‘20
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Resoconto Economico Rendite Immobiliari
[A cura dei Consigli Affari Economici]
Rendiconto entrate - Palazzago Totale Interessi depositi bancari
Offerte festive Parrocchia Offerte Celebrazione Sacramenti… Offerte per candele Offerte raccolte straordinarie (buste, missioni... ) Offerte varie (erogazioni libere…) Erogazioni libere deducibili (per Casa) Totale offerte Feste Oratorio (serate, feste patronali, festa di Comunità..) Iniziative estive Oratorio (Cre, Baby Cre,Mare ado, Pellegrinaggio cresimandi)
€ 1.926,90
€ 19.452,63 € 5.355,00 € 4.210,89 € 17.493,43 € 34.727,57 € 22.587,00
€1.926,90 € 11,51
€ 103.826,52
€ 104.390,98 € 58.433,99 € 162.824,97 € 31.647,50 € 2.474,89 € 302.712,29
Totale entrate attività Parrocchiali e Oratoriali Entrate Bar Oratorio Altre entrate TOTALE ENTRATE ANNO CORRENTE
Rendiconto uscite - Palazzago
Manutenzione Ordinaria (giropizza, varie...) Assicurazioni Imposte e tasse Remunerazioni professionali Spese Generali e Amministrative
€ 43.997,45 € 3.830,00 € 7.563,21 € 20.453,08
Interessi passivi su mutuo Uscite Bar Oratorio Attività Parrocchiali e Oratoriali Iniziative estive Oratorio - Festa Comunità / Cre Carità – Missionari Totale Uscite Attivita’ Pastorali Oratoriali Tributi Curia Ristrutturazione Chiesa Beita Acquisto Mobili, Arredi Altre uscite straordinarie TOTALE USCITE ANNO CORRENTE Perdita esercizio corrente (uscite - entrate) Totale a pareggio Mutuo - Debiti Verso Istituti di Credito Debiti verso privati - Deposito Cauzionale
€ 6.036,41 € 15.840,10
€ 40.212,09
(Elettricità, acqua, telefoni, gas, gasolio, rifiuti, cancelleria...)
Guardiamo gli ultimi tre anni: • anno 2017 entrate € 704.598,48 uscite € 788.211,54 • anno 2018 entrate € 313.866,57 uscite € 249.172,48 • anno 2019 entrate € 302.712,29 uscite € 416.335,18
La Lettera
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giugno ‘20
€ 45.460,67 € 79.336.49 € 3.800,00
€ 128.597,16 € 4.338,00 € 122.050,61 € 11.123,47 € 12.293,60 € 416.335,18 € 113.622,89 € 416.335,18 € 361.433,16 € 160.000,00
Balza subito all’occhio l’ingente somma del 2017: non dimentichiamo che era l’anno del completamento e dell’inaugurazione della Casa di Comunità. La situazione è poi andata “normalizzandosi”, ma non dimentichiamo che dobbiamo sostenere il mutuo (€ 361.433,16) in rate trimestrali di circa €14.000,00 fino al 2026, per le quali si giunge
con l’acqua alla gola. Abbiamo ancora aperto il cantiere per la ristrutturazione interna della Chiesa della Beita. Terminato e pagato il primo lotto di € 122.050,61, ora stiamo attendendo di partire per il secondo che comprende il restauro di pareti e volte, la creazione dei luoghi liturgici, gli impianti e le porte. Una buona parte per questa spesa è già disponibile, ma non basta. Sarebbe bello che qualcuno potesse “adottare” parti dell’intervento. Dobbiamo poi concludere i pagamenti per gli ultimi lavori in Oratorio, dove rimane ancora scoperto il secondo lotto per l’abbattimento delle barriere architettoniche verso il teatro. Una voce considerevole del bilancio è data certamente dai depositi cauzionali verso privati (€ 160.000,00) che ringraziamo per il sostegno. Grazie anche ad uno di loro che ha deciso di lasciare alla parrocchia quanto prestato. Le altre voci evidenziano le offerte, ordinarie e straordinarie, per la liturgia, i sacramenti, le buste. Una somma interessante delle entrate è data da tutte le iniziative proposte, dove non sarebbe possibile avere quell’attivo senza la disponibilità e il cuore di tanti volontari. Nel bilancio non compaiono, ma sono loro che fanno la differenza.
