La lettera GIUGNO 2015
anno XXIX numero 2
Bollettino della parrocchia prepositurale di san Giovanni Battista in Palazzago
SORRISO DI PATRONO Un quadro in cui tutti sorridono. Sorride Maria, al centro della lunetta, tra i due bambini. Sorride Gesù, che si trastulla con un agnello quasi fosse il suo giocattolo preferito. Sorride Giovanni, mentre ci guarda con complicità. Che bello! E’ così difficile trovare volti che sorridono nei quadri (e forse anche nella vita)… Ma non il riso sguaiato e grossolano, non il riso sarcastico o canzonatorio, non il sogghigno perfido: semplicemente il sorriso. Allora, anche se la tela non è antica, anche se l’ignoto pittore d’inizio ‘900 non è tra i grandi, l’effetto c’è tutto. Gesù e Giovanni, in certo modo figli di un Dio che sorride (come già significava il nome Isacco, regalato ad Abramo e Sara in condizioni di sterilità e anzianità) ci aiutano a entrare nel mistero, non con musi lunghi o arrabbiati, ma con il sorriso di chi sa che la vita è certamente qualcosa di serio, ma da affrontare con il sorriso. Giovanni, normalmente raffigurato con il segno distintivo dell’agnello, l’ha come già affidato a Gesù; non solo, ma lo indica con il dito della sua mano, altro segno di riconoscimento del precursore. E’ Gesù l’Agnello che toglie il peccato del mondo. E’ Dio che in suo figlio ci sorride. Anche l’agnello, in questo quadro, sembra abbozzare un sorriso.
Indice
Orari Sante Messe periodo estivo
[03] Più si fa... [04] Lo scandalo dell’Amore [06] La Pietà [09] Il restauro dell’Addolorata [10] Trentatré [11] Cerchi... [12] Cosa devo fare? [15] Oggi devo fermarmi a casa tua [16] Rimanere, potare, portare frutto [17] Sorgente [18] L’anno della Misericordia [19] Naufraghi [21] San Giuseppe a Precornelli [22] 8 marzo a Comonte [23] Battezzare [26] Effetto Francesco [28] Dunque, è arrivato il momento... [30] 1945 - 25 aprile - 2015 [32] Artefede: Fontanella [34] Andare nel mondo con uno stile di pace [36] Tutti a tavola! CreGrest 2015 [38] CruciPalio [40] Je suis Palazzago [41] Consiglio Affari Economici [42] Pillole [44] Anagrafe [47] Festa del Patrono
Sabato
ore 18.00 Beita ore 19.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica
ore 08.00 Montebello ore 09.00 Beita ore 10.30 Chiesa Parrocchiale ore 18.00 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00
Brocchione (cappella) Precornelli Beita Cimitero Ca’ Rosso
Recapiti Don Giuseppe 035.550336-347.1133405 Don Lorenzo 035.540059-339.4581382 Don Giampaolo 338.1107970 Oratorio e Sagrestia 035.551005
www.oratoriopalazzago.it parrocchia@oratoriopalazzago.it segreteria@oratoriopalazzago.it palazzago@diocesibg.it
Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 108) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,... La Lettera
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Più si fa...
[Editoriale]
Guardavo il quadrante dell’orologio del campanile con le lancette ferme sulle 8.41: il momento in cui, dopo il canto del Gloria nella messa in Coena Domini del Giovedì Santo, si sono “legate” le campane. Quindi erano le 20.41. Per alcuni giorni sono rimaste così, quasi che il tempo si fosse fermato per dare la possibilità di vivere intensamente i giorni santi. Poi, ripartite al Gloria della Veglia Pasquale, verso le 22.30 del Sabato, hanno ripreso normalmente, recuperando velocemente
la sintonia con l’orario. In alcuni giri le lancette hanno “compresso” il tempo. Pensavo: è quello che succede nella settimana santa, dove c’è un concentrato: celebrazioni, preghiera, silenzio, emozioni, segni, perdoni, cammini… A volte mi chiedo se non sarebbe meglio “diluire” un po’
questa “abbuffata” per dare più spazio e tempo di partecipare… ma mi dò anche la risposta: forse non ci sarebbe tutto questo fermento, perché, come diceva il Cardinal Confalonieri citando Papa Pio XI ( quando ne era segretario) ”se devi chiedere qualcosa a qualcuno, chiedilo a chi ha già tanto da fare (perché significa che ne è capace e veloce)”. E’ proprio così: meno si fa e meno si farebbe. E più si fa… Allora sta bene come è, anche se si arriva sfiniti. Ma contenti.
Chiesa di S. Filippo Neri, Salvano: Madonna con Gesù e San Giovannino. Autore ignoto d’inizio ‘900. Lunetta dell’altare. Anche il tempo di Pasqua è stato molto ricco, con una cascata di grazia nei sacramenti della nostra fede e con un bel sentirci insieme nel XXVII Palio delle Contrade, nel mese di maggio, nella conclusione degli itinerari comunitari e nella preparazione delle proposte estive per ragazzi, adolescenti, giovani e famiglie. Poi le feste patronali e la festa di Comunità con la quale entreremo già nel nuovo anno pastorale. Sullo stile di tutto, ascoltate questo midrash della letteratura rabbinica. Racconta: Quando ero un ragazzino il signor Maestro stava in-
segnandomi a leggere. Una volta mi mostrò nel libro di preghiere due minuscole lettere, simili a due puntini quadrati. E mi disse: “Vedi, Uri, queste due lettere, una accanto all’altra? È il monogramma del nome di Dio; e, ovunque, nelle preghiere, scorgi insieme questi due puntini, devi pronunciare il nome di Dio, anche se non è scritto per intero”. Continuammo a leggere con il Maestro, finché non trovammo, alle fine di una frase, i due punti. Erano egualmente due puntini quadrati solo non uno accanto all’altro, ma uno sotto l’altro. Pensai che si trattasse del monogramma di Dio, perciò pronunciai il suo
nome. Il Maestro disse però; “No, no, Uri. Quel segno non indica il nome di Dio. Solo là dove i puntini sono a fianco l’uno dell’altro, dove uno vede nell’altro un compagno a lui uguale, solo là c’è il nome di Dio. Ma dove i puntini sono uno sotto e l’altro sopra, là non c’è il nome di Dio”. Dio non è là dove c’è dominio dell’uno sull’altro, là c’è solo paura. Dio è dove uno vede nell’altro un compagno a lui uguale e lo scioglie da ogni paura. Facciamo strada così.
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[La Croce agli occhi del mondo è una sconfitta, ma Gesù diviene ”vincitore perché vittima”]
Tutte le testimonianze scritte sulla fine della vita terrena di Gesù sono concordi nel dichiarare che egli è morto in Croce. Per la Scrittura questa è la morte del maledetto da Dio (”Maledetto chi pende dal legno”: Deuteronomio 21,23; Lettera ai Galati 3, 13; appeso tra cielo e terra perché rifiutato da Dio e dagli uomini. Gesù, un galileo che aveva radunato attorno a sé una comunità di pochi uomini e alcune donne coinvolti nella sua vita itinerante, ritenuto rabbi e profeta da questi discepoli e da un numero più ampio di simpatizzanti, è stato condannato e messo a morte mediante la crocefissione a Gerusalemme, il 17 aprile dell’anno 30. Questa fine fallimentare è subito apparsa scandalo, ”lo scandalo della Croce” (cfr. Prima lettera ai corinzi 1,23) un grande ostacolo per la fede in Gesù, specialmente quando si cominciò a confessarlo Messia di Israele e figlio di Dio. Ecco perché, ancora all’inizio del II secolo, il giudeo rabbi Trifone afferma nel dialogo con il cristiano Giustino: ”Noi sappiamo che il Messia deve soffrire, ma che debba essere crocefisso e morire in modo così vergognoso, non possiamo neppure arrivare a concepirlo”. Eppure per l’autentica fede cristiana è proprio il Crocefisso colui che ”ha raccontato Dio” (cfr. Giovanni 1,18); anche sulla Croce, anzi soprattutto sulla Croce; Gesù ”ha reso testimonianza alla verità” (cfr. Giovanni 18,37), trasformando uno strumento di esecuzione capitale nel luogo della massima gloria. Ma com’è La Lettera
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stato possibile che un uomo appeso a una croce diventasse colui sul quale i cristiani tengono fissi lo sguardo come Salvatore e Signore? Per rispondere a questa domanda occorre innanzitutto guardarsi dalla tentazione di leggere Gesù a partire dalla Croce. Al contrario, come ha acutamente osservato il teologo Giuseppe Colombo, bisogna leggere anche la Croce a partire dalla vita di chi vi è salito, l’uomo Gesù: questa morte è l’atto che ricapitola l’intera sua esistenza spesa nella libertà e per amore di Dio e degli uomini. Per giungere a tale comprensione gli autori del Nuovo Testamento hanno meditato in profondità le Scritture dell’Antico Testamento, una meditazione che ha lasciato tracce soprattutto nei racconti della Passione di Gesù. In questi capitoli decisivi dei Vangeli si possono infatti cogliere, esplicitamente o implicitamente, numerose citazioni dell’Antico Testamento che concorrono a presentare la passione di Gesù come quella del giusto ingiustamente perseguitato. Tra questi passi spiccano alcuni Salmi di supplica: ”Lo crocifissero e si divisero le sue vesti tirando a sorte su di esse “ (Marco 15,24; cfr. Salmi 22,19); ”uno corse ad inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere” (Marco 15,36; cfr. Salmi69,22). Ma i testi più importanti per la Passione di Cristo sono certamente i cosiddetti quattro canti del Servo sofferen-
[Sottotitolo sottotitolo]
te del Signore, la misteriosa figura annunciata dal profeta (cfr. Isaia 42,1-9; 49,1-7; 50,4-11;52,1353,12). Da sempre i cristiani hanno confessato che Gesù, il Crocefisso Risorto, è il servo del Signore descritto in queste pagine, e non a caso gli strati più antichi della riflessione cristologica del Nuovo Testamento presentano Gesù Servo (cfr. Atti 3,13.26; 4,27.30). Un posto di particolare rilievo spetta all’ultimo di questi testi, che costituisce non solo l’apice dei quattro canti, ma anche uno dei luoghi rivelativi più elevati dell’intero Antico Testamento, al punto che la tradizione cristiana lo ha letto come una sorta di “quinto vangelo”. Meditando su questo canto essa vi ha colto la dinamica di abbassamento ed esaltazione del Servo Gesù (cfr. Lettera ai Filippesi2,6-11), vedendovi profeticamente delineato il suo mistero pasquale. Nel Nuovo Testamento si segnalano una cinquantina tra citazioni e allusioni a questo brano. Ne ricordo solo due. Poco prima di essere arrestato, Gesù ha così istruito i suoi disce-
Lo scandalo dell’Amore
poli: “Deve compiersi in me questa parola della Scrittura: ‘E fu annoverato fra i malfattori’ (Isaia 53,12)” (Luca22,37). E Filippo, interrogato dall’eunuco etiope sull’identità Del Servo (“Di quale persona il profeta dice questo?”), “partendo di quel passo gli annunciò la buona notizia di Gesù “ (Atti 8,34-35). In breve, leggere questo testo con intelligenza significa contemplare la Passione di Cristo prima che avvenga, così come è effettivamente avvenuta: ecco perché la Chiesa proclama liturgicamente il brano di Isaia 53al Venerdì Santo, nel solenne ufficio in cui fa memoria della Passione del Signore. Merita soffermarsi almeno su un suo versetto: “Al Signore è piaciuto prostrare il Servo con dolori” (Isaia 53,10). Affermazione che può turbare, lasciandoci sconcertati al pensiero che Dio si compiaccia di far soffrire il proprio Servo. Occorre però comprenderla in profondità, per non rischiare di attribuire a Dio un volto perverso: cosa veramente è piaciuto a Dio? Che il Servo subisse atroci tormenti fino a morire? Che suo Figlio patisse sulla Croce? No, a Dio è piaciuto che il servo fosse capace di compiere la sua
volontà, cioè di “amare fino alla fine” (cfr. Giovanni13,1), anche a costo di subire una morte ingiusta e ignominiosa! Il Servo Gesù non è morto per volontà di Dio, ma è morto perché noi uomini ci siamo scagliati contro di lui, accecati dal nostro egoismo che è giunto fino ad una violenza omicida. È una necessità umana, inscritta nella storia: il giusto dà fastidio, va eliminato, poiché è di inciampo alla logica e all’operato dei malvagi; la sua vita , posta sotto il segno della radicale obbedienza a Dio, è per essi una presenza intollerabile(cfr. Sapienza 2,10-20). Qui sta la responsabilità di noi uomini; a Dio invece è piaciuto l’amore del Servo, fino alla sua capacità di amare per i nemici. È per questo che Benedetto di Chiaravalle ha potuto scrivere : “ Non la morte del Figlio è piaciuto a Dio, ma la volontà libera del morente, di Gesù”. Si, Gesù è stato l’uomo che si è caricato delle sofferenze dei fratelli, l’uomo che non si è difeso rispondendo con violenza alla violenza che gli veniva inflitta, ma ha speso la vita per gli altri, offrendo se stesso “fino alla morte e alla morte di Croce” (Lettera ai Filippesi 2,8). Proprio in questa morte che agli occhi del mondo è una sconfitta consiste la vittoria dell’amore di Gesù il Servo del Signore crocefisso, “vincitore perché vittima” (Agostino). Enzo Bianchi
Grazie a don Andrea Mazzucconi, parroco di san Tomaso in città, per averci concesso per tutta la quaresima il suo crocefisso riprodotto nella foto. La Lettera giugno ‘15
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La Pietà Michelangelo Buonarroti (14751564) si dedicò a molteplici attività - architettura, pittura, poesia -, ma la scultura tenne un posto assolutamente preponderante. Negli anni della maturità, ormai indiscusso vertice dell’arte del suo tempo, lasciò a Roma e a Firenze i suoi capolavori scultorei: la Pietà vaticana, il David, il Mosè, le tombe medicee della Sagrestia nuova di San Lorenzo, i Prigioni e con tre Pietà chiude una straordinaria parabola che lo aveva condotto dal virtuosismo tecnico delle prime prove alla drammaticità scabra ed essenziale degli ultimi lavori. Proprio sul genere della Pietà ci soffermiamo, collegando i lavori di restauro dell’Addolorata, pregevole opera di Grazioso Fantoni il giovane del XVIII secolo. La rappresentazione della Pietà come gruppo scultoreo era nata in Germania nel XIV secolo in base a un testo di Simeone Metafraste
del X secolo che narrava come la Vergine avesse tenuto il cadavere del Cristo sulle sue ginocchia ricordandosi di quando lo aveva cullato da bambino. L’iconografia si era poi La Lettera
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[Storia di un capolavoro] diffusa in Francia e nella seconda metà del Quattrocento era penetrata anche in Italia dove però aveva conosciuto maggior fortuna in ambito pittorico: vanno ricordate la Pietà di Ercole de’ Roberti al museo di Liverpool, quella del Perugino agli Uffizi, quella di Francesco Botticini al Musée Jacquemart André di Parigi. In tutte queste opere però il volto stravolto dal dolore della Vergine è quello di una donna anziana, mentre ciò non accade nella Pietà del Vaticano in cui l’effetto di pathos quasi straziante è ottenuto grazie al gesto di rassegnazione con cui la Madre indica il Figlio; l’espressività della mano ha un impatto superiore a quello di qualsiasi viso segnato dalle lacrime. Michelangelo fu criticato dai suoi contemporanei per aver raffigurato Maria della stessa età del Figlio e si difese rispondendo che le donne caste mantengono un aspetto giovanile, e questo doveva essere particolarmente vero nel caso della Vergine. Qualsiasi Pietà poneva al suo autore un problema e cioè come risolvere il contrasto fra le relativamente piccole dimensioni del corpo della Vergine e l’ingombrante cadavere del Cristo che risultava sproporzionato. Michelangelo ha aggirato l’ostacolo grazie al panneggio che costituisce un unicum in tutta la sua carriera e che sul busto della Vergine ha un andamento franto e spezzato, tale da ricordare analoghe soluzioni
della pittura ferrare se del Quattrocento, ma dalla vita in giù acquista una tale massa e densità di pieghe da sembrare barocco. Secondo Vasari, Michelangelo si decise a firmare la scultura (un fatto, questo, che non si ripeterà mai più) perché aveva udito i discorsi di un gruppo di lombardi a Roma che l’avevano scambiata per un’opera di Cristoforo Solari. Il trattamento del nudo raggiunge livelli virtuosistici tali da preannunciare Bernini in particolari quali il braccio abbandonato con le vene in rilievo, un dettaglio senza il quale sarebbe inoltre impensabile il Cristo della Deposizione di Baglioni di Raffaello. Fra il 1550 e il 1555 viene generalmente datata la Pietà Bandini oggi nel museo dell’Opera del duomo fiorentino ma in un primo momento concepita da Michelangelo per la propria tomba. Il personaggio incappucciato che sostiene il Cristo è Nicodemo, cioè colui che secondo i testi sacri aveva unto il cadavere del Redentore prima della sepoltura. Si è pensato che in esso Michelangelo avesse scolpito un suo autoritratto, ma non c’è alcuna prova a sostegno di quest’ipotesi. Fra tutte le opere non finite di Michelangelo questa è l’unica che egli danneggiò volontariamente perché - come riporta Vasari - insoddisfatto del risultato: difatti manca la gamba sinistra del Cristo, ma è un difetto che non si nota a prima vista, mentre risalta
