La lettera DICEMBRE 2018 anno XXXII numero 4
Bollettino della parrocchia prepositurale di san Giovanni Battista in Palazzago e di san Carlo in Burligo
Orari Sante Messe Palazzago
Compiti e compito
Sabato
Penseremmo immediatamente a Maria con Gesù. E invece Arcabas intitola questo quadro: Sainte Anne instruisant Marie. E’ sì una mamma, ma è Anna con sua figlia Maria. A molti richiama sicuramente quelle belle foto che si usava fare appena si iniziava scuola o, ancor prima, all’asilo. Il colletto bianco, poi, è uguale, anche se per molto tempo il grembiule era nero e magari con un fiocco rosso. In un interno familiare, il pittore fissa il momento in cui la mamma segue la figlia fare i compiti. Sembra di sentire le domande che si fanno al ritorno da scuola: “Come è andata oggi? Hai molti compiti? Ti raccomando, non aspettare stasera a farli…” E Maria, da brava bambina, si è già seduta al tavolo di cucina, sorreggendo il viso con una mano, come spesso fanno i piccoli quando sono concentrati nella lettura. Il libro è voluminoso, forse troppo per l’età e allora ci vediamo una Parola che accompagna la vita di questa bambina, una Parola che si intreccerà con un cammino di croce. Certo gloriosa, come lo è con l’oro di Arcabas e tuttavia croce. Anna, alle spalle, sembra già anticipare quel “Non temere” che da giovane donna sua figlia sentirà dall’Angelo. Non temere perché ti è consegnata una presenza e l’Altissimo ti coprirà con la sua ombra, come ora Anna alle spalle di Maria. Il sorriso appena abbozzato sul volto della piccola è già risposta. Eccomi, sono qui, non sono altrove, faccio i compiti…
ore 17.00 Beita nella tensostruttura oratorio ore 19.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica ore ore ore ore
08.00 Montebello 09.00 Beita (sospesa con inizio lavori) 10.30 Chiesa Parrocchiale 18.00 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali
Lunedì ore 16.30 Brocchione Martedì ore 16.30 Precornelli Mercoledì ore 16.30 Beita (sospesa con inizio lavori) Giovedì ore 09.00 Chiesa Parrocchiale Venerdì ore 16.30 Ca’ Rosso
Orari Sante Messe Burligo Sabato
ore 18.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica
ore 09.00 Collepedrino ore 10.30 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00
Chiesa Parrocchiale Acqua Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale
Recapiti Don Giuseppe Don Roberto Don Giampaolo Don Paolo
035.550336-347.1133405 035.540059-348.3824454 338.1107970 035.550081
www.oratoriopalazzago.it parrocchia@oratoriopalazzago.it segreteria@oratoriopalazzago.it palazzago@diocesibg.it
Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 19) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,... La Lettera
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[Editoriale]
Entrare nella casa di Nazaret è entrare in un silenzio che non è assenza ma ferialità che i Vangeli non hanno registrato. A loro – e in particolar modo a Luca - son bastate alcune pennellate nelle quali torna però un verbo: “cresceva”. Gesù ha pochi giorni e i suoi genitori lo portano a Gerusalemme per offrirlo al Signore. Al ritorno in Galilea alla città di Nazaret, si legge che “il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”. Passano dodici anni e ancora si sale a Gerusalemme, là dove il ragazzo rimane nel tempio, con i dottori della Legge. Dopo il ritorno a Nazaret è scritto: “E Gesù cresceva in età e grazia davanti a Dio e agli uomini”. Dodici anni di silenzio prima, vent’anni di silenzio dopo. Non una parola prima, non una parola dopo. E il silenzio non è per dire che quegli anni, trenta alla fine, siano stati irrilevanti, da non raccontare! Ma basta dire che Gesù cresceva. Tuttavia, quello che sarà a trent’anni, l’ha imparato in quella casa, perché si cresce sempre all’ombra di persone e di storie. Penso a quante cose crescono anche nelle nostre Comunità e a quante vorremmo vedere crescere, nel pregare insieme, nell’ascoltare la Parola, nel fare Eucarestia, nel cercare il bene e l’amicizia, nella vicinanza nei momenti di fatica, nel discernimento, nel senso comunitario.
Cresceva...
Cresceva… per non nascondere in un fazzoletto i talenti ricevuti. Cresceva… per non farci paralizzare dalla paura. Cresceva… per moltiplicare la gioia, per aumentare la letizia. Cresceva… perché il regno di Dio non è morto ma è come seme nella terra e come un grumo di lievito nella pasta. Cresceva… perché Dio è fedele alla sua promessa, quella che ha nome Gesù. Buon Natale con Lui.
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Rorate Cœli desúper, Titolo Titolo Titolo et nubes plúant justum.
(Is 45,8)
[Avvento - Natale]
Stillate rugiada, o cieli, dall’alto, e le nubi piovano il Giusto. “Non temere” è l’invito che l’angelo Gabriele rivolge alla giovane Maria quando entra nella sua casa di Nazareth. “Non temere” è l’incoraggiamento per ciascuno di noi quando, come cristiani, siamo chiamati a scegliere il Vangelo. In tutta la Bibbia questo invito “Non temere” è presente 365 volte: sì, come se ogni giorno dell’anno lo sentissimo rivolto a noi. Vogliamo vivere allora l’Avvento facendo alcuni gradini verso l’alto, buttando via le paure che ci bloccano. Nel Natale accogliamo Colui che è disceso a noi sulla terra. E se già il nostro salire fosse possibile grazie al suo discendere? «Il cielo è una grande domanda che attende la nostra risposta», scriveva Giovanni Papini. Ma il cielo è anche la vastità e la grandezza cui anela l’uomo. E’ l’exemplum della bellezza, della scoperta della meraviglia e del mistero. La scala è la metafora di quello che l’uomo desidera: andare in alto. I bambini, appena sono in grado di fare quattro passi, salgono sulla sedia. L’uomo che abita la terra è orientato al cielo. Claudio Parmiggiani, artista italiano, crea l’istallazione “La salita della memoria” con una scala appoggiata al cielo infinito, di fronte ad un dodecaedro. «Lì va a parare il desiderio più elevato dell’uomo», ha detto. La scala è di pane, come quello che l’artista ricorda della sua infanzia, che mangiava mentre gustava il cielo senza inquinamento luminoso dalla sua pianura parmense. Ma può il cielo stellato sostenere una scala? Può essere l’appoggio? E ancora: può il cielo sostenere la speranza, il desiderio, l’attesa?
Continuiamo anche a tessere la nostra “coperta” con il secondo gomitolo, di colore azzurro.
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[CET]
Comunità Ecclesiali Territoriali
La Chiesa di Bergamo sta vivendo un tempo di passaggio. Il vescovo Francesco lo scorso 12 settembre ha firmato i decreti di istituzione delle 13 Comunità Ecclesiali Territoriali e all’interno di esse ha istituito 31 Fraternità Presbiterali. Così dice il testo ufficiale: Dopo un lavoro di studio, riflessione e confronto, con la lettera pastorale “Camminare insieme nella gioia del Vangelo” (anno pastorale 2016-2017) è stato dato inizio alla fase finale del percorso per una nuova suddivisione del territorio diocesano: a quasi quarant’anni dalla costituzione dei vicariati locali (27 maggio 1979) è emersa infatti la necessità di una nuova configurazione dei raggruppamenti di parrocchie per favorire al meglio la cura pastorale di una realtà profondamente cambiata. Così, dopo ampia consultazione, sentito più volte il Consiglio Presbiterale diocesano e il Consiglio Pastorale diocesano, oltre che i Consigli Pastorali e Presbiterali vicariali, si è ritenuta opportuna la sostituzione del Vicariato Locale con un’aggregazione ecclesiale nuova e diversa; Ciò premesso, con il presente ATTO istituiamo la Comunità Ecclesiale Territoriale (= CET) e contestualmente ne approviamo lo Statuto, ad experimentum, per un quinquennio, così come allegato al presente decreto alla lettera A. Considerato che viene affidata a un Vicario territoriale la responsabilità della presidenza e del coordinamento delle attività e degli organismi della Comunità Ecclesiale Territoriale, nonché del perseguimento dei suoi fini propri; con il presente ATTO nominiamo per un quinquennio: • • • • • • • • • • • • •
Vicario territoriale della CET 1 Bergamo città il rev. Don Massimo Maffioletti; Vicario territoriale della CET 2 Alta Valle Seriana il rev. Mons. Giuliano Borlini; Vicario territoriale della CET 3 Bassa Valle Seriana il rev. Don Michelangelo Finazzi; Vicario territoriale della CET 4 Valle Brembana il rev. Don Gianluca Brescianini; Vicario territoriale della CET 5 Sebino - Calepio il rev. Don Angelo Domenghini; Vicario territoriale della CET 6 Valle Cavallina il rev. Don Giovanni Locatelli; Vicario territoriale della CET 7 Ponte - Valle San Martino il rev. Don Angelo Riva; Vicario territoriale della CET 8 Isola Bergamasca il rev. Don Giovanni Coffetti; Vicario territoriale della CET 9 Valle Imagna - Villa d’Almè il rev. Don Paolo Riva; Vicario territoriale della CET 10 Scanzo - Seriate il rev. Don Mario Carminati; Vicario territoriale della CET 11 Ghisalba - Romano - Spirano il rev. Don Enrico Mangili; Vicario territoriale della CET 12 Dalmine il rev. Don Giulio Albani; Vicario territoriale della CET 13 Stezzano - Verdello il rev. Don Alberto Caravina.
