La lettera GIUGNO 2016
anno XXX numero 2
Bollettino della parrocchia prepositurale di san Giovanni Battista in Palazzago e di san Carlo in Burligo
Orari Sante Messe Palazzago Sabato
ore 18.00 Beita ore 19.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica ore ore ore ore
09.00 Montebello 09.00 Beita 10.30 Chiesa Parrocchiale 18.00 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00
Brocchione (Cappella) Precornelli Beita Cimitero Ca’ Rosso
Orari Sante Messe Burligo Sabato
ore 18.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica
ore 09.00 Collepedrino ore 10.30 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 18.00 ore 18.00 ore 18.00 ore 20.00 ore 18.00
Chiesa Parrocchiale Acqua Chiesa Parrocchiale Cimitero Chiesa Parrocchiale
Recapiti Don Giuseppe Don Roberto Don Giampaolo Don Paolo
035.550336-347.1133405 035.540059-348.3824454 338.1107970 035.550081
Oratorio e Sagrestia Palazzago 035.551005
www.oratoriopalazzago.it parrocchia@oratoriopalazzago.it segreteria@oratoriopalazzago.it palazzago@diocesibg.it
Giovanni è un uomo paradossale. In tutta la sua vita ha seguito vie che sono completamente opposte a ciò che normalmente cercano gli uomini. Ha preferito il deserto arido piuttosto che il luogo affollato. Ha scelto un linguaggio diretto e a volte duro e scottante. Ha sempre allontanato la sua vita, così ricca di segni di potenza divina, da ogni sorta di potere e politico e religioso; e non ha temuto di denunciare le ipocrisie e le maschere dell’uomo che cerca il potere. Ha avuto molti discepoli; ma vedendo passare Gesù, non ha esitato minimamente a indicare ai suoi discepoli che era proprio LUI, il Cristo, colui che dovevano seguire. Ha servito e annunciato fino in fondo il regno di Dio rivelato in Gesù, dando per lui la vita; eppure, in carcere, ha dovuto lui stesso convertire il suo modo di pensare il volto di Dio e accoglierlo nella compassione di chi guarisce e non nella severità di chi giudica. Ha accettato il ruolo scomodo di chi comunica la spada tagliente della parola; tutta la sua vita è racchiusa dalla esperienza intima della gioia A chi gli chiedeva :”Tu, chi sei?”, non ha risposto esibendo tutta la sua autorità o la sua missione ma ha preferito dire chi non era: “io non sono il Cristo [….]. Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete dritta la via del Signore”. Il Cristo, invece, se lo trova al battesimo, in fila con i peccatori. L’autore dell’affresco che vediamo sulla volta della Chiesa della Trinità a Montebello, ha isolato dalla folla questo momento, per catturare lo squarcio del cielo, con il Padre che con un ampio gesto del braccio dice sì al Figlio, l’Amato. E la colomba-Spirito parte tra quei raggi che diventano strada di incarnazione, epifania di un figlio vero Dio e vero uomo. Battesimo di Gesù Chiesa della Trinità, Montebello: affresco settecentesco della volta.
Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 108) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,... La Lettera
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[Editoriale]
Secondo annuncio
“E’ iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso.” Così nell’ormai lontano 1979 si esprimeva Giovanni Paolo II, pronunciando per la prima volta l’espressione “secondo annuncio” che oggi va per la maggiore. Ma non è solo una formula, bensì la realtà che sempre più si presenta anche nelle nostre comunità di antica tradizione cristiana. I percorsi dei genitori che accompagnano i figli per i sacramenti, non sono forse un “secondo annuncio”? E l’itinerario per le coppie che decidono di sposarsi nel Signore? E le riflessioni che tante persone ascoltano venendo in chiesa dopo tanto tempo per un funerale o perché invitati ad una festa? Questo “secondo annuncio” non è “altro” rispetto al primo, ma chiede di far diventare scelta personale quella fede ereditata o quasi subita, oppure di sceglierla dopo averla abbandonata per i motivi più diversi. Ma la connotazione di “secon-
do” riferita all’annuncio ci ricorda che la fede non è mai acquisita una volta per tutte e che Dio è
sempre generoso di sorprese nei riguardi dell’uomo. Si apre il periodo estivo con la festa patronale di San Giovanni Battista a Palazzago e di Santa Eurosia a Burligo, figure che ci
riportano a quel primo annuncio che è stato fatto nella nostra terra tanti secoli fa. Entriamo anche nel trentesimo anno della Lettera, il Bollettino che accompagna e fa memoria dei nostri passi, rendendo ragione della vita comunitaria e del movimento che nasce dall’incontro con il Signore. La scelta di portarla a tutte le famiglie gratuitamente va nell’orizzonte di una “chiesa in uscita”. Continuano i lavori della casa parrocchiale che già dai primi progetti (e sono stati tanti) abbiamo chiamato Casa di Comunità, perché, se è bello che il parroco abbia una casa (questo è l’ottavo anno senza), è ancora più bello che ognuno si senta a casa. A casa nella Chiesa. A casa nella Comunità. Non vogliamo restarne fuori, vero?
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Che cosaTitolo ti è successo, Titolo Titolo Europa, paladina dei diritti dell’uomo? E’ illuminante il Discorso di Papa Francesco per il conferimento del Premio Carlo Magno (venerdì 6 maggio 2016). Vale la pena leggerlo. Illustri Ospiti, Desidero ribadire la mia intenzione di offrire il prestigioso Premio, di cui vengo onorato, per l’Europa: non compiamo infatti un gesto celebrativo; cogliamo piuttosto l’occasione per auspicare insieme uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente. La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa. Nel secolo scorso, essa ha testimoniato all’umanità che un nuovo inizio era possibile: dopo anni di tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi, è sorta, con la grazia di Dio, una novità senza precedenti nella storia. Le ceneri delle macerie non poterono estinguere la speranza e la ricerca dell’altro, che arsero nel cuore dei Padri fondatori del progetto europeo. Essi gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio costruito da Stati che non si sono uniti per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune, rinunciando per sempre a fronteggiarsi. L’Europa, dopo tante divisioni, ritrovò finalmente sé stessa e iniziò a edificare la sua casa. Questa «famiglia di popoli»[1], lodevolmente diventata nel frattempo più ampia, in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune, talvolta innalzate scostandosi La Lettera
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dall’illuminato progetto architettato dai Padri. Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari. Tuttavia, sono convinto che la rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa e che anche «le difficoltà possono diventare promotrici potenti di unità»[2]. Nel Parlamento europeo mi sono permesso di parlare di Europa nonna. Dicevo agli Eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. Un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società; dinamismi capaci di coinvolgere e mettere in movimento tutti gli attori sociali (gruppi e persone) nella ricerca di nuove soluzioni ai problemi attuali, che portino frutto in importanti avvenimenti storici; un’Europa che lungi dal
proteggere spazi si renda madre generatrice di processi (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 223). Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli? Lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, diceva che oggi è capitale realizzare una “trasfusione di memoria”. E’ necessario “fare memoria”, prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri antenati. La memoria non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 108), ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando. La trasfusione della memoria ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre «una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la
pienezza umana» (ibid., 224). A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa. Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni. Robert Schuman, in quello che molti riconoscono come l’atto di nascita della prima comunità europea, disse: «L’Europa non si farà in un colpo solo, né attraverso una costruzione d’insieme; essa si farà attraverso realizzazioni concrete, creanti anzitutto una solidarietà di fatto»[3]. Proprio ora, in questo nostro mondo dilaniato e ferito, occorre ritornare a quella solidarietà di fatto, alla stessa generosità concreta che seguì il secondo conflitto mondiale, perché – proseguiva Schuman – «la pace mondiale non potrà essere salvaguardata senza sforzi creatori che siano all’altezza dei pericoli che la minacciano»[4]. I progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell’avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri. Sembrano esprimere un accorato invito a non accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato, ma a porre coraggiosamente basi nuove, fortemente radicate; come affermava Alcide De Gasperi, «tutti egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa», ricominciare, senza paura un «lavoro costruttivo che esige tutti i nostri
sforzi di paziente e lunga cooperazione»[5]. Questa trasfusione della memoria ci permette di ispirarci al passato per affrontare con coraggio il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare. Capacità di integrare Erich Przywara, nella sua magnifica opera L’idea di Europa, ci sfida a pensare la città come un luogo di convivenza tra varie istanze e livelli. Egli conosceva quella tendenza riduzionistica che abita in ogni tentativo di pensare e sognare il tessuto sociale. La bellezza radicata in molte delle nostre città si deve al fatto che sono riuscite a conservare nel tempo le differenze di epoche, di nazioni, di stili, di visioni. Basta guardare l’inestimabile patrimonio culturale di Roma per confermare ancora una volta che la ricchezza e il valore di un popolo si radica proprio nel saper articolare tutti questi livelli in una sana convivenza. I riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. E lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, l’esclusione provoca viltà, ristrettezza e brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità. Le radici dei nostri popoli, le radici
dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale. L’attività politica sa di avere tra le mani questo lavoro fondamentale e non rinviabile. Sappiamo che «il tutto è più delle parti, e anche della loro semplice somma», per cui si dovrà sempre lavorare per «allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà
benefici a tutti noi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 235). Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale. In questo modo la comunità dei popoli europei potrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paraLa Lettera giugno ‘16
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digmi unilaterali e di avventurarsi in “colonizzazioni ideologiche”; riscoprirà piuttosto l’ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto
dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure. Senza questa capacità di integrazione le parole pronunciate da Konrad Adenauer nel passato risuoneranno oggi come profezia di futuro: «Il futuro dell’Occidente non è tanto minacciato dalla tensione politica, quanto dal pericolo della massificazione, della uniformità del pensiero e del sentimento; in breve, da tutto il sistema di vita, dalla fuga dalla responsabilità, con l’unica preoccupazione per il proprio io»[6]. Capacità di dialogo Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del La Lettera
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dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. E’ urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere «una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro», portando avanti «la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 239). La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione. Questa cultura del dialogo, che dovrebbe essere inserita in tutti i curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline, aiuterà ad inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando. Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro.
