La lettera GIUGNO 2017
anno XXXI numero 2
Bollettino della parrocchia prepositurale di san Giovanni Battista in Palazzago e di san Carlo in Burligo
Orari Sante Messe Palazzago Sabato
ore 18.00 Beita ore 19.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica ore ore ore ore
08.00 09.00 10.30 18.00
Montebello Beita Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00 ore 20.00
Brocchione (Cappella) Precornelli Beita Cimitero Ca’ Rosso
Orari Sante Messe Burligo Sabato
ore 18.00 Chiesa Parrocchiale
Domenica
ore 09.00 Collepedrino ore 10.30 Chiesa Parrocchiale
Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
ore 18.00 ore 18.00 ore 18.00 ore 20.00 ore 18.00
Chiesa Parrocchiale Acqua Chiesa Parrocchiale Cimitero Chiesa Parrocchiale
Recapiti Don Giuseppe Don Roberto Don Giampaolo Don Paolo
035.550336-347.1133405 035.540059-348.3824454 338.1107970 035.550081
Oratorio e Sagrestia Palazzago 035.551005
www.oratoriopalazzago.it
parrocchia@oratoriopalazzago.it segreteria@oratoriopalazzago.it palazzago@diocesibg.it
BENE-AMATI Quell’agnello che nell’iconografia accompagna sempre Giovanni Battista, è qui racchiuso in un cerchio di tessere d’oro, avvolto dalla mano del precursore a custodia del cuore. E mentre lo sguardo –occhi scuri e penetranti- s’allarga a tutti coloro che vengono al battesimo nell’acqua del Giordano, forse già vede lontano il dono totale, anticipo e figura dell’offerta dell’agnello mansueto condotto al macello. Ora però si aprono i cieli e la colomba, battito d’ali dello Spirito e voce del Padre, ci affida il Figlio amato. Ma in lui, qui, immersi nelle acque del battesimo, tutti siamo i bene-amati. Chiesa Parrocchiale Palazzago, mosaico del Battistero di P. Rupnik e Centro Aletti, Roma. Gennaio 2017
Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 108) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,... La Lettera
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[Editoriale]
Un amico prete, sapendo dell’inaugurazione ormai vicina della casa parrocchiale, un po’ provocatoriamente mi dice, con le parole di Massimo d’Azeglio: “Fatta l’Italia, facciamo gli italiani”. Fuor di metafora: “Fatta la casa parrocchiale, facciamo i parrocchiani”. Subito ribatto che se intende che si parte adesso a fare comunità, assolutamente no. Se la intende come un cantiere sempre aperto, allora sì! Una Comunità Parrocchiale infatti non inizia e non finisce con una generazione, un parroco o un’impresa pur considerevole. È sempre seme gettato in ogni epoca e, mentre vede fiorire e maturare, deve sempre zappare, piantare, bagnare… Se poi penso a questi anni, posso sicuramente dire che l’impegno della casa è stata un’occasione per crescere nel confronto, nella riflessione, nella corresponsabilità, anni in cui non ci si è accontentai di guardare dal balcone. Papa Francesco, parlando nel Duomo di Firenze al Convegno della Chiesa Italiana del 2015 diceva: ”Non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cam-
“Fatta l’Italia…” biamenti e le trasformazioni. Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo
nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo”. Le difficoltà non sono mancate ma le abbiamo vissute un po’ così, come sfide. E non mancheranno, non solo negli aspetti strutturali, ma in quelli che fondano l’essere Chiesa che accoglie e annuncia il Vangelo. Allora, se è una festa vedere fi-
nalmente la casa ristrutturata, è una gioia profonda trovarsi insieme a celebrare l’Eucarestia, seguire con trepidazione i passi dei bambini e dei ragazzi che conoscono il Signore e l’accolgono nei Sacramenti, sollecitare adolescenti e giovani a tenere aperto il legame con Dio anche quando il desiderio di libertà sembra fare a pugni con il Vangelo, accompagnare chi decide di fare casa nel Signore, battezzare un cucciolo d’uomo, ritrovarsi intorno ad un tavolo per leggere la Parola, chiedere una carezza di grazia per un malato, affidare alla misericordia coloro che ci lasciano. E poi giocare, cantare, preparare, fare, coinvolgere, organizzare, fare pace, aprire porte…Insomma il grande cantiere non è mai finito, anche quando avremo pagato tutti i debiti. A proposito di debiti, San Paolo scriveva ai romani: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge” (Rm 13,8). L’augurio è che questo debito non sia mai estinto (solo questo, però!) Grazie perché la Provvidenza ha anche il vostro volto.
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Convegni Pastorali
Continuano in Diocesi i convegni pastorali che pongono a tema gli ambiti indicati dal Convegno ecclesiale di Verona - la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità, la tradizione, la cittadinanza- nell’intento espresso dal Vescovo Francesco, di favorire la convergenza delle azioni pastorali su temi antropologici decisivi per la vita del popolo di Dio. Ivana e Antonio stanno partecipando a tutti questi appuntamenti e grazie a loro ci sentiamo in sintonia con le riflessioni che si stanno facendo in Diocesi. Da quello sulla fragilità riportiamo al termine di questo articolo il contributo di Mario Leone Piccinni sulle dipendenze da internet e social. Accostiamo la categoria della fragilità nella consapevolezza che non si tratta semplicemente
di un ambito ma che costituisce una cifra interpretativa della condizione umana e può essere una chiave di lettura feconda per comprendere l’uomo concreto e il valore di una testimonianza cristiana capace di portare luce e consolazione. Intanto il Vescovo sta incontrando i sacerdoti e i laici dei Consigli parrocchiali per un confronto sulla fraternità presbiterale e la riforma dei Vicariati. Nel nostro, abbiamo già vissuto i due appuntamenti. Il 13 marzo, a Mozzo, in un clima di cordialità e familiarità abbiamo ascoltato il Vescovo Francesco, comprendendo le motivazioni che stanno guidando questa revisione. Le cinque visite da lui fatte in tutti Vicariati lo hanno arricchito molto. Ma, si chiede “come mai questa ricchezza non riesce ad incidere sulla vita di tutti?” Il Vescovo intravede la risposta nella fatica a
generare, poiché oggi si insegue la produttività. Questa ha a che fare con le cose, la generatività ha a che fare con la vita. Non si vuole rimpiangere un’epoca d’oro, per altro mai esistita, ma continuare la missione della Chiesa che è quella di un Vangelo annunciato e testimoniato, anche verso le nuove generazioni che ci interpellano con una domanda fondamentale: “Vale la pena essere cristiani?” In tutto questo i “protagonisti” sono i cristiani battezzati; i preti sono a servizio di quella fede che i laici incarnano. Ecco, in questo orizzonte si colloca la riforma dei Vicariati, con un allargamento che non è aggiunta di cose da fare, ma ricerca di essenzialità, di formazione, di corresponsabilità. Lo slogan potrebbe essere “più relazione, meno organizzazione”. Lo diceva anche papa Francesco al Convegno di Firenze.
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DIPENDENZE DA INTERNET E SOCIAL NETWORK di Mario Leone Piccinni Quasi un quarto degli adolescenti italiani dichiara di trascorrere oltre 6 ore al giorno online al di fuori della scuola. Le dipendenze da internet e dai social rappresentano un fenomeno sempre più diffuso, su cui occorre riflettere e tener alta l’attenzione. La vita virtuale dei nostri ragazzi è sempre più rischiosa, chiunque può infatti spiare nel mondo privato dell’altro affacciandosi al computer, il corrispondente della finestra nel mondo reale Internet e le reti di socializzazione, in particolare, hanno spostato drasticamente in basso il livello di ciò che è personale e privato. È naturale che gli adolescenti siano fortemente attratti dal desiderio di esplorare i nuovi mezzi di comunicazione, ma la scarsa esperienza potrebbe fortemente accrescere la possibilità che internet ed i videofonini possano essere adoperati in modo imprudente ed immorale; i ragazzi della web generation sono difatti straordinariamente avvezzi e capaci nell’utilizzo di internet, ma poco coscienti dei rischi legali e giuridici che determinate con-
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dotte e l’inosservanza di specifiche regole possono comportare. Sembrano inoltre tenere molto più alla propria reputazione online piuttosto che a quella nel vivere offline: occorre tener presente questo aspetto se si vuole comprendere a fondo il tema e aiutare i ragazzi a crescere. Siamo ormai oltre il web 2.0, siamo entrati nell’universo chiamato reputazione.com i ragazzi della generazione web sono stati etichettati da qualcuno come collegati in rete e disconnessi nella vita reale. Relegando le proprie relazioni all’interno dei media sociali, la generazione web ha di fatto rinunciato alle relazioni interpersonali, a vantaggio dei rapporti di tipo auditivo e visivo. In realtà i nostri ragazzi hanno sempre meno modelli positivi cui ispirarsi, ma quel che è peggio è che gli adulti, coloro sui quali a diversi livelli ricadono obblighi educativi e formativi, sembrano rassegnati o, peggio, del tutto inconsapevoli ed ignari di quanto avviene nel mondo degli adolescenti. Di fronte a queste nuove sfide gli adulti non devono
dunque rinunciare al loro ruolo educativo, ma anzi darsi da fare per abbattere il “muro” tra generazioni. Proibire l’utilizzo di internet o fare terrorismo psicologico sui minori, non è certamente la soluzione idonea, significherebbe negarsi ai cambiamenti generazionali in corso e non assolvere in modo corretto all’obbligo educativo proprio dei genitori e degli insegnanti. I fatti testimoniano come le tecnologie e la rete soprattutto, abbiano accresciuto le distanze anagrafiche, creando di fatto una zona franca, ove aumentano le problematicità legate alla comunicazione tra le diverse generazioni e all’interno della quale gli adulti, pur essendo in possesso di password e chiavi di ingresso, non hanno cognizione di come accedere. Tocca agli adulti abbattere questa barriera tra generazioni, evitando che essa diventi irrimediabilmente uno sbarramento insormontabile, difficile da padroneggiare anche a causa di un linguaggio non usuale per generazioni antecedenti rispetto a quelle attuali.
[Il mosaico del Battistero]
Padre Rupnik Alla fine è stato di parola. Ed ecco che nel nostro battistero è arrivata un’opera singolare: il mosaico di Padre Rupnik. Gli anni di attesa sono stati così compensati e, nella discrezione che la maestosa chiesa parrocchiale richiede, quasi in punta di piedi, accompagnando chi entra e passa alla “fons vitae”, ecco il Battista che versa l’acqua del battesimo. È la terza opera del centro Aletti presente in bergamasca, dopo un mosaico su tavola nel giardino dei Preti del Sacro Cuore a Bergamo e la Cappella delle Suore Sacramentine a Ranica. Anche il logo del Giubileo della Misericordia è di sua firma. Interessante ciò che motiva la scelta della tecnica del mosaico che nasce a partire da due motivazioni: 1. “Il martello non è come la spatola o il pennello. Quella della pietra è un’arte più esigente, più dura, la pietra ha una sua volontà. Se la prendi per il suo verso ti asseconda, se no ti fai male”. La scelta di lavorare con la pietra porta a purificare l’orizzonte interno e la comunicazione con gli altri 2. “Il mosaico non lo si può fare da soli, è sempre un’opera corale”. Nell’antichità i mosaici erano fatti da artisti che lavoravano sotto la guida di un maestro tutti insieme nel cantiere. Perciò fare mosaici è “un’esperienza ecclesiale”. “Dal lavoro di comunione il movimento materico pian piano si rivela, acquista un volto”. La Lettera giugno ‘17
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Ma chi è Padre Rupnik? P. Marko Ivan Rupnik è nato nel 1954 a Zadlog, in Slovenia. Nel 1973 entra nella Compagnia di Gesù. Dopo la filosofia, studia all’Accademia di Belle Arti di Roma. Seguono gli studi di teologia alla Gregoriana a Roma. Qui si specializza in missiologia, con una licenza su “Vassilij Kandinskij come approccio a una lettura del significato teologico dell’arte moderna alla luce della teologia russa”. Diventa sacerdote nel 1985. Nel 1991 consegue il dottorato alla Facoltà di missiologia della Gregoriana con una tesi guidata da p. Špidlík dal titolo “Il significato teologico missionario dell’arte nella saggistica di Vjaceslav Ivanovic Ivanov”. Dal settembre 1991 vive e lavora a Roma presso il Pontificio Istituto Orientale – Centro Aletti di cui è direttore. Insegna alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Liturgico. Dal 1995 è Direttore dell’Atelier dell’arte spirituale del Centro Aletti. Dal 1999 al 2013 è stato consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura e dal 2012 è consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Nel 2013 riceve il dottorato honoris causa dall’Università Francisco de Vitoria di Madrid e nel 2014 dalla Facoltà di Teologia di Lugano. All’attività di artista e di teologo affianca da sempre quella più specificamente pastorale, soprattutto attraverso conferenze e la guida di numerosi corsi ed esercizi spirituali. La Lettera
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Che cos’è il Centro Studi e Ricerche “Ezio Aletti”? È un centro di studi e ricerche che si affianca alla missione che la Compagnia di Gesù svolge al Pontificio Istituto Orientale. I gesuiti lo hanno aperto in un palazzo di stile liberty di fine Ottocento, donato dalla signora Anna Maria Gruenhut Bartoletti Aletti alla Compagnia di Gesù con l’esplicito desiderio che diventasse un centro di incontro e di riflessione interculturale.
