Qual è il titolo di questo quadro? Lo scrive il pittore stesso, alla base dell’abbraccio: Reconciliation, Riconciliazione. Arcabas si è cimentato più volte con la parabola del Padre Misericordioso e ci piace pensare che anche l’ispirazione di questo soggetto nasca proprio dal capitolo 15 del Vangelo di Luca. Ma ci piace anche abbinare un titolo uscito da una mamma, nel percorso dei genitori della prima Riconciliazione: odore di casa. Sì, il figlio sta annusando profondamente il profumo di un’intimità da tanto perduta. Ecco quelle narici, molto grandi, per “fare il pieno” di un’aria che aveva smarrito. Il Padre – o il fratello, l’amico, la Chiesa…– non punta il dito e neppure gira il coltello nella piaga – te l’avevo detto, sei sempre il solito, non cambierai mai…– ma libera un desiderio di cielo. E la colomba, di nuovo, è libera.
Indice
Orari Sante Messe
03 Editoriale 04 Le dimissioni del Papa 07 Quaresima 2013 08 Foto Story Natale 10 Non solo presepi 11 Campo scuola invernale 12 Visita alle Sette Chiese 13 I cinquanta anni del Concilio 18 Venite e Vedrete 19 Le opere di don Carlo Tarantini 23 Lectio Divina 24 La nuova penitenzieria 30 Un sabato da protezione civile 32 Giornata della Vita 34 Il Lavoro dei Consigli Visita alle Sette Chiese 36 40 Foto Carnevale e Giornata della Vita
Sabato ore 17.00 Beita ore 19.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica ore 08.00 Montebello ore 09.00 Beita ore 10.30 Chiesa Parrocchiale ore 18.00 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 16.30 Brocchione ore 16.30 Precornelli ore 16.30 Beita ore 09.00 Chiesa Parrocchiale ore 16.30 Ca’ Rosso
Recapiti Don Giuseppe Don Lorenzo Seminarista Luigi
035550336-3471133405 035540059-3394581382 3458144757
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Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 108) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,...
Dove posare il capo editoriale “Si dice che quando i cervi migrano in le, continuando la riflessione sui Papi del gruppo o si dirigono verso nuove terre, Concilio,presentando alcune suggestioni appoggiano il peso delle loro teste scam- intorno alle opere di don Carlo Tarantini, bievolmente gli uni sugli altri, in modo leggendo lo spazio liturgico della Peniche uno va avanti e quello che segue ap- tenzieria… poggia su di esso la sua testa... quello che Vi ricordate la città di Tecla: “Perché la costruzione sta in testa di Tecla consopporta da tinua così solo il peso a lungo? di un altro, E noi a chiequando poi è stanco passa derci: perché in coda, giactutto questo ché al suo lavoro, perché posto va un un cantiere altro a portasempre aperre il peso che to, perché prima portatanta attenziova lui e così ne alla barca si riposa dalla di Pietro? sua stanchez“ Perché non za, poggianinizi la sua dido la sua testruzione”. Colui che sta come la disse:” Il fipoggiano gli altri”. glio dell’uomo non ha Così si esprimeva S. Agodove posare il capo” (Mt stino com8), è il capo mentando il su cui appogSalmo 41. giare la nostra Così è vivere fragile umaniin fraternità, portando gli tà, è il capo su uni i pesi decui Benedetto Arcabas, “Réconciliation” - 2012 gli altri. appoggia la Così ha fatto Papa Benedetto XVI, con un sua esistenza e quella della Chiesa. gesto evangelico innanzitutto e poi uma- E’ Lui il Capo che ci guida alla salvezza no. (Eb 2). Ne parliamo in queste pagine, raccon- Auguri di Buona Pasqua, tando anche ciò che abbiamo vissuto salvati dal… Capo. nel Natale, nel mese della pace e della vita, negli inizi dell’itinerario quaresima-
La Lettera |3| Marzo 2013
M. Cattelan, “La nona ora” Perfettamente in orario con lo svagato millenarismo di fine XX secolo, Maurizio Cattelan dava vita nel 1999 a quella che probabilmente resta la sua “opera” manifesto, La nona ora, messa in scena iperrealistica nella quale Giovanni Paolo II con la croce in mano giace a terra colpito da un meteorite. L’immagine è ormai patrimonio simbolico collettivo. Di fronte a essa, come al solito, stuoli di imbronciati confessanti hanno fatto il carico del taciturno risentimento che si riserva al blasfemo e immondo gioco dell’arte contemporanea. A Varsavia, qualcuno è passato alle mani, tentando di distruggere quell’inutile offesa di plastica. Ma già adesso, dopo solo un decennio, osservando quell’opera con occhi istruiti sull’intricata parabola della cultura postmoderna, si comprende che essa si è insediata presso le nostre iridi come una delle più grandi icone del nostro tempo. Fra qualche secolo, forse persino prima, indipendentemente dal bilancio che il tempo saprà dare di tutto quello che oggi si conosce come arte contemporanea, si ricorrerà a questa potente immagine per dare l’idea di cosa devono essere stati questi decenni
di tumultuosa transizione postmoderna. La nona ora, per ammissione del suo stesso autore, è anzitutto una forma di catarsi biografica, nella quale l’artista regola simbolicamente i conti con la figura ingombrante del padre. Ma questo personale parricidio raccoglie immediatamente in sé l’eco dei colpi inferti nel secolo Novecento a ogni forma di principio d’autorità. L’autorevolezza della modernità, di cui il cattolicesimo è stato a lungo l’anima, crolla senza preavvisi sotto il colpo secco di una sventura che si abbatte quasi casualmente. In questa scena tremenda, allestita con la leggerezza ironica propria delle tragedie, si concentra veramente tutto: la morte di Dio, la fine della storia, la sconfitta dell’autorità moderna, il declino della religione, la morte in diretta, l’iperrealismo del dolore, le forme sogghignanti del pop, l’invasione balistica di una cultura liquidatrice. Essa mette in mostra tutto quanto di ignoto e di oscuro ha visitato la nostra storia (cfr Zanchi: Prove tecniche di manutenzione umana). Non sembri allora irriverente pensare alle dimissioni di Benedetto XVI con questa immagine.
La Lettera |4| Marzo 2013
Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20.00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice. Carissimi Fratelli vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.
“Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro.” dall’Ultima Udienza Generale di Benedetto XVI del 27.02.2013 Certo, il papa dell’opera è Giovanni Paolo II, ma qui ci può stare il riferimento al papato in sé e la decisione è stata sicuramente un “macigno” per tutti: devoti e meno. Anzi, sembra quasi che i più “lontani” e i più critici verso questo papa dentro e fuori la Chiesa - si siano ritrovati vicinissimi e addirittura partecipi del sentire profondo della sua scelta, sottolineandone l’umiltà, la delicatezza nel tratto, la preparazione teologica e il coraggio per un passo che segnerà inevitabilmente la storia. Da parte nostra, vo-
gliamo trasformare l’attenzione mediatica e le molte pagine già scritte su questo “meteorite” (o fulmine a ciel sereno, come ha detto il Cardinal Sodano dopo l’annuncio in latino ai Cardinali) in preghiera riconoscente, che si allarga anche alla chiesa e al nuovo papa. Il ritiro nella solitudine della preghiera di BXVI, ci consegna un’altra immagine (questa volta biblica e non di Cattelan): Mosè che con le braccia alzate verso il cielo sostiene la fatica dei credenti per la buona battaglia del Vangelo.
La Lettera |5| Marzo 2013
UNA CHIESA FRAGILE, LA SUA ICONA CORAGGIOSA. “Mi sento i brividi addosso”, mi fa una collaboratrice. E’ quella sensazione che si prova di fronte a fatti di straordinario impatto. I meno giovani di noi hanno ricordato, nelle ore scorse, alcuni momenti simili legati alle figure dei Papi. Quando, il 28 ottobre del 1958, venne eletto Papa Angelo Giuseppe Roncalli, non sembrava vero che un bergamasco potesse diventare Papa, che potesse chiamarsi, Giovanni XXIII: un nome così familiare e, insieme, così lontano ormai nella storia del papato. Quando il 16 ottobre del 1978 venne eletto Papa Wojtyla, non sembrava vero che uno straniero potesse diventare Papa dopo 445 anni di Papi Italiani. Mi ricordo che, il mattino dopo l’elezione del Papa polacco, comperai la Repubblica: era stata fondata due anni prima e Eugenio Scalfari la dirigeva. Mi incuriosiva verificare come un giornale laico vedeva un fatto ecclesiale di quella portata. Non ricordo le parole esatte ma mi ricordo benissimo che Scalfari diceva tutta la sua meraviglia verso una Chiesa, che era insieme l’istituzione più antica della nostra società che diventava, con quel gesto, la più giovane. Qualcosa del genere emerge nei brividi di queste ore. Si è parlato di un gesto di grande coraggio. Il coraggio viene dai motivi più semplici, che spesso non vengono neppure citati, perché eccessivamente ovvi. Il Papa non è fuggito da una carica perché non gli andava più a genio, ma perché non sentiva più le forze per reggere. Se ne va da un posto, al centro dell’attenzione mondiale, verso una posizione defilata, silenziosa. Il Papa farà il pensionato, pensionato di riguardo finchè si vuole, ma pensionato. Tutto questo esige uno straordinario coraggio, appunto. Ma su quella decisione già personalmente “pesante” ha pesato ancora di più il fatto che le dimissioni del Papa sono, praticamente, un gesto unico. Il solo caso precedente che ha avuto luogo nella storia della Chiesa è stato quello di Celestino V. Ma si trattava di tutt’altra cosa, sia per la situazione della Chie-
sa, la Chiesa medievale di fine XIII secolo, sia per i motivi delle dimissioni di quel Papa, il Papa monaco surclassato dalla complessità degli affari della Chiesa. E’ la prima volta che un Papa, liberamente, lucidamente, rinuncia al suo incarico. La prima volta in duemila anni. Pesante per quello che è stato, ma pesante anche per quello che sarà. È evidente, infatti, che quel gesto segna una svolta anche per la Chiesa del futuro. Tutti i Papi dovranno d’ora in poi fare i conti con questo precedente e non sarà più come prima. Il coraggio di questa partenza fa tornare alle immagini struggenti degli ultimi mesi di Papa Wojtyla: distrutto dalla malattia è rimasto fino alla fine, a mostrare senza paure la sua fragilità. Papa Ratzinger, invece, non ancora segnato come il suo predecessore, prende atto, lucidamente e si fa da parte. Il Papa teologo ha portato la sua sensibilità anche in questa decisione: ha valuto con la testa la sua situazione e il cuore gli ha tenuto dietro e gli terrà dietro con le probabili sofferenze del distacco. Papa Wojtyla ha deciso di cuore e la testa gli ha tenuto dietro per sostenere una resistenza a oltranza. Da tutte e due le esperienze viene in luce una verità comune, anch’essa molto semplice: la Chiesa è fragile, quando sta sulla breccia e quando decide di rinunciare a combattere perché non dispone più delle armi adatte. Ma è fragile nei Papi perché è fragile ovunque, fatta tutta di un friabile materiale umano. I Papi sono le icone commoventi e convincenti di quella fragilità. Viene in mente il finale del Vangelo di Giovanni, dove è protagonista il più lontano predecessore del Papa, San Pietro. << Quando eri più giovane- gli dice Gesù- ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi>>. La vecchiaia è una forma dolorosa di espropriazione, prima di quella definitiva, la morte. Il credente sa che anche in quelle esperienze qualcuno gli tende le mani. La Chiesa, e i Papi più di tutti, sono lì per dare corpo a questa forma estrema di fiducia.