Capacità di generare Il dialogo e tutto ciò che esso comporta ci ricorda che nessuno può limitarsi ad essere spettatore né mero osservatore. Tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione. La situazione attuale non ammette meri osservatori di lotte altrui. Al contrario, è un forte appello alla responsabilità personale e sociale. In questo senso i nostri giovani hanno un ruolo preponderante. Essi non sono il futuro dei nostri popoli, sono il presente; sono quelli che già oggi con i loro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spirito europeo. Non possiamo pensare il domani senza offrire loro una reale partecipazione come agenti di cambiamento e di trasformazione. Non possiamo immaginare l’Europa senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno. Ultimamente ho riflettuto su questo aspetto e mi sono chiesto: come possiamo fare partecipi i nostri giovani di questa costruzione quando li priviamo di lavoro; di lavori degni che permettano loro di svilupparsi per mezzo delle loro mani, della loro intelligenza e delle loro energie? Come pretendiamo di riconoscere ad essi il valore di protagonisti, quando gli indici di disoccupazione e sottoccupazione di milioni di giovani europei sono in aumento? Come evitare di perdere i nostri giovani, che finiscono per andarsene altrove in cerca di ideali e senso di appartenenza perché qui, nella loro terra, non sappiamo offrire loro opportunità e valori? «La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non
è mera filantropia. E’ un dovere morale».[7] Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso, abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani. Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale. Penso ad esempio all’economia sociale di mercato, incoraggiata anche dai miei Predecessori (cfr Giovanni Paolo II, Discorso all’Ambasciatore della R.F. di Germania, 8 novembre 1990). Passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione. Dobbiamo passare da un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a un’economia sociale che garantisce l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro come ambito in cui le persone e le comunità possano mettere in gioco «molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione. Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che “si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro […] per tutti”[8]» (Enc. Laudato si’, 127). Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso, se vogliamo un futuro di pace per le nostre società, potremo raggiungerlo solamente puntando
sulla vera inclusione: «quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale». [9]Questo passaggio (da un’economia liquida a un’economia sociale) non solo darà nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione, ma ci aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo, di cui l’Europa è stata culla e sorgente. Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante. Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i grandi evangelizzatori del continente, siano toccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa. In questo, il cammino dei cristiani verso la piena unità è un grande segno dei tempi, ma anche l’esigenza urgente di rispondere all’appello del Signore «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, «un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia»[10]. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura
del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia. Grazie. [1] Discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014. [2] Ibid. [3] Dichiarazione del 9 Maggio 1950, Salon de l’Horloge, Quai d’Orsay, Parigi. [4] Ibid. [5] Discorso alla Conferenza Parlamentare Europea, Parigi, 21 aprile 1954. [6] Discorso all’Assemblea degli artigiani tedeschi, Düsseldorf, 27 aprile 1952. [7] Discurso a los movimientos populares en Bolivia, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015. [8] Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32: AAS 101 (2009), 666. [9] Discurso a los movimientos populares en Bolivia, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015. [10] Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014.
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Anche i preti al Giubileo Più di 500 preti si sono stretti in preghiera col vescovo Francesco per il giubileo del 9 marzo. Dopo aver proposto una riflessione sulla figura del prete illuminata dal tema misericordia, il Vescovo ha rivolto una preghiera al Crocifisso, chiedendo perdono dei peccati e delle mancanze della Chiesa di Bergamo e dei suoi preti. «Signore Gesù, mi faccio eco sommesso della voce che è appena salita a Te, la voce di noi, i tuoi amici, i tuoi ministri, i tuoi messaggeri. È una voce rotta da un’interiore commozione, da un sospiro che Ti chiede pietà della tentazione di ritornare muta. È voce che aspira a raggiungere il cuore di ogni persona umana. Miserere, misericordia chiediamo a Te, al Tuo popolo, all’unanimità. Domandiamo insieme pietà per i nostri peccati nascosti e per quelli che stanno davanti agli occhi, per quelli personali e per quelli che ci han visto tristemente anche se inconsapevolmente complici. Domandiamo perdono e dichiariamo pentimento, per presunzione e sicumere, pigrizie affannate, per ipocrisie giustificate. Chiediamo misericordia e manifestiamo pentimento per superbe immunità, per sicurezze ostentate, per il sottile gusto del potere. Chiediamo pietà a Te, ai piccoli, a colori che Ti credono e coloro che non Ti credono per le infedeltà celate e quelle svelate, per gli scandali di nostre azioni devastanti, per le giustificazioni pretestuose e le difese ingiustificabili. Chiediamo il dono della misericordia a Te, alle nostre Comunità, a tutti. Chiediamo la forza della conversione a Te, al tuo Vangelo, ad una rinnovata, umile, gioiosa fedeltà. Chiediamo umilmente la pace, per essere uomini di pace».
Al termine della mattinata, insieme con il Vescovo al Battistero in piazza Duomo hanno rinnovato le promesse battesimali e sacerdotali, quindi preceduti da monsignor Beschi sono entrati processionalmente in Cattedrale attraverso la Porta della Misericordia per celebrare il loro Giubileo. La Lettera
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[Il giubileo dei ragazzi] Bergamo, la Città dei Mille è diventata la Città dei Quindicimila. In un 25 aprile pieno di sole e di vento quattro cortei sono partiti dai parchi Suardi, Redona, Goisis e dal Seminario, per dirigersi verso lo stadio -dove solitamente gioca l’Atalanta - per il “Giubileo dei bambini e dei ragazzi” sul tema della Misericordia. L’evento è stato organizzato dalla diocesi di Bergamo, in collaborazione con gli alpini dell’Ana, La Traccia, l’Atalanta, Framar e il Teatro Daccapo. Ogni corteo era contrassegnato da un foulard colorato al collo di ogni partecipante (rosso, giallo, blu e verde) che nello stadio creava un effetto coreografico
La Città dei Quindicimila
bellissimo quando, alzandosi e abbassandosi in modo sincronizzato, ogni settore riproduceva l’idea di un moto ondoso. Il Giubileo si è aperto con uno spettacolo teatrale rivisitando la parabola del buon samaritano con quattro domande scritte a caratteri cubitali su teli agitati sul campo verde. Il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, ha guidato la riflessione sottolineando l’invito di Gesù a
Lavorare
[Il giubileo del mondo del lavoro] Lavorare bene, lavorare insieme e lavorare davanti a Dio. Tre imperativi morali che il vescovo di Bergamo, Monsignor Francesco Beschi, ha voluto ricordare nella messa celebrata all’interno dell’azienda Gildemeister in occasione del Giubileo del mondo del lavoro. Centinaia le persone –diverse anche da Palazzago- che hanno affollato gli spazi lavorativi dell’azienda di Brembate Sopra, salutate dall’amministratore delegato
mettere «avanti» il prossimo, gli altri, e «farsi vicino a tutti, a chi ha più bisogno, ai disprezzati, agli abbandonati». Idealmente i quindicimila hanno attraversato la porta santa, la cui sagoma è stata tracciata dai cento ragazzi e giovani della coreografia sul campo di calcio, ricordando che tutti siamo “fatti di stoffa preziosa”. Anche i 65 di Palazzago che hanno partecipato.
Mario Stroppa e da don Cristiano Re, direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro. “In questo Giubileo, che è occasione di festa- ha sottolineato lo stesso don Re- non dimentichiamo le fatiche di questo mondo, i tanti disoccupati, le molte storie tristi. Occorre continuare a seminare con coraggio gesti e parole di speranza, mettendoci qualcosa di nostro per il bene di tutti”. Alla cerimonia hanno partecipato,
oltre ai dirigenti e ai dipendenti dell’azienda con le loro famiglie, i rappresentanti delle istituzioni, i segretari provinciali dei sindacati confederali, esponenti dell’associazionismo: una vera celebrazione di comunità per la festa dei lavoratori. Per questo il vescovo Beschi ha voluto inizialmente salutare e ringraziare personalmente “tutti coloro che lavorano in questa azienda”, senza dimenticare “le persone che hanno concluso
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il loro iter lavorativo, ora possano godere in salute e serenità la loro pensione” e anche “coloro che sono rimasti feriti o che sono morti sul lavoro, a volte a causa del loro lavoro”. Nell’omelia il vescovo ha ricordato come “evocare la Misericordia significhi evocare la miseria, in quanto la parola stessa è composta dalle parole “miseria” e “cuore”: si evoca la miseria umana, che può essere materiale, culturale, relazionale o spirituale. Non possiamo quindi dimenticarci le miserie che attraversano il mondo del lavoro, di chi lo vive con precarietà, di chi vive la responsabilità lavorativa con fatica, sofferenza e incomprensione, né possiamo dimenticarci i tanti fallimenti, veramente impensabili a volte, e le miserie che hanno a che fare con lo sfruttamento. Lo immaginiamo in paesi diversi dai nostri, ma la possibilità dello sfruttamento è reale anche nel nostro: esistono giovani, donne, anziani che subiscono questa condizione. A fronte di questo è necessario evocare in noi un senso profondo della giustizia, che viene arricchito dalla misericordia. Chiediamo quindi perdono per i peccati del mondo del lavoro, in questo quadro ricordo alcune vicende che
segnano il nostro territorio, che a volte ci fanno pensare che le persone che lavorano rappresentino una variabile tra le altre, la variabile più fragile nell’organizzazione del lavoro. Le preoccupazioni di ordine umano e sociale sono determinate non da autentiche verità, ma da problemi di immagine, ordine pubblico, rapporti di forza. Il vescovo Beschi ha quindi voluto donare tre prospettive legate al modo di lavorare dei bergamaschi: “In questo luogo avvertiamo l’importanza e la bellezza umana del lavoro: in queste settimane sto percorrendo la nostra Diocesi e uno dei temi emergenti è proprio quello del lavoro. Una delle caratteristiche che ci appartiene è quella di lavorare bene, aspetto che connota il nostro modo di concepire il lavoro e che ci ha qualificato rispetto ad altri territori. Il nostro lavoro è riconosciuto perché continuiamo ad alimentare questa qualità che trova la sua espressione nel “lavorare bene”: non è solo una qualità produttiva, ma morale. In questo senso assume particolare rilievo anche il “lavorare insieme”: sempre più spesso si
Ringraziamo don Elio per il dono che ha fatto alla nostra Comunità : una tela con il volto di Cristo, opera dei primi anni del ‘900, di Nazareno Conte, pittore spezzino. Per ora è esposto nell’ingresso della sagrestia. Entrerà quindi tra le molte opere d’arte che si possono ammirare nel museo parrocchiale, per il quale don Elio ha fatto davvero molto.
La Lettera
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sente parlare di necessità di creare sinergie, di fare squadra, ma lavorare insieme significa capacità di creare coesione, solidarietà, che non sono destinate solo a una maggiore efficienza o produttività, ma ad alimentare la dignità umana, che non può essere alimentata quando affermiamo diritti di indole individuale, dimenticando l’altro, lasciando perdere l’altro, che magari fa più fatica. Per questo lavorare bene e lavorare insieme sono imperativi morali che alimentano la speranza nei momenti difficili. E voglio infine ricordare, a chi crede e a chi non crede, la bellezza di lavorare davanti a Dio. Durante l’Offertorio, nella Messa, si mette in evidenza l’unità tra natura, responsabilità umana e dono di Dio. Quando questa unità si compie anche nel nostro ambito lavorativo, il nostro lavoro crea veramente vita e non solo prodotti”.