Rendiconto entrate - Burligo
Offerte domenicali e feriali Offerte Celebrazione Sacramenti… Offerte per candele Offerte raccolte straordinarie Totale offerte Contributi da Enti Diocesani Attività pastorali e Feste Attività oratoriali Entrate straordinarie TOTALE ENTRATE ANNO CORRENTE
Rendiconto uscite - Burligo
Manutenzioni straordinarie Manutenzioni ordinarie Assicurazioni Imposte e tasse Remunerazioni professionisti Ritenute d’acconto Spese Generali e Amministrative Elettricità, acqua, gas, gasolio, cancelleria Feste Mobili, arredi… Attività pastorali e oratoriali Tributi verso Curia Spese bancarie TOTALE USCITE ANNO CORRENTE Avanzo esercizio corrente (Entrate-Uscite) Situazione economica al 31/12/2019
€ 3.438,70 € 550,00 € 869,02 € 2.305,00 € 7.162,72 € 53,31 € 94.660,00 € 5.656,00 € 1.677,32 € 109. 209,35 € 10.185,12 € 6.505,30 € 2.350,00 € 210,00 € 534,40 € 100,00 € 7.167,85 € 65.685.09 € 3.903,27 € 9.893,82 € 437,00 € 227,84 € 107.199,20 € 2.010,15 € 21.280,44
Allora, grazie. A Burligo e Palazzago. Grazie a tutti: a chi dona, poco o tanto, in tempo, passione, preghiera e denaro. Grazie anche a chi vorrebbe dare e non può: siamo loro vicini. E anche a chi, pur potendo, non fa nulla: un posto c’è anche per te…
Guardiamo gli ultimi tre anni: • anno 2017 entrate € 101.026,96 uscite € 109.874,49 • anno 2018 entrate € 108.779,60 uscite € 113.562,19 • anno 2019 entrate € 109.209.35 uscite € 107.199,20 Il bilancio dell’anno 2019 presenta un leggerissimo incremento delle entrate, elemento costante di questi anni, e, novità, uscite inferiori alle entrate, anche se di poco. Notiamo che la voce più alta è sempre data dalla Festa della Campagna, poi dalle offerte (messe, celebrazioni, sacramenti, buste…) e dalle attività proposte lungo l’anno dai diversi volontari (con sottoscrizioni, ravioli, cesti, feste…) Nelle uscite troviamo alcune spese per gli interventi in chiesa e negli ambienti comunitari, per le attrezzature della Festa, per la revisione delle campane e per le utenze (gas, elettricità…) In cantiere abbiamo sempre il nuovo portale della Chiesa parrocchiale e la bussola. La Lettera giugno ‘20
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In morte di don Adriano
Nel lungo e tristissimo elenco dei sacerdoti bergamaschi scomparsi per complicazioni legate al coronavirus, abbiamo anche don Adriano Locatelli, originario di Suisio, spentosi nella sera di venerdì 20 marzo all’ospedale di Lecco. L’annuncio è stato dato da monsignor Angelo Riva, parroco di Carenno e Lorentino, vicario territoriale della nostra Comunità Ecclesiale Territoriale, anch’egli provato per la perdita del papà: «Non ci sono parole in questo momento - ha scritto -. Ci vuole fede, preghiera e silenzio. Lo affidiamo al Signore e lo ringraziamo per tutto il bene operato fra noi». Don Adriano era nato il 17 febbraio 1949 a Suisio. Vocazione adulta, dopo l’ordinazione sacerdotale (18 giugno 1983) era stato vicario parrocchiale di Palazzago (1983- 84), comunità che portava nel cuore La Lettera
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giugno ‘20
essendosi trovato benissimo, come confidava, e dove, oltre alla pastorale giovanile, si impegnò nell’opera di superare il campanilismo delle varie frazioni del paese. Quindi, con lo stesso incarico, era passato a Paladina (198489) e infine a Cologno al Serio (1989-2011). Da nove anni era andato a risiedere a Carenno