Per chi è il Centro? Il Centro Aletti è primariamente rivolto a studiosi e artisti di ispirazione cristiana del centro ed est Europa, per creare l’occasione di un incontro tra loro e i colleghi dell’ovest. Incontrarsi nella carità favorisce un’attitudine creativa che emerge dallo studio della memoria e si lascia interpellare dal divenire dell’oggi. Il Centro promuove la convivenza di ortodossi, cattolici di rito orientale e latino nell’ottica della crescita di ciascuno nella propria Chiesa, nella carità dell’unico Cristo. Qual è lo scopo del Centro? Oggi che si va faticosamente elaborando una civiltà planetaria l’Europa non ha ancora prodotto una sintesi – né culturale né teologica – che superi il grande divorzio tra il suo
Oriente e il suo Occidente e sia capace così di aprire al futuro e alle sfide che esso pone. Il Centro Aletti ha come scopo la ricerca di una fisionomia spirituale cristiana della cultura in un’Europa che ha oggi la possibilità di riscoprirsi di nuovo integra, una fisionomia che non guarda nostalgicamente indietro, né semplicemente accetta il nuovo, ma lavora per la sua trasfigurazione. Insieme si studia l’impatto tra la fede cristiana e le dinamiche culturali della modernità e della post-modernità. Si cerca di rispondere agli interrogativi delle donne e degli uomini d’oggi tenendo conto della tradizione cristiana dell’Oriente e dell’Occidente, di modo da poter insieme indicare Cristo vivente. Alcune realizzazioni del Centro: - Cappella Redemptoris Mater nella II Loggia del Palazzo Apostolico in Vaticano 1996-99 - Cappella del Seminario di Reggio Emilia 2005-2006 - Nuovo Santuario della SS. Trinità Fatima – Portogallo Settembre 2007 - Facciata Basilica del Rosario Lourdes – Francia Dicembre 2007 - Rampa e cripta della chiesa inferiore di San Pio da Pietrelcina 2009 - Cappella delle Suore Sacramentine a Ranica (BG) 2013 - Santuario di san Giovanni Paolo II Cracovia – Polonia Giugno 2013 - Battistero Chiesa Parrocchiale S. Giovanni Battista, Palazzago (Bg) 2017
Da un’intervista a Padre Rupnik sull’arte e sull’artista che opera in ambito liturgico “L’arte dei cristiani nello spazio liturgico è stata sempre un’“arte della presenza”. Un linguaggio dunque essenzializzato, senza dettagli di distrazione, dove tutto – anche l’artista e coloro ai quali l’opera è destinata – è assunto nel mistero che si comunica. La differenza grande è questa: un’opera d’arte può suscitare la meraviglia e l’ammirazione, ma l’arte che entra nello spazio liturgico deve suscitare venerazione. La venerazione che il semplice fedele esprime con il segno della croce, con la genuflessione, con la preghiera: perché c’è la presenza di Dio. Non è sufficiente che uno dica: meraviglioso! Ci vuole una vita dentro, che renda possibile accorgersi del Mistero presente. Giovanni Paolo II parlando dell’arte disse che essa «è conoscenza tradotta in linee, immagini e suoni, simboli che il concetto sa riconoscere come proiezioni sull’arcano della vita, oltre i limiti che il concetto non può superare: aperture, dunque, sul profondo, sull’altro, sull’inesprimibile dell’esistenza, vie che tengono libero l’uomo verso il mistero e ne traducono l’ansia che non ha altre parole per esprimersi. Religiosa, dunque, è l’arte, perché conduce l’uomo ad avere coscienza dell’inquietudine che sta al fondo del suo essere e che né la scienza, con la formalità oggettiva delle leggi, né la tecnica, con la programmazione che salva dal rischio
di errore, riusciranno mai a soddisfare». E, pensando al soggetto realizzato nella nostra Parrocchia: “La vita che noi cristiani abbiamo, la riceviamo dal battesimo. Siamo generati in un parto che è il battesimo, da una madre che è la Chiesa. La Chiesa è immagine della comunione trinitaria nella quale noi, per mezzo delle parole sacramentali, dell’acqua, dell’evento sacramentale del battesimo, siamo innestati. Dunque la vita che noi riceviamo è una comunione con Dio, con gli altri e con il creato. Questo vuol dire che la vita che noi riceviamo – la sua costituzione, il suo “stile” – è comunione e dialogo. La vita si realizza dunque nella comunione verso Dio – preghiera –, verso gli altri – carità –, e verso la terra – trasfigurazione del mondo. Una comunione tridimensionale organicamente inscindibile. La chiesa che si costruisce non può non far intravvedere tale vita. E siccome la vita ricevuta è di Cristo e la si vive in Cristo, che nel mistero pasquale ha
realizzato il culmine della Rivelazione, così la presenza dei cristiani nel mondo non può realizzarsi al di fuori di questa vita. Cosa è importante per un artista a servizio della liturgia? “È importante l’umiltà…È necessario essere molto familiari con la Parola di Dio – perché, come dice il Niceno II, l’arte è una traduzione della Parola di Dio – e con la memoria della Chiesa: i Padri, i santi, l’arte dei cristiani. Bisogna anche conoscere il dibattito del secolo in cui si vive, cioè avere dimestichezza con il linguaggio artistico contemporaneo, ed essere inseriti nella vita della Chiesa. Bisogna avere una vita spirituale, vivere le stesse difficoltà dei nostri contemporanei per poter condividere con loro i passi della redenzione donataci. Per noi del Centro Aletti è fondamentale il lavoro corale. Lavorare insieme, essere costantemente nell’esercizio della carità reciproca e del dialogo fecondo. Dalla Chiesa si crea per la Chiesa”. La Lettera giugno ‘17
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Titolo Titolo Di noi ti puoi Titolo fidar??? “Quanta fretta, ma dove corri, dove vai? Se ci ascolti per un momento, capirai, lui e il gatto, ed io la volpe, stiamo in società di noi ti puoi fidare… Puoi parlarci dei tuoi problemi, dei tuoi guai i migliori in questo campo, siamo noi è una ditta specializzata, fa un contratto e vedrai che non ti pentirai… Noi scopriamo talenti e non sbagliamo mai noi sapremo sfruttare le tue qualità dacci solo quattro monete e ti iscriviamo al concorso per la celebrità!… Non vedi che è un vero affare non perdere l’occasione se no poi te ne pentirai non capita tutti i giorni di avere due consulenti due impresari, che si fanno in quattro per te!… Avanti, non perder tempo, firma qua è un normale contratto è una formalità tu ci cedi tutti i diritti e noi faremo di te un divo da hit parade!… Quanta fretta, ma dove corri; dove vai che fortuna che hai avuto ad incontrare noi lui e il gatto, ed io la volpe, stiamo in società di noi ti puoi fidar!… di noi ti puoi fidar!
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[Carnevale]
Come non fidarci di due tenere faccine che già da Precornelli si muovevano tra i carri delle frazioni e le mascherine? E poi in Oratorio, respirando aria da paese dei balocchi con coriandoli e stelle filanti, panini e frittelle, musica e giochi? Il gatto e la volpe si sono intrufolati così nel pomeriggio del carnevale, rivisitando la storia di Pinocchio. Il teatro era tutto rivestito con i capitoli di Collodi che hanno preso vita con la vivacità e intraprendenza degli adolescenti e dei loro animatori, fino al termine quando “un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato sur una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto.” Anche un gruppo di ciuchini, capitanati da un Mangiafuoco dalla barba fluente, hanno fatto saltelli a suon di frustino. L’immancabile defilè di maschere ci ha portato dritti alla premiazione: sul podio un simpaticissimo grillo parlante. Mentre si chiude il sipario, non dimentichiamo ciò che la Fata diceva a Pinocchio: “Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle che hanno il naso lungo”. E le tue, hanno gambe corte o naso lungo?
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Titolo TitolodeiTitolo Via Crucis venerdì Nella Via Crucis dei venerdì di Quaresima ci siamo lasciati aiutare da alcuni scrittori italiani toccati dalla figura di Gesù di cui hanno raccontato, con arte e creatività, la storia. Si tratta di Giovanni Papini, Luigi Santucci, Stefano Jacomuzzi e Ferruccio Parazzoli. Sono scrittori di prosa protagonisti nella letteratura italiana e si sono certamente fatti conoscere a livello internazionale. Sono persone che con le loro parole scritte hanno fatto eco alla Parola, quella Parola che viene dai Vangeli, dalle Scritture e anche dalla devozione e dalla preghiera dei cristiani. Si sono impegnati in una riscrittura della Parola perché ne sentivano tutta la forza, la capacità comunicativa per loro stessi e per gli uomini del loro tempo, uomini anche del nostro tempo. GIOVANNI PAPINI, una belva diventata agnello
Giovanni Papini nacque a Firenze il 9 gennaio 1881 da Luigi e Erminia Cardini. Suo padre era stato un garibaldino convinto e poi massone e repubblicano, La Lettera
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Abbiamo scelto di ripercorrere alcuni momenti dei racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù, così come questi autori, cristiani pensosi, hanno voluto riscriverli e come raccontarli di nuovo. Ci avviciniamo a questi testi sempre guidati dalla Scrittura e in un clima di preghiera: non vogliamo fare un’operazione solamente ‘culturale’. Siamo convinti che ciò che leggeremo dalle loro opere ci aiuterà a entrare più in profondità nel testo biblico, ci aiuterà a far nascere o a riconoscere presenti in noi emozioni e sentimenti che sosterranno la nostra partecipazione all’amore che Gesù ci ha mostrato nel vivere la sua passione, nel donarsi con la sua morte, nel rivelarci la forza della vita nel mistero della risurrezione.
ateo e feroce anticlericale. La madre riuscì a far battezzare il piccolo Giovanni nonostante il parere decisamente contrario del marito che influenzò profondamente l’adolescenza e la giovinezza del figlio. A vent’anni Giovanni scrisse un libro intitolato Le memorie d’Iddio in cui scrisse parole di fuoco contro la fede cristiana. Addirittura, ironicamente, mise in bocca a Dio stesso queste parole: Uomini: diventate atei tutti, fatevi atei subito! Dio stesso, il vostro Dio, Iddio vostro figlio, ve ne prega con tutta l’anima sua. La sua appartenenza al pensiero ateo non era per nulla pacifica, era anzi decisa e bellicosa. Ma la personalità di Papini era animata anche da una seria ricerca del senso del vivere, di un’inquietudine sincera che lo faceva convinto ricercatore
della verità. Mentre in un primo tempo, egli vedeva Dio come il nemico dell’uomo e della sua libertà e dunque pensava che l’uomo potesse essere se stesso solo ponendosi come unico soggetto della sua storia e del suo agire, col passare del tempo, cambiò modo di pensare. Il primo passo di questo cambiamento fu l’esperienza della finitezza: l’uomo si apre alla richiesta sofferta e accorata di verità che colmi il vuoto, di Qualcuno di più grande dell’uomo che sia presenza che apre orizzonti. Dal 1919 al 1921 Papini matura la decisione di diventare discepolo convinto di Gesù, aderisce alla fede. Questo cammino fu certamente aiutato da alcune esperienze che lo toccarono profondamente: le conseguenze terribili della I Guerra Mondiale; la Prima
Comunione delle sue due bambine; la dolcezza e l’affetto di sua moglie; la vicinanza dell’amico Domenico Giuliotti. Così, nel 1921, Giovanni Papini aveva voltato pagina, si era messo nelle mani di Gesù, era cristiano per scelta consapevole, cristiano per il resto della sua vita. E fu proprio in quell’anno, che pubblicò la sua Vita di Cristo.
