Architetture e paesaggi attraverso gli spazi
di
apprendimento:
cambiare
le
idee
Beate Weyland, Università di Bressanone
In uscita su Scuola e Didattica, La Scuola 2016.
Comprendere la relazione che intercorre tra spazi e didattiche, soprattutto quando si parla di scuole, è una questione che oggi interessa sempre più persone: dai politici agli architetti, dagli insegnanti ai dirigenti scolastici, dai pedagogisti ai colleghi degli altri campi delle scienze umane. Di seguito una serie di riflessioni per comprendere quanto l’architettura scolastica sia anche un fatto profondamente pedagogico. Intraprendere un dialogo sinergico tra il mondo della progettazione e quello della didattica è oggi la sfida più importante per fare della scuola il nuovo centro della cultura.
Segnali istituzionali A seguito dell’impulso emesso dal presente Governo, ragionare sull’innovazione della scuola e dei suoi ambienti sta diventando una questione che si lega a tematiche nuove. La bellezza e non solo l’agibilità delle strutture è il tema di “AGIbiLE E BELLA - architetture di qualità per la qualità delle scuole”, concorso/mostra collaterale alla XIV Biennale di Architettura del 2014 promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. La progettazione di cinque nuove scuole medie è il tema del concorso internazionale aperto di progettazione promosso dal Comune di Bologna a febbraio di quest’anno. L’iniziativa “Torino fa scuola” promossa da Fondazione Giovanni Agnelli e Compagnia di San Paolo in collaborazione con il Comune, ha la finalità di creare due “scuole del futuro", mentre la Regione Sardegna ha attivato un concorso per 160 nel quadro del programma Iscol@ volto alla “costruzione di nuovi edifici scolastici di alta qualità architettonica” da accompagnare a un progetto pedagogico ben definito.
A queste si aggiunge il recente decreto firmato dal Ministro Giannini che prevede lo stanziamento di fondi da destinare alla costruzione in tutte le regioni d’Italia di 30 scuole “altamente innovative” dal punto di vista architettonico, impiantistico e tecnologico (Cfr. “Ottomila scuole fuori uso: dopo 20 anni l’anagrafe degli edifici scolastici”, Corriere della Sera, 8 agosto 2015) e non da ultimo il bando del MIUR “Scuole accoglienti” prevede finanziamenti per la riqualificazione delle scuole in termini di arredi o di interventi di edilizia leggera, con lo scopo di renderle più aperte al territorio e maggiormente in grado di accogliere la comunità dei cittadini e dei ragazzi. Tutte queste iniziative stimolano alla comprensione di come il pensiero pedagogico-didattico può prendere parte al dibattito e può essere il motore trainante per definire uno spazio architettonico. Per meglio dire, la domanda che si pone è come la didattica e la pedagogia possono dare buone indicazioni agli architetti nella progettazione degli interventi sugli edifici scolastici.
Un problema di comunicazione Pedagogia e architettura parlano lingue diverse, hanno (o sembrano avere) oggetti e attenzione diverse, usano metodi di indagine e di lavoro differenti. E questo rende molto complicato il dialogo tra i due mondi. Costruire o ristrutturare una scuola è un percorso che porta le persone coinvolte ai confini dei loro ambiti di competenza, per incontrarsi nella terra dell’interdisciplinarità, tra le scienze dell’educazione (in senso ampio) e quelle della progettazione (architettura, design). Come scrive Cesare Scurati:” La scuola si profila come un insieme e un complesso unitariamente intessuto ed intrecciato di elementi, apporti e presenze. Fino al punto in cui si ha a che fare con l’evento chiamato educazione, non è possibile estromettere un’istanza di unitarietà a tutti gli elementi che compongono una scuola(…). L’insieme degli influssi, delle azioni, degli interventi e delle operazioni in cui la scuola esplica la sua presenza formativa tende armonicamente a comporsi in una sintesi significativa per l’alunno” (Scurati, 1997, 184). È l’insieme di tutte le sue cose che restituisce l’identità di una scuola: dalle architetture che l’avvolgono, agli oggetti che l’arredano, alle persone che la frequentano, agli insegnanti che la animano, ai dirigenti che la dirigono, ai genitori che la sostengono e così via. Oltre a essere un punto di convergenza di molti mondi, dunque, si contraddistingue anche per le sue caratteristiche
prettamente fisiche, materiali, oggettuali, che ne descrivono il carattere in modo molto chiaro. Cosa vuol dire formazione? E flessibilità? Non parliamo poi della bellezza o del concetto di spazio. Sono tutti termini che ci appartengono e che usiamo in libertà come il concetto di cultura, ma sul quale non ci siamo mai soffermati a lungo per connotarne i significati.. Parole come forma, spazio, bellezza, flessibilità e innovazione sono le prime che possono tracciare il filo rosso di un vocabolario in comune per progettare insieme la scuola. Proviamo a vederle insieme.