La Lettera |6| Marzo 2013
Mons. Alberto Carrara da “L’eco di Bergamo” 12.02.2013
QUARESIMA 2013: MISSIONE POSSIBILE “Ecco, io sto alla porta e busso, se qualcuno ode la mia voce apre la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me.” Ap 3, 20 quarta tappa dell’Anno Pastorale
I domenica TENTAZIONI
MISSIONE RESISTENTE: contro ogni tentativo di sabotaggio II domenica TRASFIGURAZIONE
MISSIONE MANIFESTA: contro ogni possibile incomprensione
Carissimi, l’itinerario di quaresima ci aiuta a preparare la Pasqua, centro e sorgente della vita cristiana.. In questo anno della fede vogliamo ancor più lasciarci sollecitare da ciò che il Signore ci propone per ritornare a Lui. L’immagine della porta (porta fidei) che continua a
III domenica IL FICO STERILE…
MISSIONE FRUTTIFERA contro ogni spreco di tempo IV domenica PADRE MISERICORDIOSO
MISSIONE CONVERTIBILE: contro ogni resistenza al perdono V domenica ADULTERA
MISSIONE LIBERANTE: contro ogni giudizio mortifero domenica delle PALME
MISSIONE COMPIUTA: contro ogni logica umana SANTA PASQUA
MISSIONE INCREDIBILE: contro ogni FINE
La Lettera |7| Marzo 2013
guidarci, ci propone i CARDINI, luogo della fatica e del sacrificio: è dal sacrificio del Signore sulla croce che otteniamo salvezza. Ma i cardini sono anche i quattro Vangeli, Parola che ci interpella e apre la via della salvezza. Qui trovate le proposte per questo tempo forte.
FOTO STORY NATALE 2012
Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: – Perché la costruzione di Tecla continua cosí a lungo? – gli abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e giù lunghi pennelli. – Perché non cominci la distruzione, – rispondono. E richiesti se temono che appena tolte le impalcature la città cominci a sgretolarsi e a andare in pezzi, soggiungono in fretta, sottovoce: –Non soltanto la città. Se, insoddisfatto delle risposte, qualcuno applica l’occhio alla fessura d’una staccionata, vede gru che tirano su altre gru, incastellature che rivestono altre incastellature, travi che puntellano altre travi. – Che senso ha il vostro costruire? –domanda. – Qual è il fine d’una città in costruzione se non una città? Dov’è il piano che seguite, il progetto? – Te lo mostreremo appena terminata la giornata; ora non possiamo interrompere, – rispondono. Il lavoro cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È una notte stellata. – Ecco il progetto, –dicono. Le città invisibili di Italo Calvino Einaudi, Torino 1972 La Lettera |8| Marzo 2013
La Lettera |9| Marzo 2013
NON SOLO PRESEPI
che storia!!! Roberto
Nel Natale 2012, accanto al tradizionale concorso presepi, abbiamo proposto un originale concorso per l’addobbo delle porte, considerando che la simbologia della porta è decisamente presente nell’anno pastorale (vd Porta fidei) e lo è stata anche nell’Avvento (da porta a porta). Ed ecco che la fantasia si è sbizzarrita, come testimoniano anche alcune foto che abbiamo messo qui. Il concorso non è fine a se
stesso, o per stilare una “classifica” che è sempre difficile fare, pensando anche solo alla passione e alla volontà di chi realizza queste opere; è fatto invece per tenere vivo, anche attraverso i presepi e le porte, il senso originario del Natale, sempre minacciato dal Natale-tarocco, quello costruito intorno a vantaggi economici di una festa così profonda. Grazie alla “giuria” e a coloro che ogni anno assicurano premi e caramelle.
Concorso presepi Natale 2012 Presepi simbolici 1. Rossi Giorgio e Marina 2. Tironi Serena 3. Ernani Locatelli Andrea Presepi tradizionali 1. Baldi Paolo 2. Ernani Locatelli Elena e Luca 3. Rotini Andrea – Rota Cristian Premio originalità e fedeltà 1. Scuola dell’Infanzia, Palazzago, sez. verdi
Rossi Giorgio e Marina
Concorso addobbo porte: E’ Natale del Signore anche qui 1. Previtali Raffaele 2. Mangili Sefora e Ismaele 3. Gruppo catechesi 2 elem. Parrocchia Gruppo catechesi 4 elem. Beita Giuria: Vanessa, Michail, Roberto, Federica Regali e caramelle: Mario e Urbana
Previtali Raffaele
campo scuola invernale Qualche tempo fa, mentre tutto il nord dell’Italia era nella morsa del gelo e tutti se ne stavano rintanati al calduccio delle loro case digerendo i banchetti natalizi, un gruppo di adolescenti ha messo il naso fuori da Palazzago per vivere un’esperienza di vacanza e riflessione nel ridente paesino di Piazzatorre. Il gruppo, non era molto numeroso con sedici ragazzi (venticinque con animatori, mamme e don) ma, la voglia di stare insieme non mancava e inoltre era ben assortito per età e caratteristiche personali, anche perché l’elemento da mettere in gioco era la storia di ciascuno di noi. Il tema di quest’anno è stato “La tua storia nella mia”: abbiamo cercato di confrontare le nostre storie a partire da una provocazione. Ognuno di noi è caratterizzato da una storia personale che non si sceglie, è il prodotto di alcune scelte fatte da altri e ci portiamo appresso un bagaglio da cui non possiamo scappare. Siamo l’ultimo anello di una catena ma, dalla nostra nascita in avanti nel nostro piccolo abbiamo incominciato a fare alcune scelte, che hanno dato via via caratteristiche sempre nuove al nostro esserci. La prima sera a ciascuno è stato affidato un mattoncino di quelli delle costruzioni per bambini, ogni mattoncino era diverso dall’altro e non si poteva cambiarlo. E fu sera e fu mattina. Il giorno successivo, a partire da quell’unico mattoncino ogni ragazzo poteva costruire qualcosa
e così ognuno ha preso il materiale a disposizione e ha lasciato emergere la propria creatività: qualcuno ha rappresentato se stesso, altri una casa, altri una torre: alcuni sono stati più sul concreto, altri si sono buttati sull’astrazione, ma in tutti i casi ci si è accorti che quello che costruiamo si carica di tanti significati di ciò che siamo o di ciò che vorremmo essere. L’ultimo passo di questo itinerario è partito dal rendersi conto di essere immersi in una storia più grande, nella quale quello che siamo va messo a confronto con chi ci circonda. L’attività questa volta consisteva nel mettere insieme le costruzioni su un cartellone, componendo una città; questo è stato il modo per provare a misurarsi con gli altri, perché bisognava trovare spazi propri ma anche limitare la nostra libertà a favore di quella degli altri. Navigati animatori hanno contribuito al buon andamento dei momenti di gioco insieme, di relax e di sport invernali e non, insomma ci siamo proprio divertiti senza che mancasse mai l’attenta supervisione di Don Lorenzo. Le nostre “mamme in prestito” ci hanno coccolato con lauti e abbondanti pranzetti anche se tutti a turno ci si siamo rimboccati le maniche, perché la vita in comune è bella ma a ciascuno tocca la sua parte di servizio che va fatta (senza dire aia).
Baldi Paolo
Scuola dell’Infanzia - sezione verdi La Lettera |10| Marzo 2013
La Lettera |11| Marzo 2013
Gigi e amici
“Quando cammini accanto ad un altro…” Visita alle sette chiese
Le riconoscete? Sono le sette chiese del presepe, riprodotte fedelmente in scala.
Abbiamo già vissuto cinque appuntamenti della “Visita alle sette chiese” e ne rimangono due: Martedì 16 aprile a Brocchione e Martedì 21 maggio in Chiesa Parrocchiale, sempre alle 20.30 e sempre guidati da don Maurizio Rota che continua a sorprenderci con la sua capacità di leggere i particolari dei luoghi dove ci troviamo con la Parola di Dio e la tradizione della Chiesa. Se ne esce sempre arricchiti e sorpresi. Questo percorso – inserito esplicitamente nell’anno della fede – avrà il suo apice Domenica 2 giugno, con il cammino che ci porterà di chiesa in chiesa, condividendo riflessione, preghiera, celebrazione, pasto fraterno e fatica dei passi fatti insieme. L’invito è rivolto a tutta la comunità, valorizzando i nuclei familiari. Questo il programma: ore 9.00 partenza da Precornelli, poi Brocchione, Chiesa Parrocchiale (per la celebrazione), Carosso (tempo per il pranzo al sacco), Montebello, Salvano e Beita. Concluderemo nel tardo pomeriggio, avendo macinato i dieci chilometri che collegano le sette chiese della nostra comunità, sapendo che “non perdi mai il tuo tempo quando cammini accanto ad un altro” (proverbio africano).
La LaLettera Lettera |12| Marzo Marzo2013 2013
I CINQUANTA ANNI DEL CONCILIO Virtù eroiche, Paolo VI è venerabile Il 20 gennaio 2012 Benedetto XVI ha promulgato il decreto che attesta le «virtù eroiche» grazie al quale Paolo VI diventa venerabile. Manca solo la certificazione di un miracolo avvenuto per sua intercessione e si arriverà alla beatificazione. Il postulatore della causa di papa Montini, Antonio Marrazzo, ha fornito alcuni indizi sul miracolo. «Al momento - ha detto il postulatore alla Radio vaticana - sto analizzando un caso di guarigione avvenuto una decina di anni fa: durante la gestazione, si erano manifestati rischi sia per il feto sia per la madre», «un avvenimento veramente straordinario e sovrannaturale, avvenuto per intercessione di Paolo VI». Il miracolo in esame, commenta padre Marrazzo, sarebbe «in linea con il magistero» del Papa che ha scritto la Humanae vitae. Si tratterebbe, commenta padre Marrazzo, di un miracolo collegato alla «difesa della vita, espressa nell’enciclica, ma anche in difesa della famiglia, perché l’enciclica Humanae vitae è sull’amore coniugale, non è soltanto sul problema della vita nascente. Questa guarigione è logica nella linea di Montini». Giovanni Battista Montini, nato a Concesio il 26 settembre 1897 e morto a Castelgandolfo il 6 agosto del 1978, ha guidato la Chiesa cattolica dalla morte di Giovanni XXIII (giugno 1963) portando a compimento il Vaticano II e governando i burrascosi anni postconcicliari. Figlio di un giornalista ed esponente del cattolicesimo sociale bresciano, Paolo VI ha inaugurato i viaggi internazionali dei papi e stretto in uno storico abbraccio il capo delle chiese ortodosse, Atenagora. Su Montini, ha ricordato padre Marrazzo, si sono detti «troppi luoghi comuni che non trovano riscontro», una sua «caratteristica» era«l’attenzione ai bisogni delle persone, alle loro esigenze, ai loro drammi», e la sua «fama di santità è cresciuta con il passare degli anni». «La religione del nostro Concilio è stata principalmente la carità; e nessuno potrà rimproverarlo d’irreligiosità o di infedeltà al Vangelo per tale orientamento, quando ricordiamo che è Cristo stesso a insegnarci che è l’amore per i fratelli il carattere distintivo dei suoi discepoli: “La religione pura e immacolata, agli occhi di Dio e del Padre, è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni”». Così Paolo VI, nel 1965, concluse il Concilio Vaticano II che papa Giovanni aveva aperto, giusto 50 anni fa, con un altro discorso passa-
Floriano Bodini: Monumento a Paolo VI Sacro Monte di Varese (1986) E’ una statua “ricca di simboli: Paolo VI con una mano ammonisce e con l’altra accoglie, il grande manto che scende fino a terra ricorda il sudario, le pecore sono un po’ smarrite ed una madre protegge il suo agnellino, la tazza rovesciata ricorda la fame nel mondo, il teschio rimanda alla morte che nelle meditazioni di questo Papa ricorre spesso, infine il mazzo di fiori è un omaggio di un fedele verso questo grande personaggio”.
to alla storia: «Sempre la Chiesa si è opposta agli errori…, ora tuttavia la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che quella della severità..., vuole mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà, anche verso i figli da lei separati …». Nel 1966, Paolo VI abolì, dopo quattro secoli, e non senza contestazioni da parte dei porporati più conservatori, l’indice dei libri proibiti. A Natale celebrò la Messa in una Firenze ferita dall’alluvione del 4 novembre, definendo il Crocifisso di Cimabue «la vittima più illustre». Nel 1967 annunciò l’istituzione della Giornata mondiale della pace, che si celebrò la prima volta il 1º gennaio 1968. Nel 1978, durante il sequestro di Aldo Moro, papa Montini implorò personalmente e pubblicamente la liberazione “senza condizioni” dello statista e caro amico Aldo Moro, rapito dagli “uomini delle Brigate Rosse”.