Il Vicario territoriale «presiede gli organismi della Comunità Ecclesiale Territoriale, persegue e fa perseguire le finalità della stessa. Nomina tutti i membri del Consiglio pastorale territoriale, individua e nomina i cinque Coordinatori delle “terre esistenziali”, nomina il Segretario. Cura i rapporti con gli organismi diocesani di comunione. Presenta al Vescovo una relazione annuale sull’attività della Comunità Ecclesiale Territoriale. Partecipa all’Assemblea dei Vicari territoriali». La Lettera dicembre ‘18
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All’interno del percorso di riforma della suddivisione territoriale e pastorale della Diocesi di Bergamo nelle Comunità Ecclesiali Territoriali, dopo ampia consultazione, sentiti il Consiglio Pastorale diocesano e il Consiglio Presbiterale diocesano, con il presente ATTO istituiamo la Fraternità Presbiterale che è «una forma del presbiterio diocesano, costituita dai presbiteri delle parrocchie designate per una Fraternità Presbiterale. È luogo di relazioni fraterne, di condivisione della fede e di alimentazione della spiritualità presbiterale diocesana, di formazione culturale, teologica e umana, di dialogo e collaborazione pastorale tra i presbiteri che, in quanto membri del presbiterio diocesano, stabiliscono un rapporto che supera i confini della propria parrocchia». In ogni CET sono presenti all’incirca due Fraternità: cioè gruppi di circa 20/30 preti chiamati a vivere il loro ministero nelle parrocchie, condividendo il lavoro pastorale e favorendo un clima di sempre maggiore collaborazione tra le comunità cristiane del territorio. Le Fraternità Presbiterali divengono il segno visibile della fraternità evangelica che ogni prete è chiamato a vivere nel presbiterio diocesano in cui entra a far parte nel momento dell’Ordinazione. Diverranno un segno per i laici di come un gruppo di uomini testimonia con la vita fraterna il Vangelo in questo mondo segnato da chiusure e individualismi deleteri. Le Fraternità Presbiterali sono guidate dalla figura dei «Moderatori» che il vescovo ha designato, dopo che i preti delle singole zone si sono riuniti e gli hanno inviato le loro indicazioni. Questi i moderatori designati per le Fraternità Presbiterali: • Bergamo città (CET 1) Monsignor Giovanni Carzaniga (Sant’Alessandro in Colonna); don Giuseppe Rossi (Boccaleone). Fraternità Presbiterale 3: don Andrea Mazzucconi (San Tomaso). • Alta Valle 5eriana (CET 2) Don Mauro Bassanelli (Fino del Monte); don Ivano Alberti (Gromo S. G.). • Bassa Valle 5eriana (CET 3) Don Giuseppe Locatelli (Albino); don Filippo Tomaselli (Alzano Sopra); don Giuseppe Merlini (Leffe). • Valle Brembana (CET 4) Don Sergio Mauro Bonacquisti (Santa Croce di San Pellegrino); don Cesare Micheletti (Brembilla). • Sebino - Valle Calepio (CET 5) Don Cristiano Pedrini (Tagliuno); don Alessandro Gipponi (Predore). • Valle Cavallina (CET 6) Don Francesco Spinelli (San Paolo d’Argon); don Ornar Bonanomi (Gaverina). • Ponte - Valle san Martino (CET 7) Don Roberto Gallizioli (Cisano); Don Giuseppe Navoni (Palazzago). • Isola Bergamasca (CET 8) Don Filippo Bolognini (Suisio); don Cesare Passera (Brembate Sotto). • V.lmapa - Villa d’Almè (CET 9) Don Pieraffaele Cuminetti (Villa d’Almè); don Antonio Perico (Capizzone e Bedulita). • Scanzo - Serlate (CET 10) Don Angelo Pezzoli (San Pantaleone), don Emanuele Beghini (Grassobbio). • Ghisalba-Romano-Spirano (CET 11) Don Roberto Gusmini (Spirano); monsignor Paolo Rossi (Martinengo). • Dalmine (CET 12) Don Angelo Belotti (Curno); don Luca Guerinoni (Osio Sopra). • Stezzano - Verdello (CET 13) Don Giuseppe Bellini (Boltiere). Per la Fraternità Presbiterale del Seminario è stato designato il rettore don Gustavo Bergamelli, per quella dei Preti del Sacro Cuore il superiore don Carlo Nava, per quella del Patronato San Vincenzo il superiore don Davide Rota, della Casa di riposo Piccinelli don Adelio Coter. La Lettera
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Titolo Titolo Titolo [Gaudete et exsultate]
Gaudete et exsultate è l’Esortazione apostolica di papa Francesco pubblicata lo scorso aprile, il cui titolo richiama il Vangelo di Matteo sulle Beatitudini. «Rallegratevi ed esultate», dice Gesù ai perseguitati per causa sua. Il Signore infatti «offre la felicità», ci vuole santi, e «non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre», scrive il Papa nell’Esortazione. La chiamata alla santità è ciò a cui ci invita Gesù. L’abbiamo letta nelle messe al Cimitero, accompagnando la preghiera tra le tombe con l’orizzonte della santità. Insieme alla sintesi che qui leggiamo, sono stati proposti anche ampi passaggi della stessa. CAPITOLO I LA CHIAMATA ALLA SANTITÀ In questo cammino siamo circondati da alcuni testimoni, ovvero «coloro che ci spronano a camminare verso la meta». E tra loro possono esserci «la nostra stessa madre, una nonna o altre persone vicine. Forse la loro vita non è stata sempre perfetta», aggiunge il Papa, però «hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore». Anche i santi che sono già giunti alla presenza di Dio mantengono con noi legami d’amore di comunione. Ma i santi, rimarca il Papa, non sono persone eccezionali, e
La santità della porta accanto
anzi spesso rimangono invisibili: “Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto”, e la santità si manifesta “nel popolo di Dio paziente”. Quindi nei genitori, nei lavoratori, nei malati, nelle religiose... questa è “la santità della Chiesa militante”, “la santità della porta accanto”. Il Papa ci ricorda che il Signore fa a ciascuno di noi una “chiamata alla santità” per “crescere verso quel progetto unico e irripetibile che Dio ha voluto per lui o per lei da tutta l’eternità”. Per essere santi quindi “non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiosi o religiose: tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno”,
come anche nei momenti in cui la vita presenta “sfide più grandi”. La santità, prosegue il Papa, è vivere in unione con Gesù e “riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della sua vita terrena”. Questo implica un equilibrio tra contemplazione e azione, tra solitudine e servizio: “Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro”. E ciò non vuol dire disprezzare i momenti di quiete, anche perché gli strumenti tecnologici e le offerte di consumo spesso «non lasciano spazi vuoti in cui risuoni la voce di Dio». E lì «non regna la gioia ma l’insoddisfazione». Ci occorre dunque «uno spirito di santità che impregni tanto la solitudine quanto il servizio». La Lettera dicembre ‘18
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CAPITOLO Il I DUE NEMICI DELLA SANTITÀ’ I due nemici della santità, spiega Francesco nell’Esortazione, sono lo gnosticismo e il pelagianesimo. Gli gnostici presumono che la fede della persona dipenda dalla qualità delle sue conoscenze, ritenendole capaci di illuminare e dare senso alla propria vita; giudicano gli altri sulla base di una verifica delle loro capacità di comprendere certe dottrine; ma in questo modo la mente è «ingessata in un’enciclopedia di astrazioni». Questa è una delle peggiori ideologie, perché «considera che la propria visione della realtà sia la perfezione». È la confusione per cui si crede che, «poiché sappiamo qualcosa o possiamo spiegarlo con una certa logica, già siamo santi, perfetti, migliori della “massa ignorante”». Ma Dio è «misteriosamente presente nella vita di ogni persona ... Anche quando la vita di una persona sia stata un disastro, Dio è presente». Così il Papa descrive invece il pelagianesimo: «Il potere che
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gli gnostici attribuivano all’intelligenza, alcuni cominciarono ad attribuirlo alla volontà umana». È la convinzione che tutto si possa fare con la volontà, «come se fosse qualcosa di puro, perfetto, onnipotente». Ma la mancanza di un riconoscimento dei nostri limiti impedisce alla grazia di agire in noi. È infatti la grazia del Signore che «prende l’iniziativa», al di là della volontà umana. CAPITOLO III ALLA LUCE DEL MAESTRO Gesù ha spiegato cosa vuol dire essere santi quando ci ha lasciato le Beatitudini. La santità, scrive Francesco, è legata ad esse. Così le illustra una per una: Essere poveri nel cuore: le ricchezze non ti assicurano nulla. Anzi, «quando il cuore si sente ricco, è talmente soddisfatto di se stesso che non ha spazio per la Parola di Dio, per amare i fratelli, né per godere delle cose più importanti della vita». Reagire con umile mitezza: solo se siamo miti e umili si realizzeranno le nostre più grandi aspirazioni: i miti «avranno in eredità la terra», ovvero,
«vedranno compiute nella loro vita le promesse di Dio». Saper piangere con gli altri: il mondo ci propone sempre divertimenti e svaghi, e ignora le situazioni dolorose. Ma la persona «che vede le cose come sono realmente e si lascia trafiggere dal dolore, è capace di raggiungere le profondità della vita». Cercare la giustizia: la giustizia si realizza nella vita di ciascuno quando «si è giusti nelle proprie decisioni», e si esprime poi «nel cercare la giustizia per i poveri e i deboli». Guardare e agire con misericordia: dare e perdonare vuoi dire «tentare di riprodurre nella nostra vita un piccolo riflesso della perfezione di Dio, che dona e perdona in modo sovrabbondante». Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore: perché un cuore che sa amare «non lascia entrare nella propria vita alcuna cosa che minacci quell’amore, che lo indebolisca o che lo ponga in pericolo». Seminare pace intorno a noi:
vuoi dire «costruire una pace evangelica che non esclude nessuno, ma che integra anche quelli che sono un po’ strani, le persone difficili e complicate, quelli che chiedono attenzione, quelli che sono diversi». Accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi: ogni croce che portiamo, soprattutto «le stanchezze e i patimenti che sopportiamo per vivere il comandamento dell’amore e il cammino della giustizia, è fonte di maturazione e di santificazione». CAPITOLO IV LA SANTITÀ NEL MONDO ATTUALE La santità, continua il Papa, è definita da alcuni tratti particolari. La sopportazione, la pazienza e la mitezza ci permettono «di rimanere saldi in Dio e sopportare le contrarietà». Dobbiamo «stare in guardia davanti alle nostre inclinazioni aggressive ed egocentriche» e tollerare «le umiliazioni quotidiane» in famiglia o al lavoro. Questo non significa, continua Francesco, rinunciare alla gioia e all’umorismo. E «non sto parlando della gioia consumi-
sta e individualista di oggi», ma «quella gioia che si vive in comunione». La santità è anche parresìa, cioè audacia e coraggio, e la capacità di uscire oltre i confini sicuri, perché «ciò che rimane chiuso sa di umidità e ci fa ammalare». Bisogna uscire «dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante». La santificazione è «un cammino comunitario». E la vita comunitaria è fatta di attenzione ai piccoli dettagli quotidiani. La santità passa anche per l’<<apertura alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione». CAPITOLO V COMBATTERE, VIGILARE E DISCERNERE La vita cristiana è un combattimento permanente, «contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia», e anche «contro il male». A disposizione abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione
della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario. Il cammino della santità richiede allo stesso tempo che siamo vigilanti, che, «stiamo con “le lampade accese”». E’ necessario anche il discernimento: «La vita attuale offre enormi possibilità di azione e di distrazione». Siamo esposti tutti «a uno zapping costante. Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento». Per fare questo bisogna ascoltare il Signore. «Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi». Quando scrutiamo davanti a Dio le strade della vita, «non ci sono spazi che restino esclusi. In tutti gli aspetti dell’esistenza possiamo continuare a crescere e offrire a Dio qualcosa di più, perfino in quelli nei quali sperimentiamo le difficoltà più forti». La Lettera dicembre ‘18
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Trick or Treat? È bastato un messaggio nel gruppo dei catechisti postato da una mamma che faceva riferimento ad un intervento del card. Bagnasco a proposito di Halloween, per “scatenare” un lungo botta e risposta tra gli iscritti al gruppo. Allora, nel Consiglio Pastorale prima e nell’incontro dei catechisti poi, abbiamo cercato di guardare senza estremismi il fenomeno che vede decisamente coinvolte le famiglie e non solo. Il 31 ottobre sera di Halloween, infatti, i bambini anche da noi si travestono e vanno di porta in porta per chiedere caramelle e dolciumi. Non appena la porta viene aperta, i bambini gridano “Dolcetto o Scherzetto” e allora i vicini di casa (che hanno preparato una ciotola piena di dolcetti) scelgono ovviamente la prima opzione. Se poi ci guardiamo bene in giro ci accorgiamo che sono soprat-
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tutto i centri commerciali e i luoghi di divertimento a cavalcare l’onda. Halloween è una festività popolare di origine celtica, celebrata la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre con scherzi e travestimenti macabri e portando in processione zucche intagliate e illuminate all’interno. Infatti, caratteristica della festa è la simbologia legata alla morte e all’occulto, di cui è tipico il simbolo della zucca con intagliata una faccia il più delle volte spaventosa e illuminata da una candela o una luce posta all’interno, derivato dal personaggio di Jack-o’-lantern. I credenti, come scriveva don Alberto Carrara in santalessandro.org resistono di fronte all’avanzata di Halloween. Più sono credenti e più sono critici verso questa che sembra loro una strana americanata, uno sberleffo improprio dato alla morte e ai morti. Ma Halloween e il conflitto con la festa dei morti non è nuovo. Anzi, secondo alcuni, la festa di Ognissanti sarebbe stata istituita da Papa Gregorio IV, IX secolo, proprio in continuità con la festa celtica precedente che celebrava la fine
dell’estate. La tesi è discussa. Ma, anche se la derivazione della festa cristiana dalla festa precedente non è vera, è comunque verosimile. Una festa pagana o precristiana legata a eventi della natura, quando viene «cristianizzata» o “ebraizzata” ricorda un momento di quella che si chiama “storia della salvezza”. La pasqua, ad esempio, era una festa legata alla transumanza. Quando viene assunta dagli ebrei diventa memoria della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Il 25 dicembre era la festa pagana del Natalis Solis Invicti, legata al solstizio d’inverno. La Chiesa colloca in quella data la festa della nascita di Gesù, il “nuovo Sole”, pare anche per tamponare il fenomeno di pagani prima convertiti al cristianesimo e poi tentati di tornare alla antica religione pagana. L’oscillazione tra feste naturali e feste cristiane dunque non è cosa nuova. La cosa nuova con Halloween e la festa dei morti è che si sta abbozzando una qualche forma di tragitto inverso rispetto a quello tradizionale. E cioè: mentre, nel passato, la festa precristiana è diventata cristiana, oggi la festa cristiana sta ridiventando pagana o, per lo meno, la festa cristiana perde il suo antico monopolio. L’evento non pare particolarmente stravagante. Basterebbe pensare a un solo elemento: la fede cristiana si sta indebolendo. Soprattutto
si indebolisce l’influsso della cultura cristiana sulla società laica e sulla sua cultura. Niente di strano, allora, che Halloween con il fascino del suo lontano passato, impreziosito dalla sua adozione da parte della società nordamericana, possa influenzare la nostra cultura. L’influsso d’oltre oceano non è nuovo, come si sa. «Tu vuò fa l’americano! tu vuoi vivere alla moda», cantava Renato Carosone, e non solo perché «bevi whisky and soda», ma anche perché si vuole festeggiare Halloween qui come lo si festeggia laggiù. Probabilmente, poi, non si tratta soltanto di una semplice, ovvia imitazione di una moda di oltreoceano, ma anche del fatto che la strana festa di fine ottobre permette di fare una risata di fronte alla morte, quella che si ricorda subito dopo, il 2 novembre, giorno dei morti. Così si prendono due piccioni con una fava: si fa festa per fare gli americani e, nello stesso tempo, si esorcizza la paura della morte. «Il carattere macabro di tale ricorrenza ha assunto un lato ludico, perché è un modo per esorcizzare la morte. Da un lato c’è la componente della fine, dell’oltre e dall’altro lato appartiene alla tradizione anche non americana, di giocare con gli scheletri. “La danza degli scheletri” è una cosa antichissima, anche a livello teatrale, ed è ironizzante. A luglio, con un nutrito gruppo di Burligo abbiamo conosciuto
La Danza macabra e il Trionfo della morte di Clusone; anche nel museo di Palazzago una parete è affrescata con lo stesso soggetto. È un modo per esorcizzare la morte, di ridicolizzarla, di giocarci sopra. In poche parole giocare con la propria mortalità. Quindi da questo punto di vista la componente di terrore è trasfigurata, trasformata in un gioco ironico e quindi in una festa» chiarisce il filosofo Salvatore Natoli. Ora, stando così le cose, che deve fare la comunità cristiana? Per i cristiani la sera del 31 ottobre, “All Hallow Eve” è vigilia di tutti i Santi. È andato un po’ perso nel corso degli ultimi anni questo momento, ma, come si chiede Natoli: «I cristiani credono ancora alla Resurrezione? Io ho molti dubbi. È questa la vera domanda, come si fa a restituire il senso religioso se la fede nella Resurrezione si è dissolta?». Allora, più che irrigidirsi e scandalizzarsi per “invasioni” estranee alla nostra tradizione e cultura, dovremmo riprenderci quello che è essenziale nella fede e cioè il Mistero Pasquale: “Vita mutatur non tollitur”, cioè “La vita cambia, non è tolta”.
