Palazzago dicembre 2013

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C’è tutto il presepe in questo trittico. O quasi: manca il bue, dicono i cultori della tradizione. Ma l’avete mai trovato nei Vangeli? Bisogna risalire al profeta Abacuc “In mezzo ai due animali ti manifesterai” (3,2) e ad Isaia: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. (1,3) C’è però un agnello che non sembra proprio la pecora lasciata lì dai pastori, ma una presenza che fa tutt ’uno con l’incarnazione: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). E mentre il centro è tutto un movimento di doni verso il Dono che si protende dalle ginocchia di una

INDICE 03 Editoriale 04 Itinerario Avvento-Natale 06 I lavori del Consiglio Pastorale 07 Dolce legno 08 Paolo VI: pensiero alla morte 14 L’omelia del vescovo Francesco per i 35 anni dalla morte di Paolo VI 16 In morte di don Sergio 18 Beato chi legge, beati coloro che ascoltano 21 Maria, donna feriale 24 Madonna del Rosario 25 Tre verbi tracciano la via della carità 26 Dipende, da che dipende... 30 S.O.S. Palio “vacante” 30 Pellegrinaggio a Sotto il Monte 31 Festa della terza età 32 www.santalessandro.org 33 Ministri di Liturgia 34 Cristo, centro dell’umanità e di ogni uomo 36 Missioni 36 Ministri straordinari 37 Dalla Scuola dell’Infanzia 38 Battesimi 38 Defunti 39 Anniversari

giovane madre con trecce bionde, ai lati troviamo figure di estrazione molto diversa: un Magio con paggetto e Giuseppe con asino. A sinistra abiti variopinti e corone, a destra una casacca da lavoro monocolore. Ma gli atteggiamenti sono simili: stupore? Timore? Meraviglia? Domanda? Estasi? Forse un po’ tutte queste cose. Ma, certo è bellissima la resa di papà-Giuseppe che sembra ancora faticare ad entrare da quella porta-mistero: chi è quel bambino che non arriva da lui, ma che attraverso lui viene ad essere figlio del popolo dell’alleanza? Quelle braccia lungo i fianchi sono il suo modo di adorare: “E prostratisi, lo adorarono”. (Mt 2,11)

ORARI SANTE MESSE Sabato

ore 17.00 Beita ore 19.00 Chiesa Parrocchiale

Domenica

ore 08.00 ore 09.00 ore 10.30 ore 18.00

Montebello Beita Chiesa Parrocchiale Chiesa Parrocchiale

Giorni Feriali Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì

ore 16.30 ore 16.30 ore 16.30 ore 09.00 ore 16.30

Brocchione Precornelli Beita Chiesa Parrocchiale Ca’ Rosso

RECAPITI Don Giuseppe Don Lorenzo Seminarista Davide Oratorio e Sagrestia

035.550336-347.1133405 035.540059-339.4581382 320.3557718 035.551005

www.oratoriopalazzago.it dongiunav@alice.it

Segreteria Parrocchiale (Via Maggiore 108) da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 12.00. Ci si può rivolgere ai volontari per certificati, pratiche, richieste, fotocopie, ritiro materiale,...


E’ BUONA COSA… editoriale Ricordare ogni dodici mesi il giorno della propria nascita significa in un certo modo sostenere che è buona cosa essere al mondo. E ci sta tutta anche la torta sulla quale vengono accese tante candeline quanti sono gli anni. Ma, ad un certo punto, in un momento quasi sacro, l’apice degli auguri si concentra sul soffio del festeggiato che spegne le candele, meglio se tutte d’un fiato. Una festa che comporta uno… spegnimento. Strano, no? Ogni candela corrisponde ad un anno. Spegnere significa contare il tempo passato e archiviato.

può intuire la verità di un’esistenza che, mentre riconosce il suo limite, si appella anche ad una segreta, inconfessata condizione diversa, a cui è ignoto il trascorrere degli anni. Ricordare ogni dodici mesi la nascita di Gesù, equivale a sostenere che è buona cosa che Lui sia venuto nel mondo. Ma per questo evento, per il quale non ci sentiamo di accendere più di duemila candeline, accendiamo ogni settimana, nella corona d’Avvento, una candela (ma poi pensiamo a tutte le luci degli alberi, delle luminarie, delle stelle…). Interessante: per il Signore che viene, non spegniamo, ma accendiamo candele, forse perché, un Arcabas, L’adoration des mages d’Orient

Il gesto sarebbe quindi un segno di forza, rappresentando il potere della sopravvivenza. Il tempo della vita non ci ha ancora estinti, anzi è vero il contrario: siamo noi a dominare i nostri anni. Interrompere la fiamma significa impedire che la candela si consumi: così si celebra la gioia della vita. Questo rimane un comportamento rassicurante che sancisce una certezza :io sono vivo, ed esorcizza un’incertezza: non so quanto mi resta. Allora, anche in un gesto semplice come lo spegnere le candeline sulla torta del compleanno, si

po’ tutti, in un modo o nell’altro, sentiamo che è buona cosa accendere la speranza, la condivisione, la fraternità, l’accoglienza, la giustizia, la pace…E qui troviamo continuamente la cifra del mestiere di donne e uomini sotto lo stesso cielo. A tutta la Comunità e a chi ci segue da queste pagine, Buon Natale… acceso…

La Lettera |3| Dicembre 2013


Itinerario Avvento-Natale

SEGUIAMO LA STELLA IL TEMA Il tema delle Beatitudini, suggerito dal Vescovo Francesco con la sua Lettera Pastorale: «Donne e uomini, capaci di Vangelo» resta sullo sfondo della progettazione dei sussidi per i tempi forti di questo anno pastorale 2013-14. In Comunità continuiamo l’approfondimento dell’Apocalisse, con la lettera alla chiesa di Filadelfia, dove emergono alcune immagini tipiche del tempo di Avvento e Natale (vd chiave, porta…). L’IMMAGINE DELLA STELLA Si è deciso scegliere la stella di Natale, quella che nel cielo guida i Magi lungo il cammino, come segno sintetico dei sussidi di Avvento-Natale. La stella è un’immagine che facilmente associamo al Natale, alla venuta di Gesù che viene. La stella è il segno del cielo che ci comunica che un dono straordinario è preparato per noi, fin dall’origine, prima che il mondo fosse. La stella è la provocazione che necessita di domande e di intelligenza, è un segno che va interpretato: nemmeno tutta la scienza dei Magi riesce a decifrarlo senza la luce delle Scritture. Da qui il titolo di tutta la progettazione di Avvento-Natale: “Seguiamo la Stella”. Anche noi come i Magi, comunità diocesana in cammino e in ricerca, piccoli e gradi, uomini e donne, insieme seguiamo la stella. Per ogni settimana/domenica di Avvento e Natale si è individuato un personaggio biblico che non solo compare nelle letture della domenica, ma anche interpreta l’atteggiamento su cui si intende “lavorare” durante la settimana.

La Lettera |4| Dicembre 2013


OBIETTIVI E STRUTTURA La PRIMA SETTIMANA presenta la beatitudine della preghiera attraverso il profeta Isaia. La preghiera è un atteggiamento interiore che rende “profeti”, capaci di guardare oltre, donando lo sguardo stesso di Dio. La SECONDA SETTIMANA presenta la beatitudine della fede. Maria è la donna dal cuore accogliente, capace di fare spazio al Signore vincendo ogni paura e resistenza. Tutto per lei si riassume nel “sì” alla volontà del Signore che deve divenire sempre più lo stile della vita. In questo senso si colloca l’impegno settimanale ad essere disponibili nei confronti dei genitori, catechisti, amici. La TERZA SETTIMANA presenta la beatitudine della conversione lasciandosi illuminare dalla figura di Giovanni Battista. Dopo gli occhi e il cuore è la volta della voce, elemento tipico dell’esperienza di Giovanni il quale ha invitato tutti a conversione parlando attraverso la testimonianza di una vita coerente. La QUARTA SETTIMANA presenta la beatitudine dell’accoglienza. Giuseppe è l’uomo dalle mani grandi, laboriose ed accoglienti. Si è fidato della promessa di Dio ed è stato il costruttore della “casa” di Colui che ha posto la sua dimora in mezzo a noi. Il NATALE presenta la beatitudine dello stupore che caratterizza i pastori di fronte a Dio che si fa piccolo e nasce proprio come ogni cucciolo d’uomo. Tutta la terra partecipa e vive questa meraviglia. L’EPIFANIA presenta la beatitudine dell’adorazione, l’atteggiamento che viene significato dai Magi che trovano il bambino. In loro vediamo tutti gli uomini della terra che, guidati dalla stella, giungono ad adorare il vero Re, offrendogli doni che lo riconoscono come tale.

PROPOSTE AVVENTO: • “Venite Adoremus”: un’ora di adorazione, ogni giorno d’Avvento, in orari diversi e progressivi. Alla Domenica dalle 17.00 alle 18.00. • Invito alla preghiera e all’impegno (cartoncino dato alla catechesi). • Libretto della famiglia con candela-stella. • Concorso Presepi. • Ritiri domenicali e incontri genitori. • Preghiera Ado e Terza Media con sussidio Diocesi. • Mercatini Natale (8 dic.). • Santa Lucia (12 dic.). • Novena di Natale (con messa alle 9.00). • Confessioni vicariali Ado (Pontida, 16 dic) e ritiro (21 dic.). • Confessioni ragazzi (18 e 21 dic.). • Confessione giovani e adulti (23 dic -e non il 19- 24 dic.). • Campo scuola a Piazzatorre per ado (27-30 dic.). • Pellegrinaggio a Roma per cresimandi (27-30 dic.). • Festa di Capodanno in Oratorio. • Corteo dei Magi (6 gen. 2014). La Lettera |5| Dicembre 2013


I LAVORI DEL CONSIGLIO PASTORALE a cura di Patrizia Dopo la preghiera iniziale, don Giuseppe chiede ai membri del consiglio di esprimere le proprie riflessioni in merito alla lettera del Vescovo “Donne e uomini capaci di vangelo” distribuita due settimane prima. Si apre un confronto molto sentito e partecipato su alcuni punti e passaggi dello scritto, evidenziando la scelta di un piano di lavoro triennale di annuncio e di formazione cristiana per gli adulti. L’ attenta conoscenza del contesto in cui viviamo, pur nella consapevolezza delle fatiche, fa rimbalzare la necessità di adulti testimoni-credenti e la necessità di modalità diverse di annuncio e di catechesi. Si fa inoltre notare la stretta correlazione tra catechesi e vita, per cui non basta organizzare al meglio gli incontri di catechesi, ma occorre portare il Vangelo nella vita quotidiana delle persone, riuscire a dare senso al nostro vivere e alle scelte a partire dalla nostra fede in Gesù.

Si evidenzia che la famiglia è il primo luogo di trasmissione della fede, ma gli stessi genitori sono spesso i destinatari del secondo annuncio, riscoprendo la fede e la comunità dopo anni, in occasione dei sacramenti dei figli. Le nuove generazioni non hanno quindi modelli di adulti credenti e credibili, ma diventano loro stessi il tramite di una riscoperta della fede; da qui la necessità di proporre una forma di catechesi ai genitori che potrebbe essere attuata in contemporanea alla catechesi dei bambini e dei ragazzi. L’importante è mettersi in ricerca, perché la fede è un cammino personale che dura tutta la vita. Sulla base delle considerazioni emerse, don Giuseppe sintetizza i molti interventi chiedendo di leggere l’esistente, con le tante occasioni e proposte di catechesi degli adulti, i segni che la parrocchia offre come forma di evangelizzazione, di vivere con attenzione e intelligenza la vita i momenti in cui le persone si avvicinano alla chiesa (ad esempio

il tempo del lutto o la gioia per una nuova nascita) e le celebrazioni avendo preparato la liturgia con cura come segno di attenzione e importanza di un mistero più grande. Non sono da dimenticare altre occasioni per avvicinarsi alla vita quotidiana delle famiglie, come la benedizione delle case, gli incontri in preparazione ai sacramenti, la partecipazione alla S. Messa domenicale soprattutto da parte di giovani e famiglie.

Ai membri del consiglio si affida il compito di darsi un po’ di tempo per osservare come vengono accolte le proposte di catechesi e formazione degli adulti e individuare le necessità/ priorità che nel nuovo anno pastorale, insieme a ciò che la Diocesi proporrà, indicheranno il cammino da seguire, senza dimenticare la necessità di formare persone per il servizio della catechesi degli adulti. In merito a quest’ultimo punto si esprimono delle perplessità perché si avverte un senso di inadeguatezza nel portare avanti questo tipo di servizio. Viene poi presentato l’itinerario di Avvento-Natale: “Seguiamo la stella” con i quattro personaggi biblici: Isaia, Maria, Giovanni Battista e Giuseppe che scandiscono le quattro settimane, affiancati da alcuni simboli, l’impegno della settimana e da una preghiera da recitare in famiglia che ha come tema la beatitudine della preghiera, della fede, della conversione e dell’accoglienza.