La Lettera |13| Marzo 2013
Dopo aver letto sulle pagine della Lettera di dicembre l’intervento di Mons. Davide Pelucchi ai catechisti del Vicariato sulla figura di Giovanni XXIII, continuiamo l’approfondimento sui due papi del Concilio Vaticano II con Paolo VI.
PAPA PAOLO VI Giovanni Battista Montini, fu battezzato a Concesio il 30 settembre 1897, lo stesso giorno in cui a Lisieux moriva S. Teresa del Bambin Gesù. La coincidenza della data rinvia ad una caratteristica sottolineata da alcuni autori: sono due figure che hanno intuito la sensibilità e il dramma della modernità. Paolo VI ha vissuto il dramma della Chiesa di oggi nel confronto con la modernità e nel desiderio di dialogare con essa. Egli certo amava il mondo moderno. Ma lo guardava con occhio disincantato. Ne vedeva la ricchezza, ma anche la distanza dal vangelo. Paolo VI è stato un papa innamorato dell’uomo, della storia, della scienza, dell’arte, della pittura, della letteratura. Ma ha sentito pungente il dramma dell’ateismo e dell’indifferenza religiosa. Da dove gli derivava questo amore per la modernità? È possibile individuare alcune fonti influenti sulla sua personalità: • Il padre. Giorgio Montini, avvocato e cattolico di spicco, era impegnato nell’ambito dell’azione organizzata dei cattolici bresciani. Fu per 30 anni direttore del quotidiano cattolico «Il Cittadino» di Brescia, e deputato cattolico dal 1919. I cattolici allora erano in difficoltà ad
espletare un impegno socio-politico, perché la vita politica era dominata dai liberali. Il tempo dell’astensione dei cattolici dalla vita politica, a motivo del non expedit (Pio IX, 1874), andava riempito da una preparazione culturale in vista di un futuro, auspicato inserimento. In famiglia il futuro Papa respirava quindi un’atmosfera di alto impegno civile, dandogli una sensibile percezione «laica» del valore della politica. • La madre. Giuditta Alghisi era una donna di intensa vita religiosa, eccezionalmente provvista di una fede culturalmente attrezzata, alimentata da letture religiose anche straniere (francesi, soprattutto). Alla madre risale il suo gusto per la meditazione, per il raccoglimento, per la bellezza, che darà una carica di intensità alla sua personalità. • L’Oratorio della Pace. Presso la Compagnia di S. Filippo trovò un clima di apertura ad un Cristianesimo dal volto umano. I Padri Filippini erano tra i pochi ecclesiastici a guardare con simpatia al giovane Stato Italiano e consideravano la professione di fede civile compatibile con quella religiosa. La loro opera era intesa a inserire il Cristianesimo nelle coscienze attraverso il convincimento personale prodotto dalla cultura. L’opera di P. Caresana e quella di P. Bevilacqua, creato poi cardinale da Paolo VI, resteranno impresse per sempre in papa Montini. Nel 1918, da studente di teologia, fondò con Andrea Trebeschi il giornaletto «La Fionda». Titolo provocatorio a rimarcare il carattere polemico degli scritti; ma anche ricco di suggestioni bibliche, perché Davide con una fionda abbatté il gigante Golia: come a dire che il cristiano poteva sfidare il male soprattutto con i mezzi poveri della fede e della cultura. • La FUCI. Grazia alla vicinanza con gli universitari la sua posizione verso il fascismo era lucida. Egli vide assai presto che il fascismo tendeva a «concepire la nazione come un partito», cioè a trasformare i valori di un popolo in giustificazioni alle prepotenze di pochi. L’idea ossessiva di Montini restava quella della preparazione religiosa e civile delle coscienze dei cattolici italiani, che era per lui l’unica garanzia anche per la Chiesa. Nella FUCI don Montini dette vita al giornale «Coscienza», il cui titolo significativo
La Lettera |14| Marzo 2013
indicava l’intenzione di preoccuparsi di interiorizzare la fede. Su questa linea si collocava la sua promozione dello studio della S. Scrittura e della più avanzata teologia d’Oltralpe (Maritain, Adam, Guardini), molte opere della quale volle tradotte in italiano nella «Morcelliana» di Brescia. Assistente della FUCI, pagò cara questa sua propensione per la coscienza e per la liturgia. Accusato di indebolire il senso religioso, e in particolare di osteggiare il Rosario (mentre aveva solo affermato la priorità e la centralità del fatto eucaristico e dell’oggettività liturgica), dovette lasciare la FUCI nel 1933. Quando il 21 giugno 1963 divenne papa volle chiamarsi Paolo, l’apostolo che «abita le città, le capitali. Efeso, Filippi, Corinto e poi Roma, dove tutto converge. Cerca i capi, il potere, l’opinione, le élites. Il dialogo, sempre, con tutti. Pensiero e azione, spesso disgiunti, in lui sono strettamente congiunti. La sua dialettica... è anche la sua mistica e la sua strategia» (in Guitton, Dialoghi..., p. 180). Come Paolo, Montini ama confrontarsi con le idee-guida del mondo; con i luoghi di maggiore complessità, assumendone i caratteri per poter meglio dialogare.
ti che cattivi… Se non vi abbiamo compresi, se vi abbiamo troppo facilmente respinti, se non siamo stati capaci di ascoltarvi come si doveva, se vi abbiamo trattato con l’ironia, con il dileggio, con la polemica, oggi vi chiediamo perdono. Ma ascoltateci… Non vi siamo ostili per partito preso, non vi disprezziamo, non desideriamo umiliarvi… Per questo, una volta almeno, vi invitiamo. Venite alla Missione ed ascoltateci”. L’8 dicembre 1965, concludendo il Concilio, Paolo VI si è rivolto ai lontani dicendo: “Questo nostro universale saluto rivolgiamo anche a voi, uomini che non ci conoscete; uomini che non ci comprendete; uomini che non ci credete a voi utili, necessari, ed amici; e anche a voi, uomini che, forse pensando di far bene, ci avversate! Un saluto sincero, un saluto discreto, ma pieno di speranza; ed oggi, credetelo, pieno di stima e di amore”.
La vicinanza ai lontani Il suo amore per l’uomo lo portava a desiderare
l’incontro con tutti gli uomini, anche con quelli che più faticavano ad aprirsi alla fede.
Tre anni dopo il suo arrivo a Milano, dal 4 al 24 novembre 1957, organizzò nelle 110 parrocchie, la “Grande Missione”. Impegnò 1288 predicatori. Risposero all’invito in 600.000 milanesi. La animarono due cardinali (Lercaro di Bologna e Siri di Genova), 24 arcivescovi e vescovi, 597 missionari, oltre a 600 sacerdoti diocesani impegnati nella Missione ai ragazzi. Si organizzarono 350 sedi di predicazione generale nelle parrocchie e 60 sedi di predicazione per categorie speciali, dalle modelle agli operatori della Borsa, per una offerta totale di circa 15.000 conferenze. Pochi mesi prima Montini si rivolse ai lontani con una Lettera: “Spesso i lontani sono gente male impressionata da noi… Sono spesso più esigen-
La sua vicinanza a tutte le sensibilità e a tutte le persone di buona volontà lo portarono a porre dei gesti di grande significato simbolico pastorale. • Il 6 gennaio 1964 fece il viaggio in Terra Santa, primo papa a tornarvi dopo Pietro. Quel viaggio doveva gettare luce sul programma riformatore del Concilio: rinnovamento della Chiesa a partire dalle sue radici. Particolarmente commovente fu l’abbraccio fra il papa
La Lettera |15| Marzo 2013
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e Atenagora dopo circa mille anni di separazione. Nel 1964 andò in India e regalò a madre Teresa di Calcutta la macchina che aveva usato per gli spostamenti a Bombay. Voleva attirare l’attenzione sull’invito che il Concilio rivolgeva alla Chiesa di aprire il dialogo con le religioni non cristiane e decidersi a favore di un’opzione per i poveri. Nel 1964, depose sull’altare della basilica di San Pietro la sua tiara e ne fece dono ai poveri. Abolì lo sfarzo della corte papale, della guardia nobile e la sedia gestatoria Il 4 ottobre 1965 fece il viaggio all’ONU. Come Paolo all’areopago il papa voleva rafforzare il ruolo di preservazione della pace delle Nazioni Unite, chiamarle alla lotta comune contro la fame e la povertà nel mondo e assicurare per questo a tale organismo la solidarietà della Chiesa cattolica. L’8 dicembre 1965, a chiusura del Concilio, vennero tolte le scomuniche tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa espresse nel 1054. Nel 1967 fece visita al patriarca ecumenico Atenagora a Costantinopoli. In quell’occasione parlò per la prima volta di «Chiese sorelle». Nel 1968 indisse la prima giornata mondiale della pace. Il 14 dicembre 1975, al termine della cerimonia di preghiera nel decimo anniversario della riconciliazione tra le Chiese di Roma e quelle di Costantinopoli, si inginocchiò e baciò i piedi del metropolita Melitone.