Mani di Madre
[Triduo dell’Addolorata]
Le mani della madre trattengono, proteggono, curano. Ma le mani della madre devono anche lasciar andare, perché accoglienza significa rispetto della libertà del figlio, dell’altro. Amore autentico è fare tutto perché l’altro possa decidere di sé. Maternità è fedeltà, perdono, speranza… Sono questi i tre passaggi che hanno guidato la riflessione nel triduo dell’Addolorata, nella cui festa abbiamo anche “inaugurato” la sistemazione dell’altare dove è custodito il simulacro ligneo del Fantoni restaurato lo scorso anno. I Fanti hanno guidato la cordata che ha visto diverse collaborazioni e donazioni per restituirci un luogo decoroso, pulito, bello. Grazie a tutti. In una bottiglia collocata sotto la lastra di marmo abbiamo anche inserito i molti messaggi fatti di invocazioni, preghiere, ringraziamenti…scritti da coloro che guardano a Maria Addolorata come “segno di sicura speranza”. Affidiamo ad un’opera e a due preghiere il racconto di quei giorni. UN’OPERA D’ARTE CONTEMPORANEA Le mani della madre sono quelle che accolgono e accudiscono; sono il segno di una vicinanza senza se e senza ma; sono il simbolo di un essere sempre dalla parte della vita del figlio. La vita del figlio per la madre è centrale. L’amore dice dunque che la vita dell’altro è più importante della propria. All’inizio vita significa sopravvivenza, poi sempre più ampia conoscenza del mondo e, un po’ più in là nel tempo, diventa possibilità di decidere di sé, essere liberi, scegliere la propria strada. A quel punto la madre deve saper lasciar andare; aprire le mani per non trattenere. In realtà la dimensione del riconoscimento del mistero della libertà dell’altro deve abitare sempre le mani, le azioni, i gesti della madre. Ma ci sono dei momenti della vita del figlio in cui questo amore della sua libertà è chiamato a rendersi evidente. Uno di questi momenti è certamente l’adolescenza e poi la giovinezza. Per questo motivo, spesso l’adolescenza è indicata come una nuova nascita. C’è un’artista di origine argentina, Silvia Levenson, nata a Buenos Aires nel 1957, che è affascinata da questo mistero della vita come strada da intraprendere con la propria libertà. Per esprimere il suo stupore e il fascino che questo tema esercita in lei ha realizzato un’opera che intitola È volata via. Il materiale usato è vetro e resina e l’opera consiste in un’altalena sotto la quale sta un paio di scarpe da bambina. Seguendo la metafora che l’artista propone, possiamo vedere che l’infanzia è il tempo in cui un piccolo uomo, una piccola donna vengono messe sull’altalena della vita sotto lo sguardo vigile dei genitori. Ma poi arriva il momento in cui il figlio
si avvia per la sua strada, lascia l’altalena su cui era stato posto per prendere un altro cammino, un altro saliscendi, un altro impegno di vita e per dare ad esso il suo ritmo, la sua velocità. Arriva il momento di spiccare il volo e uscire dal nido. Tutto ciò che la madre, il padre hanno fatto è l’eredità con la quale affronterà il mondo, l’eredità di cui farà l’uso che ne vorrà. Quel momento è un passaggio delicato per il figlio e delicato per i genitori. Per il figlio perché è il momento in cui si troverà a prendere la vita in piena responsabilità; senza più potersi giustificare eventuali suoi errori perché altri hanno scelto per lui. Per i genitori che si troveranno, in una situazione che per molti aspetti - cominciando dalla casa e dalla stanza del figlio che diventerà vuota - simile a quella di prima, quella di prima di diventare genitori. Dovranno interpretare il loro ruolo di genitori, di padre e di madre in modo nuovo, diverso da prima, di quando il figlio abitava ancora con loro. La Lettera giugno ‘16
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PREGHIERA PER UN FIGLIO di Douglas Mac Arthur
Dammi un figlio Signore, che sia abbastanza forte da riconoscere la sua debolezza, e abbastanza coraggioso da affrontare se stesso di fronte alla paura. Dagli la forza di restare in piedi, dopo una sconfitta onorevole, così come la forza di restare umile e semplice dopo la vittoria. Dammi un figlio, Signore, in cui i desideri non rimpiazzino le azioni, un figlio che ti conosca e sappia conoscere se stesso. Fa che percorra, Ti prego non il sentiero dell’agiatezza e della comodità, ma quello dello sforzo e della sfida nella lotta contro le difficoltà. Insegnagli a tenersi diritto nella tempesta, ma anche ad avere comprensione per coloro che sono deboli. Dammi un figlio che abbia un cuore puro e un ideale elevato, un figlio che sappia dominarsi prima di voler dominare gli altri, un figlio che sappia ridere senza dimenticarsi come si fa a piangere, senza dimenticarsi del passato. E dopo tutto questo, Signore, dagli, Ti prego, il senso dell’umorismo, così che viva con serietà, ma sappia guardare se stesso senza mai prendersi troppo sul serio. Donagli l’umiltà, che gli ricordi sempre la semplicità della vera grandezza; l’apertura di spirito della vera sapienza, e la dolcezza della vera forza. E allora io, suo padre, potrò sussurrare: “Non ho vissuto invano”.
La Lettera
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PREGHIERA A MARIA CHE RICEVE GESÙ DEPOSTO DALLA CROCE di Italo Alighiero Chiusano Ecco, Maria, rimettiamo fra le tue braccia tuo figlio Gesù. Ricordi quando lo hai allattato per la prima volta, nella stalla di Betlemme? Quando lo stringevi a te, trotterellando sull’asino durante la fuga in Egitto? Quando lo hai abbracciato felice dopo averlo ritrovato, fanciullo, nel tempio? Tu sai che cosa Gesù è venuto a fare, in questo mondo, nascendo da te. Hai sentito spesso i suoi discorsi, hai assistito ad alcuni suoi miracoli, cominciando da quello di Cana che tu stessa gli hai suggerito per amor nostro. Oggi infine lo hai visto patire e morire. Ora te lo trovi morto fra le braccia dopo il trattamento che gli hanno inflitto gli uomini. Non ti disconoscerò al punto d’implorarti: “Per favore, non odiarci!”. So abbastanza chi tu sei per chiederti invece: “Perdonaci, e amaci ancora di più”.
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Titolo eTitolo Volto mani Titolo Titolo Sembra un forno, la piccola stanza del Cenacolo dove l’artista Sieger Köder dipinge la sua Cena. Un forno caldo e accogliente attraversato però da un’ombra improvvisa. Attorno alla tavola ci sono i Dodici, anzi gli Undici perché Giuda se n’è già andato, se ne sta andando in quel momento. Lo scopriamo d’improvviso perché tra i volti degli apostoli ce n’è uno colto nell’atto di voltarsi verso un uscio nascosto nell’area più oscura della stanza. Giuda è lì, confinato fra la tavola e la porta. Ha appena preso il boccone dalla tavola, ha udito le parole del Maestro: «Quello che devi fare fallo presto» ed eccolo sull’uscio, pronto per essere inghiottito da quella notte che prima di essere un’annotazione temporale descrive lo stato dell’anima del traditore. Gli altri restano lì: undici teste che ruotano attorno alla mensa più gravida di senso e di storia che si sia mai potuta raccontare. Un carosello di mani e di volti in cui si declinano tutti i sentimenti umani verso il Mistero: gesti e volti imploranti, pensosi, sorpresi, impauriti, oranti... Una mano tocca la tavola, una sola, ed è dell’apostolo che si piega in contemplazione. Cosa vede? Cosa guarda? Vede i segni posti sulla tavola, vede l’ombra della croce stagliarsi sul biancore della tovaglia e su quella croce ecco il pane, segno di un corpo dato, quello di Cristo. Il pane ha la forma del mondo: è un corpo dato per la moltitudine, quella di ieri e di oggi, quella dei secoli a venire. È un pane che, così disposto, lascia intravvedere la forma di due lettere greche: Chi Ro. Cristo Redentore, un acronimo che per i cristiani della prima ora aveva tutto il senso profondo della risurrezione. Quel corpo, dato per la nostra salvezza sulla croce, risorgerà. Ed ecco allora il significato della bianca tovaglia, di quel telo in cui riposa tutta la luce del quadro: è preannuncio del telo sindonico, testimone silenzioso della Risurrezione di Cristo. La Lettera
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[Settimana Santa]
C’è un’altra mano appoggiata, quasi distrattamente, sulla tovaglia è quella dell’apostolo che attende quel pane. Chi glielo porge ha gli occhi pieni di luce, guarda verso di noi. Guarda verso quel calice che sta al centro della scena e della tavola. È il calice di Cristo, sorretto dalle mani stesse del Sal-
vatore. È qui Köder ci rivela il suo sguardo mistico, indagatore, capace di sottrarre alla polvere della memoria le bellezze antiche e mai tramontate. In quel calice, e solo in quel calice, ci è dato di vedere il volto del Signore. Gesù, infatti, non lo si vede , ciò che vediamo di lui è solamente il volto sigillato in quel vino. Köder ci racconta la dimensione sacramentale del Giovedì Santo. Nel cuore del cenacolo si consuma quell’offerta totale del Cristo che diventerà vita, storia e sacramento nei giorni seguenti. A noi è dato di incontrare questi stessi eventi solo attraverso il Santissimo Sacramento. Di Gesù vediamo il volto riflesso nel vino e le mani, perché è questo che noi vediamo in ogni Eucaristia: le mani di un uomo preso tra gli uomini che ci restituiscono intatto e vivo l’incontro con lo sguardo e il corpo del Signore. Tutto questo sigillato nel Triduo Pasquale che abbiamo vissuto con intensità e partecipazione.
Nel dipinto di Sieger Koder vediamo Gesù e Pietro che s’inchinano profondamente l’uno verso l’altro. Gesù è inginocchiato, quasi prostrato davanti a Pietro in un gesto assoluto, non si vede nemmeno il suo volto. In questo momento Gesù è soltanto servizio per quest’uomo davanti a lui. E così vediamo il suo volto rispecchiato nell’acqua, sui piedi di Pietro. Pietro s’inchina verso Gesù. La sua mano sinistra ci parla di rifiuto: “Tu Signore vuoi lavare i piedi a me?” (Gv 13,6). La sua mano destra e il suo capo, in contrasto, si appoggiano con tutto il loro peso sulla spalla di Gesù. Pietro non guarda al Maestro, non può vedere neppure il suo volto che appare nel catino. Nel Vangelo di Giovanni Gesù risponde alla domanda esitante di Pietro: “Quello che faccio tu ora non lo capisci ma lo capirai dopo” (Gv 13,7). E’ questa parola che si rispecchia nell’immagine.
Adesso, in questa situazione, non conta il capire ma l’incontro, l’accettare un’esperienza. Il corpo di Pietro è un corpo che vive un processo, un incontro dalla testa ai piedi, una persona che scopre il suo bisogno di essere lavato, una persona che scopre allo stesso tempo la sua dignità. Sono bisognoso che il Maestro mi lavi i piedi, sono degno che lui mi lavi i piedi... Di conseguenza non è il volto di Gesù che è al centro dell’immagine, ma il volto luminoso di Pietro sul quale si riflette il segno della dignità riacquistata. Lo sguardo di Pietro è diretto verso i piedi di Gesù. Questi piedi sono smisurati, soltanto all’occhio di chi guarda l’immagine. Dallo sguardo di Pietro ci lasciamo condurre a questi piedi e scopriamo con lui che nell’esperienza che sta vivendo, intuisce una chiamata ad un servizio. “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”. (Gv 13,15). Pietro capisce in questo momento che il suo impegno sarà quello di ripetere gli stessi gesti di Gesù, non solo verso di lui, ma anche verso ogni fratello. Se stiamo cercando il volto di Cristo, dobbiamo lasciarci condurre ai piedi degli altri, impegnarci in un servizio che riconosce la dignità, che accetta il bisogno dell’altro. Dietro i personaggi, vediamo sul tavolo un calice con il vino e un piatto con il pane spezzato, elementi non relegati sullo sfondo, ma avvicinati all’evento che si vive al centro dell’immagine.
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E tu?