con incarichi pastorali, aiutando nelle celebrazioni e feste religiose la stessa parrocchia, quelle vicine, come Lorentino, e l’ex parrocchia di Sopracornola, soprattutto in occasione della festa patronale di San Rocco, il 16 agosto. Il 22 luglio 2015 a Carenno aveva avuto la gioia sia di presenziare alla conferenza tenuta dall’arcivescovo bergamasco Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, sia di concelebrare con lui. Sappiamo poi di diverse visite a Santa Marta, nella dimora di papa Francesco. Proprio alcuni mesi fa mi raccontava di una celebrazione mattutina della messa. Il papa stava partendo per l’Africa e quindi Mons. Tino Scotti, originario di Cologno, Capouffucio della Prima Sezione della Segreteria di Stato, gli aveva chiesto di presiedere la messa delle 7.00 e di proporre la riflessione alle poche perso-
ne presenti, parlando del lavoro che stava compiendo nelle Parrocchie bergamasche. Quale sorpresa nel vedere ad un certo punto entrare il papa, sedersi ad ascoltare e poi partire per il viaggio. Mi diceva che non riusciva quasi a parlare, agitato e commosso allo stesso tempo. A Palazzago era tornato nell’occasione di alcune feste e per gli incontri dei sacerdoti delle due fraternità facenti parti della stessa Cet, complimentandosi per la casa di Comunità, l’Oratorio e il giropizza dove aveva gustato le varietà di pizze che per l’occasione avevamo preparato a mezzogiorno. Era un assiduo lettore della Lettera, guardando la quale poi mi chiamava, chie-
dendo delle iniziative e delle persone che vedeva nelle foto. Non mancavano i suoi auguri per il Natale e la Pasqua, accompagnati dall’assicurazione della preghiera per tutti. E qui molti lo ricordano, prete novello, anche se non giovanissimo, capace di coinvolgere le nuove generazioni e assicurare anche al resto della Comunità la sua cura e la sua guida, quando, per diversi mesi, s’era trovato solo, dopo il trasferimento di don Franco e in attesa del nuovo Parroco, don Eliseo. La sua semplicità e cordialità, l’umanità nelle relazioni, il sorriso e la grande fede, sono i tratti che dipingono il suo ritratto. Grazie don Adriano. Riposa nel Cimitero di Suisio.
La Lettera giugno ‘20
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…e di don Fausto Resmini di accoglienza e di attenzione verso i più deboli. Sacerdote dal 1978, ha fondato la Comunità don Milani di Sorisole, per il recupero di minori «difficili» che è diventata punto di riferimento di tutto il nord Italia. È stato per anni anche Cappellano del carcere. Ha sempre lottato per i poveri, lo ha fatto vivendo accanto a loro, «sporcandosi le mani» senza mai risparmiarsi, dedicando tutto sè stesso mettendo in secondo piano anche la propria vita. Passo
espressa così: “Atalanta in lutto per la scomparsa di don Fausto Resmini. Don Fausto ha accompagnato per anni la crescita dei nostri ragazzi ospiti alla Casa Del Giovane, trasmettendo loro valori morali ed educativi eccezionali. In tutti questi anni li ha seguiti con amore, passione, bontà e generosità. Un esempio e un punto di riferimento capace di entrare nel cuore di tutti. Il Presidente Antonio Percassi e tutta la famiglia Atalanta lo
dopo passo è diventato l’anima di mille iniziative, sempre in sostegno delle tante persone lasciate indietro dalla società: giovani fragili, carcerati, donne vittime della tratta, stranieri, … Con il suo camper del servizio «Esodo» per anni ha dato un pasto caldo in stazione a chi era ai margini, agli invisibili della città. Era un uomo che aveva saputo intrec«Don Fausto più d i un semplice capp ciare anche un ellano» B o n a fe d e , il ca rc e re sa rà in ti to la rapporto intento a lu i Il ministro della Giu so, specialissistizia Bonafede in un documento del Min mo anche con istero si è detto fa vorevole all’intitolazione de l’Atalanta che si è l carcere di Bergam a don Fausto Resm o ini, morto a causa de l covid tra il 22 e il 23 marzo La Lettera scorsi. Accolta la richi esta dei parlamen ‘20 tari giugno [34] berg amaschi Carnevali e Martina.