Forma e formazione Si dice sia una proprietà profondamente umana quella di “dare forma alle cose”. Per l’universo pedagogico è più facile pensare che sia quella di “dare la parola alle cose”, lasciando trasparire già come ci siano due modi per pensare alla costruzione del mondo: uno più concreto e uno più astratto. Ma in sintesi parliamo pressoché della stessa cosa, ovvero di come il pensiero umano agisce sulle cose. La sintonia tra pedagogia e architettura, durante il processo che conduce alla realizzazione di un edificio scolastico, si ritrova anche riflettendo con attenzione sulla parola formazione. Forma e formazione sono due parole chiave nel dialogo tra pedagogia e architettura, che ci offrono l’elemento della concretezza e della consistenza da una parte, la dimensione generativa ed euristica, etica ed estetica dall’altra. Quale forma vogliamo dare alla nostra scuola? Che forma devono avere i nostri spazi? Nella scuola si sta pensando a come trasformare lo spazio chiuso della classe in un ambiente più ampio e interconnesso con gli spazi attigui: l’aula si dota di trasparenze visive verso il corridoio, che diventa un nuovo spazio da abitare, un paesaggio di apprendimento. Tra le aule si creano piccole aule gruppo, sempre collegate tra loro tramite porte scorrevoli o vetrate. Le classi si ordinano intorno a un atrio centrale, che diventa il grande paesaggio di apprendimento. Un esemplio in tal senso si può trovare sul sito dell’istituto comprensivo di Monguelfo, in Alto adige, che sviluppa anche con interventi leggeri soluzioni di interconnessione positiva tra lo spazio dell’aula e gli spazi esterni. Nelle esperienze più ardite, come per esempio presso la scuola primaria di primo grado Rinnovata Pizzigoni di Milano, il pensiero pedagogico cerca le sue coerenze con le forme geometriche e si dota di una grande entrata ottagonale, che sta a
simboleggiare la trasformazione, e a più riprese usa la simbologia delle geometrie per descrivere fatti educativi (il cerchio per le attività a grande gruppo, il triangolo per il piccolo gruppo, il quadrato per le attività manuali, ecc.).