[Via Crucis del Venerdì Santo]
Nell’anno in cui la nostra Diocesi di Bergamo ci interpella con “Donne e uomini capaci di carità” la Via Crucis del Venerdì Santo si è svolta a partire dalle opere di misericordia. Il Vangelo del buon samaritano ha aperto il nostro cammino con l’appello di Gesù: ”Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Poi, di stazione in stazione, ci siamo messi dalla parte di Gesù, affamato, assetato, malato...lungo la strada del Calvario. Sotto la croce lui stesso ci ha chiesto: “Avevo fame, avevo sete, ero malato…” E tu? • Assetato per dissetarci Dar da bere agli assetati • Affamato per sfamarci Dar da mangiare agli affamati • Prigioniero per liberarci Visitare i carcerati • Pellegrino per accoglierci Alloggiare i pellegrini • Ammalato per guarirci Visitare i malati • Morto per salvarci Vestire chi è nudo • Sepolto per darci vita Seppellire i morti Grazie ai Gruppi e alle Associazioni che hanno collaborato: Giovani, Gruppi Adolescenti con Animatori, Lettori, Alpini, Bambini Genitori e Catechisti 3 Elementare, Aido, Proloco, Banda, Gruppo Calcio Oratorio, Polisportiva, Gruppo Festa Campagna Burligo, Protezione Civile, Vigili, Servizio d’Ordine, Case Ospitanti… e tutti coloro che hanno acceso centinaia di ceri lungo il percorso e alle abitazioni creando un suggestivo contesto di partecipazione. E’ stata anche la prima Via Crucis preparata e vissuta con le due Parrocchie, Burligo e Palazzago: questo l’ha resa ulteriormente significativa. Collaborazione anche tra Beita e Gromlongo nel solco della tradizione. La Lettera
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226 CM: UNA DIMENSIONE ARMONIOSA PERCHÉ A MISURA D’UOMO. L’ha elaborata Le Corbusier, riprendendo gli studi dell’Uomo Vitruviano di Leonardo: l’altezza dell’uomo ideale, 183 cm, con un braccio alzato, per un totale di 226 cm, il tutto inserito in un quadrato. 226 cm: altezza, larghezza e profondità, a comporre un cubo a misura d’uomo, perfetto, ideale, simbolo apocalittico della Gerusalemme Celeste, della Terra rinnovata dalla venuta di Dio. Lasciamoci attrarre dalla luce che filtra dalle 4 croci, una per punto cardinale, per salire la scala della preghiera ed entrare nel Mistero. Troviamo il coraggio di guardare attraverso le croci, perché solo la croce ci consegna Gesù come Figlio di Dio. Prendiamo in braccio i bimbi. Da soli non sono in grado di guardare attraverso la croce, è troppo alta per loro: sostenuti dal nostro abbraccio, aiutiamoli a vedere e ad amare. 226 cm: l’uomo ideale in una Terra ideale. Noi tutti siamo come viandanti in cammino verso una meta: l’incontro con il Signore Gesù che in mezzo a noi per compiere insieme a noi il pellegrinaggio dalla Terra al Cielo. I passi da percorrere ce li indica Gesù stesso: avevo fame, avevo sete, ero nudo...
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Titolo Titolo Titolo [Chiesa Prepositurale San Giovanni Battista in Palazzago]
Mi Presento
Normalmente, quando uno entra per la prima volta qui, dice: “Che bella, che grande!”. E io sono contenta, ma non devi dimenticare il motivo per cui io sono stata costruita così. Lo trovi scritto sulla mia elegante facciata, come su quella di tutte le chiese: D.O.M. ossia A Dio (Deo) Buonissimo (Optimo) e Grandissimo (Maximo). Sì, se ci sono è per Lui, altrimenti sarei soltanto un museo. Già dagli inizi poi, la comunità che qui si costituì il 20 luglio 1344, volle affidarsi al più grande tra i nati di donna, Giovanni Battista (anche questo lo trovi scritto sulla facciata: “Non sorexit major Joanne Bapta”) e pensò di prendere come patrono il precursore. Pensa che tra tutti i santi solo per lui c’è la festa della nascita (24 giugno) e quella del martirio (29 agosto). Ora ti conduco a conoscere qualcosa della mia storia e ciò che qui puoi ammirare. Innanzitutto la pianta. Venne disegnata a tavolino dal capomastro Candido Micheli che con questa opera divenne anche architetto. Era il tempo in cui a Roma andavano per la maggiore artisti e architetti del calibro di Bernini e Borromini e in bergamasca i Caniana. La fabbriceria del tempo volle che io fossi ottagonale, inscrivendo anche nei muri il senso del cammino su questa terra (sette) verso l’eternità (ottavo giorno). Era il 3 agosto del 1728 e veniva posata la mia prima pietra, sostituendo la più antica chiesa che era ormai troppo piccola. Ci vollero ben 27 anni per la benedizione dei miei muri anche se già la gente si riuniva qui riempiendo di canti e di preghiere il grande spazio che man mano andava formandosi nel modo che vedi oggi: bello, luminoso, equilibrato come un grande abbraccio che va verso la grande volta ellittica dipinta da Giuseppe Simone Paganelli (Bergamo 1750) con il trompe l’oil (si dice così in francese l’illusione ottica) che rialza lo spazio di due ordini, con cupola e cupolino. Qui si stagliano 4 grandi medaglioni con la scena del diluvio universale (sopra l’altare), del serpente di bronzo (a sinistra), della Regina Ester alla presenza del re Assuero (a destra) e di Giuditta che taglia la testa a Oloferne, generale di Nabucodonosor. Alcune di queste scene sono riprese dalle 8 grandi statue collocate successivamente nelle nicchie lungo il perimetro della chiesa: 4 donne, la fi glia di Iefte, Ester, Giaele e Giuditta, e 4 uomini, re Davide, Mosè, Aronne e Daniele. Tenendo però lo sguardo ancora un momento verso l’alto, ecco gli otto pennacchi (i triangoli che raccordano il corpo della chiesa alla volta) che raffigurano i quattro evangelisti: Matteo (Angelo), Marco (leone), Luca (toro) e Giovanni (aquila) e quattro padri della chiesa: San Gerolamo, Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e San Gregorio Magno. Sopra il presbiterio c’è il trionfo della fede sull’eresia (rappresentata questa come una donna rinsecchita, dai capelli di serpenti) e in fondo la gloria di San Giovanni. Non si può non notare il capocielo, opera in legno scolpito e intagliato con la colomba dello Spirito Santo che aleggia sopra l’altare. In epoca più recente (1980) il presbiterio venne adattato alle esigenze della liturgia del Concilio Vaticano II, scolpendo nel marmo la mensa e l’ambone, i luoghi in cui si spezzano la parola e il pane. Dietro è rimasto il prezioso altare maggiore in marmo rosso e nero (1750) con il tabernacolo e il ciborio nel quale si espone il Santissimo Sacramento nelle circostanze più solenni, quando viene montato l’apparato del triduo, opera in legno dorato (1800) con centinaia di candele. La consacrazione avvenne “con solenni cerimonie” molto più tardi, l’8 settembre 1839, quando era vescovo di Bergamo Carlo Gritti Morlacchi e parroco don Rocco Rudelli. Di lì a poco (1842) venne collocata la grande pala d’altare con la predicazione di Giovanni Battista, opera di Giovanni Scaramuzza e nel 1893 le altre due pale, quella a sinistra (nascita di S. Giovanni e imposizione del nome) La Lettera giugno ‘16
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e quella a destra (decapitazione di S. Giovanni) del pittore Abramo Spinelli. Ora c’era proprio tutto e le celebrazioni erano ancora più solenni con le note del prestigioso organo. La canna maggiore porta incisa questa scritta: “Fratelli Serassi di Bergamo, 1852”. Gli altari laterali, che ormai non vengono più utilizzati per le celebrazioni, rimangono a testimonianza delle devozioni legate ai Santi ai quali sono dedicati. A destra del presbiterio, l’altare con l’opera più prestigiosa, l’Assunta di Giovan Battista Moroni (1564), terza delle quattro tele dipinte dall’artista bergamasco. Al centro l’altare della Madonna del rosario, la cui processione vene celebrata la prima di ottobre, portando la statua del 1750 rivestita di un prezioso e antico abito. A destra dell’ingresso l’altare laterale più recente ma con il simulacro più antico e prezioso dell’Addolorata, opera di Fantoni Grazioso il Giovane (1781), restaurata nel 2015, altare cui la preghiera popolare si rivolge spesso, soprattutto attraverso la voce e il cuore delle mamme. A sinistra del presbiterio, l’altare del patrono con la statua di Giovani Battista con gli inconfondibili simboli: bastone con cartiglio Ecce Agnus Dei, e agnello, opera di Ghislandi Alessandro del 1940. Viene portata in processione per la festa patronale. Al centro, l’altare con la reliquia della Santa Croce che giunse a Palazzago nel 1590, donata dal papa Sisto V. Per la canonizzazione di papa Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (2014) sono stati aggiunti i loro ritratti e nel 2015 una copia del preziosissimo quadro del ‘600 , “La Veronica del Guercino” donato alla Parrocchia da Mons. Daniele Rota e custodito nel Museo Diocesano Bernareggi, a Bergamo. A sinistra dell’ingresso, l’altare con la statua di San Giuseppe. Pregevoli anche la acquasantiere che richiamano gli altri due luoghi che si incontrano appena entrati: il Battistero (fons vitae) e la penitenzieria (fons gratiae). Non mancano opere in legno, scolpite in diverse epoche: il coro di noce e radica (1800), i bancali del presbiterio (1800) che hanno inglobato una credenza più antica (1600), il pulpito maggiore (metà 1700) e quello mobile (1800), Due bozzetti del “Centro Aletti” (Padre gli armadi della sagrestia (1700) il Rupnik) per il mosaico del battistero. bancone paratorio e le cassapanche con schienale (1800). Numerose opere (tele, quadri, arredi liturgici, paramenti, mobili…) di diverse epoche sono custodite nel museo parrocchiale adiacente alla chiesa, mentre gli affreschi più antichi dipinti da Baschenis sono visibili nella volta del campanile, una La Lettera
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Titolo Titolo Titolo
torre quattrocentesca rialzata nel 1901 fino agli attuali 49,50 metri. Al centro c’è l’affresco con San Giovanni Battista e ai quattro angoli si riconoscono Santi e scene evangeliche. Si notano pure tracce di affreschi successivi, di chiaro gusto barocco.
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“Bene, ti sarai accorto che mi sono lasciata prendere la mano. Sai, come tutte le mamme anch’io sono orgogliosa di ciò che i fi gli han fatto lungo i secoli e che continuano a fare oggi, vivendo insieme come comunità, perché io come chiesa vivo proprio di questo.”
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Il tempo di Pasqua si caratterizza dalla cascata di grazia che il mistero di morte e risurrezione riversa sull’umanità. Per questo è il tempo segnato dai sacramenti dell’iniziazione cristiana che abbiamo preparato, vissuto e celebrato con intensità. Certo, vedendo bambini e ragazzi normalmente emozionati e presi da ciò che stan vivendo, si impone una domanda: E dopo? Una piccola consolazione: contenti di aver fatto un percorso significativo. Il dopo è nelle loro mani e in quelle dello Spirito. In queste pagine ci sembra bello riportare ancora una volta le impressioni dei ragazzi.
Chi di voi?...