ricordano con affetto e immensa gratitudine”
Questa notte don Fausto è tornato alla casa del Padre. Ha combattuto fino alla fine contro questo virus così tremendo. Se ne è andato nel silenzio e nella solitudine della notte, proprio come molti uomini vissuti in strada di cui lui si è preso cura nel suo ministero. Ora preghiamo Dio perché lo accolga nel suo Regno. Sarà accolto dai santi, da don Bepo e dagli ultimi della terra che lui ha amato e servito, li potrà trovare pace e gioia eterna. In Paradiso ti accompagnino gli Angeli al tuo arrivo t’accolgano i Martiri, e ti scortino alla città santa di Gerusalemme. Il coro angelico ti accolga e insieme a Lazzaro, povero un tempo, tu possa godere della pace eterna. Così la comunità del Patronato San Vincenzo ha dato l’annuncio della morte di don Fausto Resmini, il 23 marzo, un “gigante della carità”. Don Fausto era nato a Lurano nel 1952, ma poi era cresciuto e si era formato al Patronato San Vincenzo sotto l’ala di don Bepo Vavassori, ereditandone lo spirito
Ha sempre dialogato anche con le istituzioni del territorio cercando di dare un volto e una dignità a chi era relegato ai margini della società e non aveva parola: «I poveri e gli ultimi non sono un problema di ordine pubblico, e riconoscerli è il primo passo per uscire dall’indifferenza», erano le parole che amava ripetere. Le sentiamo come un testamento e un testimone da portare avanti nella nostra Bergamo.
Titolo Titolo Titolo UnaTitolo morte nata dalla sua vita [di don Davide Rota]
Qualche settimana fa io e don Fausto ci siamo trovati da soli in attesa che arrivassero gli altri sacerdoti per la riunione mensile. «Che c’è Fausto? Mi sembri stanco…» gli avevo detto. Lui non si apriva molto: parlava sempre degli altri, dei suoi ragazzi, dei carcerati, dei poveri della stazione. Aveva come una ritrosia a lasciarsi andare, come se non volesse che qualcuno gli guardasse dentro. «Sono stanco – rispose – ma contento. Io devo vivere molto intensamente le mie giornate, se voglio star bene con me stesso. Allora arrivo a sera soddisfatto, anche se non ce la faccio più. O forse proprio per questo». Era la prima volta in tanti anni che don Fausto non si difendeva. Non mi obbligava a distogliere lo sguardo da lui per vedere gli altri che la sua misericordia e solidarietà metteva sempre in primo piano. In quelle parole ho colto con stupore non solo la forza e il coraggio di don Fausto, ma anche la sua debolezza; ho visto, non solo il benefattore dei poveri, ma un povero in più. Mi è venuta in mente questa frase nei giorni del mio isolamento da quarantena, quando mi arrivavano resoconti sempre più drammatici del suo stato di salute. Lo avevano mandato a Como e le notizie filtravano con il contagocce… Scacciavamo dal cuore il pensiero che non l’avremmo più rivisto, come sta capitando a
migliaia di bergamaschi con i loro cari. Io poi mi ero convinto che non potesse morire: aveva troppi progetti per la testa e, ultimamente, come sospettando che “il tempo oramai si era fatto breve” volesse esplorare ogni eventualità e mettere a frutto ogni possibilità. Ostinatamente, fino all’ultimo, abbiamo pregato perché Dio, la Madonna e don Bepo facessero il miracolo, anzi no, che gli rendessero ciò che gli spettava di diritto: qualche anno di vita in più in cambio dei tanti anni dedicati a loro e ai poveri. All’una e mezzo di notte di lunedì 23 marzo, don Dario chiama: «Don Fausto è spirato poco fa» non sono più riuscito a prendere sonno e neppure a pregare. Ho sentito solo un grande vuoto. Poi d’improvviso mi è venuto in mente un frammento di Rainer Maria Rilke: “O Dio, dona a ognuno la sua morte. Una morte nata dalla sua vita”. E poco a poco ho capito. Cos’ha cercato Don fausto più di tutto nella sua vita di uomo e di prete? Ha cercato l’altro, che è il povero, l’ultimo, il giovane in disagio, il carcerato, il barbone. Li ha cercati perché in loro vedeva il volto di Dio, quel Dio che lui non ha mai smesso di cercare, da uomo di fede quale era. Ha continuato a farlo anche quando ai primi giorni di marzo una febbre fastidiosa ha cominciato a perseguitarlo: è dovuto crollare per convincersi a mettersi a letto e quando