Spazio Alle prime parole di forma e formazione segue quella di spazio: spazio interno ed esterno, spazio fisico e mentale, spazio emotivo, spazio culturale. La parola spazio ha un coefficiente molto alto di ambiguità. È indubbio tuttavia che essa descrive una dimensione esistenziale dell’esperienza umana. In campo pedagogico non siamo abituati a pensare alla dimensione fisica, concreta dello spazio. Ci riferiamo ad esso in termini metaforici e con “ambiente di apprendimento o “spazio educante”, per esempio, definiamo una certa modalità di strutturare e sviluppare la relazione educativa e formativa, con rare attinenze ai luoghi fisici in cui essa si dispiega. Nel saggio del 1957 “Poetica dello spazio” Gaston Bachelard descrivendo il suo amore per gli ambienti scriveva: “Bisogna amare lo spazio per descriverlo tanto minuziosamente come se vi fossero molecole di mondo”. Questa attenzione, così vicina al mondo degli architetti, abituati a rapportarsi concretamente al loro oggetto di studio e lavoro per eccellenza, dovrebbe sollecitare anche noi insegnanti, formatori, educatori nell’esplorazione del nostro ambiente di lavoro, del luogo in cui avviene la formazione, e nella scoperta di come esso sia un tutt’uno con l’uomo. Ha una essenza dinamica e tattile, corporea, con qualità che imprimono il nostro vissuto e la nostra memoria. Poche scuole dialogano con lo spazio e con la sua corporeità. Non è un caso che quelle che lo fanno, o lo hanno fatto, sono le scuole di metodo (ad esempio le montessoriane o le steineriane, per indicarne solo alcune), che avendo un chiaro profilo pedagogico-didattico cercano le loro coerenze con l’ambiente. Maestra nell’esplorazione e nel dialogo di ricerca con questa dimensione essenziale dell’esperienza umana è la scuola di Loris Malaguzzi, che seguono l'approccio, ormai diffuso in tutto il mondo, di Reggio Children. Esse a partire dallo slogan che indica lo spazio come terzo educatore, ne indagano le qualità e le influenze, non solo sull’apprendimento, ma sull’esperienza tutta della crescita e dello stare nel mondo.
Alain de Botton in “Architettura e felicità”, un libro accessibile anche ai non addetti, descrive le caratteristiche di un buon progetto di architettura: semplicità, coerenza, ordine, eleganza, ricercatezza. Anche qui l’affinità con il progetto pedagogico didattico è chiarissima. Perché non si potrebbe dire che queste non siano le stesse caratteristiche che lo dovrebbero qualificare: semplice, coerente, ordinato, equilibrato, elegante e ricercato. La scuola dell’infanzia e primaria di primo grado presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi a Reggio Emilia, sviluppa diversi percorsi per abitare lo spazio didattico. Non solo sperimenta per la primaria di primo grado la possibilità di lavorare in ambienti originariamente destinati alla scuola dell’infanzia (quindi con gradoni, piccoli atelier dell’arte, soppalchi e interconnessioni visive dall’alto verso il basso, dall’esterno della classe all’interno), ma sviluppa le attività espressive nel grande atelier, posto al centro della scuola e nella grande piazza, un luogo ibrido, dove ha luogo anche il pranzo, su tavoli che si usano anche per molte altre attività. Flessibilitá Una parola molto discussa tra architetti e pedagogisti è quella di flessibilità. Starebbe a indicare la possibilità di trasformare qualcosa, la sua versatilità, in realtà per molti è anche un indicatore di resistenza, ovvero di capacità di resistere al passare del tempo. In ambito scolastico troppo spesso si adopera la flessibilità come un termine per avere la possibilità di “decidere dopo”. La possibilità di trasformare l’ambiente all’occorrenza sembra dare grande libertà agli insegnanti, ma purtroppo non ha abbastanza forza pedagogica. Dovrebbe essere giustificata meglio. Oggi si descrivono come flessibili gli ambienti con trasparenze visive, mobilio su ruote, multifunzionalità. In realtà la flessibilità è soprattutto un atteggiamento mentale, che ci riporta al nostro intimo connubio con la natura: “il giunco si piega ma non si spezza”, si diceva per indicare la forza interna di chi affrontava con coraggio le avversità. Gli alberi resistono al vento e alle intemperie, mantenendo il loro carattere pur piegandosi al movimento dell’aria. La Montessori è la prima a richiedere un mobilio “flessibile”, ma la sua richiesta aveva una profonda giustificazione pedagogica: l’autonomia del bambino. Di qui un arredo leggero perché l’allievo potesse disporlo come meglio gli serviva per svolgere le attività.