[3 Aprile 2016 Prima Riconciliazione] Una benda sugli occhi che, unita alle altre, diventa strada. Il dono della Comunità: una croce di metallo e ulivo messa al collo dai padrini e dalle madrine. Riproduce la croce pettorale di papa Francesco con il Cristo Buon Pastore che porta sulle spalle la pecora smarrita. Sarà quella che i bambini porteranno alla Prima Comunione
Caro Gesù il 3 aprile ho fatto la confessione e questa settimana mi sono impegnata a non dire le parolacce. (Stella) Il giorno della mia Prima Confessione: - un pizzico di paura; - un poco di timidezza; - una marea di gioia Ho dimenticato qualche ingrediente? (Federica Nava) Caro Gesù, alla Prima Confessione ho provato: emozione, felicità e alla fine orgoglio. Ero emozionatissima ma così tanto che mentre parlavo con don Giuseppe mi tremavano le gambe. Mi sono sentita felicissima quando ho finito. Ho fatto la mia Prima Confessione… ho provato: gioia, felicità ed ero molto emozionato. Domenica 3 aprile 2016 per me è stata una bella giornata. Il momento che mi è piaciuto di più, è stato quando la mia catechista mi ha bendato, mamma e papà mi hanno accompagnato all’altare, dove c’era il parroco che mi aspettava per confessarmi. Finita la confessione siamo andati al rinfresco dove ho assaggiato delle torte buonissime preparate con amore dalle mamme e dai papà. E’ stato bellissimo. (Giulia) Quel giorno sin dalla mattina, provavo agitazione perché avevo paura di non saper rispondere alle domande che mi avrebbe fatto il don. Invece, quando sono arrivata in oratorio e ho visto le mie catechiste e i miei compagni, mi sono tranquillizzata. Più tardi, invece, quando è iniziata la cerimonia ero ancora un po’ emozionata ma ho aspettato di essere confessata da don Giuseppe, ed è andato tutto bene. La mia madrina Katia mi ha messo la croce al collo, mentre la mia madrina Giusi mi ha accompagnato all’altare. Alla fine abbiamo fatto un gustoso rinfresco. (Elena) Gaia, Chiara, Andrea, Mattia, Giorgia, Caterina, Giulia, Paolo, Davide, Giorgia, Noah, Riccardo, Alessandro, Davide, Valentina, Tommaso, Martina, Giulia, Elena, Alessandro, Cristian, Samuel, Stella, Davide Giovanni, Licia, Federico, Paolo, Giacomo, Mariachiara, Andrea, Matteo, Angelica, Elisa, Daniele. Grazie alle catechiste: Mariangela, Tabita, Giorgia, Raffaele, Rita, Mariangela, Martina. La Lettera
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[24 aprile 2016 Cresima]
Sto alla porta e busso
Delegato del Vescovo: Mons. Gianni Carzaniga. Le 16 formelle della porta santa in S. Pietro (attraversata dai cresimandi nel dicembre 2015), abbinate ai volti dei ragazzi, ai sette doni e ai nove frutti dello Spirito Santo. Il dono della Comunità: una bottiglia-lampada, per imparare l’ascolto come lasciarsi riempire e per diffondere luce come testimoni.
Giorgia, Francesca, Sara, Sofia, Carlotta, Michela, Luca, Massimo, Eleonora, Mirko, Leonardo, Sara, Giorgia, Zoe, Luana, Christian, Nicole, Mattia, Marco, Lorenzo, Isabella, Michele, Andrea, Daniele. Grazie alle catechiste: Patrizia e Giovanna. L’esperienza della cresima è stata meravigliosa! E’ stato bello ricevere i sette doni dello Spirito in questa età in cui bisogna decidere cosa fare nella vita e scegliere la via più giusta e buona per noi. E’ stato bello incontrare il delegato del vescovo e ricevere da lui il sigillo dello Spirito. Sono contenta di aver fatto la cresima! (Michela C.). E’ stata una bellissima cerimonia, mi è piaciuto molto monsignor Gianni. Il momento che ho sentito più importante è stata l’imposizione delle mani. Dal 24 aprile sono un testimone di Cristo, chiedo che lo Spirito Santo mi aiuti ad essere forte e a superare tutte le difficoltà (Michele). Il giorno della cresima ero molto emozionato e felice perché sapevo di ricevere lo Spirito Santo. Questo dono speciale illumina il mio cammino e le scelte che farò nella mia vita! (Lorenzo). Questa esperienza della cresima è stata bellissima. Mi è piaciuto tanto stringere la mano al delegato del vescovo e poi cantare insieme il canto della nostra cresima. Sono veramente tanto contenta. (Zoe) La cresima è stata un’esperienza emozionante (Daniele). E’ stata un’esperienza molto bella e significativa specialmente durante l’imposizione delle mani e l’unzione con l’olio (Carlotta). E’ stata un’esperienza bellissima (Marco). E’ stato un momento molto emozionante e importante (Nicole). E’ stata un’esperienza emozionante ricevere lo Spirito Santo (Luana). Mi è piaciuta molto l’imposizione delle mani; alla predica ero un po’ teso perché sapevo che dopo avrei ricevuto l’unzione ed ero emozionato (Leonardo). Ricevere lo Spirito Santo è stata un’esperienza unica (Massimo). La Lettera giugno ‘16
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Titolo Ho unaTitolo notiziaTitolo grande, buona e forte…
[8 maggio 2016 Prima Comunione Palazzago 5 maggio 2016 Prima Comunione Burligo]
Le mani. Quelle dei bambini impresse nella pasta di sale, quelle di San Tarcisio, a custodire il tesoro prezioso dell’Eucarestia, ritrovate nel ritiro e due giganti sotto l’altare con una lettera per il gruppo di Palazzago e una per quello di Burligo. Il dono della Comunità: due mani a forma di leggio con il Vangelo e l’augurio: Prendi in mano il Vangelo. Mi è piaciuta la lettera consegnata da don Giuseppe “IMPARA A FARE LE COSE DIFFICILI”, soprattutto la frase “MOSTRARE UNA ROSA A UN CIECO” (Mattia R., Bryan, Lorenzo, Nicholas). Ero emozionata prima di ricevere per la prima volta Gesù, subito dopo felice (Beatrice, Anna, Marta). Mi è piaciuta la canzone finale “HO UNA NOTIZIA” perché era piana di gioia trasmessa alla comunità (Marta, Mattia S., Anna, Lorenzo, Andrea). Quando ho ricevuto Gesù ero molto concentrato a comunicare con Lui la mia grande felicità (Cristian, Pietro, Lorenzo, Nicholas). Ero agitato mentre facevamo il corteo che ci portava alla celebrazione della nostra Prima Comunione (Cristian, Andrea, Bryan, Lorenzo).
LETTERA AI BAMBINI E’ difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi. Gianni Rodari
Mi ha colpito il proverbio ricordato da don Giuseppe “GIOCHI DI MANI, GIOCHI DI VILLANI”, ma trasformata, perché se le mani sono quelle di Gesù, allora tutto cambia… (Marta, Cristian, Bryan, Anna, Beatrice). Mi è piaciuto vedere le nostre maestre venire a farci gli auguri (Mattia R., Cristian, Beatrice, Marta, Lorenzo, Nicholas). Luca, Lorenzo, Sara, Zchele, Andrea, Anna, Beatrice, Martina, Davide, Mattia, Asia, Lorenzo, Marta, Bryan Loris, Matteo, Lorenzo, Mattia, Mattia, Salvatore, Francesco, Pietro, Nicholas, Lorenzo. Grazie alle catechiste: Marta, Maria Laura, Anna, Asya, Ivana, Petya
Giorgia, Giorgio, Alessandro, Benedetta, Alex, Sofia. Grazie alla catechista Sara. Cristo non ha mani ha soltanto le nostre mani per fare oggi il suo lavoro. Cristo non ha piedi ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha labbra ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli uomini di oggi. Cristo non ha mezzi ha soltanto il nostro aiuto per condurre gli uomini a sé oggi. Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora siamo l’ultimo messaggio di Dio scritto in opere e parole. Anonimo fiammingo del XIV secolo.
Il Vangelo è una storia di mani, un amore di mani. Mani di pastore forte contro i lupi, mani tenere impigliate nel folto della mia vita, mani che proteggono il mio lucignolo fumigante, mani sugli occhi del cieco, mani che sollevano la donna adultera a terra, mani sui piedi dei discepoli, mani inchiodate e poi ancora offerte: Tommaso, metti il dito nel foro del chiodo! Mani piagate offerte come una carezza perché io ci riposi e riprenda il fiato del coraggio. La Lettera giugno ‘16
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Maria Porta del Cielo
[Mese di Maggio 2016]
Dopo la Cresima, anche per il mese di maggio abbiamo preso a prestito le formelle della Porta Santa in S. Pietro, collegando la Parola di Dio alle immagini proposte dall’opera. Così, di serata in serata, in diversi luoghi del paese, abbiamo ripercorso la storia della salvezza, invocando Maria Porta del cielo. La Porta Santa ha un significato ben preciso: è il simbolo del passaggio che ogni cristiano deve fare dal peccato alla grazia, pensando a Gesù che dice «Io sono la porta» (Giovanni 10, 7). Fino al 1975 la Porta Santa di San Pietro veniva murata alla chiusura di ogni Giubileo e smurata all’inizio di quello successivo. Dal Giubileo del 2000, Papa Giovanni Paolo II decise di modificare l’usanza e di non murare più la porta, che da quell’anno dunque viene semplicemente chiusa e riaperta. La Porta Santa attuale è opera dello scultore Vico Consorti (1902-1979), che vinse il concorso per la realizzazione della Porta per il Giubileo del 1950. Esegui-
ta in 11 mesi, fu inaugurata la vigilia di Natale del 1949 e donata da Mons. Francesco Von Streng, vescovo di Lugano e Basilea e dai suoi fedeli come omaggio al Papa della pace Pio XII, in ringraziamento al Signore per aver preservato la Svizzera dagli orrori della guerra. Il ciclo scultoreo narra la storia umana dall’alba ai giorni nostri in sedici formelle. Il Giubileo inizia con l’apertura della Porta Santa di San Pietro e si conclude con la sua chiusura. Per il Giubileo Straordinario della Misericordia le date sono quelle dell’8 dicembre 201 5 e del 20 novembre 2016.
1. EMISIT EUM DOMINUS DEUS DE PARADISO EDEN - Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden 2. QUOD HEVA TRISTIS ABSTULIT - Ciò che l’infelice Eva ci tolse… 3. TU REDDIS ALMO GERMINE - …ce lo restituisci nel tuo Figlio 4. MISSUS EST ANGELUS GABRIEL - Fu mandato l’Angelo Gabriele Una porta si chiude nel giardino, una porta si apre nella storia con un annuncio straordinario: Dio farà casa in Maria. 5. TU VENIS AD ME? - Tu vieni da me? Si apre il Giordano, si apre il cielo, si apre l’avventura di Gesù in mezzo all’umanità. E come Giovanni a chiedere: ”Tu vieni da me?”
6. SALVARE QUOD PERIERAT - E’ venuto il Figlio dell’uomo a salvare ciò che era perduto 10. SEPTUAGIES SEPTIES - Settanta volte sette Un avverbio -sempre- a ricordare che la misura del perdono è di non avere misura: porta di perdono, da accogliere e donare.
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7. PATER PECCAVI IN COELUM ET CORAM TE - Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te 11. CONVERSUS DOMINUS RESPEXIT PETRUM - Il Signore, voltatosi, guardò Pietro Da lontano il padre lo vide… Pietro lo seguiva da lontano…Un “lontano” che si fa corsa per una porta sempre restata aperta, quella della casa e un “lontano” per Pietro che, ricordando le parole di Gesù, piange amaramente. Dono di lacrime. 12. HODIE MECUM ERIS IN PARADISO - Oggi sarai con me nel Paradiso 15. SUM JESUS QUEM TU PERSEQUERIS - Io sono Gesù, che tu perseguiti E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! (Padre Christian de Chergé) Porta di cielo per il ladrone, porta dei gentili per il persecutore.