La “Passione” e la sofferenza degli ultimi anni Paolo VI è stato papa per 15 anni (1963-1978). Ma la sua sofferenza è andata crescendo. L’ultimo periodo della sua vita fu segnato da acute soffe-
renze interiori. Le principali furono: • Le contestazioni nate nel post-concilio tra coloro che lo accusavano di cambiamenti pericolosi perché troppo rapidi e danneggiavano la sana tradizione della Chiesa (ad es.: mons. Lefevre) e coloro che lo accusavano di bloccare al riforma della Chiesa perché non portava alle estreme conclusioni le decisioni conciliari (ad es.: il cattolicesimo olandese). • Le contestazioni seguite alla pubblicazione, nel 1968, dell’enciclica Humanae vitae sulla procreazione umana. • L’abbandono del sacerdozio da parte di numerosi sacerdoti. • L’approvazione della legge sul divorzio (1975). • L’approvazione della legge sull’aborto (6 giugno 1978). • Il rapimento e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro, suo carissimo amico dai tempi della FUCI. Il 21 aprile 1978, un mese dopo il rapimento avvenuto il 16 marzo, il papa inviò una lettera pubblica alle Brigate Rosse.
trovare nel cofano di una macchina. Il 13 maggio vi furono nella basilica di San Giovanni in Laterano i funerali di Stato. Erano presenti tutte le massime autorità dello Stato. Mancava la salma di Aldo Moro ed si erano rifiutati di presenziare i familiari. Paolo VI vi andò e lesse questa preghiera:
Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il “De profundis”, il grido cioè ed il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui, Signore, ascoltaci!”.
lui per aiutare a superare questa crisi e da quel momento, invece, il papa incominciò a pregare. Io incominciai col Pater Noster, l’Ave Maria, la Salve Regina, il Magnificat, l’Anima Christi, in cui c’è l’invocazione a Dio “in hora mortis meae voca me”. Il papa continuò a pregare e a ripetere “Pater noster qui es in coeli”. E quando la voce incominciò a non essere più limpida come prima, io accostai per due volte l’orecchio alla sua bocca e sentii sempre questo: “Pater noster qui es in coelis sanctificetur nomen tuum”. Cosicché il papa, fino all’ultimo istante in cui poté parlare, in cui poté comprendere, non fece altro che ripetere “Pater noster qui es in coelis”. Ed è stata, direi, l’unica vera parola che il papa ha detto morendo. Il suo colloquio era ormai diretto a Dio e si spense con serenità e, al momento in cui cessò di battere il suo cuore, il suo volto si rasserenò e divenne quasi giovanile. Erano le 21.40 del 6 agosto 1978”.
La morte di Paolo VI
“Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l’on. Aldo Moro. Io non vi conosco, e non ho modo d’avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciato contro di Lui. Uomo buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusate di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile. Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo. Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l’on. Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile ed affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità”. Il 9 maggio il cadavere di Aldo Moro venne fatto
La Lettera |16| Marzo 2013
Paolo VI morì la sera del 6 agosto 1978, festa della Trasfigurazione. Così raccontò le ultime ore della sua vita il segretario mons. Pasquale Macchi. “Il papa, sabato sera, il 5 agosto alle otto e mezzo,
venne ancora a cena con noi. Dopo cena recitò con noi il Rosario e poi in cappella a recitare la Compieta. Per una mezz’ora, lavorò ancora sulle carte che ogni giorno giungono al papa dalla Segreteria di Stato. E poi, a letto. In camera mi disse una frase che mi turbò: “Adesso viene la notte”. Allora io gli chiesi di poter restare nella camera sua, in un angolo, su una poltrona, per vegliarlo se mai avesse avuto bisogno di qualcosa. E la notte fu veramente una notte dura per il papa, agitata. La giornata di domenica, domenica della Trasfigurazione, passò un po’ in alternativa: momenti di tranquillità e momenti di agitazione. Verso mezzogiorno si tranquillizzò e riposò serenamente. Alle sei del pomeriggio, come d’accordo, io celebrai la santa Messa. Dopo la Messa compresi che era in corso un’agitazione nuova, per cui Iddio mi ispirò di chiedergli se desiderava che gli portassi l’Estrema Unzione ed egli mi rispose: “Subito, subito”. Al termine dell’Estrema Unzione, scoppiò un edema polmonare. I medici si affaccendarono attorno a
Nel suo testamento aveva scritto: “E’
giunto il tempo di sciogliere le vele… Penso, qui davanti alla morte… che l’avvenimento fra tutti più reale fu per me l’incontro con Gesù Cristo, la Vita… Prego il Signore che mi dia la grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni vescovo e sacerdote, in ogni anima… Potrei dire che sempre l’ho amata… ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare… Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei santi”. (Dal Testamento spirituale di Paolo VI)
La Lettera |17| Marzo 2013
Venite e vedrete incontri vicariali giovani Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “che cosa cercate?”. Gli risposero:”Rabbi, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Gv(1,38). Perché proprio questo passo del Vangelo, uno si potrebbe chiedere? La risposta è immediata: è il filo conduttore degli incontri che quest’anno per la prima volta, il vicariato ha proposto ai giovani. Si tratta di un percorso articolato in sei incontri, svolti una domenica sera al mese, ogni volta in un oratorio diverso del vicariato. Ogni appuntamento inizia con una cena, seguita poi dalla proposta vera e propria, come la visione di un film, un momento di confronto o l’ascolto di testimonianze. Stiamo viaggiando sulla cinquantina di giovani: Certo, essendo una proposta vicariale potremmo attenderci numeri più alti e da tutti i paesi, con parroci e curati, ma, proprio perchè novità, ci vorrà tempo per affermarsi. Speriamo che la nostra partecipazione e testimonianza sia, anche per i giovani del nostro paese, motivo di curiosità.
Ma veniamo al nostro quarto appuntamento, introdotto da una domanda: “Chi è più grande? Chi sta a tavola o chi serve?” A guidarci nella riflessione è don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano. In una realtà in cui dedicarsi agli altri sembra un’attività “da sfigati” (così ci dice), don Claudio ci propone una nuova via, raccontandoci anche la sua storia. Dopo i primi anni di giovinezza vissuti tra piano bar e amicizie, a 19 anni inizia a fare volontariato all’interno di una comunità di ragazzi.
L’incontro con alcune persone e l’esperienza nella comunità lo portano ad interrogarsi sui motivi dell’esistenza. Dice: “ho iniziato a fare volontariato per sentirmi grande e pensando di essere importante per gli altri.
In realtà sono gli altri ad essersi rivelati importanti per me”. Diventa sacerdote e comincia l’esperienza nel carcere minorile di Milano. Ogni giorno si trova a contatto con ragazzi dai 14 ai 18 anni non compiuti che si trovano lì perché hanno commesso dei reati che vanno dal furto allo spaccio o, nel peggiore dei casi, all’omicidio. “Con loro è un continuo riscoprirsi e interrogarsi, non c’è un attimo di noia. Con le loro domande ogni volta ti costringono a rimetterti in gioco.” Ciò che per questi ragazzi è importante, ci spiega, non è conoscere quello che hanno fatto, ma è ri-conoscersi in quel gesto, nelle loro debolezze e sbagli. Solo così saranno in grado di risalire la china. È solamente impegnandoci e spendendo del tempo per gli altri che possiamo capire la vera grandezza nell’essere servi. Alla fine dell’incontro don Claudio vuole lasciarci con un messaggio di speranza. Ci invita a vivere la vita con impegno in tutto quello che facciamo, non tanto per essere “grandi” in qualcosa, ma soprattutto per imparare a conoscerci e a ri-conoscerci. Ci invita inoltre a vivere il nostro Kairos, (questo è il nome che ha voluto per la sua Comunità) il nostro Tempo Opportuno per non lasciarci sopraffare dallo scorrere degli eventi, ma per essere in grado di cogliere le occasioni che la vita ci offre. Vanessa , Federica G e B , Michail e Roberto
La Lettera |18| Marzo 2013
Ancora sabbia che, tra poco, diventerà pietra per uccidere una donna che ha sbagliato. Ma una parola scrive perdono e, come per miracolo – il miracolo dell’amore – la terra risponde con l’oro, seta preziosa che fascia un cuore dalle molte ferite. “Neanch’io ti condanno: va e non peccare più.” Sabbia e seta.
Il deserto è - insieme – solitudine e prova, tentazione e insidia, groviglio di interrogativi. Una domanda viene scagliata verso l’alto: potrà Dio chinarsi su questa umanità? Inaspettatamente il cielo risponde: non sei solo nel deserto, non è vana l’attesa, non è inutile la traversata…
Non è la sabbia di una passeggiata. Sono sabbie che possono inghiottire la vita: il figlio dell’uomo sarà ucciso. E Gesù ad affrontare a viso aperto l’agone, con tutta la forza dell’amore. Per questo, luce dorata sta già venendo a galla, la musica della vita già si fa sentire nelle canne di questo strumento. “E’ bello per noi stare qui”.
Un anno, ancora. Un anno per tutta la pazienza di Dio, inguaribile agricoltore delle nostre radici. Un anno: come per il seme che cade nella terra. Un anno: come per la goccia che scava la pietra cadendo sempre. Un anno: per lasciarsi attirare e portare
E se il figlio più giovane fossi io? E se anche il fratello maggiore fossi io? Ma io sono chiamato a diventare il Padre che non lascia i figli nell’abisso di lontananza e peccato, ma lancia una corda di salvezza cui aggrapparsi. Con l’immancabile firma, l’oro del mistero. Il Padre: mistero di misericordia Il Padre: mistero di perdono Il Padre: àncora di salvezza. Che Padre…
La Lettera |20| Marzo 2013
Rosso Spirito e Amore, rosso sangue e passione. Tessere d’oro sparse, in attesa che il volto sfigurato sia composto nella sua bellezza di Risorto. Un volto-altro.
Un chiodo nel cielo: anche Dio piange là dove c’è un uomo che non riesce a sopportare la vita che gli pesa addosso. Ma diventa un gancio per appendere le nostre domande. Anche per Lui la croce, chiodo-segno della sua paradossale amicizia, è una ferita mai rimarginata del tutto. Un chiodo nel cielo: anche Dio piange là dove c’è un uomo che non riesce a sopportare la vita che gli pesa addosso. Ma diventa un gancio per appendere le nostre domande. Anche per Lui la croce, chiodo-segno della sua paradossale amicizia, è una ferita mai rimarginata del tutto.
Dopo tanto camminare nel buio c’è un unico desiderio: la luce. Impronte di mani chiedono di poter uscire dalle notti insonni, dalle stanchezze quotidiane dalle morti che segnano il corpo e la memoria e fiaccano lo spirito. Impronte di mani sulla spiaggia del mare parlano del desiderio dell’uomo di essere tratto fuori: non è questo il compito quotidiano dell’e-ducare? Trar fuori è far vivere l’uomo gettarlo nel mondo. Consegnarlo. <<Lazzaro, ti prego, ti ordino, vieni fuori>> grida piangendo l’amico di Nazareth all’amico di Betania <<Uomo, vieni fuori>> qualunque siano i tuoi giorni. <<Uomo vieni fuori>>, nonostante la tua sofferenza… nonostante la morte… cammina e scopri la luce sul tuo volto… Impronte di mani invocano una nuova nascita. Essere rigenerati una volta per tutte, abbandonare la tomba per sempre, potersi alzare dopo le cadute, sentirsi fieri di essere uomini, respirare la vita a pieni polmoni: non è forse questo che desideriamo? I cristiani si ostinano a dire che Dio salva. Si, Dio salva l’umano nella morte. Dio non salva dalla morte… Non è questo ciò che essi chiamano resurrezione? La Lettera |21| Marzo 2013
Secondo la tradizione cristiana, la ‘VIA CRUCIS’ - ‘Il cammino di Cristo con la Croce’ - si svolge lungo un itinerario spazio-temporale che chiamiamo ‘STAZIONI’. Esse suggeriscono una sosta di riflessione, di preghiera, di conversione personale e comunitaria. Nell’opera di Carlo Tarantini le 14 stazioni sono disposte in forma geometrica attorno a un riquadro centrale che rappresenta la Risurrezione. Quest’ultima va considerata non come 15° stazione ma chiave di lettura dei diversi momenti della via Crucis L’unità teologica del messaggio della Via Cruscis è significata, sia dal fondo oro su cui le Stazioni sono collocate, sia dalla bianca croce centrale da cui tutto parte e a cui tutto confluisce. Entrambi i segni dicono l’assoluta inscindibilità tra passione-donazione, morte-Risurrezione, umiliazione-glorificazione, sofferenza-gioia… In questa composizione non compaiono quelle figure che solitamente sono presenti nelle Via Crucis tradizionali, tuttavia, il messaggio - attraverso il linguaggio simbolico del colore, della materia, dell’oro, del segno in rilievo… - ci giunge, comunque, in tutta la sua verità. In particolare, la Croce - sempre dorata - traduce quell’<<Ora>> Giovannea che, nello stesso tempo, esprime il mistero della morte e della glorificazione del Figlio di Dio. Ma è, soprattutto, il colore unito al segno a rivelare la ricca valenza simbolica di questa singolare interpretazione della Via Crucis. L’azzurro delle stazioni IV - VIII e il segno ricurvo - quasi grembo tenero e accogliente – traducono la maternità e la pietà della Madre di Gesù e delle donne di Gerusalemme. Il Segno verde e curvo della stazione V dice il Cireneo che porta (o sopporta?) la Croce del Cristo.