Un ottimo esempio di flessibilità si può trovare presso la scuola primaria di primo grado di Ora, presso Bolzano, una scuola ottocentesca appena ristrutturata che ha scelto di posizionare il guardaroba all’ingresso per poter utilizzare tutte le superfici e gli ambienti della scuola per svolgere le proprie attività. Il pavimento in legno, i grandi finestroni con davanzali interni, i corridoi collegati alle aule con trasparenze visive, le aule gruppo vetrate, hanno permesso agli insegnanti di ripensare completamente il modo di fare scuola: non solo in classe, ma dappertutto, nell’ottica della didattica aperta e delle attività su progetto e interdisciplinari. Così i vecchi grandi corridoi si sono colorati di materiali e libri, di mobilio flessibile per amplificare le attività più diversificate. Bellezza La bellezza è un termine che secondo i canoni classici corrisponde alla perfezione, all’armonia, alla simmetria delle cose. Allo stesso tempo c’è il proverbio che dice: “non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace”, richiamando l’attenzione sulla soggettività in gioco nella determinazione della bellezza. Gli studi psicologici di Stephan Kaplan e Rachel Kaplan del 1989 ci dicono invece che la bellezza è un elemento molto meno soggettivo di quanto non si pensi. Per esempio viene attribuito un alto valore estetico a paesaggi naturalistici incontaminati. Meno è presente la traccia dell’uomo in un paesaggio, più viene apprezzato. Addirittura gli elementi per valutare l’estetica di un paesaggio come la coerenza (e unità delle sue parti), la leggibilità, la complessità (di contro alla prevedibilità) ci indicano come l’oggettività della bellezza sia qualcosa di reale, tanto da necessitare sempre di più una sua inclusione nella progettazione delle scuole. Paesaggi con sorprese e mutamenti, paesaggi collinari piuttosto che pianeggianti, paesaggi vari e irregolari, vengono valutati come più belli di altri. L’ampia prospettiva visiva sull’ambiente risulta molto apprezzata, di contro a paesaggi pianeggianti e poco variegati e a prospettive di corto raggio. Una buona scuola, allora, è un luogo in cui si sta bene e al quale la comunità sociale riconosce un valore. Fino poco tempo fa il valore di una buona scuola era attribuito alla qualità della formazione che offriva. Oggi questo dato non basta più. Le sperimentazioni in atto sul territorio italiano promosse dal forum scuole aperte del MIUR nel giugno 2014 (http://www.forumscuoleaperte.it/) ci indicano che la scuola non è più solo un luogo per apprendere, ma un luogo per vivere. Sta cambiando il suo
assetto proprio in virtù del nuovo bisogno di individuare centri urbani in cui fare cultura, una cultura da vivere e da sperimentare, una cultura che include, ovvero che è rivolta a tutte le età della vita, una cultura che si costruisce tra il formale e l’informale, le attività istruttive e laboratoriali, gli atelier d’arte, di tecnologia e dei lavori manuali. Ormai sono diverse le scuole che stanno puntando sul concetto di bellezza e di cultura aperta per valorizzare da una parte i siti storici presso i quali sono allocate, dall’altra per renderli nuovamente vivi e attraenti. Il comune di Neoneli, un piccolo centro abitato nel cuore della Sardegna, per accedere ai finanziamenti disposti dalla Regione per l’edilizia scolastica, ha appena ripensato la sua scuola non solo aggiornando l’organizzazione degli spazi interni in modo flessibile e interconnesso, ma concependosi come “scuola diffusa”, che svolge attività nei diversi siti culturali del paese (biblioteca, anfiteatro all’aperto, campetto sportivo) e che destina un 30% dell’attività curricolari alle arti, da svolgersi in una vecchia casa padronale, Casa Cherchi messa a disposizione dal comune per ampliare lo spazio didattico/culturale. Questo sarà il luogo dove realizzare “il curricolo del fare”, ovvero dove svolgere al mattino le attività teatrali, di pittura e scultura, ma dove si realizzano anche i laboratori del legno e di cucito, o di cucina. Sarà il luogo dove riscoprire i mestieri e dove proseguire le attività in orario pomeridiano, incontrando anche ragazzi più grandi o bambini più piccoli. Un centro del fare che rivitalizza il modo di fare scuola e lo apre a un modo di fare cultura tra le generazioni. Innovazione o trasformazione? L’innovazione sembra essere la parola di questo tempo e di questo momento: didattiche innovative, architettura innovativa, il nuovo che incalza. L'innovazione si trova quando è in atto un processo di cambiamento migliorativo. Si lega spesso al concetto di progresso, ovvero all’evoluzione di un prodotto o di un processo. Considerando le definizioni che si danno a questa parola nei diversi campi disciplinari, dall’economia alla sociologia, dalla psicologia alla pedagogia, dall’architettura all’arte, essa si riconosce in quella spinta connaturata all’uomo, che tende sempre al miglioramento di sé e delle condizioni sociali, economiche o culturali in cui vive. Tra i sinonimi troviamo le parole rinnovamento e riforma, modernizzazione e mutamento, sempre per definire una trasformazione dell’esistente con elementi nuovi. Nella ricerca di un vocabolario in comune tra pedagogia e architettura alla parola innovazione ci piace affiancare quella di trasformazione.