Per questo la morte da sempre nella tradizione della Chiesa è celebrata: c’è il lutto, c’è il dolore, c’è il sentimento della perdita ma soprattutto quello che è significativo e determinante è “il rivedersi”, il “reincontrarsi”. È un lutto per la perdita, per l’assenza temporanea ma non per la perdita definitiva. Ci ritroveremo. La luttuosità ha ridotto la dimensione terribile della morte. Secondo San Paolo la morte è entrata nel mondo attraverso il peccato e una volta che l’uomo è stato redento dal peccato, risorgerà. Gesù è la primizia di tutti i risorti. Per la Chiesa la morte è un transito e non è una fine. Ma, certamente, la comunità cristiana avrà a che fare sempre di più con docce scozzesi, tutte le volte che dovrà fare i conti con una società che va per conto suo e dovrà tentare di metterla d’accordo con le sue tradizioni che sono sensibilmente diverse. Ci risiamo: se la Chiesa vuole essere del mondo è un po’ meno se stessa; se vuole essere se stessa è un po’ meno del mondo. Per capire come stanno le cose tra noi potremmo semplicemente domandarci: i genitori che si son fatti in quattro per i travestimenti dei loro La Lettera dicembre ‘18
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bambini, che li hanno accompagnati a fare “trick or treat?”, che hanno preparato torte e biscotti con croci, lapidi con le iniziali R.I.P (riposa in pace), hanno accompagnato nella festa di Ognissanti gli stessi figli a celebrare il Mistero Pasquale nell’Eucarestia (cioè sono andati a messa)? Hanno fatto una preghiera al Santo di cui portano il nome (è l’onomastico di tutti)? Li hanno accompagnati tra le tombe dei cari? Forse è qui che bisogna lavorare… anche con i nativi digitali. La Danza macabra, il Trionfo della morte e l’ Incontro dei tre vivi e dei tre morti fanno parte del grande ciclo di affreschi del 1484 - 1485, come riportato dai registri della congregazione, posti sull’esterno dell’Oratorio dei disciplini di Clusone, sul sagrato di fronte alla basilica di santa Maria Assunta, dipinti dal pittore clusonese Giacomo Borlone de Buschis.
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Titolo Titolo Titolo [2 novembre 2018 A cura di don Giampaolo]
Caligola è un’opera teatrale che lo scrittore, romanziere e saggista Albert Camus (Mondovi, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960), ha scritto, riscritto e pubblicato nell’arco della sua intera vita nel 1937, nel 1941 e, poco prima di morire, nel 1958. Per il giorno di ricordo e preghiera per i nostri defunti, abbiamo scelto un dialogo tra Caligola e il suo servo Elicone. Si tratta di un dialogo nel quale Caligola esprime il suo desiderio più profondo, la realtà più vera che abita il
La luna. Sì, volevo la luna
suo cuore: volere la luna. E cioè: l’impossibile. Il desiderio infatti è proprio così: non si accontenta mai. Ed è desiderio di vita, di bellezza e di godimento di vita. Camus l’avrebbe descritta come vita sotto il sole, quel sole di Algeria e del Mediterraneo che scalda e fa sentire vivi; e le acque di quel mare che lasciano la loro salsedine sui giovani corpi dei ragazzi che si concedono una nuotata e, per tutto questo, si sentono davvero vivi. Ma c’è altro che riempie la vita ed è l’amore, gli affetti. Caligola
Elicone: Buon giorno Caligola. Caligola: Buon giorno Elicone. Elicone: Sembri affaticato. Caligola: Ho camminato molto. Elicone: Sì, la tua assenza è durata a lungo. Caligola: Era difficile da trovare. Elicone: Che cosa? Caligola: Ciò che volevo. Elicone: E che volevi? Caligola: La luna. Elicone: Che? Caligola: La luna. Sì, volevo la luna. Elicone: Ah, e per fare cosa? Caligola: E’ una delle cose che non ho. Elicone: Sicuramente. E adesso È tutto a posto? Caligola: No, non ho potuto averla. Sì, ed è per questo che sono stanco. Tu pensi che io sia pazzo. Elicone: Sai bene che io non penso mai. Sono troppo intelligente per pensare. Caligola: Sì, d’accordo. Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano
amava una donna, Cesonia, che morirà inopinatamente e che lo porterà a soffrire, a fare l’esperienza di ciò che ostacola invincibilmente il desiderio: la morte. Eppure Caligola non può non continuare a desiderare. Desiderare l’impossibile. Nel brano del dialogo riportato Elicone cerca di relativizzare il fatto della morte di Cesonia ma questo avvenimento è, per Caligola, la prova che gli uomini muoiono e non sono felici ma, insieme che essi sono mossi dal desiderio dell’impossibile.
soddisfacenti. Elicone: E’ un opinione abbastanza diffusa. Caligola: E’ vero, ma non lo sapevo prima. Adesso lo so. Questo mondo così com’è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna, o della felicità o dell’immortalità, di qualcosa che sia demente forse, ma che non sia di questo mondo. Elicone: E’ un ragionamento che sta in piedi. Ma, in generale, non lo si può sostenere fino in fondo, non lo sai? Caligola: E’ perché non lo si sostiene mai fino in fondo che non lo si sostiene fino in fondo. E non si ottiene nulla. Ma basta forse restare logici fino alla fine. Elicone: Io so ciò che pensi. Quante storie, per esempio per la morte di una donna. Caligola: No, Elicone, non è questo. Mi sembra di ricordare, è vero, che alcuni giorni fa è morta una donna che io amavo. Ma cos’è l’amore? Poca cosa. Questa morte non è niente, te lo giuro. Essa è solo il segno di una verità che mi rende la luna necessaria. E’ una verità molto semplice e perfettamente chiara, un po’ stupida forse, ma difficile da scoprire e pesante da portare. La Lettera dicembre ‘18
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Elicone: Ma, in fin dei conti, qual è la verità, Gaio? Caligola: Gli uomini muoiono e non sono felici. Elicone: Andiamo, Gaio, questa è una verità con la quale ci si può benissimo arrangiare! Guardati attorno; non è questa una verità che impedisca loro di mangiare, per esempio. Caligola: Allora è che tutto attorno a me è menzogna. E uno che mangia carne così è un mentitore. E io voglio che si viva nella verità. Da imperatore voglio che si viva nella verità, e io ho proprio i mezzi per farli vivere nella verità, poiché io so ciò che manca loro, Elicone. Sono privi di conoscenza e manca loro un professore che sappia ciò di cui si parla. Elicone: Non offenderti, Gaio, di ciò che ti sto per L’esito della storia di Caligola sarà il tentativo di giungere all’impossibile con il potere, il potere che lui, imperatore dei romani, aveva tra le mani. In realtà, questo potere diventerà tirannia e dispotismo. Caligola non saprà trovare un senso alla vicenda umana e così il suo potere si trasformerà in arbitrio assoluto e, ultimamente, in vera e propria pazzia. Nella figura di Caligola, molti videro i dittatori che segnarono profondamente la storia del mondo nella prima metà del Novecento trascinando milioni di persone nella II Guerra Mondiale. A noi, per stasera, basta sentire la provocazione che l’opera di Ca-
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dire, ma dovresti prima riposarti un po’… Caligola: Non è possibile. Non sarà mai più possibile: dopo aver viste queste cose non è più possibile. Elicone: Perché dunque? Caligola: Ascolta, Elicone, sento dei passi e un rumore di voci. Non parlare e dimentica di avermi appena visto. Elicone: Ho capito. Caligola: E, ti prego, aiutami ormai. Elicone: Non ho ragioni per non farlo, Gaio, ma non so molte cose e poche mi interessano. In che cosa ti posso aiutare? Caligola: Nell’impossibile. Elicone: Farò del mio meglio.