con maggior evidenza il braccio sinistro che, dopo essere stato danneggiato, è stato reinserito malamente da Tiberio Calcagni al quale si deve il completamento del gruppo e tutta la figura della Maddalena. Di solito, nell’iconografia della Pietà, il cadavere del Cristo veniva raffigurato disteso, ma esistono anche alcuni casi in cui esso appare sostenuto dalla Vergine o da san Giovanni, generalmente in posizione seduta, come nelle Pietà di Giovanni Bellini; Michelangelo ha studiato la sua composizione in modo tale da offrire il miglior colpo d’occhio possibile del suo Cristo, contrariamente a quanto era avvenuto nella Pietà di San Pietro dove la figura risulta solo parzialmente visibile. Nel corso della sua vita Michelangelo ha affrontato il tema della Pietà più volte: la Pietà di Palestrina, così chiamata perché proveniente da una cappella del palazzo Barberini di Palestrina viene oggi dalla maggior parte della critica ritenuta opera di un suo seguace, forse dopo essere stata sbozzata dal maestro. La Pietà Rondanini è l’ultima della serie ed è rimasta incompiuta a causa della morte dell’artista. È stata più volte sottolineata l’esilità e la spiritualità dei personaggi, motivate forse da un nuovo interesse dell’artista per la plastica medievale e gotica in particolare. In primo piano è visibile parte di un braccio nudo dalla muscolatura abbandonata come può esserlo solo quello di un morto: si tratta con ogni evidenza di quanto rimane di una prima versione del Cristo, e poiché le proporzioni di questo arto sono assolutamente
normali, ciò significa che in questa prima prova la figura non aveva affatto un fisico così emaciato come quello della versione successiva. Evidentemente Michelangelo, dopo aver scolpito il Cristo una prima volta, non ne rimase soddisfatto e decise di eliminare questo tentativo: a quel punto però il blocco di marmo si era assai ridotto nelle dimensioni e di conseguenza egli fu costretto non solo ad assottigliare le due figure del Cristo e della Vergine, ma anche a raffigurare il corpo del Figlio quasi incassato nel corpo della Madre. Che poi da un problema di carattere tecnico sia nata un’opera così toccante e cosi moderna è solo un’ulteriore prova del suo genio. Da una lettera di Daniele da Volterra del 12 febbraio 1564 risulta che ancora una settimana prima della sua morte Michelangelo stava lavorando a una Pietà che non poteva essere altro che la Rondanini. Essa diviene così erede naturale della più profonda meditazione sulla morte da parte di Michelangelo, riguardata alla luce della fede nel mistero cristiano della morte del Signore. Non abbiamo elementi per poter chiamare il non compiuto “incompiuto”, spingendoci a interpretare la Pietà Rondanini in relazione a un immaginario “compimento”. Qui il non compiuto riguarda la gran parte del lavoro: la parte compiuta si concentra nella zona inferiore, e più precisamente nelle gambe di Gesù, e sfuma a partire dalla regione inguinale. Vi è inoltre un braccio, non appartenente né a Gesù né alla donna alle sue spalle, perfet-
tamente compiuto nella parte anteriore e ancora “imprigionato” nella parte posteriore. Il blocco del braccio, che nella parte alta è isolato dalla massa delle due figure, è però assicurato a esse da un elemento di raccordo conservato all’altezza del gomito; osservata di profilo la sagoma del blocco del braccio si inscrive perfettamente nella sagoma a “falce di luna” che racchiude l’intera scultura. Il braccio appare rilasciato, abbandonato e non ha le stigmate, pur essendo perfettamente finita. Sempre osservando i profili notiamo che la “falce di luna” ha due punti di forza: uno rappresentato dal gravare della donna sulle spalle di Gesù, l’altro nella strana spinta verso l’alto esercitata dalle gambe di lui. Al di là di una prima impressione, noi non ci troviamo di fronte a una deposizione o a una Pietà: Gesù non è né deposto né sorretto, anzi le sue braccia si portano dietro come ad avvolgere le gambe di quella che da qui in poi chiameremo “la madre”; questa, a sua volta, non sta sostenendo il Figlio, ma gli sta piuttosto gravando sulle spalle. La madre si trova su un piano notevolmente superiore a quello su cui appoggiano i piedi del Figlio. Questi sembra germogliare dalla terra, che si apre a valva. La madre nella parte posteriore ha dei lacci allentati, come in diverse sculture di Michelangelo. Si deve constatare che i genitali di Gesù non sono semplicemente incompiuti, ma non potrebbero esserlo in nessun caso per mancanza di materia. Allo stesso modo La Lettera giugno ‘15
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il busto è già scavato oltre misura e in nessun caso potrebbe trasformarsi in uno di quei busti modellati in masse vigorose cui Michelangelo ci ha abituati’. Anche in questo caso i tratti del volto della madre sono evidentemente quelli di una giovane donna. Il volto del Figlio richiama invece il volto di Michelangelo stesso: il naso è indubitabilmente un naso schiacciato e non avrebbe potuto definirsi successivamente secondo un profilo più consueto. La sua “lettura” deve scorrere dal più finito al meno finito e precisamente a partire dal braccio sulla sinistra. E’ bello pensare che sia il braccio di Michelangelo, lasciato cadere, al termine dell’opera della sua vita. Il braccio che per tutta la vita ha operato facendo di questa vita stessa la sua drammatica opera d’arte; il braccio che ha servito il riscatto della materia e con essa il riscatto dello spirito; il braccio che ha operato nella forma la fatica del concetto, che ha fatto della passione per la forza che opera, per la dinamica dell’essere, il proprio assenso alla “parola” che lo ha consegnato all’esistere -, ora si abbandona, come esausto, perfettamente compiuto nella morte, come lo Schiavo morente del Louvre sembra anticipare. Il polso carico di tensione, capace di tutta la determinazione dell’azione decisiva, che vediamo ad esempio nel Davide, è qui ormai definitivamente rilasciato. L’opera che si compie La Lettera
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ora è solo opera del Dio che si è con segnato alla morte, è l’opera della sua risurrezione che l’artista contempla confusamente dalle soglie della morte, forte della testimonianza della Parola che dice che coloro che sono stati immersi in una morte simile alla Sua godranno di una risurrezione come la Sua, perché il Risorto sia il primogenito tra molti fratelli. Così il miracolo, che nulla nella storia dell’uomo è in grado di produrre, si opera come di fronte al braccio abbandonato che ha terminato, consegnato, la sua opera. È come se gli germogliasse di fronte, inatteso, senza alcun clamore, operando con una forza così diversa da quelle che hanno vigorosamente agitato la storia fino al poderoso clamore del suo ultimo atto”. È come la forza silenziosa ma implacabile di un germoglio. La terra si apre per lasciarlo spuntare e questo sale, dispiegandosi verso una vita che ha raccolto nel mistero della morte, e che ora fiorisce, forza assoluta di rinnovamento per la stanca vicenda della terra dell’uomo. E così, fragile, sorge dalla terra e dalla morte, di cui riprende e testimonia la memoria, la traccia indelebile nella bella definizione delle gambe ancor così vicine alla terra, per poi affermare l’ineffabilità di una Parola di vita nuova e definitiva, divina. Colui che risorge è Colui che era morto, è il Primogenito innanzitutto, ma è anche ogni suo fratello uomo che egli accomuna a sé nella sua vittoria redentrice. È Michelangelo stesso dunque, e i due volti, quello dell’uomo della croce che risorge, che si leva, e quello di Michelangelo, si richiamano a vicenda, nella medesima impronta, e non si possono trovare parole umane per significare questa visione, se non quelle parole così umane e così divine che l’Evangelo custodi-
sce, parole in cui risuona l’eco della promessa che, dopo aver chiesto [Sottotitolo sottotitolo] di saper riconoscere il Figlio in ciascuno dei suoi fratelli uomini, assicura che al compimento saremo simili a lui. Così sbocciando, il Risorto, e Michelangelo con lui, si carica sulle spalle una donna, la madre. Abbiamo qui una sorta di rovesciamento del senso della maternità, della nascita, dell’origine. La vita risorta non sorge dalla carne e dal sangue”, non consegue naturalmente alla storia e alle sue generazioni; sorge da un miracolo divino di ricreazione, che però si fa carico fin dalla radice della storia della carne, del suo grembo, del suo volto, del suo destino mortale. Tutta questa storia che Michelangelo ha vissuto appassionatamente, in cui ha arso, di cui ha gustato l’immagine teologica profondamente impressa, sorprendentemente attuale nell’Amore e nella bellezza della maternità generatrice, affascinante nella giovinezza, dolorosa nella vecchiaia; tutta questa storia l’uomo nella propria risurrezione con Cristo si carica sulle spalle in un atto assoluto di redenzione. Ed ecco che dalla schiena di questa “madre” cadono gli ultimi lacci. La madre non teme di farsi caricare sulle spalle del figlio e in questo - ben sanno le madri che preferirebbero piuttosto riaccoglierlo in grembo - si compie la definitiva riconsegna. «Figlia del tuo figlio», cantava Dante. Il nuovo e definitivo germoglio si fa carico così dell’antico tronco di Jesse. Questo fonda la speranza escatologica dell’artista che, se è certamente speranza della propria definitiva salvezza, è nondimeno speranza che l’intera opera della sua vita e quindi le sue opere appassionate - sia consegnata a un destino eterno.
Titolo Titolo Titolo Il restauro dell’Addolorata [a cura di Luciano Gritti]
L’opera raffigura la Pietà ed è stata realizzata nel XVIII secolo, uscita dalla bottega dei Fantoni, attribuita a Grazioso Fantoni il giovane. E’ realizzata in legno di tiglio e misura cm. 82 di larghezza, cm. 87 di profondità e cm. 130 di altezza. Le condizioni di conservazione erano piuttosto precarie. Per quanto concerne il legno vi erano alcune piccole fenditure. Inoltre vecchi attacchi di insetti xilofagi hanno indebolito particolarmente alcune zone. Sulle dita del piede destro sono andate perse due porzioni di dita. Nel basamento vi sono dei fori utilizzati per portare in processione la scultura. In corrispondenza di questi fori ci sono dei danni causati dagli inserti metallici usati in tali occasioni. Più complessa era la situazione dello strato pittorico. Esternamente la statua appariva in alcuni punti eccessivamente lucida a causa di una vernice stesa in epoca recente. Il colore inoltre non era originale, ma è il risultato di un intervento di restauro. Vi erano alche alcuni sollevamenti e
distacchi dello strato pittorico. L’intervento di restauro, con il trasporto della scultura nella bottega di Bergamo dei Restauratori Gritti, dopo la pulitura iniziale, ha
scoperta una situazione abbastanza complessa. Esternamente vi era uno strato di vernice in alcune zone molto lucida. Al di sotto vi era la policromia visibile un po’ sporca e rovinata. C’erano anche numerosi ritocchi, in alcune zone molto ampi, tali da sembrare una vera e propria ridipintura. Il corpo del Cristo in particolare era ridipinto con un colore decisamente più freddo rispetto a quello sottostante. Al di sotto di tutti questi diversi livelli di colore c’era però uno strato di preparazione steso in un vecchio intervento di restauro sotto cui ho trovato delle tracce di colore originale. La preparazione a gesso è stata rimossa a secco con dei bisturi ed è molto spessa tanto che in alcuni punti raggiunge anche due/tre millimetri di spessore. Contestualmente delle cromie originali si sono trovate solo piccole porzioni. Si è pertanto deciso di non recuperare la policromia originale proprio in considerazione del fatto che questa scelta ci avrebbe restituito un’opera con poche tracce di colore e direttamente il legno a vista. Purtroppo la stesura di gesso è molto corposa e quindi modifica un po’ il modellato appiattendo le pieghe degli abiti ed alcuni particolari dei visi. Rimosse le vernici e i pesanti ritocchi e ridipinture sul corpo del Cristo e sul basamento, è stata successivamente eliminata la patine di polvere presente sulle cromie. Il risultato ottenuto è
buono. Il basamento è certamente la parte che ha sofferto maggiormente in considerazione del fatto che la scultura viene portata annualmente in processione. Al termine della pulitura è stato steso un prodotto antitarlo con esclusiva funzione preventiva a base di permatrina. Si sono ritoccate le lacune della policromia utilizzando terre naturali disperse invernice da ritocco. Si sono ricostruite le due porzioni di dita mancanti con una resina epossidica (araldite) modellata e intagliata. Anche questa integrazione è stata ritoccata con la medesima tecnica. Infine si è stesa una vernice a base di cera. Il lavoro è stato seguito e diretto dalla Dott.ssa M. Gargiulo funzionario di zona della Soprintendenza per i beni storico artistici e etnoantropologici di Milano. La Lettera giugno ‘15
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Trentatré
[Presentazione del restauro]
33 candele recuperate dalla cassapanca che le ha custodite per decenni, sono tornate ad ardere nella festa dell’Addolorata che ha assunto un carattere particolare per l’inaugurazione del restauro della scultura uscita nel 1700 dalla bottega dei Fantoni e così cara alla nostra Comunità. 33 come le litanie dell’Addolorata recitate dai ragazzi in cerchio intorno al trono e poi dalle signore nella sera della processione, abbinate alle diverse candele con l’immagine di Maria trafitta dalle sette spade. Attraverso il cammino artistico della “pietà” portato in Italia da Michelangelo e poi diffusosi in molte Parrocchie, abbiamo pregato con lo Stabat Mater di Pergolesi (composto nel 1735 sulla preghiera scritta da Jacopone da Todi nel XIII secolo) proposto in una suggestiva interpretazione da Valentina della Chiesa, Soprano, Miriam Pievani, Contralto accompagnate da Michele Gervasoni all’organo. Ad ogni passaggio entravano in assemblea i segni di questa devozione: la croce posta dietro l’Addolorata, il lenzuolo bianco, anticipo di risurrezione, la cartelletta con gli scritti raccolti nei mesi di restauro, due brocche a ricordare le tante preghiere davanti all’immagine (“le mie lacrime nell’otre tuo raccogli” Salmo 55), un bouquet di fiori e ceri accesi. La generosità di molte persone ha permesso di coprire la spesa del restauro. Anche l’Amministrazione Comunale ha stanLa Lettera
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ziato un contributo, ritenendo l’iniziativa espressione di un diffuso sentire comunitario. La celebrazione e la processione sono state presiedute da Padre Luca Zanchi, Superiore dei Sacramentini di Ponteranica, che ci ha fatto gustare la presenza di Maria data a noi come Madre ai piedi della croce.
[Triduo pasquale]
Cerchi...
Un cerchio di sgabelli -quelli messi intorno alla tavola in Quaresima- in mezzo all’assemblea. Lì si siedono dodici ragazzi per la lavanda dei piedi per significare i due fuochi dell’ultima cena: il pane spezzato e donato, anticipo della croce e la carità che si china suo piedi dell’umanità. Un grande abbraccio anche intorno al luogo della crocefissione nel Venerdì Santo, in località Longa, in uno scenario suggestivo, culmine di un’intensa Via Crucis in cui i diversi momenti della passione del Signore hanno incrociato la storia di Giulia Gabrieli. Anche i genitori, Sara e Antonio, con il fratello Davide e la nonna Rita, hanno camminato con noi e al termine hanno portato la loro testimonianza. Gli abbiamo donato due lampade accese: una per la loro famiglia nel ricordo di Giulia e una che hanno dato ai nonni di Elena: il giorno prima l’avevamo salutata nella fede, con una grandissima partecipazione. Cerchi di fiamme, fiori e edera anche nella solenne Veglia pasquale e a Pasqua per continuare il dinamismo della tavola alla quale siamo sempre invitati e della comunità che nasce e si vivifica a partire da lì: l’Eucarestia dà forma alla chiesa. Ci si sente comunità proprio andando alla sorgente, come abbiamo fatto nella settimana santa perché, più ci si avvicina al centro, più i raggi del cerchio -la tavola- si avvicinano tra loro. La Lettera giugno ‘15
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Titolodevo Titolo Titolo Titolo Cosa fare?
