La lettera DICEMBRE 2016 anno XXX numero 4
Bollettino della parrocchia prepositurale di san Giovanni Battista in Palazzago e di san Carlo in Burligo
Orari Sante Messe Palazzago Sabato
ore 17.00 Beita ore 19.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica ore ore ore ore
08.00 Montebello 09.00 Beita 10.30 Chiesa Parrocchiale 18.00 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 16.30 ore 16.30 ore 16.30 ore 09.00 ore 16.30
Brocchione Precornelli Beita Chiesa Parrocchiale Ca’ Rosso
Orari Sante Messe Burligo Sabato
ore 18.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica
ore 09.00 Collepedrino ore 10.30 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00 ore 17.00
Chiesa Parrocchiale Acqua Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale
Recapiti Don Giuseppe Don Roberto Don Giampaolo Don Paolo
035.550336-347.1133405 035.540059-348.3824454 338.1107970 035.550081
Oratorio e Sagrestia Palazzago 035.551005
www.oratoriopalazzago.it
E’ una festa di panneggi e di colori l’arrivo dei magi nel luogo dove si trovano Maria e il Bambino: una casa, guardando le pareti; una stalla, guardando le travi di legno; un tempio, guardando le colonne che inquadrano l’evento, perché siamo di fronte al “nuovo” che fa crollare la sapienza pagana. Le mani di Maria donano all’umanità il Figlio da lei generato nello Spirito Santo; lo cullano, nel gesto tipico della mamma che protegge il frutto del grembo; e lo offrono, nel gesto tipico di chi non tiene gelosamente per sé un regalo che è per il mondo intero. Anche il cielo, con gli Angeli in festa, non può che partecipare a questo evento, perché Dio ha fatto casa tra gli uomini. Al centro, proprio l’incontro tra le mani del saggio che offrono e il Bambino che, con gli stessi colori, diventa il vero dono per gli uomini. Uomini venuti da lontano, i Magi, perché ogni uomo è sempre lontano; uomini capaci di buttarsi a terra, perché ogni uomo è capace di Dio; uomini che lasciano doni -oro, incenso e mirraperché hanno accolto il tesoro, Gesù. Quasi nascosto, in ombra, Giuseppe, abituato al silenzio che non è assenza ma luogo dei sogni e della Parola. Gli altri segni, quelli del potere e della gloria sono a terra: un Bambino, che sembra anche sorridere, disarma re e potenti: ”ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.
parrocchia@oratoriopalazzago.it segreteria@oratoriopalazzago.it palazzago@diocesibg.it
Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 108) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,... La Lettera
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Ite missa est
[Editoriale]
A qualcuno questa espressione ricorderà i tempi della messa in latino. Oggi, in italiano, suona così: “La messa è finita andate in pace”. Ite! Andate! E’ un imperativo che trasmette insieme un invito e un invio che proclama lo sciogliersi dell’assemblea per una “chiesa in uscita”. In questo “Ite!” c’è sicuramente l’eco della Scrittura “Ite, andate nella mia vigna” (Mt 20,4-7). “Ite, andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli al banchetto nuziale” (Mt 22,9). “Ite, andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno” (Mt 28,10). Dunque questa non è solo una formula di saluto, ma contiene il senso della missione dei discepoli nel mondo. Benedetto XVI scriveva: “Ite missa est. In questo saluto ci è dato di cogliere il rapporto tra la messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell’antichità missa significava semplicemente “dimissione”. Tuttavia essa ha trovato nell’uso cristiano un significato sempre più profondo. L’espressione “dimissione”, in realtà, si trasforma in “missione” Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della chiesa (Sacramentum caritatis 51). Termina il giubileo della Misericordia e questa espressione ci può accompagnare. Ite! Andate, annunciate a tutti la Misericordia di Dio. Noi cogliamo in questo senso il congedo finale, cui la comunità risponde: “Deo gratias, Rendiamo
“Adorazione dei Magi” olio su tela, ambito bergamasco 1700-1749 | Restauro 2009 grazie a Dio”. Grazie per il dono della Misericordia che si fa carne. Buon Natale, Deo gratias. La Lettera dicembre ‘16
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PERCORSO
AVVENTO
Misericordia ed misera Titolo Titolo Titolo Titolo Misericordia et misera sono le due parole che sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv 8,1-11). Non poteva trovare espressione più bella e coerente di questa per far comprendere il mistero dell’amore di Dio quando viene incontro al peccatore: «Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia». Quanta pietà e giustizia divina in questo racconto! Il suo insegnamento viene a illuminare la conclusione del Giubileo Straordinario della Misericordia, mentre indica il cammino che siamo chiamati a percorrere nel futuro. Attraverso alcuni passaggi cominciamo a familiarizzare con questa lettera.
“Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli”. Si tratta di “dar vita a una vera rivoluzione culturale proprio a partire dalla semplicità di gesti che sanno raggiungere il corpo e lo spirito, cioè la vita delle persone”. “È un impegno che la comunità cristiana può fare proprio, nella consapevolezza che la Parola del Signore sempre la chiama ad uscire dall’indifferenza e dall’indiviLa Lettera
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dualismo in cui si è tentati di rinchiudersi per condurre un’esistenza comoda e senza problemi”, assicura Francesco, che parte da una frase di Gesù – “I poveri li avete sempre con voi” – per affermare che “non ci sono alibi che possono giustificare un disimpegno quando sappiamo che Lui si è identificato con ognuno di loro”. “La cultura della misericordia si forma nella preghiera assidua, nella docile apertura all’azione dello Spirito, nella familiarità con la vita dei santi e nella vicinanza concreta ai poveri”.
scono fino ai nostri giorni la verifica della grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale”, che “spinge a rimboccarsi le maniche per restituire dignità a milioni di persone che sono nostri fratelli e sorelle, chiamati con noi a costruire una città affidabile”.
“Le opere di misericordia corporale e spirituale costitui-
“La celebrazione della misericordia avviene in modo del
“Il carattere sociale della misericordia esige di non rimanere inerti e di scacciare l’indifferenza e l’ipocrisia, perché i piani e i progetti non rimangano lettera morta”.
tutto particolare con il sacramento della riconciliazione. È questo il momento in cui sentiamo l’abbraccio del Padre che viene incontro per restituirci la grazia di essere di nuovo suoi figli”. “Solo Dio perdona i peccati, ma chiede anche a noi di essere pronti al perdono verso gli altri, così come lui perdona i nostri”, ricorda Francesco: “Quanta tristezza quando rimaniamo chiusi in noi stessi e incapaci di perdonare! Prendono il sopravvento il rancore, la rabbia, la vendetta, rendendo la vita infelice e vanificando l’impegno gioioso per la misericordia”.
solvere quanti hanno procurato peccato di aborto” “Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente”, precisa subito dopo: “Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione”.
“Perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di as-
“La Bibbia è il grande racconto che narra le meraviglie della misericordia di Dio”, scrive il Papa: “Ogni pagina è intrisa dell’amore del Padre che fin dalla creazione ha voluto im-
primere nell’universo i segni del suo amore. La vita di Gesù e la sua predicazione segnano in modo determinante la storia della comunità cristiana”. “È mio vivo desiderio che la Parola di Dio sia sempre più celebrata, conosciuta e diffusa, perché attraverso di essa si possa comprendere meglio il mistero di amore che promana da quella sorgente di misericordia”. Il mandato di Francesco giunge a dire che “sarebbe opportuno che ogni comunità, in una domenica dell’anno liturgico, potesse rinnovare l’impegno per la diffusione, la conoscenza e l’approfondimento della Sacra Scrittura: una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo”.
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Misericordia con... Arte Ritroviamo le opere di misericordia interpretate da un artista nato a Bergamo nel 1978 che ora vive e lavora a New York. Ritroviamo il filo che ha guidato questo anno giubilare con le tante porte aperte che ora man mano si sono chiuse. Le abbiamo attraversate anche noi, come singoli e comunità, con i gruppi e con il vicariato. Ma se si chiudono le porte, non termina il desiderio di accogliere e donare misericordia. Come diceva il Vescovo Francesco nell’omelia della notte di Natale 2015: “La misericordia non è un’idea, la misericordia non è un sentimento, la misericordia non è un dovere: la misericordia è una persona, è la persona di Gesù. Lui è il volto umano della misericordia di Dio”.
Al termine del Giubileo della Misericordia facciamo un salto nei promessi sposi
Alla vista dell’Innominato Lucia, che è stata accolta nella camera della vecchia del castello, sopraffatta dal terrore, ma non tanto da rinunciare alla sua dignità, reagisce in modo quasi plateale: son qui: m’ammazzi; e il suo è insieme un comando e una preghiera. L’Innominato la scruta pieno di domanda e pronto ad arrendersi a quel sentimento
che rende meno uomini, la compassione. Anche Lucia lo guarda negli occhi, e, pur nella drammaticità della sua situazione, intuisce che qualcosa nel cuore del suo sconosciuto interlocutore si sta muovendo… e non è che una povera contadina, ma il suo sguardo innocente è rimasto limpido e pieno di dignità nonostante l’angoscia. “Non iscacci una buona ispirazio-
ne” dice davanti al guizzo di incertezza dello sguardo dell’Innominato. Ed ecco quella frase fatidica “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia!” detta in un momento di totale mancanza di calcolo, ma certamente solo per ripetere una verità imparata fin da piccina. E sarà quella frase a salvare l’Innominato dalla disperazione suicida.
Le opere di misericordia secondo Andrea Mastrovito
La linea di Andrea Mastrovito è semplice. Così semplice da indicare una direzione, disegnare forme, porre domande, inventare mondi, dare il là a un gioco o raccontare drammi della vita, mostrare l’amore e volare dove solo la fantasia può osare. La linea di Mastrovito può farsi misericordia ed eccola nell’impresa di fasciare le ferite, creare ponti, lanciare corde robuste per creare legami di attenzione e di affetto che ridonino vita e speranza. Basta seguire quella linea e tutto si fa chiaro: il mondo potrà anche andare in frantumi per gli egoismi, gli odii, le ingiustizie, le guerre, ma in ogni momento l’oscuro abisso della tragedia viene illuminato dal collante potente di chi ama, spera, opera con misericordia.
La salvezza non viene dai potenti della terra, ma da gente semplice che vede chi è nel bisogno e si fa prossimo, che fascia le ferite, che invoca giustizia. E l’agire operoso della gente semplice - che ascolta prima il cuore del cervello - è quel che la linea di Mastrovito coglie per farsi immagine. Quando don Michele Falabretti, responsabile della Pastorale giovanile della Cei, ha chiesto all’artista di confrontarsi con le opere di misericordia in vista della Giornata Mondiale della Gioventù, egli ha optato per il disegno, l’espressione artistica che ha accompagnato l’umanità fin dai suoi albori e che ogni figlio d’uomo ha impresso su carta, su muro o su sabbia come prima traccia della sua presenza nel mondo.
Il disegno è all’origine di quella capacità di realizzare opere d’arte totale che hanno reso Mastrovito artista di fama internazionale. Il suo disegno è immediato, naturale, ha la freschezza delle origini, tra lo stupore per il mondo che si scopre e la lievità del gioco, e insieme abbraccia la grande tradizione del disegno italiano e ad essa si alimenta. Le sue opere di misericordia ci offrono un’idea di unità e sono un invito alla speranza. Ci riportano immediatamente alle parole di san Giovanni Paolo II: «L’essenziale dell’arte si situa nel profondo dell’uomo, in cui l’aspirazione a dare un senso alla propria vita si accompagna a un’intuizione fugace della bellezza e della misteriosa unità delle cose».