mus ci porta: gli uomini cercano la felicità e però muoiono. È questa la situazione dell’uomo? Che senso ha la sua vita? Perché se non ha senso, allora tutto è possibile. La vita si trasforma nell’arbitrio del più forte. Il tentativo di Camus di trovare senso alla vicenda umana E dunque, chi è l’uomo e che gli resta? All’uomo resta questa vita, la vita di questa terra. E gli rimane la sua capacità di amare, di voler bene, di volere il bene dell’altro. Ne La peste, forse il suo romanzo più famoso, il protagonista della storia è un medico, Rieux, che rimane in mezzo agli appestati e lotta con tutta la sua scienza e le sue forze per curare e guarire. Egli è ben consapevole che non può salvare da morte nessuno. Ma sa che il suo lavoro può essere utile a donargli una salvezza provvisoria eppure preziosa, a prolungare la vita a qualcuno, a donare ancora un po’ di felicità, un po’ di possibilità di vivere sotto il sole, illuminati e riscaldati
dalla sua luce. Dunque la vicenda dell’uomo è segnata dall’ineluttabile ma, altrettanto, è insopprimibile in lui il desiderio di vita, di pienezza. L’uomo è come Sisifo, un personaggio della mitologia greca il cui destino era quello di portare un masso pesantissimo dal fondo, alla cima di un monte. Giunto in cima, poi, Sisifo perdeva la presa del masso e assisteva impotente al suo rotolare in basso. Così, egli doveva tornare là dove il masso era giunto e riprendere la fatica. E questo senza fine. Rieux è come Sisifo che non rinuncia mai al suo compito l’unico dignitoso - di dare dignità agli altri suoi simili. Da questo punto di vista, l’uomo giusto è colui che sacrifica il suo godimento per la vita perché altri possano avere un po’ più di vita. Una santità senza Dio Camus ha una convinzione: l’uomo è veramente se si pensa come uomo in rivolta. Ed ecco la vera rivolta che l’uomo può fare: rivoltarsi al male per lottarvi contro, per
fare il bene. Il vero santo è la persona onesta che si dà da fare per il bene degli altri. Camus non vuole usare la parola santità o eroismo e nemmeno la parola carità. A queste parole preferisce onestà, umanità e tenerezza. Potremmo dire che questo scrittore vuole togliere ogni enfasi e ogni retorica alla descrizione del bene. Anche noi, uomini del XXI secolo, sentiamo di assomigliargli: quando il bene è sbandierato, è affermato con gli altoparlanti, a noi non sembra più tale, perché perde alcune caratteristiche che ad esso ci sembrano necessarie, come l’umiltà, la generosità e la gratuità. In fondo, Camus, per il sospetto che ha nei confronti di un bene esibito, ci invita a viverlo contenti solo si averlo messo in atto. Certo, è un bene che non ha pretese. Non ha l’ardire di essere una salvezza! È un bene che soccomberà alla morte, è un bene - una tenerezza - senza scampo. In fondo, potremmo dire che per Camus, l’uomo è chiamato a dedicarsi all’altro uomo perché egli possa sperimentare un po’ di felicità su questa ter-
ra. E la felicità è appunto solo di questa terra: è una “felicità quantitativa” e cioè capace di prolungare di un poco il tempo di vita, sapendo che comunque andrà a finire. La felicità che ci possiamo regalare reciprocamente non potrà essere mai di “qualità”... La giornata dei defunti Noi cristiani, proprio il giorno successivo alla festa di Tutti i Santi, celebriamo la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Probabilmente siamo andati al cimitero a far visita alle tombe dei nostri cari e abbiamo visto altre persone che hanno fatto parte del nostro piccolo-grande universo per un po’ di tempo. Ma come ci siamo andati? Come siamo qui? Potremmo essere qui come il pensiero di Camus ci porta ad essere: degli sconfitti che però
affermano la loro dignità e la dignità di coloro che li hanno preceduti, almeno nel caso in cui ricordiamo i gesti di bene che i nostri morti hanno posto durante la loro esistenza. Se fossimo qui così, però, non saremmo ancora cristiani. Noi siamo qui perché abbiamo conosciuto un Dio che con infinita umiltà ha voluto condividere il nostro desiderio infinito di vita e ha affrontato la morte non smettendo di amare. Questo Dio si chiama Gesù. Egli ha amato profondamente la vita, ha saputo guardarla con occhi meravigliati e riconoscenti: anche lui ha goduto del calore del sole del mediterraneo, ha saputo contemplare la bellezza dei gigli e il mistero per il quale da un seme piccolissimo germina una pianta e la vita si rinnova. Ha saputo godere dell’amicizia e della solidarietà. Ha riconosciuto anche oltre i volti segnati dal peccato e dal male il desiderio del bene, il bisogno di essere amato e di trovare qualcuno da amare. Questo uomo - nemico del male, del dolore e della morte - ha vissuto nella fiducia di un Padre ed è morto senza creare scalpore intorno a sé, non smettendo di amare. La Lettera dicembre ‘18
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Gesù e la sua Pasqua è il centro della nostro ritrovarci Questo Gesù, Dio fatto uomo, è morto, sì. Ma proprio perché è morto amando e perdonando, Dio, che lui ha sempre te-
neramente chiamato Abbà - e cioè Padre - lo ha risuscitato! Noi dunque non siamo qui oggi per dire la nostra volontà di vivere una disperata onestà ma per affermare una speranza, quella speranza che viene dalla risurrezione di Gesù! Questa speranza ci fa dire che l’ultima parola sulla vita non è la morte e che la vera rivolta è, direbbe san Giovanni, credere all’amore, alla carità. Questa speranza ci dà la forza di essere più umani, attenti e sensibili ai dolori e alle fatiche degli al-
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tri. Incapaci di essere felici da soli, ma disposti a condividere il bene di cui si è gratificati nella vita. Incapaci di quell’egoismo che ci chiude in atteggiamenti di difesa nei confronti degli altri visti come una possibile minaccia, come competitori nella corsa per il benessere. Questa speranza ci permette di rischiare su questa terra ad accogliere, a voler bene, a creare amicizie, ad ascoltare, a non giudicare... Questa speranza ci fa anche talmente forti da perdonare i torti subiti. E ancora: questa speranza ci fa dire che i gesti di amore che i nostri cari sono stati capaci di compiere nella loro vita non sono ora perduti, portati via dal vento del tempo che passa inesorabilmente e dall’oblio che prende le generazioni. Questi gesti di amore sono, in realtà, per chi spera la speranza cristiana, semi che non smettono di germogliare e di dare frutti, come la vita di Gesù che non ha smesso di sboccia-
re e di far fruttare nuova umanità. Questa speranza ci fa dire che anche i peccati dei nostri morti, i gesti comandati dalla paura e dalla rabbia, non hanno il potere di rimanere e condizionare il loro futuro e il nostro presente. Questi sono perdonati. E anche noi siamo perdonati nel male che abbiamo loro fatto, nel bene che non abbiamo loro fatto a sufficienza. Questa speranza ci fa dire che sarà possibile un nuovo e definitivo incontro con loro, un incontro nel quale non ci sarà nemmeno bisogno di chiedersi scusa ma sarà invece un abbraccio, un ritrovarsi nel bene, nel dono, nella vita che il Dio di Gesù ci assicura per sempre. L’immagine che ci guida in questi giorni.... Camus, verso la fine della sua vita, si era soffermato proprio sul fatto che nessuno tra gli uomini poteva salvare gli altri senza aver bisogno di essere salvato lui stesso. La parola salvezza, in lui non trovò mai molto spazio. Eppure forte in lui fu la consapevolezza che il male - come l’epidemia della peste - si diffondeva in ogni cuore, nessuno escluso. Così, anche per Camus, Gesù Cristo è l’unico che abbia voluto il perdono e la misericordia su tutti.
Ed è morto - Lui, Gesù - con questa innocenza, invocando il perdono per gli uomini. Egli, lo scrittore a cui fu assegnato il premio Nobel per la Letteratura nel 1957, non giunse mai alla fede. Per lui Gesù rimase l’uomo perfetto, l’unico uomo capace di gridare la sua rivolta al male anche dalla croce dove era inchiodato. Ma, certo, provoca molto noi cristiani riguardo la nostra fede. A quale valore ha per noi. E a quale valore ha proprio riguardo il tema per eccellenza del nostro essere uomini e cioè lo scontro tra il desiderio di vita e il nostro essere mortali. A come, poi, la testimoniamo. Davvero noi crediamo che la nostra grandezza non ha la sua base in noi stessi ma nel Dio che non solo ci ha creati ma ci ha redenti? Davvero crediamo che l’amore e cioè la carità non muore? Davvero crediamo che santità non sia sinonimo di avere successo o di essere famosi ma che sia amore umile, autentico, spesso non visto, per ogni uomo, anche per il più piccolo e per il peccatore? Il dipinto dell’artista clusonese Angelo Balduzzi che abbiamo scelto per questi giorni, ci aiuta a guardare ai nostri defunti come a coloro che ci hanno insegnato a sognare (il titolo del dipinto è proprio “Insegnare a sognare”...). Forse è più giusto dire che essi ci hanno insegnato ad ascoltare il desiderio che abita il no-
stro cuore, il desiderio di vita e di vita buona, di vita umana. Anche quando, magari, hanno fatto qualche sbaglio. In questo giorno e nei prossimi giorni vogliamo guardarli come il padre del disegno che alza il dito verso il cielo, verso la luna e indica al bambino che la dignità dell’uomo sta proprio nel desiderare. Ma non solo: la dignità dell’uomo non sta solo nel desiderare, ma nello scoprire che Dio che l’ha creato così, come un desiderante, porta a compimento il suo desiderio di bene, proprio preservandolo dalla tentazione dell’imporre il suo desiderio sugli altri e aprendolo all’amore per gli altri, alla coltivazione di una felicità condivisa e all’accoglienza - soprattutto all’accoglienza - di un amore che perdona e salva. I nostri morti sono come un
papà che ci indica che la luna di Camus, in realtà, ha un volto che ascolta il nostro cuore, che si avvicina a noi, si china sulle nostre ferite e ci apre alla speranza. Forse, essi, sono stati fatti dalla misericordia di Dio anche come le stelle che ci aiutano a camminare, danno la possibilità di orientarsi a chi ancora vive in questo mondo. Che il ricordo e la preghiera per i nostri cari non sia solo momento di nostalgia ma diventi coltivazione della speranza che ci fa essere testimoni di tenerezza e amore qui su questa terra e che ci porta a rinnovare la nostra fede che un giorno ritroveremo, infinitamente compiuti, i legami buoni che abbiamo vissuto con le persone le cui tombe in questi giorni visitiamo.
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[Decima edizione]
Grandi fiori multicolore scendevano dalla tensostruttura della Festa di Comunità, giunta alla sua decima edizione. Pare ieri, quasi in un accampamento tirato in piedi alla bell’e meglio, per dare corpo ad una battuta-sfida uscita al gruppo giovani: cosa dite di fare un fine settimana di festa, prima di iniziare il nuovo anno pastorale? E così siamo partiti. Il cerchio s’è man mano allargato, le strutture si son fatte serie e a norma, il programma sempre più nutrito, i volontari oltre il centinaio, i piatti appetitosi e abbondanti. Alle pareti della tenso abbiamo anche appeso un telo relativo ad ogni anno, raccogliendo così le tre parole d’ordine di ogni edizione, concatenate fra loro, per suggerire le tappe d’inizio anno. Le vogliamo ricordare di seguito: 2009: Cogliere – Accogliere – Raccogliere 2010: Volti – Rivolti – Coinvolti 2011: Tesi – At-tesi – Pro-tesi 2012: Vivere- Con-vivere- Condividere 2013: Stare- De-stare - So-stare 2014: I Pod (ascolto) I Phone (chiamata) I Pray (preghiera) 2015: Accanto, Dentro, Oltre 2016: Cura, Si-cura, Assi-cura 2017: Data, Cor-data, Ac-cor-data 2018: Tener-a-mente, A-mente, Amen. Ma, certo, non vogliamo un Amen per dire basta, ma per indicare un orizzonte, ed è quello dell’INsiemeCONLuiTRAnoi. Da lì siamo partiti e in questa direzione vogliamo camminare.