di cercare il pane e ha fame di te; l’assetato crede di voler l’acqua e ha sete di te; il malato s’illude di agognare la salute e il suo male è l’assenza di te. Chi ricerca la bellezza del mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l’unica verità degna di essere saputa; e chi s’affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti amano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro. (…)
Noi vogliamo soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, colla sua povera camicia d’operaio povero; vogliamo vedere quegli occhi che passano la parete del petto e Beato Angelico, Cristo deriso Affresco del Convento di san Marco, Firenze la carne del cuore, e guariscono quando Abbiamo bisogno di te, di te solo, feriscono collo sdegno, e fanno e di nessun altro. Tu solamente, sanguinare quando guardano con che ci ami, puoi sentire, per noi tenerezza. E vogliamo udire la tua tutti che soffriamo, la pietà che voce, che sbigottisce i demoni da ciascuno di noi sente per se stesso. quanto è forte, e incanta i bambini Tu solo puoi sentire quanto è da quanto è dolce. grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c’è di te, in questo [Vita di Cristo, Preghiera] mondo, in questa ora del mondo. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono, può dare, a noi bisognosi, STEFANO JACOMUZZI, riversi nell’atroce penuria, nella un intellettuale cristiano miseria più tremenda di tutte, quella dell’anima, il bene che salva. Nato a Novi Ligure, in provincia di Alessandria, il 3 ottobre Tutti hanno bisogno di te, anche 1924. Figlio di un ufficiale quelli che non lo sanno, e quelli che dell’Esercito, si era laureato in non lo sanno assai più di quelli che Lettere moderne a Torino, nel lo sanno. L’affamato s’immagina 1947. Dopo aver insegnato
in alcuni licei piemontesi, fu a lungo ordinario di Storia della letteratura moderna e contemporanea all’Università di Torino. Con il fratello Angelo, a sua volta ordinario di Storia della critica letteraria presso lo stesso ateneo, aveva costituito un fedele sodalizio intellettuale. Autore di numerose edizioni critiche, si era occupato, in particolare, di Dante e Manzoni, di aspetti e figure del Cinquecento, di Annibal Caro, Alfieri, Tommaseo, della memorialistica garibaldina, di D’Annunzio, di Corazzini e di Dino Buzzati. Un interesse speciale lo aveva per le “letterature”, diciamo così, “di settore”, vale a dire specifiche di un preciso argomento; così non sono mancati gli studi sulla letteratura “militare”, su quella della “montagna”, oltre a quelli riguardanti il fenomeno e la pratica sportiva. Per Utet escono, già tra il 1964 e il 1965, i tre volumi dedicati agli sport, nei quali vengono forniti da Jacomuzzi anche, per ogni disciplina, regole e norme. Nel 1996, anno della sua morte, avvenuta a Torino, la città dove aveva insegnato per una vita, La Lettera giugno ‘17
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la sua città, esce Cominciò in Galilea Autobiografia di Gesù, uno scritto singolare costruito su due voci: la prima, è quella dell’apostolo Andrea e la seconda è quella, tutta interiore, dello stesso Gesù, il protagonista di ogni vicenda. Per ogni episodio evangelico Jacomuzzi presenta il racconto di Andrea e quello di Gesù.
Edvard Munch, Golgota, 1900, Museo Munch, Oslo Povera storia senza clamori, la mia. Ma credo che i miei discepoli abbiano compreso che per essa il mondo continua a galleggiare, non precipita nel profondo, riesce ad ascoltare musiche diverse da quelle delle trombe di guerra, l’uomo sorride a chi gli passa accanto e non si sente più solo. [Stefano Jacomuzzi, Cominciò in Galilea, p. 196] Perché l’amore offre e invoca, non costringe; chiama, non perseguita. Se il peccato si acquatta alla vostra porta, amici, e la sua bramosia vi assalta, dominatela nel nome dell’amore. Il Padre attende la nostra scelta, non si stanca mai di aspettare il nostro ritorno, La Lettera
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e vuole ammazzare il vitello grasso per ciascuno di noi e fare grande festa insieme. [Stefano Jacomuzzi, Cominciò in Galilea, p. 206] LUIGI SANTUCCI, uno scrittore dallo spirito di bambino Luigi Santucci (Milano, 11 novembre 1918 23 maggio 1999) è così presentato in un breve ma intenso saggio, pubblicato nel 1987, di p. Ferdinando Castelli, gesuita e studioso dell’afflato religioso presente nella letteratura moderna: saggista, drammaturgo, poeta, soprattutto narratore, Luigi Santucci è tra le personalità più ricche di estro, di sensibilità e di umanità della letteratura contemporanea. Nella sua opera narrativa rivive il filone umoristico che dal Porta al Manzoni, la dimensione storica che ricorda Bacchelli, l’ansia di una fede religiosa più autentica e personale che ha tormentato Fogazzaro, il sentimento del fiabesco e dell’allegorico che ha deliziato Buzzati e Calvino. Scrittore d’ispirazione cattolica, ha trasfuso dappertutto il sapore della gioia cristiana, l’urgenza della speranza, l’appello alla pietà e alla comprensione. Cattolico pungolato dal dubbio, si sforza costantemente di
comprendere la realtà, sia umana sia divina, nell’ottica dell’Incarnazione, senza sterili fughe in mondi siderei o in patetici sentimentalismi. Nel 1969 scrive Una vita di Gesù, uscita col titolo Volete andarvene anche voi?. È una vita di Cristo scritta con una tecnica ardita, estremamente dinamica e imprevedibile, per permettere al suo autore di immedesimarsi nelle vicende e nei personaggi del Vangelo con una analisi totale, quasi come testimone fisico, oculare, in una continua tensione poetica ed emotiva dove la fede trionfa di stretta misura dopo una generosa e strenua battaglia. In queste pagine, la vita del Redentore, superando l’agiografia e la narrazione dei fatti, tende a diventare summa di ragioni e di passioni umane. Travagliato atto di fede, una vita di Cristo anche per gli atei. Libro a due tempi per l’anima: la fede e la problematicità. Nel testamento registrato si ascolta: Carissimi, eccovi dunque la mia voce. Così vi convincerete che non me ne sono andato del tutto. La voce di chi è scomparso è veramente più che una reliquia: è la proiezione di un’anima, è la componente più simbolica di una persona, vorrei dire che è una sua piccola “risurrezione”. Non sono qui a dirvi “non piangete”. Se vi fa bene piangere, accettate il pianto, coltivatelo anzi. Ma che sia un pianto, che siano lacrime serene, o addirittura gaudiose. O persino allegre. Mi capite? Perché “serene”, perché “allegre”? Perché la mia vita è stata una vita “privilegiata” e, oso dire, felice.
La ragione più segreta e più forte per cui ho fatto questo mestiere di scrittore, e della quale ho preso coscienza ultimamente, è… sì, è la vocazione, la spinta, la volontà di lodare. Lodare quante più cose posso. Persone, luoghi, rapporti umani, sentimenti, autori e le loro parole, o se musicisti le loro musiche. Ho lodato, ho cercato di applaudire, di risuscitare nella lode, quante più cose ho potuto. Anche la vecchiaia, che come ricordate non mi è mai stata simpatica né gradita. Scrivere per lodare. Dunque certo una letteratura alquanto inammissibile, in anni come questi dove quasi tutto è squalificato come negativo, come spregevole, come il contrario che “degno di lode”.
Emanuele Luzzati, Crocefissione Spero che questa mia chiacchierata a ruota libera lasci voi, figli miei, con un grande conforto: nel sapere, nel sentirmi con questa voce affermare che me ne sono andato in pienezza di soddisfazione e di gratitudine alla mia sorte. E adesso… buona vita, figli miei. Buona vita.
FERRUCCIO PARAZZOLI, scrittore del mistero (a volte) buffo del male redento
Scrittore, editorialista (è stato responsabile della prestigiosa collana Oscar Mondadori per diversi anni), saggista, conoscitore di molti altri scrittori e uomini di cultura del Novecento e, infine, uomo legato alla figura del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002. È certamente uno dei più importanti del nostro tempo in Italia, nato nel 1935 a Roma ma vive la sua intera vita a Milano. Di lui il gesuita padre Ferdinando Castelli ha scritto: Ferruccio Parazzoli è anche saggista, ma soprattutto è narratore; un narratore ricco d’inventiva, di humor, di problematiche. Diverte e inquieta, sembra vagare nei cieli del surrealismo mentre in realtà si aggira per le nostre case intento ad ascoltare, conoscere, fotografare. Le sue foto sono per lo più primi piani, essenziali, scarni, scialbi: pezzi di umanità che si affanna a vivere, spesso stanca e perdente, sempre priva di qualcosa di vitale, generalmente imbottita di miserie morali e materiali. Su questo spettacolo per lo più desolante Parazzoli
stende l’ombra del Crocifisso. Apparentemente nulla cambia, in realtà tutto diventa nuovo, di una novità che non solo legittima l’esistenza, ma la trasfigura. Il Crocifisso ci si offre come la sola Presenza indispensabile per vivere, per vivere una vita piena, degna di essere chiamata vita. Di Gesù, su Dio e il male, sul mondo dei credenti, Parazzoli ha scritto tanto. Ricordiamo Indagine sulla crocifissione (1982); Vita di Gesù nel 1999; nel 2014 un altro libro sulla figura di Cristo, intitolato Né potere né gloria. Ha scritto molto anche sui preti, uomini così compromessi con la figura di Gesù e con l’umanità. Un suo romanzo molto bello che ha come protagonista un giovane prete è del 2004 e si intitola Per queste strade familiari e feroci (risorgerò). Della sua opera abbiamo attinto da: Gesù e le donne, del 2014, riedizione rivista di un altro suo lavoro dallo stesso titolo del 1989. È suo il testo della Veglia Pasquale, riportato a pag 23.