Verso la fine vengono fatte alcune comunicazioni circa la benedizione delle famiglie, l’approfondimento delle lettere dell’Apocalisse, la casa di Comunità, i lavori in Oratorio e il calendario dei mesi di dicembre e gennaio.

La Lettera |6| Dicembre 2013


DOLCE LEGNO

Giotto “Esaltazione della croce” Cappella degli Scrovegni Padova inizio XIV secolo

Nelle pagine della Lettera abbiamo già raccontato la storia di Gesù –con un taglio particolare rivolto ai ragazzi- attingendo agli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, di Padova. Ci ritorneremo con altri approfondimenti; per ora “rubiamo” soltanto un’immagine che ci introduce al racconto dell’ottavario dei defunti, fatto con il “Pensiero alla morte” di Paolo VI (di cui ricorre il 50° dell’elezione e il 35° della morte). È come se Giotto la nascondesse un po’, per regalarla solo a chi ha occhi…da bambino: ai piedi della grande croce sta una piccola figura umana. Partecipa al trionfo della croce, sorretta da due grandi angeli. Guardatelo bene, quest’omino senza volto: vedete le due gambette e i riccioli della testa? Immedesimatevi nelle sue braccia che si stringono al cuore il dolce legno della croce. Molti hanno provato a dagli un nome: il buon ladrone, il cireneo … Un bambino ha detto: “E’ uno che ha preso al volo l’ascensore, mentre si stavano chiudendo le porte: rischiava di finire all’inferno, ma ha trovato l’appiglio per salvarsi!”. Ipotesi simpatica. Non ha volto perché ciascuno di noi gli dia il suo. Ora arrivano le parole del Papa Paolo VI, dense e piene di speranza. Le leggiamo con le foto dei giorni dei Santi e dei Morti, così carichi di memoria, di preghiera e di riflessione. Abbiamo accolto dopo 70 anni i caduti Medolago Luigi, Medolago Pietro e Ripamonti Mario. Abbiamo ascoltato la Messa da Requiem di Lorenzo Perosi proposta dagli Amici della Musica di Bergamo. Abbiamo ricordato i 17 defunti dell’ultimo anno, consegnando ai familiari una lampada da portare sulle tombe. Abbiamo celebrato al Cimitero, tra i sepolcri, la Risurrezione del Signore. Abbiamo messo un fiore e acceso una candela per sperare la vita.


Paolo VI: Pensiero alla morte “Tempus resolutonis meae instat”. E’ giunto il tempo di sciogliere le vele (2 Tim 4,6).

finché la Provvidenza possa manifestarsi a trarre la Chiesa a migliori fortune. La Provvidenza ha, sì, tanti modi d’intervenire nel gioco formidabile delle circostanze, che stringono la mia pochezza; ma quello della mia chiamata all’altra vita pare ovvio, perché altri subentri più valido e non vincolato dalle presenti difficoltà. “Servus inutilis sum”. Sono un servo inutile.

“Certus quod velox est depositio tabernaculi mei”. Sono certo che presto dovrò lasciare questa mia tenda (2 Petr 1, 14). “Finis venit, venit finis”. La fine! Giunge la fine (Ez 2,7). Questa ovvia considerazione sulla precarietà della vita temporale e sull’avvicinarsi inevitabile e sempre più prossimo della sua fine si impone. Non è saggia la cecità davanti a tale immancabile sorte, davanti alla disastrosa rovina che porta con sé, davanti alla misteriosa metamorfosi che sta per compiersi nell’essere mio, davanti a ciò che si prepara. Vedo che la considerazione prevalente si fa estremamente personale: io, chi sono? che cosa resta di me? dove vado? e perciò estremamente morale: che cosa devo fare? quali sono le mie responsabilità? E vedo anche che rispetto alla vita presente è vano avere speranze; rispetto ad essa si hanno dei doveri e delle aspettative funzionali e momentanee; le speranze sono per l’al di là. E vedo che questa suprema considerazione non può svolgersi in un monologo soggettivo, nel solito dramma umano che al crescere della luce fa crescere l’oscurità del destino umano; deve svolgersi a dialogo con la Realtà divina, donde vengo e dove certamente vado; secondo la lucerna che Cristo ci pone in mano per il grande passaggio.

“Ambulate dum lucem habetis” Camminate finchè avete la luce (Jo. 12, 35) Ecco: mi piacerebbe, terminando, d’essere nella luce. Di solito la fine della vita temporale, se non è oscurata da infermità, ha una sua fosca chiarezza: quella delle memorie, così belle, così attraenti, così nostalgiche, e così chiare ormai per denunciare il loro passato irrecuperabile e per irridere al loro disperato richiamo. Vi è la luce che svela la delusione d’una vita fondata su beni effimeri e su speranze fallaci. Vi è quella di oscuri e ormai inefficaci rimorsi. Vi è quella della saggezza che finalmente intravede la vanità della cose e il valore della virtù che doveva caratterizzare il corso della vita: “vanitas vanitatum”. Vanità della vanità. Quanto a me vorrei avere finalmente un nozione riassuntiva e sapiente sul mondo e sulla vita:

Credo, o Signore. L’ora viene. Da qualche tempo ne ho il presentimento. Più ancora che la stanchezza fisica, pronta a cedere ad ogni momento, il dramma delle mie responsabilità sembra suggerire come soluzione provvidenziale il mio esodo da questo mondo, af-

penso che tale nozione dovrebbe esprimersi in riconoscenza: tutto era dono, tutto era grazia; e

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com’era bello il panorama attraverso il quale si è passati; troppo bello, tanto che ci si è lasciati attrarre ed incantare, mentre doveva apparire segno e invito. Ma, in ogni modo, sembra che il congedo debba esprimersi in un grande e semplice atto di riconoscenza, anzi di gratitudine: questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d’essere cantato in gaudio e in gloria: la vita, la vita dell’uomo! Né meno degno d’esaltazione e di felice stupore è il quadro che circonda la vita dell’uomo: questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. È un panorama incantevole. Pare prodigalità senza misura. Assale, a questo sguardo quasi retrospettivo, il rammarico di non aver osservato quanto meritavano le meraviglie della natura, le ricchezze sorprendenti del macrocosmo e del microcosmo. Perché non ho studiato abbastanza, esplorato, ammirato la stanza nella quale la vita si svolge? Quale imperdonabile distrazione, quale riprovevole superficialità! Tuttavia, almeno in extremis, si deve riconoscere che quel mondo, “qui per Ipsum factus est”, che è stato fatto per mezzo di Lui, è stupendo. Ti saluto ti celebro all’ultimo istante, sì, con immensa ammirazione; e, come si diceva, con gratitudine: tutto è dono; dietro la vita, dietro la natura, l’universo, sta la Sapienza; e poi, lo dirò in questo commiato luminoso, (Tu ce lo hai rivelato, o Cristo Signore) sta l’Amore! La scena del mondo è un disegno, oggi tuttora incomprensibile per la sua maggior parte, d’un Dio Creatore, che si chiama il Padre nostro che sta nei cieli! Grazie, o Dio, grazie e gloria a Te, o Padre! In questo ultimo sguardo mi accorgo che questa scena affascinante e misteriosa è un riverbero, è un riflesso della prima ed unica Luce; è un rivelazione naturale d’una straordinaria ricchezza e bellezza, la quale doveva essere una iniziazione, un preludio, un anticipo, un invito alla visione dell’invisibile Sole, “quem nemo vidit unquam”, che nessuno ha mai visto (Gv 1,18): “unigenitus

Filius, qui est in sinu Patris, Ipse enarravit”, il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato. Così sia, così sia. Ma ora, in questo tramonto rivelatore un altro pensiero, oltre a quello dell’ultima luce vespertina, presagio dell’eterna aurora, occupa il mio spirito: ed è l’ansia di profittare dell’undicesima ora, la fretta di fare qualche cosa d’importante prima che sia troppo tardi. Come riparare le azioni mal fatte, come ricuperare il tempo perduto, come

afferrare in quest’ultima possibilità di scelta “l’unum necessarium?”, la sola cosa necessaria? Alla gratitudine succede il pentimento. Al grido di gloria verso Dio Creatore e Padre succede il grido che invoca misericordia e perdono. Che almeno questo io sappia fare: invocare la Tua bontà, e confessare con la mia colpa la Tua infinita capacità di salvare. “Kyrie eleison; Christe eleison; Kyrie eleison”. Signore pietà; Cristo pietà; Signore pietà. Qui affiora alla mente la povera storia della mia vita, intessuta, per un verso, dall’ordito di singolari e innumerevoli benefici, derivanti da un’ineffabile bontà (è questa che, spero, potrò un giorno vedere ed “in eterno cantare”); e, per l’altro, attraversata da una trama di misere azioni, che si preferirebbe non ricordare, tanto sono manchevoli, imperfette, sbagliate, insipienti, ridicole. “Tu scis insipientiam meam”. Dio, Tu conosci la mia stoltezza (Ps. 68,6). Povera vita stentata, gretta meschina, tanto tanto bisognosa di pazienza, di riparazione, d’infinita misericordia. Sempre mi

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pare suprema la sintesi di S. Agostino: miseria et misericordia. Miseria mia, misericordia di Dio. Ch’io possa almeno ora onorare Chi Tu sei, il Dio d’infinita bontà, invocando, accettando, celebrando la Tua dolcissima misericordia. E poi un atto, finalmente, di buona volontà: non più guardare indietro, ma fare volentieri, semplicemente, umilmente, fortemente, il dovere risultante dalle circostanze in cui mi trovo, come Tua volontà. Fare presto, fare tutto, fare bene. Fare lietamente: ciò che ora Tu vuoi da me, anche se supera immensamente le mie forze e se mi chiede la vita. Finalmente, a quest’ultima ora.

Poi io penso, qui davanti alla morte, maestra della filosofia della vita, che l’avvenimento fra tutti più grande fu per me, come lo è per quanti hanno pari fortuna, l’incontro con Cristo, la Vita. Tutto qui sarebbe da rimeditare con la chiarezza rivelatrice, che la lampada della morte dà a tale incontro. “Nihil enim nobis nasci profuit, nisi redimi profuisset” A nulla infatti ci sarebbe valso il nascere se non ci avesse servito ad essere redenti Questa è la scoperta del preconio pasquale, e questo è il criterio di valutazione d’ogni cosa riguardante l’umana esistenza ed il suo vero ed

MONUMENTO A PAOLO VI Raffaele Scorzelli (Firenze 1921-Roma 1997) Monumento a Paolo VI marmo di Botticino, ardesia, nero del Belgio e bronzo, altezza statua 263 cm. 1984 Il monumento, realizzato per onorare la memoria di Paolo VI, bresciano, papa dal 1963 al 1978, è posto nel braccio sinistro del Duomo nuovo, di fronte all’altare del Santissimo Sacramento. Lo scultore Lello Scorzelli ha concepito l’opera rifacendosi alla grande suggestione provocatagli dall’apertura della porta santa in Vaticano la notte di Natale del 1974, in occasione dell’inizio dell’Anno Santo. Scorzelli ha fissato, infatti, nel bronzo la figura di Paolo VI inginocchiato sulla soglia della porta, ricurvo, aggrappato alla Croce pastorale, unico elemento verticale che si erge al di sopra di ogni cosa e ha completato questa figura che aveva colpito la sua sensibilità con alcune scene simboliche, affidate magistralmente ai rilievi delle otto formelle e dei due pomoli della porta, che ripercorrono idealmente il pontificato di papa Montini, dalla scelta del nome - Paolo, l’apostolo delle genti - all’azione pastorale, dal Concilio Vaticano II ai grandi incontri ecumenici, dai solenni pronunciamenti dottrinali alle grandi ferite sofferte a causa dell’avanzare della mentalità secolarizzata. Curvo il capo ed alzo lo spirito. Umilio me stesso ed esalto Te, Dio, “la cui natura è bontà” (S. Leone). Lascia che in questa ultima veglia io renda omaggio, a Te, Dio vivo e vero, che domani sarai il mo giudice, e che dia a Te la lode che più ambisci, il nome che preferisci: sei Padre.

unico destino, che non si determina se non in ordine a Cristo: “o mira circa nos tuae pietatis dignitatio”, o meravigliosa pietà del tuo amore per noi! Meraviglia delle meraviglie, il mistero della nostra vita in Cristo. Qui la fede, qui la speranza, qui l’amore cantano la nascita e celebrano le esequie dell’uomo.