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Mi presento A forza di vedere i bellissimi disegni della chiese delle nostre Parrocchie, mi sono chiesta: e io chi sono? E’ vero, non sono una chiesa, con tutte le opere d’arte in esse racchiuse e con una storia di molti secoli, ma anch’io sono stata vincolata dalle Belle Arti e quindi significa che un valore ce l’ho. Inoltre, dopo tutti gli anni di attesa, di progetti, di lavori e di…soldini, perché non posso avere anch’io un bel ritratto? Ed eccolo qui. Ricordo bene ciò che il Vescovo Francesco diceva il 10 giugno 2017, giorno dell’inaugurazione: “Quando ho visto quello che avete fatto per accogliermi, sono rimasto, ero commosso, ero felice. Sono stato conquistato dalla bellezza. Chi è capace di resistere alla bellezza? Noi non vogliamo semplicemente una casa, ma vogliamo che la nostra casa sia bella. Può essere bella in mille modi. Però deve essere bella.” L’angolazione con cui sono stata qui ritratta, rende bene l’idea degli spazi che i diversi piani propongono. Dopo molti studi si era deciso di non separare nettamente i luoghi della vita di una casa con quelli comunitari e da qui anche il nome: non più canonica, ma Casa di Comunità. Ancora il Vescovo Francesco diceva: “Io vado a inaugurare chiese, oratori, a benedire altari, sono sempre momenti belli della comunità. E’ la prima La Lettera
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[Casa di Comunità]
volta però, da quando sono a Bergamo, che benedico, inauguro la casa… E adesso spero di non sbagliarmi o di dire cose strane, ma ho visto che noi inaugureremo non “la casa DELLA comunità”, mi ha colpito, almeno che non sia un errore tipografico, ma è la “casa DI Comunità”… Vi devo dire che mi è piaciuto tanto! La comunità in realtà è la vera proprietaria di questa casa. I sacrifici che avete fatto, la rendono ancora più vostra. “Casa DELLA Comunità” indica un possesso legittimo e bello, ci si tiene alle cose che si sentono proprie. Ma questo “DI Comunità” non indica soltanto un possesso, indica un progetto, il futuro di cui abbiamo così tanto bisogno. Come se appunto il farsi della Comunità trova in questa casa una possibilità ulteriore e questa casa offre alla Comunità un segno di riconoscimento, una specie di progetto visibile di quello che è la costruzione quotidiana della vita della Comunità, è una cosa meravigliosa. Dice, non solo il progetto di costruzione della casa, ma che questa casa diventa un emblema del progetto di costruzione della Comunità.” Entrando, si nota sopra il portoncino una data incisa nella pietra della chiave di volta: 1909. E’ rimasta così, dal secolo scorso, quando sono stata inaugurata. Qui, insieme ai sacerdoti che l’hanno abitata, (don Giovanni Battista Tode-
schini 1906-1945, don Giovanni Battista Ceroni 1946 – 1953, don Giovanni Migliorini 1953 – 1975, don Franco Lanfranchi 1976 – 1984, don Eliseo Pasinelli 1984 – 1993, don Mario Morè 1993 – 2000, don Elio
Artifoni 2000 – 2008), sono entrate persone, storie, fatiche e gioie di una Comunità. E sono anche uscite, per intrecciarsi con i vissuti della gente. Non a caso c’è un ponte a collegare il sagrato alla casa e viceversa: è il segno di un incontro che fa crescere. Nel giardino poi, ben evidente, si coltiva l’orto, come cifra di un terreno –quello comunitario- da lavorare continuamente, anche quando, magari, non dà i frutti attesi. Insomma,
un laboratorio di vita, come ci suggerisce il grande tavolo nel salone, adattato da un tavolo di lavoro da falegname. A dire il vero, per un po’ di anni ho temuto il peggio e cioè che non sarei più stata abitata. Ricordo i lunghi inverni al freddo, l’aria che sibilava tra le finestre rotte, le poche cose rimaste ammassate in un angolo e su tutto un senso di abbandono.
Mi consolava però sapere che si continuava a parlarne, se ne discuteva, si scriveva sulla Lettera e si sollecitavano gli Uffici di Curia e della Soprintendenza, addirittura con lenzuola appese al balcone di una casa che il Vescovo, salendo a Burligo per la festa patronale, non poteva non vedere. Ma ora eccomi qui: cucina, segreteria, saloni, cappella, bagni,
camere, studio…tutti spazi che fanno di questa casa – come concludeva il Vescovo nella sua riflessione - “la casa delle nostre relazioni, dei nostri rapporti, delle nostre famiglie, delle nostre Comunità. Che sia l’immagine della casa di Dio che è la Trinità. La casa in cui ci abbraccia tutti. Perché… tutti abbiamo bisogno di trovare la nostra casa.” La Lettera dicembre ‘18
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Il servizio di Maria Domenica 23 settembre la nostra comunità ha celebrato nella frazione Beita la festa della Madonna della Salette. A presiedere Eucarestia e processione è stato don Roberto Trussardi, nominato da poco Direttore della Caritas diocesana. Riflettendo sul vangelo domenicale, don Roberto ha sottolineato il tema del servizio, condizione indispensabile per essere discepolo di Gesù. Egli ha chiesto ai suoi di non preoccuparsi di avere i primi posti, ma di porsi come servitori degli altri e in particolare della comunità. E non c’è miglior modo di mettersi al servizio, se non quello di stupirsi delle cose che gli altri portano con sé. L’esempio è quello del bambino: nella meraviglia delle cose che vede nel mondo, si pone disponibile all’ascolto e ad accogliere quello che l’altro dispone, compreso la Parola di Dio. È stato così per Maria, che si è fatta serva, proprio perché ha ascoltato gli altri e in particolare si è fidata di Dio, donando tutta se stessa nel ricevere il disegno di Dio su di lei. La festa in onore della Madonna oltre alla Messa e alla processione, è terminata poi sotto lo stand dove è continuato il clima di festa che già durava da alcuni fine settimana. E per quello vissuto, nell’invito all’ascolto, c’è il ringraziamento fatto per chi ha predisposto la liturgia, nella preparazione della festa e nello stare insieme. La Lettera
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[a cura di Davide]
P.S. Mentre completiamo la Lettera giunge anche l’approvazione da parte della Soprintendenza e della Curia per i lavori interni della Chiesa. Il Consiglio Affari Economici, insieme al Consiglio della Beita ha valutato i preventivi arrivati, scegliendo la ditta che eseguirà i lavori edili. Martedì 18 dicembre alle ore 20.30, nella chiesa della Beita sarà fatta la presentazione dei lavori a tutta la comunità. Finalmente potremo partire. «Dopo vent’anni don Claudio lascia Caritas e arriva un nuovo direttore, don Roberto. Certo cambia la testa, ma il corpo resta lo stesso. Restano i poveri, i volontari, i benefattori, gli operatori». Con questo messaggio pubblicato sul web la Caritas di Bergamo ha ufficializzato a settembre, l’avvicendamento alla guida dell’istituto in via del Conventino. «Resta il cuore della Chiesa e la sua carità, il suo amore per gli ultimi — prosegue l’annuncio della Caritas, accompagnato da un grazie a don Visconti —. Cambiare è sempre un momento delicato, atteso e temuto. Ma cambiamo solo la testa. Resta tutto il resto. E questo dovrebbe essere un conforto: per chi parte, perché sa che ciò per cui ha faticato, lottato, ciò che ha fatto e le persone che ha incontrato restano e i semi gettati sul terreno buono continueranno a portare frutto; per chi arriva, perché non parte da zero, ma si inserisce in una storia da cui imparare, in un fiume che scorre e a lui chiede solo di essere testa, non anche fiato e gambe; e per chi resta perché la fatica delle cose nuove serve solo a rimanere fedeli al mandato di sempre, che è di scegliere gli ultimi, e di farlo come comunità».
Madonna del Rosario
Gomitoli colorati nei cesti dei fiori in chiesa, gomitoli portati in processione, gomitoli affidati a tutti i ragazzi della catechesi. Anche don Antonio Facchinetti venuto da Caravaggio dove risiede -nella sua azione pastorale che coinvolge diverse Diocesi lombarde - per presiedere la festa della Madonna del Rosario, si è sorpreso di tutto questo, riprendendolo nella sua riflessione. E’ infatti il segno di questo anno pastorale, guidato dalla lettera del Vescovo: “Uno sguardo che genera” e dalla pagina evangelica dell’annunciazione. Nella Domenica del mandato, poi, abbiamo imparato a fare la lana, con il solo uso delle mani. Di tappa in tappa, uniremo il pezzo realizzato da ciascuno per fare una grande “coperta” che porteremo poi nella processione del Patrono, a giugno. Ci siamo ispirati in questo ad alcune immagini dell’annunciazione, dove Maria è rappresentata mentre fila il velo del tempio. Le sue mani tessono, mentre nel suo grembo si sta tessendo la carne del Figlio di Dio. Allora, in questa tessitura raccogliamo tutte le iniziative del nostro camminare insieme alla luce del Vangelo. Nell’omelia don Antonio si è
prima rivolto ai bambini e ragazzi, sottolineando lo stupore, l’entusiasmo, la fiducia che caratterizza questa età, unita alla vivacità significata anche dal gioco dei gomitoli colorati. Poi, pensando alla prima lettura, “non è bene che l’uomo sia solo”, ha rimarcato che “nessuno ama la solitudine. Noi non abbiamo bisogno solo di cose o di animali che in qualche modo sostituiscono le relazioni umane. Noi siamo di aiuto agli altri, abbiamo bisogno di queste relazioni, in particolare di quella tra mamma e papà, tra marito e moglie che corrisponde ad un progetto di Dio. Nella seconda parte della riflessione ha messo in luce i tre grandi misconoscimenti: -Il misconoscimento del reale. Oggi i fatti non si distinguono dal reale, montiamo dei castelli: allora bisogna tornare all’essenziale, cioè a cosa è giusto e vero, quale è il fatto che succede e non la cornice. -Il misconoscimento dei volti. Quante maschere, come sui social, per nascondere i nostri limiti: allora dobbiamo ritrovare il Volto, il volto di Maria nell’Annunciazione. -Il misconoscimento del pensiero. Quello che noi pensiamo, questo è il bene di tutto: allora
dobbiamo cercare ciò che mette in dubbio quello che noi pensiamo. La festa di oggi ci insegni a riconoscere il vero volto: noi siamo figli di Dio, questo conta veramente.
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San Carlo A Burligo festa patronale di Domenica, nel giorno esatto del calendario liturgico: 4 novembre, San Carlo Borromeo. Le celebrazioni sono state presiedute da Mons. Dante Lafranconi, Vescovo emerito di Cremona, dove ancora risiede. Con uno stile pacato, che scende nel cuore, ci ha guidati nella riflessione partendo dalla domanda rivolta al Santo: “Cosa ci dici San Carlo, oggi, per vivere il nostro cammino?” Così, ripercorrendo la Parola di Dio e alcuni momenti della vita del Santo, ci ha affidato alcune risposte: -coltivare la nostra fede, soprattutto nell’ambito familiare, lì dove le parole si concretizzano nell’esempio e nella testimonianza; -riformare continuamente la nostra vita, non aspettando che siano gli altri a cambiare; -trovare forme nuove per concretizzare i valori e le scelte che chiedono di tradursi in categorie vicine al vissuto di ciascuno. La preghiera liturgica è continuata poi con la processione, percorrendo quella strada che normalmente facciamo, preceduti dalla croce (perché è il suo dono d’amore che ci mette continuamente in cammino), portando lo stendardo che da una parte ha l’immagine di San Carlo e dall’altra l’Eucarestia (il cibo dei pellegrini) e accompagnando la statua del Santo, guidati dalla preghiera composta dal Card. Carlo Maria Martini e dai canti. Dopo la benedizione abbiamo donato al Vescovo Dante un bel cesto con prodotti tipici di Burligo (i casoncelli li avevamo gustati la sera prima nella cena nel salone), perché ritornando a Cremona, potesse sentire ancora il “profumo” buono di Burligo. E ci auguriamo che anche le feste, il ritrovarci insieme, il sistemare gli ambienti, il fare i casoncelli, il ritrovarsi per le celebrazioni e la catechesi…siano occasioni per diffondere il profumo buono della dedizione e della fraternità.
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[Festa patronale a Burligo]
Vogliamo affidarci alla guida sicura delle tue mani. Esse ci conducono alla croce. Noi guardiamo Gesù crocifisso. Sentiamo il bisogno di meditare e di tacere a lungo. Sentiamo anche il bisogno di parlare per dirti grazie e per far conoscere a tutti gli uomini le meraviglie del tuo amore. La croce di Gesù è il gesto supremo della tua alleanza con noi peccatori. Ti rendiamo grazie, o Padre, per tutti i doni di vita che ci hai offerto nel Figlio tuo Gesù e che sono compendiati nell’eucaristia. Ti rendiamo grazie perché nell’eucaristia tu stesso ci offri il modo di renderti grazie come a te si conviene, nel Figlio tuo Gesù. Aiutaci a vivere sempre in rendimento di grazie. Fa’ che celebriamo l’eucaristia con il cuore puro, con l’animo preparato, in piena obbedienza a quanto Gesù ci ha comandato e la Chiesa ci insegna. Fa’ che l’eucaristia sia il centro, il modello, la forza plasmatrice di tutta la nostra vita. Specialmente nel giorno del Signore ogni credente e ogni comunità apprezzi il dono inestimabile dell’eucaristia; lo accolga come segreta energia di tutta la vita; lo rechi ai malati; lo trasfonda in opere di carità, in incontri di amicizia, in momenti di ristoro e di gioia; lo proponga al mondo d’oggi come messaggio di speranza e di riconciliazione.