James Tissot, Crocifissione - Visione dalla croce, 1890, New York La Lettera giugno ‘17
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Titolo Titolo Titolo G di Gioia
[Incontri quaresimali della Zona Pastorale]
A che punto dell’alfabeto siamo arrivati negli incontri quaresimali delle Parrocchie della zona pastorale? Riassumiamo: dopo le tre A, le tre T , le tre C, le tre S, le tre D e le tre M, ecco le tre G di gioia, (Evangelii Gaudium). Abbiamo così conosciuto tre testimoni della gioia di sentirsi amati. Charles de Foucauld, anticipatore di molte tematiche del Concilio vaticano II, come la necessità di prendere in mano la Parola, di confrontarsi con culture e tradizioni diverse. E ancora la fatica e la bellezza del dialogo, la missione a partire dall’unico Battesimo e la testimonianza in un contesto di minoranza. Don Lorenzo Milani “voce della coscienza che ti denuda” (P. Turoldo), uomo e prete della parola –pensiamo alla scuola, al giornale, ai libri…- e della parola, con la consapevolezza di una pertinenza antropologica dell’umano in cui si colloca l’annuncio della salvezza, il desiderio di ”perdersi per qualcosa o qualcuno”, l’i care, esatto contrario del “me ne frego” fascista. Poi la sorpresa di Etty Hillesum, pressoché sconosciuta, anche alla maggior parte di coloro che hanno partecipato al percorso. Nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, Etty Hillesum muore ad Auschwitz nel novembre del 1943. Ragazza brillante, intensa, con la passione della letteratura e della filosofia, si laurea in giurisprudenza e si iscrive quindi alla facoltà di lingue slave; quando intraprende lo studio della psicologia, divampa la seconda guerra mondiale e con essa la persecuzione del popolo ebraico. Durante gli ultimi due anni della La Lettera
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sua vita, scrive un diario personale: undici quaderni fittamente ricoperti da una scrittura minuta e quasi indecifrabile, che abbracciano tutto il 1941 e il 1942, anni di guerra e di oppressione per l’Olanda, ma per Etty un periodo di crescita e, paradossalmente, di liberazione individuale. Sotto l’aspetto vivace e spontaneo, Etty è profondamente infelice: in preda a sfibranti malesseri fisici, scopre a poco a poco che questi sono in relazione con tensioni di ordine spirituale. Forse anche a seguito di carenze educative e vuoti affettivi dovuti al burrascoso matrimonio dei suoi genitori, in quel periodo Etty vive relazioni sentimentali complicate, che la lasciano “lacerata interiormente e mortalmente infelice”. Dopo tanti errori, finalmente l’incontro decisivo con uno psicologo ebreo tedesco, Spier, molti anni più anziano di lei, che si rivela ben più di un terapeuta: attraverso le contraddizioni di una relazione complessa, inizialmente anche ambigua, egli la guida in un percorso di realizzazione umana e spirituale. L’aiuta a conoscere e ad amare la Bibbia, le insegna a pregare, le fa conoscere S. Agostino ed altri autori fondamentali della tradizione cristiana: sarà per Etty un mediatore fra lei e Dio. Seguendo quindi un proprio iti-
nerario, Etty matura una sensibilità religiosa che da’ ai suoi scritti una grande dimensione spirituale. La parola “Dio” compare anche nelle prime pagine del diario, usata però quasi inconsapevolmente, come spesso accade nel linguaggio quotidiano. A poco a poco però Etty va verso un dialogo molto più intenso con il divino, che percepisce intimo a se stessa: “Quella parte di me, la più profonda e la più ricca in cui riposo, è ciò che io chiamo Dio”. Ormai libera dagli errori del passato, si avvia sulla strada del dono di sé a Dio ed ai fratelli, nel suo caso il popolo ebraico, la cui sorte sceglie di condividere pienamente. Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, avrebbe la possibilità di aver salva la vita, invece sceglie di non sottrarsi al destino del suo popolo e nella prima grande retata ad Amsterdam si avvia al campo di sterminio con gli altri ebrei prigionieri: è infatti convinta che l’unico modo per render giustizia alla vita sia quello di non abbandonare delle persone in pericolo e di usare la propria forza interiore per portare luce nella vita altrui. I sopravvissuti del campo hanno confermato che Etty fu fino all’ultimo una persona “luminosa”. Al momento della sua partenza definitiva per il campo di stermi-
nio Etty, che presagisce la fine, chiede ad un’amica olandese di nascondere i suoi quaderni e di farli avere ad uno scrittore di sua conoscenza, a guerra finita. Mario Ghidoni che ci ha introdotto a questa donna, ha sottolineato il punto di partenza della sua esperienza e cioè il cercare di ascoltare la propria vita, poiché il male è dentro di noi e non solo fuori. “Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappare via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. È l’unica soluzione di questa guerra (seconda guerra mondiale): dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove”. Poi un secondo aspetto: il legame fortissimo con il suo popolo. “La miseria che c’è qui è veramente terribile, eppure alla sera tardi quando il giorno si è inabissato dentro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato e allora dal mio cuore s’innalza sempre una voce: non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire in mondo completamente nuovo.” E da ultimo tre aspetti preziosi di Etty: L’indignazione (che è negazione del cinismo che porta a dire che non cambierà niente, non vale la pena impegnarsi…), la compassione (sentendo in-
tensamente il dolore dell’altro) e la semplicità. “Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile ma non è grave: dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà da sé. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso; se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile. È quel pezzettino d’eternità che ci portiamo dentro. Sono una persona felice e lodo questa vita, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra”.
mo difenderla fino all’ultimo. Ci sono delle persone (non sembra nemmeno vero!) che fino all’ultimo istante cercano di mettere al sicuro degli aspirapolvere, dei cucchiai e delle forchette d’argento, invece che te, mio Dio. Ci sono persone che cercano di mettere al sicuro i loro corpi, i quali non sono altro, ormai, che contenitori di mille angosce e amarezze. E dicono: non cadrò mai tra le loro grinfie! E dimenticano che non si è tra le grinfie di nessuno quando si è nelle tue mani. Comincio a sentirmi un po’ più serena, o Dio, dopo questa chiacchierata con te. Nel prossimo futuro farò molte chiacchierate con te, e in questo modo non permetterò che tu fugga via da me.” (12 luglio 1942)
“Questi sono tempi tempestosi, mio Dio. Questa notte è stata la prima notte che sono rimasta con gli occhi sbarrati, insonne, nel buio, e così tante immagini di sofferenza umana mi passavano davanti. Ti prometterò una cosa, Dio, una piccolissima cosa soltanto: non appenderò al presente, come altrettanti pesi, le mie preoccupazioni per il futuro, anche se ciò richiede una certa disciplina. Ogni giorno porta già abbastanza da se stesso. Ti aiuterò, Dio, a non spezzarti in me, ma non posso garantirti nulla da ora in poi. Una cosa però mi si fa sempre più chiara: che tu non ci puoi aiutare, ma siamo noi che dobbiamo aiutare te. E quasi ad ogni battito del cuore, diventa per me sempre più chiaro: che tu non puoi aiutarci ma siamo noi a dover aiutare te, e che la tua abitazione in noi, dove davvero vivi, noi dobbiaLa Lettera giugno ‘17
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Titoloquesto Titolo Titolo Fate
Una Bibbia, un quaderno e l’entusiasmo di chi “ha voglia di fare”. È iniziata così la particolare esperienza del Triduo Pasquale organizzata dalla nostra diocesi e rivolta a tutti i giovani di età compresa tra i 18 e i 20 anni. Un intenso percorso di catechesi, di riflessioni spirituali, di partecipazione... Ma soprattutto un momento veramente utile per riscoprire con grande consapevolezza l’invito che Gesù ha offerto ai suoi dodici apostoli durante l’Ultima Cena e che continua ad offrirci quotidianamente con il sacrifico eucaristico: “Fate questo, in memoria di me!”. Attraverso la guida del Vescovo Mons. Francesco Beschi, con le sue riflessioni sulle letture salienti del Triduo, e dei sacerdoti del seminario - Don Emanuele, Don Fabio e Don Carlo -, ognuno di noi, con storie ed esperienze differenti, è stato in grado di avvicinarsi all’importanza del messaggio evangelico. È questo “Fate!” che ci spinge a non mollare e ad avere il coraggio La Lettera
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di perseguire ciò per cui abbiamo deciso di vivere veramente la nostra esistenza terrena. Seguire Gesù passo dopo passo, dalla notte dell’Ultima Cena alla notte della Resurrezione, ha aiutato noi giovani a comprendere anche determinati aspetti che caratterizzano pienamente il percorso della nostra vita: il sacrificio e l’amore. “Chi non ama resta sempre nella notte” dice il testo di un noto canto liturgico, avvicinarsi alla figura di Cristo e a Dio significa anche “allenarci” ad amare o, per chi non l’ha mai fatto, cominciare ad amare. Ci si rende conto di come l’elemento della notte accompagni costantemente tutta la liturgia del Triduo fino alla Veglia Pasquale. La Resurrezione di Cristo è, infatti, un giorno glorioso, un’esplosione di luce; il suo amore ha vinto il buio della morte ed è rappresentato come un fuoco che arde incessantemente. Da qui nasce la simbologia del cero pasquale, presenza di luce e, quindi, di vita, insieme alla Parola, all’acqua del battesimo e all’Eucaristia. Anche noi giovani durante questo cammino abbiamo percepito la luce della Vera Vita, che racchiude tutti quei desideri, progetti o speranze che senza l’aiuto di Dio non possono
[Esercizi Spirituali 18enni A cura di Andrea]
avverarsi. Come è successo ai discepoli di Emmaus, ci capita spesso di rimanere delusi e scoraggiati quando non otteniamo ciò che ci eravamo preposti di raggiungere. Il vero problema è che non sempre notiamo Gesù accanto a noi che vuole accostarsi al nostro cammino per farsi compagno della nostra vita. “Resta con noi perché si fa sera”. Ecco che, ad un certo punto del nostro percorso di vita, ci accorgiamo della sua presenza e, coscienti del buio che sta per raggiungerci, ci rivolgiamo a Lui, affinché ci tenga compagnia e sostenga i nostri passi… proprio come fecero i due discepoli di Emmaus, i quali lo riconobbero solamente dopo alcune ore che dialogavano insieme. A cena, allo spezzare del pane. Come riassumere questa esperienza in poche parole? Gli esercizi spirituali non sono un gioco, né tantomeno una vacanza, anzi! Ricercare Dio nella nostra vita non è un cosa affatto semplice: richiede sforzo ed impegno costante, c’è bisogno di “allenamento”. Sant’Ignazio di Loyola, l’ideatore degli esercizi spirituali, approfondisce in maniera impeccabile questo argomento. Alleniamoci, allora, ad aprire i nostri occhi di fronte allo sguardo di Cristo, ad aprire il nostro cuore di fronte al suo infinito amore. Solo così saremo in grado di ricambiare lo speciale invito che Gesù offre ad ognuno di noi.
Venerdì Santo
[Via Crucis]
Nomi, storie, strade…sulla via della croce. Abbiamo vissuto così l’edizione 2017, percorrendo un tratto del paese, da Montebello, verso Via Longoni per concludere al Golf. Suggestivi i luoghi, i lumini accesi sul percorso e nelle case, l’ambientazione della crocefissione e della sepoltura. Ma, anche, le testimonianze di tre ragazze, di don Giampaolo e Padre Pino che hanno portato in uno sguardo di risurrezione storie di sofferenza e di morte. Abbiamo sentito il racconto di Pilato e Barabba, di Maria la Madre, di Erode e Simone di Cirene, di Veronica e delle donne di Gerusalemme, di Caifa, di Maria di Magdala e di…Gesù. E poi di Alina, Vera e Alba. Le raccogliamo qui, mentre rivediamo le diverse stazioni interpretate con maestria dai gruppi e dalle associazioni di Palazzago e Burligo cui va un grandissimo ringraziamento.
Il mio nome è Alina, vengo dalla Romania. Ho solo 17 anni. Vengo da una famiglia povera. In Romania ho frequentato poco la scuola. Sono invece andata presto al lavoro in una piccola fabbrica di sartoria. Guadagnavo € 80,00 al mese. Un giorno sono stata portata in Italia da due giovani che ho conosciuto al mio paese e che mi hanno promesso lavoro e soldi. Sono partita senza pensarci troppo. I miei genitori, pensando al ritorno economico che avrei avuto e con il quale avrei potuto aiutare anche loro, mi hanno lasciata partire. E così mi sono trovata sì in Italia, ma subito sbattuta in strada, costretta a prostituirmi. Io non volevo … ho cercato di ribellarmi ma quelle persone mi hanno ricattato, picchiato … e ho dovuto per forza cominciare a prostituirmi. E così per tante sere, dopo aver perduto anche la mia verginità non con una
persona che avrei potuto amare ma con un cliente, ho dovuto poi concedermi a tanti uomini di ogni età che non cercavano Alina ma il mio corpo per i loro sregolati e trasgressivi piaceri. Se mia madre lo sapesse scoppierebbe a piangere. Certamente lei comprenderebbe che non ho scelto io tutto questo ma mi è caduto addosso come una pesante croce che progressivamente mi sta schiacciando e annientando. Lungo la strada di questo dolore e delle ripetute violenze, penso alla mia mamma e alla mia famiglia. Se sapessero dove mi trovo e se immaginassero in quale disgrazia sono capitata si dispererebbero. Loro, le persone a me più care, quelle per cui mi sono allontanata per cercare un lavoro al fine di poterli aiutare e risollevare… se solo li potessi riabbracciare e se potessi stringermi forte ai mie genitori e piangere con loro… La Lettera giugno ‘17
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Il mio nome è Vera. Vengo da un paese lontano, la Nigeria. La mia famiglia è numerosa. Io sono la prima di 8 tra fratelli e sorelle. Ho 15 anni. Un giorno un uomo è venuto al mio villaggio, alla mia capanna e ha parlato a lungo con i miei genitori. A loro ha promesso di portarmi in Italia per studiare mentre avrei accudito come baby sytter i figli di una signora nigeriana già da tempo in Italia. Dietro la promessa che avrei potuto mandare anche soldi alla mia famiglia, i miei genitori si sono fidati di quell’uomo e mi hanno affidata a lui. Non vi racconto tutto, vi dico solo che, dopo un viaggio terrificante nel deserto, poi su un gommone dalla Libia a Lampedusa, sono arrivata nel paese dell’uomo bianco; paese che avevo sentito descrivere come il Paradiso quando invece il mio paese è per lo più un Inferno. Quando sono riuscita in qualche modo a fuggire dal Centro di Accoglienza, alla stazione del treno di Roma mi aspettava quella donna nigeriana presso cui dovevo svolgere il servizio di baby sytter ma che mi avrebbe mandato anche a Scuola. La sera stessa che sono andata ad abitare con lei, mi è crollato addosso il mondo.