8. TOLLE GRABATUM TUUM ET AMBULA - Prendi il tuo lettuccio e cammina 13. BEATI QUI CREDIDERERUNT - Beati quelli che hanno creduto Come si può prendere in mano la propria esistenza e camminare? Con una fiducia che riconosce tra le ferite il gesto d’amore che salva. Ed è fede: “Mio Signore e mio Dio!” Mio porto di salvezza!
9. REMITTUNTUR EI PECCATA MULTA - Le sono perdonati i suoi molti peccati 14. ACCIPITE SPIRITUM SANCTUM - Ricevete lo Spirito Santo Un profumo buono apre orizzonti di vita per disperdere puzza di morte e di meschinità. Profumo come crisma di salvezza per una nuova effusione dello Spirito che apre a tutti la porta della vita. 16. STO AD OSTIUM ET PULSO - Sto alla porta e busso Gli abbiamo aperto la porta quest’anno? A conclusione del mese di maggio e nel grazie per l’anno catechistico abbiamo celebrato l’Eucarestia a Brocchione, riscrivendo la porta santa con i percorsi dei diversi gruppi. Questa è la nostra porta santa.
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Casa di Comunità: adesso non si scherza più…
Casa Comunità: TitolodiTitolo Titolo adesso non si scherza più!
Correva l’anno pastorale 2008/2009 quando si prese la decisione definitiva di dare inizio allo studio di fattibilità delle opere di ristrutturazione della Casa di Comunità.
Iniziò il calvario della burocrazia. Tutto sommato a livello locale il disbrigo fu abbastanza veloce; così cura di Alessandro e Franco] non fu nei rapporti con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali[ARegionale e con i tecnici incaricati dalla Diocesi d Bergamo. Difficile per noi accettare tante modifiche richieste da questi Enti preposti ma le scelte furono obbligate. Finalmente, in data 28 luglio 2014 L’Ordinario della Diocesi ci comunicò Correva l’anno pastorale in data 28 luglio 2014 L’Ordinario che finiranno per la Pasqua 2017, ufficialmente il nulla osta a procedere su benestare del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e 2008/2009 quando si prese la de- della Diocesi ci comunicò ufficial- sperando così di poter inaugurare per il Territorio 10 luglio cisione definitiva didatato dare inizio allo 2014. mente il nulla osta a procedere su nelle feste patronali di San Giovan-
studio di fattibilità delle opere di benestare del metrico Ministeroed deiunBeni e ni Battista (giugnoposti 2017). Sabato Abbastanza velocemente si ristilò un computo capitolato che vennero strutturazione della Casa di ComuAttivitàlaCulturali e per ilLeTerall’interno della Festa all’attenzione di diverse Ditte chedelle inviarono loro offerta. scelte27si agosto, fecero valutando la reale nità. Iniziò il calvario della burocra- ritorio datato 10 luglio 2014. Ab- di Comunità, faremo un incontro autonomia lavorativa, il prezzo e l’appartenenza all’ambito parrocchiale. zia. Tutto sommato a livello locale il bastanza velocemente si stilò un di presentazione dei lavori, seguito disbrigo abbastanza veloce; così 2015 computo metrico ed capitolatoperdalla visita al2017, cantiere, con la guida I lavorifuiniziarono nell’ ottobre e si presume cheunfiniranno la Pasqua sperando così di non fu nei rapporti con il Ministero che vennero posti all’attenzione di dei tecnici e dei membri del Consipoter inaugurare nelle feste patronali di San Giovanni Battista (giugno 2017). dei Beni e delle Attività Culturali Re- diverse Ditte che inviarono la loro glio Affari Economici. Qui sotto troSabato 27 agosto, all’interno FestaLe discelte Comunità, faremo un incontro di presentazione lavori, gionale e con i tecnici incaricati dalladella vate il bilancio di previsionedei e, nella offerta. si fecero valutanseguito dalla visita al cantiere, tecnici elavorativa, dei membripagina del Consiglio Economici. Diocesi d Bergamo. Difficile per noi con accanto, Affari due grafici con lo dolalaguida reale dei autonomia accettare tante modifiche richieste il prezzo e l’appartenenza all’am- stato avanzamento lavori e il piano sotto trovate il bilancio di previsione e, nella pagina grafici con stato Ne avanzamento daQui questi Enti preposti ma le sceldi estinzione dellomutuo. avremo bito parrocchiale. I lavori accanto, iniziaro- due lavori e il piano di estinzione del mutuo. Ne avremo fino al 2023… te furono obbligate. Finalmente, no nell’ottobre 2015 e si presume fino al 2023…
70.344,00 La valutazione delle poste non comprende eventuali variazioni in corso d’opera. Lainteressi valutazione delle poste rimborsati non comprende eventuali in corso d’opera. Gli passivi saranno in ragione del 1%variazioni dalla Diocesi. La maggior preoccupazione è riuscire a rimborsare le rate mensili di € 5.885,00 per un totale di Gli interessi passivi saranno rimborsati in ragione del 1% dalla Diocesi. €70.620,00 annuali del finanziamento. LeLaofferte precedenti per la ristrutturazione della Casaledirate Comunità sono utilizzate: maggior preoccupazione è riuscire a rimborsare mensili di €state 5.885,00 per un totale di • €70.620,00 per i moltiannuali interventi fatti alle chiese, all’Oratorio e al patrimonio artistico, come sempre documendel finanziamento. tato dal Consiglio Affari Economici e nei resoconti annuali inviati alla Curia e pubblicati sulla Lettera. Le precedenti ristrutturazione della Casa di Comunità sono state utilizzate • eofferte in parte depositateper sullaC/C. Con tanta fiducia speriamo nella sensibilità e nella generosità dei parrocchiani, delle Ditte e delle realtà associative. E, come sempre termina l’aggiornamento lavori sulla Lette…Rina e sul sito: Avanti, forza e coraggio. La Lettera
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STATO AVANZAMENTO LAVORI IMPEGNO TOTALE € 918.000 di cui 218.000 LIQUIDATI
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FINANZIAMENTO DI € 564.960 - NR.8 RATE ANNUE DI € 70.620 anno 2016
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Palio 2016
[Manuel e Isaia]
Il Palio si è svolto in forma ridotta per l’impraticabilità del campo dell’Oratorio, occupato dal cantiere della casa di Comunità. Ma non è stato ridotto l’impegno e lo slancio da parte degli organizzatori, delle frazioni e dei capitani. Sentiamo le impressioni della frazione vincitrice. Il Ventottesimo Palio delle Contrade ha visto partecipi tutte sei le frazioni e, per il secondo anno consecutivo, ha vinto la squadra dei blu. Con estremo orgoglio la nostra frazione porta a casa il trofeo ricordando gli anni passati quando a malapena si riusciva a partecipare e l’ultimo posto in classifica era diventato di routine. Secondo me, quello che ha determinato la svolta è stata l’idea di “fare gruppo” e per questo devo ringraziare il mio vice che mi ha sostenuto nel mantenere unita la squadra che, seppur composta da pochi elementi, ha riconquistato forza e motivazione per poi essere ripagata con la vittoria. Questo può essere di esempio a tutte le frazioni, in particolare a quelle in difficoltà…. Provato sulla nostra pelle, quando c’è un gruppo affiatato è molto più semplice riuscire a portare gente nuova e farla sentire a casa. Un grazie al comitato organizzatore che come ogni anno dedica tempo e passione alla preparazione delle iniziative.
Il Secondo Annuncio
[Catechesi Adulti di Ivana e Antonio] “Non si può più dare per scontata la fede, nè in chi pratica, nè in chi incontra saltuariamente le parrocchie, nè tantomeno in chi si è allontanato dalla Chiesa. La fede, prima di essere educata, va proposta: è il tempo della semina, tempo di primo annuncio. Il primo annuncio è in senso stretto la proposta della fede a chi non crede. Esso intende portare all’adesione a Gesù nella comunità ecclesiale, alla conoscenza del vangelo, a una vita secondo lo Spirito. Le nostre parrocchie devono dunque preparare dei tempi di ingresso alle fede. Ma il loro problema fondamentale riguarda i battezzati, siano essi praticanti regolari, saltuari o battezzati che hanno lasciato la fede. Il nostro problema è quello del secondo annuncio, o del “secondo primo annuncio”. Il secondo annuncio tiene conto della storia delle persone, delle loro rappre-
sentazioni religiose, delle loro esperienze più o meno negative. Li aiuta a disimparare prima di imparare. Il secondo annuncio segue la via inversa rispetto alla catechesi. Partendo dalla testimonianza del credente, dall’ “amen” di una persona e di una comunità animate dallo Spirito, giunge a riconoscere lo Spirito del Signore Gesù e porta a rivolgersi a Dio come Padre. E’ allora che la persona può dire il suo “io credo”, nell’ordine dell’esposizione con cui la comunità lo professa. E’ tempo di secondo annuncio, non preoccupandoci troppo delle condizioni che gli altri devono avere, ma di quanto per grazia possiamo loro donare. Il seme della Parola ha in sè la sua forza”.
Le parole di questo brano ci sono sembrate rappresentative dei contenuti del corso biennale proposto dall’Ufficio Catechistico Diocesano. Durante gli incontri, a cui abbiamo partecipato, ci è stato illustrato il metodo elaborato da fratel Enzo Biemmi, fsf. Abbiamo ritrovato nel metodo la medesima struttura (vita, parola, vita) già incontrata all’interno delle schede di approfondimento alla lettera pastorale del Vescovo (le schede utilizzate durante gli incontri nelle case). Interessante è stato constatare come il metodo possa essere de-
clinato in varie forme in modo da offrire lo strumento di condivisione più adeguato al contesto. Pressante è stato l’invito ad una presa di coscienza, vera e sentita, che la realtà in cui siamo chiamati ad operare è l’oggi, con tutti gli aspetti che lo contraddistinguono. Aspetti che possiamo interpretare come problemi oppure accogliere come risorse per un confronto da cui trarre spunto per rilanciare un nuovo modo di essere Chiesa... A tutti noi cristiani l’invito a raccogliere la sfida nella certezza che “il seme della Parola ha in sè la sua forza”.
[Alice e Sara] Siamo due ragazze di Palazzago che per il secondo anno consecutivo hanno partecipato con gioia agli esercizi spirituali proposti nel Seminario di Bergamo, due giorni insieme a molti altri ragazzi provenienti da tutte le Parrocchie della bergamasca. Abbiamo vissuto questi due giorni come una sfida con noi stesse, in solitudine, senza cellulare, in camere singole, guidate dal desiderio di essere avvolte nel clima di preghiera. Il momento più difficile è
Da “Il secondo annuncio - La grazia di ricominciare” di Enzo Biemmi Ed. EDB
Esercizi Spirituali Ado stato sicuramente quello di custodire il silenzio, anche durante i pasti (ogni tanto comunque nei corridoi si sentiva qualche risata). La giornata si divideva in due momenti alternati: uno di riflessione comune proposta e uno di riflessione personale, riprendendo i testi di Vangelo. Anche la notte portava consiglio. A gruppetti di 3\4 ragazzi ci si trovava nella cappella del Seminario ad orari diversi e per circa un’ora si pregava insieme. Può
sembrare strano, per ragazzi della nostra età, abituati a stare 24 ore su 24 con il cellulare e la musica sempre a portata di mano (magari per non pensare alle proprie insicurezze e paure); eppure per noi due giorni nel silenzio immersi nel mistero di Dio sono stati una sfida che ci ha riempito di gioia, tranquillità e ci ha arricchito interiormente. E’ un esperienza che consigliamo a tutti e che speriamo di rivivere ancora l’anno prossimo. La Lettera giugno ‘16
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Estate 2016 dell’Expo a Milano! Nel 2016 siamo arrivati a questa scelta: il viaggio! Perché questo tema?