La Lettera |10| Dicembre 2013


Io credo, io spero, io amo, nel nome Tuo, o Signore. E poi ancora mi domando: perché hai chiamato me, perché mi hai scelto? Così inetto, così renitente, così povero di mente e di cuore? Lo so: “quae stulta sunt mundi elegit Deus… ut non glorietur omnis caro in conspecto eius”. Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio (1 Cor 1,2728). La mia elezione indica due cose: la mia pochezza; la Tua libertà, misericordiosa e potente. La quale non si è fermata nemmeno davanti alle mia capacità di tradirTi: “Deus meus, Deus meus, audebo dicere, … in quodam aestatis tripudio de Te praesumendo dicam: nisi quia Deus es. Nos Te

Ed eccomi al Tuo servizio, eccomi al tuo amore. Eccomi in uno stato di sublimazione, che non mi consente più di ricadere nella mia psicologia istintiva di pover’uomo, se non per ricordarmi la realtà del mio essere, e per reagire nella più sconfinata fiducia con la risposta, che da me è dovuta: “amen, fiat; Tu scis quia amo Te”, così sia, così sia. Tu lo sai che ti voglio bene. Uno stato di tensione subentra, e fissa un atto permanente di assoluta fedeltà la mia volontà di servizio per amore: “in finem dilexit”, amò fino alla fine. “Ne permittas me separari a Te”. Non permettere che io mi separi da Te. Il tramonto della vita presente, che sognerebbe d’essere riposato e sereno, deve essere invece

L’estrema semplicità delle forme, la nettezza dei contorni e l’utilizzo cromaticamente abbassato dei marmi contribuiscono a esaltare il rigoglio delle linee strutturali dei rilievi, specialmente della figura del pontefice ricurvo sul cui manto, realizzato con ampie superfici lucide, la luce plana per raccogliersi attorno al volto concentrato e sofferente che rimane in ombra, come scavato dall’approfondirsi del chiaroscuro. Di grande impatto dinamico sono i due pomoli posti sui battenti della porta che raffigurano la Folgorazione di Saulo sulla via di Damasco e il Naufragio sulla costa di Malta, episodi tratti dagli Atti degli Apostoli, che lo scultore ha realizzato quasi con foga, esprimendo un instancabile senso di forza centrifuga. La forza espressiva, infine, in alcune delle formelle, come quella che ritrae l’incontro tra Paolo Vi e il patriarca ortodosso Atenagora, o quella che raffigura la morte del pontefice, raggiunge esiti di concentrato lirismo, reso attraverso l’affascinante guizzo della linea scorzelliana e il fluido modellato che, accogliendo la luce, esalta e rifinisce i morbidi valori chiaroscurali (g. f. ) provocamus ad iram. Tu autem conducis nos ad misericordiam!”. Mio Dio, mio Dio, oserò dire … in un estatico tripudio di Te dirò con presunzione: se non fossi Dio, saresti ingiusto, poiché abbiamo peccato gravemente … e Tu Ti plachi. Noi Ti provochiamo all’ira, e Tu invece ci conduci alla misericordia! (PL. 40, 1150).

uno sforzo crescente di vigilia, di dedizione, di attesa. E’ difficile; ma è così che la morte sigilla la meta del pellegrinaggio terreno e fa ponte per il grande incontro con Cristo nella vita eterna. Raccolgo le ultime forze, e non recedo dal dono totale, compiuto, pensando al Tuo: “consummatum est”, tutto è compiuto.

La Lettera |11| Dicembre 2013


Ricordo il preannuncio fatto dal Signore a Pietro sulla morte dell’apostolo: “amen, amen dico tibi… cum… senueris, extendes manus tuas, et alius te cinget, et ducet quo tu non vis. Hoc autem (Jesus) dixit significans qua morte (Petrus) clarificaturus esset Deum. Et, cum hoc dixisset, dicit ei: sequere me”. In verità, in verità ti dico … quando sarai vecchio, tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi” (GV 21, 18-19). Ti seguo; ed avverto che non posso uscire nascostamente dalla scena di questo mondo; mille fili mi legano alla famiglia umana, mille alla comunità, ch’è la Chiesa. Questi fili si romperanno da sé; ma io non posso dimenticare ch’essi richiedono da me qualche supremo dovere. “Discessus pius”, morte pia. Avrò davanti allo spirito la memoria del come Gesù si congedò dalla scena temporale di questo mondo. Da ricordare come Egli ebbe continua previsione e frequente annuncio della sua passione, come misurò il tempo in attesa della “sua ora”, come la coscienza dei destini escatologici riempì il suo animo ed il suo insegnamento, e come dell’imminente sua morte parlò ai discepoli nei discorsi dell’ultima cena; e finalmente come volle che la sua morte fosse perennemente commemorata mediante l’istituzione del sacrificio eucaristico: “mortem Domini annuntiabitis donec veniat”. Annunzierete la morte del Signore finché Egli venga. Un aspetto su tutti gli altri principale: “tradidit semetipsum”, ha dato se stesso per me; la sua morte fu sacrificio; morì per gli altri, morì per noi. La solitudine della morte fu ripiena della presenza nostra, fu pervasa d’amore: “dilexit Ecclesiam”,

amò la Chiesa (ricordare “le mystère de Jésus”, di Pascal). La sua morte fu rivelazione del suo amore per i suoi: “in finem dilexit”, amò fino alla fine. E dell’amore umile e sconfinato diede al termine della vita temporale esempio impressionante

(cfr. la lavanda dei piedi), e del suo amore fece termine di paragone e precetto finale. La sua morte fu testamento d’amore. Occorre ricordarlo. Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal

La Lettera |12| Dicembre 2013


mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo mo-

nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi. Qui è da ricordare la preghiera finale di Gesù (Jo. 17). Il Padre e i miei; questi sono tutti uno; nel confronto col male ch’è sulla terra e nella possibilità della loro salvezza; nella coscienza suprema ch’era mia missione chiamarli, rivelare loro la verità, farli figli di Dio e fratelli tra loro: amarli con l’Amore, ch’è in Dio, e che da Dio, mediante Cristo, è venuto nell’umanità e dal ministero della Chiesa, a me affidato, è ad essa comunicato. O uomini, comprendetemi; tutti vi amo nell’effusione dello Spirito Santo, ch’io, ministro, dovevo a voi partecipare. Così vi guardo, così vi saluto, così vi benedico. Tutti.

mento della vita si ha il coraggio di fare. Vorrei finalmente comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze,

E voi, a me più vicini, più cordialmente. La pace sia con voi. E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo.

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Amen. Il Signore viene. Amen.


L’omelia del vescovo francesco per luce che trasforma la vita. Ecco: mi piacerebbe, terminando, d’essere nella luce… Quanto a me vorrei avere finalmente un nozione riassuntiva e sapiente sul mondo e sulla vita: penso che tale nozione dovrebbe esprimersi in riconoscenza: tutto era dono, tutto era grazia… (Paolo VI - Pensiero alla morte)

L’icona evangelica della Trasfigurazione illumina coloro che ascoltano la Parola di Gesù, il suo Vangelo. Nella tradizione spirituale dell’icona, l’immagine dipinta non viene illuminata, ma è lei stessa fonte di illuminazione. Così nella Trasfigurazione, Gesù illumina i suoi discepoli e tutti coloro che ascoltano la sua voce mostrando nella sua umanità crocifissa la sapienza e la potenza della Gloria di Dio, che è il suo amore per ogni uomo, per tutto l’uomo, per tutti gli uomini. “Io sono la Luce del mondo”, dirà durante la “festa delle luci”: non una luce fredda che rende freddo anche ciò che illumina, ma una luce calda che rallegra il cuore dell’uomo e lo trasforma con il suo calore. Noi annunciamo Cristo crocifisso, sapienza di Dio e potenza di Dio per la salvezza dell’uomo. In questo Anno della fede riecheggia il tema della luce, in modo particolare nella prima enciclica di Papa Francesco, che ha assunto il prezioso lavoro del suo predecessore Papa Benedetto. Il testo si apre con le parole di Gesù: “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12,46). La luce della fede si alimenta della luce di Cristo, come, nella Veglia pasquale, il piccolo cero di ciascuno si accende a quello del Cristo risorto: “alla tua luce vediamo la luce”. Anche la luce della fede non è semplicemente quella di una diversa conoscenza, ma è una luce viva, una luce che risplende nell’incontro con il Signore risorto, una luce che si alimenta alla fede della Chiesa, una

Questa nozione sapiente e riassuntiva non è solo uno sguardo, ma diventa un modo di essere. La riconoscenza. Paolo VI desidera d’essere nella luce, proprio nel momento in cui tutto si oscura, proprio quando viene la notte. Nello Scorzelli rappresenta questo desiderio e il suo compimento in una delle splendide formelle che compongono il memoriale del Papa nella Cattedrale di Brescia. Rappresenta Paolo VI che muore, in posizione capovolta come Pietro, avendo davanti ai suoi occhi l’immagine della Trasfigurazione, appena accennata sul bronzo dorato e mosso, che continuamente riverbera luce. E’ un’immagine delicata e dolcissima, che evoca non solo il passaggio, non solo la coincidenza con la festa della Trasfigurazione, ma anche il mistero del Cristo crocifisso e risorto, cuore della fede del Papa, della Chiesa, del Concilio. La luce del Cristo trasfigurato evoca una bellezza immediatamente riconosciuta e apprezzata dai discepoli, per la voce di Pietro: “…E’ bello per noi stare qui…”. Non si tratta di una bellezza solamente estetica: si tratta di una bellezza impegnativa, principio di una trasformazione della storia. Si tratta della bellezza che alimenta la continua ricerca del

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per i 35 anni dalla morte di Paolo VI rapporto tra fede e cultura così intensamente e drammaticamente prospettato da Paolo VI; si tratta del conseguente rapporto tra fede e vita dell’uomo, che avvertiamo riproposto con profonda energia spirituale nei primi gesti e insegnamenti di Papa

Francesco. E’ la bellezza del Cristo, che la Chiesa vuole rispecchiare e nello stesso tempo riconoscere in ogni uomo, a partire da coloro che in modo più evidente ci consegnano l’immagine del Crocifisso stesso. Rivolgendosi ai poveri campesinos nel suo viaggio in Colombia, Paolo VI diceva a loro e al mondo: “Voi siete un segno, voi un’immagine, voi un mistero della presenza di Cristo. Il sacramento dell’Eucaristia ci offre la sua nascosta presenza viva e reale; mai voi pure siete un sacramento, cioè un’immagine sacra del Signore fra noi, come un riflesso rappresentativo, ma non nascosto, della sua faccia umana e divina…Noi Ci inchiniamo davanti a voi e vogliamo ravvisare Cristo in voi quasi redivivo e sofferente…” (Bogotà – Messa per i campesinos – 23 agosto 1968) E’ la luce della Trasfigurazione che non ci trattiene sul monte, ma che ci spinge ad una discesa nelle profondità a volte oscure della vicenda umana, per consegnare attraverso la passione evangelica, la luce della speranza. Le periferie esistenziale indicate da Papa Francesco, ripropongono con evidente efficacia evangelica quella proiezione verso i poveri del mondo che faceva dire a Paolo VI: “Noi conosciamo le condizioni della vostra esistenza: sono

per molti di voi condizioni misere, spesso inferiori al bisogno normale della vita umana. Voi ora Ci ascoltate in silenzio; ma Noi piuttosto ascoltiamo il grido che sale dalle vostre sofferenze e da quelle della maggior parte dell’umanità. Noi non possiamo disinteressarci di voi; Noi vogliamo essere solidali con la vostra buona causa, ch’è quella dell’umile popolo, della povera gente”. (Bogotà – Messa per i campesinos – 23 agosto 1968) Il memoriale di Scorzelli rappresenta l’apertura della Porta Santa in occasione dell’anno giubilare. Il Papa è inginocchiato, curvo e proteso, con la mano aggrappata al pastorale in forma di croce. E’ un’immagine grandiosa del suo Pontificato e della missione della Chiesa che lui per primo ha interpretato: è un Papa che si fa carico dell’umanità affaticata e oppressa, dell’umanità dimentica di Dio e proprio per questo spesso dimentica dell’uomo; è il Papa che introduce questa umanità, attraverso la porta della misericordia, all’incontro con la speranza che viene dal Vangelo e che la Chiesa è chiamata ad offrire a tutti. Compito immane al quale è possibile ottemperare solo aggrappandosi alla Croce rappresenta dal suo pastorale, realizzato, per altro, dallo stesso artista. Nel recente incontro con i pellegrini bresciani, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’elezione al pontificato di Paolo VI, Papa Francesco evidenziava questa dimensione del servizio del suo predecessore, citandolo: “Tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità» “(Omelia [7 dicembre 1965]: AAS 58 [1966], 55-56). E questo anche oggi ci dà luce, in questo mondo dove si nega l’uomo, dove si preferisce andare sulla strada dello gnosticismo, sulla strada del pelagianesimo, o del “niente carne”- un Dio che non si è fatto carne –, o del “niente Dio” - l’uomo prometeico che può andare avanti -. Noi in questo tempo possiamo dire le stesse cose di Paolo VI: la Chiesa è l’ancella dell’uomo, la Chiesa crede in Cristo che è venuto nella carne e perciò serve l’uomo, ama l’uomo, crede nell’uomo. Questa è l’ispirazione del grande