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Quella donna mi ha detto che di giorno avrei dovuto fare da baby sytter ai suoi due figli e poi che non potevo andare a scuola perché non avevo i documenti e quindi di notte avrei dovuto prostituirmi indossando trucchi, vestiti e stivali che lei mi avrebbe procurato. Mi ha richiamato anche i riti Voodoo e il patto che avevo suggellato secondo le nostre tradizioni nigeriane, prima di partire per l’Italia. Mi sono in poco tempo ritrovata dentro una terribile situazione senza scampo. Ho pianto a lungo e disperatamente ma quella donna non teneva alcun conto del mio sconforto. Sono diventata una baby prostituta. Quella donna, la mia madam, mi ha cambiato anche il nome; da Vera sono diventata Jessica; da poco più che adolescente mi ha fatto diventare ben truccata una giovane di 22 anni e poi mi ha messo in strada chiedendomi di pagare un debito di € 50.000,00 per tutto quanto aveva fatto per portarmi in Italia. Nessuno con me si è comportato come la Veronica; nessuno ha usato dei veli per tergere il mio volto e riportarmi ad essere giovane ragazza di 15 anni. I clienti usavano si “dei veli“ ma servivano ad altro.
Il mio nome è Alba. Sono albanese. Sono stata tra le prime donne che negli anni 1990 sono state portate in Italia dal racket albanese; sì dai miei stessi connazionali che ci facevano innamorare, così diventavamo, secondo le nostre tradizioni, loro proprietà. E così, come tante altre mie amiche, siamo state portate a Valona e lì ha cominciato a svelarsi il dramma di quanto mi attendeva: mi ha addestrata violentemente, con altri uomini, per la prostituzione. L’uomo che mi aveva dichiarato amore e per cui mi ero persa è diventato il mio carnefice. In Italia era quello il mio lavoro: la prostituzione … e avrei dovuto darmi da fare
per guadagnare molti soldi da consegnare al mio magnaccio. Volevo ribellarmi ma presto mi sono resa conto che era impossibile. Ero caduta in una trappola e dovevo starci dentro. Ogni tentativo di fuga avrebbe potuto diventare un pericolo di essere violentemente ancora percossa o forse anche uccisa. Per lunghi mesi ho dovuto prostituirmi e passare di mano in mano a clienti che mi chiedevano anche quanto non avrebbero mai chiesto alle loro mogli. E dovevo tacere. Loro mi pagavano. E poi io dovevo dare tutto al mio magnaccio. Ero diventata una macchina da sesso. Non ero più Alba; dentro me e attorno a me era solo notte.
Gli altri personaggi della Via Crucis si sono presentati con il loro nome. Avete sentito anche la storia di tre nostre amiche. Noi ci presentiamo a voi con questo nome: siamo le donne crocifisse, le prostitute schiavizzate presenti non sulla via del Golgota ma su molte strade della bergamasca. FONDAZIONE GEDAMA onlus Sorta l’11 luglio 2006, in memoria della Famiglia Carrara Giuseppe e Elisabetta e di alcuni parenti attenti ai valori della carità cristiana e della fratellanza, la Fondazione GEDAMA onlus, ha come scopo di testimoniare l’amore di Cristo verso i bisognosi e gli emarginati di nuove forme di povertà. “GEDAMA “ contiene le iniziali delle persone della Famiglia Carrara Giuseppe ed Elisabetta e di alcuni parenti che hanno reso possibile la costituzione della Fondazione. Ha pure un significato simbolico che sintetizza l’identità e lo scopo della Fondazione stessa. “Ghe” in greco significa “terra”; “damà” in ebraico significa “terra, suolo”. L’impegno e lo stile della Fondazione vuole essere infatti quello di mettersi “a terra”, al livello di coloro che nella vita si sono ritrovati a terra… (info: www.fondazionegedamaonlus.org) La Lettera giugno ‘17
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Prendete e mangiate: Titolo Titolo Titolo questo è il mio corpo Tutto, anche la consacrazione, era previsto e scritto, lo so. Ma c’è anche nell’uomo Cristo una psicologia emotiva e fantastica, che sorprese lui stesso, e che in quella libertà d’improvvisazione va poi misticamente a coincidere con l’antichissima volontà del Padre. Allora io vedo i suoi occhi vagabondare, a questo punto, fra i rimasugli di pane sulla tovaglia, brillare d’un ispirazione ineffabile: ecco, il suo nascondiglio. Là si andrà a rifugiare. Non lo prenderanno tutto, stanotte; crederanno di averlo preso, strappato ai suoi compagni, invece percuoteranno e crocifiggeranno un fantasma: lui si è
rimpiattato in quel pane. Quasi come quando, in Galilea, allorché lo volevano catturare per ucciderlo e per farlo re, egli aveva l’arte di nascondersi e di sparire alla vista. Allunga allora la mano su quel pane già rotto, lo frantuma ancora e alzandolo nell’aria dice le parole del magico trapasso: “Questo è il mio corpo, il quale è stato dato per voi”, ...non è stato un fuggire dalle lance, no. Tutta la sua carne - non un fantasma - resta ai carnefici che la strazieranno fra poche ore. Ma il nascondiglio rimane vero; e inventandolo in quell’attimo egli lascia realmente ai suoi un Cristo che nessuno potrà mai scovare e strappar loro di mano. Lo mangino. Si facciano coi loro petti nascondiglio del nascondiglio. Poco fa Gesù ha lavato ad essi i piedi, si è contaminato con la loro corporeità fangosa. Adesso vuole fare di più: scenderà nello loro gole, si mescolerà, sino a trasformarsi, con le loro mucose, si scioglierà a poco a poco in tutte le loro fibre. C’è nell’eucaristia questo primo significato non mistico ma fisico, quasi l’aggrapparsi alla materia degli amici che resteranno e vivranno. “Questo è il mio corpo” dice con una tenerezza che esalta prima di tutti lui stesso. Non “questo è il mio spirito” o “il bene che vi porto”; di ciò for-
[Luigi Santucci, “Volete andarvene anche voi?” Una vita di Cristo]
se non avrebbero saputo che farsene. Occorre a loro ch’egli rimanga con l’unica cosa di noi che veramente conosciamo e cui attacchiamo il cuore e la memoria: il corpo; e che sia un corpo appetibile, gradevole e famigliare. Per questo ha cercato su quell’ultima tovaglia, la cosa più facile, più quotidiana, più concreta: il pane. Per sfamare e per piacere. Soprattutto per restare. Cristo misura stasera, per tutti noi, i milioni di sere che ci separano dal ritrovarci faccia a faccia con lui, la lunghezza della separazione. Sa che bastano pochi giorni agli uomini per dimenticare, che la lontananza tutto sgretola e inutilmente l’amante lascia cadere nella lettera che varcherà il mare la ciocca di capelli. Se Pietro stesso, e Giovanni e Andrea e Giacomo dimenticheranno, perché i loro figli e i figli dei loro nipoti non dimentichino occorre che egli getti fra lui e me questo sterminato ponte di pane. “Fate questo in mia memoria”. I suoi allora ricordano che già in questo lui promise quel giorno a Cafarnao: “Io sono il pane vivo venuto dal cielo. Chi mangerà di questo pane vivrà in eterno, e questo pane è la mia carne offerta per la vita del mondo...”. E proprio quel giorno i più l’avevano abbandonato con scandalo.
[Ferruccio Parazzoli, “Gesù e le donne” - 2014]
Era mattina, quasi ancora buio, la pietra era rimossa e il sepolcro vuoto. Piansi a lungo accanto al sepolcro del mio Signore, perché mi era insopportabile l’idea che non rimanesse nulla di lui, neppure il suo corpo. Quando mi voltai, vidi un uomo che non conoscevo e pensai che fosse il padrone del campo. Quell’uomo non lo avevo mai visto. Poi vollero che io dicessi che era troppo buio per riconoscerlo, che nella mia tristezza io non alzai neppure gli occhi a guardarlo e che se lo avessi fatto avrei subito riconosciuto il mio Signore. Non è così: io non lo riconobbi. Lo so che questo non ha senso e può sembrare una sciocchezza, una testardaggine di donna, ma nessuno era là a sentire la sua voce quando mi chiamò per nome: «Maria!». Quante volte mi aveva chiamato così, eppure mai avevo sentito tanta dol-
Maria di Magdala cezza nella sua voce. Ancora oggi, quando chiudo gli occhi, sento la sua voce chiamarmi con la stessa dolcezza con cui mi ha chiamata quell’ultima volta: «Maria!». Mi chiama così da allora, la sua voce mi accompagna, e io non sento più altro. Mi hanno messa da parte, con delicatezza, con affetto: a chi serve, infatti, che io continui a sentire dentro di me la sua voce e solo la sua voce? In quella chiamata c’era il mantenimento di una promessa, c’era l’adempimento del suo amore per me, per Maria di Magdala, sì, proprio quella Maria dalla quale aveva scacciato sette demoni, come vi piace ricordare, un amore totale per ciascuno di noi, con il suo nome, con il suo corpo, con la sua povera vita. Solo allora riconobbi quello sconosciuto, da come pronunciò il mio nome, «Maria!», e gli caddi ai piedi: «Rabbunì!», esclamai, ed ero felice. Mi parve così naturale che prima non lo avessi riconosciuto che neppure oggi, dopo tanto tempo, posso spiegarne il perché. Ora so che non era possibile riconoscerlo prima che mi avesse chiamato. Neppure voi potrete riconoscerlo prima che egli vi chiami anche se egli è lì, dinanzi a voi da sempre, eppure voi non sapete chi sia, finché non vi avrà chiamato per nome. Questo è il semplice segreto di Maria di Magdala. Vi prego: non dormite. La Lettera giugno ‘17
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Un dono speciale: il perdono Titolo Titolo Titolo
[Prima Confessione A cura di Erika e Paola]
Profumo di nardo e incenso nella celebrazione della prima Riconciliazione: far sparire il cattivo odore del peccato aprendo il nostro cuore al buon profumo della Grazia che il Signore ci dona con il suo sacramento. Davanti all’altare cinque candele di diverso colore: bianco, giallo, verde, rosso e blu e bastoncini di incenso. I nostri bambini, dopo essersi
ne; però durante il cammino dell’anno e nei ritiri di preparazione ci siamo accostati gradualmente alle dimensioni preziose presenti in questo sacramento. Allora anche due storie che possono sembrare tra loro distanti, come l’Arca di Noè e Pinocchio, ci affidano significati importanti e a poco a poco ci fanno comprendere come l’amore di Gesù per noi, ci rende diversi, migliori e forti.