Cari Sorelle e Fratelli, una “lettera circolare” non comincia con appellativi come questi, piuttosto evoca documenti freddi, essenziali, pratici.
Quest’anno ho pensato di scrivervi una lettera circolare, che non avesse le caratteristiche della freddezza, ma un poco quelle della praticità essenziale. Il motivo di questa scelta è dettato dall’ultima visita vicariale non ancora conclusa e da alcune esigenze che ho raccolto nel corso di quest’ultimo “viaggio” in Diocesi. Mi auguro che le proposte contenute in questa “circolare” possano suscitare il vostro interesse e avviare un processo di condivisione alimentato dalla fede e dalla cordiale appartenenza alla nostra comunità cristiana. L’ORIZZONTE L’orizzonte di questo percorso è rappresentato dalla Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco. Nel Convegno ecclesiale di Firenze del novembre scorso, egli stesso ha indicato a tutte le comunità cristiane in Italia il compito di approfondire questo testo ritenuto programLa Lettera
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matico per il suo servizio e per la missione della Chiesa: “Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della «Evangelii Gaudium» per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato”. Tra le indicazioni fondamentali della Lettera del Papa, desidero condividere particolarmente queste: • ritrovare la gioia del Vangelo e del suo annuncio; • uscire dai confini di una fede rassicurante e di una comunità ripiegata e andare incontro ad ogni persona umana nella sua libertà, nella sua profondità, nella sua sofferenza; • riconoscere nella figura del povero il volto di Cristo che ci interpella e ci evangelizza; • adottare uno stile di vita cristiana personale e comunitaria capace di comunicare il fascino del Vangelo e di alimentare la fraternità tra le persone umane. “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG 1).
[La lettera del Vescovo Francesco]
In queste parole che aprono la Lettera del Papa, ritroviamo in sintesi l’esperienza dei discepoli di Emmaus e la narrazione di ciò che avviene nell’esistenza di una donna e di un uomo che si aprono al Vangelo. LA VISITA VICARIALE Le cinque visite vicariali mi hanno permesso di conoscere con una certa rapidità il volto e il vissuto della Chiesa che vive in Bergamo e di stabilire relazioni che, pur limitate, mi hanno arricchito di sentimenti di meraviglia, di riconoscenza, di speranza. Di meraviglia per la ricchezza e la solidità delle nostre comunità e della loro fede; di riconoscenza per la testimonianza e per la dedizione di preti, consacrati e laici; di speranza per una tenuta che, nonostante l’evidente secolarismo della mentalità e della vita, si manifesta nella presenza capillare delle nostre parrocchie, in un numero di preti ancora elevato, nella cura non solo esteriore delle tradizioni, in una generosità personale e organizzata che supera l’immaginazione, in un’organizzazione robusta e ad ampio raggio, nella presenza di molte iniziative sociali e culturali e nella bellezza di chiese ed opere d’arte. Particolarmente, questa quinta visita mi ha permesso di incontrare presbiteri, consacrati e laici attorno all’affascinante esperienza della carità. L’esito di questi incontri, non conclusivo, ma già ben delineato, può essere raccolto attorno ad
alcune constatazioni: • l’imponenza quantitativa delle proposte parrocchiali e vicariali in ordine alla solidarietà e alla vicinanza alle diverse dimensioni dell’esistenza; • la forza della dedizione e dell’incontro reale con donne e uomini di ogni estrazione, nel segno della relazione personale e personalizzante; • la varietà delle iniziative di cui le nostre comunità sono capaci; • lo spessore dei gesti quotidiani e non organizzati; • l’intelligenza e la preparazione di molti negli ambiti pastorali ed esistenziali in cui operano; • la presenza apprezzata, a volte scontata, sfruttata o criticata, nelle diverse realtà territoriali. Gli aspetti che richiedono una rinnovata attenzione sono: • la formazione e l’autoformazione di chi opera; • la generatività delle nostre opere e il rapporto con il “territorio”; • la dimensione evangelizzante della carità; • la declinazione della carità nei diversi ambiti di vita, in un contesto segnato dal problema dell’invecchiamento e del futuro, dal cambiamento nel mondo del lavoro, da una progettualità debole e limitata, da dinamiche individualiste. Mi soffermo un istante sulla prospettiva della generatività. Viviamo in un contesto che ha privilegiato la produzione e mortificato la generazione: un segno emblematico è l’impressionante contrazione demografica in molti paesi, tra i quali proprio l’Italia. La produzione, necessaria, ha come esito il prodotto; la generazione ha come frutto la vita. Constatiamo ogni giorno che non mancano prodotti, ma viene a mancare il senso e il gusto della vita. An-
che la pastorale è esposta a questo rischio: moltiplica prodotti, proposte, iniziative, ma soffre di sterilità spirituale e comunitaria. Mi sembra necessario ritrovare le condizioni per una generatività delle nostre comunità, consapevoli che l’esperienza della fede in Cristo è capace di questo. Gli orientamenti che scaturiscono da questi incontri sono: • la cura delle proposte, con particolare attenzione alla qualità delle relazioni personali; • la prospettiva di un lavoro pastorale che consideri l’esistenza umana nella sua unità, privilegiando un approccio delineato dagli ambiti di vita indicati nel Convegno di Verona; • il riconoscimento e la promozione della dignità e responsabilità dei laici; • la consapevolezza dell’importanza della dimensione educativa in tutte le sue declinazioni, iniziative e proposte della comunità; • la coscienza del valore evangelizzante delle nostre azioni personali e comunitarie, in modo che il Vangelo possa raggiungere
il cuore e le “periferie” dell’esistenza di ciascuno; • la condivisione di prospettive e percorsi con il “territorio” nella varietà e ricchezza delle sue espressioni e istituzioni; • il riconoscimento e la promozione della soggettività dei poveri. Si tratta semplicemente di un indice che introduce alla proposta che intendo sottoporvi. “Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del «sensus fidei», con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro” (EG 198).
Per ora ci fermiamo qui. Riprenderemo nel prossimo numero con la parte relativa alla riforma dei vicariati su cui lavoreremo in questi mesi con i Consigli delle Parrocchie della zona e del vicariato, seguendo il percorso tratteggiato: • Martedì 22 novembre, ore 20.30, Teatro Oratorio Palazzago: presentazione progetto e lavoro di gruppo. • Martedì 6 dicembre, ore 20.30, Salone Santa Croce, Pontida: “Le tentazioni degli operatori pastorali.” • Sabato 29 gennaio 2017, ore 9.30-12: mattinata di incontro-spiritualità tra laici e presbiteri del Vicariato. Al termine buffet. • Lunedì 13 marzo, ore 20.30, Oratorio Mozzo: incontro dell’Assemblea Vicariale con il Vescovo Francesco. La Lettera dicembre ‘16
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Tuttasanta tra i santi
[La Madonna Adolorata di Burligo]
Nel giorno dei Santi, a Burligo, abbiamo ritrovato la statua della Madonna Addolorata, esposta, dopo un bel “restauro”, nell’altare laterale rivisitato. La si può ora ammirare totalmente, non più “rinchiusa” dalla vetrina, nella tenerezza velata dal dolore, mentre avvicina il suo viso a quello del Figlio. La croce di legno si staglia sullo sfondo dorato della nicchia, anticipo di risurrezione, perché la morte non poteva trattenere Colui che ha fatto della sua vita un dono d’amore per tutta l’umanità. Uno sguardo, una preghiera, una candela accesa perché come Maria, sappiamo fare nostri i sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile la sistemazione a gloria di Dio Padre. (Fil 2,5-11) che dà nuova luce anche a tutta la chiesa.
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[Festa a Burligo]
Il Patrono san Carlo
Quattro preti: don Giampaolo, don Giuseppe, don Paolo e don Roberto erano pronti, dopo la concelebrazione, a portare il trono di San Carlo per la processione, aiutati, se le forze non fossero bastate, anche dal Sindaco Jacobelli. Ma la pioggia ci ha impedito di uscire. Buon per don Giampaolo che ha potuto illustrarci con tranquillità le figura del Patrono di Burligo nei tratti biografici più importanti e soprattutto in quelli di fede e di riforma della chiesa. E buon per noi che abbiamo avuto l’occasione di conoscere ancor meglio questo grande Santo. Alcune immagini e una riflessione, tra le diverse riportate sul libretto che tutti avevano tra le mani, diventano il ricordo della festa.
ALCUNE DATE DECISIVE DELLA VITA DI SAN CARLO BORROMEO 2 ottobre 1538 Nascita ad Arona, in provincia di Novara 1559 Si laurea in utroque iure a Pavia 25 dicembre 1559 Lo zio Giovanni Angelo de’ Medici di Marignano diventa papa con il nome di Pio IV 13 gennaio 1560 Viene fatto cardinale
SAN CARLO BORROMEO, RIFORMA E SANTITÀ San Carlo, sollecitato dall’esperienza del concilio di Trento e dalle sue indicazioni autorevoli, si è impegnato a rigenerare le forme pratiche dell’esperienza cristiana. Potremmo dire che, al di là della sua consapevolezza di fronte al problema, e all’interno della corrente della Riforma cattolica, egli ha operato per rendere “trasparenti” e “duttili” le mediazioni della vita cristiana ed ecclesiale. La celebrazione dei Sacramenti, il Catechismo e la dottrina cristiana, il rinnovamento della predicazione, la parrocchia e la formazione dei Seminari, la residenzialità dei Vescovi (assieme alla Visita pastorale e al grande segno della carità e alla dedizione instancabile per la vita delle persone e della città) sono stati il modo pratico di una riforma radicale della vita della Chiesa, di cui la Diocesi di Milano (e non solo) ha vissuto per oltre quattrocento anni.. La mediazione ritorna “trasparente”, capace ancora di “ridare senso” e “alimentare” la vita cristiana e la sua presenza nel mondo. In questi ambiti san Carlo ha anche dato forma a mediazioni, in parte nuove, per renderle adeguate al proprio tempo. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara
1562 Muore il fratello Federico. È il tempo della sua conversione… 7 dicembre 1564 Viene ordinato vescovo di Milano 1566 Raggiunge finalmente la sua diocesi 1576-1577 La peste denominata di San Carlo 3 novembre 1584 Morte 1 novembre 1610 Carlo Borromeo è proclamato santo La Lettera dicembre ‘16
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Corona di spine Titolo Titolo Titolo Titolo Cerchi di filo spinato avvolgono i vasi disposti intorno alla mensa, all’ambone e sull’altare maggiore tra gli argenti di “papi” e di candelabri. Al centro una corona di spine, anch’essa formata da una matassa di filo spinato, intorno al quale, però, si nota un giro di filo color oro. Abbiamo preso a prestito un’installazione di Claudio Parmiggiani nella chiesa di San Fedele a Milano dal titolo Corona di spine 2014. Ci è subito piaciuta come segno per l’ottavario dei morti e al rientro delle spoglie dell’alpino Gerolamo Ripamonti,
La Lettera
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morto a Vienna nel 1944. Il filo spinato ci richiama immediatamente guerra, trincee, violenza, morte e ha fatto da sfondo ai fatti del 1944 ai quali ci siamo ispirati per il percorso dei giorni dei defunti, attingendo al libro “Le querce di Monte Sole”. Dentro il filo spinato –eccidi, morti, domande- spunta il filo della speranza che Cristo ha inaugurato nel mistero pasquale. E’ questo ad illuminare anche pagine buie e tristi di storia come quelle ascoltate, ed è sempre questo mistero ad accendere la speranza nelle famiglie che
[Ottavario dei defunti]
hanno ricordato i cari morti nell’ultimo anno e per cui abbiamo pregarto insieme nella celebrazione serale del 2 novembre.