ha saputo che in carcere era in atto una rivolta, voleva a tutti i costi andarci per sedare gli animi. Sono stati giorni fatali che forse hanno fatto la differenza tra la vita e la morte. Ma la morte aveva già messo radici nella sua vita ed è fiorita come ultima, estrema e splendida testimonianza di fedeltà a Dio e di amore al prossimo. Fausto è vissuto con i poveri e per i poveri e poco a poco ha imparato ad essere povero come loro. Il Signore gli ha dato la morte da Coronavirus che ai nostri occhi è la peggiore, ma che ai suoi occhi divini è il coronamento di tutta la sua vita. In meno di un anno il Signore ci ha portato via i nostri due preti di punta, i migliori: don Fausto Resmini e don Roberto Pennati. Siamo rimasti uno sparuto gruppo di sacerdoti, ma anche così sappiamo che “Dio non toglie mai una gioia ai suoi figli, se non per prepararne una più grande” (Promessi Sposi). E siamo certi che con loro due lassù in Paradiso, il Patronato continuerà ad essere in buone mani. La Lettera giugno ‘20
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Un ricordo personale del sacrista Mario Rota Ricordo ancora oggi il giorno che incontrai il sacrista Mario nella nostra chiesa. Era un giovedì pomeriggio del mese di maggio 2011 quando per la prima volta cominciavo a suonare l’organo alla messa feriale (che all’epoca era alle 16:30). Andai in sacrestia, con quella timidezza di un ragazzetto di 13 anni e gli chiesi: “Buongiorno, è possibile avere la chiave dell’organo? Dovrei suonare a messa...”. Mi guardò un po’ incredulo poi andò a prendere la chiave senza dire nulla, agitandola e facendo risuonare l’anello metallico collocato all’estremità. “Ecco qua! Ma set bù de sunà? Non arrivi neanche giù ai pedali!” mi disse. Io gli sorrisi e salii per la prima volta su quella cantoria che per diversi anni è stato il mio posto in chiesa, durante quelle messe prefestive del sabato e vespertine delle solennità, un posto inusuale certamente, ma che mi è tutt’oggi molto caro: è proprio dall’alto di quella stretta balconata, infatti, che ho potuto pian piano approfondire la mia forte passione per la musica, per lo strumento dell’organo e, specialmente negli ultimi anni, guLa Lettera
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Titolo Titolo Titolo
stare sempre più intensamente la dimensione della Fede e della liturgia. Ma perché raccontare questo piccolo particolare del mio passato? Che cosa c’entra con Mario? Ci sarebbero sicuramente numerosissimi altri fatti da raccontare su Mario, alcuni anche divertenti, ma li riservo per chi vorrà parlarne vis à vis. Sabato 29 febbraio, di quest’anno, dopo aver concluso gli esercizi spirituali la sera delle Ceneri, il nostro vicerettore ci comunica, dopo la messa mattutina, che saremmo rientrati a casa per l’aggravarsi della situazione generale circa il coronavirus. Era già una settimana che nelle parrocchie diocesane non si celebravano più le messe con concorso di popolo e le scuole erano già chiuse. La prima cosa che ho fatto rientrando verso casa è stata quella di passare a rivedere la “mia” chiesa, con le nuove installazioni della Quaresima che avevo visto in fotografia. È lì che incontro per l’ultima volta il nostro Mario, ed è anche l’ultima persona che ho visto del nostro paese prima della clausura forzata. Mi sono fermato a parlare un po’ con lui dopo averlo salutato. Abbiamo iniziato a chiacchierare un po’ su come andava, sulle recentissime novità del coronavirus che sembrava diffondersi sempre più rapidamente, sulle messe senza assemblea. Mi ha chiesto anche di me, del mio servizio parroc-