Nelle stazioni: III-VII-IX - le tre cadute - il marrone della terra, unitamente al segno orizzonta-
le della croce - sempre più in basso e pesante - traducono lo spessore e la consistenza della donazione di quell’uomo-Dio che, man mano procede, ha in sé sempre meno sangue. La croce traversale su sfondo curo della stazione II esprime la pesante solitudine provata da Cristo Gesù mentre è caricato del peso di tutte le colpe dell’umanità. Sebbene, nella stazione XIII la croce sparisce, le sue braccia - appoggiate all’angolo destro del riquadro - stanno a significare che il Cristo è stato deposto dalla croce. Anche nella stazione XIV la croce è assente, sostituita da un segno orizzontale con al centro un grumo d’oro che richiama quel ’seme’ che darà frutto solo morendo. Il color rosso riempie tutto il riquadro delle stazioni I e XI, quasi a voler significare che il sacrificio e la donazione di Gesù son già presenti nella sua condanna e crocifisIl giallo dorato del riquadro della stazione VI viene delimitato dal bianco del velo della Veronica su cui si imprime la ’vera icona’ del Cristo: la Croce! Il ‘tutto bianco’ (colore del divino) della stazione X vuole rappresentare, sia la libertà che Cristo Gesù – come Figlio di Dio - mostra nella spogliazione totale di sé attraverso l’incarnazione, sia la povertà assoluta che - in quanto figlio dell’uomo - egli assume e testimonia. La stazione XII, la morte di Cristo, ha - come nel caso della risurrezione - la croce collocata al centro del riquadro suddividendolo in quattro parti eguali quasi a voler abbracciare i quattro punti cardinali, l’universo intero, tutta l’umanità… La morte di Gesù
La Lettera |22| Marzo 2013
LECTIO DIVINA In attesa di iniziare anche tra noi il percorso mensile di Lectio con don Carlo
don Carlo Tarantini è nato a Rho (Mi) il 5 dicembre 1944. E’ sacerdote della diocesi di Bergamo dal 1968. Dopo 18 anni di attività pastorale tra i giovani (oratorio e liceo scientifico) e 6 anni di ministero come parroco, da 16 anni sta animando 17 gruppi di preghiera parrocchiali e 8 di religiose, con il metodo della «Lectio Divina». Inoltre, attraverso incontri personali, accoglie presso l’Oasi Maria Immacolata di Scanzo chiunque desideri condividere il proprio cammino esistenziale alla luce della Parola del Signore. Da più di 30 anni si dedica anche ad una personale ricerca artistica, avendo frequentato - dal 1974 al 1978 - L’Accademia Carrara di Bergamo seguendo i corsi di disegno e pittura del maestro Trento Longaretti. In questi ultimi dieci anni ha elaborato alcuni bozzetti di vetrate artistiche per una ventina di ambienti sacri e spazi liturgici.
La LECTIO DIVINA di un testo biblico aiuta ad interiorizzare il messaggio della Parola del Signore e comprende sette momenti: • Il primo, la «Pacificazione»: Prima di accogliere in te - mediante l’Epìclesi, la Lectio, la Meditatio e l’Oratio - il ‘Sentire’ di Cristo Gesù, cerca di chiamare per nome tutto ciò che è presente nella la tua mente e nel tuo cuore in questo momento. Sii consapevole dei sentimenti e risentimenti che abitano il tuo spirito: attese e preoccupazioni… gioie e sofferenze… affetti e rancori… progetti e delusioni… desideri e timori… verità ed errori… amore ed egoismi… fiducia e pregiudizi… fedeltà e peccato… Non fare alcun esame di coscienza e nessuna introspezione di tipo analitico. Rivolgiti semplicemente a Dio-Padre raccontandoti a lui con familiarità e naturalezza, come farebbe un bambino con il suo papà. Parlagli serenamente di tutto quello che scopri dentro di te, non per informarlo, ma per interrogarti davanti a Lui, interrogarlo e lasciarti da lui interrogare. Scoprirai, allora, che lo Spirito Santo e la Parola di Dio - attraversando proprio ciò che è
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più vivo in te - comunicheranno al tuo spirito - come ricorda l’apostolo Paolo - lo stesso ‘Sentire’ che è in Cristo Gesù, Nostro Signore. Troverai, così, la vera pace e ti aprirai alla sola Speranza che mai delude. Il secondo, l’«Epiclèsi»: Invocazione allo Spirito Santo, anima della Parola e della Preghiera. Il terzo, la lettura propriamente detta (lectio), risponde alla domanda: «Che cosa dice il testo in se stesso?» Il quarto, la meditazione, (meditatio), risponde alla domanda: «Cosa dice a me questo testo?». Il quinto, chiamato orazione (oratio), è risposta alla questione seguente: «Cosa dico io al Signore che mi ha parlato attraverso questo testo?». Nel sesto, (contemplatio) finalmente ci si chiede: «Qual è il dono che mi è fatto attraverso questo testo: letto, meditato e pregato? Il settimo, (actio) risponde, infine, alla domanda: «Quale è il «frutto», il «segno» che io sono chiamato a dare nella mia vita dopo aver vissuto i sei precedenti momenti?».
La Lettera |23| Marzo 2013
FONS GRATIAE
Le parabole della Misericordia Vangelo di Luca – Capitolo 15 la nuova penitenzieria
Da queste pagine abbiamo già “letto” lo spazio liturgico del battistero. Ora lo facciamo con la penitenzieria, quella che un tempo si chiamava confessionale. Innanzitutto la collocazione: entriamo dal portale (“Io sono la Porta” dice Gesù nel Vangelo) e trovi a sinistra il battistero, a destra la penitenzieria. Gli antichi cristiani chiamavano il sacramento della penitenza ”secondo battesimo”. Ecco allora il significato: entri e già ti incontri con il primo battesimo e il secondo battesimo, cioè con la sorgente della vita e della grazia; rispettivamente sulle aperture dei due luoghi leggi infatti FONS VITAE, FONS GRATIAE. Poi, continuando nell’aula liturgica e entrando nei sacri misteri, ascolterai la Parola, spezzerai il Pane, dirai il tuo grazie con quello di Cristo al Padre e crescerai nella comunione. Le due acquasantiere , pregiate vasche di marmo nelle quali intingi la mano per fare il segno di croce, non a caso sono di fronte ai due luoghi proprio per ricordarti questo. Entriamo ora nella penitenzieria, un luogo semplice, essenziale, caldo del legno di noce e della luce che piove dal soffitto: da una parte il ministro, dall’altra il penitente. In ginocchio o seduto puoi parlare direttamente, viso a viso o attraverso la grata, estenden-
do una piccola ala in legno per chiudere lo sguardo. Lì apri il cuore alla lode, alla richiesta di perdono, al grazie. E, mentre ti abbandoni alla grazia, vieni come abbracciato dal Padre Misericordioso: la parete di fondo unisce i due scompari in un solo flusso di perdono perché tutti, ma proprio tutti, hanno bisogno di sentirsi perdonati: penitente e confessore. Il pittore Stefano Nava ha dato forma, colore e significato alla pagina di Luca 15 in cui Gesù, attraverso le parabole, tesse il ritratto di suo Padre. Sì, ne esci con l’ulteriore consapevolezza di essere figlio che non “merita” il perdono ma “lo accoglie”. Il cardinal Schuster un giorno chiese a Padre Turoldo: <<Padre, perché fa queste prediche così veementi? Non potrebbe usare un tono più mite con i suoi ascoltatori?>>. E Turoldo: <<Eminenza, la mia ambizione è di farne dei peccatori>>. Vale a dire: vorrei solo dei cristiani consapevoli della loro distanza dal Vangelo, disponibili al cammino che manca. Peccatori non per senso di colpa, ma per senso della strada. Ci si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza.
La Lettera |24| Marzo 2013
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». La Lettera |25| Marzo 2013
Contro l’esegesi giallistica Gesù Cristo era un saggio, ma non un saggista. Gli piaceva piuttosto il linguaggio immaginifico delle parabole, un genere letterario apparentemente semplice che però possiede infiniti piani di lettura, adattabili alla capacità di comprensione degli ascoltatori. Bisogna provenire da una cultura orale per capire in pieno il fascino evocativo della parabola. Chi non ha questo retro terra finisce ossessionato sempre dalla stessa domanda: che cosa avrà voluto dire? È la sindrome dell’esegeta giallista, quello che vuole sempre scoprire che cosa intendeva Gesù veramente. Ma la parabola non è un noir che richieda le acrobazie di uno spirito-enigmista; è piuttosto una narrazione relazionale, e per questo il suo senso profondo va cercato all’interno del delicato equilibrio che si crea tra la storia, chi l’ha narrata, chi l’ha ascoltata, il contesto e il momento in cui è stata detta e chi la sta leggendo dal Vangelo stesso. Estrapolare parabole a caso dalle Sacre Scritture per indagarne significati reconditi validi fuori dal tempo e dal contesto è una operazione sempre piuttosto rischiosa. Eppure nella catechesi di base praticata nelle parrocchie della Chiesa cattolica questo processo avviene continuamente-o Tra le vittime più colpite da questa ermeneutica della domenica ci sono tre parabole dalla struttura interessante. Le ho scelte perché nel loro insieme rappresentano un ottimo esempio di contronarrazione rispetto alla vulgata su Dio con cui anche Gesù ha dovuto abbondantemente fare i conti durante la sua predicazione. I tre racconti costituiscono una sorta di blocco narrativo comunemente noto come «le parabole della misericordia». Se non le vedo più con gli stessi occhi di quando ero bambina lo devo soprattutto al genio esegetico di Antonio Pinna, il biblista oristanese che mi ha insegnato che le parabole non sono indovinelli narrativi dedicati a soggetti troppo infantili per sopportare l’astrazione di un discorso esplicito. Le parabole sono una cosa seria. Non essendo io un esegeta, nemmeno mi azzardo a farne una lettura tecnica. E sufficiente analizzarne la struttura narrativa e il modo in cui è manipolata in senso metaforico dalla predicazione cattolica per presentare una sola faccia di Dio, sempre la stessa.