Titolo Titolo Titolo
1944
Nella foto a sinistra vediamo l’edificio del Centro Visite “Il Poggiolo” con la stradina sterrata che conduce all’ampia sella erbosa dove la strada che collega Pian di Venola e Quercia (frazioni di Marzabotto poste sui due opposti versanti di Monte Sole) incrocia quella in gran parte sterrata che conduce ai luoghi dell’eccidio. A destra vediamo il monumento che ricorda gli avvenimenti dell’autunno 1944 (si trova sulla stessa sella, a sinistra dell’incrocio provenendo dal Centro Visite). Sulla grande piastra è riprodotta una piantina della zona di Monte Sole con le località dove i nazisti operarono le stragi e il numero delle vittime. La figura di Cristo è opera dello scultore Luciano Nenzioni. Lungo l’itinerario si trovano altri “segni”opera dello stesso scultore e posati all’inizio degli anni Ottanta per opera e per volontà dei parrocchiani di Gardelletta, Quercia e Murazze (Marzabotto), “guidati” da Don Ilario Machiavelli (allora parroco di Gardelletta). La prima tappa dell’itinerario è costituita dal cimitero e dai ruderi delle poche case e della chiesa di San Martino. In queste immagine vediamo il cimitero (oggi cimitero storico) e l’edicola che ricorda i cinque sacerdoti uccisi durante la strage (Don Giovanni Fornasini, Don Ubaldo Marchioni, Don Ferdinando Casagrande, Don Elia Comini e Padre Martino Capelli). Due di loro sono particolarmente legati a questo luogo: di fianco al cimitero vennero rinvenuti nel dopoguerra il corpo di Don Giovanni Fornasini (ucciso il 13 ottobre 1944) insieme a quello di un uomo invalido. Sotto il cimitero c’era un rifugio dove trovarono riparo per alcuni giorni Don Ferdinando Casagrande e la sua famiglia. Uscito dal rifugio il 9 ottobre 1944, fu ucciso dai tedeschi insieme a una delle sorelle e gettato in un piccolo burrone in località Pozza Rossa (a poche centinaia di metri da San Martino, sulla strada che prosegue verso SudOvest). Nel cimitero trovarono una prima sepoltura alcune delle vittime della strage nazista, tra cui quelle uccise a San Martino il 29 settembre 1944: una cinquantina di persone, quasi tutte donne e bambini. Oggi alcune lapidi riportano i nomi e le foto di alcune di loro. E’ impressionante notare che la violenza nazista non si fermò di fronte a nulla e che intere famiglie vennero sterminate. Ad esempio c’è una lapide, posta a ricordo dal marito e dai figli maschi più grandi, ricorda una donna di 49 anni, le sue quattro figlie e i tre figli maschi più piccoli (il minore aveva 4 anni). Nel cimitero, dal 25 aprile 2013, un piccolo segno ricorda anche Teresa Sarti Strada, fondatrice di Emergency insieme al marito Gino Strada. Proseguendo nell’itinerario, la seconda tappa è rappresentata dai ruderi di Caprara di Sotto, che però non sono visitabili in quanto proprietà privata. Divisa nei due nuclei di Sotto e di Sopra, Caprara era una vivace zona agricola ed era abitata da una decina di famiglie, Caprara di Sotto era una delle sedi della Brigata partigiana “Stella Rossa” che operava nella zona. Le case vennero bruciate nei giorni dell’eccidio e colpite dalle cannonate angloamericane durante i mesi di stallo del fronte nella zona di Monte Sole, tra l’autunno del 1944 e la primavera del 1945. A Caprara di Sotto, il 13 ottobre 1944, una di queste cannonate uccise tre donne, una bambina e un neonato che erano scampati alla strage di qualche giorno prima. La Lettera dicembre ‘16
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Poco oltre Caprara di Sotto si possono visitare i ruderi di Caprara di Sopra, un piccolo borgo in cui si trovavano anche un’osteria e una drogheria. Il 29 settembre 1944 i soldati tedeschi trovarono una quarantina di persone (quasi tutte donne e bambini) nascoste in un rifugio vicino all’abitato. Le portarono dentro la cucina di una delle case, poi gettarono delle bombe a mano dalla finestra e spararono dalla porta, uccidendole quasi tutte. Poi la casa venne minate e bruciata. Nei pressi di Caprara i tedeschi uccisero anche una mamma con i suoi sette figli dai 17 ai 2 anni. Altri civili e partigiani vennero uccisi nelle vicinanze anche nei giorni successivi (nella zona di Caprara le vittime della violenza nazista sono state in tutto una sessantina). Presso la casa colonica della località Il Poggio, poco prima della chiesa di Casaglia, è collocato questo monumento opera dello scultore Celso Barbari. Rappresenta alcune delle vittime più deboli della strage: le donne ei bambini piccoli. Ed eccoci alla chiesa di Santa Maria Assunta a Casaglia. L’edifico, di origini medievali, fu ricostruito nel 1665 e abbellito con successivi restauri (nella foto in alto a sinistra vediamo come si presentava all’inizio del Novecento, dopo i lavori di sistemazione della strada e del sagrato del 1912). Il 29 settembre 1944 gli abitanti delle case vicine (una novantina di persone, quasi tutte donne e bambine) si rifugiarono nella chiesa insieme al parroco, don Ubaldo Marchioni. All’arrivo dei tedeschi solo qualcuno riuscì a fuggire una donna paralitica venne uccisa in chiesa, come altre due persone che si erano rifugiate nel campanile. Tutti gli altri vennero condotti nel vicino cimitero e massacrati con bombe a mano e raffiche di mitraglia. Don Ubaldo fu ucciso sull’altare della chiesa, che poi venne bruciata. Lo stato attuale dell’edificio è dovuto non solo all’incendio, ma anche ai bombardamenti dei mesi successivi e a un lungo stato di abbandono. Oggi la chiesa è stata dichiarata dall’UNESCO “sito messaggero di pace”. Anche qui sono presenti alcune opere dello scultore Luciano Nenzioni, tra cui una Via Crucis che collega la chiesa al cimitero. La campana visibile nella foto centrale, fusa con materiale bellico, è stata donata dal governo della Repubblica Russa come segno di pace e invito agli uomini a non «esercitare più l’arte della guerra». E’ stata collocata qui per volontà dell’arcivescovo di Bologna, cardinale Giacomo Biffi, nel 1994, in occasione del cinquantesimo anniversario della strage.
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Vediamo qui due immagini del cimitero di Casaglia, dove i soldati tedeschi massacrarono con bombe a mano e raffiche di mitraglia un’ottantina di persone (quasi tutte donne e bambini) trascinate qui dalla vicina chiesa di Santa Maria Assunta. I prigionieri vennero ammassati contro la cappella al centro del cimitero: i più piccoli vennero messi davanti e i più grandi dietro. Molti morirono subito, altri dopo un’atroce agonia solo pochi riuscirono a salvarsi sotto i cadaveri delle altre vittime. Nel cimitero si trovano oggi due tombe, quella di don Giuseppe Dossetti (19131996) e quella di monsignor Luciano Gherardi (19191999). Il primo fu uno degli esponenti democristiani più impegnati nella nascita della Repubblica italiana e il fondatore della comunità monastica della Piccola Famiglia dell’Annunziata, che ha una delle sue sedi nelle vicinanze del cimitero. Il secondo fu compagno di seminario di due sacerdoti uccisi nell’eccidio di Monte Sole e autore di un’importante ricostruzione della vita a Monte Sole prima della strage (Le querce di Monte Sole. Vita e morte delle comunità martiri fra Setta e Reno 18981944, introduzione di Giuseppe Dossetti, Il Mulino, 1994). L’ultima tappa dell’itinerario che ho descritto è l’oratorio di Cerpiano, dedicato agli Angeli Custodi. Cerpiano era un piccolo borgo e vicino all’oratorio si trovavano un grande edificio a tre piani, una casa colonica e alcuni edifici rurali. Nel 1944 vi abitavano diverse famiglie, alcune delle quali sfollate dalla valle del Setta per sfuggire ai bombardamenti alleati che colpivano la ferrovia. A Cerpiano funzionavano anche un asilo infantile e una pluriclasse elementare. Il 29 settembre 1944 i tedeschi ammassarono nell’oratorio una cinquantina di persone, quasi tutte donne e bambini, e le massacrarono con le bombe a mano. Il giorno dopo, per assicurarsi che tutti fossero morti, spararono di nuovo all’interno dell’edificio. Sotto i cadaveri si salvarono soltanto due bambini e la maestra Antonietta Benni (suora orsolina la vediamo in alto a destra circondata da alcune bambine in una foto dei primissimi anni Quaranta). Tra le rovine dell’oratorio è stata posta (ottobre 2011) una significativa scultura dedicata proprio ai bambini morti nell’eccidio di Monte Sole. Gli autori dell’opera, Nicola Zamboni, Sara Bolzani e Laura Zizzi, hanno spiegato che rappresenta l’angelo custode (cui è dedicato l’oratorio) che ripara con lo scudo i bambini di Cerpiano dal Maligno, perché possano raggiungere il Paradiso che li attende. La Lettera dicembre ‘16
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Le quercie diTitolo Montesole Titolo Titolo Titolo Si piegano le querce come salici sul cuore delle rocce a Monte Sole hanno memoria le querce, hanno memoria. Memoria di sanguigne uve pigiate in torchi amari memoria di stermini e di paure memoria della scure nel ventre delle madri hanno memoria le querce, hanno memoria. Memoria di recinti profanati memoria dell’angelo e del pastore crocifissi tra reliquie di santi sull’altare hanno memoria le querce, hanno memoria. Memoria dell’inverno desolato memoria della bianca ostia di neve e del kyrie degli angeli sul corpo del profeta decollato. Ardono le querce come ceri sul candelabro della notte a monte sole. Cristo figlio del dio vivo, pietà di noi. Vergine del giglio e dell’ulivo, intercedi per noi beati martiri di monte sole, pregate per noi. Luciano Gherardi
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Le riflessioni proposte nei giorni dei defunti sono nate da un’esperienza vissuta all’inizio del mese di giugno da un gruppetto di preti che ricordavano il loro XXV anniversario di ordinazione, facendo visita a Monte Sole, una località dell’Appennino emiliano, proprio sopra il comune di Marzabotto. È lì, tra i comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi e nelle tante frazioni e cascine di quella zona tra i fiumi Setta e Reno, che, soprattutto nei giorni tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944, è avvenuta quella che viene ricordata più comunemente come la strage di Marzabotto. Si è trattato di un’opera di rastrellamento portata avanti dall’esercito tedesco che lì si era attestato e aveva fermato l’avanzata degli Alleati con l’aiuto dei fascisti. Si può dire che i partigiani proprio su Monte Sole avevano trovato rifugio fin dall’ottobre del 1943 - poche settimane dopo l’8 settembre, dopo l’armistizio -. Con il passare dei mesi i partigiani erano cresciuti di numero e si erano organizzati in un gruppo che aveva preso il nome di Stella Rossa. Da Monte Sole questo gruppo partigiano, che arrivò a contare 500 persone, aveva portato avanti molti sabotaggi e attacchi all’esercito tedesco esasperandolo. I tedeschi erano esasperati anche dal pensiero che gli Alleati stavano salendo da sud a nord l’Italia e che la Guerra li avrebbe visti sconfitti. Un