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presentati davanti a Gesù per chiedere perdono, hanno acceso un bastoncino di incenso con la candela del colore da loro scelto durante l’ultimo ritiro di preparazione, quando ognuno aveva abbinato questo sacramento ad un colore. Infatti il titolo era “I colori della riconciliazione”. A questa età per i bambini non è semplice comprendere il significato della confessio-
Queste alcune loro impressioni e stati d’animo: • “Ero ansioso e continuavo a pensare ai miei peccati” • “Avevo paura di raccontare i miei peccati…” • “Dopo la Confessione mi sono sentito più leggero, libero” • “Sono contento di aver ricevuto questo Sacramento e di potermi rivolgere a Gesù ogni volta che ne avrò bisogno” • “Ero agitato perché c’erano tante persone e avevo paura di sbagliare qualcosa” • “In quel momento mi sono sentito più vicino a Gesù”
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Vieni, dell’anima! Titoloospite Titolodolce Titolo
Per comprendere quanto si è svolto Domenica 7 maggio per il gruppo di 32 ragazzi delle nostre Comunità, bisogna ricordare brevemente il percorso fatto in preparazione alla Cresima. Proprio a Roma, nella gita-pellegrinaggio di dicembre hanno capito che solo lasciandosi riempire il cuore dall’amore di Gesù si riesce a “conoscere” l’amico che ci accompagna, andando oltre le apparenze. Vivere insieme, condividere i minuti e le ore hanno permesso di scoprirsi tutti importanti e indispensabili al gruppo … Il ritiro a Bergamo poi è stato veramente illuminante. Attraverso la visita e la preghiera ad alcuni luoghi significativi –il Battistero, il confessionale del Fantoni, la Cappella del Crocefisso, la Cattedrale, la Cappella dei Santi, le sepolture dei Vescovi- abbiamo compreso La Lettera
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che lo Spirito è la sorgente di vita, la grazia e l’amore del Padre; poi i ragazzi con don Giuseppe sono entrati nella Comunità “Patronato San Vincenzo” come ospiti. È lì che hanno toccato con mano quanto sia importante il prossimo e quanto sia fondamentale aprire la propria mente e allontanare i preconcetti. Condividere la cena ragazzi di cultura e modi di vivere completamente diversi da loro, ha fatto capire che tutti sono uguali di fronte a Dio al di là di ogni pregiudizio. Conoscere don Davide, carico di entusiasmo, e incontrare i sorrisi degli “ospiti” hanno allontanato dai ragazzi le titubanze, che sono state sostituite dal desiderio di “giocare” con loro. E finalmente Domenica… L’ansia e l’emozione sono palpabili, tutti possono ammirare le sedie, realizzate con i cari, sì proprie le sedie. Il segno della nostra Cresima è infatti una sedia per un ospite speciale: lo Spirito Santo. Molti sono i momenti coinvolgenti: urlare “Eccomi”, l’imposizione delle mani, l’unzione con l’olio crisma, e la riflessione di don Davide Rota, Superiore
[Cresima A cura di Purissima e catechiste]
generale del Patronato, Delegato del Vescovo. Proprio le sue parole sono cariche di significato. Lui spiega che la sedia della loro vita deve essere sostenuta da quattro pilastri: Dio, il prossimo, se stessi e le cose. Poi aggiunge: La sedia è la vostra, ma non è per voi; è per chi vi sta vicino, perché per voi è il momento di camminare, di lavorare, di scegliere e utilizzare i doni ricevuti. Al termine della celebrazione le voci tremolanti di molti ci dicono che lo Spirito Santo non solo ha occupato la sedia, ma ora è veramente ospite speciale in ogni loro cuore.
I pensieri dei ragazzi sono infiniti, ne trascriviamo solo un paio che riassumano i sentimenti di tutti. - Grazie Signore per questo dono immenso, grazie per la Luce che lo Spirito Santo infonde in me e sul cammino che porta a Te. - Mi è piaciuta la cerimonia perché ho capito l’importanza di ciò che stavo vivendo. Ero emozionato e felice. Il momento che ho sentito più forte è stata l’imposizione delle mani sulla mia testa. Pensiero di mamma e di madrina:- La celebrazione della Cresima è stata vissuta con intensa partecipazione da parte di tutta l’assemblea e particolarmente dai ragazzi , padrini- madrine e genitori. Grazie alle parole di Don Davide abbiamo compreso l’importanza di essere ospiti dello Spirito. Noi adulti ora ci sentiamo più consapevoli della responsabilità e del compito di essere guida per i nostri figli, li aiuteremo a conoscere il volto di Gesù attraverso la sua Parola piena d’Amore. Pensiero di mamma e di madrina: La celebrazione della Cresima è stata vissuta con intensa partecipazione da parte di tutta l’assemblea e particolarmente dai ragazzi , padrini- madrine e genitori. Grazie alle parole di Don Davide abbiamo compreso l’importanza di essere ospiti dello Spirito. Noi adulti ora ci sentiamo più consapevoli della responsabilità e del compito di essere guida per i nostri figli, li aiuteremo a conoscere il volto di Gesù attraverso la sua Parola piena d’Amore.
E non è finita qui… come don Giuseppe ha detto ai ragazzi pochi giorni prima della Cresima: questo deve diventare il punto di partenza per il futuro; un futuro nel quale, accompagnati dal soffio dello Spirito Santo , saremo pronti a tendere la nostra mano alle persone care e a tutti quelli che incontreremo. Grazie a tutta la Comunità che ci ha sostenuto in questo nostro cammino. La Lettera giugno ‘17
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Titolo Titolo Titolo Dettofatto
[Cre 2017]
Dettofatto: il Cre 2017 degli Oratori della Lombardia scalda i motori. L’estate è un invito a diventare “custodi del creato”. Il tema, il sussidio, il calendario dei laboratori e degli incontri di formazione, la musica: è tutto pronto e nelle tradizionali serate di presentazione in Seminario, tra gli oltre 4000 giovani delle parrocchie c’eravamo anche noi. “Il tema di quest’anno – sottolinea don Emanuele – prende le mosse dall’enciclica Laudato sì di Papa Francesco. Possiamo già anticipare che avrà un sequel, anzi, ci accompagnerà per altri due anni almeno”. “DettoFatto – Meravigliose le tue opere”, si concentra sulla creazione, l’anno prossimo si parlerà di più dell’azione e degli strumenti che l’uomo ha inventato per custodire e coltivare il mondo che Dio gli ha affidato. Tra due anni si parlerà di vocazione: sogni, desideri, progetti. Papa Francesco nella Laudato si’ parla di clima, di ambiente, di ecologia, ma lo fa a partire dalle relazioni: “Anche noi, nella realizzazione del tema del Cre – continua don Emanuele – siamo partiti dalla stessa prospettiva. L’ecologia corrisponde a una cura dell’ambiente che non può esserci se non c’è cura delle relazioni. Nelle relazioni umane c’è spesso fatica, scattano facilmente le dinamiche dello sfruttamento. Dall’osservazione di ciò che
aria, acqua, terra e fuoco sono racchiusi nella sagoma stilizzata di una mano, che evoca l’idea della custodia di Dio. Come ogni anno è stata data una grande attenzione anche al progetto musicale: “È da vent’anni – sottolinea don Emanuele – che si prosegue questo lavoro, che non ha soltanto un valore di intrattenimento, ma un contenuto educativo che si esplica nei testi nelle canzoni ma anche nel ritmo e nei gesti. Canti e danze sono pensate in relazione al tema. Non è vero che una danza vale l’altra e che vanno bene anche quelle che sono in cima alle classifiche. Quelle contenute nel cd sono studiate in base alla fascia d’età e al momento in cui possono essere utilizzate: per il gioco oppure per accompagnare la preghiera”. Le iscrizioni sono aperte, sia per il Cre che per il Baby: davanti la grande avventura estiva con il coinvolgimento di tantissime persone. Queste le date: • Cre dal 26 giugno al 21 luglio, Oratorio • Baby Cre dal 3 al 28 luglio, Scuola dell’Infanzia E poi la vacanza adolescenti: dal 22 al 27 luglio presso il Villaggio Camping delle Rose a Gatteo Mare (iscrizioni entro il 15 giugno con l’apposito modulo). Sul sito della Parrocchia trovi i moduli di iscrizione e il programma di tutte le iniziative.
La Lettera
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accade comunemente emerge la necessità di pensare a questo, a recuperare la qualità dei rapporti, del tessuto relazionale, perché dal rispetto dell’altro discende anche il rispetto dell’ambiente, di ciò che abbiamo intorno, il desiderio di non inquinare, di usare correttamente le risorse”. Partendo da sé e seguendo questa strada tutti, anche i più piccoli, possono prendersi la loro parte di responsabilità. Agli obiettivi sono stati associati i quattro elementi: acqua, aria, terra, fuoco. Ad ognuno è associato un aspetto costitutivo della relazione. “Essi sono mescolati perfettamente dentro il Creato – scrive nell’introduzione al sussidio monsignor Maurizio Gervasoni, vescovo di Vigevano e delegato per la pastorale giovanile nella conferenza episcopale Lombarda – e plasmano tutte le creature. Visti con l’occhio puro di San Francesco, essi ci aiuteranno a scoprire la bellezza e la forza oltre che la fragilità e la complessità di ciò che ci è stato consegnato: terra per sperimentare l’origine e il fondamento, acqua per tornare all’essenzialità, aria per scoprirsi bisognosi dell’altro e infine fuoco per alimentare di passione le nostre comunità e il mondo che viviamo”. Nel logo del Cre, curato da Tommaso Chiarolini, tutte queste immagini tornano con uno stile allegro e contemporaneo e colori decisi:
[Mese di maggio]
Il mese di maggio è il periodo dell’anno che più di ogni altro abbiniamo alla Madonna. Un tempo in cui si moltiplicano i Rosari a casa e nei cortili, sono frequenti i pellegrinaggi ai santuari, si sente più forte il bisogno di preghiere speciali alla Vergine. Alla base l’intreccio virtuoso tra la natura, che si colora e profuma di fiori, e la devozione popolare. Anche da noi è così: inizio mese con le Parrocchie della zona pastorale a Concesa e le messe in giro per i paesi, il lunedì e il mercoledì a Palazzago, il martedì e il giovedì a Burligo, partendo dal centenario della Madonna di Fatima. Ma perché proprio maggio per Maria? La storia ci porta in particolare al Medio Evo, ai filosofi di Chartres nel 1100 e ancora di più al XIII secolo, quando Alfonso X detto il saggio, re di Castiglia e Leon, in “Las Cantigas de Santa Maria” celebrava Maria come: «Rosa delle rose, fiore dei fiori, donna fra le donne, unica signora, luce dei santi e dei cieli via (...)». Di lì a poco il beato domenicano Enrico Suso di Costanza mistico tedesco (12951366) nel Libretto dell’eterna sapienza si rivolgeva così alla Madonna: «Sii benedetta tu aurora nascente, sopra tutte le creature, e benedetto sia il prato fiorito di rose rosse del tuo bel viso, ornato con il fiore rosso rubino dell’Eterna Sapienza!». Ma il Medio Evo vede anche la nascita del Rosario, il cui richiamo ai fiori è evidente sin dal nome. Siccome alla amata si offrono ghirlande di rose, alla Madonna si regalano ghirlande di Ave Maria. Le prime pratiche devozionali,
Ghirlande di rose, ghirlande di Ave legate in qualche modo al mese di maggio risalgono però al XVI secolo. In particolare a Roma san Filippo Neri, insegnava ai suoi giovani a circondare di fiori l’immagine della Madre, a cantare le sue lodi, a offrire atti di mortificazione in suo onore. Un altro balzo in avanti e siamo nel 1677, quando il noviziato di Fiesole, fondò una sorta di confraternita denominata “Comunella”. Riferisce la cronaca dell’archivio di San Domenico che «essendo giunte le feste di maggio e sentendo noi il giorno avanti molti secolari che incominciava a cantar meggio e fare festa alle creature da loro amate, stabilimmo di volerlo cantare anche noi alla Santissima Vergine Maria....». Si cominciò con il Calendimaggio, cioè il primo giorno del mese, cui a breve si aggiunsero le domeniche e infine tutti gli altri giorni. Erano per lo più riti popolari semplici, nutriti di preghiera in cui si cantavano le litanie, e s’incoronavano di fiori le statue mariane. Parallelamente si moltiplicavano le pubblicazioni. Alla natura, regina pagana della primavera, iniziava a contrapporsi, per così dire, la regina del cielo. E come per un contagio virtuoso quella devozione cresceva in ogni angolo della penisola, da Mantova a Napoli. L’indicazione di maggio come mese di Maria lo dobbiamo però al gesuita Annibale Dionisi che nel 1725 pubblica a Parma “Il mese di Maria o sia il mese di maggio consacrato a Maria con l’esercizio di vari fiori di virtù proposti a’ veri devoti di lei”. Tra le novità del testo l’invito a vivere la devozione mariana nei luoghi quotidiani, non necessariamente in