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Casa viva
FINE LAVORI impegno totale € 1.095.681 di cui 1.079.681 liquidati RINEGOZIATO NUOVO MUTUO di € 410.000 RINEGOZIATO NUOVO MUTUO di € 410.000 Nr.4 rate per un importo di €per51.250 FINE LAVORI impegno totale € 1.095.681 trimestrali di cui 1.079.681 liquidati Nr.4 annuo rate trimestrali un importo annuo di € 51.250 XXXII RATA
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XI RATA X RATA
IX RATA
Dolcissima e gloriosissima Madre di Dio e nostra, noi Carabinieri d’Italia, a Te eleviamo reverente il pensiero, fiduciosa la preghiera e fervido il cuore! Tu che le nostre Legioni invocano confortatrice e protettrice con il titolo di “VIRGO FIDELIS”. Tu accogli ogni nostro proposito di bene e fanne vigore e luce per la Patria nostra. Tu accompagna la nostra vigilanza, Tu consiglia il nostro dire, Tu anima la nostra azione, Tu sostenta il nostro sacrificio, Tu infiamma la devozione nostra! E da un capo all’altro d’Italia suscita in ognuno di noi l’entusiasmo di testimoniare, con la fedeltà fino alla morte l’amore a Dio e ai fratelli italiani. Amen!
V RATA IV RATA Palazzago, 30
Carabinieri
settembre 2018. III RATA Inaugurazione del Monumento dedicato a tutti i Carabinieri caduti in servizio. II RATA Il significato di questa giornata è stato dimostrare riconoscenza verso i Carabinieri e verso tutte quelle persone ed Enti che vigilano sulla nostra sicurezza e sull’ordine della nostra Nazione. Questa giornata si è aggiunta a una serie di iniziative che l’Amministrazione comunale di Palazzago realizza con convinzione per dare un messaggio alle proprie nuove generazioni perché sappiano e riconoscano determinati valori quali il senso di appartenenza alla propria Nazione, lo spirito di sacrificio, il senso del dovere, l’onestà, la lealtà; perché riconoscano il valore e l’importanza di avere persone che si mettono al servizio della Comunità. Da un incidente che 40 anni fa ha spezzato la vita di tre giovani Carabinieri modificando l’esistenza delle loro famiglie (Ten. Braconi, Brig. Sarti, Brig. Proietti), è nato il desiderio - condiviso con gli imprenditori e la popolazione - di ricordare l’avvenimento, ma anche di creare un monumento dedicato a tutti i Carabinieri caduti in servizio. L’elicottero precipitato si chiamava Fiamma 47. Da qui la forma di fiamma del monumento con un 4 e un 7 stilizzati. Con la Preghiera del Carabiniere al centro, quasi ad altezza di bambino. Perché i nostri alunni delle Elementari, passandoci davanti ogni IV Novembre con le scuole, possano leggere di quella “Dolcissima e Gloriosissima Madre di Dio e nostra” a cui è dedicata. E possano leggere e ricordare, in finale di preghiera, ciò che ogni Carabiniere ha recitato e recita: “…suscita in ognuno di noi l’entusiasmo di testimoniare, con la fedeltà fino alla morte, il nostro amore a Dio e ai fratelli italiani”. E apprendendo questo possano sorridere ad ogni Carabiniere che incontrano nella vita. Michele Jacobelli, Sindaco di Palazzago
Arcabas È morto Arcabas, come avevamo già indicato sulla seconda di copertina dello scorso numero. Ma vogliamo qui ricordarlo e ringraziarlo per i tanti cammini che hanno attinto dalla sua interpretazione del Mistero. Per l’uso del colore e di un diffuso senso del fiabesco è considerato il “pittore della fede felice” e noi lo abbiamo visto nelle tante copertine della Lettera. Jean-Marie Pirot, questo il nome di battesimo, è scomparso all’età di 91 anni a Saint-Pierre-de-Chartreuse, nell’Isère, dove viveva dal 1986. La sua fonte principale d’ispirazione è stata la Bibbia, dando vita a un’arte sacra semplice e accattivante, intrisa di un senso fiabesco ma attenta alle istanze del moderno, seppure addolcite; il suo stile era molto apprezzato per l’uso esuberante e festoso del colore, in cui abbondava l’uso - anche simbolico - dell’oro. Era nato a Trémery il 26 dicembre 1926. Di madre tedesca e di padre francese, Arcabas aveva trascorso l’infanzia a Metz. Durante la Seconda guerra mondiale viene arruolato nell’esercito tedesco, ma riesce a disertare e a rifugiarsi a Parigi, dove frequenta l’École nationale supérieure des beaux-arts e si diploma nel 1949. L’opera più importante di Arcabas - un nome preso da graffiti disegnati sui muri di Parigi durante le agitazioni studentesche del maggio 1968: «Arc-en-ciel» e «A bas Malraux !» - è il monumentale “Ensemble d’art sacre contemporain”: un ciclo di decorazioni per la chiesa de Saint-Hugues de Chartreuse iniziato nel 1953 e terminato nel 1986. Il progetto
nacque con il parroco Raymond Truffot, un prete operaio. Arcabas si offrì di decorare la sua chiesa gratuitamente. Saint-Hugues de Chartreuse dal 1984 è diventata Museo Dipartimentale d’Arte Sacra e racchiude una consistente porzione delle opere dell’artista.
Anche in Italia Arcabas ha realizzato opere importanti. Nella chiesa della Risurrezione a Torre de Roveri (Bergamo) nel 1993-94 ha eseguito un ciclo di opere dedicate al racconto dei pellegrini di Emmaus, mentre nella Cappella della Riconciliazione di Costa Serina (Bergamo) una pittura su tela dedicata alla parabola del Figliol Prodigo. Nella chiesa della Trasfigurazione di Mussotto d’Alba (Cuneo) si trova un quadro raffigurante il volto di Gesù trasfigurato. Tra le altre opere di Arcabas da segnalare anche le tredici vetrate con scene tratte dal Vangelo di Marco nella chiesa di Notre-Dame-des-Neiges (1990) e i poli liturgici eseguiti per la cattedrale di Saint-Malo e la cattedrale di Rennes. Dal 1969 al 1972 Arcabas su invito del Consiglio Nazionale delle arti del Canada
fu professore all’Università d’Ottawa, dove creò “L’atelier collectif expérimental”. Al suo rientro in Francia, fondò e diresse l’atelier di arti plastiche “Eloge de la Main” presso l’Università di scienze sociali di Grenoble. “I giorni senza ispirazione - ha scritto Arcabas - sono quelli bui. Ci ricordano costantemente, come fa l’autore di Ecclesiaste, che tutto è polvere e ritorna alla polvere. Proprio questo fatto uccide ogni forma di gioia e di speranza. Ma a ben vedere, questa realtà nasconde un’altra assiomatica: questa polvere cosmica, più o La Lettera
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meno coagulata e assemblata in forme diverse, ha nel suo essere più intimo lo Spirito dell’Universo. Docile e amichevole, questo medium divino può essere condotto lontano, separato e reso diabolico. Ma, catturato nella sua unità innata, porta la chiarezza fosforescente del significato
e scorre, così, come un fiume incandescente verso un destino più grande, in una nuova forma nella Creazione. Questa è, per eccellenza, la materia prima, fatta di Terra e Cielo, che viene usata dagli artisti, questi imitatori franchi e aperti, ai quali Dio certamente concede il suo sorriso e la sua tenerezza”. Alcuni anni fa avevo chiesto ad Arcabas di dipingere la quindicesima stazione della Via Crucis, la risurrezione, da collocare in Chiesa parrocchiale. I lavori per la casa non permisero di procedere; mi rimangono le sue lettere con il progetto e tanta umanità e umiltà nello scrivere.
Pillole Appuntamento di metà settembre in Collepedrino con la festa del Sacro Cuore, la cui statua è stata portata in processione dopo la concelebrazione pomeridiana. Chi mancava ancora all’appuntamento in…alta quota? Don Roberto! Ed eccolo contento di salire per i divini misteri, beandosi dell’incantevole panorama che da lì si può ammirare fino alle guglie del duomo di Milano e al Monte Rosa. Chi avrebbe mai pensato, aggirandosi per la Contrada di Precornelli, in un pomeriggio domenicale pieno di sole, di incontrare don Giovanni Andrea Quarenghi, 1647-1717 (Dottore in Teologia, Rettore del Seminario, Consultore del Sant’Uffizio) i fratelli Fenili, Bortolo e don Pietro, 1800 (ferventi patrioti nel periodo della dominazione austriaca) e Giovanni Agazzi, soprannominato Barlinèt (principale animatore della guerriglia di Palazzago nel 1848 e poi nel 1859)? Sì, con altri personaggi dell’epoca, hanno condotto molte persone salite a piedi o con la navetta, a scoprire la storia e i segreti di Precornelli, rivelando angoli nascosti, assaporando cibi che hanno attraversato la storia, cimentandosi nei giochi di legno e lasciandosi cullare dalla musica delle fisarmoniche e dal tintinnio delle campane della chiesa di San Giuseppe. In paese cominciava a girare la voce: “mai visti tanti preti a Precornelli… con tanto di sagristi e perpetue…” Gli italiani di 65 anni o giù di lì non vogliono proprio sentir parlare di terza età: secondo un’indagine presentata alla London School of Economics, condotta intervistando oltre 12mila over 65 in diversi Paesi, due ultrasessantacinquenni italiani su tre dichiarano di non sentirsi affatto «anziani». Quattro su dieci pensano che la vecchiaia inizi davvero solo dopo gli ottant’anni: incoscienza giovanilistica di una generazione, o visione realistica di una terza età che non ha più i capelli grigi? Allora, a quanti anni inizia la terza età? Marco Trabucchi, presidente della Società italiana di psicogeriatria, propende per i 75 anni. In ogni caso noi continuiamo a fare la festa della terza età. L’abbiamo celebrata Domenica 14 ottobre, insieme al mandato agli operatori pastorali e ai catechisti. E mentre i ragazzi si sedevano sulle panche in oratorio per il primo caldo e il resto al sacco. La terza età si sedeva per il pranzo al ristorante. Privilegio dell’età… Aggiungi un Borgo a tavola con Touring Club e Comune di Almenno S.B. In molti si sono dati appuntamento a fine settembre a Carosso-Cabacaccio con visite guidate ai monumenti del Borgo: torre mediovale, Chiesa Santa Margherita, Villa Saracena e incontrando lungo le viuzze, artigiani e espositori di prodotti tipici con degustazione, caldarroste, gara di pigiatura dell’ uva e ascoltando il concerto della band Dad-Gag e l’Orchestra Musicalmenno. Non poteva mancare il volo dell’…. Angela che, dall’alto dell’elicottero, sventolava a più non posso il tricolore. Chi ama chiama. Chiama chi ama. E’ iniziato con questo gioco di parole il percorso degli adolescenti, inserito nel contesto più vasto del tema dell’anno pastorale e del Sinodo “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Tappa significativa per l’ex terza media la Promessa d’impegno, seguita dalla pizzata e dalla serata insieme, in cui i “neofiti” han vissuto il loro passaggio agli adolescenti, segnati dal capo-tribù. L’appuntamento è sempre il lunedì, in Oratorio, con il momento iniziale insieme e la successiva suddivisione in gruppi. C’è posto, perché tutti chi-amati… La Lettera dicembre ‘18