[Via Crucis del Venerdì Santo]
“Con la Cresima mi hai chiamata ad essere testimone del tuo progetto… ma mi domandavo… come? Due mesi dopo (con la malattia) scopro che tu mi chiami ad essere testimone del tuo amore e il tuo progetto lo porto fino in fondo!” Così scriveva nel maggio 2009 Giulia Gabrieli. La sua storia, conosciuta in particolare attraverso il libro da lei scritto “Un gancio in mezzo al cielo”, ha ispirato il gruppo giovani nella preparazione dei testi per la Via Crucis itinerante del Venerdì Santo. E’ ormai una bella tradizione che coinvolge le diverse Associazioni e i gruppi del paese, riunitisi un mese prima per guardare insieme la proposta e suddividersi i diversi compiti :Gruppi Adolescenti , Bambini e genitori 3 elementare, Banda, Gruppo Calcio Oratorio, Lettori, Alpini Proloco, Aido, Polisportiva, Giovani, Fanti e Protezione Civile. Così, ogni gruppo ha interpretato e preparato il luogo della propria stazione partendo dalla chiesa parrocchiale e raggiungendo la collina nella località Longa. Tutto il percorso guidato da migliaia di lumini accesi. GIULIA GABRIELI è nata a Bergamo il 3 marzo 1997. Nel maggio del 2009 riceve il sacramento della Confermazione e nell’estate dello stesso anno si ammala. Per due anni ha tenacemente combattuto contro un sarcoma tra i più aggressivi, trasformando la sua malattia in un inno alla vita e proponendo coraggiosamente la sua esperienza in numerose testimonianze pubbliche rivolte ai giovani. A giugno del 2011 ha superato l’esame di terza media con la votazione di 10 e lode. La sera del 19 agosto dello stesso anno è morta, nella sua casa di Bergamo, proprio mentre alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid si concludeva la Via Crucis dei giovani. Il giorno prima di morire aveva terminato di scrivere il testo di una coroncina di “puro ringraziamento” al Signore. La Lettera
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Via Crucis Palazzago “Sogno di scrivere un libro per raccontare una storia. La mia storia.” Con queste parole Giulia inizia il suo libr o, dove pagina dopo pagina, racconta il suo personale crescendo umano e spirituale che la porterà in modo libero e sereno a dialogare con la morte mantenendo sempre il suo gioioso sorriso. E già in queste prime parole, c’è in Giulia la volontà non solo di raccontarsi, ma soprattutto il voler essere una testimone del suo incontro con il Padre ed in modo speciale con la Mad onna, la Mammina Celeste come li definiva lei. In questo suo cammino, o meglio, in questa sua personale Via Crucis, Giulia nel portare la sua Croce, ha sempre preso per mano noi familiari e amici, e giorno dopo giorno, stazione dop o stazione, ci ha indicato il cammino, la via. Anche quando ha dovuto sperimentare l’umanissimo grido “Dio mio, Dio mio dove sei? Perché mi hai abbandonato?” Le risposte a questo grido, Giulia le ha trovate nella preghiera e nell’abbraccio alla volontà del Padre, e in questo suo abbraccio e affido al Padre, Giulia ha trovato la forza e la gioi a di vivere i giorni della sua Passione con lo sguardo rivolto in Alto, alla Resurrezione. Per noi genitori e per Davide, questo par ticolare cammino è stato un grande dono, che ci permette di vivere nell a pienezza e nella bellezza di ciò che ci è stato donato e non nella disp erazione di ciò che ci è stato tolto.
Giulia ha saputo trasformare la sua mal attia in un Inno alla Vita e ha condensato la pienezza del suo percorso spirituale in queste parole “Fare la volontà di Dio è vivere la Sua par ola. La Sua parola è amore. Fare la Sua volontà è vivere nel Suo Amore. ” Mamma e papà di Giulia
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[Prima Riconciliazione]
Oggi devo fermarmi a casa tua
Ti racconto la festa della prima Confessione, quando anche noi siamo scesi dall’albero, sentendo pronunciare da Gesù il nostro nome:”…oggi devo fermarmi a casa tua”. Così l’abbiamo accolto, pieni di gioia, bruciando poi quel ramo intorno al quale avevamo arrotolato i nostri “peccati”. Ma ascoltiamo Gesù e Zaccheo che ci hanno condotti all’incontro.
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Gesù: Gerico! Città di commercio, dimora del funzionario, casa del ricco. Ti attraverso, non ti giro alla larga. Che folla Padre! La guardo come ho guardato i miei discepoli: “Beati voi, chiamati al Regno, alla sazietà, alla gioia... “ La guardo come ho guardato Pietro, non per rinfacciargli il tradimento ma per dirgli il mio amore. Zaccheo: Da tempo sentivo parlare di Gesù. Così mi ritrovai a cercare, schiacciato tra la folla, il volto di quell’uomo. Quante persone… tutti per vedere Gesù. ‘ Inquieto cercavo di farmi avanti anche con spintoni… ma ero troppo piccolo per poterlo vedere. Cosi sono salito su un sicomoro e… Gesù: sca Petya Scendi da quell’albero, Zaccheo! E’ il momento del contatto diretto, del e c an parlarci a quattr’occhi. Solo così puoi incontrarmi veramente Non ferGiorFr marti alle opinioni degli altri su di me. a Lorenzo c u L a i g A proposito degli altri, parlano alle tue spalle come parlano anche alle mie. tian Mis i r h C a Non preoccuparti di questo: preoccupati solo di fare quei passi che r Sa a Beatrice n n A a possono portarti alla vera gioia. e r d chele An tia Asia t a M Zaccheo: e d i v a Martina D ta Bryan Loris Signore, tu sei venuto qui e ti sei interessato a me. Questo tuo ar gesto mi ha sconvolto! Ecco io do tutto quello che mi è possibile a Lorenzo M ee Mattia r i s e D o z n re chi ne ha veramente bisogno, a chi non ha avuto la mia intraprenMatteo Lo cesco Pien a r F denza, la mia fortuna. Grazie a te Signore, la mia vita non sarà più e r o t Salva la stessa. Una gioia incontenibile ha invaso il mio cuore, la mia casa. as Lorenzo l o h c i N o tr Non posso più trattenere ... solo donare! attia
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Rimanere, potare, portare frutto
[Cresima]
Uno, due, tre. Tre verbi ci ha consegnato don Davide Rota, delegato del Vescovo per la nostra Cresima, presi dal Vangelo della vite e i tralci. Dovevate vedere che bella vite c’era accanto all’altare, circondata dai cesti con i sapori del giardino e dell’orto, profumo dei doni dello Spirito. E sullo sfondo la creazione di Michelangelo che avevamo visto a Roma con i nostri occhi a dicembre. 1 RIMANERE… e noi che pensavamo che con la Cresima fosse tutto finito. Rimanere, per far scorrere la linfa che arriva dalla vite che è Gesù. 2 POTARE… e noi che pensavamo che i no detti da chi ci vuole bene fossero punizioni. E invece bisogna lavorare per tagliare comodità, vizi, difetti, brutti caratteri, il superfluo… 3 PORTARE FRUTTO… e noi che pensavamo che bastasse avere tante foglie. No, sono i frutti che contano e non solo i bla bla… Allora si riparte. Con lo Spirito che ci è stato regalato, anche noi “siam pronti alla…vita”.
Preghiera dei genitori
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O Signore Gesù, Ti ringraziamo per questo grande dono che è stato effuso sui nostri figli, lo Spirito Santo, Come genitori ci rivolgiamo ancora a Te, affinché mediante la nostra presenza Tu abbia uno sguardo vigile e attento su questi nostri figli. Possano camminare nel percorso della loro vita con l’orecchio attento alla tua Parola, con il cuore aperto al tuo disegno, con le mani capaci di impegnarsi per ciò che è vero, bello e buono, Lasciandosi guidare ininterrottamente dall’azione dello Spirito Santo, ne siano fedeli testimoni, strumento di unità, strumento di comunione, strumento di condivisione. Giorno dopo giorno sentano l’azione dei doni dello Spirito Santo che li aiuta ad essere veri figli, impegnati in famiglia , in comunità, nella società. Amen
Sorgente
[Prima Comunione]
Se ti dico che l’Eucarestia è fons et culmen della vita della chiesa, forse dici: Cosa? (anche se è scritto nei documenti del Concilio Vaticano II). Ma se vedi una bella fontana che fa sgorgare acqua da quattro lati, in mezzo ai bambini della prima Comunione, lo capisci subito. L’Eucarestia è la sorgente (fons) e noi, come anfore modellate dall’artista, ci lasciamo riempire da Lui. Non solo nella prima Comunione, ma anche nella seconda, nella terza, nella centesima…perché “ogni Domenica la messa e ogni messa la Comunione”.
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Sara Gio rg ia
Preghiera dei genitori Signore, ti ringraziamo per il dono fatto a tutti questi nostri figli che oggi hanno celebrato la loro prima comunione. Dal nostro amore sono venuti al mondo. Dopo la nascita, li abbiamo portati a Te per il battesimo. Abbiamo così riconosciuto che c’è un Amore più grande, dal quale veniamo tutti: Tu Dio, Creatore e Padre! Ora, Signore, i nostri figli sono cresciuti; nel loro cammino, con l’aiuto delle catechiste, dei sacerdoti e di noi genitori, hanno imparato a conoscerti e ad amarti e sono giunti con emozione all’incontro con Te. Nel cammino hanno conosciuto il dono del Tuo perdono e la grandezza del mistero dell’Eucarestia. Oggi, Domenica, giorno in cui Gesù ha vinto la morte, anna nella nostra Comunità celebriamo la loro prima Comunione. Ari a SaI nostri figli, rispondendo con entusiasmo al tuo invito, in N b r e con il sostegno di tutta la Comunità in Giorgi a Gaia sono venuti all’incontro con Te Padre buono, a Sof Miche Tu che sei il “PANE VIVO”, le Fran ia Luca c Lisa D cibo che nutre e fonte che disseta. aniel D esca Mattia Lisa V Grazie a loro anche noi ravviviamo la nostra fede, alentin avide Ismael con la gioia di poterli ancora aiutare nel cammino della vita, aA e Viola E lisa St urora Angel perché sappiamo che questo giorno non è un traguardo, o efan Ariann ma una tappa importante e la sorgente di ciò che li attende. a Alis o Dharma sa Stef A tutti noi qui riuniti dona, Signore, Giulia a A l essand no la forza di accompagnarli con amore all’incontro settimanale con Te, ra perché possiamo conservare sempre la fede e la gioia in Gesù Risorto, perché senza la Domenica non possiamo vivere. Grazie, Signore! La Lettera giugno ‘15
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Titolo Titolo Titolo L’anno della Titolo Misericordia Sabato 11 aprile 2015 nella Basilica di San Pietro in Vaticano, in occasione dei Primi Vespri della Domenica della Divina Misericordia, il Santo Padre Francesco ha reso pubblica la Bolla d’Indizione del Giubileo della Misericordia. Il Papa ha consegnato la Bolla ai Cardinali Arcipreti delle
quattro Basiliche Papali in Roma, ad alcuni rappresentanti della Chiesa sparsa nel mondo e ai Protonotari apostolici. Successivamente, alcuni brani sono stati letti davanti alla Porta Santa della Basilica Vaticana. Il 13 marzo, durante l’omelia della celebrazione penitenziale con la quale il Papa
“Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. E’ un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre” (cfr Lc 6,36). E questo specialmente per i confessori! Tanta misericordia! Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre del 2016, Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo e volto vivo della misericordia del Padre. Affido l’organizzazione di questo Giubileo al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, perché possa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia. Sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perché siamo peccatori, potrà trovare in questo GiuLa Lettera
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ha aperto l’iniziativa “24 ore per il Signore”, sottolineava la ricchezza della misericordia di Dio evidenziando “con quanto amore ci guarda Gesù, con quanto amore guarisce il nostro cuore peccatore”. Poi, nella sorpresa generale, accolta con un applauso, risuonavano le parole con le quali il Papa annunciava:
bileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo. Non dimentichiamo che Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre. Non ci stanchiamo di chiedere perdono. Affidiamo fin d’ora questo Anno alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino: il nostro cammino penitenziale, il nostro cammino con il cuore aperto, durante un anno, per ricevere l’indulgenza di Dio, per ricevere la misericordia di Dio.”
Il LOGO DEL GIUBILEO rappresenta una summa teologica della misericordia. Nel motto, tratto da Lc 6,36, Misericordiosi come il Padre, si propone di vivere la misericordia sull’esempio del Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e di donare amore e perdono senza misura (cfr Lc 6,37-38). Il logo è opera di p. M. I. Rupnik. L’immagine, molto cara alla Chiesa antica, perché indica l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con la redenzione, propone il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo e lo fa con amore tale da cambiargli la vita. Un particolare, inoltre, non può sfuggire. Il Buon Pastore con estrema misericordia si carica l’umanità, ma i suoi occhi si confondono con quelli dell’uomo. Cristo vede con l’occhio di Adamo e questi con l’occhio di Cristo. Ogni uomo quindi scopre in Cristo la propria umanità e il futuro che lo attende. La scena si colloca all’interno della mandorla, anch’essa figura cara all’iconografia antica e medioevale che richiama la compresenza delle due nature, divina e umana, in Cristo. I tre ovali concentrici, di colore progressivamente più chiaro verso l’esterno, suggeriscono il movimento di Cristo che porta l’uomo fuori dalla notte del peccato e della morte. D’altra parte, la profondità del colore più scuro suggerisce anche l’imperscrutabilità dell’amore del Padre che tutto perdona.