[Don Giampaolo]
altro motivo che esaltò ulteriormente la loro rabbia fu che la gente di quei luoghi sosteneva i partigiani, dava loro da mangiare, vedeva nei loro volti i volti dei figli e dei nipoti che erano al fronte lontano o prigionieri o erano già morti negli anni precedenti della Guerra. Così i tedeschi avevano minacciato di rappresaglie non solo i partigiani ma anche la gente del posto, per la maggior parte donne, bambini e anziani perché, come già detto, quasi tutti i giovani e gli adulti erano lontani da casa. Era dal 25 maggio che ci si poteva aspettare una reazione dei tedeschi. Questa arrivò il 29 settembre con un attacco in forze proprio ai partigiani ma poi anche ai civili. Il gruppetto di preti che è salito a Monte Sole ha avuto modo di riascoltare racconti terribili che prima li hanno ammutoliti, poi li hanno portati a riflettere e infine a pregare. E’ ciò che abbiamo fatto anche nei giorni dei defunti, nel silenzio, nella riflessione sui misteri più grandi della vita e nella preghiera. Riportiamo la prima delle sei tappe. La prima testimonianza ci parla di tre uomini - uno di essi si chiamava Adelmo Benini - che erano fuggiti e stavano nascosti dai tedeschi. La fame li portò al Poggio dove sapevano di trovare un po’ di uva: Qualche centinaio di metri più avanti
[rispetto al cimitero], giù per la strada, c’era una delle migliori vigne della montagna. Era sulla costa dopo il Poggio di Casaglia, il podere dei Laffi, e più di una volta Adelmo [Benini] si era fermato ad assaggiare quell’uva squisita. I tre uomini vi arrivarono molto dopo
mezzanotte e cominciarono a percorrere i filari in cerca di qualche grappolo. [...] I tre ruspatori risalirono dai confini fino al centro della vigna e dopo un po’ ad Adelmo sembrò di distinguere nel buio la sagoma di uno spaventapasseri [...] quello che aveva davanti agli occhi era un ragazzo impalato a un pezzo di legno alto circa un metro e ottanta [...]. Mentre se ne tornavano su, passarono attraverso i resti di Caprara e là, al margine di un castagneto, trovarono i corpi di tre giovani donne legate agli alberi, coi piedi sollevati da terra e i vestiti al di sopra della cintola, nella posizione della crocefissione. Vicino c’erano i resti di due donne incinte. L’altra testimonianza è portata da un gruppetto di persone guidato da una giovane sfug-
gita a un primo rastrellamento, Elena Ruggeri: Una squadra formata da Elena [Ruggeri] e da tutti gli uomini validi partì da Ca’ Pudella per andare a cercare i cadaveri [...] proprio dietro la casupola del becchino Gatti, Elena trovò sua madre, colpita alle spalle [...]. Più
avanti lungo la strada, vicino al Poggio, s’imbatterono in una scena inspiegabile. Il corpo rugoso di Artemisia Gatti giaceva come un mucchio di stracci vicino a una buca mezza scavata attorno alla quale erano distesi i cadaveri di quattro giovani. Fu solo la sera tardi che i Ruggeri seppero come erano andate le cose. Verso l’alba di quel lunedì mattina quattro partigiani in fuga avevano udito la vecchia lamentarsi nel cimitero. La stavano portando via quando la poveretta era morta. Allora cominciarono a scavarle una fossa al Poggio, ma una pattuglia di SS li aveva sorpresi e uccisi. I Ruggeri passarono la maggior parte della giornata raccogliendo cadaveri e seppellendoli dove si trovavano. Trovarono le tre donne crocefisse a Caprara, il ragazzo
impalato come uno spaventapasseri nella vigna del Poggio e una dozzina di altri corpi lungo la strada. Quando ebbero finito di seppellire i morti sparsi qua e là tornarono al cimitero e cominciarono a scavare una fossa comune per le sei o sette dozzine di cadaveri ammucchiati contro la cappella mortuaria. (J. Olsen, p. 286). A chiunque ascolti racconti come questi viene spontaneo fare silenzio. La morte violenta di persone inermi, la morte di bambini e ragazzi è davvero ciò che più di ogni altra morte fa sorgere la domanda del senso di tutto ciò; del perché? E la domanda seria su Dio, su un Dio che ci viene presentato fin da quando siamo piccoli come un Dio di bontà e amore e che lascia che accadano cose come queste. Questa domanda sorge di fronte alla morte di chi amiamo anche quando non si tratta di una morte che ha i tratti della violenza cieca e gratuita. La morte e la violenza, tutto ciò che possiamo chiamare in una parola breve ma terribile come male, suscita in noi il grido, il lamento. Si potrebbe pensare che sia inutile alzare una lamentazione. Tanto... chi ascolta? Eppure per l’uomo il lamento è un modo di esprimere la propria situazione esistenziale. La Bibbia, la Sacra Scrittura ci presenta moltissime preghiere di lamentazione. Questo ci permette di scoprire che il nostro Dio, il Dio della tradizione ebraico cristiana, il Dio dei discepoli di Gesù non ci vieta di gridare in faccia a Lui il nostro dolore e la nostra indignazione. Anzi, Egli è un Dio La Lettera dicembre ‘16
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che ascolta la nostra lamentazione. Quando la morte arriva, quando accadono avvenimenti che ci appaiono totalmente ingiusti, quando ci piovono addosso eventi che ci feriscono nel profondo possiamo alzare la nostra voce per lamentarci non solo con gli altri, ma proprio con Dio. Forse oggi potrebbe esserci utile scoprire che possiamo lamentarci con Dio. Noi, piccole creature possiamo metterci di fronte all’Onnipotente e scagliarli addosso le nostre parole colme di amarezza. Nel secondo giorno abbiamo affrontato il tema della fragilità di Dio, partendo con i fatti di Cerpiano, l’asilo dei bambini... La testimonianza è della maestra, una consacrata, Antonietta Benni, che non fu uccisa solo per un errore dei soldati tedeschi che, dopo averla violentata, la abbandonarono pensandola morta. Con lei si salvarono Piretti Fernando di 8 anni, e Rossi Paola di 6 anni. Cosa significa credere di fronte alla morte? Cosa significa credere in Dio di fronte al terremoto? Cosa significa credere in Dio di fronte alle camere a gas? Alle stragi di bambini di ieri ma anche di oggi, come ad Aleppo, in Siria? La fede ci dice che Dio non fa il miracolo che ci attendiamo. Ma che fa di più e cioè che egli è totalmente coinvolto nel destino di quelle persone; piange con loro. Questa condivisione di Dio potrebbe sembrarci troppo poco. Ma Dio non condivide mai lasciando le cose come sono. Egli pianta dentro l’occhio del tifone, al cuore dell’oscurità La Lettera
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una promessa: tu non sei abbandonato, la tua causa non si dissolverà nel nulla ma troverà ascolto. Sarà la risurrezione: il grido angosciato di Gesù ha trovato ascolto. Nel terzo giorno abbiamo raccontato Casaglia entrando con il tema della violenza, nel mistero del male di cui l’uomo è capace. In una espressione sola: il mistero dell’iniquità. All’arrivo dei tedeschi solo qualcuno riuscì a fuggire; una donna paralitica venne uccisa in chiesa, come altre due persone che si erano rifugiate nel campanile. Tutti gli altri vennero condotti nel vicino cimitero e massacrati con bombe a mano e raffiche di mitraglia. Don Ubaldo fu ucciso sull’altare della chiesa, che poi venne bruciata. Vicino c’è il cimitero dove i soldati tedeschi massacrarono con bombe a mano e raffiche di mitraglia un’ottantina di persone trascinate qui dalla vicina chiesa di Santa Maria Assunta. Nel cimitero si trovano oggi anche due tombe, quella di don Giuseppe Dossetti e quella di monsignor Lu-
ciano Gherardi (1919-1999), autore del libro Le querce di Monte Sole. Dossetti fu uomo politico (n. Genova 1913 - m. presso Monteveglio 1996), rappresentante democristiano durante la Resistenza, vicesegretario della DC (1945, 1950), deputato alla Costituente; fra il 1951 e il 1952 si dimise da tutte le cariche. Ordinato sacerdote (1958), fondò la comunità monastica, la Piccola famiglia dell’Annunziata. Nel quarto giorno abbiamo incontrato la testimonianza di alcune persone che hanno fatto risplendere ciò che c’è di meglio nell’uomo: la gratuità, la condivisione fino all’ultimo, la cura, la compassione, la prossimità, la difesa dei deboli, la consegna di sé. Sono mamme e papà, sono preti come don Ubaldo Marchioni, a Casaglia e don Giovanni Fornasini, parroco a Sperticano, nato nel 1915 e ucciso a 29 anni. Il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, che in quegli stessi giorni languiva in carcere a Tegel, aveva scritto di Gesù che la sua vita, la vita del Figlio di Dio era un esserci-per-gli altri e che solo una vita così può diventare ciò che contrasta la morte. Una vita non spesa per sé stessi, non preoccupata a proteggersi e a preservarsi ma a spendersi, è una vita caratterizzata da due atteggiamenti: quello della resistenza e della resa. Nel quinto giorno siamo partiti dalla vicenda di Francesco Pirini, un uomo che oggi ha 89 anni e racconta alle tante persone che salgono a Monte
Sole, soprattutto ai giovani, i fatti di quei giorni perché dalla memoria sgorghi l’impegno di costruire un’Europa e un mondo migliore. In un’intervista che ha rilasciato qualche anno fa, gli è stato chiesto se è possibile raccontare senza odiare ed egli ha risposto così: Sì! Non è facile ma si può fare. Per me non è stato né facile né automatico...Al termine (di un’intervista) mi chiedono: “Francesco, se ti trovassi di fronte ad Albert Meyer che cosa gli diresti?”. Io volevo riparare quello che avevo detto l’altra volta, durante l’assemblea pubblica, e risposi loro: “Penso che lo perdonerei”. I giornalisti sono rimasti di sasso perché non si aspettavano questa risposta. E insistono: “Ti ripeto la domanda: se tu ti trovassi di fronte a Meyer che cosa faresti?”. “Ti ripeto che lo perdonerei”. Il male e la violenza tolgono il futuro. Il perdono lo offre a chi lo ha tolto: è dunque un atto creativo, come quello di Dio. Nel sesto giorno abbiamo pensato alla testimonianza che siamo chiamati a dare: costruttori di pace e di una chiesa che è casa e scuola di comunione (Giovanni Paolo II) ed è casa di misericordia (Francesco). L’abbiamo fatto con la testimonianza di altri due sacerdoti morti insieme ad un gruppo di uomini nella Botte della filanda: don Elia Comini, salesiano e padre Martino Capelli, originario di Nembro (Bg) e religioso dell’istituto del Sacro Cuore di Gesù (padri dehoniani).