chiesa «per santificare quel luogo e regolare le nostre azioni come fatte sotto gli occhi purissimi della Santissima Vergine». In ogni caso lo schema da seguire, possiamo definirlo così, è semplice: preghiera (preferibilmente il Rosario) davanti all’immagine della Vergine, considerazione, vale a dire meditazione sui misteri eterni, fioretto o ossequio, giaculatoria. Negli stessi anni, per lo sviluppo della devozione mariana sono importanti anche le testimonianze dell’altro gesuita Alfonso Muzzarelli che nel 1785 pubblica “Il mese di Maria o sia di Maggio” e di don Giuseppe Peligni. Il resto è storia recente. La devozione mariana passa per la proclamazione del Dogma dell’Immacolata concezione (1854) cresce grazie all’amore smisurato per la Vergine di santi come don Bosco, si alimenta del sapiente magistero dei Papi. Nell’enciclica Mense Maio del 29 aprile 1965, Paolo VI indica maggio come «il mese in cui, nei templi e fra le pareti domestiche, più fervido e più affettuoso dal cuore dei cristiani sale a Maria l’omaggio della loro preghiera e della loro venerazione. Ed è anche il mese nel quale più larghi e abbondanti dal suo trono affluiscono a noi i doni della divina misericordia». Nessun fraintendimento, «giacché Maria è pur sempre strada che conduce a Cristo. Ogni incontro con lei non può non risolversi in un incontro con Cristo stesso». Nel “Trattato della vera devozione a Maria” san Luigi Maria Grignion de Montfort scrive: «Dio Padre riunì tutte le acque e le chiamò mària (mare); riunì tutte le grazie e le chiamò Maria». La Lettera giugno ‘17
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Titolo Titolo Titolo San Giuseppe a Precornelli 19 marzo 2023. Non siamo un po’ fuori anno? Certo, ma questa è la prossima data in cui, cadendo il 19 marzo di Domenica, sarà fatta anche la processione con la statua del Santo. La precedente era stata nel 2006. Così, in questo 2017, i volontari della frazione si son fatti in quattro per sistemare, pulire, abbellire, dentro e fuori, la chiesa, le vie e le case prospicienti il passaggio della processione. Abbiamo invitato a presiedere la concelebrazione Mons. Patrizio Rota Scalabrini che ci ha guidati, attraverso la parola di Dio, a guardare i tratti caratteristici di San Giuseppe. Don Paolo, don Giampaolo e don Giuseppe hanno concelebrato la cena eucaristica, mentre don Roberto si è aggiunto alla cena serale (perché impegnato nel ritiro con i ragazzi). Raccogliamo i passaggi dell’omelia di don Patrizio che ci stimola alla devozione di questo grande Santo. Per la cronaca: il 2023 sarà anche l’anno in cui dovremmo estinguere il mutuo della casa di Comunità. San Giuseppe ora pro nobis…
Giuseppe è un uomo che sa attendere la risposta del Signore, è un uomo in ascolto. Questo mi sorprende di lui! Non si è messo lì a decidere di testa sua, ma ascolta ciò che il Signore gli fa capire. Tutte le volte che Giuseppe appare, lasciatemelo dire in bergamasco, al gà sempr de übidì. E lui obbedisce. Così in ogni passaggio: il viaggio a Betlemme, la fuga in Egitto e il ritorno. Giuseppe è un uomo che sa mettersi in ascolto. Certamente ha ascoltato Maria e l’ha fatto fino in fondo. E la prima cosa che possiamo portare a casa, noi che oggi festeggiamo San GiusepLa Lettera
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pe è proprio questa: Signore, rendici uomini e donne capaci di ascoltare. Quell’ascolto che è poi obbedienza. Saper obbedire vuol dire ascoltare con il cuore, pienamente. L’obbedienza non è tanto quella che hanno i bambini, ma è quella dell’adulto. Nella vita ci sono delle necessità, delle urgenze, delle responsabilità che ti chiedono di obbedire. Questa è l’obbedienza più preziosa. Da bambino puoi anche obbedire per timore. Da adulto invece obbedisci per amore. E poi, sistematicamente, “non temere di prendere con te” e Giuseppe prende con sé. Questo è stupendo. Questa è la vera figura della paternità. La paternità, nel senso più radicale della parola, è prendere con sé quelle persone che il Signore ha messo sulla tua vita, aiutarle a crescere, a camminare. Ti prendi cura di quella persona finché questa non è in grado di decidere, di essere autonoma, di spiccare il suo volo. Questo è il prendere con sé.
Che è poi la cura e la responsabilità. Giuseppe è l’uomo che sa addossarsi questo “prendere con sé”. Credo che anche questo elemento sia prezioso per noi. Abbiamo bisogno di persone che sappiano prendere con sé. Non sto pensando solo nelle famiglie, ma anche in tutti i piani dalla comunità civile a quella religiosa. C’è ancora una cosa che voglio vedere con voi ed è Giuseppe, l’uomo capace di sognare. L’Angelo gli appare in sogno. Un’espressione biblica per dire un’esperienza particolare della tua psiche che non sai nemmeno tu definire bene cos’è. Quando noi diciamo: ho sognato una cosa. E i sogni più potenti sono quelli che si fanno quando si è svegli. I sogni veri, quelli autentici, quelli profondi. Giuseppe è l’uomo che sa sognare. Che non si appiattisce e che continua in questo senso, in questo saper sognare ad essere portatore di speranza, portatore di significati. Che continua in qualche
modo il suo compito che è essere una fiaccola sul cammino di coloro che gli sono affidati, i figli. Questo è il compito paterno. Nel fare questo bisogna avere la capacità di sognare, cioè di credere che il cammino è buono, che vale la pena di affrontarla la fatica. La fatica di lottare, di vivere, di faticare tutto il lavorare, di essere giusti, questo vuol dire capacità di sognare. Giuseppe è veramente l’uomo del sogno. Tutte le volte che c’è, c’è sempre un sogno. L’Angelo, il sogno e lui. E c’è un ultimo particolare che oggi voglio consegnarvi ed è quando c’è la fuga in Egitto. In questo episodio egli riceve la comunicazione divina del pericolo che sta gravando sul bambino, la minaccia che si sta diffondendo su di lui. E Giuseppe si alzò, prese con sé il bambino e la madre e nella notte fuggì in Egitto. Questa piccola particella “nella notte” secondo me è ricchissimo. Cioè Giuseppe è l’uomo che non ha paura di affrontare la notte, perché dentro di sé ha la certezza del giorno. Ha la certezza che viene il giorno, che non vuol dire semplicemente che il sole sorge, lo sappiamo tutti che poi sorgerà. Ma ci sono dentro di noi dei soli che devono ancora sorgere nella nostra vita che sono molto più urgenti. Si può affrontare la notte soltanto se tu hai nel profondo del cuore la certezza del giorno. Altrimenti Giuseppe sarebbe stato paralizzato dalle sue paure
e invece affronta la notte con la madre e con il bambino e fugge in Egitto. Però io non mantengo mai le mie promesse, avevo detto che era l’ultima cosa, ma non è proprio l’ultima… Era la penultima. L’ultima è questa: vi piacciono i traslochi? Don Giuseppe sei pronto ai traslochi? Sto pensando alla casa qui, cioè speriamo si possa fare! Adesso ormai noi preti ci fanno traslocare molto spesso eccetto il sottoscritto che è sempre nello stesso posto, ma gli altri traslocano. Voi direte, dove vuoi arrivare don Patrizio? San Giuseppe è l’uomo dei traslochi: continuamente vai di qui, vai di là: insomma, tu lo vedi sempre in movimento. Io credo che dobbiamo essere persone capaci un po’ di traslocare. Per traslocare anche dai nostri schemi interiori: il mondo era fatto così, un tempo si faceva così, adesso è cosà non mi piace più. Bisogna mettere in conto che traslocheremo ancora. Mettiamoci davvero in questo senso in movimento. Che, guardate, è simbolo della fede. Tutti siamo pellegrini e stranieri in questa terra, dice la Lettera agli Ebrei. E rivedendo tutte le grandi figure dell’Antico Testamento li indica tutti in cammino, tutti in trasloco. Ci sono dei traslochi a volte dolorosi, ci sono cose a cui siamo attaccati. Ci sono
dei traslochi ancora più profondi che sono i nostri schemi, le nostre comprensioni. Qual è ad esempio il trasloco più difficile oggi? Capire i nostri giovani. Il mio lavoro è di insegnare a loro e io mi rendo conto che ho i miei schemi e allora chiedo al Signore : aiutami a traslocare, cioè a entrare nel loro modo di sentire, di non giudicare perché se no i nostri tempi sono sempre migliori, quello che abbiamo vissuto era sempre meglio e sapete cosa dice la Scrittura? Che questo non è saggio. “Non dire che i tempi di oggi sono peggiori di quelli di ieri perché questo non è saggio”. Ognuno deve vivere i propri tempi. Certamente stiamo vivendo dei tempi particolari di fortissime trasformazioni, con un’accelerazione incredibile, questo è vero, ma se il Signore ci ha voluto qui a vivere questo tempo si vede che questa era la nostra chiamata. Allora io credo che in tutto questo portiamo nel cuore una richiesta: Signore, attraverso l’intercessione di San Giuseppe rendici persone capaci di ascolto, persone che non perdono la speranza perché hanno la certezza del giorno e quindi affrontano anche la notte. Persone che non si siedono o rimangono sedute, ma sono capaci di traslocare quando tu ce lo chiedi. La Lettera giugno ‘17
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In esclusiva l’intervista ai capitani della squadra vincitrice un gruppo affiatato, che le fa sentire a casa.
Manuel, per il terzo anno consecutivo ricopri il ruolo di capitano della frazione dei blu. Cosa significa fare il capitano? Fare il capitano sembra cosa semplice, ma non è così: ci vogliono buone dosi di pazienza, diplomazia, self control, doti organizzative e voglia di fare(siamo sicuri che io le abbia avute??!!). Per un capitano è fondamentale avere una squadra alle spalle che lo sostenga, lo supporti e lo aiuti a concretizzare idee e progetti. È sempre più difficile coinvolgere le persone, anche se poi si trovano bene e trovano in noi
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Manuel e Isaia cosa significa per voi il Palio? Il palio è una buona occasione per dar vita alla nostra comunità, per creare momenti di aggregazione e di divertimento, tra le persone delle varie frazioni (o almeno così dovrebbe essere!) Senza dubbio anche un mese di duro lavoro, perché se si vuol soltanto partecipare basta il minimo impegno, ma se l’obbiettivo è vincere bisogna mettercela tutta, e ancora di più. Certo che, se le cose vanno come a noi negli ultimi tre anni, sforzo e impegno vengono ripagati. La frazione dei Blu in questi ultimi anni è tornata in vetta alla classifica, cosa è cambiato rispetto agli anni precedenti? La vittoria degli ultimi tre anni
[Palio 2017]
è stata per noi un’enorme soddisfazione perché dopo anni di sconfitte finalmente anche i Blu sono tornati alla ribalta con una squadra giovane, allegra e motivata, dalle stesse idee, dalla stessa voglia di fare e, perché no, anche di vincere. Rispetto agli anni precedenti si è creato un gruppo unito di persone che hanno voglia di mettersi in gioco, non perché costrette, ma perché credono in quello che fanno e si lasciano coinvolgere dallo spirito di squadra, dando il meglio di sé. Quale è il gioco in cui vi sentite più forti? Sicuramente la pallavolo, avevamo detto scherzando all’inizio del palio. Fortunatamente per i verdi, il nostro comitato ha accettato le nostre continue richieste di giocare anche il terzo set fino al venticinque, perché se ci fossimo ferma-
ti al quindici, come deciso a inizio partita, avremmo vinto anche quello! Scherzi a parte, per i nostri giocatori l’obbiettivo iniziale era soltanto divertirsi, ma grazie a loro, guarda dove siamo arrivati!