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Paolo VI. (Pellegrinaggio della Diocesi di Brescia) In questo Anno della Fede, abbiamo celebrato il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio, della morte di Papa Giovanni XXIII (che avremo la gioia di vedere canonizzato con

Giovanni Paolo II), della elezione di Paolo VI (che auspichiamo di poter veder presto beatificato). I due Papi del Concilio hanno coltivato tra loro una profonda e fraterna amicizia, pur nella diversità delle loro origini, della loro formazione e della loro indole. Nelle parole indirizzate dall’allora Cardinale di Venezia all’Arcivescovo di Milano, in occasione della sua Ordinazione episcopale, riconosciamo la profondità di un rapporto che è diventato, nelle meravigliose disposizioni della Provvidenza, sorgente di rinnovamento e di speranza per la Chiesa e l’intera umanità. “Compiremo insieme il sacramentum voluntatis Christi di S. Paolo. Esso impone l’adorazione della Croce: ma ci riserba, accanto ad essa, una sorgente di ineffabili consolazioni anche per quaggiù, finchè ci durerà la vita e il mandato pastorale” (Venezia 12 dicembre 1954). Mons. Francesco Beschi, Vescovo di Bergamo

IN MORTE DI DON Novembre è un mese singolare, anche da un punto di vista spirituale. Cos’è che ci passerà dentro immancabilmente e ci porta tutti presso le tombe dei nostri morti? Essi ci restano per sempre “cari”. Nella terra – sepolta nella terra – è custodita la nostra speranza. E noi andiamo a cercarla. Dalle chiese, assieme alla nenia struggente e fiduciosa rivolta ai nostri morti, esce anche l’annuncio della festa dei santi. L’annuncio è sempre più flebile. I santi stanno nei cieli. Mai i nostri cieli si sono praticamente svuotati. Quale fedeltà alla terra – e ai nostri morti e alla speranza di cui con essi ci siamo nutriti – occorrerà perché riusciamo nuovamente ad alzare con trepidazione i nostri occhi verso il cielo e possiamo festeggiare – insieme – i morti e i santi: la morte e la gloria dell’uomo, inseparabilmente? Queste sono alcune delle parole di don Sergio Colombo, parroco del quartiere di Redona in città, monsignore dal 2005, molto amato e seguito come sacerdote in tutta la Bergamasca, anche per il suo impegno culturale sul territorio, membro di numerosi gruppi di lavoro e di studio in ambito politico e sociale. E’ morto nella notte tra mercoledì 9 e giovedì 10 ottobre; il 20 ottobre avrebbe compiuto 71 anni. Quando il parroco è morto, in piena notte, Claudio Galimberti, il «Bocia», era appena rientrato a casa. Ha preso una bomboletta spray ed è uscito di nuovo, sotto l’acqua, per scrivere su un muro: «Don Sergio nel cuore». Poi sabato, ai funerali, ha voluto reggere il peso della bara fino al sagrato, dopo aver appeso per strada lo striscione «Grazie, don Sergio». Il capo della Curva Nord, ha reso omaggio così al prevosto della sua vita, a monsignor Sergio Colombo, una voce critica nel mondo della Diocesi di Bergamo, che a Redona era rimasto per tutti semplicemente «il don». Ha presieduto le esequie il vescovo mons. Francesco Beschi: «Siamo qui insieme per dire grazie al Signore del servizio sacerdotale - ha detto per prima cosa mons. Beschi-. E siamo qui a ce-

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SERGIO

lebrare il saluto a don Sergio con fede, affetto e dolore». Durante l’omelia ha poi continuato: «Con la sua benevolenza, don Sergio ha manifestato la benevolenza di Dio». Sull’altare molte testimonianze e parole di affetto per don Sergio. Di grande emozione l’intervento della nipote del parroco

di Redona, che ha ringraziato «tutti i redonesi, amici e compagni di viaggio di mio zio - ha detto commossa -. Per lui Dio era una parola dolce da testimoniare a tutti i fratelli». Poco tempo prima nella pagina scritta alla sua Comunità per dare notizie della sua salute, diceva: …dall’infermiera della casa parrocchiale

Il corpo è sotto assedio. Fallita anche la cura, ci si prepara alla partenza. Mi sono rimasti buoni, intanto, il cuore e il cervello che mi permettono di vivere giorni intensi e di partecipare ancora in profondità al cammino di fede della comunità. E’ un momento un po’ strano della vita, dove non sai quanta te ne resta ed è difficile assumere una posizione normale di fronte alla fine che comunque è molto vicina. E’ anche un momento in cui la fede ha sapori forti e non prevedibili. La discrezione di Dio è totale: il che ti spaventa e ti commuove, insieme. Il pensiero di Gesù, lo strano amico

di Nazaret che è stato poco tra noi e se n’è andato molto tempo fa, è vivo, vivissimo, ma come un tesoro nascosto, da cercare, da aspettare: rileggendo continuamente il suo vangelo e partecipando alla sua eucarestia. Mi sembra che quello che il Signore ci mette tra le mani, anche in questi momenti eccezionali, è quello che ci ha dato sempre: la terra e la vita con i suoi giorni e le sue notti e il sempre sorprendente volto del prossimo. Sento in maniera struggente l’amicizia, la fraternità: forse è questo il volto di Dio che più si accende quando le cose della fine sono più vicine… La Lettera |17| Dicembre 2013

Un carissimo saluto a tutti. So bene che tutti abbiamo le nostre croci e che tanti di voi hanno attraversato e stanno attraversando la stessa prova. Se vi faccio queste confidenze sulla mia attuale condizione di salute non è perché mi sento un’eccezione, meritevole di particolar attenzione. E’ per condividere, anche in questa situazione, l’amicizia che ci lega e la fede con cui cerchiamo di sostenere quella che resta, fino all’ultimo, la nostra splendida avventura. Stavolta, se permettete, vi mando un bacio. don Sergio


BEATO CHI LEGGE, BEATI COLORO “Giovanni, alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, e dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente! Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Èfeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa».” Ap 1, 4-11 Abbiamo fatto i primi passi dell’anno pastorale aprendo il libro dell’Apocalisse e approfondendone alcuni passaggi: proemio, lettera all’Angelo della Chiesa di Efeso e di Filadelfia e portando la benedizione alle famiglie della frazione dove viene svolta la catechesi del pomeriggio, Brocchione e Precornelli. Nell’assemblea parrocchiale d’inizio anno e nell’incontro con i genitori dei ragazzi della catechesi, abbiamo illustrato il percorso. I ragazzi, nel laboratorio pomeridiano, prima della preghiera e della castagnata, si sono cimentati con il disegno, cercando di rappresentare la scena del proemio. Certo, è un po’ difficile raffigurare ciò che l’Apocalisse dice: “Mi voltai per vedere la voce che parlava con

me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. I capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco. I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo. La sua voce era simile al fragore di grandi acque. Teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio, e il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza.” Ap 1, 12-16 Ma si sa, la fantasia dei bambini e dei ragazzi sa fare miracoli. Mentre leggiamo alcune sottolineature sull’Apocalisse troviamo anche alcuni dei loro disegni. L’autore formula già all’inizio una beatitudine di questo tenore: «Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mettono in pratica le cose che vi sono scritte. Perché il tempo è vicino» (Ap 1,3). Facciamo tre rapidi rilievi: In primo luogo Giovanni assegna al suo scritto uno scopo comunitario prevedendo che uno legga a voce alta e che altri lo ascoltino. Viene proprio da pensare che l’autore abbia in mente l’assemblea eucaristica della comunità cristiana; infatti già nella prima Chiesa apostolica si usava leggere uno scritto alla presenza dei fedeli radunati. Paolo chiede ai colossesi: «Quando questa lettera {ai Colossesi} sarà letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai laodicesi». (Col 4,16; cf. 1Ts 5,27); «nella Chiesa», cioè quando la comunità è radunata. Ora, il momento più propizio per tale lettura era senza dubbio quello dello «spezzare il pane» il giorno dopo il sabato, cioè la domenica. Nel corso dell’assemblea do-

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CHE ASCOLTANO menicale, ci fa sapere Giustino (T 165), «si leggono le memorie degli apostoli e gli scritti dei profeti». In secondo luogo, l’ascolto deve trasformarsi in azione. La ragione è contenuta nel «presto» e in quel «il tempo è vicino», ricordati all’inizio del Libro. Il tempo non è solo imminente, ma è già qui, è incominciato. Infine, per i lettori dell’Apocalisse è importante rilevare che con questa beatitudine Giovanni dà inizio alla serie delle beatitudini che dissemina lungo il suo scritto, nel numero simbolico di sette, e che in qualche modo specificano questa beatitudine iniziale. Riportiamo il testo, tanto istruttivo, delle altre sei beatitudini: «Scrivi: Beati d’ora in poi, i morti che muoiono nel Signore. Si dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono» (Ap 14,13). E’ la morte serena dei giusti in contrasto con quella degli empi. «Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andar nudo e lasciar vedere le sue vergogne» (AP 16,15). «Come un ladro»: è un ripetere l’esortazione di Gesù sulla necessità della vigilanza morale e dottrinale (Mt 24,43-44). «Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). E’ il banchetto della redenzione. È il banchetto eucaristico; la liturgia della messa in lingua italiana utilizza quelle parole dell’Apocalisse per indicare ai fedeli la bellezza divina della comunione eucaristica, e le riformula in modo specifico con l’invito che ci è ben noto: «Beati gli invitati alla men-

sa del Signore». «Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di essi non ha potere la seconda morte…» (Ap 20,6). I cristiani vivono della vita nuova che Cristo ha dato loro (Gv 5,25; 11,2526) cioè della «prima risurrezione»; per questo non devono temere la seconda morte, cioè il castigo finale previsto per gli empi. «Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro» (Ap 22,7). E’ un manifesto richiamo alla prima beatitudine: custodire le parole profetiche e la via sicura per giungere alla beata salvezza. «Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città» (Ap 22,14); cioè, in quanto redenti, potranno far parte della Gerusalemme celeste. Come si rileva facilmente, tutte le beatitudini sono alla terza persona, cioè rivolte alla comunità che ascolta il messaggio del libro. La prima beatitudine ha una continuazione nelle altre, che alternano parole di rivelazione, di consolazione e di ammonimento. L’essenziale è farsi plasmare da queste parole di rivelazione; e Giovanni vuole raggiungere questo scopo in modo comunitario, mediante colui che legge e coloro che ascoltano. Continueremo il cammino con la lettera all’Angelo della chiesa che è in Tiatira (23 gennaio, Montebello), in Pergamo (13 febbraio, Beita) e in Smirne (13 marzo, chiesa parrocchiale). L’appuntamento nelle diverse chiese è alle 15.30 e in parrocchia alle 20.30, in coro.

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La Madonna ha cambiato abito. Le abbiamo messo un abito da sposa, come si usava un tempo, perché lei è la sposa dell’umanità, è l’amata del Cantico dei Cantici, è “umile e alta più che creatura, è la regina di ogni grazia”. E mentre veniva svestita dall’abito di seta broccata azzurro e argento, l’abbiamo trovata così, come una giovane donna di tutti i giorni. Immediatamente si sono accavallate le litanie di don Tonino Bello che ci fanno rivolgere a Maria come donna feriale, senza retorica, di frontiera… Prova a guardarla leggendo le intenzioni qui accanto. Quale sorpresa dunque vederla dentro la nostra quotidianità con la premura di una madre che è vicina ai suoi figli. Poi è ritornata regina, sul trono, con il manto ricamato, con la corona, circondata di fiori e candele. Allora ci siamo soffermati sul particolare delle mani: sue, degli angeli e di Gesù Bambino. Mani che ci parlano e ci coinvolgimento nel cammino pastorale di un anno.


Maria, donna feriale don Tonino Bello Chi sa quante volte l’ho letta senza provare emozioni, L’altra sera, però, quella frase del Concilio, riportata sotto un’immagine della Madonna, mi è parsa così audace, che sono andato alla fonte per controllarne l’autenticità. Proprio così. Al quarto paragrafo del decreto del Concilio Vaticano II sull’Apostolato dei Laici c’è scritto testualmente: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro». Intanto, Maria viveva sulla terra. Non sulle nuvole. I suoi pensieri non erano campati in aria. I suoi gesti avevano come soggiorno obbligato i perimetri delle cose concrete. Anche se l’estasi era l’esperienza a cui Dio spesso la chiamava, non si sentiva dispensata dalla fatica di stare con i piedi per terra. Lontana dalle astrattezze dei visionari, come dalle evasioni degli scontenti o dalle fughe degli illusionisti, conservava caparbiamente il domicilio nel terribile quotidiano. Ma c’è di più: Viveva una vita comune a tutti.