Io non so come, la notte è lunga e il tempo un mostro, ma so che verrà l’alba e la vita degna sarà in ogni uomo, e la terra non tremerà più e la stella di Betlemme ricorderà per sempre che Cristo è Veramente nato per tutti gli uomini. Io non so come, la guerra è sulla terra e il male sconvolge la Creazione, ma so che verrà l’alba e ogni uomo avrà il suo pane e ogni uomo sulla spiaggia riconoscerà Cristo che mangia pesce e parla con lui. Io non so come, anche quest’anno è stato orrendo di massacri e di morti, ma so che verrà l’alba eterna, la luce che attende ogni creatura, fatta a immagine di Dio, canto dell’universo. Io non so come, la notte è lunga e il tempo un mostro, ma so che verrà l’alba. Elio Fiore
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La scelta dellaTitolo cremazione Titolo Titolo e la distanza con la morte Arriva il giorno dei morti e si torna a parlare di un tema che ha a che fare con quella particolare giornata: la cremazione. Le cifre documentano molti «sorpassi» del numero delle cremazioni rispetto alle sepolture tradizionali. Nelle grandi città soprattutto, ma non solo. La Chiesa che, già con Paolo VI nel 1963, aveva permesso la cremazione, è tornata a parlarne nei giorni scorsi. Il documento, «Ad resurgendum cum Christo», conferma che la Chiesa «non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi». Ma sono importanti le precisazioni. Intanto «la Chiesa continua a preferire la sepoltura dei corpi poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti». Non solo, ma le ceneri del defunto devono essere conservate in un luogo sacro, cioè nei cimiteri. In particolare, poi, «la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita», salvo casi eccezionali. Le ceneri in nessun caso «possono essere divise tra i vari nuclei familiari». Le precisazioni del documento si spiegano con i motivi, alcuni chiaramente ambigui, che hanno fatto esplodere il fenomeno cremazione. Anzitutto, non bisogna nascondersi dietro un dito: è evidente che trai motivi c’è quello economico. Non è elegante parlarne, ma c’è. Morire costa, come si sa. Non solo il funerale e quello che gli La Lettera
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va dietro, ma anche dopo, il mantenimento della tomba, il decoro da conservare, i fiori, le luci e così via. Il che significa, in altri termini, che non si è molto disposti a pagare il proprio tributo economico alla morte. Il che significa anche che la morte non ci interessa molto. Questo, per la verità, lo sapevamo già, ma la difficoltà a spenderei sopra qualcosa, lo conferma. I motivi, però, che preoccupano di più sono quelli culturali che vengono fuori soprattutto dalla inquietante tendenza a conservare in casa le ceneri dei defunti. Qualcuno ha parlato, a questo proposito, di affetto verso i morti: li teniamo a casa. Ma che cosa teniamo a casa? Una manciata di cenere. Manca quell’atto di semplicissima onestà che è il prendere atto che chi è morto «se ne è andato». La distanza fisica fra il cimitero e la casa è anch’essa un momento di quella presa d’atto: vivi e morti sono lontani, non perché lo vogliono, ma perché lo sono, e immaginare di essere vicini è illudersi. Qualcuno ha parlato, anche a proposito di questi strani atteggiamenti, di «crisi delle differenze», quando le differenze che fondano la cultura si affievoliscono e spariscono. La più importante di queste differenze è quella tra la morte e la vita. Non a caso una delle grandi paure in tutte le culture sono i morti che «ritornano». I morti
[Alberto Carrara]
diventano come vivi e i vivi temono di diventare come morti e sono presi dal panico. Oltretutto questa strana moda mette in discussione anche ciò che vorrebbe conservare: il ricordo dei defunti. Quando coloro che coltivano gli affetti oggi non ci saranno più, che cosa avverrà di quelle ceneri? Siccome non si tratta delle ceneri della sigaretta e neanche di quelle del focolare, la domanda ha un senso. I nipoti, i pronipoti si ricorderanno di quell’angolo di casa dove si trovano i resti dei loro antenati? Difficile. Più facile, invece, che il ricordo troppo «ravvicinato» finisca con chi l’ha voluto coltivare. Per la verità è sempre successo. Tutti i cimiteri hanno tombe abbandonate: nate per coltivare il ricordo finiscono per denunciare la dimenticanza. Masi trovano nel cimitero che è comunque luogo della memoria e anche le tombe senza fiori non mancano, soprattutto in questi giorni, di qualche sguardo e di qualche ricordo. Al cimitero si è ricordati anche quando si è dimenticati. Adesso si capisce che ha senso parlare di una morte banalizzata. Non la si guarda in faccia quando c’è e, quando non c’è più, la si dimentica. Resta la Chiesa a ricordare «certe cose». Ma ci sono molte ragioni per temere che, anche stavolta, finirà per predicare nel vuoto.
[don Giacomo Panfilo]
La carezza di Cristo
“Sono solo una piccola matita nelle mani di Dio” Madre Teresa. E una matita giunge a tutti i partecipanti della festa della terza età, organizzata dai gruppi caritas delle Parrocchie e dall’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune, Domenica 9 ottobre. Nella celebrazione alcune persone hanno ricevuto l’unzione dei malati, sulla quale apriamo la riflessione che segue, per fare un po’ di luce su un sacramento ancora “temuto”. Ho saputo che sua moglie è malata. Coraggio! Uno di questi giorni verrò a trovarvi. Grazie, signor Parroco. Ma forse è meglio di no. Una sua visita potrebbe farle venire dei sospetti. Potrebbe pensare che venga per l’”olio santo” e che quindi per lei sia vicina la morte. Ma cosa dice? Lei per caso evita di chiamare il medico perché sua moglie potrebbe pensare che venga per scriverle il certificato di morte? No, ma il prete dagli ammalati viene specialmente per prepararli alla morte. Ci mancherebbe… Il prete è innanzi tutto un evangelizzatore, cioè un portatore di buone notizie. Ma quale buona notizia, reverendo, in un caso disperato come questo? Che il Signore è vicino con il suo conforto… Le pare poco? Quando sua moglie sta male e voi suoi cari non potete far niente, non è già una gran cosa per lei l’abbracciarla o il dirle: sono qui io? È vero! A volte basta una carezza per rasserenarla. Ecco, non ha mai pensato che l’imposizione delle mani del sacerdote accompagnata dall’unzione con l’olio è la carezza di Gesù stesso per consolare, incoraggiare e curare? Il fatto è che non abbiamo abbastanza fede… Ci aiuti, signor Parroco. Son qui per questo. Per questo le dicevo che voglio venire a trovarvi. S. Giacomo nella sua Lettera dice proprio questo: “Qualcuno fra voi è malato? Chiami i sacerdoti della Chiesa e preghino su di lui, lo ungano con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato”. Ma perché questo Sacramento così bello dell’amore premuroso del Signore per chi soffre è
così temuto dalla gente, anche dai praticanti? Per diverse circostanze storiche che le risparmio, l’Unzione era stata man mano relegata al termine della vita come “estremo conforto religioso”, l’Estrema Unzione appunto, e, al di là delle intenzioni della Chiesa, diventava un vero e proprio annuncio di morte. Era quindi naturale che gente anche praticante ne avesse paura e la ritardasse a quando il malato a volte… era già morto. Io non m’intendo molto di queste cose, ma probabilmente anche qui è questione di informazione… Dica piuttosto di catechesi. Gesù diceva: “Curate i malati e dite loro: È vicino a voi il regno di Dio”. Occorre dire al malato che il Signore si fa vicino anche a lui per aiutarlo a vivere quello che sta vivendo come Dio vuole, “in piedi”, con la certezza che per chi ama Dio tutto, anche il tempo della malattia, concorre alla realizzazione personale. Il sacramento, normalmente, non si può improvvisare: dovrebbe essere una tappa forte di un cammino di fede, che dovrebbe partire da lontano. Peccato che anche voi preti siate sempre meno numerosi e che quindi veniate molto meno a trovare i malati. Ma questa carità dell’accompagnamento spirituale può esser fatta anche dai laici: amici e famigliari, e, a volte, se si eccettua la confessione, può essere anche più incisiva di quella dei preti. Me lo lasci dire: quando l’annuncio di fede e le proposte di spiritualità riguardanti la malattia in una comunità e in una famiglia sono una costante, al momento giusto non possono non dare il loro frutto: il desiderio dei sacramenti della fede per incontrare il Signore che consola e dà la sua forza. Perciò questo sacramento che, per le ragioni che ha detto, ha sempre fatto un po’ paura, potrebbe essere addirittura desiderato!…. La Lettera dicembre ‘16
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Mi presento Poteva mancare una chiesa dedicata a San Giuseppe, patrono della chiesa universale e dei papà? Eccomi qui: sono la chiesa di Precornelli. In verità negli antichi documenti sono citata già dal 1680 con questa espressione: “Oratorium Sancti Ioseph nuncupatus sub titulo Nativitatis Beatae Mariae Virginis”. Oratorio (così venivano chiamate allora le chiese minori) detto di San Giuseppe sotto il titolo della Natività della Beata Maria Vergine. Quindi qui troviamo Maria e Giuseppe. Infatti, nelle tre belle tele del presbi-
Disegno di Damiano Nembrini
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[Chiesa di Precornelli]
terio, opera di Francesco Daggiù detto il Cappella (1711-1784) sono raffigurati alcuni momenti significativi della Sacra Famiglia: lo sposalizio di Maria e Giuseppe, la nascita del Bambino e la morte di San Giuseppe. Le linee che trovi al mio interno sono semplici e pulite e slanciano la cupolina sopra l’altare e quella più grande sulla navata. La statua di San Giuseppe – che viene portata in processione quando il 19 marzo cade di Domenica- è racchiusa in una nicchia, mentre, racchiuso in una cornice di gesso, si trova un affresco di Maria col Bambino, realizzato da Agostino Manini nel 1975. Sullo sfondo il pittore ha voluto immor-
Titolo Titolo Titolo
talare anche me, insieme alle case della contrada di Precornelli. Quando entri non passa inosservata una data scolpita nell’arenaria del portale: 1699. Non ti tragga in inganno: non è l’anno della mia nascita –sono un po’ più vecchia- ma quella di un allargamento che venne deciso, formando così la facciata come la vedi adesso: due ordini di lesene doriche, il cornicione, la finestra centrale e il timpano con la croce. Accanto a me si alza il campanile dalla cui cella arrivano
i rintocchi che raggiungono le case della frazione. Attraverso di me anche la buona notizia del Vangelo arriva a coloro che qui si raccolgono per la celebrazione e per la prima tappa del giro delle sette chiese. Sì, la prima sono io e ne sono contenta. Ma sono contenta soprattutto di vedere come le persone che vivono intorno mi vogliono sempre bella e mi circondano di tante attenzioni. Pensa che ultimamente hanno sistemato il campanile, rivisitate le colonne e fatto dipingere una
croce su tavola collocata sopra la mensa, così, anche se qui si celebra la festa di San Giuseppe, non ci si dimentica mai che al centro della fede c’è il Signore che in Gesù ha dato la vita per noi. Ma a proposito di San Giuseppe: ve la ricordate ancora la preghiera che arriva da lontano? Comincia così: A te o Beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio insieme a quello della tua santissima sposa…
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In alto Siamo saliti in alto, a Collepedrino, per scendere in profondità, nel cuore del Signore. Ci ha aiutato don Alex Carlessi, Curato di Curno e Segretario del Vicariato che ha presieduto la concelebrazione. Verso la fine della messa, anche il cielo si è “lasciato andare” alla predicazione del sacerdote e la pioggia scrosciante non ci ha
[Festa a Collepedrino]
permesso di uscire con la statua del Sacro Cuore (anche se poco dopo è tornato il sole). Ma il nostro percorso spirituale l’abbiamo fatto pregando, ascoltando la Parola e la riflessione di don Alex il quale, partendo dalla pagina “imbarazzante” del Vangelo con l’amministratore disonesto, ci ha aiutato a comprenderne il
Parole di… Maria Mons. Ubaldo Nava, dopo averci ricordato nel triduo di preparazione le “parole” del messaggio della Salette – preghiera, sacrificio, disponibilità- ha celebrato la festa seguita dalla processione. Nella riflessione ci ha affidato due espressioni di Maria: -“Fate quello che vi dirà” (lo dice la Madonna ai servi alle nozze di Cana) -“Grandi cose ha fatti in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome” (lo dice Maria nel canto del Magnificat, nella casa di Elisabetta e Zaccaria). La Lettera
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Queste due consegne ci ricordano che la vita deve scorrere nel solco della volontà di Dio, anche quando non è immediatamente facile o scontato, perché anche attraverso di noi si magnifichi la grandezza del Padre. Alcune nubi minacciose scendevano da Collepedrino, ma siamo riusciti a fare la processione con il simulacro di Maria e dei due ragazzi, Massimino e Melania. La festa è continua-
messaggio: i beni condivisi con i poveri creano un’amicizia che dura per l’eternità e già qui costruiscono rapporti di fraternità. Qui si tocca il “punto debole” di Dio, il cuore stesso che fa aprire le porte. Allora, nessun piangersi addosso all’insegna del “poverino”…ma un saper cogliere le occasioni che la vita sempre ci presenta per crescere nella fraternità. La preghiera del Giubileo e la benedizione hanno chiuso la nostra celebrazione, mentre la Banda cominciava a diffondere una musica di festa. Vedremo se l’anno prossimo riusciremo a portare in processione la statua della Madonna.