[don Giacomo Panfilo]
ANIME PIE, ATTENZIONE! Di fronte all’immensa tragedia dell’ultimo naufragio nel Mediterraneo che è costato la vita a centinaia e centinaia di persone, il Papa ha chiamato alla preghiera. Ma sarebbe brutto se le anime buone si limitassero a dire con rassegnazione al Signore: “Sia fatta la tua volontà!”. Il primo ad offendersi per un simile tipo di rassegnazione, sarebbe Dio stesso, chiamato in causa come praticamente colui che ha voluto o permesso tale tragedia, mentre nel libro della Sapienza Dio è definito in modo mirabile come “Signore amante della vita“, che non ha creato la morte e non è l’autore delle tragedie. Possiamo seriamente immaginare che Dio stia su a distribuire a pioggia casuale, o peggio con intenzione mirata le cose brutte della vita? E che noi, per giunta, gli diciamo: “Sia fatta la tua volontà”? INTERROGATIVI INELUDIBILI Ma allora s’impone inevitabile un interrogativo: Dio vede? Dio sa? Anche il semplice uso della ragione ci offre una risposta: “Ragionate, insensati. Chi ha formato l’orecchio, forse non sente? Chi ha plasmato l’occhio, forse non guarda?” (Sal 94). Dio, per prima cosa, non è né sordo, né cieco. L’angoscia però non si placa ancora e ci rode dentro. Se Dio vede, se Dio sa, che fa in quei momenti? Il credente si sente come stritolare le ossa dalla domanda dei beffardi: “Dov’è il tuo Dio?”. (Sal 42, 11). Davanti all’oppressione del popolo e alle ingiustizie verso i poveri, i maligni insinuano con perfidia:
Naufraghi “Dio non se ne cura”. (Sal 94). È “la divina indifferenza” di cui parla anche Montale. Invece, lo scittore ebreo Elie Wiesel, sopravvissuto allo sterminio dei lager, ci dà una testimonianza illuminante. “Ad Auschwitz, mentre i prigionieri assistevano impotenti all’impiccagione di tre loro compagni, tra cui un bambino, dietro di me udii un uomo domandare: Dov’è Dio? e io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo, è appeso lì, a quella forca”. DIO SUL BARCONE DEL NAUFRAGIO Dio il 18 aprile scorso, se vogliamo proprio saperlo, era su quella car-
retta del mare in mezzo a quella povera gente finita tra i flutti mentre andava alla disperata ricerca di una qualche felicità. I pochi superstiti hanno testimoniato che quei naufraghi finendo tra le onde pregavano, ognuno con le preghiere della sua religione invocando Dio, l’Onnipotente. Solo che l’onnipotenza di Dio non La Lettera giugno ‘15
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è, come dice Ernest Bloch, di tipo faraonico o zeusico (Dio, come lo conosciamo noi, non è come un grande faraone, o come il Giove dei pagani). Dio noi lo conosciamo attraverso Gesù Cristo, che ha salvato gli altri e non ha potuto, non è riuscito a salvare se stesso, e ha gridato al Padre: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Gesù ha condiviso tutto della nostra condizione umana, eccetto il peccato; ha condiviso gioie, drammi e tragedie. Ecco perché siamo certi che era là su quel barcone e ha gridato e pregato con quei poveretti.”Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola, l’onda mi travolge. Sono sfinito dal gridare, i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio”. (Sal 69). LA VOLONTÀ DI DIO PER CUI PREGARE Qui incomincia per quei poveretti e per noi sopravvissuti la necessità dell’invocazione: “Sia fatta, Signore, la tua volontà”. E la volontà di Dio, ripetiamolo bel chiaro ancora una volta, non è quella tragedia, ma è che nella tragedia e dopo la tragedia tutti siano come Dio vuole per il loro bene. Per le vittime la volontà di Dio è che non vadano perduti in fondo al mare e non finiscano nel nulla. Gesù, vicino a loro, in mezzo a loro, ha sicuramente ripetuto la sua promessa nel vangelo: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e stanchi e io vi darò riposo”, e in un unico immenso abbraccio li ha introdotti in quella vita che La Lettera
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più nessuno potrà loro togliere. E noi, insieme con Gesù, possiamo davvero pregare il Padre, perché si avveri per loro questa promessa del suo Figlio. La volontà di Dio in quel momento e per lungo tempo è che i familiari delle vittime siano confortati da angeli consolatori come da un angelo consolatore fu confortato Gesù nel Getsemani quando sudò sangue per l’angoscia. Ma poi la volontà di Dio, che dev’essere fatta senz’altro, è che tutti facciano la loro parte, perché sia resa giustizia a queste e a tutte le vittime dell’ingiustizia. E qui si va dalle autorità a tutti i livelli (ONU, Europa, paesi di provenienza, paesi d’arrivo, enti di assistenza e protezione civile, volontariato, intellettuali, politici – governanti e legislatori -, religioni e chiese – autorità e singoli fedeli-)… Volontà di Dio da compiere senz’altro è che non ci si fermi al buonismo (nelle idee e nelle parole), ma nemmeno che ci si perda in un populismo becero, facilone ed egoista. Volontà di Dio è infine che gli operatori di iniquità si convertano, e che comunque siano puniti e messi in condizione di non nuocere. PER FINIRE Ogni volta che diciamo: “Sia fatta la tua volontà”, mettiamo da parte il collo torto di una malintesa e fuorviante rassegnazione e, anzi, ben in piedi, a braccia alzate, diciamo al Signore: “Da’ a tutti noi fame e sete di giustizia, perché ci impegniamo a raddrizzare le strade storte, ad abbassare le montagne dell’orgoglio, della prepotenza e dell’autosufficienza, e a riempire con l’amore le vallate, gli enormi vuoti creati dall’egoismo”.
Il campanile della chiesa di Precornelli è stato per un po’ ingabbiato, ed ora si presenta nella sua veste rinnovata, ma nel solco della tradizione, abbinato nei colori alla chiesa e anche illuminato di notte. La frazione ha impegnato diverse risorse economiche, ma ne valeva la pena. Grazie alle Signore di Precornelli e a tutti coloro che hanno reso possibili questi lavori, in particolare alla Ditta Benedetti Egidio e figli che ha regalato il proprio intervento.
[Davide Invernizzi]
San Giuseppe a Precornelli Domenica 22 marzo si è tenuta nella frazione di Precornelli la tradizionale festa di san Giuseppe. Come sempre la partecipazione è stata alta e attenta, sia nei preparativi (fiori, pulizia, rinfresco), sia nella celebrazione eucaristica. Quest’anno a presiedere è stato mons. Ubaldo Nava, che spesso aiuta la nostra comunità per le confessioni. Nella sua omelia ha sot-
tolineato la vita travagliata di Giuseppe di fronte a Gesù, che lo ha reso veramente uomo di fede. Questo bambino fa cambiare direzione ai suoi progetti
Le poche notizie sulla vita di Berlinghiero si ricavano dalle firme apposte su due sue opere (la Croce di Lucca e il Crocifisso di Fucecchio), in cui si cita come volterrano, e da un documento lucchese del 1228, in cui il pittore si dichiara figlio di Melanese il vecchio, assieme ai propri figli Bonaventura, Barone, Marco e altri cittadini lucchesi, durante il giuramento di pace con i pisani[1]. Il fatto che nel 1228 avesse almeno due figli maggiorenni (Barone e Bonaventura) ha fatto ipotizzare che fosse nato circa una cinquantina d’anni prima, magari verso il 1175, e che fosse attivo come pittore dal 1200 circa. Probabilmente si formò tra Volterra e Pisa, dove esisteva una scuola di miniatura, aggiornata sulla cultura umbro-romana di quegli anni, ma dotata anche di contatti di prima mano con la contemporanea arte costantinopolitana e siculo-normanna. Le sue opere sono emblematiche di come nella prima metà del XIII secolo la pittura toscana fosse ancora legata alla scuola bizantina. La sua opera fu uno dei primi passi nella transizione tra l’arte bizantina e l’arte occidentale. Nella croce cui Carlo Bombardieri si è ispirato, la posa è ancora quella del Christus triumphans, statica e priva di drammaticità, con gli occhi aperti, senza corona di spine, che comunica l’idea del dono d’amore che lì si è realizzato, ma già nella luce della risurrezione. e inoltre crea molti dubbi nel cuore del falegname di Nazareth. Quel figlio, che è Figlio di Dio, non mostrerà segni prodigiosi davanti al padre putativo, facendolo anche dubitare. Ma una cosa ha abitato la vita di Giuseppe e che è invito anche
per noi cristiani di oggi: il guardare e l’ascoltare Gesù nella vita di tutti i giorni. Nella sua quotidianità la fede di Giu-
seppe è stato rafforzata da quel bambino e quindi è modello anche per noi oggi. La festa di quest’anno è La Lettera giugno ‘15
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stata impreziosita dalla inaugurazione del crocifisso per la chiesa di Precornelli. Richiama il Cristo dell’abbraccio che ci ha permesso di pregare lo scorso anno avvolti per tutta la Quaresima e il tempo pasquale. Un nuovo elemento per alimentare la fede di chi passa in questa piccola chiesa, perché la bellezza di quest’opera aiuterà la preghiera e lo sguardo verso il crocifisso. Don Giuseppe ha inoltre annunciato altri lavori per rendere sempre più bella e preziosa la chiesa di questa frazione.
8 marzo a Comonte
E’ stata una domenica molto significativa quella dell’ 8 marzo. Festa della donna? Certo, ma vissuta da un bel gruppo delle nostre consorelle vedove, in occasione della festività della nostra patrona, Santa Francesca Romana, con l’incontro diocesano, organizzato dall’Associazione, presso le suore della Sacra Famiglia a Comonte di Seriate e che ha visto presenti più 200 vedove. Una giornata intensa di riflessione e preghiera. La mattina è stata animata dalla dott.ssa Anna Aceto, anch’ella La Lettera
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vedova, proveniente da Novara. La Signora ci ha introdotte a ripensare la nostra vedovanza, gradualmente ci ha guidate a comprendere il nostro essere persone singole, dopo lo spezzarsi della vita coniugale. Perché tutto ciò? Che cosa ci chiede il Signore? Come possiamo entrare nel disegno divino? Ci ha ricondotti alla nostra fede e alla speranza cristiana, con leggerezza e sapienza del cuore. Ci ha molto stimolate ed incoraggiate, promettendoci di continuare la sua riflessione in un’altra occasione in seguito, anche per rispondere alle tante domande che ha suscitato in noi. Ha fatto poi seguito la celebrazione della S. Messa presieduta da Mons. Vittorio Nozza con il nostro assistente diocesano, don Mario Perletti, nella chiesa di Comonte; lì abbiamo anche sostato davanti all’urna di Santa
[Consorelle Vedove] Paola Elisabetta Cerioli, Fondatrice delle Suore e dei Padri della Sacra Famiglia. Un pranzo delizioso, con un menù ricco di gustose ricette e ben preparato e… I molti discorsi e battute ci hanno permesso anche di conoscerci meglio e di sentirci maggiormente unite in questa ricorrenza. Il pomeriggio è stato animato da una maxi-tombola giocata nella palestra dell’Istituto e guidata dalla nostra Presidente diocesana signora Elvira Scaravaggi, coadiuvata da alcune volenterose vedove. Le impressioni che abbiamo raccolte sul pulmino nel nostro viaggio di ritorno sono state molto positive; auspichiamo che l’anno prossimo si ripeta questa esperienza, magari allargata ad altre nostre consorelle. Alla prossima Antonietta
Titolo Titolo Titolo Probabilmente nessuno di noi pensa al battesimo come a un rito magico, qualcosa che accade a prescindere dalla propria coscienza e volontà, anche se capita ancora, a volte di trovarsi di fronte a richieste sconcertanti: <<Mio figlio ha due anni, è un mese che di notte piange sempre, ho pensato che gli succede perché non è ancora battezzato. Me lo può battezzare subito Padre? >>. O anche: << Il bambino è sempre malato, mia suocera mi ha detto di battezzarlo subito perché è colpa del demonio. Come devo fare?>>. Ma, al dì la dei casi estremi, la percezione di un gesto differente nella forma e nella sostanza dall’opera di un buon prestigiatore è pian piano maturata nella coscienza del popolo di Dio. Il controllo sociale, in una città ma anche nei nostri paesi si è molto abbasso: nessuno si sente più di tanto spinto a scegliere di battezzare un bambino. C’è a volte l’insistenza di qualche parente, altre volte il desiderio di omologare le scelte per il figlio a quelle della maggioranza degli amici, ma tutto si può lasciar cadere senza preoccupazioni
eccessive. PERCHE’ BATTEZZARE UN FIGLIO? Rimane tuttavia un problema aperto e non è problema da poco. Molte delle famiglie spesso chiedono il battesimo per il figlio come legame a una tradizione nella quale si riconoscono al di là di una <<pratica>> scarsa o quasi inesistente, ma non hanno una reale percezione di ciò che questa scelta significhi. C’è un desiderio ancora confuso, eppure realissimo, di una benedizione che scenda dall’alto. E’ come se un padre e una madre, davanti al mistero di un figlio che tengono tra le braccia, alzassero lo sguardo al cielo e dicessero: <<Pensaci tu, Dio: guarda questo bambino e proteggilo, mettigli una mano sul capo, accompagnalo nella vita>>. Vuol dire molto, certamente, portarsi nel cuore un desiderio così, ma forse non è ancora abbastanza. Il più delle volte questo desiderio si consuma nello spazio del rito, la domenica tra pochi parenti e amici. Poi, le fatiche della vita, le preoccupazioni quotidiane, gli affanni delle cose di ogni giorno ricacciano in un angolo questo anelito, lo nascondono e lo perdono in stanze sempre più ingombrate di ansie e di problemi. Il battesimo non vuole essere soltanto questo. Nutre la pretesa di essere non soltanto un rito da celebrare, ma di aprire alla vita, alla vita cristiana e a quella di tutti giorni, visto
Battezzare che le due cose non si ostacolano a vicenda, ma camminano con il medesimo passo. Un prete non fa figli, ma questo non significa che sia estraneo al miracolo della vita che si apre. Non c’è nulla di autenticamente umano che sia estraneo alla fede. Credere è innanzitutto lasciarsi sorprendere dalla vita; la gioia di un genitore che porta un bambino al fonte battesimale non è lontana dalla gioia di un prete che sperimenta la grazia di generare alla fede. Ci si accorge che la vita e la fede sono più forti delle nostre paure e che Dio apre un futuro e promette ancora di condurre la storia verso il bene; per questo battezzare per un prete è un gesto di servizio alla Chiesa, ma anche un segno di grazia che lo ricolloca al cuore del ministero e della sua possibile fedeltà. BATTEZZARE SIGNIFICA <<CELEBRARE>> Normalmente tutto quanto riguarda il battesimo di un bambino è come scandito in tre tempi: quello della preparazione, quello della celebrazione e quello dell’accompagnamento successivo. Qualche genitore arriva a chiedere il battesimo del proprio figlio un po’ preoc-
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cupato: <<Quanti incontri dobbiamo fare? Dobbiamo uscire di sera? Possiamo portare con noi il bambino? Non possiamo permetterci una baby – sitter!>>. Forse noi preti rischiamo di cadere nell’illusione che una buona preparazione al battesimo sia direttamente proporzionale al numero degli incontri che chiediamo ai genitori. A volte addirittura cadiamo in una sorta di accanimento riproducendo all’infinito gli appuntamenti per le coppie che ci sembrano le più fragili: divorziati risposati, coniugi abitualmente lontani dalla pratica religiosa… L’effetto rischia di essere quello di una <<megatassa>> da pagare, terminata la quale è praticamente certo l’abbandono della prassi di fede fino al figlio successivo. E’ evidente che anche l’estro opposto non può funzionare e che non a senso trovarsi di fronte, nel giorno del battesimo, a dei genitori completamente ignari di quanto sta per accadere. L’attenzione pastorale ci domanda innanzitutto di curare bene gli inizi ed è un buon esercizio ascetico quello di predisporci bene anche agli incontri che iniziano nel modo peggiore. La nostra prima reazione di fronte alla richiesta del battesimo non può esser soltanto quella dettata dall’esigenza di
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rivelarsi degli attenti funzionari, quanto quella di far percepire la nostra alleanza gioiosa con i genitori e la nostra partecipazione cordiale alla loro felicità per il dono della vita. Il passo successivo potrà essere allora un sguardo approfondito per comprendere più da vicino la loro condizione dii fede e la fatica della loro vita, spirituale e non. Si parte da dove ciascuno si trova. Il momento celebrativo è spesso contrappuntato dalle urla e dai pianti dei bambini. Purtroppo, a volte, anche dalle chiacchiere degli adulti che sembrano di esser capitati in una chiesa quasi per caso. La fatica della celebrazione, d’altra parte, ne rivela anche la bellezza. La famosa scena descritta dal Vangelo di Marco del<<lasciate che i piccoli vengano a me>> non ricorda certamente l’ordine di una parata militare. I bruschi richiami che continuamente vogliono riportare all’ordine somigliano pericolosamente alle parole dei discepoli che pretendono di allontanare i bambini da Gesù. Celebrare un battesimo è soprattutto restituire la semplicità e la trasparenza dei gesti e delle parole di bene che Gesù ha regalato ai piccoli. Tutto il rito è segnato da un continuo <<toccare>> e <<benedire>> il bambino: dal segno della croce alle unzioni, dal prenderlo in braccio per l’infusione dell’acqua al momento dell’Effatà, dal segnare con il crisma al rivestire il neonato con l’abito battesimale. Un tocco fatto con grazia vuole esprimere la carezza di Dio, come Gesù sapeva fare. Il passaggio forse più difficile
è legato al dopo. Nonostante le buone intenzioni del prete e delle stesse famiglie, non è così facile tenere il legame esile che l’incontro per la celebrazione ha fatto nascere. C’è la fatica della vita: le giovani coppie vivono uno dei momenti più complicati della parabola matrimoniale. Conciliare l’arrivo di un figlio con il lavoro, la conduzione della casa, situazioni a volte difficili all’interno della cerchia parentale, spesso senza poter contare su qualche rete di collaborazioni, non è certo impresa semplice. Una fede un po’ esile corre il rischio di perdersi subito. Sul versante del prete e della comunità, occorre riconoscere che spesso i ritmi parrocchiali non lasciano troppo tempo, purtroppo, per la cura e l’approfondimento delle relazioni, eppure non siamo completamente senza risorse. Da una parte, ci possiamo e ci dobbiamo fidare di più della grazia e del sacramento. L’efficacia reale dell’azione della grazia va molto al di là di quello che possiamo immaginare e non passa necessariamente sempre dalla nostra opera; dall’altra parte, proprio per assecondare la grazia e non spegnere lo Spirito, ci viene data l’opportunità di tessere una rete di incontri, amicizie e contatti che aiutino i genitori del battezzato a sentirsi meno soli.