Cosa vi aspettavate dal palio di quest’anno? Anche se sembra strano, non ci aspettavamo la terza vincita consecutiva, ci dispiace per l’organizzazione che dovrà pensare ad un nuovo trofeo, ma questo or-
mai è nostro, onestamente abbiamo fatto di tutto per averlo perché ci piace davvero! ... comunque... sette pianeti, sette coppe e sette chilometri di festeggiamenti!!!
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Titolo Titolo Titolo Pillole Una ventina di coppie ha partecipato al percorso verso il matrimonio cristiano proposto dalla zona pastorale e tenutosi questa volta ad Almenno S.B. Abbiamo vissuto diversi incontri dedicati alla riflessione, allo scambio e alla spiritualità del matrimonio, conclusosi con il ritiro nella chiesa delle Cascine. Auguri ai… novelli sposi, alcuni non certo di primo pelo…
“Che il suo Vangelo diventi tuo!” Anche quest’anno abbiamo partecipato al tradizionale incontro diocesano missionario. È un appuntamento al quale sono invitati in modo particolare gli anni di quarta e quinta elementare e prima media. Ciò che caratterizza questa festa è sempre la grande allegria che si respira per le vie della città: bambini da tutti gli oratori della Diocesi si riuniscono per provare ad allargare il loro sguardo sul mondo. Penso sia questo il dono più bello che ci fa sempre questa giornata: insegnarci ad aprire gli occhi e il cuore. Abbiamo sentito molte testimonianze, da persone in carne e ossa, che ci hanno raccontato la loro vita da volontari, migranti, poveri. Le loro storie ci sono sicuramente rimaste nel cuore, ma ciò che davvero è cambiato è qualcosa che a prima vista non si vede: siamo diventati un po’ più aperti nell’accogliere l’altro, la sua storia, nell’imparare a non giudicare chi ci sta accanto e ad ascoltare prima di parlare. Abbiamo imparato a vedere orizzonti più ampi di quello del nostro piccolo paese o dell’Italia stessa. In fondo è stato questo che volevamo insegnare ai bambini e ricordare a noi più grandi: chiudersi in se stessi, arroccandosi nelle proprie realtà, non dà valore alla nostra vita, ma la soffoca, la inorgoglisce. Diventare invece uomini e donne La Lettera
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che si sentono parte di una sola umanità fragile, ma meravigliosa nelle sue molteplici espressioni, questo ci farà davvero abbracciare la vita nelle sue sfumature più belle. L’appuntamento è all’anno prossimo, ricordandoci, però, che è anche e soprattutto nella quotidianità che dobbiamo essere missionari nel mondo e del mondo. A cura di Leonardo
È pomeriggio ma nel Teatro c’è oscurità e si entra piano piano, uno alla volta, familiarizzando con il buio. Inizia così il ritiro di Quaresima per adulti dal tema “Questa è la notte”, avvolti dalla grande liturgia della notte di Pasqua, segnata dall’Exultet. Ci si ritrova addirittura artisti a plasmare con colori e materia un piccolo cero pasquale, guidati dagli operatori del Museo Bernareggi di Bergamo. Poi, intorno a quello grande che risplende sempre nel buio, mentre la luce si diffonde con le fiammelle accese da tutti. La riflessione sfocia nel tempo di adorazione, in attesa di sentire cantare l’annuncio pasquale nella notte santa.
Burligo e Palazzago hanno vissuto la festa dell’Addolorata in modo unitario: un altro tassello del cammino che condividiamo tra “vicini di casa” che hanno in comune lo stesso Signore e la devozione a Maria ai piedi della croce, significata dalle preziose statue dell’Addolorata da poco restaurate in entrambi le chiese. Don Adriano Locatelli, l’ultimo curato d’Oratorio di Palazzago, ha presieduto la concelebrazione seguita dalla processione, rivedendo anche alcuni dei giovani del…secolo scorso, che lo facevano disperare. Numerosa e intensa la partecipazione. L’anno prossimo sarà celebrata a Palazzago, attuando il criterio: un anno a Burligo, un anno a Palazzago. Ma il percorso della processione e le case saranno illuminate da rosse fiammelle danzanti come lo sono state qui?
La pioggia battente del 1 maggio non ha fermato il pullman, le macchine e i coraggiosi a piedi, guidati da don Roberto, per il pellegrinaggio d’inizio mese dedicato a Maria, a Concesa, con la zona pastorale. Abbiamo celebrato in santuario, ascoltando dal custode anche la storia e visitato il convento, scoprendo luoghi segnati da spiritualità, arte e testimonianze di fede. Alla fine tutti sono tornati, nonostante il frate avesse dato accoglienza nelle molte celle ormai vuote.
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Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi? Domenica 5 marzo, un gruppo di bambini di terza e quarta elementare accompagnati dai loro genitori si sono recati al museo Bernareggi e insieme hanno partecipato al laboratorio: “per gli occhi e per il cuore”. Dopo essere stati bendati i bambini sono stati fatti entrare in una stanza alla ricerca di diverse tavolette di legno poste sul pavimento. Tolto le bende e leggendo le parole scritte sulle tavolette hanno ricostruito il vangelo dei Discepoli di Emmaus, soffermandosi soprattutto sulla frase “NON CI ARDEVA FORSE IL CUORE NEL PETTO MENTRE CONVERSAVA CON NOI”.
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Con carta e pennarelli sono stati quindi invitati a rappresentare la forma del loro cuore e così i nostri piccoli artisti hanno disegnato bellissimi paesaggi colorati, famiglie dove tutti si tengono per mano, campi da calcio e simboli come l’infinito. Sollecitati dall’animatrice alla domanda: “se racchiudessimo tutto in una parola, cosa troveremmo nel nostro cuore?” I bambini hanno risposto felicità, gioia, serenità, amore. Tutti sentimenti legati ad emozioni che scaldano il nostro cuore e allora con tanti piccoli pezzi di carta colorata ognuno ha rappresentato un fuoco, fiamme
[a cura di Mariangela]
ardenti di bellissimi colori accesi. Infine è stato consegnato loro un velo di foglia d’oro per decorare un piccolo cuore disegnato su un cartoncino, ricordando che Colui che illumina il nostro cammino è Colui che accende in noi la fiamma dell’amore, una fiamma che arde e che ci dà energia. Così come i discepoli di Emmaus che stanchi di camminare si misero a correre… dopo aver visto i bellissimi quadri del nostro Stefano Nava… siamo rientrati a casa carichi e convinti che nulla può essere più come prima dopo l’incontro con Lui.
Battesimi Kevin
Matteo
Domenica 23 aprile ore 10.30, Burligo Anna Mangili Tampieri di Mauro e Miriam Scivoli, nata il 25 novembre 2016
Alessandro Frosio
Alice
Sara Domenica 30 aprile ore 11.30 Kevin Ceracini di Maxi e Gloria Tironi, nato il 20 dicembre 2016 Matteo Paninforni di Andrea e Sara Cicognani, nato il 20 gennaio 2017 Alessandro Frosio di Federico e Elena D’Ippolito, nato il 5 aprile 2016 Alice Biffi di Massimo e Simona Bonacina, nata il 13 dicembre 2016 Sara Secomandi di Mosè e Fabiola Nava, nata il 18 gennaio 2017
Alessandro Gregna
Matrimonio
Castelli Elisa e Natali Marco 13 maggio 2017, chiesa parrocchiale
Domenica 21 maggio ore 15.00 Alessandro Gregna di Paolo e Elisa Gotti, nato il 4 gennaio 2017
Defunti MARISA MAZZOLENI ved. Ghezzi di anni 73, deceduta il 21 febbraio 2017 funerata a Palazzago e sepolta a Pontida il 23 febbraio 2017
TERSILIO MAZZOLENI detto Angelo di anni 79, deceduto il 21 marzo 2017, funerato a Burligo il 23 marzo 2017
Siamo rimasti dolorosamente sorpresi dalla tua morte improvvisa. Ora più che mai teniamo stretti i bellissimi ricordi che abbiamo di te e con te. Con affetto i tuoi più cari amici
Niente potrà mai cancellarti dai nostri cuori. Con affetto, i tuoi cari
GEROLAMO ROTA di anni 68, deceduto il 15 marzo 2017
MARIA BENEDETTI ved. Gamba di anni 91, deceduta a Ponte San Pietro il 20 aprile 2017, funerata e sepolta a Burligo il 22 aprile 2017
Il ricordo di Gerolamo resterà nel cuore di tutte le persone che lo hanno conosciuto; era una persona buona, generosa e sempre disponibile a offrire il proprio aiuto. “Dal settimanale di Merate”
Resterai sempre nel cuore di quanti ti vollero bene. I tuoi cari
Con affetto la tua famiglia
Anniversari
CASTELLI PRIMO (6 marzo 2014 - 6 marzo 2017)
MAZZOLENI FRANCESCO (30 giugno 2000 30 giugno 2017)
Caro papà e caro nonno; in noi rimane vivo il ricordo di un papà attento e premuroso, di un nonno dolce e affettuoso. Segui da lassù il corso delle nostre vite e continua a vegliare su di noi. I tuoi cari
Lungo il sentiero della vita c’è sempre un momento, un luogo, un pensiero che ci riportano a te. I tuoi cari
... dal 1969
SERVIZI FUNEBRI Battista
MEDOLAGO GEROLAMO (1985 - 2017)
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Il tempo passa ma il vostro ricordo è sempre con noi. I vostri cari ROTA GIUSEPPE (1997 - 2017) Il tuo ricordo vive e vivrà sempre nei nostri cuori: più forte di qualsiasi abbraccio e più importante di qualsiasi parola. I tuoi cari Valter Magri
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ONORANZE FUNEBRI DELL’ISOLA s.r.l. Serviziodiurno, diurno, notturno notturno ee festivo festivo •• Trasporti tutta Servizio Trasporti in tutta inItalia Italia Vestizione salme • Disbrigo pratiche Addobbi funerari • Cremazioni 24030 BREMBATE DI SOPRA (BG) - Via XXV Aprile 32 - Tel. 035.620916 - Fax 035.6220326 Cell. Valter 335 6923809 - Cell. Luca 335 6904124
FESTA DEL PATRONO NATIVITÀ DI S. GIOVANNI BATTISTA SABATO 17 GIUGNO • apertura mostra “Testimoni del Risorto”, ciclo pittorico di Stefano Nava, dedicato al racconto dei discepoli di Emmaus DOMENICA 18 GIUGNO • In Oratorio Corsa Mountain bike organizzata da Malvestiti Cerchi • Ore 10.30 Santa Messa con anniversari di matrimonio • Ore 16.00 visita guidata al Museo Parrocchiale • Ore 18.00 Santa Messa con promessa d’impegno Terza Media LUNEDÌ 19 GIUGNO • ore 20.30, Oratorio: Incontro animatori Cre ‘17. MERCOLEDÌ 21 GIUGNO • Nel Pomeriggio, in Oratorio Festa Anziani e Benedizione. • Ore 20.30, Teatro Oratorio: proiezione dvd Giubileo Roma 2016 Fiaccole del cuore e pellegrini VENERDÌ 23 GIUGNO: FESTA DEL SACRO CUORE • ore 20.00 Chiesa Parrocchiale: Celebrazione Eucaristica e Adorazione. SABATO 24 GIUGNO • Ore 21.00 Concerto Banda Musicale Gioacchino Rossini DOMENICA 25 GIUGNO: FESTA PATRONALE SAN GIOVANNI BATTISTA • Ore 10.30 Santa Messa con Memoria del Battesimo • Ore 18.00 Santa Messa e Processione presiedute da Mons. Davide Pelucchi, Vicario Generale. Mandato animatori C.R.E. e baby C.R.E.