[Madonna della Salette]
ta nella tensostruttura con i volontari dalle magliette arancio, gli innumerevoli giri di ruota, la tombola e gli applausi. In una delle serate c’è stato spazio anche per la solidarietà con le popolazioni terremotate.
2 Ottobre
[Festa della Madonna del Rosario]
La prima Domenica di ottobre è, nella tradizione parrocchiale, la Festa della Madonna del Rosario, dove festeggiamo anche gli anniversari. Abbiamo così ricordato il 40° di sacerdozio di Mons. Patrizio Rota Scalabrini, il 25° di don Giuseppe, don Giampaolo e don Roberto e il 60° di professione religiosa di Suor Celinia Mazzoleni. E’ stata una bella festa, molto partecipata nella celebrazione e nel momento conviviale, con tante sorprese, accolti e raccolti nella Misericordia (come anche le riproduzioni di otto opere della Madonna della Misericordia accanto ai piviali esposti lungo la chiesa ci hanno ricordato). Don Patrizio ha proposto la riflessione che riportiamo nella quasi interezza, con il grazie a lui e a tutti coloro che hanno pensato a tutto. E grazie dei doni. Sono felice di celebrare il mio quarantesimo di sacerdozio, ma soprattutto di celebrare il venticinquesimo del vostro parroco don Giuseppe e di don Giampaolo: sono stati miei ragazzi in Seminario, poi miei alunni… Vediamo don Daniele (Rota) e ci ricordiamo di quando erano ragazzi. Belle classi, vivaci eh! E poi don Paolo, veramente grazie di cuore. Detto questo, ringrazio il Signore per il dono del sacerdozio. Voglio lasciarmi guidare dalla Parola partendo dalla prima lettura. Quello di Abacùc è uno dei testi fondamentali anche della riforma. I fratelli evangelici quando festeggiano la riforma utilizzano questo testo. Cerchiamo di cogliere cosa ci viene proposto. Abacùc vive in un momento difficile. Immaginate di essere adesso ad Aleppo in quella città che è bombardata da tutte le parti, nell’orrore di quei giorni. Lui sta vivendo l’orrore. La città è in fiamme, è stata conquistata, il tempio è distrutto e la gente viene deportata. Fino a quando durerà un dolore simile? Fino a quando dovrà sopportare un orrore così? Fino a quando Signore
implorerò? Comincia così. Poi in un versetto centrale scrive “Mi sono messo nel posto di osservazione come sentinella, per scrutare”. E’ proprio il verbo di chi, non avendo il binocolo, stava nei punti alti per vedere se si muoveva qualche cosa all’orizzonte. E in questo caso per vedere se il Signore viene. Viene a liberare e salvare. E la parola che riceve è bellissima: “Scrivi!”. Perché scrivi? Perché le cose che sono scritte rimangono, non sono solo parole. Scrivi in modo che si legga bene. Scrivila bene con caratteri chiari. Perché a questo tempo ci sarà una scadenza. Questo è il tempo dell’attesa e noi credenti dobbiamo veramente saper attendere e sapere guardare lontano. Perchè anche nelle circostanze difficili, negli anni difficili, in cui magari ci troviamo a vivere per ragione familiari, sociali ed altro ancora, il Signore comunque non ci lascia soli e viene. Bisogna diventare degli scrutatori dell’orizzonte.
Però non come nel bellissimo, ma tragico libro del Deserto dei Tartari dove il Tenente Drogo e gli altri scrutavano l’orizzonte per vedere se mai qualche cosa succedeva e se i Tartari arrivavano, ma non arrivavano mai. No, Lui arriva, Lui viene. Il giusto vivrà per la fede. Questa parola è per tutti noi. A me piace immaginare tante sentinelle, dove ognuno di
noi è posto nel luogo di osservazione. Quale è il compito di noi ministri della Chiesa? Mi sembra di quelli che passano da un posto di osservazione all’altro a dire alle persone “Non lasciarti prendere dal sonno, dallo scoraggiamento, ma continua ad attendere”. Cioè il servizio nostro, il servizio del ministero che c’è stato dato è sostenere la vostra fede, è la vostra fede la cosa preziosa. A noi La Lettera dicembre ‘16
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è chiesto di sostenerla e di aiutarvi a rimanere svegli e scrutare l’orizzonte, perché il Giusto vivrà per la fede. E adesso vorrei venire al Vangelo. Avete visto quella Parola? Gli apostoli dissero al Signore: “Aumenta la nostra fede!”. Perché glielo hanno chiesto? Perché la parola di Dio ce lo dice. Se voi leggete i versetti immediatamente precedenti, trovate che stanno parlando del perdono. E Pietro ad un certo punto la spara grossa e dice: “Signore, dovrò perdonare fino a sette volte? Mi chiedi tanto.” E Gesù risponde: “No, Pietro, non sette, ma io ti dico fino a settanta volte sette”. E allora i discepoli dicono: “Aumenta la nostra fede”. Che cosa sta dietro a questo? Bisogna credere che Dio è capace di cambiare le situazioni. Che il suo amore è capace di lavorare nel nostro cuore. Altrimenti la rassegnazione ci prende. E uno dice: “Ti perdono uno, due, tre… poi basta!”. Ma il perdono non è far finta che non è successo niente.
ogni giorno anche questo. Nelle comunità… bisogna crederci! Nei rapporti tra i popoli. E se non ci si crede cosa facciamo? Noi stiamo vivendo giorni difficili, ma anche facili. Perché se non siamo disattenti ci sono anche notizie incredibili. Dopo più di cinquant’anni di guerra nel governo di Colombia, con eccidi da entrambe le parti, perché nelle guerre saltano fuori le cose peggiori di tutti, hanno fatto un trattato di pace. Hanno lavorato per anni, molto anche la Comunità di Sant’Egidio. Sono giunti a dire questo, a firmare un trattato e a chiedere scusa per tutto il dolore che recato in questa guerra... Ma vi rendete conto che novità di vita? Noi delle cose nuove le vediamo. Dobbiamo saperle vedere e continuare a credere “Signore aumenta la nostra fede!”. E qui di nuovo io credo che sia bello… Qual è il servizio dei ministri della Chiesa? Sto pensando proprio a te, Don Giuseppe proprio come parroco. Don Giampaolo è stato parroco. Vi dico che
di credere l’uno nell’altro, di superarsi nei propri limiti, perché lavorando insieme si vedano anche i diritti di ognuno e continuare davvero a credere, a sperare: “aumenta la nostra fede”. E poi c’è una parola bellissima, che a voi sembrerebbe molto dura. Chi di voi tornando a casa dal lavoro dice al proprio servo “Siediti che ti servo io!” in realtà il Vangelo dice agli altri che passa Lui a servirci. Il messaggio che Luca ci dà è chiaro: tu non pretendere nulla, ti metti a servire il tuo padrone, quando avrai finito di servirlo ti potrai sedere. Che cosa vuol dire questo? Il nostro servizio al Signore è nel posto dove il Signore ci ha chiamati a servire. Perché ognuno di noi è chiamato a servire, il nostro servizio deve essere totale. Non parziale. Non con le parcelle, non tiepido. E in questo senso uso la parola “pieno”, “appassionato”. Per altro la parola “servo” che ho utilizzato è proprio “diacono”. Il diacono è colui che liberamente si mette a servizio, cioè investe le sue energie,
Il perdono vuol dire io credo che possiamo ricominciare, io credo che ci può essere qualcosa di nuovo, io credo che oltre i nostri limiti ci sia qualcosa di bello che ci attende. Pensate cosa vuol dire nelle famiglie riprendere
il giorno in cui è venuto via dalla sua parrocchia, sembrava il giorno della Vergine lacrimosa! Gli rinnovo anche quelle lacrime! A parte questo… Qual è il servizio se non proprio questo: di vedere le comunità insieme, capaci
ha passione. E Dite: “Siamo servi inutili”. E non è semplicemente quella battuta che tutti diciamo, ma che a volte non ci crediamo, “Tutti utili, ma nessuno necessario”. Non è solo questo. Vuol dire che siamo semplicemente servi.