[A cura di Andrea]
chiale a Nese di Alzano e mi fa: “Ma ad Alzà gh’è mia ol dòm?”. “C’è la basilica, sì!” gli ho risposto. “Ü dé egneró zo a troàt, a fa ü gir...” e intanto mi chiedevo con che mezzi sarebbe venuto fino ad Alzano, da solo. Ma non intendevo rispondere a questa mia perplessità. Ho accolto volentieri quell’affermazione bonaria, quel desiderio che forse anche lui sapeva benissimo essere poco probabile, e ho sentito in questo anche una certa vicinanza. Già che ero in chiesa, perché non fermarmi un po’ anche a suonare? Allora sono andato a prendere la chiave, che ormai ho ben imparato dov’è, e sono salito all’organo. Da sotto, lui seduto al primo banco esclama: “Fà zo öna bèla sunada!” per poi uscire fuori dalla chiesa poco dopo senza più rivederlo né poterlo salutare, mentre andavo avanti a suonare. Nel ripercorrere questo ricordo mi sembrava di essere tornato indietro di 9 anni, quando ogni tanto prima di messa, dalla nava-
ta, mi rivolgeva, con il suo tono di voce tonante, la stessa richiesta. Da questi episodi, posso anche affermare con certezza che Mario aveva tutta una sua tecnica per farsi voler bene, non sempre compresa o da tutti accettata. Nella sua grande semplicità (non stupidità!) ed immediatezza ti diceva quello che pensava, senza tante mezze misure, ma non disprezzava neppure la novità, il cercare anche di essere al passo coi tempi (quando chiedeva come funzionasse internet sul nuovo cellulare), non disprezzava nemmeno di essere aiutato, cosa di cui aveva molto bisogno in questi ultimi anni. Un grande esempio di perseveranza da cui ciascuno di noi dovrebbe attingere. Quell’ultima “sunada” in una chiesa deserta è stato il mio saluto più autentico per Mario. Non c’è sempre bisogno delle parole: alle volte bastano anche alcuni piccoli gesti sinceri per poter comunicare o trasmettere qualcosa a qualcuno. Quella mattinata la rileggo, quindi, più come un’ “arrivederci” che come un “addio”. “An sa èt, Mario”, anche a Nese se vorrai venire a fare un giro, quando sarà tutto ritornato alla normalità...
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Defunti GIANPIERA MAZZOLENI in Alborghetti, di anni 69, deceduta a Capriate il 3 marzo. Funerata a Palazzago il 5 marzo, ceneri il 12 marzo 2020 In questo periodo di obbligato silenzio, risuona di più la tua mancanza. Resta qui con noi. I tuoi cari BARBARA RUGGERI in Malvestiti, di anni 61, deceduta il 5 marzo. Funerata a Palazzago l’8 marzo 2020 e sepolta a Zogno Ci sono attimi in cui il corpo diventa troppo stretto per le anime grandi. I tuoi cari ITALO DENTELLA, di anni 97, deceduto il 10 marzo. Sepolto a Palazzago il 12 marzo 2020 L’amore e l’esempio che ci hai dato, ci accompagneranno tutta la vita. I tuoi cari
VIRGINIO ALBORGHETTI, di anni 78, deceduto a Ponte San Pietro il 13 marzo. Esequie e ceneri a Palazzago il 30 marzo 2020 Sei con noi nel ricordo di ogni giorno. Con affetto, la tua famiglia
LIVIA SANA ved. Nieddu, di anni 84, deceduta ad Almenno S.S. il 13 marzo. Esequie e ceneri a Palazzago il 3 aprile 2020 Vi amerò dal cielo, come vi ho amato in terra. Con amore, i tuoi cari UGO MANZONI, di anni 71, deceduto a Palazzago il 16 marzo. Esequie e sepoltura a Pontida il 17 marzo 2020 Il suo ricordo di uomo semplice e onesto rimanga vivo nel rimpianto della sua famiglia e di quanti lo conobbero e lo amarono. Con amore, la tua famiglia