Trasformare la scuola, e per questo innovarla, significa studiare l’ambiente scolastico, la sua forma e consistenza materiale per andare incontro alle nuove richieste che provengono dall’ambito pedagogico e didattico. La novità consiste nel processo di individuazione e personalizzazione della scuola. Ciascuna con la propria originalità, il proprio stile pedagogicodidattico, determinato dal contesto, dalle necessità, dalle risorse e dall’utenza specifica. È qui che il connubio pedagogia e architettura trova la sua espressione più compiuta: la scuola che acquista identità specifica necessita anche di un abito tagliato su misura per lei, di un vestito fatto a bottega. L’architetto quindi, allo stesso modo, non sceglie soluzioni standard da applicare a un modello di scuola preconfezionato, bensì proprio sulla base del particolare profilo della specifica scuola, raccogliendo tutti gli elementi necessari, studia allo stesso modo soluzioni originali, pressoché uniche per quel particolare caso di scuola. Un caso eclatante di innovazione insieme didattica ed architettonica è rappresentato attualmente in Alto Adige dalle scuole interrate. Non avendo a disposizione spazio all’esterno e volendo rimanere allocata presso la sede originaria (un vecchio convento di Cappuccini), la scuola per le professioni sociali Hannah Arent di Bolzano, viene costruita tre piani sotto terra, con un grande lucernario al centro che offre a tutti gli spazi scolastici una qualità della luce molto maggiore di tante scuole con piccole finestre e molto spazi bui. L’architetto e il dirigente hanno lavorato in team per unire alle soluzioni tecniche un pensiero pedagogico innovativo. Le classi sono tutte disposte intorno al lucernario e sono tutte vetrate. I ragazzi e gli insegnanti si percepiscono come una comunità operosa al lavoro e sono in continuo contatto visivo tra loro.
Bibliografia (per Gloria, da mettere in box) Bachelard G., La poetica dello spazio, 1957, rist. Dedalo, Bari 2006 De Botton A., Architettura e felicità, Guanda, Parma 2006 Moneo R., La solitudine degli edifici e altri scritti, Umberto Allemandi & C., Torino 2004 Scurati C., Pedagogia della scuola, La Scuola, Brescia 1997 Weyland B., Fare Scuola, Un corpo da reinventare, Guerini Scientifica, Milano 2014
Weyland B, Attia S., Progettare scuole tra pedagogia e architettura, Guerini Scientifica, Milano 2015
Sitografia sulle esperienze descritte (per Gloria, da metter in box) Istituto comprensivo di Monguelfo (BZ) -‐ http://www.ssp-‐welsberg.it Rinnovata Pizzigoni, Milano -‐ http://www.scuolarinnovata.it Scuola primaria di primo grado di Ora – immagini al sito http://www.modusarchitects.com Scuola per le professioni sociali Hannah Arent -‐ http://www.sozialberufe.berufsschule.it Altre informazioni al sito: www.pedarch.unibz.it o sulla pagina pubblica https://www.facebook.com/spazioapprendimento/