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Credetemi: questa è una parola che in certi momenti della vita mi ha dato molta consolazione, perché se sono solo servo e non padrone dell’azienda che è sua, sono libero dai miei sensi di fallimento, di frustrazione quando le cose non vanno come dovrebbero, quando le mie capacità e quelle altrui compromettono a volte i risultati. Quando tutto questo scoramento che ti può prendere, sei libero! Perché il gregge è tuo, io sono solo al servizio del tuo gregge. E la stessa cosa anche di fronte ai nostri deliri di potenza e da sensi di fallimento. Tutti siamo chiamati al servizio, a questo stile di servizio, la vita ha senso se si serve, ma non per ritenersi necessari, ma per capire che è bello servire. Servire con amore, con gioia, dando il meglio di sé con quello che si può. Poi il padrone, Lui sa dove condurre tutto, anche i nostri fallimenti e i nostri insuccessi. Siamo soltanto servi, ed è bello. Un augurio a tutti voi che possiate scoprire la bellezza ogni giorno del vostro servire. In famiglia, nella comunità civile, nella comunità di fede, laddove il Signore vi chiede, nel posto di lavoro... E infine c’è una parola proprio per noi preti, questa volta è la Seconda Lettura perché rivolta a quelli che hanno ricevuto l’imposizione delle mani. Paolo sta scrivendo a Timoteo e gli dice: “Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te mediante l’imposizione delle mani. E allora mi ricordo quando eravamo bambini e ci trovavamo
vicino al fuoco, dove si raccontavano le storie di paura… poi c’erano le famose “börole” sospirate che erano la consolazione. Ma cosa è il fuoco? Cosa vuol dire ravvivarlo? Quando la cenere comincia a diventare abbondante, sotto c’è ancora la brace. Bisogna pulire la cenere, soffiarci sopra e aggiungere un po’ di legna e tutto si ravviva. Questo è molto bello, il fuoco non è nostro, è Suo. A noi il Signore chiede di soffiare sopra quelle braci perché riparta il fuoco e metterci la nostra vita. “Vi prego di ravvivare” quindi è un compito nostro ravvivare il nostro ministero. E’ compito delle comunità pregare per i vostri sacerdoti e pregare intensamente e profondamente per i vostri sacerdoti e per tutti quelli che sono al vostro servizio perché il Signore ravvivi il fuoco che ha posto in loro. Ravviva il fuoco! Perché vi è stato dato non uno spirito di timidezza, ma di forza e la forza, guardate, non è quella di un palestrato, perché la forza di cui parla Paolo è la capacità di soffrire per la causa del Vangelo. Perché servire a volte può creare anche fatica, a volte dolore, incomprensioni per tante cose. Ma ti è stato dato uno spirito di forza! Quindi
io prego per me, ma voi pregate per me, ma soprattutto preghiamo oggi per i vostri sacerdoti che sono a vostro servizio, così direttamente in particolare per don Giuseppe, don Giampaolo e don Roberto proprio perchè il Signore li aiuti a ravvivare il fuoco. Non di amare la sofferenza, ma di soffrire per la causa del Vangelo. E poi di carità. Perché non deve essere semplicemente forza, ma deve essere accompagnata da questa carità profonda. E da questa parola che sembra così prudenza. Sapete che nella tradizione pagana la prudenza è la prima delle virtù, la regina delle virtù, perché è quella che fa concorrere tutte le cose giuste. Perché poi tutto vada bene, creando unità. Io chiedo proprio per voi il dono di questa prudenza che non è paura del muoversi, tutt’altro, ma questa capacità di tessere la totalità. Peraltro questa mattina, sentendo le parole di Papa Francesco che ha fatto una predica meravigliosa, concludeva con l’immagine di un tappeto pregiato e dicendo: “I tappeti sono fatti di tanti fili colorati. Ogni filo però da solo non vale nulla, ma messi tutti insieme, in quella trama, sono un tappeto bellissimo”. Ecco quindi, qual è il compito dei sacerdoti di una comunità: Aiutare tutti i fili a concorrere formando questa trama. Questa è comunione, questa è comunità. La Lettera dicembre ‘16
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Festa Comunità 2016 Titolo di Titolo Titolo Titolo Qualcuno ha voluto dare anche il nome, identificandole con alcune signore del paese (di cui qui non possiamo dire), ma loro sono semplicemente tre Nanas, figure dell’artista francese Niki de Saint Phalle prese a prestito per i cartelli dell’ottava Festa di Comunità. I loro colori, la robustezza condita di eleganza e anche leggerezza, ci affidano una pluralità e una gioia di vivere che si realizzano nella festa. Questa edizione ha superato tutti i precedenti record e per questo il grazie è ancora più sentito per coloro che hanno seguito l’organizzazione, lo svolgimento e la sistemazione. Un grazie anche alle Ditte e ai singoli che hanno fatto da sponsor. Come sempre questi giorni sono stati i primi della ripresa di tutto il cammino pastorale che abbiamo significato così: Ci guida la CURA per fare Comunità, ritrovandoci nella Festa. Ci guida la consapevolezza che una Comunità sicura è quella in cui ci SI-CURA gli uni degli altri... condividendo il cammino e scoprendo che il Padre ASSI-CURA la sua presenza: Misericordia accolta, Grazia donata.
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Titolo Titolo Titolo La scalinata. La statua degli Oscar. La scenografia dai colori nero e oro. La macchina da presa e… CIAK – SI SFILA. Come d’incanto siamo stati tuffati nella magica atmosfera di alcuni brani delle colonne sonore, interpretati con abiti e coreografie impeccabili da giovani e meno giovani. Così, facendo eco al mosaico dello stemma del comune di Palazzago con spade incrociate, hanno fatto ingresso le spade delle ballerine di Star Wars, accogliendo poi la principessa Leila, Dark Fener e Chewbecca. Ma chi si agita tra la folla accorsa per lo spettacolo? Rocky, con tanto di guantoni rossi, pronto alla sfida con Apollo che sarà messo a tappeto. E i pugni non sembrano finti… Musica e dialogo soffuso mentre due giovani salgono sulla prua di una nave. Rose allarga le braccia sostenuta nel volo da Jack: è proprio Titanic. Dalle onde al turbine di Via col vento: un bacio appassionato che, anche se nascosto dal grande cappello di Rossella O’Hara fa scrosciare un caloroso applauso. Ma ecco che una musica celestiale ci presenta sorelle bianco vestite. No, non tutte, una è nera, di pelle e di vestito e agitando mani e piedi porta le consorelle in un ballo travolgente. Sì, è Sister Act. E chi è quell’ometto con piedi all’infuori, cappello e bastoncino? Charlie Chaplin che si propone in acrobatiche prodezze.
Ciak, si sfila
Così anche uno stuolo di ragazzine e bambine tutt’intorno a Mary Poppins, dall’inconfondibile cappello e borsa, e allo spazzacamino. D’improvviso il clima si fa più greve mentre dall’antica Roma arriva il gladiatore: corazze e armi pronte al combattimento. Poi cala il gelo di Frozen e mentre la danza travolge Elsa e Anna, Olaf si muove con la sua inconfondibile carota a mo’ di naso. Potevano mancare i fratelli? Eccoli, i Blues Brothers, al microfono, circondati da suonatori di sax. Mamma Mia che sfilata! Ed è proprio questa a chiudere la kermesse, fino a coinvolgere tutti con il ballo finale. Grazie: agli adolescenti, ai giovani e ai meno giovani che hanno interpretato i protagonisti dei film, grazie a Marinella, Nicoletta, Danila, Sonia, Alida, Roberta, Omar e Marco, Federica, Piombino, Nicola, Alberto, Ivano e Chicco.
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Pillole Bellissima Domenica vissuta insieme con la celebrazione, il pranzo fraterno di 150 ragazzi, il pomeriggio con gioghi, laboratori e incontro genitori. La formula del lavoro a gruppi ha permesso uno scambio interessante, trovando anche la disponibilità di alcuni genitori a dare una mano nei gruppi di pulizie, in quello baristi e nelle attività da proporre. La proposta a tutti è di non mancare ai gruppi nelle case. Al termine tutti dai fanti per le buonissime caldarroste, per non parlare della trippa nelle due serate.
“Mamma, io vado a catechismo: perché tu e il papà non ci andate?” Con questa espressione abbiamo proposto lo schema per il nuovo percorso dei gruppi nelle case: giorni diversi per dare a tutti la possibilità di partecipare, in otto case e un salone (a Burligo) per coprire tutto il territorio. Grazie agli animatori per la preparazione e la guida; grazie alle case che ospitano e a chi desidera ritagliarsi alcuni momenti di riflessione, confronto e preghiera “nella gioia del Vangelo”. La Lettera
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Per il terzo anno i catechisti del Vicariato hanno partecipato all’iniziativa dei corsi di formazione che prevedono ciclicamente un passaggio nella conoscenza di diversi ambiti: la Scrittura, la Teologia fondamentale, la Spiritualità, la morale, l’arte… Molte le presenze nelle quattro serate all’Oratorio di Brembate, guidate da relatori competenti e appassionati. Grazie alla Commissione Vicariale che ha organizzato e seguito tutto l’iter. “Ho un adolescente in casa”: non è la frase sconsolata della mamma verso il papà in alcune nostre case, ma il titolo dell’itinerario per i genitori dei ragazzi di terza media e degli adolescenti proposto alle Parrocchie della zona pastorale, guidati dall’AEPER.
Giornata del Seminario con i seminaristi. Sì, perché da un po’ di tempo, visto il calo numerico, sono presenti soltanto ogni due anni. Così abbiamo conosciuto e ascoltato Paolo, Roberto e Salvatore che hanno condiviso alcuni momenti delle nostre Comunità: la celebrazione eucaristica, la catechesi, la serata in Oratorio e i giochi organizzati nell’ambito di Associazionando. Anche le Associazioni del territorio li hanno ascoltati nella messa delle 10.30. 10.10.10: Tre 10 per una serata bellissima: 10 le edizioni de “La Musica di Dio” proposta nel giorno di Ognissanti dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Palazzago; 10 gli anni dell’Orchestra MusicAlmenno che ci ha condotti in un percorso musicale di grande efficacia, spaziando da Handel a Morricone, da N. Rota a Cohen; 10 e lode per l’insieme e il messaggio. Nel cuore della serata, infatti, sono riecheggiate alcune parole di Padre Jacques Hamel, ucciso barbaramente da terroristi islamici nella chiesa di Saint Etienne in Normandia il 26 luglio 2016 tra le quali: “Possiamo ascoltare in questo tempo l’invito di Dio a prenderci cura di questo mondo, per renderlo, là dove viviamo, più caloroso, più umano, più fraterno”. Quando si muovono bisogna stare attenti perché sono travolgenti. Incontri a livello diocesano, ritiri, celebrazioni e colazioni solenni: sono le signore dell’Associazione Santa Francesca Romana capitanate dall’energica Antonietta. Così è successo anche nell’ultimo periodo e giovedì 28 ottobre, giorno del ricordo dei mariti defunti. Il dono di quest’anno è stato accompagnato da uno scritto di Madre Teresa di Calcutta: Bontà.
Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza essere migliore e più contento. Sìi l’espressione della bontà di Dio Bontà sul tuo volto e nei tuoi occhi, bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Ai bambini, ai poveri a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito offri sempre un sorriso gioioso Dai a loro non solo le tue cure ma anche il tuo cuore. La Lettera dicembre ‘16
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0 giugno 20 0 giugno 20 0 giugno 20 0 giugno 201 0 giugno 2017 iugno 2017 10 no 2017 10 giugno 20 0 giugno 20 0 giugno 20 0 giugno 20 Chiusura giubileo della Misericordia, solennità di Cristo Re, ultima Domenica dell’anno liturgico, festa di Santa Cecilia: sono i tanti motivi che ci hanno raccolto il 20 novembre, tra le note della Banda, il canto dei cori e dell’assemblea e la riflessione su quel re un po’ strano che è il nostro Dio. Il suo “potere” ha i confini di un albero, quello della croce, che diventa il trono di un amore sconfinato.