Mani che portano e indicano Con delicatezza, forza e tenerezza, Maria porta il Bambino, vita accolta, custodita e donata. Come lei, la comunità accoglie, custodisce e dona il tesoro della grazia

Mani che offrono Con delicatezza e forza insieme, Maria affida il Rosario, la preghiera dei semplici, di chi si riconosce piccolo e perciò amato. Come lei, la comunità prega e offre occasioni di preghiera per adorare, dire grazie, chiedere perdono e invocare aiuto.

Simile, cioè, alla vita della vicina di casa. Beveva l’acqua dello stesso pozzo. Pestava il grano nello stesso mortaio. Si sedeva al fresco dello stesso cortile. Anche lei arrivava stanca alla sera, dopo una giornata di lavoro. Anche a lei un giorno le dissero: «Maria, ti stai facendo i capelli bianchi». Si specchiò, allora, alla fontana e provò anche lei la struggente nostalgia di tutte le donne, quando si accorgono che la giovinezza sta sfiorendo. Le sorprese, però, non sono finite, perché venire a sapere che la vita di Maria fu piena di sollecitudini familiari e di lavoro come la nostra, ci rende questa creatura così inquilina con le fatiche umane, da farci sospettaLa Lettera |21| Dicembre 2013


re che la nostra penosa ferialità non debba essere poi così banale come noi pensiamo. Sì, anche lei ha avuto i suoi problemi di salute, di economia, di rapporti, di adattamento. Chi sa quante volte è tornata dal lavatoio col mal di capo, o sovrappensiero perché Giuseppe da più giorni in bottega non aveva molto lavoro. Chi sa a quante porte ha bussato chiedendo qualche giornata di lavoro per il suo Gesù, nella stagione dei frantoi. Chi sa quanti meriggi ha malinconicamente consumato a rivoltare il pastrano già logoro di Giuseppe, e ricavarne un mantello perché suo figlio non sfigurasse tra i compagni di Nazaret. Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei dei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’era, non sempre avrà capito i silenzi. Come tutte le madri, ha spiato pure lei, tra timori e speranze, nelle pieghe tumultuose dell’adolescenza di suo figlio. Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra. E avrà temuto di deluderli. O di non essere all’altezza del ruolo. E, dopo aver stemperato nelle lacrime il travaglio di una solitudine immensa, avrà ritrovato finalmente nella preghiera, fatta insieme, il gaudio di una comunione sovrumana. Santa Maria, donna feriale, forse tu sola puoi capire che questa nostra follia di ricondurti entro i confini dell’esperienza terra terra, che noi pure viviamo, non è il segno di mode dissacratorie. Se per un attimo osiamo toglierti l’aureola, è perché vogliamo vedere quanto sei bella a capo scoperto. Se spegniamo i riflettori puntati su di te, è perché ci sembra di misurare meglio l’onnipotenza di Dio, che dietro le ombre della tua carne ha nascosto le sorgenti della luce. Sappiamo bene che sei stata destinata a navigazioni di alto mare. Ma se ti costringiamo a veleggiare sotto costa, non è perché vogliamo ridurti ai livelli del nostro piccolo cabotaggio. È perché, vedendoti così vicina

Mani che sostengono Le mani degli Angeli sostengono una corona che si trasforma in tenda. La comunità, tenda piantata tra le case degli uomini, vuole essere sempre più casa e scuola di comunione cercando ciò che unisce e ricucendo gli strappi. Si fa in quattro anche per i tempi degli uomini e donne, invitati, stimolati e raggiunti da molte proposte.

Mani che danzano Gli Angeli laterali danzano con una corona di fiori tra le mani. La comunità desidera far sua la gioia delle beatitudini, strade altre nella sofferenza, nella fatica, nel desiderio di pace, giustizia e trasparenza.

La Lettera |22| Dicembre 2013


alle spiagge del nostro scoraggiamento, ci possa afferrare la coscienza di essere chiamati pure noi ad avventurarci, come te, negli oceani della libertà. Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell’arte. Ma è quello che ti colloca all’interno della casa di Nazaret, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua naturale femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni. Santa Maria, donna feriale, liberaci dalle nostalgie dell’epopea, e insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza. Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l’abbandono alla volontà di Dio nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore. E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di essere incoronata Regina del cielo hai ingoiato la polvere della nostra povera terra.

Mani che attendono Le mani di Gesù sono aperte (anche se in una è stata appoggiata anche a lui la corona del Rosario: può essere diverso dalla Madre?). Sì, Maria, la sposa, la Madre, la Regina, affidandoci suo figlio ci dice: è Lui che dovete accogliere per essere capaci di Vangelo, della Buona Notizia che lui vi porta e che si è fatta carne in Lui.

La Lettera |23| Dicembre 2013


MADONNA DEL ROSARIO don Lino Casati Per i discepoli poteva essere relativamente facile credere, tuttavia chiedono: aumenta la nostra fede. Ma credere non è la cosa più semplice di questo mondo (vedi Abacuc). Fatica a credere anche nella vita ordinaria quando si è stanchi, vuoti, depressi. Fatica nelle relazioni con le persone quando l’incomprensione la fa da padrone, quando c’è la sensazione di non tirare insieme molto. Su tutto la domanda: accresci in noi la fede. E lo strumento della preghiera con la quale parliamo con il Signore. Quando c’è qualche problema è importante recuperare le parole, confidarsi, sfogarsi… Maria ci richiama la preghiera, molto semplice, alla portata di tutti. Ricordiamo a Maria perché riusciamo a tenere in mente noi la parola che ha sentito dall’Angelo: rallegrati Maria perché sei piena di grazia. E poi quella di Elisabetta: benedetta tra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. Dio opera grandi cose. Onorando Maria ricordiamo ciò che Dio opera continuamente in noi. Poi, mentre chiediamo le grazie chiediamo la grazia che lei sostenga la nostra fede, nelle “morti quotidiane” (fragilità, limiti, peccati…) e nel momento più delicato anche per la fede, la morte. Anche quando la mente è stanca e il cuore è arido e vagano da tante parti, noi preghiamo con l’ave. Con Maria diciamo: accresci in noi la fede riconoscendo il valore delle piccole cose che facciamo.

Siamo servi inutili: ciò che facciamo, anche quando non c’è riscontro o ricompensa, se lo fai nella fede è qualcosa di grande. Ecco, questo è il gelso sradicato.

La Lettera |24| Dicembre 2013


TRE VERBI TRACCIANO LA VIA DELLA CARITA’ di Francesco Soddu San Martino è tornato ad essere anche per la nostra realtà il giorno della raccolta dei sacchi gialli della Caritas e dei viveri per il Centro di Primo ascolto del vicariato (che si trova a Mozzo). Così, tra gli 80.000 Kg di indumenti raccolti in Bergamasca, ce n’erano anche alcuni dei nostri; e tra le borse alimentari date ai bisognosi, ci saranno anche quelle donate qui. Se anche questo piccolo segno educa ai tre verbi che il Papa indica, siamo contenti di impegnare il sabato con volontari – adolescenti e adulti – e mezzi. Guardare, seguire, seminare. Così il Papa sintetizza un cammino che deve essere di ogni cristiano. Le Caritas lo affrontano lottando contro le povertà. Non “servendosi dei poveri”. Ma come espressione di una comunità chiamata a essere lievito. Guardare, seguire e seminare. Con questi tre verbi, durante il suo viaggio in Sardegna in settembre, papa Francesco ha sintetizzato la via della carità, che deve essere il cammino di ogni cristiano. Occorre guardare Gesù, che è la via sicura: la via dell’umiltà, della solidarietà, del servizio, la scelta di stare con i piccoli e gli esclusi. Questa è vera carità che, ricorda papa Francesco, «non è un semplice assistenzialismo», e tanto meno «un assistenzialismo per tranquillizzare le coscienze», che diventa invece «affare». Dopo aver visto il percorso che ci indica Gesù, occorre seguirlo «sulla via della carità, andare con Lui nelle periferie esistenziali», per servi-

re i poveri e non per servirsi dei poveri. Alcuni infatti, ha sottolineato il papa, «si fanno belli, si riempiono la bocca con i poveri; li strumentalizzano per interessi personali o del proprio gruppo». Secondo Cristo sulla via della carità, siamo chiamati a seminare speranza «con opere di solidarietà, sempre cercando di collaborare nel modo migliore con le pubbliche istituzioni, nel rispetto delle rispettive competenze». Seminare speranza. Un invito per tutta la Chiesa, e in particolare per la Caritas, che papa Francesco definisce « espressione della comunità» aggiungendo che «la forza della comunità cristiana è far crescere la società dall’interno, come il lievito». L’attenzione al contrasto dei fenomeni di povertà, da parte delle Caritas, ha assunto negli anni forme diverse: la presa in carico delle persone in difficoltà, l’analisi dei fenomeni generativi di disagio, l’elaborazione di proposte di percorsi normativi. E’ vero che oggi si può parlare di una pluralità diversificata di povertà, ma è altrettanto vero che resta drammaticamente preoccupante la povertà assoluta, con l’urgente necessità di trovare risposte a bisogni primari come cibo, lavoro, denaro, istruzione, salute, diritti. E’ sempre più evidente, però, che non si può né si deve agire da soli, ma occorre, come ha detto il papa, un’azione di comunità, un’azione di rete, a cerchi concentrici. Non a caso le Caritas, come altre entità, in tempi recenti sono diventate interlocutrici ricercate dalle amministrazioni, anche se spesso più per un desiderio di delega che per un’effettiva volontà di lavorare insieme. Promuovere e favorire in ogni diocesi un efficace lavoro di rete di alleanze tra le varie realtà, in modo sinergico e dialogante con il servizio pubblico, nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà, è sempre stato e sempre sarà un cardine dei nostri interventi.

La Lettera |25| Dicembre 2013


DIPENDE, DA CHE DIPENDE... incontri con don Chino Pezzoli, con don Mario e gli operatori della comunità promozione umana Anche a Palazzago si fuma. Anche a Palazzago ci si fa le canne. Anche a Palazzago ci sono ragazzi che fumano e si spinellano. E non solo. Così iniziava l’affondo di una Lette…Rina del mese di ottobre -che aveva suscitato anche diverse reazioni-con il desiderio di aprire gli occhi su una realtà che non vivono solo le grandi città o periferie, ma anche i nostri paesi. Allora, l’itinerario che da alcuni anni ad ottobre proponiamo ai genitori di terza media e adolescenti della zona pastorale, ci ha aiutati a conoscere il fenomeno con le sue fasi : “la scoperta e il piacere; scegliere lei (la droga) ai propri cari e infine la solitudine”. Ci ha aiutati inoltre a rintracciarne le cause e ad abbozzare strade possibili di ripresa. Lo abbiamo fatto con l’esperienza e la passione di don Chino Pezzoli, don Mario e gli educatori della Comunità Promozione Umana. Don Chino conclude le varie fasi così: “A questo punto puoi renderti conto dell’errore e farti forza per ricominciare a vivere una vita reale, oppure ti arrendi definitivamente a lei, aspettando la fine.” Raccogliamo qui una parte degli interventi. NON SONO LE COSE CHE CONTANO... Chi porta da bere? Chi porta il fumo? Sono queste le domande che i ragazzi si fanno quando organizzano una festa. Questo manifesta che in loro c’è un desiderio altissimo delle cose. Ma se ti attacchi alle cose è perché ti manca l’interiorità. In questa società del consumismo, dell’immagine, del personaggio... addirittura in questo tempo di crisi si cerca di vendere ancora di più e pertanto i ragazzi recepiscono il messaggio che è bello avere tante cose. Di fronte a questo dominio delle cose e del consumo bisogna fare una bella scommessa: essere di qualcuno, esser qualcuno.