Se poi il battesimo è l’inserimento in una comunità cristiana, è fondamentale che chi battezza i propri figli non incontri soltanto il prete. Si apre qui un compito, diremmo un <<mistero specifico>>, di chi condivide la cura pastorale a partire da una vocazione di tipo familiare. CHE COSA DICE A UN PRETE UN BAMBINO CHE NASCE? Cosa dice un prete ai genitori che si preparano al battesimo? Forse la domanda è più seria: che cosa dice a un prete la grazia di un figlio che nasce? Un primo tratto che impariamo dalla grazia della vita che nasce lo leggiamo semplicemente nel volto dei genitori. Portano i loro bambini tutti presi da un incanto e da uno stupore quasi infantile. Mentre ti parlano sono rapiti dalla bellezza del bambino e insieme concentrati dal timore che suscita la fragile vita di un figlio. E noi stessi, preti, impariamo da capo lo stupore e il timore che dispongono a guardare la vita in modo nuovo. Anche un prete conosce l’incanto per la bellezza e il tremore di fronte al miracolo della generazione. Battezzare una creatura ci ricorda l’invito di Gesù a tornare bambini perché il regno dei cieli è di chi è come loro. Un’altra cosa possiamo imparare ed è una delle più difficili: la fiducia di fronte al futuro. Fare un figlio oggi è un atto di coraggio e tutto sembra concorrere a impedire la fiducia verso il futuro: un figlio costa, non c’è tempo per seguirlo, troverà un mondo brutto e difficile… Eppure i bambini nascono ancora.
Tutte queste considerazioni e queste paure sono spazzate via dal sorriso di un bambino. Un prete che battezza un neonato è lui stesso invitato ad avere più fiducia e a vincere le paure del futuro perché ci sono paure che sono dentro di noi e sono difficili da sciogliere; vediamo invecchiare inesorabilmente le nostre assemblee, sperimentiamo la fatica nella trasmissione della fede alle nuove generazioni e ci sentiamo scossi dagli scandali che attraversano la vita della Chiesa. E ci chiediamo: ci sarà un futuro? Il battesimo ci invita a fidarci dell’opera della grazie che assume il corpo e il volto di un bambino. Basta un germoglio e possiamo ancora assistere al miracolo di un inizio, come il vecchio Simeone che tiene tra le braccia un bambino e già scorge in lui il volto del Messia benedetto. Ci piace ricordare un ultimo aspetto che possiamo imparare dal battesimo dei bambini. Li accogliamo nella Chiesa, facciamo loro posto nella comunità, e sappiamo quanto è importante, ma anche fragile, questo legame. Oggi forse è il lato più esile del rito, non è certamente sentito come un momento della propria appartenenza alla vita della Chiesa, quanto piuttosto come un rito personale. Eppure, di questo un figlio ha bisogno: di una casa, di una rete di affetto che circola nell’aria e gli permette di muovere i primi passi nella vita in un mondo addomesticato. Un prete condivide con i genitori l’avventura di <<fare casa>> e di disporre luoghi e tempi di fraternità e familiarità perché tutti si sentano accuditi
e accolti in una casa comune: la parrocchia. Per concludere, ci piace ricordare un nostro grande educatore, Don Luigi Serenthà. Un suo cavallo di battaglia era il rimarcare come il prete, prima di tutto, fosse un credente: la storia di una vocazione sacerdotale è quella di un uomo che scopre la sua fede nel diventare prete. Ci fa bene ritornare alla coscienza battesimale, al sacerdozio battesimale, come alla sorgente della nostra vocazione, Essa ci riporta alla condizione comune, quella che condividiamo con tutto il popolo di Dio: l’essere <<semplicemente>> dei credenti, il vivere la nostra fede come relazione di figli con il Padre e di fratelli nella sua Chiesa. Certo, in questa Chiesa ci siamo come preti, presiediamo la vita della comunità, ma mai stando <<sopra>> o <<fuori>> da quella condizione comune che è il medesimo sacerdozio, il comune battesimo.
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Effetto Francesco Scusate se inizio questo articolo con un ricordo personale, poi capirete perché. Ricordo la prima volta che ho visto da vicino il Vescovo Francesco, ero in chiesa a Mozzo, a uno dei primi incontri vicariali. Mi è passato vicino, con un giaccone e nessun “segno” viola. Quasi non lo riconoscevo! La seconda volta, sempre a Mozzo, la sera che hanno eletto Papa Francesco. E’ entrato al bar dell’oratorio e ha appeso il giaccone e la borsa, sugli appendini sul muro, vicino a me. Quella sera c’è stata una gran festa! E così è stato eletto Papa Francesco, noto per le sue scarpe nere e la borsa che porta “da solo”! Confesso che sono andata a questo convegno un po’ per “dovere di partecipazione”, ma da subito ho capito che il clima era diverso, come ha poi commentato lo stesso Vescovo Francesco, sono state relazioni “profondamente appassionate” (se vi interessano i testi completi li trovate sul sito della Diocesi “Convegno liturgico “eucarestia ...”). Tema della giornata: a) “l’Eucarestia forma della comunità cristiana” b) “l’Eucarestia come dà forma ai nostri vissuti nella società”. a) Qui vi riassumo quello che mi ha colpito, iniziando da alcune premesse fatte: 1) Il termine “convegno” siLa Lettera
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gnifica convenire, essere tutti raccolti dall’appartenenza alla Chiesa e la formazione che si riceve deve avere una ricaduta nella propria parrocchia. 2) Riunirsi nell’Eucarestia è una dimensione ecclesiale. Quello che crediamo e celebriamo dovrebbe essere un tutt’uno con quello che viviamo. 3) L’assemblea celebra ma poi la comunità vive nella storia, è il popolo regale, che vive nella carità, nell’amore al prossimo. 4) I ministeri (gli incarichi che svolgiamo) devono essere espressione della propria comunità, ogni ministero è a servizio della comunità, perché il servizio è una chiamata all’interno della comunità Parlando di Eucarestia è stato detto: sull’invito del Signore, la comunità fa memoria del Signore risorto, mistero di morte e resurrezione. Si raccoglie nell’ascolto della Parola e nello spezzare il pane, nell’attesa della domenica senza tramonto, nella tensione definitiva. Dobbiamo vivere con questa speranza. Per questo la comunità conviene dalle proprie case, convocata dal Signore, chiede perdono e celebra la Parola. Poi....si mette in servizio! Il popolo sacerdotale, profetico, regale è fatto da persone
[Convegno liturgico a cura di Ivana]
(noi) che si lasciano interpellare e coinvolgere. Parlando di ministeri (es. catechisti e ministri straordinari della Comunione, che ricevono un mandato) è stato detto: I ministeri assumono una conformazione diversa, collegata alla propria realtà territoriale. Il costituirsi della comunità, l’essere in comunione, scopre nella celebrazione l’identità più profonda. La fonte e il culmine! Fondamentale è la relazione/ incontro col crocifisso. La ministerialità che si vede in una celebrazione, dà senso alla partecipazione. Il ministro si plasma, per poi plasmare a sua volta quella specifica comunità. Il catechista si impegna ad istruire i fratelli. Chi si offre per il servizio della catechesi deve essere in grado di suscitare il desiderio in chi lo ascolta di diventare a sua volta catechista. Deve suscitare il desiderio di mettersi a sua volta a servizio, affinché diventi anche lui parte della comunità. I ministri straordinari dell’Eucarestia devono essere anche ministri della carità. Devono rispettare il dono che viene messo loro nelle mani, ma devono anche essere compagni di viaggio a nome della comunità, nella cura agli infermi. Gesù ha detto “che vi amiate l’un l’altro come io ho amato voi”. Ciascuno si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che è di
sua competenza. L’assemblea viva la celebrazione lasciandosi plasmare, formare dalla celebrazione stessa, per vivere in rendimento di grazie. Questo tempo ritrovato ci aiuta a ritrovare il tempo Altro. Non dobbiamo lasciarci rubare la festa, la gioia. Dobbiamo scuoterci dall’accidia spirituale(pigrizia) che a volte ci prende. La comunità ci chiama ad essere non semplici figure, ma un coro! Ricordiamoci che non assistiamo alla Messa, ma celebriamo! b) Come bisogna comportarsi rispetto alla laicità? A chi non crede? Come si fa a contribuire a rinnovare la società? Come si può agire in modo coerente e maturo tra credenti e non credenti? Quanto sono uomo/donna di parola? Non è la preparazione alla confessione! Sono domande di senso della vita. Un tempo il credente faceva offerte per ingraziarsi un Dio che non conosceva bene. Già i profeti dicevano “detesto e respingo i vostri doni” - “cessate di fare il male, fate il bene”. La strada del culto può trarre in inganno, Gesù fu preso da viscerale passione perché le pecore erano senza pastore “voi stessi date da mangiare”. Celebrare senza vivere è il tradimento del Dio delle strade, delle case, delle malattie.... Bisogna cambiare il mondo, non solo dentro ma anche fuori.
E’ apparsa una patologia nella celebrazione, perché il comportamento non è coerente. E’ un mangiare la propria cena personale, in totale assenza di incontro. Quando Gesù dirà “voi non so di dove siete, voi tutti operatori di ingiustizia” noi da che parte saremo? Detto chiaramente, bisogna impegnarsi nel sociale, nella politica, per migliorare il mondo, rispettando le diversità. Altrimenti diventiamo un club, dove si va d’accordo tra di noi e si lascia il resto del mondo fuori! Ricordiamoci che esiste la Misericordia, che non vuol dire essere dei “mollaccioni”. Ricordiamo la parabola del fico. La potatura fa crescere. E’ una scelta, chi non si rigenera degenera. E’ una legge di natura. Dobbiamo avere ilo coraggio di smenarci qualcosa! Di lasciarci potare! Capisco che riassunto così è un po’ difficile da capire, ma Don Cristiano ha usato un gergo giovanile, di cui difficilmente si riesce a comunicare la forza. Quale responsabile della Direzione dell’ufficio pastorale del lavoro evidentemente vive quotidianamente a contatto con i problemi sociali. Il Vescovo Francesco ha poi concluso l’incontro con le sue considerazioni personali: “Nella liturgia siamo introdotti alla sorpresa di Dio, la sorpresa di Dio alimenta le sorprese umane. La missione della Chiesa è annunciare il Vangelo. Bisogna continuare a tornare alla sorgente, al
magistero del Papa. Noi vorremmo che gli altri paesi scoprissero la bellezza del Vangelo, ma noi dobbiamo dare l’esempio. Il Papa dice di leggere il Vangelo tutti i giorni. Nei paesi poveri, il sacerdote passa una volta al mese per l’Eucarestia. Noi che abbiamo l’Eucarestia corriamo il rischio di non sentire il bisogno di vita cristiana! Se entra nella nostra chiesa, adesso, uno che non ci conosce avverte che cosa sta succedendo? La nostra celebrazione è partecipata? Stiamo celebrando tutti?” Concludendo, dobbiamo darci da fare! In qualsiasi posto noi ci troviamo a vivere, dobbiamo essere testimoni credibili, farci riconoscere in mezzo agli altri con la nostra testimonianza. Per essere forte bisogna attingere alla Parola e essere in comunione con la comunità di appartenenza. Cose semplici, alla portata di tutti. Sono cose risapute per chi frequenta regolarmente la Parrocchia, ma si sa che tra il dire e il fare... Allora prendiamo esempio da loro! Da questi due testimoni della fede. Prendiamo esempio per diventare umili, coerenti, giusti. Ricordiamoci della loro semplicità e della loro allegria (il Vescovo Francesco ama raccontare aneddoti della sua vita, così come fa il Papa). E allora non lasciamoci rubare la Speranza! Effetto “Francesco”! La Lettera giugno ‘15
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Dunque, è arrivato il momento...
E’ arrivato, anche se fino al 10 Settembre rimarrò parroco di Gromlongo. Il giorno del mio compleanno, 27 Febbraio, sono stato chiamato dalla segretaria del vicario generale, non per gli auguri, ma per un colloquio. E il 3 Marzo il Vicario, a nome del Vescovo, mi ha chiesto di andare a fare il parroco in tre parrocchie diverse: Solto Collina, Esmate e Zorzino. Ho accettato, non avevo motivo per non farlo: diventando sacerdoti ci mettiamo al servizio della Chiesa di Bergamo, non di una parrocchia particolare. Ci puoi raccontare le tue tappe, dall’ordinazione ad oggi? Sono stato curato ad Osio Sopra per otto anni, dove era parroco don Eliseo Pasinelli. Nel Settembre del 2004 sono diventato parroco di Gromlongo e curato di Palazzago. Dunque una bella sfida, tre parrocchie… lì avrai il titolo di La Lettera
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“arciprete”, vero? Sì, ma non cambia niente! E’ solo un titolo legato alla storia di alcune parrocchie, tra cui Solto Collina, che per prime ebbero il fonte battesimale e divennero così pievi. Di qui il titolo di “arciprete plebano”. Delle tre parrocchie, Solto Collina è la più grande (circa 1500 “anime”), e poi ci sono le più piccole comunità di Esmate (200 abitanti) e Zorzino (300 abitanti). Il cambiamento è anche tempo di bilanci. Ci sono dei “frutti” che ti pare di vedere crescere nella comunità? E quali i punti su cui ancora insistere? Ci sono state delle soddisfazioni, il lavoro svolto ha prodotto dei risultati. Ma è sempre difficile giudicare: se ci sono dei frutti, li vedranno il Signore e la comunità. Negli anni ho cercato di lavorare sul senso di appartenenza a questa comunità, visto che molte persone abitano a Gromlongo da poco tempo. E’ molto importante – e spero si continui su questa stra-
[Michail e Vanessa intervistano don Lorenzo]
da – il lavoro svolto con le vicine comunità di Palazzago, Barzana, Burligo e Roncallo Gaggio. Quando sono arrivato, questa collaborazione non c’era ancora. Ci siamo avvicinati tra parroci e, con qualche iniziale resistenza di “campanile”, alla fine questo lavoro è stato accolto e apprezzato. Non dimentichiamo che questa collaborazione nasce da una precisa volontà espressa dai vescovi Roberto e Francesco. Come hai vissuto l’essere Vicario parrocchiale anche a Palazzago? Ho cercato di vivere il servizio di vicario con la disponibilità verso i parroci, prima don Elio e poi don Giuseppe, compatibilmente con il mio ruolo a Gromlongo. Lavorare con i parroci di Palazzago è stato come salire su un tandem: ognuno ha la sua gamba, ma bisogna sforzarsi di andare insieme. Ho cercato di “pedalare” insieme a loro, e loro hanno accettato di pedalare con me, cercando l’uno la velocità dell’altro. Per questo li ringrazio. Ho potuto vivere esperienze in comune, come le gite del
CRE, i campi invernali e le vacanze estive. Inizialmente si è trattato di un “accorpamento” dovuto, costretto dalla necessità di essere presente per entrambe le parrocchie. Ma con il tempo, questo ha facilitato la capacità di stare insieme e non chiudersi nel proprio piccolo, soprattutto per i ragazzi delle due diverse comunità. E alcune cose, fatte insieme, sono risultate anche più belle.
Palazzago. Dopo undici anni trascorsi insieme, saluti qualcuno perché lo conosci, per-
Sarà don Roberto Plebani, attualmente parroco di Grignano, a succedere a don Lorenzo. Già da ora gli assicuriamo la nostra amicizia, accoglienza e preghiera per un fecondo ministero nella nuova Parrocchia e nella Zona Pastorale. Cosa ti mancherà di questi posti? Ormai ci conosciamo veramente un po’ tutti, anche a
ché c’è una storia condivisa. Quando invece si entra in una nuova parrocchia, si salutano degli sconosciuti, che a loro volta salutano un parroco sconosciuto. Mi mancheranno le relazioni, mi mancherà una storia vissuta insieme alle persone.
le compiuto in mezzo a noi. Ci puoi lasciare un augurio? Gesù ci ha detto: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Auguro che Gesù Cristo rimanga sempre tra voi e che queste comunità, partendo dal Vangelo, non smettano mai di viverlo, con le possibilità e le fatiche che oggi comporta credere. Tra voi ho trovato molte testimonianze di fede: vi ringrazio perché mi hanno aiutato a vivere meglio la mia fede e il servizio sacerdotale.
Ti vogliamo dire il nostro grazie per la tua testimonianza e il lavoro pastoraLa Lettera giugno ‘15
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1945 -25 aprile- 2015
[Non muoio neanche se mi ammazzano! Giovanni Guareschi]
Nel 70° anniversario della Liberazione don Giampaolo ha presieduto l’Eucarestia, affidando all’assemblea alcune riflessioni che riprendiamo qui.