Negli ultimi anni, un invisibile filo rosso ha sempre cercato di tenere legati fra loro i temi delle diverse estati. I temi del 2007-2008-2009 erano vicini alle attenzioni che i Vescovi italiani proponevano per le giovani generazioni: veniva suggerito l’‘ascolto’ e ci siamo inventati Musica maestro; si continuava con la ‘missione’ ed uscì Apritisesamo; si chiudeva con la ‘cultura’ ed ecco Nasinsù. Quelli del 2010-2011 invece - con il tema della ‘terra’ in Sottosopra e del ‘tempo’ in Battibaleno - avevano voluto essere in continuità con il 2009 perché – come il cielo – anche la terra e il tempo sono elementi fondamentali per la vita del pianeta. I temi del 2012-2013-2014 - la parola con Passpartù; il corpo con Everybody; l’abitare con Piano Terra - trovavano la loro ragion d’essere nei primi versetti del Prologo dell’evangelista Giovanni. Il 2015 invece, era andato un po’ per conto suo con il tema del mangiare di Tuttiatavola: ma non poteva essere diversamente visto l’evento mondiale La Lettera
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IL TEMA? Due sono gli eventi importanti da cui l’estate 2016 è caratterizzata: l’Anno Santo della Misericordia indetto da Papa Francesco e l’incontro di tutti i giovani del mondo a Cracovia, in occasione della XXXI Giornata Mondiale della Gioventù. Non da ultimo, il tema del viaggio ci è sembrato capace di incrociare e dare voce a quel grande fenomeno migratorio che da diverso tempo sta interessando l’Europa e anche le nostre comunità cristiane. CHE COSA È UN VIAGGIO? - Il viaggio è ‘metafora’ della vita. Benché apparentemente diverse, le parole ‘vita’ e ‘viaggio’ sono facilmente accostabili. La vita, proprio perché movimento che si dispiega nel tempo, è spesso stata interpretata come un viaggio. Sicuramente come un viaggio che va dalla nascita alla morte, ma certamente anche oltre e per tanto altro. - Il viaggio è movimento ‘da - a’.
Parlando dal punto di vista letterale, il dizionario non lascia scampo: viaggiare significa percorrere un determinato spazio in un determinato tempo. Quanto fondamentale diventa allora sapere dove ci si trova o almeno a che punto ci si trova del cammino. - Il viaggio è ‘obbligo’. Nella vita non è possibile stare fermi! In genere, se si crede di poter restare tali, si muore. Ovvero: il movimento rimane un passaggio obbligato! Non nel senso moralistico del termine ma per un’evidenza difficilmente contestabile. E se non ci si vuole muovere invano, occorre ovviamente dare senso e direzione al movimento. CHI È UN VIAGGIATORE? - Vagabondo: colui che si muove senza avere particolari punti di partenza, punti di riferimento e soprattutto senza meta. - Pellegrino: colui che si muove con una meta (in genere la divinità) e ha un motivo serio per mettersi in viaggio (purificazione-conversione). - Turista: colui che va alla sco-
perta di cose nuove (esploratore) o semplicemente è alla ricerca di svago e tranquillità (divertimento: andare lontano da ciò che conta e/o pesa). - Migrante: colui che va in cerca di salvezza e/o di migliori condizioni di lavoro e di vita. - Studente: nel caso di un viaggio-studio, colui che va per imparare una lingua e conoscere nuove culture. - Missionario: colui che va per annunciare/portare/ testimoniare una verità che non è sua. - Pendolare: colui che si assume la fatica – spesso quotidiana/settimanale/mensile - di ripetere costantemente lo stesso tragitto. - Conquistatore: colui che va per appropriarsi di qualcosa che non suo. E IL LOGO? “Perdiqua”. Sono proprio le parole del titolo che gonfiandosi, riempiono di aria il pallone della nostra mongolfiera e ci permettono di volare in alto. Ma se guardiamo bene, il cestello che ospita i nostri compagni di viaggio ricorda anche una nave… stiamo volando o stiamo navigando? Sono nuvole quelle intorno a noi oppure onde del mare? Scrutiamo l’orizzonte, allunghiamo lo sguardo oltre le nuvole e adocchiamo la cartina: siamo pronti per lasciarci trasportare, con la fiducia e il coraggio dei viaggiatori, in questa nuova avventura estiva? “Perdiqua”. Una parola che ci invita anche a lasciare qualcosa di noi prima di intraprendere il cammino: per partire più leggeri e lasciare che siano i nuovi passi che stiamo per compiere e i nuovi volti che stiamo per incontrare a riempire i nostri sguardi, i nostri ricordi, le nostre giornate.
Ecco qui: soltanto alcune riflessioni per partire nel viaggio dell’estate 2016, con il Cre (27 giugno-22 luglio), il Baby Cre (4-29 luglio), il mare adolescenti (Igea Marina 24-28 luglio), la biciclettata (1-5 agosto Vicenza-Jesolo), la vacanza stile familiare (14-21 agosto, Villa Paola, Igea Marina), …e poi la festa di comunità (26 agosto-11 settembre). La Lettera giugno ‘16
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Titolo Titolo Titolo ITitolo Consigli Pastorali Terza seduta del Consiglio Pastorale Parrocchiale a Burligo per verificare il percorso di Quaresima e di Pasqua e programmare i successivi appuntamenti comunitari: giornate eucaristiche, mese di maggio e festa della campagna, con un pensiero anche ai possibili interventi alla chiesa, dopo il sopralluogo dei tecnici della Curia. Si sottolinea una partecipazione più attenta e attiva alle diverse celebrazioni, vissute bene grazie anche agli itinerari proposti. La settimana santa è stata intensa, scoprendo alcuni aspetti nuovi; i sacerdoti presenti ampliano questo
Anche nel Consiglio Pastorale di Palazzago viene dedicata la prima parte alla verifica dell’itinerario quaresimale, rilevando una buona partecipazione alle proposte: via crucis quotidiana delle ore 15.00, via crucis dei venerdì sera e itinerante del venerdì santo, unitamente a Burligo; settimana santa con i momenti forti della cena, della morte e della Veglia Pasquale; stracolma la partecipazione il giorno di Pasqua. Belli anche i tre incontri fatti con le parrocchie della zona pastorale sulla miseriLa Lettera
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aspetto evidenziando alcune attenzioni che andranno coltivate, in particolare per l’adorazione all’altare della reposizione (ex sepolcro), la preghiera comunitaria dei giorni santi e la preparazione delle diverse liturgie. La Via Crucis del Venerdì Santo con Palazzago, animata dai giovani e dai molti gruppi e associazioni è stata un momento intenso, anche con la fattiva preparazione di diverse persone di Burligo, così come la Veglia Pasquale con i due cori riuniti. Si stende poi il calendario per il mese di maggio, evidenziando come i diversi appuntamenti serali
del martedì e giovedì siano per tutta la comunità e non solo per le famiglie che ospitano. Il Corpus Domini sarà vissuto di giovedì, con la messa e la processione, raggiungendo poi la chiesa di Precornelli dove salirà anche la processione da Palazzago per la benedizione finale. Pensando agli aspetti pratici si predisporranno alcuni disegni per la bussola della chiesa parrocchiale e del portale, così come si procederà con il preventivo per il restauro della Madonna Addolorata e alcuni banchi segnati da “graffitari”.
cordia vissuta da alcuni santi della nostra terra. Per quanto riguarda la situazione e le prospettive per l’accoglienza diffusa, vi sono stati incontri a livello vicariale e l’argomento è stato ampiamente discusso e analizzato nel Consiglio Presbiterale e Pastorale diocesano. La nostra diocesi si è presa a carico 1300 profughi, però per i nuovi arrivi si è chiesto l’appoggio della provincia. Don Giuseppe distribuisce ai membri del consiglio una bozza della Lettera “Per un’evangelica accoglienza”, una storia e una scelta di chiesa, e legge alcune parti più significative:..in questo anno straordinario della misericordia occorre vincere la barriera dell’indifferenza.., l’accoglienza dello straniero è una nuova sfida per la chiesa e la società..,è un fenomeno strutturale e irreversibile…, le parrocchie che hanno conosciuto l’esodo dell’emigrazione all’estero dei propri figli, possono
apprendere da questa memoria un miglior approccio alla mobilità umana…, tutte le parrocchie e tutte le realtà ecclesiali andranno aiutate a manifestare e a crescere nell’interessamento, nella conoscenza, nella disponibilità all’accoglienza e all’accompagnamento di questi fratelli rifugiati e richiedenti asilo…,ciò esige il passaggio ad azioni di interazione tra molteplici volti e storie di vita per costruire e promuovere insieme un futuro condiviso..,occorre passare da una pastorale di servizi a una pastorale di relazioni… Papa Francesco chiede di essere una chiesa in uscita..,nelle nostre parrocchie è fondamentale una comunicazione ampia che contrasti la diffusione di notizie distorte e distorcenti, che sappia fare chiarezza e non confusione, una comunicazione che favorisca il passaggio da “pancia, cuore, testa” all’incontro e alla relazione personale con lo straniero. Due membri del consi-
glio sono stati agli incontri vicariali su questo tema e relazionano brevemente quanto emerso, tra cui la necessità di creare un gruppo caritas in ogni parrocchia che si impegni ad integrare chi viene accolto sulla base di un progetto. Don Giuseppe presenta poi il progetto per gli oratori di Bergamo che sarà declinato con la formula del- l’équipe. Agli incontri di presentazione hanno aderito anche dieci persone di Palazzago. Il Consiglio continua con uno sguardo alle prossime proposte pastorali: il mese di maggio
[a cura di Antonietta] Il giorno 9 Marzo 2016 è il giorno in cui si festeggia San Francesca Romana, la Patrona della nostra associazione. Fondata grazie allo stimolo e al sostegno di don Angelo Roncalli, allora semplice sacerdote, poi Giovanni XXIII, che coinvolse un gruppo di vedove dell’Azione Cattolica riunitasi nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Bergamo, proprio il 9 marzo 1926. Quest’anno si festeggia il 90° compleanno, è un traguardo che merita di essere valorizzato. E così è stato per l’annuale festa di S. Francesca Romana che riunisce tutte le associate della diocesi, accolte nell’auditorium del Seminario di Bergamo. Già nell’ultimo numero del “Messaggero” era stato annunciato questo grande avvenimento a cui un bel gruppo di vedove di Palazzago ha partecipato, gratificate dalla presenza
“Maria, porta del cielo”, il pellegrinaggio vicariale a Brembate di Sopra, le giornate eucaristiche e la processione del Corpus Domini, la messa di ringraziamento dell’anno catechistico. E poi il Palio, le iniziative del periodo estivo e i lavori della casa di comunità. Per il prossimo anno, in vista dell’inaugurazione della casa di Comunità, si prospettano le Missioni parrocchiali come spinta per il cammino. Infine si presenta al consiglio il Sermig- Servizio Missionario Giovani- nato nel 1964 da un’intuizione di Ernesto Olivero
per sconfiggere la fame con opere di giustizia e di sviluppo, vivere la solidarietà verso i più poveri e dare una speciale attenzione ai giovani cercando insieme a loro le vie della pace. Dai “sì” di giovani, coppie di sposi e famiglie, monaci e monache è nata la Fraternità della Speranza, per essere vicini all’uomo del nostro tempo e aiutarlo ad incontrare Dio. All’inizio del nuovo anno pastorale sarà invitato Ernesto Olivero; gli incontri per i genitori degli adolescenti saranno probabilmente guidati dall’equipe del Sermig.
