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PALATA PEPOLI “IL SANTO IN PIAZZA”

Nel periodo in cui il canonico Giuseppe Cavazzuti era parroco a Palata, come era sua consuetudine quando prendeva possesso di una parrocchia, volle erigere a protezione della comunità la statua di un Santo. Appena finito il giardinetto con il Monumento ai Caduti, all’angolo tra via Provanone e via Calanca (un luogo vicino alla chiesa e sulla piazza), venne eretta una colonna alta circa un paio di metri sopra alla quale venne posto la statua di San Giovanni Nepomuceno, protettore degli annegati.

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Il Lavatoio Pubblico di Palata Quante volte da bimbo ho sentito dire dalla mia mamma: “Quando ero appena sposata andavo a lavare i panni in bonifica”. Qui a Palata, come in tutti i paesi dove passava una via d’acqua, la maggioranza delle donne sfruttava questa opportunità per lavare i panni. Il giorno che dovevano fare il bucato, le donne, accompagnate dal marito o da un figlio, partivano al mattino presto con la carriola carica di tutto l’occorrente. Si recavano al fiume e, mediante le scale apposite, scendevano al livello dell’acqua e lì, in ginocchio, o con i piedi a bagno iniziavano con la tavoletta di legno (appoggiata alle gambe o sul gradone), con la brusca e il sapone a lavare i panni. Sicuramente non venivano puliti come al giorno d’oggi, ma per la povera gente di allora avere una così grande quantità d’acqua a portata di mano per poter insaponare, strofinare, sciacquare e risciacquare i loro panni era più che sufficiente. A noi, che non abbiamo vissuto quella realtà e conosciamo le condizioni delle acque dei fiumi che ci contornano, sembra impossibile che si potessero indossare gli indumenti lavati nelle acque del Cavamento. Penso che gli indumenti facessero anche odore di pulito, mentre al giorno d’oggi non ti fidi nemmeno di mettere i piedi a bagno per paura di essere contaminato.

Si narra che San Giovanni Nepomuceno fosse il confessore della regina d’Ungheria. Il Re, molto geloso della bella consorte, voleva sapere dal confessore i peccati della moglie. Naturalmente Giovanni si rifiutò; dopo molte insistenze da parte del Re e altrettanti rifiuti del Santo, il Re lo fece torturare. Constatato che non riusciva ad ottenere quello che voleva, lo condannò a morte per annegamento. Giovanni fu portato sul ponte della città e venne gettato nel fiume Moldava, diventando così il protettore degli annegati. Si potrebbe dire: che significato ha un santo protettore degli annegati in un prato senza la minima traccia di acqua! Storicamente quel luogo, prima del nuovo piano di bonifica del nostro territorio (1920 circa), era un porticciolo per scaricare il riso prodotto nelle risaie della valle. Quasi sicuramente, la scelta del luogo non aveva nessun nesso con il precedente uso, tuttavia, era stato scelto il luogo più giusto per la statua di S. Giovanni Nepomuceno. La statua per molti anni, con la sua croce in mano, ha protetto e benedetto coloro che passavano di lì. Poi, non so per quale motivo, a metà degli anni Settanta, fu tolta e abbandonata in un angolo del cortile della chiesa.

Nel 2016, in occasione della sistemazione del cortile della chiesa, del selciato e del pozzo, si pose definitivamente la statua del santo su di un piedistallo in una posizione a lui consona: vicino al pozzo e rivolto al cortile dove i ragazzi giocano e vengono fatte le manifestazioni parrocchiali.

Nella foto in alto, il lavatoio pubblico addossato al vecchio ponte del Cavamento quando passava in centro a Palata. Già allora, il vecchio Cavamento era munito del lavatoio, i gradini della scala a lato del ponte servivano per scendere al fiume, i gradoni per posizionarsi a lavare i panni.

Il nuovo lavatoio sul Cavamento attuale

Il bellissimo lavatoio pubblico del nuovo Cavamento, costruito a guisa del vecchio lavatoio. Il livello basso dell’acqua mette in evidenza i gradoni da utilizzare in funzione del livello dell’acqua. Il lavatoio e le due rampe di scale per accedervi sono ancora esistenti. (Il lavatoio fu costruito insieme al Cavamento all’inizio degli anni Venti del ‘900).

Tratto dal libro “Palata nella Storia II” di Daniele Gallerani (finito di stampare Dicembre 2021)

Le crepe nei muri, le crepe nella nostra terra, le crepe nell’anima.

I campanili storti, non potranno suonare per i nostri morti.

Le chiese aperte, squartate, non canteranno la domenica. Le case di melma inondate.

Solide fondamenta del nostro consumismo spezzate.

I muri delle nostre certezze crollati.

Il futuro slavato, da questa pioggia piangente a molti non resta più niente. Ma siamo come la gramigna negli orti, che strappi, ma che ostinata, sempre ricresce.

Chiuderò le crepe, sanerò le ferite, costruirò nuove fondamenta, ricostruirò case, chiese, palazzi, riaccenderò la speranza, colorerò il futuro.

Perché amo la vita, Voglio la vita, e per questo mi attacco alla vita, più dell’edera al muro, della cozza allo scoglio, dell’attack alle dita, perché amo questa vita

Andrea Passerini

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