È da poco uscito un libro di un giornalista attento osservatore della storia del nostro paese e della società italiana, Aldo Cazzullo, che racconta tanti avvenimenti e presenta figure diverse di persone che hanno sognato e atteso con tutte le loro forze questo giorno, il 25 aprile, il giorno della fine della Seconda Guerra Mondiale. Alcune di loro lo hanno potuto vivere, questo giorno della liberazione, altre – non poche – sono morte prima. Hanno inteso e vissuto la loro morte come un dono, un segno, una testimonianza. Tra questi il comandante Franco Balbis di cui abbiamo appena ascoltato l’ultima lettera da lui scritta prima di morire davanti al plotone d’esecuzione. Non era un comunista, il capitano Franco Balbis. Era un soldato che guardando a ciò che stava accadendo, non ha La Lettera
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coperto la sua coscienza, l’ha lasciata parlare. Così che, dopo l’8 settembre 1943, ha preso posizione, ha compreso che i tedeschi portavano un’idea di uomo e di potere che era contro la verità dell’uomo
stesso. Così ha trovato un bel motivo per poter morire. Queste persone credo che ci dicano proprio questo: non possiamo far tacere la nostra coscienza di uomini, non possiamo costruirci ragioni false che ci giustifichino nel non essere per la libertà, per il bene dell’uomo, chiunque egli sia. Queste persone ci ripetono, 70 anni dopo, che se non si ha un motivo per morire, significa che non si ha nemmeno un motivo per vivere e forse una delle grandi fatiche che abbiamo noi, uomini del secondo decennio del Duemila, è proprio questo: non sapere per che cosa vivere, per che cosa dedicare l’esistenza. Il nostro tempo è stato chiamato tempo delle passioni tristi (Bensayag e Schmit) o anche tempo del disicanto (Taylor): epoca in cui niente ci convince del tutto,
ci prende e rapisce l’assenso, orienta il cuore. Sembra appunto che non ci possa essere nessuna ragione talmente valida da essere perseguita con tutto se stessi. Sembra di dover avere sempre una via di uscita verso qualcosa d’altro che ci sembra al momento più rassicurante, più gratificante. Rischiamo di non sentire più la questione della verità e del senso da dare all’intera vita, al complesso della propria esistenza. I tanti uomini e donne che hanno rischiato la vita ci dicono che invece non può essere così, a una persona umana è dato di essere segno di una realtà che lo supera e che insieme può vivere in lui, nella sua libertà, nelle sue scelte. Scelte che chiedono fedeltà, affidabilità. La vita di chi è preso dalle passioni tristi si riduce al vivere il mero presente. Gli uomini e le donne che sono morti per un’Italia libera e onorata lo hanno fatto perché sognavano un futuro, perché sapevano che era il futuro a dare un orizzonte alla loro libertà... Un ricordo anche per gli I.M.I., i militari italiani internati dai tedeschi... Erano circa 800.000. Tra loro più di 600.000 dissero “No” ai tedeschi che gli proponevano di diventare soldati della Repubblica di Salò. Tra questi ci fu anche mio padre...
Babbo adorato, il tuo unico figlio si allontana da te. Non perderti d’animo e accetta quest’ultimo volere di Dio. Ti raccomando la mamma: anche per lei devi essere forte. Muoio con la grazia di Dio e con tutti i conforti della nostra religione. Nel momento supremo tu sarai nel mio cuore e nel mio labbro. Arrivederci, babbo, ti stringo a me nel virile abbraccio degli uomini forti e chiedo la tua benedizione. Babbo adorato, se la mia vita fu serena e facile io lo devo a Te, che mi hai guidato col tuo amore, col tuo lavoro, col tuo esempio. Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra terra a essere onorata e stimata nel mondo intero. Prego i miei di non voler portare il lutto per la mia morte; quando si è dato un figlio alla Patria, comunque esso venga offerto, non lo si deve ricordare col segno della sventura. Con la coscienza sicura d’aver sempre voluto servire il mio Paese con lealtà e con onore, mi presento davanti al plotone d’esecuzione con cuore assolutamente tranquillo e a testa alta. Possa il mio grido “Viva l’Italia libera” sovrastare e smorzare il crepitio dei moschetti che mi daranno la morte; per il bene e l’avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice. Franco Balbis Torino, 5 aprile 1944 Dal Diario partigiano di Ada Prospero Gobetti: Per quanto fossi stanchissima, non mi riusciva di dormire. Pensavo a tutto quel che era accaduto in quella lunghissima giornata; ma pensavo soprattutto al domani. I colpi d’arma da fuoco che sentivo ancora lontano, di quando in quando, mi ricordavano che, nonostante l’esaltazione festosa di quel giorno, la guerra non era ancora finita; e sapevo che grosse forze tedesche erano ancora a poca distanza da Torino. Ma non era questo in fondo che mi preoccupava. La lotta cruenta – anche se si potevano avere ancora degli episodi terribili – era virtualmente terminata... Presto sarebbero giunti gli Alleati. Non ci sarebbero più stati bombardamenti, incendi, rastrellamenti, arresti, fucilazioni, impiccagioni, massacri. E questa era una grande cosa. E neanche mi spaventavano le difficoltà pratiche, materiali, che bisognava affrontare per ricostruire un paese disorganizzato e devastato: ché le infinite risorse del nostro popolo avrebbero trovato per ogni cosa le più impensate e impensabili soluzioni. Confusamente intuivo però che incominciava un’altra battaglia: più lunga, più difficile, più estenuante anche se meno cruenta. Si trattava ora di combattere non più contro la prepotenza, la crudeltà e la violenza – facili da individuare e da odiare -, ma contro interessi che avrebbero cercato subdolamente di risorgere, contro abitudini che si sarebbero presto riaffermate, contro pregiudizi che non avrebbero voluto morire: tutte cose assai più vaghe, ingannevoli, sfuggenti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione. Piero Calamandrei, Discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria, Milano, 26 gennaio 1955 La Lettera giugno ‘15
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Artefede: Fontanella
[Sorpresa 2]
Dopo Pontida, ecco la seconda proposta di Artefede, con tappa a Fontanella di Sotto il Monte, nella chiesa romanica di S. Egidio e negli spazi del chiostro e della Rettoria.
Nutrito anche questa volta il gruppo di partecipanti che, attraverso la storia presentata da don Giampaolo, ha fatto un tuffo nei secoli passati, quando, dopo l’anno 1000, il 13 gennaio 1080, venne fondato il priorato di Sant’Egidio. Esso nacque dalla pietas di un potente e del suo consortium familiare, S. Alberto da Prezzate. L’intento è espresso dallo stesso Alberto: pro anime mee et Teiperge et Isengarde seu Johanni mercedem; attraverso quest’opera cercava la salvezza dell’anima per sé e i suoi cari. E proprio su Teiperga si concentrarono la curiosità e la fantasia degli storici locali, che la identificarono con la regina Teutberga, moglie ripudia-
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ta del re Lotario lI, vissuta nel IX secolo e dunque anteriore di due secoli alla benefattrice e fon¬datrice del monastero, come viene definita Teiperga in due documenti dei 1308 e 1536, qui sepolta in un sarcofago, collocato sin dal 1479 entro un’edicola di recupero, addossata al lato meridionale della chiesa. Il monastero, forse originariamente femminile e dipendente da S. Giacomo di Pontida, fondato solo quattro anni prima dallo stesso Alberto, divenne un priorato autonomo nel 1095 e per tutto il XII secolo svolse un’azione socio-economica importante nell’isola, come testimoniano numerosi atti di acquisto, permuta e donazione di terre da parte della nobiltà locale. Nelle antiche carte anche le terre di Palazzago risultano possedimento del monastero. Ma già nel XIII secolo andava decadendo, se bisognava nominare un priore proveniente dall’Alvernia, e così nel XIV secolo i documenti segnalano tristemente debiti e difficoltà economiche del cenobio, sino alla decisione finale di papa Sisto IV, che nel 1473 decise di annetterlo alla basilica di S. Marco a Venezia. (...) Dalla seconda metà del XVII secolo la chiesa tornò in possesso della diocesi bergamasca, diventando parrocchia del distretto, mentre il monastero con tutte le sue dipendenze, divenne proprietà privata dei
principi Giovannelli, appartenenti al patriziato veneziano. Negli anni trenta fu costruita la nuova parrocchiale ed in essa furono trasportati tutti gli arredi sacri e suppellettili della chiesa monastica. Gli edifici monastici, con i relativi possedimenti, nel 1914 vennero ceduti alla famiglia Radaelli che li tenne fino al 1948. Non potevamo non far risuonare alcune parole di Padre Turoldo, rapiti dai severi eppur suggestivi affreschi del catino absidale con il Cristo Pantocrator assiso in trono, circondato dai quattro evangelisti e dai rispettivi simboli. David Maria visse qui per molti anni, da quando l’allora Vescovo di Bergamo, Clemente Gaddi, gli diede ospitalità. Alla sua tomba, nel piccolo cimitero del paese, abbiamo fatto visita prima del ritorno.
DIALOGO DELLA CHIESA E l’Abside dice Io sono il confine della tenebra. E la Facciata dice Io sono la muraglia del cielo. E la Navata maggiore dice Io sono la via lattea del Signore. e le Colonne dicono Noi siamo la selva immobile. E la Volta sopra l’altare dice Io sono l’arcobaleno eterno. E la Cripta dice Io sono la stiva dei corpi che dormono nel Signore. E l’Altare maggiore dice Io sono la mensa della vita. E il Tabernacolo dice Io sono l’arca del silenzio. E un Capitello dice Io sono un nido di angeli. E un altro Capitello dice Io sono un fascio di palme. E un terzo Capitello dice Io sono un nodo di sole. E il Tetto dice Io sono il limite dello spazio. E il Chiostro dice Io sono l’anello della sposa. E una Cella dice Io sono la camera segreta dell’amore. E la Sacrestia dice Io sono il vestibolo delle nozze. E un Arco romanico dice Io sono la rotondità della terra. E un Arco gotico dice Io sono la verticalità del verbo. e il primo Arco dice Io sono la perfezione della luce. e il secondo Arco dice Io quella del Mistero.
Archi, capitelli, colonne voi non siete che forme dello spirito, la sintesi; Egli si è fatto in noi di carne, noi ci siamo fatti in voi di pietra, per essere tutti insieme l’Unità. E come ogni mattone ha bevuto una goccia del suo sangue, cosi ognuno canti ora la nota della sua misurata libertà. Perché voi siete tutti insieme l’Armonia. E quando forse gli uomini non parleranno più di lui, continuate a parlare voi, o pietre. Porto negli occhi tre esili finestre sorelle del silenzio nel grembo di un’abside, fessure dell’infinito: spiano nella notte l’intenerirsi del cielo, sognano ad occhi socchiusi il ritorno del Signore. (Angelo Casati)
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Titolo Titolo Titolo Andare nel mondo con uno stile di pace
[Convegno Missionario Ragazzi]
Ogni anno cresce la partecipazione delle comunità parrocchiali al Convegno diocesano missionario, giunto alla sua 91a edizione: quasi un centinaio le parrocchie rappresentate in Città Alta, Domenica 1 marzo, alla presenza di 1.600 bambini e ragazzi e da più di 600 adulti. Un fiume colorato che ha intersecato i percorsi dei turisti, che ha abitato gli spazi dell’oratorio del Seminarino per i momenti di riflessione e di attività e che ha inondato la cattedrale per la celebrazione eucaristica. Dalla nostra Comunità, come programmato lo scorso anno, sono invitati a partecipare gli amici di 4 e 5 elementare e di 1 media: le annate in cui non ci sono i sacramenti e alle quali si chiede un’attenzione particolare alla missione. Patrizia, che ha accompagnato i ragazzi insieme ad altri catechisti e genitori, ci racconta così la giornata.
UN PANE GRANDE, GRANDE L’esperienza del convegno missionario è stata un’occasione di amicizia, di condivisione e di solidarietà veramente bella…l’entusiasmo è andato crescendo man mano che arrivavano al seminarino di Città Alta i numerosi gruppi di ragazzi provenienti dalle parrocchie della nostra diocesi, sembrava un flusso infinito, eravamo davvero tantissimi… Ogni gruppo ha potuto ascoltare la testimonianza di
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qualche laico missionario che ha coinvolto i ragazzi con il racconto della sua esperienza, portandoli a riflettere sul valore del dono offerto e ricevuto e sulla necessità di avere del cibo per sfamarsi, in particolare del pane, un nutrimento semplice, essenziale, povero di ingredienti che è frutto del lavoro dell’uomo e che richiede tempo e pazienza nella sua lavorazione. Il pane può essere spezzato per essere condiviso con gli altri ed è questo che ci chiede di fare Gesù alla mensa eucaristica, invitandoci a fare comunione con Lui e ad essere in comunione tra noi. Ci siamo quindi incamminati per l’atteso incontro con il Vescovo e la celebrazione della s. Messa. Ognuno di noi aveva in mano una fascia colorata, rossa, verde, bianca, blu o gialla che rappresentavano i colori dei cinque continenti. Dopo la festosa e calorosa accoglienza
al Vescovo e il saluto in varie lingue, siamo entrati in cattedrale. La chiesa era stracolma di gente, ovunque c’erano ragazzi sorridenti, volti gioiosi e uno sventolio di colore. Ogni gesto è stato carico di significato: al momento dell’atto penitenziale è stato chiesto a tutti di coprirsi gli occhi con la banda colorata perché il male, il peccato ci offusca, ci fa cadere nelle tenebre, mentre il perdono ci ridà la luce e l’amore. La gioia dell’annuncio della parola di Dio è stata seguita da manciate di coriandoli lanciate dai pulpiti che ci hanno inondato come la pioggia che fa germogliare la terra sulle note del canto; al momento dello scambio della pace tutti hanno avvolto la fascia intorno al polso e hanno stretto la mano al vicino come invito a creare relazioni di pace tra i vari continenti. Al termine, un canto missionario in spagnolo
ha introdotto la riflessione del Vescovo che è stata preceduta dal racconto di un aneddoto della vita di San Francesco, il quale doveva recarsi con un fratello in chiesa a predicare, ma la strada è diventata per loro il luogo dove annunciare e testimoniare il Vangelo di Gesù compiendo gesti d’amore verso chi era sul loro cammino. Alla domanda su come annuncia il vangelo oggi, il Vescovo ha risposto così: ASCOLTARE PER PARLARE cioè ascoltare la parola di Dio e ascoltare le persone; ascoltare è faticoso, ma solo se ascolto bene e tanto, posso poi parlare. VEDERE E MOSTRARE, cioè solo se vedo le necessità degli altri, solo se vedo come vivono, posso mostrare e dare testimonianza di una vita cristiana. STARE PER ANDARE, cioè solo se sto in mezzo agli altri e se sto con Gesù nella preghiera, nell’Eucarestia, nei sacramenti, posso partire per portare l’ annuncio del Vangelo. Dopo questo breve pensiero è stato donato al Vescovo Francesco
un pane grandissimo che lui ha mostrato a tutta l’assemblea, commentando che l’avrebbe sicuramente condiviso e ha invitato i partecipanti a rispondere: “Ci sto” al mandato missionario, che è accettare di condividere, di donare, di testimoniare e annunciare la fede in Gesù. L’Eucarestia ci affida la missione, perché dall’Eucarestia viene la forza di annunciare il Vangelo e di vivere la carità. Come presente è stato distribuito a tutti un oggetto realizzato dai bambini in terre di missione, una specie di strumento musicale che creava tintinnio e ciò ha contribuito a riempire il clima di festa. La giornata è proseguita con il pranzo insieme, con i giochi nel pomeriggio e la scambio dei cartoncini su cui ciascun ragazzo aveva scritto le belle cose che vorrebbe donare agli altri: un sorriso, l’amicizia, l’affetto, un aiuto…alla fine ci siamo di nuovo radunati tutti insieme per il saluto finale, la preghiera del Padre Nostro e la partenza verso casa con l’impegno ad essere dei PICCOLI MISSIONARI!