Al capitolo 15 del Vangelo di Luca si verifica una classica scenetta bigotta da piccolo paese di provincia: mentre un po’ di gentaglia va a sentire le predicazioni pubbliche di Gesù, i farisei e gli scribi trovano disdicevole e ne malignano tra loro: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro!»Il sottinteso evidente è che se Cesti fosse davvero il Messia si cercherebbe compagnie migliori. Gesù, che evidentemente è a conoscenza di queste mormorazioni, racconta allora una serie di parabole molto mirate, talmente simili da poter essere facilmente analizzate una accanto all’altra. La prima è nota come la parabola «della pecorella smarrita », fonte fecondissima di una iconografia ricca di suggestioni bucoliche. Gesù si rivolge in prima persona ai presenti per porre una domanda retorica: «Chi di voi, se possiede cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va a cercarla finché non la ritrova?» Il racconto descrive il pastore immaginario che tutto contento si mette in spalla l’animale che si era perduto e torna all’ovile, chiamando gli amici a far festa per il ritrovamento del prezioso bene. Gesù conclude individuando un parallelo tra la vicenda della pecora perduta e quella del peccatore, affermando che per la sua conversione Dio fa più festa che per novantanove giusti che non necessitano di ravvedimento, L’espressione «pecorella smarrita» è metafora comune nel linguaggio italiano. La seconda è la parabola «del figliol prodigo», titolo che 1’edizione ufficiale della Bibbia della Cei ha recentemente modificato nel più comprensibile «del padre misericordioso». E cosi conosciuta che l’espressione il ritorno del figliol prodigo è entrata nel linguaggio comune per indicare l’atteggiamento di chi, dopo una ribellione temporanea, sceglie di tornare sui suoi passi. La trama è semplice: un uomo ha due figli e un giorno il minore gli chiede la sua parte di eredità per andare via di casa. Il padre accetta di farsi trattare come se fosse morto e divide l’eredità; consegnando al figlio minore la parte che gli spetta. Il giovane sperpera tutto in gozzoviglie e prostitute, finendo presto sul lastrico. Costretto a guadagnarsi il pane in maniera umile, studia un discorso di pentimento e si mette in viaggio, ma quando ancora è lontano il padre lo vede arrivare e, impazzito di gioia, fa ammazzare il vitello grasso (altra locuzione diventata patrimonio
La Lettera |26| Marzo 2013
comune) e predispone la casa per fare festa. Il figlio ha appena il tempo di pronunciare il suo discorso che già il padre lo abbraccia, gli mette l’anello al dito e lo accompagna alla festa che ha convocato per lui. Il ritorno per il figlio maggiore è un momento imbarazzante, giacché il padre deve spiegargli il motivo dell’entusiastica accoglienza riservata a uno che tutto è fuorché un figlio modello, facendo ricorso a una logica misericordiosa che va oltre ogni umana comprensione genitoriale, e pure fraterna. In mezzo alle due parabole ce n’è un’altra che curiosamente non ha mai generato luoghi comuni nel linguaggio, non ha mai alimentato iconografie di sorta e a stento viene ricordata con il suo nome corretto. È la parabola denominata «della dramma perduta», pochissimo nota anche perché nessuno ha mai capito veramente cosa fosse una dramma. Trattandosi di una moneta, per associazione viene spesso pronunciata dracma, che però con la valuta in
questione non ha nulla a che fare. Sul piano narrativo racconta esattamente la stessa storia delle altre due: qualcuno perde qualcosa di prezioso, poi lo ritrova e festeggia; ma in questo caso a smarrire qualcosa è una donna, una casalinga un po’ sbadata che perde una moneta e la ritrova solo dopo aver messo a soqquadro la casa. Quando riesce a rientrar ne in possesso, esulta e chiama le amiche per fare festa. Perché questa parabola è sparita dalla predicazione? Perché molti pittori hanno ritratto la tenerezza del pastore con la sua pecora in spalla e l’amore sconfinato del padre che si riprende in casa il figlio scapestrato, ma nessun artista ha mai dedicato un’ora del suo talento a immortalare la gioia della donna che ritrova la preziosa moneta? La ragione è chiara: la casalinga distratta si presta a essere letta come immagine di Dio. Michela Murgia, Ave Mary
LA GIOIA DEL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE Il primo momento di una buona celebrazione del Sacramento della Penitenza è la confessione di lode. In preghiera davanti a Dio e alla Chiesa, prima di confessare le colpe, riconosciamo i doni che Dio ci ha dato. Siamo così invitati a ringraziare, a considerare noi stessi alla luce dell’amore di Dio.
più gravi, ed aiuta a togliere il male alla radice ricercandone le cause profonde anche nelle fatiche e nelle sofferenze del vivere quotidiano da presentare alla misericordia purificante e confortante di Dio. La radice del male morale è nel cuore della vita spesso travagliata dell’uomo, che il Signore vuole redimere nella sua totalità.
Il secondo momento è la confessione della vita, che comporta innanzitutto la domanda fondamentale: che cosa, dall’ultima confessione, non è stato coerente con il Vangelo e la sua proposta di vita nuova? Che cosa vorrei che non ci fosse stato nella mia vita, che vorrei non aver commesso e mi causa disagio e amarezza? Il colloquio penitenziale è una vera “confessio vitae” se giunge a manifestare le colpe
Il terzo momento è la confessione di fede. La Pasqua di Gesù, cioè la sua morte in croce e la sua risurrezione, è la fonte inesauribile di riconciliazione, di perdono e di vita nuova. Il penitente accoglie con fiducia l’invito alla conversione; accetta la proposta di un gesto penitenziale in riparazione dei peccati e per l’emendamento della vita. Manifesta il pentimento con una preghiera e riceve l’assoluzione.
La Lettera |27| Marzo 2013
tema principale
fia classica quale riferimento alla figura del pastore; è L’opera collocata all’interno dello spazio del confes- però un oggetto della nostra tradizione, che può risionale ha come tema principale la festa. condurci al mondo della pastorizia e quindi all’immaUna festa che nasce dal ritrovarsi e riunirsi al Padre gine del pastore. La tazza va intesa come rimando a per mezzo del suo perdono. quella che è la parabola della “pecora perduta”: “Chi Questo tema trae spunto dalle parabole della mise- di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia ricordia (Lc 15) ed è espresso attraverso l’immagine le novantanove nel deserto e va in cerca di quella del banchetto che ritroviamo nella parte inferiore de- perduta, finché non la trova?” (Lc 15,4). stra del quadro. Sono qui collocati pochi ma significa- - Moneta: presente sulla tovaglia, fa riferimento alla tivi oggetti della mensa quotidiana: parabola della “moneta perduta”: “Oppure, quale un piatto, due tazze, un pezzo di pane. donna, se ha dieci monete Lo spazio-tela è studiato per essere colto, in un primo e ne perde una, non accende la lampada e spazza momento, in due parti: il divisorio collocato all’interno la casa e cerca accuratamente finché non la trova?” del confessionale, infatti, divide il quadro a metà. (Lc 15,8). La parte sinistra presenta un manto annodato: sim- - Anello: posto più a destra rispetto al piatto, l’anello bolo di uno spirito contratto, inespresso, da sciogliere. è un richiamo alla parabola del “figlio prodigo”: “Ma L’uomo sulla soglia del confessionale si coglie nella il padre disse ai servi: Presto portate qui il vestito più sua fragilità e debolezza. bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito Il lenzuolo annodato sta ad indicare proprio questo: e i sandali ai piedi” (Lc 15,22). una contrazione che non ci permette di vivere in pie- La scelta del tema della festa è da ricondurre a quenezza il presente per ste tre parabole che terminano tutte con l’esperienza via di quell’ombra che ci offusca l’anima. della gioia che si concretizza nella festa: “Va a casa, Entrando nello spazio del sacramento si può cogliere chiama gli amici e i vicini, e dice loro: Rallegratevi con il quadro nella sua interezza: chi entra riesce a vedere me, perché ho trovato la mia pecora” anche la parte destra del quadro. Riesce a rendersi (Lc 15,6); “E dopo averla trovata, chiama le amiche e conto che la sua condizione non è quella del “len- le vicine, e dice: Rallegratevi con me, perché ho trozuolo annodato” ma bensì quella del vato la moneta che “manto che si esprime in tutta la sua potenzialità”; avevo perduto” (Lc 15,9); “E cominciarono a far festa” tanto da divenire tovaglia su cui Dio prepara il ban- (Lc 15,24). chetto della festa. Il per-dono è regalo di Dio che può sciogliere un significato profondo semplice lenzuolo annodato, per farlo divenire men- Il significato più profondo e nascosto è suggerito nel sa di condivisione e di banchetto dove si trovano il pane e il vino: richiamo gioia autentica. esplicito all’ultima cena. Il sacerdote entrando in questo spazio, invece, si tro- Ma ancor più tale significato è sottolineato attraverva di fronte il banchetto: significato e scopo del sacra- so le due linee che definiscono l’opera; dall’esterno mento penitenziale. del confessionale si possono percepire infatti due assi Solo entrando può cogliere il nodo: il suo è un atto principali: quello centrale (verticale) del divisorio e di memoria e umiltà: deve ricordarsi che chi gli sta di quello del legno (orizzontale) su cui fronte ha un nodo da sciogliere e che solo attraverso poggiano i teli. In tal modo si viene a formare la croce: il perdono del Padre questo nodo può essere libera- simbolo più alto di misericordia. Solo contemplando to per divenire ciò che realmente è. e ascoltando tale mistero d’amore possiamo cercare di capire e gustare la dolcezza del perdono. le parabole della misericordia E la voce famigliare del Battista, a tal riguardo, non ci L’opera, attraverso alcuni piccoli particolare, fa riferi- inganna: mento al tema della misericordia, in particolare alle tre parabole della misericordia presenti nel Vangelo “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del di Luca (Lc 15,1-32): mondo!” Gv 1,29 - Tazza rossa: questo genere di tazza in alluminio non è sicuramente un simbolo utilizzato nella iconograStefano Nava La Lettera |28| Marzo 2013
Intorno al quadro… Misericordia per la nuova penitenzieria, quelle in cui entra in scena un padre prodigo d’amore per i figli – quello più giovane andato via da casa e l’altro, rimasto, ma tanto lontano - una donna che spazza la casa per trovare la moneta perduta e il Pastore che, al di là di ogni logica, lascia le novantanove pecore per cercare la sola smarrita.
E forse ci si attendeva di vedere proprio queste scene e l’immancabile abbraccio che tanto ci piace. Invece c’è di più: il tentativo di entrare nella dinamica di queste parabole e del sacramento che qui si celebra. Ecco allora un nodo: un nodo blocca la parola – noi diciamo: ho un groppo alla gola - nodo parla di un problema – tutti i nodi vengono al pettine-. Non è forse il peccato “un nodo” che ci blocca? Ma cosa avviene quando questo nodo viene pre-
so in mano dal Signore? Succede che viene sciolto e si trasforma in possibilità di festa. Ecco perché lo stesso lenzuolo diventa la tovaglia per una mensa. Le tre parabole della Misericordia concludono tutte con un banchetto e proprio sulla tavola troviamo i segni dei tre brani: l’anello, la moneta, i boccali e il pane. “Bisogna rallegrarsi e far festa.” I due momenti sono però sempre uniti: all’orizzonte si crea una croce tra il legno che sorregge le stoffe e la divisoria del confessionale perché lì, il figlio di Dio, ha distrutto il peccato del mondo. Non a caso alcuni rivoli rossi partono proprio agli estremi del legno, arrivando fino ai segni della festa. Allora, anche il peccato, diventa esperienza di grazia: “ dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20) e addirittura il nodo può essere visto come segno di un legame ancora più stretto e che mi avvicina ancora più a Lui. Per Grazia. Gli antichi Padri nella loro predicazione volentieri affermano con Ireneo che «il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione coll’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede» e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria «madre dei viventi e affermano spesso: « la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria ».