... MA IL CAMMINO FATTO CON... Quanti ragazzi sono soli! La vita è un cammino: non puoi vivere stando sprofondato sul divano. Non si cresce se non si cammina. Caro genitore, se sei interessato al cammino di tuo figlio devi essere pronto a rilanciare il suo cammino. Il cammino è il tempo! I ragazzi camminano se noi camminiamo con loro. ... PER SCOPRIRE CHE LA VITA È FESTA! Molti ragazzi pensano al divertimento fatto con lo sballo: questo ci preoccupa moltissimo. Un tempo il tossico era isolato. Ora invece le dipendenze iniziano nel divertimento. Allora il compito educativo che ci aspetta è quello di educare i nostri ragazzi a come divertirsi, al divertimento normale. I ragazzi non devono abbandonare il contatto umano; è necessario aiutare i ragazzi a stare insieme, a parlare e ad ascoltare; stare insieme genitori e figli, divertirsi con loro. Perché non dire che anche la cultura, lo studio è un divertimento? La vita è festa! I nostri ragazzi sballano perché non li abbiamo educati alla festa della vita. PREVENIRE Come è possibile prevenire la caduta nelle dipendenze dalla droga, dall’alcool, dal gioco compulsivo? 1. EDUCARE IN FAMIGLIA STANDO ACCANTO AI PROPRI FIGLI La prima cosa da fare è educare! Non facciamo crescere vuoti i nostri ragazzi. La droga non è la causa, ma la conseguenza! Prima c’è una persona che sta male, che devia, che molla la scuola, che molla lo sport... Educare significa aiutare tuo figlio a tirar fuori quel bello che lui ha già dentro. Avere una profonda vita familiare e comunitaria. Gli ambienti educativi come l’oratorio sono una potenza. Un ambiente pulito e ordinato, con un linguaggio pulito aiuta un giovane a crescer bene. Case

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sempre in disordine, ambienti sporchi, trasandati: non aiutano. L’accompagnamento dei figli è importante: loro un giorno andranno verso il mondo con le loro gambe, ma all’inizio ci deve essere un impegno di accompagnamento familiare. E’ fondamentale un legame affettivo con i nostri ragazzi. 2. DARE DELLE REGOLE I ragazzi in comunità chiedono le regole; un ragazzo quando arriva in comunità dice: aiutami a fermarmi, perché da solo e senza regole non ce la faccio! Cari genitori, pensiamo: quali regole diamo ai nostri figli? Quali sono le regole importanti per noi?

Non dimentichiamo mai che sono le regole che portano alle buone abitudini. Se non ci sono le buone abitudini prendono il sopravvento le cattive abitudini. Per i ragazzi è molto importante avere delle regole. Anche il gioco è importante: lì ci sono delle regole da rispettare, altrimenti il gioco non funziona. Da questo possiamo imparare a dare delle regole chiare ai nostri figli che li aiutino a prendere buone abitudini. 3. NON DEMORDERE Siamo capaci di dare anche un po’ fastidio ai nostri figli quando vogliamo il loro bene e diciamo delle cose che loro non accettano? O lasciamo passare tutto? Non importa se in certe situazioni può capitare che tuo figlio arriva anche ad odiarti perché tu stai dicendogli dei NO, ma non ti devi preoccupare: l’importante che mentre dici no tu sei lì con lui. Tante volte, troppe volte invece noi adulti molliamo troppo in fretta sulle cose che contano per non entrare in conflitto con i nostri figli. Quante volte non si previene perché si dice: “Quando sarà grande capirà!” Ma che cosa sta capendo mio figlio adesso?

CHI E’ IL RAGAZZO A RISCHIO? Quando c’è qualcosa che non va in un ragazzo, ci sono sempre dei segnali molti chiari e facili da identificare. Ecco quali sono questi segnali: 1. Propensione per la ricerca di emozioni forti. Fate molta attenzione quando un ragazzo è attratto dal sensazionale o da messaggi esterni molto forti. E attenzione anche se è disturbato da forti messaggi interni che producono incubi o insonnia, o pianto isterico o scenate che durano anche 15-20 minuti. Un ragazzo iperattivo è uno che non ha il controllo delle proprie emozioni. Questa ricerca di forte emozioni può avere la sua causa in comportamenti familiari sbagliati come ad esempio lasciare un figlio ore e ore davanti alla TV o rendere partecipe un figlio delle forti tensioni che ci possono essere in casa quando i genitori si offendono (il figlio ne rimane impressionato) oppure quando in famiglia non c’è un ambiente sereno. La famiglia deve essere il luogo della serenità perché un figlio cresca sereno e non vada alla ricerca di emozioni forti. 2. Scarso controllo nei comportamenti Se un figlio ha una buona educazione avrà un comportamento regolare. E’ necessario vigilare sul comportamento dei propri figli e se hanno un cattivo comportamento non giustificare dicendo: è il suo

carattere! Se il figlio non obbedisce ai genitori, se ha dei comportamenti trasgressivi, se non tiene in ordine, se non riesce a stare a tavola agli orari stabiliti e fino alla fine, vuol dire che non ha comportamento regolare. Bisogna dare pertanto delle regole. Educare ad aver comportamenti disciplinati. Se ti dicono: “tuo figlio è maleducato”, ti devi preoccupare e chiederti se non sei tu che l’hai regolato-educato a non avere un buon comportamento.

La Lettera |27| Dicembre 2013


3. Debole autostima. Un ragazzo deve volersi bene. perché questo avvenga è importante valorizzare i figli alla stessa maniera, non uno più dell’altro. (attenzione alla scarsa autostima che colpisce molte volte i secondogeniti, proprio perché i genitori non valorizzano allo stesso modo i propri figli). La scarsa stima è coperta dal bullismo, dalle rispostacce, dalle parolacce.. Ognuno di noi deve ritenere che la sua vita ha va-

lore. Non è necessario, anzi è sbagliato abituare il figlio a vantarsi! Ma va educato a raccontare quelle che riesce a fare e questo aumenterà la sua autostima perché nel racconto si accorgerà delle cose che riesce a fare e imparerà ad avere stima di sé. Amarsi vuol dire non invidiare nessuno. La scarsa autostima invece porta alla depressione e ai suicidi (i suicidi giovanili sono in aumento). 4. Difficoltà di adattamento Nella scuola e nella famiglia: quando un ragazzo non si relaziona è disturbato. E’ importante comunicare in famiglia... è importante, anzi necessario avere amici per comunicare. Se questo manca è un campanello d’allarme. Attenzione alle difficoltà di inserimento. Occorre aiutare i ragazzi a stare con gli altri, a sapersi adattare in tutti gli ambienti. Quei ragazzi che non escono mai con nessuno sono a rischio. Per questo è doveroso aiutare i ragazzi ad avere relazioni reali e non soltanto relazionarsi con il telefonino o con internet.

modo scientifico. La droga non va toccata; gli sballi non vanno fatti. Mettere droga nel corpo è come mettere candeggina nell’acqua: quell’acqua non ritorna più acqua... così quando la droga arriva al cervello, non è più un cervello normale, ma un cervello rovinato per sempre! Voi genitori parlate della droga con i vostri figli a casa? Ci sono tanti adulti che non sanno nemmeno cosa dire su questo tema. Abbiamo il dovere di accompagnare i nostri figli nel dire NO alla droga. - Stiamo a fianco dei ragazzi, come persone vere, come persone adulte! L’adulto che sta accanto al figlio come un amico sta sbagliando tutto! Nell’adolescenza la figura paterna è molto importante: caro papà che vai a Messa, che sostieni le buone compagnie di tuo figlio, che appoggi ciò che l’oratorio fa per tuo figlio: tu stai creando per tuo figlio delle condizioni di vita buona nelle quali lui può crescer bene. Ma fai molta attenzione se tuo figlio si annoia o se lo stai viziando. - Non siate superficiali se i vostri figli si spinellano. tra i nostri ragazzi ce ne sono alcuni che fanno uso di spinelli (questo l’ha detto don Chino ai genitori dicendo che li ha conosciuti al volo, solo guardandoli... ma anche noi preti di queste parrocchie ce ne siamo accorti, altrimenti non avremmo fatto questi incontri sul tema della droga con don Chino!) Lo spinello è droga. Purtroppo non si parla più del tema della droga; anzi i ragazzi ricevono il messaggio che lo spinello non fa male... ci sono canzoni che inneggiano alla droga... si fanno le battutine negli spettacoli televisivi. Ovviamente nessuno dice che la droga è sofferenza. La droga arriva perché c’è un vuoto interiore e la droga diventa l’illusione della soluzione veloce di un

5. Attenzione alle compagnie che frequentano. I genitori si domandino che ambienti frequentano i loro figli. Se frequentano cattive compagnie questo è uno dei fattori a rischio per la vita del figlio. COSA FARE? - informare i ragazzi sui danni delle dipendenze in La Lettera |28| Dicembre 2013


problema. - Sincerità Cari genitori siate attenti che i vostri figli siano sinceri e che parlino con voi. Un genitore tende spontaneamente a coprire i propri figli, poiché i figli sono la prolunga della sua vita. Ma se si vuole il bene per loro occorre che i genitori sappiano talvolta essere anche scomodi per i loro figli. - Attenzione al virtuale E’ solo il contatto reale che permette alle persone di avviare qualcosa di buono nella loro vita. Noi abbiamo bisogno di un sorriso, di una carezza, di una pa-

comunità hanno rivolto ai nostri ragazzi: In passato la droga serviva ai ragazzi per stare ai margini della società ed essere “alternativi”. Oggi la tossicodipendenza ha un ruolo subdolo, serve per “stare nelle società”, per mascherarsi e vivere. L’utilizzo di droga e alcool è incapacità di affrontare la vita: l’individuo non cresce mentalmente, si ferma all’età d’inizio dell’uso di droghe. Chi si droga smette di assumersi le responsabilità, l’unico pensiero è procurasi la droga e la trasgressione. Per un tossicodipendente entrare in comunità è un’opportunità per riprendere il cammino di crescita interrotto e ricostruirsi. La droga viene usata perché ci si sente timidi, per superare le difficoltà. In realtà alterando il proprio stato fisico e psichico con le droghe non si superano i problemi; si hanno invece meno opportunità di crescere, le relazioni si complicano e si è incapaci di voler bene. LA VITA È BELLA ANCHE QUANDO È DIFFICOLTOSA

rola per poter vivere bene. Il mondo virtuale invece non colma i nostri vuoti, ma anzi li amplifica e non ci fa immergere nella bellezza della vita concreta, vera, reale! CARI RAGAZZI... Il forte messaggio che don Chino ha rivolto ai nostri ragazzi: I ragazzi dipendenti da droga e alcool non sono maturi. Chi cresce mentalmente, affettivamente e sa comunicare non ha bisogno di danneggiare la propria vita. Non ci son droghe leggere! Il “fumo”… “l’erba” sono droghe pesanti che: - danneggiano la memoria, cioè la facoltà più importante per avere una buona personalità; - compromettono il pensiero e non si riesce a studiare; - tolgono la motivazione. Gli spinelli possono provocare gravi disturbi di personalità e stati schizoidi. L’abuso di alcool e birra può provocare il coma etilico. Tutte le droghe tolgono il dono della salute. Perdere la salute è perdere la vita. AMATE E FATEVI AMARE, NON COMPROMETTETE LA VITA. AMATE LA SALUTE E GRIDATE SÌ ALLA VITA ! E il messaggio che alcuni ex tossici e educatori di

O SOPRATTUTTO QUANDO È DIFFICOLTOSA ! Non sono da sottovalutare le conseguenze fisiche e sanitarie dell’uso di droghe e alcool: trombosi, epatiti, aids, malattie del sistema circolatorio, degenerazione delle cellule cerebrali….. La curiosità di provare “frega”! La gente minimizza lo spinello! Ognuno ha propri limiti fisici, c’è chi fumando “solo spinelli” ha avuto un esaurimento e si è suicidato. Chi utilizza la droga dicendo di poter smettere quando vuole, è il primo che vi rimane imbrigliato: fin dal primo utilizzo è la droga che comanda! Da quando la assaggi ne sei prigioniero! Quando “passi dall’altra parte” non torni più indietro; aprire “quella porta” è pericolosissimo. LA DROGA È UN ABBAGLIO. Consiglio: cercate informazioni scientifiche sui danni provocati dall’uso di droghe e alcol. Bisogna sapere quello che si vuole, avere la propria personalità, essere se stessi e saper dire di no. Chi fa uso di sostanze è una persona debole, chi sa dire di no è normale.

La Lettera |29| Dicembre 2013


S.O.S. Palio “vacante” a cura del Comitato Organizzatore 2013 il Palio delle Contrade di Palazzago ha festeggiato i suoi primi 25 anni e l’ambito trofeo è andato alla contrada dei Verdi - Longoni. Come da regolamento la frazione che si aggiudica per ben 3 volte il palio (anche non consecutive), lo ritira e questo viene assegnato definitivamente alla squadra. E così è stato lo scorso anno dopo le tre vittorie del Longoni. Risultato: palio vacante! Servono nuove idee per la sua realizzazione, ma soprattutto uno sponsor al quale sarà ovviamente

intitolato il nuovo trofeo. Per questo chiediamo anche a voi qualche nuovo spunto, il nome di un buon artista, artigiano che potrebbe realizzare concretamente il trofeo: insomma tutto quello che vi viene in mente per il nostro futuro palio! Perché anche nel gioco e nella sana competizione che ne deriva si riconosce una comunità viva! Potete contattarci via mail all’indirizzo: info@oratoriopalazzago.it

PELLEGRINAGGIO A SOTTO IL MONTE GIOVANNI XXIII Angelica e tutti i ragazzi della Cresima Nella ricorrenza dell’Anno della Fede, che sta volgendo al termine, e del 50° anniversario della morte di Papa Giovanni XXIII, noi ragazzi di seconda media, nel pomeriggio di sabato 12 ot-

tobre, abbiamo visitato i luoghi più significativi della vita di Papa Roncalli: Ca’ Maitino e la casa natale. Abbiamo partecipato alla S. Messa tenuta nella chiesa Parroccchiale; al termine abbiamo visitato la Cripta e il nuovo Giardino della Pace, inaugurato proprio il giorno prima. Affascinanti sono stati gli aneddoti che le suore di Ca’ Maitino ci hanno raccontato: i loro occhi si illuminavano quando parlavano di Papa Giovanni e ci hanno trasmesso tanta speranza e amore. Come prossima meta ci aspetta Roma……non vediamo l’ora di partire!!!