LE IMPRESSIONI DEI RAGAZZI: -L’anno prossimo tornerò ancora al convegno perché mi è piaciuto urlare il nome del nostro Vescovo Francesco che ci ha accolto. Elisa -Mi è piaciuto il racconto di Francesca sulla sua missione in Africa. Greta -La messa è stata bella e allegra. Giorgio -Mi ha colpito la nostra animatrice che ci ha raccontato del suo viaggio in Africa. Mi ha molto emozionato vedere il vescovo Francesco e ascoltare le sue parole. Ho capito che tanti ragazzi ci mettono davvero il cuore a essere missionari. Michela -Mi ha colpito il sentire come i bambini in Etiopia rispettino le loro cose. Elena -E’ stato bello suonare tutti insieme in chiesa lo strumento musicale costruito dai bambini del Malawi per noi. Alice
Il vescovo nel pomeriggio, nel teatro del Seminarino gremito di persone, ha parlato agli adulti sul tema della missione e dell’Eucaristia. «La missione è annunciare il Vangelo, senza mai stancarci di ritornare al Vangelo. Missione è avere parole e vita che parlano di Vangelo. Ci viene chiesto di percepire, di vivere e di trasmetterne la bellezza, perché si possa vedere la gioia che ha conquistato la nostra vita». Nella sua riflessione ha tracciato alcuni tratti dell’Eucaristia. «L’Eucaristia è il modello della missione e vivendo l’Eucaristia prendo la forma di Gesù missionario. È sempre un gesto comunitario, così come lo è la missione. Non si impone, ma è una proposta. Questa è la missione, che non avviene per costrizione o seduzione, ma per attrazione che porta a Dio. La missione è un annuncio di pace che risuona ancora più forte in questi tempi in cui ciò che avviene può far nascere sentimenti di rivalsa e di vendetta. La missione che prende forma dall’Eucaristia ci chiede di andare nel mondo con uno stile di pace». Il Convegno è stato caratterizzato anche dal progetto« Un euro per ... ». Con quella piccola cifra si può provvedere al cibo di un giorno per un bambino o un adulto delle comunità dei sacerdoti fidei donum a Cuba. Le molte persone presenti al convegno hanno sostenuto con generosità il progetto, che ha voluto essere un segno concreto di comunione con quella terra. La Lettera giugno ‘15
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Non c’è alcun dubbio: è l’appuntamento più atteso dell’estate da bambini e ragazzi. È un momento di aggregazione e di divertimento, di giochi, di storie, di colori, di balli e di canzoni; ma è anche un momento di riflessione e di preghiera. È il Cre. Ecco, in 10 punti, quello che sarà il Cre in versione 2.015. 1) Il Tema. Quest’anno al CreGrest si starà “Tutti a Tavola”. Quale altro poteva essere il tema prescelto nell’anno dell’Expo? Forse non ci abbiamo mai pensato, ma l’atto del mangiare può essere capace di dire chi è l’uomo, di raccontarne l’identità più profonda. L’uomo che mangia mostra di avere una necessità, l’uomo che mangia è una persona che ha bisogno di qualcosa che da solo non può darsi. Inoltre, la necessità del mangiare mette l’uomo in una rete di relazioni e rapporti, con il resto del Mondo ma anche con il prossimo. Mangiare (e mangiare bene) vuol dire anche incontrarsi, uscire da se stessi. Mangiare è quindi mettersi in relazione con sé stessi e con gli altri, compresi, ovviamente, coloro che sono diversi. 2) Le canzoni. Anche quest’anno il Cregrest avrà un Cd con tutte le canzoni (quindici) che sapranno accompagnare, ma soprattutto rendere più movimentate, le giornate negli oratori. Nel Cd ci saranno anche delle canzoni dedicate ai bambini della scuola dell’infanzia, una dimostrazione in più dell’attenzione particolare che quest’anno il mondo del Cre ha scelto di dare ai più piccoli. Non solo. Nel Cd ci sono anche degli speciali contenuti multimediali (i testi delle canzoni con gli accordi musicali, suonerie, sfondi per il desktop del computer, e molto altro). 3) I balli. Per i balli ci si deve spostare su YouTube: nell’apposito canale “Divertiballi” si potranno trovare i video di “Tutti a Tavola” (ovviamente l’inno di quest’anno), “Not my bread alone” e “Buon appetito”. Ma ci si poteva accontentare dei video di quest’anno? Certo che no! E allora ecco pronti per ballare tutti i video delle coreografie dei Cregrest dal 2000 fino a oggi. E poi anche i videokaraoke per cantare le canzoni di quest’anno. 4) La storia. Ogni Cre ha una storia. Quella di quest’anno prende spunto da “La torta in cielo” di Gianni Rodari, ma viene riproposta e riadattata appositamente per l’occasione dalla scrittrice bergamasca Giusi Quarenghi. 5) Vero Pane. Il Cre deve essere anche momento di riflessione e di preghiera. Ecco allora la canzone-preghiera di questa nuova edizione. La Lettera
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6) Gustare e condividere. Questi sono i due verbi chiave, quelli che racchiudono l’esperienza del Cre di quest’anno. Gustare, perché il Cre è un’esperienza che deve far venire l’acquolina in bocca, e condividere, perché insieme tutto è più bello (e, quest’anno è proprio il caso di dirlo, più buono). 7) Dai bambini agli adolescenti. Chi pensa che il Cre sia “roba da poppanti” deve ricredersi: qui non ci sono solo attività per i più piccoli, ma anche tantissime cose da fare per i più grandi. E quest’anno sono ben 27 le attività (di ogni genere) pensate appositamente per gli adolescenti. 8) Cre 2.0. Anche il Cre sta al passo con i tempi. Oltre alla pagina YouTube per i balli e alla pagina Facebook dove trovare tutte (ma proprio tutte) le informazioni, c’è, anche quest’anno, una app da scaricare sul cellulare (su ogni tipo di cellulare!), per tenere a portata di mano tutta l’esperienza del Cre. 9) Opportunità. Il Cre è un’opportunità per stare insieme, per divertirsi, per imparare qualcosa. E da quest’anno è anche qualcosa in più: tutte le scuole della Provincia di Bergamo, proprio da quest’anno, offrono la possibilità di equiparare l’attività come animatore a uno stage. Le attività in oratorio da quest’anno valgono doppio! 10) Divertimento. Questo punto non ha bisogno di nessuna spiegazione, vero?
CALENDARIO ESTIVO • Feste Patronali dal 13 al 24 giugno. • C.R.E. “Tuttiatavola” dal 22 giugno al 17 luglio in Oratorio. • Dopo la formazione animatori CRE di maggio, full-immersion 10 giugno. • BABY-C.R.E. dal 6 al 31 luglio alla Scuola dell’Infanzia. • Vacanza estiva ADO e 3 media a Cesenatico: dal 20 al 26 luglio (iscrizioni entro il 31 maggio) • Biciclettata “Dal lago al Mare” (Peschiera-Venezia) dal 3 al 7 agosto (aperta dai ragazzi di seconda media in poi). • Mare stile familiare dal 9 al 16 agosto, presso il Villaggio turistico Ge.Tur. di Lignano Sabbiadoro. • Festa di Comunità dal 21 agosto al 6 settembre.
ONORANZE FUNEBRI DELL’ISOLA s.r.l. Serviziodiurno, diurno, notturno notturno ee festivo festivo •• Trasporti tutta Servizio Trasporti in tutta inItalia Italia Vestizione salme • Disbrigo pratiche Addobbi funerari • Cremazioni Valter Magri
Luca Mangili
24030 BREMBATE DI SOPRA (BG) - Via XXV Aprile 32 - Tel. 035.620916 - Fax 035.6220326 Cell. Valter 335 6923809 - Cell. Luca 335 6904124
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CruciPalio
ORIZZONTALI
1
Nota famiglia di Organari che costruì nel 1851 l’organo della chiesa prepositurale di Palazzago 8 Località della contrada dei BLU 17 Artista la cui scuola scolpì l’Addolorata che si trova a Palazzago 24 Veste liturgica costituita da un panno di lino bianco e rettangolare munito di due nastri in tessuto, che viene indossato dai sacerdoti con la funzione di coprire il collo. 25 Dario drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore, illustratore e scenografo italiano. 26 Album dei The Beatles del 1966 27 Intelligenza artificiale 29 Toro greco 30 Allegra, contenta 31 Montagna delle Prealpi Bergamasche alta 1.392mt. circondata da boschi e la cui sommità è ricoperta da un ampio prato erboso 33 Uccello passeriforme della famiglia dei fringillidi residente nell’Italia Settentrionale 36 Un medievale patrono… delle contrade 37 Valutazioni dei beni immobili e delle relative rendite 38 Santi… 40 Lo sono spesso i gemelli 41 Colore di frazione 44 Argilla espansa
La Lettera
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[A cura di Stefano Nava]
46 Marmoreo… Toscano 49 50 52 53 55 56 58 59 60 63 64 66 69 70 72 73 75 76 77 78 79 80 82 83
Nel gergo di internet…neofita La vita nei prefissi Popolare sito di commercio elettronico Famosa marca di batterie tampone Giuseppe in Arabia Il metallo che può provocare... la febbre Risplende in appositi tubi Porgere, offrire Vento caldo e asciutto, e porta cielo sereno e visibilità ottima. Era una famosa compagnia aerea americana S’adorava in Egitto Il colore che porta contraddistingue anche la Li nea 5 della metropolitana milanese Sigla di una città campana Asiatica di Damasco Si alternano in mare Pianta della famiglia delle palme che cresce solo in Amazzonia Lavoro ma senza loro L’immagine della ricorsività La C cerchiata anglosassone E’ Purple in una famosa canzone All’inizio dell’evento Un angolo di mondo quieto e silenzioso Velivolo passeggeri a medio raggio La provincia di Bitonto
84 86 87 88 92 96 99 100 102 103 105 106 108 110 111 113 115 116
Ripetuto indica lo sferragliare dei treni a vapore Nella punta e nel tacco Una società che appartiene al gruppo Mediaset Brodaglia o cibo dal sapore sgradevole C’è quella di don Todeschini, di don Ceroni e persino del Barlinèt e degli alpini Uno dei profeti minori di Israele, le cui profezie sono riportate nell’omonimo libro biblico. Il centro di Biella Roccia filoniana basica, del gruppo dei lamprofiri I cori... delle api in volo Isotopo radioattivo del radon Iniziali del “Liga” Torrente che da il nome ad una Reale squadra di calcio Lo attraversa un ponticello Nella forma e nella sostanza Una tipologia di file per CAD Feci riprendere i sensi Denota... presenza di spirito Famoso animale di contrada inglese
VERTICALI
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 18 19 20
Parte di Frazione Verde Dimezza il valore Rifatto, riadattato, rimaneggiato Il cuore del gatto Svuotato di energie Capoluogo al centro della Valtellina (sigla) Fino al 1996 aveva il colore Viola Quelli Rossi abitano qui Sono sede di dolorosi calcoli Le seleziona l’enologo Provincia dell’Emilia Romagna Cuore di mela Estensione per file video Lega Europea delle Università di Ricerca Lo studio e la descrizione delle montagne Il suo nome risuona nella banda Un “ma” virgiliano Esposi i fatti con dovizia di particolari Lo è ciò che hai pagato
21 Amalgamate armonicamente 22 Network Operation Center 23 Linea che congiunge i punti nei quali si registra la stessa nuvolosità media in un determinato periodo di tempo 25 Federazione Italiana Sci Nautico 28 Associazione Nazionale Lavoratori Anziani 31 Città della Spagna settentrionale 32 Iniziare in centro 34 Grido che incita 35 Lo Stato con Cork 38 Uno dei patroni delle Parrocchie di Palazzago 39 L’autore della pala centrale dell’altare maggiore della chiesa Prepositurale di Palazzago 42 Formato compresso di Roshal 43 Il Nino dei Mille, braccio destro di Garibaldi (iniz.) 44 Sono utilizzati nelle moderne lampade dei fari delle auto 45 Altro modo anglosassone di dire sì 47 Prime lettere in Russo 48 Sportello per l’orientamento del 51 In binario 10 54 Li dilata il calore 57 Chiusura di porta nei fumetti 58 Nostro in breve 61 In India e in Spagna 62 Burligo ne racchiude l’arte 65 Una protezione per l’automobilista 67 Passa... quando è seccata 68 Oratorio Palazzago 70 La città del matematico e fisico Archimede (sigla) 71 La... rete 72 Famoso artista bergamasco in chiesa a Palazzago 74 Telegramma trasmesso per cavo sottomarino 81 Console avversario di Mario 84 L’organismo che si occupa delle Olimpiadi 85 Un caratteristico 150 Yamaha 88 Sostanza secreta da ghiandole 89 Un diario pubblico 90 Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica 91 Il simpatico Marcorè della tivù 92 Procedura Civile 93 La rivale di Amneris 94 Scrisse la Critica della ragion pura 95 Da’ aria alle baghet 97 Con eoli e dori fra le antiche stirpi greche 98 Fu parroco a Palazzago 101 Ha la sede in un palazzo di vetro (sigla) 104 Istituto Internazionale di ricerca 107 Sono pari nella prova 109 Ultime in teoria 112 Attuale parroco di Palazzago 114 Sindaco di Palazzago
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Je suis Palazzago
Il Ventisettesimo Palio delle Contrade ha visto protagoniste tutte sei le frazioni e ha decretato la vittoria della squadra Blu. Sempre numerose le proposte. Interessante è stato aggiungere alla corsa campestre la camminata, alla quale hanno potuto partecipare tutte le persone con i propri animali per contribuire
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all’assegnazione dei punti alla propria squadra. E’ stata sicuramente una bella novità per promuovere e pubblicizzare il palio, ai nuovi residenti ma anche a chi è sì di Palazzago ma ancora non è nell’ottica del vivere attivamente il paese. Avrebbe potuto rivelarsi un’ottima attività anche il gioco notturno, che purtroppo non si è svolto causa mal tempo. La nostra squadra è risultata vincitrice per soli due punti dai secondi classificati: questo dimostra che tutti i partecipanti della nostra frazione si sono rivelati fondamentali per il successo. Per giungere alla vittoria un po’ di fortuna serve, ma la cosa più importante è che le persone si mettano in gioco, non perché costrette, ma perché credono
[Palio delle contrade 2015]
in quello che fanno, lasciandosi coinvolgere dallo spirito di squadra e cercando di dare il meglio di sé. La vittoria di questo palio è stata per noi un’enorme soddisfazione perché dopo sette anni di sconfitte finalmente anche i Blu sono tornati alla ribalta con una squadra giovane, allegra e motivata. Un grazie al comitato organizzatore del Palio che come ogni anno si impegna per programmare le varie attività, mettendoci tempo e passione per pensare a qualcosa di nuovo, che renda questo appuntamento sempre più interessante e competitivo. Il Capitano e la squadra dei Blu
[a cura di Fabrizio] Come leggere il rendiconto della Parrocchia ? La prima osservazione, guardando le entrate, potrebbe essere: “La chiesa ha i soldi” (lo si sente spesso in giro questo discorso…). Se poi si guardano le uscite devo dire: ”Ne entrano, ma ne escono anche!” Vedo poi la vendita di un terreno:110.000 €. Capita raramente, ma nel 2014 è successo: quel gruzzolo rimane per poter iniziare i lavori della Casa di Comunità. Leggo le diverse voci e trovo tanta generosità: nelle elemosine, nelle celebrazioni, nelle iniziative parrocchiali e oratoriali, nell’intraprendenza e disponibilità di tante persone e volontari. Più che i numeri - o comunque insieme e dentro questi- mi meraviglia il “sentirsi parte”. Sì, perché uno dà se si sente di qualcuno, se vede che “le cose si fanno”. Allora ha senso raccogliere per sistemare l’Oratorio e le Chiese, per restaurare un’opera d’arte, per dare una mano a chi non ha niente e alle realtà che dicono di una chiesa aperta alle missioni, alle emergenze, alla cultura, alla formazione… Preparare il rendiconto annuale - che viene inviato alla Curia, insieme agli estratti conto, firmato dai membri del Consiglio Affari Economici e pubblicato significa avere la consapevolezza di dover rendere-conto. Rendere conto perché i soldi di una Comunità entrano ed escono. Rendere conto perché si è am-
Consiglio Affari Economici RENDICONTO ENTRATE ANNO 2014 Rendite Immobiliari Offerte festive Parrocchia € 20.962,47 Offerte festive chiese frazioni € 12.000,00 Offerte Celebrazione Sacramenti € 8.790,00 Offerte per candele € 4.908,77 Offerte raccolte straordinarie € 8.191,81 Offerte varie € 13.171,42 Erogazioni libere deducibili (per Casa) € 36.723,50 Totale offerte Contributi da Enti Pubblici e altri Feste Oratorio € 120.053,47 (Serate, feste patronali, Festa di Comunità..) Iniziative estive Oratorio € 51.526,5 (Cre, Baby Cre,Mare ado, Biciclettata…) Totale entrate attività Parrocchiali e Oratoriali Entrate Bar e sale Oratorio Alienazione terreno Montebello TOTALE ENTRATE ANNO CORRENTE RENDICONTO USCITE ANNO 2014 Assicurazioni Imposte e tasse Remunerazioni professionali Spese Generali e Amministrative Bar Oratorio € 17.803,41 Feste Oratorio € 92.204,97 Iniziative estive Oratorio € 39.515,82 Carità – Missionari € 7.690,77 Totale Uscite Attivita’ Pastorali Oratoriali Manutenzione ordinaria e straordinaria Tributi Curia TOTALE USCITE ANNO CORRENTE
€ 2.001,66
€ 101.576,55 € 6.000
€ 171.579,97 € 21.806,15 € 110.000,00 € 413.960,66
€ 2.670,00 € 4.561,16 € 16.598,38 € 38.279,01
€ 157.214,97 € 35.656,18 € 6.962,00 € 261.941,70
Confrontando glitreultimi trequesto anni, si ha questo prospetto: Confrontando gli ultimi anni, si ha prospetto: anno 2011 entrate € 235.883,83 uscite € 219.435,34 anno 2012 entrate € 282.232,54 uscite € 310.618,98 anno 2012 entrate € 282.232,54 uscite € 310.618,98 anno € 243.224,09 anno 20132013 entrate entrate € 243.224,09 uscite € 242.137,57uscite € 242.137,57 anno 20142014 entrate entrate € 413.960,66 uscite € 261.941.70uscite € 261.941.70 anno € 413.960,66
Sulla Lette…Rina , lungo l’anno, vengono indicate le entrate e le uscite di Comunità. Una volta l’anno, sull Lettera, pubblichiamo il bilancio, quello economico, perché, si sa, quello più importante della sequela del Signore lo conosce Lui. Qui stiamo ai numeri che, certamente, dicono qualcosa di noi, del sentirsi parte, di alcune scelte, di un aiuto che giunge attraverso vie diverse: nell’obolo alle messe, nella discrezione e nell’anonimato, in forme più manifeste, attraverso le classiche buste o l’aggiungi un posto a tavola (vd sacramenti), nelle sorprese che a volte ci sono.