La Lettera |29| Marzo 2013
Pellegrinaggio di fede e di speranza
Un sabato da… Protezione Civile Un sabato da… Protezione Civile: è quello vissuto il 15 dicembre, con la festa dei volontari di Protezione Civile della Provincia di Bergamo, organizzato dall’Assessore Carrara Fausto e ospitata a Palazzago, imbiancata e gelida. Dalle 9.00 l’area socio-ricreativa ha visto affluire gruppi, singoli e Associazioni da tutta la Provincia; il corteo si è snodato tra le vie del paese fino alla chiesa parrocchiale per la celebrazione presieduta dal Vescovo Francesco. Nella bella riflessione proposta, il vescovo ha messo in relazione il profeta Elia, il precursore San Giovanni Battista e il Messia Gesù, evidenziando ciò che i testi della Scrittura proponevano. Figure possenti (Michelangelo potrebbe interpretarle nello stile della Cappella Sistina), soprattutto per la parola da cui si sono lasciati avvolgere e che hanno annunciata. Elia giungerà a sperimentare tutti gli elementi della terra, quelli stessi per i quali i Volontari di Protezione Civile si mettono in movimento: il fuoco, il turbine, il terremoto,…….. ma avvertirà la presenza del Signore nella “flebile voce di silenzio”. Ecco: qui c’è la possibilità di sperimentare la presenza del Signore, attraverso quella presenza discreta che comunica amore. I Volontari di Protezione Civile sono coloro che permettono a questo amore di giungere là dove si creano necessità e bisogno di intervento. Da ultimo Mons. Francesco ha esteso al compito dei volontari le parole del Vangelo: ”Sì,
verrà Elia e ristabilirà ogni cosa” (Mt 17,11). Anche loro, infatti, cercano di ristabilire ogni cosa, portare ordine e pace. Nell’offertorio sono stati portati al Vescovo, insieme al pane e al vino per l’Eucarestia, i segni che identificano i tanti campi di azione dei volontari: • masso simbolo di un volontariato solido che non viene spezzato da nessuna difficoltà; • terra e fango simbolo della capacità d’intervento; • pala simbolo del lavoro, del sudore e della fatica; • corda simbolo del legame tra la Protezione Civile e le popolazioni in difficoltà; • casco simbolo della sicurezza e del buon senso che caratterizza i volontari; • guinzaglio simbolo di un legame indissolubile non solo tra volontario e cane ma tra tutti i volontari di Protezione Civile; • pinne simbolo della capacità di muoversi con orgoglio e passione nelle situazioni più difficili; • Mario il Volontario segno dell’attenzione della Protezione Civile per i volontari di domani. Al termine della messa è stato regalato al Vescovo un elmetto con nome incorporato che ha indossato, salutando e benedicendo tutti i convenuti. Le offerte raccolte sono state date al Parroco e al Sindaco per le famiglie bisognose del paese.
La Lettera |30| Marzo 2013
PREGHIERA DEL VOLONTARIO DI PROTEZIONE CIVILE Signore, fa che questa tuta non debba mai sporcarsi di sangue, ma che sia simbolo di armonia e infonda fiducia; che queste corde non debbono mai sorreggere un ferito, ma che servono da traino per diffondere l’amore e la solidarietà; che i nostri fari servono ad illuminare soltanto volti sereni, che la nostra barella trasporti solo allegria; che le nostre manichette restino sempre asciutte; che i nostri cani siano solo fedeli e giocosi compagni di vita, che dalle nostre radio si diffondano solo messaggi di pace e di speranza; che i nostri attrezzi siano strumenti per una vita migliore; che i nostri mezzi portino solo pace e serenità e che la nostra pala rimanga, per tutti, solo simbolo della fatica e della partecipazione. Signore, quando tutto questo non sarà possibile sostienici nella nostra attività di soccorso che oltrepassa tutte le barriere ideologiche razziali e sociali e se mai ci fosse la necessità, anche con tutti i nostri difetti e le manchevolezze umane, là assistici dal nostro patrono SAN PIO, noi saremo pronti: per limitare i danni che l’uomo ha causato; Per portare anche un semplice sorriso ed esprimere il significato della vera Solidarietà. Aiutaci ad aiutare chi si trova nella sofferenza, nelle ostentazioni, nelle Calamità.
Il nostro Vicariato ha vissuto la 99° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato in grande stile, con proposte che l’hanno preparata, con incontri, celebrazioni e testimonianze nella Domenica 13 gennaio, in attesa di completare le iniziative a Pentecoste. La nostra Comunità ha accolto un folto gruppo di Eritrei che celebravano il loro Natale, vivendo con intensità e, anche con un po’ di curiosità, la liturgia e i segni del rito tigrino, condividendo il pranzo e la festa. In serata, il Vescovo Francesco ha presieduto la concelebrazione a Brembate, dove si è conclusa la giornata con l’incontro-testimonianza per i giovani del Vicariato.
La Lettera |31| Marzo 2013
LA STORIA IN UN GREMBO una madre e il Creatore, dialogo alle origini della vita e dell’amore La festa della vita e della famiglia sta assumendo una sua configurazione all’interno dell’anno pastorale, con gli spunti di riflessione e preghiera proposti nella settimana precedente, l’animazione della celebrazione, la festa pomeridiana con le “Simpatiche canaglie” e il ricordo. Ho sempre provato attrazione e incanto per gli artisti perché penso che l’arte sia un dono che avvicina a Dio. Nella sua attività l’artista penetra in modo misterioso il senso delle cose e della stessa esistenza e ne dà una rappresentazione che, per la sua bellezza, riesce a smuovere l’animo dell’artefice e di chi la contempla. L’opera d’arte unisce gli uomini in uno stupore simile a quello che la
Genesi ci racconta fu provato da Dio al termine della creazione. Di fronte alla nascita di un figlio anche la madre prova stupore, un’emozione che non si ferma in quell’attimo ma che prosegue, nel dipanarsi di quell’evento nel tempo: la sua crescita, i suoi progressi, i dolori, le gioie. Un’emozione che non può essere contenuta e nemmeno giustificata da una Di sicuro hai pensato questo compito per qualcuno diverso da me. Ho reso fertile la tua carne. Ti ho fatto un corpo capace di aprirsi in due davanti alla vita. Io sola non ho più il mio dolore miei sono i dolori di quelli che mi hai dato. Scorrono dentro di me fiumi di lacrime nascosti che nessuno si cura di arginare. A te ho scoperto le mie piaghe dentro il loro tepore puoi riposare. Tu sola conosci il passaggio che conduce a me Alla tua preghiera ho permesso di piegare il mio cuore.
Prenderò l’uomo che mi hai dato lo indosserò come una corona lo reggerò sulle braccia come un bambino lo stringerò al petto Come fiori, di vetro, colorati. La Lettera |32| Marzo 2013
semplice relazione umana, sia pur speciale come quella che unisce una madre a suo figlio. Ci sono momenti nel rapporto con il figlio in cui alla madre sembra di vivere la stessa esperienza eroica di un artista. Sono momenti rari, certamente misteriosi, in cui si accende una scintilla che realizza una comunicazione profonda tra madre e figlio, una comunicazione non necessariamente verbale capace di attestare che c’è stato un passaggio: che qualcosa di quello che si è cercato di dare, di trasmettere, di eternizzare è andato a segno e il messaggio è stato recepito. Il cammino
per giungere a questi momenti che stupiscono, come accade con ogni fenomeno che non si esaurisce nella sola dimensione umana, è, per la madre, lungo e impervio. E’ un cammino faticoso come l’elaborazione dell’opera d’arte e come quella non dà mai il senso della compiutezza. Ma, mentre l’artista è portato dall’intuizione, dal lampo di genio, per la madre occorrono fortezza e coraggio, e perseveranza e pazienza e speranza. Per tutti i giorni che tengono insieme quelle due vite, portando alla luce, nella estenuante routine dell’ordinario, un’entusiasmante quanto nascosta galleria d’arte.