La Lettera |30| Dicembre 2013


Festa della terza età Nella festa della terza età, che coincideva con la lettura del proemio del libro dell’Apocalisse, don Maurizio ha “giocato” con i numeri, abbinandoli alle dita della mano: • 20: i misteri del Rosario (ottobre è il mese del Rosario con l’invocazione a Maria per arrivare al Signore) • 10: i lebbrosi guariti da Gesù nel Vangelo (a distanza, essi gridavano il desiderio di essere ascoltati e liberati) • 7: le volte che Naaman il Siro, lebbroso, s’è immerso nelle acque del Giordano (obbedendo alle indicazioni di Eliseo, uomo di Dio) e numero decisamente presente nell’Apocalisse e nella vita dei cristiani. • 5: il 5° sacramento, l’unzione dei malati (amministrato ad alcune signore, sulla fronte e sul palmo della mano) • 1: l’unico, il samaritano, che torna a dire grazie passando così dal dono al donatore, dal regalo alla sorgente. Cercheremo nell’anno pastorale, anche con la lettura delle 7 lettere alle chiese dell’Apocalisse, di fare nostro il movimento del grazie e ritornare all’Angelo immolato, a colui che era morto, ma ora vive, alfa e omega della storia. Dopo la messa presieduta da don Maurizio e concelebrata da don Paolo, don Giuseppe e don Lorenzo, la festa è continuata con il pranzo e il pomeriggio di festa. Grazie…

La Lettera |31| Dicembre 2013


da L’Eco di Bergamo 10 0ttobre 2013

Non «solo» una testata informativa, ma anche uno spazio di confronto per capire i cambiamenti della società e della Chiesa. Una «piazza virtuale» da cui trarre ispirazione e dove i lettori potranno leggere e commentare i principali fatti di attualità nazionali e locali. E ancora, un luogo dove tentare un esercizio di mediazione culturale per leggere ciò che avviene in un’ottica cristiana e uno strumento per far conoscere le tante realtà e iniziative della Chiesa di Bergamo. È nato giovedì 10 ottobre, con il primo click ufficiale, «Santalessandro.org», il settimanale on line della Diocesi di Bergamo. Direttore della testata è monsignor Alberto Carrara: «Santalessandro.org - dichiara mons. Carrara - vuole essere uno spazio dove si incontrano le notizie e la sensibilità di noi che leggiamo: una sensibilità che attinge la sua ispirazione dal messaggio cristiano. Questo spiega anche lo struttura del settimanale». Il periodico digitale, costantemente aggiornato, avrà un appuntamento fisso il giovedì quando verranno offerti nuovi spunti di riflessione con articoli o inchieste e approfondimenti. «Vi si troveranno parti dedicate alla Chiesa e parti dedicate alla società o ad alcuni aspetti di essa - aggiunge monsignor Carrara -. Alcune rubriche daranno voce a persone, istituzioni, movimenti significativi della comunità locale. Anche per questo Santalessandro.org ambisce ad accogliere i contributi dei lettori, favorire il loro dialogo per costruire insieme una opinione pubblica, attenta a quello che avviene e pronta a coglierne i significati». La pubblicazione avrà la struttura di un blog, proprio per consentire a tutti i lettori di commentare e avviare il dibattito. In redazione, saranno presenti la giornalista de L’Eco di Berga-

mo Sabrina Penteriani e un responsabile web. «È stata scelta la forma on line - conclude il direttore - perché è il futuro dell’informazione, è una modalità che consente l’interattività con i lettori: ci auguriamo che in tanti ci scrivano e condividano i propri pensieri che diventeranno il cuore della piazza virtuale». Il lancio ufficiale di «Santalessandro.org» è avvenuto alla presenza di monsignor Vittorio Nozza, vicario per i laici e la pastorale, e di monsignor Giulio Dellavite, segretario generale e addetto stampa della Curia: «Il nostro vescovo, monsignor Francesco Beschi - sottolineano - ho voluto presentare personalmente questa iniziativa sia all’Assemblea del Clero che all’Assemblea Diocesana con i rappresentanti laici di tutte le parrocchie, evidenziando come questo “sagrato” sia un luogo aperto e una possibilità nuova di incontro e di confronto. Monsignor Beschi crede molto in questa iniziativa, anche come apertura alle nuove generazioni che hanno facile accesso a queste piazze digitali. Il settimanale on line non è un organo ufficiale della Curia come il sito diocesano, ma è occasione importante per sollecitare riflessioni e aprire dibattiti». Il blog, curato da Moma Comunicazione ed edito dall’associazione «Bergamo editoriale», sarà suddiviso in varie sezioni tra cui le rubriche «Editoriali», «Società» e «Chiesa», con tematiche riguardanti sia quella di Bergamo, della Lombardia e dell’Italia. Altre pagine conterranno interviste e argomenti culturali. Si affiancheranno, poi, gli spazi delle «Lettere dalla fine del mondo» con interventi di missionari, del «Diario di un prete», del «Diario di un laico». Il «Vangelo della domenica» presenterà le letture, mentre «Parrocchie», «Associazioni e movimenti» saranno concentrate sulle realtà del territorio.

La Lettera |32| Dicembre 2013


Ministri di liturgia Il Vescovo, dopo aver incontrato i diversi Consigli Parrocchiali e i Catechisti, ha iniziato ora ad incontrare gli addetti alla liturgia cominciando dal Vicariato Albino-Nembro, (30 ottobre) e poi dal nostro, il 6 novembre.

In mattinata ha incontrato i sacerdoti del Vicariato con i quali ha condiviso anche il pranzo; nel pomeriggio ha visitato i sacerdoti malati; alle 18.00 ha presieduto la concelebrazione a Mozzo e dopo il buffet (preparato ancora una volta in modo impeccabile dallo staff di Palazzago) ha dialogato con i tanti presenti nel Teatro Agorà. Nel suo intervento ha significato innanzitutto il grazie per chi mette a disposizione tempo, energie e passione per la liturgia, avvertendone la profondità e creando il clima giusto perché l’assemblea preghi. L’orizzonte da non dimenticare è infatti questo, perché non possiamo fermarci a fare una cerimonia (che si ripete sempre uguale) ma ci è chiesto di celebrare. La liturgia infatti è un evento, è qualcosa che accade: viene e avviene. Allora anche il desiderio di novità che a volte si ha per rendere più accattivante la celebrazione, non deve dimenticare che è la Pasqua la vera novità. Il popolo riunito fa questo: riceve l’evento e ne diviene protagonista. Quindi, non si è solo animatori, ma ministri, in quella dimensione tipica che va oltre il singolo e coinvolge una comunità. La liturgia è evento ecclesiale che si nutre di verità e di vita. Qui il Vescovo Francesco racconta un fatto di Suor Marie Keyrouz, libanese, (che ha venduto milioni di cd musicali in lingua araba).

se che si disperava sul corpo del suo giovane figlio, ucciso a 16 anni da una pallottola sparata da una fazione in guerra. La donna urlava contro il cielo, contro gli uomini e contro Dio. Vedendo la suora le chiese di cantare qualcosa per suo figlio morto. Suor Marie cantò, non sa nemmeno lei per quanto tempo. Alla fine, abbassando gli occhi, vide negli occhi della madre che la sua rabbia era scomparsa. Allora la donna disse a suor Marie: - Adesso mio figlio riposa in pace -. Lì si era celebrata una vera liturgia: il canto aveva dato la pace. Questo è il miracolo della liturgia. Dà la vita, diventa vita.

Dopo il vescovo, don Doriano Locatelli, Direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, ha sottolineato • la liturgia è della Chiesa, non dei gruppi liturgici o di qualche addetto ai lavori; • l’importanza del gruppo liturgico parrocchiale (da incoraggiare dove c’è e da pensare dove manca); • la disponibilità dell’Ufficio; • la necessità di conoscere il Direttorio ad experimentum del Sinodo e mandare osservazioni in vista di quello definitivo.

Si trovava nel suo convento di Beyrouth, quando sentì improvvisamente provenienti dalla strada delle urla spaventose: era una madre palestineLa Lettera |33| Dicembre 2013


Cristo, centro dell’umanit L’11 ottobre 2012, inizio dell’anno della fede, eravamo partiti per il pellegrinaggio nella terra di Gesù, là dove tutto è iniziato. Al termine, ascoltiamo l’ omelia di Papa Francesco pronunciata durante la Santa Messa a conclusione dell’Anno della Fede domenica 24 novembre 2013 in Piazza San Pietro:

La solennità odierna di Cristo Re dell’universo, coronamento dell’anno liturgico, segna anche la conclusione dell’Anno della Fede, indetto dal Papa Benedetto XVI, al quale va ora il nostro pensiero pieno di affetto e di riconoscenza per questo dono che ci ha dato. Con tale provvidenziale iniziativa, egli ci ha offerto l’opportunità di riscoprire la bellezza di quel cammino di fede che ha avuto inizio nel giorno del nostro Battesimo, che ci ha resi figli di Dio e fratelli nella Chiesa. Un cammino che ha come meta finale l’incontro pieno con Dio, e durante il quale lo Spirito Santo ci purifica, ci eleva, ci santifica, per farci entrare nella felicità a cui anela il nostro cuore. .. Le Letture bibliche hanno come filo conduttore la centralità di Cristo. Cristo è al centro, Cristo è il centro. Cristo centro della creazione, Cristo centro del popolo, Cristo centro della storia. 1. L’Apostolo Paolo ci offre una visione molto profonda della centralità di Gesù. Ce lo presenta come il Primogenito di tutta la creazione: in Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui furono create tutte le cose. Egli è il centro di tutte le cose, è il principio: Gesù Cristo, il Signore. Dio ha dato a Lui la pienezza, la totalità, perché in Lui siano riconciliate tutte le cose (cfr 1,12-20). Signore della cre-

azione, Signore della riconciliazione. Questa immagine ci fa capire che Gesù è il centro della creazione; e pertanto l’atteggiamento richiesto al credente, se vuole essere tale, è quello di riconoscere e di accogliere nella vita questa centralità di Gesù Cristo, nei pensieri, nelle parole e nelle opere. E così i nostri pensieri saranno pensieri cristiani, pensieri di Cristo. Le nostre opere saranno opere cristiane, opere di Cristo, le nostre parole saranno parole cristiane, parole di Cristo. Invece, quando si perde questo centro, perché lo si sostituisce con qualcosa d’altro, ne derivano soltanto dei danni, per l’ambiente attorno a noi e per l’uomo stesso. 2. Oltre ad essere centro della creazione e centro della riconciliazione, Cristo è centro del popolo di Dio. E proprio oggi è qui, al centro di noi. Adesso è qui nella Parola, e sarà qui sull’altare, vivo, presente, in mezzo a noi, il suo popolo. E’ quanto ci viene mostrato nella prima Lettura, dove si racconta del giorno in cui le tribù d’Israele vennero a cercare Davide e davanti al Signore lo unsero re sopra Israele (cfr 2 Sam 5,1-3). Attraverso la ricerca della figura ideale del re, quegli uomini cercavano Dio stesso: un Dio che si facesse vicino, che accettasse di accompagnarsi al cammino dell’uomo, che si facesse loro fratello. Cristo, discendente del re Davide, è proprio il “fratello” intorno al quale si costituisce il popolo, che si prende cura del suo popolo, di tutti noi, a costo della sua vita. In Lui noi siamo uno; un solo popolo uniti a Lui, condividiamo un solo cammino, un solo destino. Solamente in Lui, in Lui come centro, abbiamo l’identità come popolo. 3. E, infine, Cristo è il centro della storia dell’umanità, e anche il centro della storia di ogni uomo. A Lui possiamo riferire le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di cui è intessuta la nostra vita. Quando Gesù è al centro, anche i momenti più bui della nostra esistenza si illuminano, e ci dà speranza, come avviene per il buon ladrone nel Vangelo di oggi. Mentre tutti gli altri si rivolgono a Gesù con disprezzo – “Se tu sei il Cristo, il Re Messia, salva te stesso scendendo dal patibolo!” – quell’uomo,

La Lettera |34| Dicembre 2013


umanità e di ogni uomo che ha sbagliato nella vita, alla fine si aggrappa pentito a Gesù crocifisso implorando: «Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). E Gesù gli promette: «Oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43): il suo Regno. Gesù pronuncia solo la parola del perdono, non quella della condanna; e quando l’uomo trova il coraggio di chiedere questo perdono, il Signore non lascia mai cadere una simile richiesta. Oggi tutti noi possiamo pensare alla nostra storia, al nostro cammino. Ognuno di noi ha la sua storia; ognuno di noi ha anche i suoi sbagli, i suoi peccati, i suoi momenti felici e i suoi momenti bui. Ci farà bene, in questa giornata, pensare alla nostra storia, e guardare Gesù, e dal cuore ripetergli tante volte, ma con il cuore, in silenzio, ognuno di noi: “Ricordati di me, Signore, adesso che sei nel tuo Regno! Gesù, ricordati di me, perché io ho voglia di diventare buono, ho voglia di diventare buona, ma non ho forza, non posso: sono peccatore, sono peccatore. Ma ricordati di me, Gesù! Tu puoi ricordarti di me, perché Tu sei al centro, Tu sei proprio nel tuo Regno!”. Che bello! Facciamolo oggi tutti, ognuno nel suo cuore, tante volte. “Ricordati di me, Signore, Tu che sei al centro, Tu che sei nel tuo Regno!”. La promessa di Gesù al buon ladrone ci dà una grande speranza: ci dice che la grazia di Dio è sempre più abbondante della preghiera che l’ha domandata. Il Signore dona sempre di più, è tanto generoso, dona sempre di più di quanto gli si domanda: gli chiedi di ricordarsi di te, e ti porta nel suo Regno! Gesù è proprio il centro dei nostri desideri di gioia e di salvezza. Andiamo tutti insieme su questa strada!