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Chiara, sentita e anche concreta (come una mano che va al portafoglio) la testimonianza di don Agostino, originario del Congo, prete dal 1981, attualmente in ministero a Caserta, che ci ha accompagnato nella giornata missionaria. Ha potuto conoscere le nostre Comunità nelle diverse celebrazioni e negli incontri avuti, apprezzandone la vivacità e la partecipazione. I ragazzi hanno anche ascoltato il racconto della sua vocazione che ha a che fare con i sogni, la preghiera e quell’Ostia vista per la prima volta a cinque anni nelle mani di un missionario, con la domanda fatta alla mamma dopo messa:” ma quel “lavoro” lo possono fare solo i bianchi?” “No”, fu la risposta della mamma. Oggi lo fa lui, nero, tra tanti bianchi, qui in Italia. Più di cento catechisti hanno partecipato al corso di formazione con le Parrocchie della Fraternità, scegliendo tra Bibbia (libro di Giobbe), Liturgia (la celebrazione Eucaristica), Morale (I principi del cammino di libertà) e Arte (L’Annunciazione). Il corso di Bibliodramma ci è stato “rubato” dell’ex segretario del Vicariato, don Alex, entrato nella nuova mappatura della Diocesi in un’altra C.E.T. ha voluto portare là questa esperienza. Ma noi l’abbiamo ugualmente alcune Domeniche in Casa nostra… Artefede 11 ci ha tuffato nei secoli passati, sulla Via Rezia che collegava Aquileia alla Svizzera, nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini e tra Venezia e Milano, nella peste che falcidiava la popolazione, nei Vescovi Conti e in costruttori anonimi che ci hanno lasciato bellissime testimonianze del romanico che abbiamo fuori casa: San Tomè e San Giorgio. Una rotonda, più unica che rara e una chiesa a tre navate, con una Biblia pauperum di grande pregio. Attendiamo i restauri di San Nicola per completare il nostro itinerario, insieme alla Madonna del castello. E sarà Artefede 12. La XII edizione de “La musica di Dio” promosso dall’Assessorato alla Cultura, ha fatto risuonare nella chiesa parrocchiale di Palazzago la brillante esecuzione della composizione sinfonica “The Divine Comedy” nella quale il compositore americano Robert W. Smith illustra musicalmente alcune parti del poema, basata su uno spiccato realismo fonico. La voce narrante di Silvia Barbieri e la direzione del Corpo Musicale Pio XI di Villa d’Almè e di Vertova da parte di Danilo Belotti, ci hanno condotto nei quattro movimenti: Inferno, Purgatorio, Ascensione e Paradiso. Sono queste, “parole” decisamente più vicine al clima della Festa di Ognissanti e alla Commemorazione dei Defunti, rispetto all’irruzione debordante di Halloween, che nulla ha di cristiano. Ma certo, “trick or treat?”, “dolcetto o scherzetto?” sembra più rassicurante. La quinta edizione di Associazionando si è svolta nella terza settimana di ottobre, ma è partita molto prima nella programmazione con le diverse realtà associative del territorio che si sono poi rese disponibili con tanto di maglietta e gagliardetto, a prestare servizio nelle diverse serate. Ma è partita molto prima anche con i biglietti della sottoscrizione che, soprattutto un baffuto individuo, ha ampiamente piazzato, domandando non: “vuoi un biglietto?”, bensì: “quanti ne vuoi?” E come si fa a dire di no? La Lettera
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Con una colorita “lezione” sulle api, Isabelle si è presentata a “Caduta libera” il noto programma preserale condotto da Gerry Scotti- Isabelle, proveniente da un bel paesino, Palazzago, in Provincia di Bergamo. Dopo alcune risposte la botola si è aperta e ha trascinato la concorrente che potrà sempre consolarsi con la dolcezza del…miele. La sera successiva, dopo “il richiamo di quelli di casa” per la colorita lezione del giorno prima, si è persa nella foresta, anzi, nello zoo con le parole mimetizzate. Una pantera è sempre in agguato. Peccato. Ma, come direbbe Gerry, “ha fatto una bella figura”. Brava! Chi pensava che ci si fermasse a 7, numero altamente simbolico nell’orizzonte biblico, si illudeva. Infatti, in quel di Barzana, sono arrivati altri due dossi e siamo a 9. Sì, noi poveri cittadini di Palazzago che ancora non usufruiamo di droni e collegamenti spaziali, dobbiamo per forza passare in una delle due strade nel centro del paese con un continuo su e giù. Ma certo, per la sicurezza, questo e altro. Nell’orizzonte biblico anche il numero 12 è significativo. Vuoi vedere che…
Raccolta bagnata quella di San Martino: viveri per i poveri e sacchi gialli della Caritas per gli indumenti. Come sempre alcuni primati. Quello delle scadenze in questa edizione lo detiene un pacchetto di biscotti: 19 luglio 2015 e quello di stravaganza una confezione di pannolini. Neanche per bambini, per giunta… Forse avranno pensato che sono a lunga conservazione… L’animazione della Domenica pomeriggio in Oratorio, affidata ai gruppi delle diverse annate, è entrata a pieno regime. Così questa casa che abbiamo fatto bella rivisitandone tutti gli ambienti, continua ad essere un luogo e un tempo di incontro, grazie anche alla disponibilità di diversi volontari per il servizio bar e le pulizie. Continua anche la possibilità di utilizzo degli spazi per feste di compleanno, riunioni condominiali, incontri ed eventi. Prossimamente lanceremo anche un concorso per il logo. Da alcuni anni la catechesi adulti ha preso la forma dei gruppi nelle case, del bibliodramma, dei percorsi Artefede, senza dimenticare gli appuntamenti con i genitori della catechesi e dei sacramenti. E’ sicuramente in atto un bel movimento con due aspetti importanti: la corresponsabilità di alcuni laici nella progettazione e nella proposta (cosa che fino ad alcuni anni fa sarebbe sembrata impossibile) e una maggior partecipazione a livello numerico. In questa prima parte dell’anno pastorale abbiamo iniziato i sette gruppi nella case e quello nel salone a Burligo. Stanno partecipando più di settanta persone. Abbiamo già vissuto anche due appuntamenti del Bibliodramma guidati da Manuel e Laura. Provare per credere… No, non dormono solo (come sembrerebbe dalla foto scattata in un gioco serale). Nel giorno di sabato partecipano anche alla catechesi alle 18, alla messa alle 19, alla pizzata alle 20, all’animazione alle 21. E’ il gruppo di terza, media guidato da Luca e Francesca e animato da Luigi, Francesco e c. E ricordatevi di sparecchiare… La Lettera dicembre ‘18
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E sono 150
[A cura di Alberto Bonacina]
UN GRANDE TRAGUARDO, UN NUOVO PUNTO DI PARTENZA. Il Corpo Musicale “Gioacchino Rossini” festeggia nel 2018 il prestigioso traguardo. L’anno che si sta chiudendo ha rappresentato per il Corpo Musicale “Gioacchino Rossini” di Palazzago una tappa molto importante per la propria storia ultracentenaria fatta di volontariato, aggregazione e tanta tanta musica. Dal 1868 ad oggi la banda ha permesso a moltissime persone di conoscere ed appassionarsi alla musica, sempre in un clima di amicizia e di spensieratezza. La tradizione orale indica il 1868 come la data di nascita di un piccolo complesso di strumenti a fiato, denominato Bandì. A cavallo del secolo scorso ci fu l’unico momento di scissione dato da alcune disparità di vedute all’interno della banda, che, nel frattempo era aumentata considerevolmente di componenti, dando origine a due corpi musicali, indicati come Banda dei Neri e Banda dei Rossi. Dal 1906 al 1945 grazie all’opera del parroco Don Giovanni
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Battista Todeschini le due bande si riuniscono in un unico corpo musicale parrocchiale. La crescita del livello artistico venne affidata al maestro Giuseppe Nava che guidò la banda per molti anni. Dopo un periodo di stasi nei primi anni nel dopoguerra, a partire dagli anni ’60 Giovanni Panza prende in mano le sorti del complesso ed inizia ad avviare la fase di riorganizzazione e soprattutto ad occuparsi dell’istruzione degli allievi, oggi fiore all’occhiello della banda di Palazzago. L’inizio degli anni ’80 segna il momento fondamentale del definitivo salto di qualità della banda in quanto nel 1982 viene emanato il nuovo statuto diventando comunale e nel 1985 viene costruita l’attuale sede dove il corpo musicale settimanalmente si ritrova e si prepara per le proprie esibizioni. Fondamentale per tutto ciò è stata la presenza costante del presidente Giuseppe Zonca, della moglie Ivana e del maestro Giovanni Maffeis che da oltre 40 anni, con impegno e competenza, ha permesso di raggiungere un livello esecutivo sempre più alto. Da quel momento in poi c’è stata una
i n c e s s a n t e crescita sia a livello artistico che di espansione territoriale, portando la banda prima al di fuori dei confini provinciali per poi farsi conoscere anche a livello nazionale ed internazionale. Le tappe fondamentali di questo percorso, realizzato grazie alla volontà e alla passione dei componenti del corpo musicale, inizia nel 1983 con l’organizzazione del primo raduno bandistico provinciale con l’adesione di 13 corpi musicali. Nel 1985 venne organizzata la settimana della musica, con concerti, manifestazioni culturali e spettacoli folcloristici. La crescita del livello artistico e di consensi da parte della banda è sfociata anche nell’assidua partecipazione nella Rassegna Provinciale di Concerti Bandistici organizzata dall’ABBM (Associazione Bergamasca Bande Musicali), impegno che tutt’oggi rimane inalterato.
Titolo Titolo Titolo Nasce in quegli anni la tradizione di organizzare, ogni 2 anni, una gita in diverse località italiane ed europee, sia per trascorrere alcuni giorni in compagnia e rafforzare l’unione del gruppo sia per portare e far conoscere la musica della banda in giro per l’Italia e l’Europa. I corsi di orientamento musicale danno la possibilità di allargare il numero di componenti del corpo musicale che ad oggi conta circa 50 unità. Il 1998 fu un altro anno fondamentale per il corpo musicale, che in occasione del 130° anniversario di fondazione decise di affidare allo storico Gabriele Medolago la stesura di un libro nel quale ripercorrere la storia della banda dalla sua nascita fino a quel momento. L’opera, molto apprezzata, richiese un lavoro certosino di ricerca delle fonti e grazie alle testimonianze di chi in passato aveva in ogni modo partecipato alla vita della banda fu possibile ricostruire la storia del corpo musicale. L’ampliamento del numero di componenti e la sempre più crescente qualità espressiva degli stessi ha permesso alla banda, nell’ultimo ventennio, di poter allargare i propri confini sia in ambito nazionale che internazionale. Il primo passo verso questa direzione fu il gemellaggio con la Banda “Giuseppe Verdi” di S. Agata di Militello (ME). Nel periodo dal 4 all’8 gennaio 2000 i componenti della banda di S. Agata di Militello sono stati ospiti in quel di Palazzago concretizzando uno interscambio socio-culturale grazie all’affinità di intenti in campo musicale. L’iniziativa, preceduta e segui-
ta da visite guidate ai principali luoghi offerti dal territorio della zona, ha avuto il suo epilogo durante il ricevimento presso l’Amministrazione provinciale di Bergamo dove è avvenuto il protocollo di gemellaggio tra le due bande. Ovviamente di particolare rilievo artistico sono stati i momenti in cui entrambi i corpi musicali si sono esibiti sia singolarmente che contemporaneamente. A suggellare tale gemellaggio, la banda di Palazzago nel luglio del 2001 si è recata in Sicilia per terminare l’opera iniziata nel gennaio 2000. L’ospitalità della gente siciliana e le meraviglie paesaggistiche del territorio hanno lasciato un ricordo indelebile in quanti, compreso chi scrive, ha avuto la fortuna di partecipare a tale evento. Nel 2013, in occasione del 145° anniversario di fondazione la banda ha organizzato un altro gemellaggio, questa volta oltre confine, con l’Harmonie Municipale di Thiant (Francia). Dal 26 al 28 aprile 2013 i nostri colleghi francesi sono stati ospiti a Palazzago per una tre giorni all’insegna dell’amicizia e della musica. Il momento clou si ha avuto sabato 27 aprile con la sfilata delle due bande per le vie del paese ed il successivo concerto del corpo musicale francese, che ha strappato applausi a scena aperta. Come accaduto con la banda di S. Agata, anche in questo caso si è voluto chiudere il cerchio recandoci dal 30 aprile al 3 mag-