FRANCESCO ROTA, di anni 82, deceduto a Palazzago il 17 marzo. Esequie e sepoltura a Palazzago il 18 marzo 2020 A tutti coloro che lo conobbero e lo amarono perché rimanga vivo il suo ricordo. I tuoi cari ANTONIO ROTA BULÒ, di anni 69, deceduto a Bergamo il 17 marzo. Esequie e ceneri a Palazzago il 15 aprile 2020 lddio conceda a te la pace dei giusti. Hai raggiunto i tuoi amati genitori. Riposa in pace. I tuoi fratelli ALESSANDRO BONACINA, di anni 75, deceduto a Merate il 19 marzo. Esequie e sepoltura a Palazzago il 23 marzo 2020 “Ma perché non si vive per sempre? Tornerà chi abbiamo perso e non c’è più?”. Caro papà non smetterai mai e poi mai di mancarci. Impareremo a vivere del tuo ricordo per cercare di colmare l’enorme vuoto che ci hai lasciato. Proteggi la tua famiglia ma soprattutto il tuo adorato nipotino che non hai mai potuto abbracciare... I tuoi cari GIANCARLO TRENTINI, di anni 81, deceduto ad Almenno S.B. il 20 marzo. Esequie e ceneri a Palazzago il 14 aprile 2020 Grazie per tutto quello che hai fatto per noi... Con tanto amore... Elena, Silvia e Gaia MARIA ANGELA GRASSI ved. Nava, di anni 83, deceduta a Osio Sotto il 24 marzo. Esequie e ceneri a Palazzago il 21 aprile 2020 L’amore che ci hai donato e i tuoi sorrisi saranno sempre impressi nel nostro cuore... Grazie mamma, riposa in pace... ANTONIETTA ZUCCHELLI, di anni 57, deceduta a Parma il 28 marzo 2020 Ti ricordiamo com’eri... Piena di vita, sorridente e amorevole con tutti! Con affetto, i tuoi cari
MARIO ROTA, di anni 74, deceduto a Bergamo il 1º aprile. Esequie e sepoltura a Palazzago il 4 aprile 2020
MARIE LOUISE TIRONI “Marilù” ved. Maury, di anni 80, deceduta a Zingonia il 23 maggio funerata e sepolta in Albenza il 26 maggio 2020
Riconoscenti familiari e comunità
Consolatevi con me voi tutti che mi eravate tanto cari, io lascio un mondo di dolori per un regno di pace. (S. Caterina da Siena)
RENATA PARUTA ved. Aldegani, di anni 92, deceduta a Bergamo il 13 aprile Funerata e deposte ceneri a Palazzago l’8 maggio 2020
A Burligo ANNA MAPELLI ved. Mangili, di anni 70, deceduta il 16 marzo. Esequie e ceneri a Burligo, 1 aprile 2020
Donale Signore vita eterna. Riporta la scintilla della sua anima presso di te o Dio. I tuoi cari
Uomo sempre disponibile e generoso. Ha saputo dedicarsi al volontariato e associazioni con grande animo e positività. ”Ricordatemi così... con un sorriso, con una preghiera”. Con amore, i tuoi cari
Sepolture
GIUSEPPE DONADONI, di anni 83, deceduto a Ponte San Pietro il 24 aprile. Esequie e sepoltura a Palazzago il 27 aprile 2020
“Alla sera della vita ciò che conta è aver amato”.
OLGA ROTA ved. Capelli, di anni 92, deceduta a Villa d’Adda il 5 maggio. Funerata e sepolta ad Almenno S.B. il 7 maggio 2020
ATTILIO CAROZZA, di anni 97, deceduto a Bergamo il 31 marzo. Esequie e sepoltura a Palazzago il 3 aprile 2020
PIETRO MAZZOLENI, di anni 87, deceduto a Burligo il 7 maggio. Funerato e deposte ceneri il 14 maggio 2020 Sarai sempre nei nostri cuori e nei nostri pensieri. Con affetto, i tuoi cari
Anniversari
Resterà nei nostri cuori e nei nostri ricordi per sempre. Con affetto, i tuoi cari
Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano, ma sono dovunque noi siamo. (Sant’Agostino) I tuoi cari
A Palazzago
Cara mamma, ti ricorderemo per l’amore che ci hai donato! La tua vita vissuta con semplicità e tanto coraggio ha trasmesso a tutti noi i veri valori che porteremo come tesoro nei nostri cuori. Eri amante dei fiori che curavi con tanto amore. Le rose erano le tue preferite. Dal cielo veglia su tutti noi. La tua famiglia BEATRICE OBERTI in Rottoli, di anni 81, deceduta ad Almenno S.B. il 6 maggio. Funerata e deposte ceneri a Palazzago l’8 maggio 2020
CAROLINA MAZZOLENI ved. Riva, di anni 81, deceduta a Valbrembo il 10 aprile. Esequie e sepoltura a Burligo il 14 aprile 2020
FRANCESCO MAZZOLENI giugno 2000 giugno 2020 Il passare del tempo non cancella il ricordo del tuo affetto. I tuoi cari CAROLINA FINAZZI 23.08.1980 23.08.2020 Quando qualcuno che ami diventa un ricordo... Quel ricordo diventa un tesoro. La tua famiglia
Ă&#x2C6; necessario che lâ&#x20AC;&#x2122;anima continui ad amare a vuoto, o per lo meno a voler amare, anche soltanto con una parte infinitamente piccola di se stessa. Allora un giorno Dio stesso viene a rivelarsi a lei e a mostrarle la bellezza del mondo, come avvenne per Giobbe. Simone Weil