ministratori e non padroni. Rendere conto perché si è a servizio del Regno vedendo scorrere tra le mani anche i soldi, mai fine, ma mezzi con i quali si può
fare qualcosa. Qualcosa abbiamo fatto anche nel 2014 e molto ci attende in questo anno. Ma è bello vedere che non sono solo numeri. La Lettera giugno ‘15
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Pillole Abbiamo continuato, anche nella Quaresima 2015, l’alfabeto iniziato con le Parrocchie della zona pastorale alcuni anni fa, ritrovandoci a Barzana, Palazzago e Gromlongo per declinare la D di Dio. Questi incontri di catechesi sono stati molto partecipati, dando un quadro interessante delle tre religioni monoteiste: Dio nell’Islam con don Massimo Rizzi, Dio nell’ebraismo con Mons. Patrizio Rota Scalabrini e Dio nel cristianesimo con don Giovanni Gusmini. Continueremo ancora: dopo le tre A (assemblea), le tre T (tesoro) , le tre C (credo), e le tre S (santità), e… le tre D, cosa ci aspetterà?
Cresimandi del Vicariato, a rapporto! Centinaia di ragazzi si sono incontrati con catechisti, genitori e sacerdoti a Pontida, per un pomeriggio di festa con il Vescovo Francesco. Davanti alla Basilica una colomba ha tracciato il volo dello Spirito che nel tempo pasquale raggiunge le nostre Comunità. Poi la preghiera e le domande rivolte da alcuni cresimandi al Vescovo, ascoltato con attenzione. Foto di rito dei vari gruppi, merenda e animazione. Ma quali sono gli altri simboli dello Spirito? “Pensa come sarebbe bella una cascata di fiori da quel muro in pietra…” Qualcuno ha sentito ed ecco vasi di terracotta riempiti di gerani, pronti a ravvivare il centro storico nel caldo dell’estate e biglietto da visita della maestosa chiesa parrocchiale. Del resto per fare di Palazzago una “piccola Svizzera” si può partire anche dai fiori…Grazie alla coppia che ha donato e a coloro che hanno messo in sicurezza i vasi. Ah, se qualcuno avesse intenzione di rifornirsi lì di gerani, faccia prima un sorriso alla telecamera (in Svizzera ci sono anche queste).
Davide Invernizzi, il nostro seminarista più grande, ha ricevuto il Lettorato il 7 maggio nella celebrazione delle 7 del mattino (un tempo si sposavano presto le ragazze in stato interessante): questi sono gli orari della messa quotidiana in Seminario. Qualcuno ha chiesto: adesso può leggere in chiesa? Anche, ma il Lettorato è un ministero che ritma il cammino di preparazione al sacerdozio, con tutta la passione, lo studio e l’annuncio della Parola. Davide è in teologia, al quarto dei sei anni necessari per l’ordinazione. Poi ci sarà l’Accolitato, il Diaconato e il Presbiterato. Buon cammino verso il fatidico 2017. La Lettera
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Cosa c’è di bello a Verdello? Che è vicino a Pognano -ombelico del mondo- che fino al 2000 aveva come curato don Giampaolo, che… L’abbiamo capito il 1 maggio, quando, con il pellegrinaggio delle Parrocchie della zona pastorale, abbiamo raggiunto il Santuario della Annunciata. Non poteva che presiedere l’Eucarestia don Lorenzo, visto che da un po’ di tempo sta celebrando le sue “ultime” messe tra noi. Magari, il prossimo anno andremo verso il lago. Là ci sarà un santuario? (per ora sappiamo che ci sono tre case parrocchiali. Della serie: chi trop, chi mia…). Altra “ultima volta” di don Lorenzo: l’incontro dei gruppi missionari, di cui lui è il referente vicariale. Ci siamo trovati all’Oratorio di Curno. Don Arturo Bellini ha tratteggiato la figura di don Alessandro Dordi, sacerdote bergamasco che sarà beatificato il prossimo novembre in Perù, dove abbracciò il martirio con le armi “della croce, della Bibbia e della carità”. Così disse di lui nel processo il capo di Sendero Luminoso. Il libro da poco uscito si intitola “Sandali che profumano di Vangelo”. L’autore è don Arturo che è stato parroco a Verdello.
Festa degli amici di Clackson in Seminario, con un concentrato di ostensori. Era infatti questo l’oggetto liturgico che è stato costruito dai chierichetti delle diverse parrocchie della Diocesi per l’incontro annuale. Volevamo portare la nostra raggiera delle Quarantore, ma avremmo stravinto. Allora ne abbiamo presentati due: uno “umano” (con un ragazzo vestito) e uno fatto di pasta pazientemente assemblato per il riferimento al grano e all’Eucarestia. Sul palco si è visto anche Davide (vedi sopra) nelle vesti di un chierichetto in fuga con un ostensorio…
“Nonostante i vari inconvenienti che abbiamo incontrato (appartamento libero dalle ore 17,00; maltempo; Leo che ci ha scaricato il film previsto in lingua inglese, le poche ore di sonno…) è andato tutto bene. Don Maurizio, ci ha fatto visita alle 9.00 mentre facevamo colazione e ha detto che non ci ha per nulla sentito… sarà vero??? Comunque lo abbiamo invitato a pranzo e ha gustato un piatto di lasagne preparato dalle mamme . Peccato proprio per il brutto tempo che ci ha costretti a trascorrere il pomeriggio della domenica in casa... non che i ragazzi fossero dispiaciuti... anzi... erano ben contenti di stare al calduccio...” Così Erika -la catechista- sintetizzava in una mail i due giorni vissuti con il gruppo di terza media in Roncola. Non l’ha scritto, ma sono andati anche a messa. La Lettera giugno ‘15
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Sabato 14 marzo (al Papa Giovanni XXIII, Bergamo) Gabriele Pedretti di Matteo e Locatelli Daniela, nato il 7 febbraio 2015
Battesimi
Domenica 19 aprile, ore 11.30 Nicolò Di Lecce di Lucio e Mariapia Cavallo, nato il 3 dicembre 2014 Celeste Mendolaro di Giuseppe e Micaela Preda, nata il 20 aprile 2013 Greta Hayani di Jalal e Sara Arrigoni, nata il 24 novembre 2014
Nicolò
Celeste
Greta
Domenica 17 maggio, ore 10.30 Oscar Panza di Alex e Battaglia Rita, nato il 18 gennaio 2015 Paolo Pellegrinelli di Romeo e Pezzoni Anna Maria, nato il 30 agosto 2008 Andrea Pellegrinelli di Romeo e Pezzoni Anna Maria, nato l’11 ottobre 2014 Leo Spiranac di Dalibor e Jerkic Spiranac Sladana, nato il 31 gennaio 2015 Oscar
Paolo
Andrea
La Lettera
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Leo
Matrimoni Gianbattista Riceputi e Michela Rota Santuario San Donato, Osio Sotto, 24 aprile 2015
Defunti LOCATELLI GIOVANNI di anni 73, deceduto il 10 febbraio 2015 Sempre è vivo il tuo ricordo nel cuore dei tuoi cari.
VISCONTI AMALIA ved. Invernizzi di anni 90, deceduta il 15 febbraio 2015 “La salverò, perché a me si è affidata; la esalterò perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e le darò risposta; presso di lui sarò nella sventura, la salverò e la renderò gloriosa. La sazierò di lunghi giorni E le mostrerò la mia salvezza”. Un ricordo dai tuoi cari MAZZOLENI CATERINA detta Piera di anni 100, deceduta il 18 febbraio 2015 Così come hai vissuto, silenziosamente te ne sei andata. Porteremo nel nostro cuore i tuoi insegnamenti di bontà e semplicità. I tuoi cari ROSSI VALENTINO di anni 83, deceduto il 2 marzo 2015 Nessuno muore sulla terra finchè vive nel cuore di chi resta. I tuoi cari
Marta Benedetti e Andrea Vanghi chiesa della Visitazione, Brocchione, 25 aprile 2015
ISACCHI MAFALDA ved. Tironi di anni 83, deceduta il 22 marzo 2015 Le persone ce le portiamo dentro quando non possiamo averle accanto. I tuoi cari BENEDETTI ENIO di anni 71, deceduto il 24 marzo 2015 a Seriate, funerato e tumulato a Palazzago Chi resta nel cuore vive per sempre. I tuoi cari ROTA CARLO BATTISTA di anni 76, deceduto il 29 marzo 2015 Le persone che amiamo e che abbiamo perduto, non sono più dove erano, ma sono ovunque noi siamo. (Sant’Agostino) PELLEGRINELLI ELENA di anni 22, deceduta il 31 marzo 2015 Quante domande, quanti perché. Cara Elena aiutaci a comprendere le mille risposte. Ora rivedrai il volto del tuo amato papà e dei tuoi cari, veglia sulla tua mamma e su tutti noi.
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PERICO ALESSANDRO di anni 66, deceduto il 10 aprile 2015
TIRONI FELICINA ved. Benedetti di anni 88, deceduta il 2 maggio 2015
Dallo stabat Mater: “O Cristo, nell’ora del mio passaggio fa’ che, per mano a tua madre, io giunga alla meta gloriosa. Aprimi, Signore, le porte del cielo, accoglimi nel tuo regno di gloria”. I tuoi cari
Signore rendete a lei in felicità tutto quello che ha dato a noi in amore e tenerezza. (Sant’Agostino) I tuoi cari
Anniversari
MAZZOLENI FRANCESCO (30.06.2000 - 30.06.2015) Il tempo passa, ma il ricordo di te rimane sempre vivo in noi. I tuoi cari
PELLEGRINELLI DONATO (16.03.2008 - 16.03.2015) Il tempo passa, ma nel nostro cuore vive ogni giorno il tuo dolce ricordo. Moglie e figli
GUALANDRIS LUCIA ved. Rota Caremoli (21.04.2003 - 21.04.2015) Il tuo infinito amore è sempre vivo in noi, quale esempio di vita che ci accompagna ogni giorno. Grazie Mamma, grazie Nonna.
CASTELLI PRIMO (6.03.2014 - 6.03.2015) Ad un anno di distanza dalla tua morte non possiamo fare altro che convivere con il vuoto incolmabile che hai lasciato, ci manchi tanto. I tuoi cari
FUMAGALLI ALDO (18.02.2007 - 18.02.2015) Il tuo ricordo è sempre vivo nei nostri cuori. Da lassù veglia su di noi e proteggici.
CEFIS DAVIDE (2011 - 2015) Non si dice mai addio a chi portiamo dentro al nostro cuore, è a te che va il pensiero di ogni giorno con l’amore di sempre. I tuoi cari
FINAZZI CAROLINA (23.08.1980 - 23.08.2015) Il tempo non cancella, ma ravviva nei nostri cuori ciò che sei stata per ognuno di noi. La tua famiglia
La Lettera
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giugno ‘15
GIOVANNI AGAZZI (1988 - 2015)
HELENE KIRKEBNER (1985 - 2015)
La comunità di Palazzago ricorda il suo medico Dott. Giovanni Agazzi che per anni ha svolto la sua professione con grande umanità e dedizione, accanto la moglie Helene.
FESTA DEL PATRONO NATIVITA’ DI GIOVANNI BATTISTA
Sabato 13 giugno •
Ore 19.00 Festa contadina sulla piazza don Battista Ceroni
Domenica 14 giugno • • • • •
Ore 09.00 apertura Sagra del Prodotto Tipico Ore 10.30 Santa Messa con anniversari di matrimonio Ore 15.00 spettacoli di magia con il Mago Benny e laboratori per bambini Ore 17.00 degustazione di polenta, salame e formaggio offerto dalla Proloco Ore 18.00 Santa Messa con promessa d’impegno Terza Media
Mercoledi 17 giugno •
Nel Pomeriggio Festa Anziani nella tensostruttura dell’Oratorio
Giovedi 18 giugno •
Ore 20.30 Concerto d’organo del Maestro Marco Giovanardi in Chiesa Parrocchiale
Sabato 20 giugno •
Ore 21.00 Concerto Banda Musicale Gioacchino Rossini
Domenica 21 giugno Festa patronale Natività San Giovanni Battista • • •
Corsa Mountain bike organizzata da Malvestiti Cerchi Ore 10.30 Santa Messa con Memoria del Battesimo Ore 18.00 Santa Messa e Processione presiedute da Monsignor Maurizio Malvestiti, Vescovo di Lodi e Mandato animatori del C.R.E. e baby C.R.E. 2015
Lunedi 22 giugno •
Inizio C.R.E 2015 “Tuttiatavola”
Mercoledì 24 giugno: Nativita’ di San Giovanni • •
Ore 20.30 Santa Messa del Patrono con Festa Genitori C.R.E. A seguire lancio delle lanterne volanti
SAGRA DEL PRODOTTO TIPICO DOMENICA 14 GIUGNO 2015 Centro di Palazzago - Via Ca’ Curti (in caso di maltempo: Area Feste)
Ore 9.00: apertura Sagra con esposizione di commercianti e hobbisti. Formaggi, salumi, vino, olio, marmellate, dolciumi,... oggetti di artigianato locale fatti a mano (vasi dipinti, lavori a maglia e uncinetto, mobili d’epoca) Ore 15.00: spettacoli di magia con il Mago Benny e laboratori per bambini Durante l’intera giornata: Vendita libri usati
(il ricavato sarà devoluto Onlus Domitilla Rota)
Ricco buffet offerto dai nostri ristoratori locali
Nella settimana patronale ci saranno gli ultimi appuntamenti di incontro e preghiera nelle case e... ...FINALMENTE l’inizio ufficiale dei lavori di ristrutturazione della CASA DI COMUNITA’!
IL GIORNO PRIMA DELLA FESTA Col cavaI di Francesco, quale nobil destriero, scende Mario, il sacrista, giù per l’erto sentiero, ché diman c’è la festa e oggi c’è un gran daffare, di buon grado s’appresta, va la chiesa ad ornare; don Giuseppe, assistendo, mani in man non sa stare, lui consiglia, aiutando chi non sa come fare; quadri, lampade, ceri, stoffe multicolori tra le panche e, agli altari, un tripudio di fiori; ci son Franca e Fernanda che li sanno accostare e alla fin non v’è “banda”
ove possan mancare. Della Vergin la statua, col vestito più bello, per posarla sul trono tolta l’han dal “sacello” la Giselda e “comari” con i lor buoni intenti, rivestiti han gli altari di tovaglie splendenti; e c’è poi Margheri ta che con scope e scopini fatto ha piazza pulita anche negli angolini. Or che l’opera è conclusa e il bel tempio risplende, tutti tornano a casa mentre Sera già scende.
Palazzago, 14 Marzo 2015 Umberto Varani
era il 1956 Prime Comunioni 17.05.1970