Un compleanno speciale e dal sostegno premuroso del nostro Vescovo Francesco Beschi che ha concelebrato la Santa Messa per tutte noi. Nell’omelia ci ha esortato a ridare fiducia e coraggio alla nostra associazione che tanto bene ha fatto e che continua ad operarsi a favore delle numerose famiglie deboli, demoralizzate e sovente dimenticate; ci ha spronate ad essere persone capaci di Vangelo e quindi di Misericordia, tema tanto caro al nostro Papa Francesco. La giornata è stata bella e intensa, eravamo circa 450 persone, con una delegazione giunta da Roma, la quale ci ha invitate per il Giubileo a Roma, che faremo nel mese di Ottobre. Abbiamo iniziato la giornata con una profonda relazione proposta dalla dott.ssa Anna Aceti, dove ha esplicitato alcune tappe dolorose che la vedovanza chie-
de di affrontare ponendo tanti spunti seguiti da tante nostre domande. Alla fine la giornata si è conclusa con un bel recital sulla vita di Papa Giovanni XXIII, molto apprezzato. Siamo tornate a casa con il cuore colmo di gioia e ricco di tanti buoni propositi, proponendo ci di ritrovarci ancora. Intanto vorrei ringraziare le signore di Palazzago per la loro disponibilità, le porterò tutte nel mio cuore davanti al Signore e ancora una volta dico “alla prossima”. La Lettera giugno ‘16
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Corpus Domini
“Ma quando arriva la processione da Burligo?” Ci si chiedeva nella sera del giovedì del Corpus Domini a Precornelli, dove la processione che saliva da Palazzago era già arrivata da un po’. Finalmente ecco sbucare la croce con le lampade e poi la gente, il baldacchino con il Santissimo portato da don Giampaolo e don Paolo. “Predica lunga di don Giampaolo” viene subito detto a giustificazione. Ma ora cantiamo il Tantum ergo solenne e riceviamo la benedizione del Signore da parte di don Matteo Bartoli che ha celebrato nella Parrocchia di Palazzago con sobria solennità. Poi le note della Banda
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con i cori a concludere con il canto Pane di vita nuova. Il profumo delle torte ci attira, dopo aver annusato per tutto il percorso quello dei petali di rosa, riversati abbondantemente sulle strade dai ragazzi della prima Comunione. Sempre sudore per i portatori dei baldacchini e delle lampade (papà e mamme dei ragazzi), come sempre tantissimi i lumini accesi nel percorso. E mentre ci si rifocilla si chiariscono le cose: è vero che don Giampaolo si lascia prendere dalla passione per la Parola, ma siamo proprio sicuri che anche altri non abbiamo contribuito al ritardo? Anche per le liturgie occorre mettersi d’accordo per tempo, sapendo chi fa cosa…Quindi, a ognuno il suo… Nel complesso comunque è stata una serata intensa per le due Comunità. Certo, l’adorazione delle giornate eucaristiche deve entrare di più, anche negli adulti. In questo i bambini e i ragazzi con le catechiste e le mamme nei tempi loro indicati sono stati di esempio. Altrimenti come avremmo potuto accendere le 191 candele e le 46 luci dell’apparato montato nella chiesa parrocchiale? Ogni candela accesa infatti deve poter corrispondere alla luce che accendiamo con l’esserci all’adorazione.
In morte del Cardinal Loris Francesco Capovilla All’età di 100 anni, giovedì 26 maggio solennità del Corpus Domini, è morto il cardinale Loris Francesco Capovilla. Per dieci anni è stato il segretario di Papa Giovanni XXIII. Nato a Pontelongo, in provincia di Padova, il 14 ottobre 1915 dal 15 aprile 2015 era il più anziano vescovo d’Italia. È stato creato
cardinale da papa Francesco il 22 febbraio 2014 a 98 anni, ricevendo il titolo presbiterale di Santa Maria in Trastevere e divenendo in tal modo il membro più anziano del collegio cardinalizio. La sua figura rimane nella memoria collettiva come il segretario di Papa Roncalli, il pontefice che ha spalancato la
Chiesa al mondo con il Concilio Vaticano II. Anche nella terra di Bergamo sono molte le persone che lo ricordano e che l’hanno incontrato di persona nella sua residenza a Sotto il Monte, dove ha continuato ad essere il testimone della vita di Papa Roncalli, il «custode» del Papa bergamasco.
Abbiamo chiesto ad Alessandro Quasimodo, figlio del Premio Nobel, che abita tra noi, un ricordo del Cardinale. Lo ringraziamo per questo contributo. Ho perso un amico, un fratello, una parte preziosa ed insostituibile della mia vita. Per me lui era semplicemente “Loris”: non ha mai voluto che lo chiamassi in altro modo, al massimo “don Loris”. Nei nostri incontri, nelle nostre conversazioni non c’è stato nessun riferimento, mai, al ruolo che ricopriva né ai titoli di cui poteva fregiarsi: talmente grande era la sua umiltà e tanto intensa la sua umanità che in ogni occasione era sempre lui quello che consolava, quello che confortava e riusciva a riportare il sereno anche dopo le peggiori tempeste. Ho conosciuto Loris Capovilla a metà degli anni ’80, e subito è nata tra di noi una confidenza fatta di racconti fitti, scambi di battute e affettuosità, piccoli doni (ricordo ancora la sua espressione dolcissima quando gli feci avere una copia del vangelo secondo Giovanni nella traduzione di mio padre), incontri brevi ma intensi. Quando lo invitai a inaugurare la chiesetta di S. Spiridione a Palazzago, rispose con un entusiasmo disarmante…ecco, la sua allegria, la sua voglia di vivere erano tali che quando si era in sua presenza si sentiva un’aria di freschezza e giovinezza per così dire “eterna”. In risposta ai miei complimenti per tutto quello che riusciva a fare e per il piglio che riusciva a mettere in ogni decisione, Loris era solito ripetere: “Io sono niente”. Nulla di più lontano dal vero! Loris era “qualcosa di speciale”, uomo tra gli uomini sì…ma dotato di una sensibilità e bontà d’animo che erano certamente dono di Dio. Per me, per Bergamo, per Sotto il Monte che lo ha ospitato in questi anni, infine per tutti coloro che hanno avuto il piacere e la fortuna di conoscerlo, l’amico Capovilla è stato quanto di più autentico e vicino al senso profondo della Fede si possa immaginare. La Lettera giugno ‘16
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Battesimi
Matrimonio
Domenica 17 aprile ore 15.00 Alice Perico di Matteo e Cisana Carolina, nata a Bergamo il 16 novembre 2015 Gaia Arioli di Marco e Colleoni Sarah, nata a Bergamo il 9 ottobre 2015 Nathan Rossi di Alfredo e Patutucci Filomena, nato a Ponte San Pietro il 23 settembre 2015 Daniel Rota di Giampietro e Cisana Marlene, nato a Ponte San Pietro il 14 novembre 2015
Moussa Michele e Mandaletti Delia 13 maggio 2016 Chiesa della Visitazione in Brocchione, Palazzago
Domenica 8 maggio ore 12.00
Domenica 22 maggio ore 10.30
Giusy Palladino di Leonardo e Francesca Carpentieri, nata a Bergamo il 16 ottobre 2015
Diego Ghislandi di Gianluca e Eleonora Ghilardi, nato a Ponte San Pietro il 3 gennaio 2016
Uscita al Vivaio Colleoni
tipi di piante e fiori oltre a sperimentare manualmente come si interrano nei vasi, portando anche a casa il frutto della loro esperienza. Prima di questa uscita, i I bambini della scuola statale dell’infanzia di Palazzago, gruppo bambini si erano già impegnati come piccoli agricoltori mezzani con le insegnanti, si sono recati in visita all’azienda nella semina dell’orto adiacente alla scuola, seguendo Florovivaistica Colleoni Angelo dove hanno potuto vedere tanti giornalmente i progressi e le varie fasi di crescita.
Defunti
Anniversari ROTINI ANNA MARIA di anni 71, deceduta l’8 maggio 2016 e funerata l’11 maggio Ci hai lasciati all’improvviso, ma la fede ci aiuta a sentirti ancora vicina e continuiamo ad amarti e a pregare per te. Il tuo ricordo vivrà sempre nel nostro cuore. I tuoi cari AGAZZI RODOLFO “CARÈTA” di anni 87 deceduto il 30 aprile 2016 e funerato a Burligo il 2 maggio Il ricordo del grande amore per la tua famiglia che era tutto il mondo, rende ancor più vivo il nostro dolore. I tuoi cari ARMANDO ROSSI di anni 77 deceduto a Bergamo il 29 aprile 2016 e funerato il 2 maggio 2016 Resterai sempre nel cuore di quanti ti vollero bene… I tuoi cari EMANUELA CIMADORO in PANZA di anni 56 deceduta a San Giovanni Bianco il 20 aprile 2016 e funerata il 23 aprile
MAZZOLENI FRANCESCO (30-06-2000 30-06-2016) Il tempo passa, ma non cancella il tuo caro ricordo che vive in noi. I tuoi cari
MEDOLAGO GEROLAMO (29-01-2005 29-01-2016) Ti ricordiamo sempre con tanto amore, sei con noi nel più dolce pensiero di ogni giorno, aiutaci nel nostro cammino. I tuoi cari
LAZZARI ROSA ved. TIRONI (15-08-2006 15-08-2016) Ci manchi, ma il tuo ricordo ci dà la forza per affrontare la vita! I tuoi cari
“Signore datele in felicità eterna ciò che essa ci diede in amore” (S.Agostino). I tuoi cari MARIA ANGELA MAGNO detta LINA ved. CLIVATI di anni 79, deceduta il 2 giugno 2016 e funerata a Burligo il 4 giugno Ricordatemi così... con un sorriso, con una preghiera. I tuoi cari TERESA LOMBONI ved. Rotini di anni 88, deceduta il 9 giugno 2016 e funerata l’11 giugno Ricordatemi così... con un sorriso, con una preghiera. I tuoi cari GIUSEPPINA MAZZOLENI ved. Accardi di anni 81, deceduta il 10 giugno 2016 e funerata il 13 giugno “La fede la illuminò nel suo cammino, la speranza la sorresse verso gli ideali più nobili, l’amore è il frutto della sua vita”. I tuoi cari
ROTA STABELLI SEVERINO (1977 – 2016)
MAZZUCOTELLI MARIA (2002 – 2016)
Un grande grazie ai nostri genitori per i valori che ci hanno insegnato, e noi abbiamo trasmesso ai nostri figli e nipoti. Vi ricordiamo con immutato affetto e amore. I vostri cari
CEFIS DAVIDE (14-05-2011 14-05-2016) Vivi ogni giorno nel cuore di chi ti ha amato e che tu hai tanto amato. La tua famiglia