Concepire non mi è costato sforzo e partorire non mi ha distrutta ma portare il peso di un destino eterno far crescere un corpo che non muoia mai continuare a dare la vita finché il tempo dura: questo non è per me. Di sicuro l’hai pensato per qualcun altro. Ti ho concesso di disegnare il suo sorriso a te ho fatto comporre le note della sua risata soltanto tu hai impastato la sua carne le tue dita sanno scorrere lungo il profilo della sua anima. Non è abbastanza una vita per ognuno? Mi hai caricato delle loro vite come fossero mie più della mia. I saggi che non raggiungono la Verità non soffrono quanto me che mi strappo il cuore traendolo da una parte all’altra senza riuscire ad amare. Mi sono trovata grande mentre sono bambina e su braccia esili devo sorreggere altri. A pochi ho concesso di essere saggi solo alcuni sono stati profeti e si possono contare i pastori. Tu sei madre per sempre hai ricevuto in dono la bellezza; tieni alto il volto e sinuose le membra per riuscire a danzare sul ritmo del mio cuore. La Lettera |33| Marzo 2013
IL LAVORO DEI CONSIGLI a cura di Patrizia e Fabrizio CONSIGLIO PASTORALE I lavori sono introdotti dalla preghiera. Poi don Giuseppe propone una riflessione sul rapporto tra catechesi e comunità, emersa nel consiglio presbiterale vicariale. Si tratta di un binomio importante e interessante da porre in evidenza per una nuova evangelizzazione. Innanzitutto la catechesi nella comunità, in quanto ritmata da incontri, appuntamenti, iniziative volte all’annuncio ai bambini e ai ragazzi, anche per i sacramenti dell’iniziazione cristiana e a favorire la formazione permanente per le varie fasce d’età; la catechesi attraverso la comunità, poiché è la stessa comunità che trasmette il Vangelo mediante il suo essere e la sua testimonianza di vita e infine la catechesi della comunità, poiché tutti siamo in un cammino di fede e siamo attori e destinatari di un percorso di catechesi attraverso le scelte che operiamo. Queste tre forme che segnano il rapporto tra catechesi e comunità, sono connesse e si sostengono a vicenda. L’itinerario di catechesi si colloca all’interno del progetto annuale della parrocchia, in sintonia con la Chiesa locale e universale, significato da una frase guida, da un’ icona, dalle cinque tappe dell’anno liturgico e dalle priorità scelte con i Consigli. I diversi cammini cercano di tradurre questo impianto con alcuni criteri di riferimento: - dialogo tra tradizione e traduzione ( ordito), - dialogo tra personale e comunitario ( trama),- dialogo tra la chiesa madre e le figlie -frazioni -(orlo). Come un tessuto è formato da un ordito, da una trama e ha un orlo per evitare che si sfilacci, così la vita di una comunità deve essere sostenuta dal rapporto reciproco e dall’unione, nell’accogliere e celebrare il mistero della Pasqua e della salvezza. La fede cristiana non è mai solo personale ma ha una dimensione comunitaria, è dialogo e relazione. Nella nostra parrocchia vi sono questi momenti di catechesi e formazione: - ADULTI ( incontro settimanale di catechesi, itinerari specifici più allargati e percorso con le parrocchie vicine; - GENITORI ( incontro di inizio anno catechistico, incontri specifici per genitori dei sacramenti, incontri familiari con i genitori dei battesimi, percorso genitori adolescenti); - FIDANZATI ( percorso con le parrocchie vicine e formazione di un gruppo di giovani coppie ancora da realizzare); -
GIOVANI ( incontro settimanale, coinvolgimento comunitario per alcuni appuntamenti: veglia di Natale, Via Crucis itinerante..; - ADOLESCENTI ( incontro settimanale, proposte comunitarie: Via Crucis, effetto Bibbia, Diaconato e Presbiterato del seminarista, campo scuola); - RAGAZZI/ BAMBINI ( incontro settimanale in due momenti: sabato e domenica; percorsi specifici per i sacramenti con ritiri, uscite e incontri; coinvolgimento nei tempi comunitari come le giornate eucaristiche e il mese di maggio; - CATECHISTI ( incontri di programmazione e verifica, formazione vicariale e parrocchiale, cammino parallelo tra i due gruppi, coinvolgimento nei tempi comunitari). La catechesi dell’iniziazione è proposta dall’inizio della scuola primaria fino alla secondaria di primo grado. I sacramenti: prima riconciliazione in seconda scuola primaria, messa di prima comunione in terza scuola primaria, cresima in seconda scuola secondaria di primo grado. In terza i due gruppi si uniscono per la proposta unitaria il sabato con la catechesi, la celebrazione, la pizzata e la serata in oratorio. Al termine dell’anno la promessa di impegno. Per quanto riguarda il percorso di Quaresima, viene ripreso il tema della “Porta Fidei” attraverso la collocazione del vecchio portone di legno della casa parrocchiale con le due ante aperte davanti al tabernacolo; ai cardini sono state fissate quattro formelle di don Carlo Tarantini che richiamano i quattro evangelisti e la Parola di Dio e ci invitano a riflettere sul peso che sostengono, il peso portato da Cristo nella passione, il peso dei nostri peccati riscattati dalla croce e la fatica del nostro cammino di conversione. Sopra il tabernacolo sarà invece posto un acquerello con il volto di Cristo, volto che si lascia scoprire sempre meglio nei dettagli non ben definiti. La frase guida sarà “Ecco, io sto alla porta e busso…” ( Apocalisse 3,20) come invito ad aprire la porta del nostro cuore a Colui che ci ha amato fino a donare la vita per noi. Questo itinerario di preparazione alla Pasqua diventa “Una missione possibile” attraverso l’ascolto della Parola di Dio della liturgia domenicale vissuta poi nelle scelte quotidiane e in un piccolo impegno per la settimana. La missione possibile viene dunque declinata per ogni domenica di Quaresima in missione resistente, missione manifesta, missione fruttifera, missione convertibile, missione liberante,
La Lettera |34| Marzo 2013
per giungere alla settimana santa come missione compiuta e alla Pasqua di Resurrezione come missione incredibile. Questo filo conduttore sarà legato alla lettura dei vangeli di ciascuna domenica e sarà anche affiancato dall’interpretazione che scaturisce osservando alcuni quadri materici di arte contemporanea di don Carlo posti a lato dell’ambone. Come ormai è tradizione, sarà disponibile il pieghevole con tutte le iniziative della parrocchia e dell’unità pastorale e i sussidi della diocesi per le famiglie. Ai bambini/ ragazzi della catechesi sarà dato ogni domenica un passaporto con il brano di vangelo, una preghiera e l’impegno della settimana. Inoltre sarà distribuito un cubo salvadanaio dove porre le loro offerte per le missioni diocesane e per la Terrasanta. AI ragazzi di seconda e terza media sarà proposto di partecipare al convegno missionario diocesano. Per quanto riguarda la verifica della vita di comunità, viene esplicitato il desiderio di alcune nuove famiglie di ricevere il bollettino e viene espresso un parere positivo sulla catechesi del giovedì mattina vista la buona partecipazione. Di recente è stata posta sull’altare una campana risalente al 1850 che si trovava nel museo parrocchiale e il cui rintocco fissa il momento della consacrazione. Tra le prossime iniziative c’è la preparazione della via crucis itinerante del venerdì
santo coordinata dai giovani con i vari gruppi e associazioni, il pomeriggio per la terza età l’11 febbraio in occasione della Madonna di Lourdes. A questo proposito l’Unitalsi organizzerà una giornata del malato a Sotto il Monte e un pellegrinaggio a Lourdes. Nell’ambito della pastorale della salute, in diocesi c’è una specifica commissione e vi saranno degli incontri di formazione a settembre per i ministri straordinari della comunione per analizzare l’importanza di un cammino di fede in relazione alla malattia e per porsi in modo più adeguato in ascolto del malato. Don Giuseppe informa il consiglio che il pellegrinaggio a Sotto il Monte in questo anno della fede e in ricordo del Concilio Vaticano II e di papa Giovanni XXIII sarà organizzato a giugno durante le feste patronali. Il pellegrinaggio dell’unità pastorale mercoledì 1 maggio sarà alla Madonna della castagna a Bergamo, mentre il pellegrinaggio della visita alle sette chiese è già stato programmato per domenica 2 giugno. Per la proposta di una vacanza al mare per famiglie con l’autogestione di un hotel si attende di vedere se c’è interesse per eventuali adesioni. Il prossimo lavoro strutturale sarà la realizzazione di un porticato fuori dalla cucina dell’Oratorio che coprirà anche la gradinata; si stanno ultimando i nuovi progetti della casa di Comunità.
CONSIGLIO PER GLI AFFARI ECONOMICI RENDICONTO ENTRATE: Rendite Immobiliari Offerte domenicali Offerte Celebrazione Sacramenti Offerte per candele Offerte raccolte straordinarie (Buste Patrono/Giornata Missionaria/ Raccolta defunti/Missioni/Parrocchia Disvetro) Offerte varie Erogazioni libere deducibili (per Casa); Il mio aiuto per fare casa Totale offerte Contributi da Enti Pubblici e Privati Attività Parrocchiali (Pellegrinaggi, ecc) Feste Oratorio (Serate, Feste Patronali e di Comunità, Capodanno...) Iniziative estive Oratorio (Cre, Baby Cre,Mare ado, Biciclettata…) Totale entrate attività Parrocchiali e Oratoriali Giro da conto Beita e Varie Entrate Bar e sale Oratorio TOTALE ENTRATE ANNO CORRENTE La Lettera |35| Marzo 2013
€ 6.596,80 € 20.440,71 € 10.445,00 € 6.463,55 € 12.100,61 € 11.394,50 € 2.600,00 € 63.444,37 € 11.128,06 € 31.007,67 € 68.635,00 € 43.548,04 € 143.190,71 € 29.173,00 € 28.699,60 € 282.232,54
RENDICONTO USCITE: Manutenzione Ordinaria Assicurazioni Remunerazioni professionali Spese Generali e Amministrative (Utenze/Gasolio riscaldamento/ Cancelleria/ecc.) Attività Parrocchiali Altre Spese Feste Oratorio uscite Iniziative estive Oratorio Carità – Missionari Arredi oratorio, imposte Totale Uscite Attivita’ Pastorali Oratoriali Tributi Curia Manutenzione Straordinaria Lavori Battistero, lavori oratorio (Edilizia, idraulico , falegname, ecc.) Altre Uscite Straordinarie Restauro Tele, materiale vario per cucina oratorio, ecc. Totale Manutenzione e uscite straordinarie Uscite Bar e Oratorio TOTALE USCITE ANNO CORRENTE Confrontando gli ultimi 4 anni, si ha questo prospetto: 2009: entrate € 242.887,10 - uscite € 208.057,40 2010: entrate € 268.274,94 - uscite € 304.661,66 2011: entrate € 235.883,83 - uscite € 219.435,34 2012: entrate € 282.232,54 - uscite € 310.618,98 Ecco i conti della famiglia allargata che è la Comunità Parrocchiale. Dentro e oltre questi numeri collochiamo la forza, la passione, la disponibilità di tante persone che rendono davvero significativo il bilancio. E’ vero: non tutti contribuiscono allo stesso modo, anzi qualcuno (e a volte sono proprio quelli che hanno da ridire su tutto, figuriamoci sui soldi…) per niente, ma non dimentichiamoci dell’obolo della vedova di evangelica memoria. Il raffronto con l’anno precedente fa balzare immediatamente all’occhio un aumento nelle entrate (cosa strana se pensiamo alla crisi dilagante) ma anche nelle uscite (cosa normale se pensiamo al grande cantiere che è la Parrocchia). Certo, alcune somme sono entrate e anche uscite (vd le iscrizioni del pellegrinaggio in Terrasanta che segnano comunque le iniziative messe in atto); si re-
€ 1.674,00 € 2.519,00 € 9.571,01 € 30.657,48 € 25.641,00 € 18.486,19 € 36.296,50 € 41.934,54 € 7.151,10 € 2.117,50
• • • •
Cre 2013: dal 24 giugno al 19 luglio in Oratorio Baby Cre: dal 1 al 26 luglio presso la Scuola dell’infanzia Mare adolescenti: dal 22 al 27 luglio Biciclettata: dal 6 al 10 agosto
• Vacanza al mare stile familiare: dal 10 al 17 agosto a Bellaria
€ 131.626.83 € 3.955,90
Dal sondaggio che abbiamo fatto a febbraio, è emerso un interesse per la proposta che sarà quindi concretizzata in autogestione nell’Albergo Gianella di Bellaria, Rimini, a 20 metri dal mare, in zona pedonale e a 100 metri dal pieno centro. Le camere disponibili sono 27 da 2/3/4 letti, tutte con servizi interni e una mansarda con 4 camere. Mauro e Ivonne ci assicurano la gestione della cucina; i partecipanti si alterneranno in un aiuto e/o nell’assicurare i lavori domestici necessari per gli spazi comuni. Ci saranno anche momenti insieme, animazione e proposte varie.
€ 78.144,77 € 20.199,51 € 98.344,28 € 32.270,48 € 310.618,98
gistrano aumenti leggeri nelle offerte domenicali, nelle candele, nei sacramenti e nelle buste (mancano però quelle del Natale 2012, segnate nella contabilità del 2013). Incremento notevole si registra anche nella voce “carità”, segno tangibile di un’attenzione verso persone, situazioni e istituzioni bisognose. Sappiamo poi della grande generosità per le Missioni. Sono sempre una voce interessante le entrate garantite dalle diverse feste e iniziative che i volontari e le volontarie mettono in cantiere lungo l’anno e che, forse, sono l’aspetto particolare del bilancio: assicurano infatti quel margine che ci dà la possibilità di mantenere le numerose strutture e di continuare i lavori, nelle chiese, in oratorio e nei restauri. Ecco perché a fine anno la situazione è in rosso (pur con un giro di 25.000 € dal conto della Beita per poter coprire tutte le uscite e saldare le Ditte che hanno fatto i diversi interventi). Ma, come sempre, tutto questo mancherebbe di significato se non fosse volto alla costruzione di una Comunità che si raduna nel nome del Signore, ascolta la sua Parola, celebra i Sacramenti, accompagna il cammino delle nuove generazioni e si fa prossimo, nella sofferenza e nella fatica.
La Lettera |36| Marzo 2013
LA PORTA... DELL’ESTATE
Sul sito saranno disponibili i moduli per le diverse iscrizioni, che verranno comunicate anche sulla Lette…Rina. Abbiamo alcune certezze: il luogo (santuario della Cornabusa) e il gruppo al femminile (tranne parroco e curato). Qualcuno si riconosce?