Furgoni e auto, sacchi e scatole di cartone, borse e braccia volenterose sono state le protagoniste del la raccolta di San Martino e dei viveri porta a porta. Sono stati raccolti diversi quintali di generi alimentari, un po’ meno rispetto allo scorso anno, ma non dobbiamo dimenticare che da non molto era stata fatta la raccolta per i terremotati. E’ sempre il movimento della carità che rende viva e vera una Comunità. Grazie a tutti coloro che hanno dato e raccolto, soprattutto ai ragazzi di terza media e giovani. Un po’ latitanti gli adolescenti: possibile che non si possa dedicare qualche ora per i poveri? 7 ottobre 2016, ore 17.54. Al telefono, una voce chiede: ”Sei ancora convinto per Giovanni Battista o andiamo con il Messia, visto il tempo che è passato? E una grande risata incrocia le sua con la mia voce. E’ Padre Rupnik che riconosce gli anni trascorsi da quando ci ha promesso un mosaico per il Battistero. Mi dice dei numerosissimi impegni in Italia e all’estero del suo Atelier. In verità avevamo già pubblicato sulla Lettera il bozzetto, quando sembrava ormai giunto il momento per noi, ma di feste patronali ne sono passate e l’opera non era ancora arrivata. Non ci siamo persi d’animo e, tra messaggini, telefonate o mail abbiamo tenuto viva l’attesa. Ora è arrivato il momento e anche noi avremo un’opera di Rupnik. La Lettera
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“Non abbassare la guardia” rispetto a tutte le dipendenze e in particolare a quella della droga è stato il caloroso appello di don Chino, fondatore delle Comunità Promozione Umana e di don Mario, all’interno degli appuntamenti proposti per iniziativa delle Pro loco di Barzana, Palazzago, Almenno S.B, dell’ Associazione Quasimodo e del Progetto Vita . Teatro, musica, testimonianze, celebrazione eucaristica e pranzo hanno scandito la due- giorni con una bella partecipazione. Riportiamo il numero di Pio per ogni richiesta legata a questi ambiti: 328 8015021.
Uno sguardo al Direttorio Liturgico Pastorale nei suoi 14 capitoli, ha caratterizzato il primo incontro della zona pastorale per lettori e addetti alla liturgia. Don Marco, monaco benedettino, ci ha fatto conoscere le linee di fondo, poiché il Direttorio non ha la pretesa di dire tutto, ma di fornire i criteri che orientano e determinano il cammino. Nel secondo incontro abbiamo approfondito il tema dei Ministeri, ben sapendo che è tutta la Chiesa che celebra nell’azione liturgica. Il relatore ci ha mostrato concretamente il passaggio dal messale plenario, in uso prima del Vaticano II, “smembrato” ora nel messale e nei diversi lezionari. I Ministeri, che si collocano tutti in una dimensione di servizio alla chiesa, possono essere così raggruppati: -ministri ordinati (Vescovi-Sacerdoti-Diaconi) -ministri istituiti (lettori, accoliti, straordinari della Comunione) -ministri di fatto (lettori, salmisti, cantori, chierichetti, decoro chiesa…) La pluralità dei ministeri (vd Rom 12) dà la vera solennità ad ogni liturgia, che non consiste nella bravura o nelle trovate dei singoli, ma nella partecipazione di tutti perché, come dice la Sacrosanctum Concilium non ci devono essere “ estranei o muti spettatori”.
017 10 giugno 2017 Casa di Comunità 017 10 giugno 2017 017 10 giugno 2017 17 10 giugno 2017 7 10 giugno 2017 10 giugno 2017 10 giu017 10 giugno 2017 017 10 giugno 2017 017 10 giugno 2017 017 10 giugno 2017 VORI STATO AVANZAMENTO LA cui 507.000 LIQUIDATI di 00 8.0 91 € LE TA TO O IMPEGN
100.000
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ANNUE DI € 70.620 TE RA .8 NR 60 4.9 56 € DI FINANZIAMENTO an no 20 16
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Chi segue normalmente le tappe della ristrutturazione della casa pubblicate ogni settimana sulla Lette…Rina e sul sito (qui anche con alcune foto) sa che i lavori procedono molto bene. Sono i mesi degli impianti, degli interni e dei pavimenti e anche delle scelte da fare adesso per essere pronti poi. Ma sa bene che anche i pagamenti procedono e le disponibilità economiche della Parrocchia si stanno prosciugando. Il nostro motto “Avanti, forza e coraggio” ci stimola, anche se non nascondiamo i timori. Le forme di aiuto sono le stesse, già indicate negli articoli precedenti: • Partecipare alle proposte comunitarie, anche a quelle che possono dare indirettamente un aiuto (feste, spettacoli…) • Contribuire regolarmente con l’obolo alle celebrazioni e con le due buste annuali (Natale e Patrono) • Con la busta promessa da alcune centinaia di famiglie nel questionario del 2009 (all’epoca era di € 150) • Con offerte liberali, deducibili, finalizzate ai beni culturali. Persone fisiche detrazio-
• •
ne imposta del 19% ; per persone giuridiche (Aziende…) interamente deducibile dal reddito d’impresa. • Con lasciti testamentari alla Parrocchia San Giovanni Battista in Palazzago, indicata chiaramente e NON semplicemente con un indistinto e ambiguo “alla chiesa” • Con il presti-gratis (deposito fiduciario senza interessi alla Parrocchia e restituito nei tempi decisi insieme, garante la Curia) • Con l’intraprendenza di chi non chiede per sé ma per un’opera comunitaria Con l’impegno e il volontariato per le realtà parrocchiali Con la preghiera alla Provvidenza che tutto può (ma che preferisce usare le vie ordinarie e discrete)
A queste aggiungiamo un’altra proposta. L’ingresso della casa a pianterreno -quello che apre sul salone e sulla cappella- ospiterà un mosaico, come si può intuire dall’immagine qui sotto: piastrelle in gres uniche, fatte a mano nel monastero di Bose e cotte con impressi fiori e foglie tipici del luogo, alternate ad altre, dove è possibile incidere i nomi degli offerenti. Ci pare un segno delicato, bello ed efficace allo stesso tempo che resta a significare il MOSAICO DEI GRAZIE. Questa è la frase che collocheremo al centro, da cui si allargheranno le piastrelle in una teoria di riconoscenza. Chi vuole ricordare una persona cara, oppure una famiglia o un gruppo… lo indichi con l’offerta (che per ragioni comprensibili dovrà essere di almeno quattro cifre). Le stiamo tentando tutte, può dire qualcuno. Sì: è il mio aiuto per fare casa…
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Battesimi
Battesimo Domenica 18 settembre ore 11.30 Diego Quarenghi di Giordano e Laura Corna, nato il 24 aprile 2016 Mattia Monti di Daniele e Paola Bonaldi, nato il 26 febbraio 2016 Gabriele Monti di Cristiano e Oxana, nato il 20 giugno 2016 Giorgia Boffetti di Andrea e Barbara Leidi, nata il 16 marzo 2016 Daniele Marchesi di Paolo e Angela Cisana, nato il 1 febbraio 2016
Diego
Gabriele
Mattia
Battesimo Domenica 25 settembre ore 10.30, Burligo Lisa Cefis di Luciano e Marta Mazzoleni, nata il 2 maggio 2016
Daniele
Giorgia
Battesimo Domenica 16 ottobre, ore 11.30 Burligo Penelope Gargantini di Sergio e Paola Rota Nodari, nata il 27 luglio 2016
Battesimo Domenica 20 novembre ore 11.30 Matilde Boaro di Manuele e Chiara Crippa, nata a Ponte S. Pietro il 1 luglio 2016
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Matrimonio
Marta Verzotto e Andrea Arrigoni, 7 ottobre 2016, Chiesa della Visitazione in Brocchione
Defunti GIUSEPPE ROTA (Bepino) di anni 89, deceduto il 20 ottobre 2016 e funerato il 22 ottobre. Ti abbiamo perso, ma resterai per sempre nel nostro cuore. Da Lassù proteggici e guida il nostro cammino. I tuoi cari PELLEGRINA TIRONI, di anni 77, deceduta il 21 ottobre 2016, funerata il 24 ottobre e sepolta in Albenza.
MARIA PANZA in PANZA di anni 65, deceduta il 22 ottobre 2016 e funerata il 25 ottobre. Vogliamo ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi. Vogliamo pensare che ancora ci ascolti, e come allora ci sorridi. I tuoi cari.
ETTORE DI PROFIO di anni 79, deceduto a Bergamo il 24 ottobre 2016, funerato e sepolto a Palazzago il 26 ottobre. La morte è solo il confine della vita, ma non la fine di un amore. I tuoi cari
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ROTA BIASETTI CAMILLO di anni 94, deceduto il 28 novembre 2016 e funerato il 30 novembre
ONORANZE FUNEBRI DELL’ISOLA s.r.l.
Resterai sempre nel cuore di quanti ti vollero bene. Valter Magri Luca Mangili I tuoi cari
24030 BREMBATE DI SOPRA (BG) - Via XXV Aprile 32 - Tel. 035.620916 - Fax 035.6220326 Cell. Valter 335 6923809 - Cell. Luca 335 6904124
Serviziodiurno, diurno, notturno notturno ee festivo festivo •• Trasporti tutta Servizio Trasporti in tutta inItalia Italia Vestizione salme • Disbrigo pratiche Addobbi funerari • Cremazioni
Anniversari Titolo Titolo Titolo CATERINA BENEDETTI in MAZZOLENI (4-12-1999 4-12-2016) Ad ognuno di noi hai lasciato un ricordo di te… a chi un sorriso, a chi la tua allegria, a chi la voglia di vivere, a chi la forza di volontà; ma a tutti hai lasciato la speranza che prima o poi ti rincontreremo.
PANZA CARLO (9-12-2014 – 9-12-2016) Ti pensiamo sempre perché nel pensiero c’è l’amore. Ti ricordiamo perché nel ricordo c’è la vita. I tuoi cari
CASTAGNETO EMANUELLA in MAZZOLENI (19-12-2013 – 19-12-2016) Un sorriso che manca ogni giorno… un’anima al nostro fianco in ogni momento. La tua famiglia
Ci manchi, i tuoi cari
ZONCA AMBROGIO (2008 – 2016)
TESTA SEBASTIANA vedova BIFERA (2013 – 2016)
Non un lontano ricordo, ma una presenza forte, affettuosa, prezioso riferimento e sostegno nella nostra quotidianità.
Il tuo dolce ricordo è racchiuso in noi e nel cuore di tutti coloro che ti hanno conosciuto e stimato. I tuoi cari
La tua famiglia
Il tempo passa ma il vostro ricordo vive sempre nei nostri cuori. Con affetto, i vostri cari
TESINI GIOVANNI (1990 – 2016)
CASTELLI SANTINA (2008 – 2016)
GALANTE ELIDE vedova TESINI (2012 – 2016)
BUTTA ELIA (2012 – 2016)
BUTTA CARLO (2012 – 2016)
Nel silenzio dei nostri cuori sentiamo viva la vostra presenza che ci sostiene e ci guida nel difficile cammino della vita. Vi vogliamo sempre tanto bene! I vostri cari
La Lettera dicembre ‘16
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