Ed è bello che subito dopo, il papa abbia pubblicato la prima esortazione apostolica: Evangelii gaudium. Qui c’è tutto l’animo di ciò che abbiamo visto e ascoltato di papa Francesco. È un documento-chiave, corposo e singolare, foriero di spunti indicativi, che non si presta a banali riduzioni. Si potrebbe dire una sorta di regula pastoralis, di summa pastorale e al tempo stesso un incipit. Certamente una scommessa, un quaderno operativo aperto, un work in progress che non “chiude”, come la missione stessa, il cui scopo principale è l’annuncio del cuore pulsante del Vangelo agli uomini e alle donne nella realtà di oggi. Tutti fuori. In un vitale dinamismo di “uscita”. Fuori, sulle strade aperte della via pulchritudinis, la via del Vangelo. Perché solo uscendo si può rimanere fedeli a Cristo e alla natura propria della Chiesa. È la sollecitudine di un padre quella che definisce l’Evangelii gaudium, la prima esortazione apostolica di Francesco, che invita «a uno stato permanente di missione» e nasce dal «generoso», «improrogabile» bisogno di «rinnovamento», per «avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (n. 25). No a «una Chiesa preoccupata di essere al centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti». (49) No a una Chiesa intrisa di «mondanità spirituale che al posto della gloria del Signore, cerca la gloria umana» (93), nascondendosi dietro apparenze di religiosità. No a una «Chiesa dogana», irrigidita negli schemi: «La Chiesa è una madre dal cuore aperto», dove anche «la vita sacramentale non è un premio per i perfetti, ma un rimedio e un alimento per i deboli» (47). Si tratta di conversione, nella crescita fedele alla vocazione della Chiesa, un rinnovamento profondo alla luce del Kerygma, che ci interpella tutti, dall’ultimo dei credenti al Papa, perché anche lui è chiamato a vivere continuamente quanto chiede. È questa la sostanza della riforma alla quale ci introduce, e che riguarda anzitutto noi stessi. Bisogna proprio leggerla…

La Lettera |35| Dicembre 2013


Carissimi, appena un saluto per ringraziarvi insieme ai bambini e i genitori dei bambini per il vostro grande regalo per averci aiutato a costruire la scuola denominata il Piccolo Baobab. Con la vostra generosità la povertà non avrà l’ultima parola. Al contrario ha aperto un cammino di speranza e di gioia per questi bimbi e il loro modo per ringraziarvi è di pregare per voi. La riconoscenza che abbiamo è grande: solo il Signore sarà la vostra gioia e colmerà di pace e d’amore il vostro cuore. Con gratitudine assicuro la preghiera dei piccoli insieme alla preghiera della comunità. Un saluto cordiale Sr Rosaria

MINISTRI STRAORDINARI Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: “Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente”. GIi disse: “Verrò e lo guarirò”. Ma il centurione rispose: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa”. Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli.” Fede da una parte, meraviglia dall’altra. il centurione, uomo che ripone tutta lo sua fiducia in Cristo e lo supplica affinché guarisca il suo servo. Gesù, il Dio che accoglie

con stupore la richiesta del centurione. La parola di uno straniero che viene ascoltata dal Figlio di Dio. Ecco tratteggiato il dinamismo della fede: un affidarsi completamente e continuamente alle mani di un Dio che non ci considera mai degli sconosciuti e che non vede l’ora di abbracciarci con tenerezza per farci assaporare il Suo amore. Dopo riflessioni... dubbi... domande... ma sarò degna? Eccoci alla conclusione di un itinerario di formazione per Ministri Straordinari della Comunione, svoltosi a Bergamo con diversi incontri. Prima di iniziare questo mandato vogliamo ringraziare con gioia e gratitudine il Signore per aver ricevuto questo dono grande ed immeritato in quanto chiamati a coltivare uno stile di vita nella preghiera, nella vita fraterna, nella comunità e nel servizio. Chi sono i Ministri Straordinari della Comunione? Sono persone che aiutano il Sacerdote nella distribuzione della Comunione, ma non lo sostituiscono. I Ministri possono essere il cuore della Comunità nel lasciarsi coinvolgere ed appassionarsi verso il prossimo. Possono essere gli occhi della Comunità attenti ad accorgersi dei sofferenti, conoscerli, raggiungerli e confortarli. Possono essere i piedi della Comunità che vanno verso i più bisognosi. Possono essere le mani della Comunità nel tempo del bisogno, con gratitudine ed umiltà. Per questo chiediamo alla Comunità di accoglierci non per quello che siamo ma per quello che PORTIAMO! Sono così quattro i ministri straordinari nella nostra Comunità: Eliana, Marilisa, Graziella e Mariarosa.

La Lettera |36| Dicembre 2013


dalla SCUOLA DELL’INFANzIA Alcuni momenti significativi con protagonisti i bambini della scuola dell’infanzia.

All’ufficio postale di Palazzago per spedire le letterine a Babbo Natale

“CHE COSA È SPUNTATO NEL NOSTRO ORTO?” La verdura a Km 0 nella mensa scolastica della scuola dell’Infanzia di Palazzago”. Dopo un intenso lavoro di preparazione, cura e attenzione di ortaggi vari coltivati nell’orto della scuola dai bambini mezzani, il raccolto diventa parte integrante nella preparazione di alcuni piatti: minestrone, contorni e marmellate che i bambini preparano e consumano con entusiasmo aiutati dalla cuoca Mirella con l’approvazione della commissione mensa

“MERCATINI DI NATALE” Siamo ospiti nella cucina della scuola primaria con la maestra assessore Patrizia Scotti, per preparare i biscotti per la bancarella di Natale da vendere durante la giornata di domenica 8 dicembre.

“GIORNATA DEI DIRITTI PER L’INFANZIA”

Il giorno 20 novembre sulla terrazza della scuola i palloncini hanno raccontato i diritti dell’Infanzia Ma dove volano i palloncini? Ovunque andranno, racconteranno che bello essere bambini e quante cure servono per crescere sani, forti, curiosi del mondo e felici.

“ANCHE I QUADRI PARLANO”: I bambini grandi della scuola dell’Infanzia osservano, immaginano, raccontano e aiutati da don Giuseppe scoprono nelle immagini, nei colori e nelle forme quante cose un quadro racconta.

La Lettera |37| Dicembre 2013


Battesimi Domenica 27 ottobre ore 10.30

Domenica 17 novembre ore 15.00

Corti Giulia di Daniele e Colleoni Susan, nata il 17 maggio 2013

Alborghetti Chiara di Claudio e Lorenzi Monica, nata il 12 luglio 2013

Gervasoni Marco di Ezio e Volyanska Ganna, nato il 7 giugno 2013 Rota Clarissa di Stefano e Gualandris Marika, nata il 24 maggio 2013

Corti Giulia

Gervasoni Marco

Rota Clarissa

Alborghetti Chiara

Defunti BESCHI AIBA VED. RAVANINI, di anni 95, deceduta il 3 ottobre 2013

ROTA BULÒ GIORGIO TIZIANO, di anni 57, deceduto il 13 novembre 2013

Il tuo lungo pellegrinaggio è giunto alla sorgente dell’Amore. Ti affidiamo riconoscenti a Lui.

Non si perdono mai coloro che amiamo. Non piangete la mia assenza, sentitemi vicino e parlatemi ancora. Io vi amerò dal cielo come vi ho amato sulla terra. I tuoi cari: Mariarosa, Marta, Benedetta, il piccolo Tommaso e mamma Maria

CIMADORO EMILIA MARIA, di anni 89, deceduta il 16 novembre 2013 Le persone amate non muoiono mai. Nel silenzio del nostro cuore rimarrà sempre vivo il tuo ricordo. I tuoi cari ROBERTO MAZZOTTI di anni 54, deceduto il 2 novembre 2013

ROTA SCALABRINI PIETRO di anni 88, deceduto a Mapello il 19 novembre 2013 “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore” (Romani 14,7-8)

…Vorreste conoscere il segreto della morte? Ma come lo scoprirete se non cercandolo nel cuore della vita? Il gufo coi suoi occhi notturni, ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce. Se davvero volete contemplare lo spirito della morte, dovete spalancare il vostro cuore al corpo della vita. Poiché vita e morte sono una cosa sola, così come sono tutt’uno il fiume e il mare. Khalil Gibran


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QUARENGHI GIUSEPPINA detta TERESÌ, VED. MAZZOLENI di anni 95, deceduta il 7 dicembre 2013 “E quando avrete bisogno di me, sussurrate il mio nome nel vostro cuore e io sarò con voi” I tuoi cari TESTA ANNA detta ANITA, di anni 85, deceduta il 7 dicembre 2013 Mamma, sento già la tua mancanza! Dal Paradiso insieme al papà dove ora sei, prega per tutti i tuoi cari.

Incontri Giovani Vicariali 2013-2014

26/01

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“Si mise a parlare” Mt 5,1 I giovani del vicariato si raccontano a Mozzo

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23/02

“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”Mt 5,4

Incontro a Curno con un fisioterapista, un oncologa, un rappresentate del Gruppo Volontari e un rappresentate del gruppo Unitalsi

23/03

“Beati i misericordiosi perchè troveranno misericordia” Mt 5,7 Incontro a Sorisole con don Fausto Resmini e la comunità del Patronato San Vicenzo

TESTA SEBASTIANA detta NELLA, di anni 70, deceduta l’8 dicembre 2013

13/04

Nel ricordo il tuo volto mostra il sorriso, come se ci ricordassi di non smettere mai di sorridere nella Vita. Mamma, tu sei stata la più amabile, la più bella creatura che in questo mondo sia mai esistita e per sempre sarà.

“Beati voi quando...”

Veglia delle Palme con il Vescovo e giovani della diocesi a Sotto il Monte

Anniversari PREVITALI GIUSEPPE (12/10/2012 - 12/10/2013) È passato un anno da quando te ne sei andato, ma sei sempre con noi: il tuo amore, la tua disponibilità e i tuoi insegnamenti ci guidano ogni giorno, perché vivere nel cuore di chi resta non è morire. I tuoi cari

BENEDETTI CATERINA in MAZZOLENI (4/12/1999 – 4/12/2013) Il tuo ricordo non si spegne nel tempo, ma vive nel cuore di chi hai lasciato. Con amore, i tuoi cari

ONORANZE FUNEBRI DELL’ISOLA s.r.l. Serviziodiurno, diurno, notturno notturno ee festivo festivo •• Trasporti tutta Servizio Trasporti in tutta inItalia Italia Vestizione salme • Disbrigo pratiche Addobbi funerari • Cremazioni 24030 BREMBATE DI SOPRA (BG) - Via XXV Aprile 32 - Tel. 035.620916 - Fax 035.6220326 Cell. Valter 335 6923809 - Cell. Luca 335 6904124

BENEDETTI ZELODIA (1996 – 2013)

TIRONI GIUSEPPE (2012 – 2013)

TIRONI ALBERTO (1997 – 2013)

All’alba e al tramonto sempre nei nostri pensieri e nei nostri cuori. I vostri cari RINALDO FACHERIS (1986 – 2013)

ROTA CATERINA (2005 – 2013) È racchiuso nel nostro cuore il vostro ricordo che non morirà mai. La figlia Isolina con il marito Luciano, il figlio Claudio con famiglia e il figlio Adelmo con famiglia.



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