gio 2015 presso la cittadina di Thiant. In questa occasione la banda ha avuto anche l’onore di poter visitare il Parlamento Europeo di Strasburgo e soprattutto di esibirsi all’interno del cortile del palazzo. L’ospitalità degli amici francesi non è stata da meno rispetto a quella degli amici siciliani e tutt’oggi una piccola delegazione si reca una volta all’anno a Palazzago. Il 2015 è proseguito con la prima parte del gemellaggio che ad oggi resta il punto più alto della storia della nostra banda. Dal 27 al 30 giugno 2015 la nostra banda ha ospitato la Blue Lake Adults Band del Michigan (USA) in una tappa del tour estivo che tra giugno e luglio li porta ogni anno in Italia. La Blue Lake venne fondata nel 1966 tra gli altri da Leonardo Falcone, originario della provincia di Foggia, professore di Eufonio che emigrò in America a soli 16 anni. Nel corso dei 4 giorni trascorsi in Italia le due bande hanno avuto il prestigio di esibirsi presso la Piazza Vecchia di città alta e presso l’area socio ricreativa di Palazzago. E arriviamo al 2018. Un anno pieno di grandi avvenimenti per La Lettera dicembre ‘18
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la nostra banda la quale ha avuto modo di festeggiare a dovere il prestigioso traguardo dei 150 anni di vita. Da giugno a dicembre il corpo musicale si è esibito in più di 10 concerti, di cui 4 durante la storica visita nel Michigan (USA), dove siamo stati ospiti di alcune famiglie dei vari luoghi visitati. Abbiamo iniziato nel mese di giugno con il Concerto evento con l’esibizione contemporanea del Corpo Musicale di Mapello, del Corpo Musicale di Palazzago e dell’Orchestra Musicalmenno presso la Piazza del comune di Mapello, per poi proseguire con lo stesso format presso la Corte dell’ex Convento adiacente la rotonda di S. Tomè ad Almenno S. Bartolomeo, per concludere il mese con il concerto inserito nella festività del Santo Patrono presso la Piazza dell’Oratorio di Palazzago in collaborazione con l’Orchestra Musicalmenno. Dal 28 luglio al 6 agosto la nostra banda ha vissuto l’esperienza culturale più importante dei suoi primi 150 anni. Gli otto giorni trascorsi negli Stati Uniti, per chi ha avuto la fortuna di esserci, sono stati un mix di emozioni sia dal punto di vista artistico che paesaggistico. Abbiamo percorso addirittura
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quattro stati (Illinois, Indiana, Michigan e Wisconsin) consentendoci l’esibizione di fronte a tantissime persone, oltre a poter visitare luoghi a noi sconosciuti. La visita a Chicago è rimasta certamente nel cuore e nella mente di tutti i partecipanti cosi come quella al lago Michigan ed ai molteplici parchi nazionali presenti in quella parte degli Stati Uniti. Le forti emozioni vissute nel corso del periodo trascorso a contatto con culture ed usanze diverse si sono palesate ogni qualvolta si doveva partire per la destinazione successiva, dove nel momento dei saluti è scappata più di una volta qualche lacrima. Inutile sottolineare come questa esperienza abbia compattato ancora di più i componenti della banda e abbia acceso la voglia di crescere sempre di più. Proseguendo nella rassegna concertistica del 2018, nel mese di settembre la nostra banda si è esibita presso la Corte del Palazzo della Provincia di Bergamo
con la collaborazione del Corpo musicale di Mapello e dell’Orchestra Musicalmenno e presso la Fiera di Cremona nel contesto della manifestazione “Musica in Fiera”. Nel mese di ottobre, all’interno della festa della Associazioni, la banda si è esibita presso l’Area Socio Ricreativa con il concerto dedicato alla memoria di Gianbattista e Giovanni Rota Martir. A concludere l’anno nel migliore dei modi, nelle serate dal 22 al 24 novembre, come ormai succede da parecchi anni, la banda ha organizzato la propria festa presso l’area feste di Palazzago con tre serate condite da buon cibo e ottima musica. Tutto ciò a preludio della giornata di domenica 25 dove in occasione di S. Cecilia, patrona dei musicanti, il corpo musicale festeggerà ufficialmente i suoi primi 150 anni di vita con la presenza di autorità civili, religiose e militari, concludendosi con il pranzo sociale. Come da tradizione l’anno verrà chiuso dall’immancabile concerto di Santo Stefano il 26 dicembre presso l’area feste di Palazzago. Tutto ciò che è stato fatto finora da ogni singola persona che ha in qualche modo partecipato alla vita della banda di Palazzago ha permesso di arrivare a questo grande traguardo, sempre all’insegna della voglia di stare insieme e di condividere la passione che ci accomuna: LA MUSICA.
Titolo Titolo Titolo [A cura di Stefano]
Messa On Line
“… come mi piacerebbe partecipare alla messa in chiesa tutte le domeniche… con tutti i ragazzi, con i canti… ma faccio troppa fatica, ormai, a muovermi… e inoltre fa freddo…” “Ma come, nonna?? Non sai che la trasmettono in diretta tutte le domeniche?... e a volte anche le altre messe particolari!” “Davvero?? Non lo sapevo… Ma la trasmettono dove? In televisione? Come faccio a vederla anch’io?” Cara nonna… se continui a leggere questo articolo avrai tutte le istruzioni per poter seguire comodamente da casa tua, con l’aiuto magari del tuo nipotino che ne sa più di noi di ‘computer’… • Hai internet in casa? • Qualcuno in casa ha un account Facebook? • Hai una TV di ultima generazione, oppure un computer (meglio se portatile) oppure un tablet, un telefono smartphone? Se hai risposto sì alle 3 domande sopra, allora siamo ad un ottimo punto. Non ti serve altro che collegarti al sito WEB della parrocchia all’indirizzo www.oratoriopalazzago.it. Fai Click sull’immagine indicata dalla freccia nell’immagine sopra
In questo modo ti si aprirà la pagina di Facebook della Parrocchia.
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Qui potrai trovare tutte le settimane la letterina in formato digitale e, quattro volte l’anno, anche il Bollettino Parrocchiale in formato digitale. Pensa, nel sito ci sono tutti quelli pubblicati a partire 1985. Quando hai tempo prova a cercarle nel sito dell’Oratorio, potrai rivedere cose che abbiamo ormai dimenticato… Quindi ti consigliamo di seguire la pagina facendo ciò che è indicato nell’immagine qui sotto.
A questo punto il gioco è fatto. La domenica alle 10:30 accendi il tablet (o il portatile oppure direttamente la TV di ultima generazione) e direttamente sul profilo Facebook al quale ti sei connesso apparirà la Messa. P.S. A dire il vero, la storia della messa in diretta era partita per la nostra amica Cecilia che ci seguiva, con il papà, i volontari e altre persone, dalla sua casa a Valbrembo. Il papà di Cecilia, Egidio, che ha 92 anni, ha inviato una lettera nella quale, tra le altre cose, dice: “Stamattina abbiamo visto la S. Messa di Palazzago. Hanno festeggiato Santa Cecilia, hanno cantato e c’era la Banda che suonava. S. Cecilia ha lo stesso nome di mia figlia e la mia Cecilia che si trova in Paradiso sarà stata molto contenta che hanno suonato e cantato per la festa. Grazie Signore, grazie Madonna per questo dono di Dio…” La Lettera
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Battesimi Titolo Titolo Titolo Domenica 16 settembre, ore 11.30
Beatrice Gandolfi di Roberto e Benedetta Fittante, nata il 10 maggio 2018 Giorgia Rotini, di Marco e Stefania Alborghetti, nata il 14 luglio 2018 Emanuele Intra, di Efrem e Laura Panza, nato l’11 gennaio 2018 Andrea-Giovanni Locatelli, di Cristian e Adriana Mazzoleni, nato il 21 gennaio 2018 Moisés Capitanio di Grissel, nato il 27 aprile 2018.
Beatrice
Giorgia
Emanuele
Andrea-Giovanni
Moisés
Domenica 21 ottobre 2018 ore 10.30 Ginevra Rota, di Alessio e Loredana Carminati, nata il 28 febbraio 2018 Samuele-Giovanni Zanella di Giorgio e Maria Pia Pizzagalli, nato il 7 luglio 2018 Francesco Milesi di Andrea e Sara Butta, nato il 27 luglio 2018 Aurora Mazzoleni di Nicola e Sonia Bosco, nata l’8 agosto 2018
Ginevra
Aurora
Domenica 28 ottobre ore 11.30, Burligo Petra Gargantini, di Sergio e Paola Rota Nodari, nata l’8 giugno 2018
Samuele-Giovanni
Francesco
Matrimoni
Debora Calcaterra e Michelangelo Muscarà 22 settembre 2018 Chiesa Parrocchiale
Locatelli Lisa e Donadoni Roberto 21 luglio 2018 Barzana
Arianna Donadoni e Andrea Alborghetti 15 settembre 2018 Chiesa della Beita
Federica Mazzoleni e Mattia Leidi 21 settembre 2018 Chiesa Parrocchiale
Defunti TERESA CIMADORO ved. CASTELLI di anni 89, deceduta a Ponte San Pietro il 18 settembre e funerata a Palazzago il 21 settembre 2018
CESIRA VIGANÒ in LOCATELLI di anni 82, deceduta a Ponte San Pietro il 2 novembre, funerata e sepolta a Brembate il 5 novembre 2018
Il tuo entusiasmo e lo spirito vitale che hai sprigionato continuerà a sostenerci, nel tuo ricordo, rallegrando le nostre giornate. Con affetto, i tuoi cari
Ricordatemi così, con un sorriso, con una preghiera. I tuoi cari
ANTONIA MARIA ARRIGONI ved. SOLAGNA, di anni 80, deceduta il 15 ottobre e funerata a Palazzago il 17 ottobre 2018
SALVATORE ROTA di anni 87, deceduto a Ponte San Pietro il 19 ottobre, funerato e sepolto a Palazzago il 20 ottobre 2018
Non piangete, io continuerò ad amarvi al di là della vita. L’amore è l’anima e l’anima non muore. Con affetto, i tuoi cari GIAMPIERO MAZZOLENI di anni 71, deceduto a Ponte San Pietro il 29 novembre, funerato a Sotto il Monte il 1 dicembre 2018 e sepolto a Gromlongo. “Dio conceda a te, nel cielo, la pace dei giusti”. I tuoi cari
Nonostante il grande vuoto che ci hai lasciato, il dolce ricordo di te e l’amore che ci hai donato rimangono nei nostri cuori. Con affetto, i tuoi cari ANNA MARIA ARTIFONI di anni 84, deceduta a Torre Boldone il 29 settembre e funerata il 1 ottobre 2018 La comunità di Palazzago è vicina a don Elio per la perdita della cara sorella Anna, conosciuta durante la sua permanenza a Palazzago.
Anniversari BENEDETTI CATERINA in MAZZOLENI 4 dicembre 1999 4 dicembre 2018 Ti sentiamo sempre vicino, il tempo non potrà mai cancellare il tuo ricordo. Con affetto, i tuoi cari
PANZA BASILIO 11 ottobre 1984 11 ottobre 2018
CASTELLI SANTINA 2008 - 2018
BUTTA CARLO 2012 - 2018
Nel silenzio dei nostri cuori sentiamo viva la vostra presenza che ci sostiene e ci guida nel difficile cammino della vita. Con affetto, i vostri cari
TESINI GIOVANNI 1990 - 2018
BONACINA MARIA BAMBINA 30 dicembre 2011 30 dicembre 2018
BUTTA ELIA 2012 - 2018
GALANTE ELIDE vedova TESINI 2012 - 2018
Il tempo passa ma il vostro ricordo vive sempre nei nostri cuori. Con affetto, i vostri cari
Vi ricordiamo con grande affetto e con voi il vostro esempio di grande laboriosità, frugalità e sostegno famigliare. Aiutateci a seguire il vostro esempio mentre sempre preghiamo per voi. I vostri figli
GHEZZI CAMILLO 20 dicembre 1988 20 dicembre 2018
ROTA MARTIR GIAMBATTISTA 2009 - 2018 “Corri incontro al Padre... oggi la sua casa sarà in Festa per te” Vivi nella gloria di Dio e nel cuore dei tuoi cari.
Amato papà, sono passati trent’anni da quando ci hai lasciato, ma la tua presenza è sempre nei nostri cuori insieme ai valori che ci hai insegnato: fede, amore, umiltà e altruismo. Accompagnaci sempre nel nostro cammino. Con immutato affetto, i tuoi figli
PANZA CARLO 9 dicembre 2014 9 dicembre 2018 Sia dolce il tuo riposo come è stato grande il tuo amore per noi. I tuoi famigliari
CASTAGNETO EMANUELLA in Mazzoleni 19 dicembre 2013 19 dicembre 2018 Tu vivi tutti i giorni nei nostri cuori. marco@rotaservizifunebri.it Il modo migliore di ricordarti è seemilio@rotaservizifunebri.it guire il tuo esempio. Grazie di tutto... La tua famiglia
La Lettera - bollettino Palazzago cm.9h x 5,5
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