n.31
05/2014
scrocchia l’arte e la poesia
PASTICHE versicontroversi
mensile gratuito
ODD arts - Jesus
Pastiche C’è qualcosa nello ‘sguardo’ degli artisti che pubblichiamo su Pastiche, qualcosa di vivo, di solenne, qualcosa d’ignoto, di sorpredente; ed è questo qualcosa, che Mi ller chiamava occhio cosmogologico [ “ occhio che dev’essere presente per rodere i visceri degl’uomini (.......) “ ] che ci dà giorno dopo giorno i l senso di tutto quello che facciamo, che ci spinge a proseguire i l viaggio, che ci dà la forza di conoscerci meglio e conoscere meglio anche i l mondo che ci circonda - per interpretarlo e capirlo e provare a non distruggerlo. Ecco, quello che ci proponiamo di fare sulla pagine di Pastiche è proprio questo: Lottare perché i l mondo sopravviva! Non è e non sarà una missione faci le; ma è la nostra missione, e faremo di tutto per riuscire nell’impresa. Boom!!!
SOLO L’ IDIOTA È ATTREZZATO PER
PASTICHE pensata e redatta da Paolo Battista. Grafica e impaginazione a cura di
Moodif www.facebook.com/pasticherivista http://issuu.com/pasticherivista
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RESPIRARE EMIL CIORAN
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Anatomia dell’irrequietezza ‹‹‹‹
Collaboratori:
Chiara Fornesi, Fara Peluso. Per ricevere a casa Pastiche in abbonamento ( costo 12 euro ) scriveteci a: pasticherivista@gmail.com, indicando nome e recapito. Per inviare il vostro materiale ( poesie, racconti – lunghezza da concordare -, disegni, racconti per immagini, fotografie b/n, stencil e quant’altro ) scrivete a: pasticherivista@gmail.com. Chi collabora con Pastiche lo fa senza ricevere compensi. La proprietà intellettuale resta chiaramente agli autori.
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Pastiche
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La domenica successiva mi chiama James, un sassofonista di Avellino, con la barbetta e gli occhi di ghiacchio. Ha sentito del libro e ha ripensato alla proposta che gli avevo fatto di mettere su un quartetto jazz’n’noise per accompagnare le mie letture. “ Ho parlato con i ragazzi “ mi fa, “ tutt’a posto, possiamo vederci martedi, buttiamo giù una scaletta e vediamo come gira “; “ perfetto “ ribatto ansioso d’iniziare, “ dove ci vediamo? “ “ Facciamo alle otto a via Francesco Tedesco, di fronte al marmista, conosci? il batterista ha un garage da quelle parti dove possiamo fermarci fino a mezzanotte ”; “ ottimo “ ribatto pensando che sono solo un paio di giorni, “ allora a martedì “, e ritorno alle mie letture meno deluso del solito. Faccio partecipe Rita che intanto sta guardando alla tv un documentario sulla risalita dei salmoni: “ sarà una figata “ sorride lei, e rigira la testa verso il televisore tirandosi il pleid a fiori gialli e rossi fino al mento. “ Ti va di bere qualcosa? “ le chiedo tirando fuori dal frigo una boccia di vodka. “ Ok però nel mio mettici un po’ di succo “, farfuglia Rita sempre distesa sul divano a riposare. “ Stanotte ho fatto un sogno stranissimo “ le dico passandole il bicchiere pieno, “ adesso mi è venuto in mente ”; “ sentivo che eri agitato “ dice lei, “ ma poi ti sei riaddormentato subito “;
“ cazzo se ci penso vedo tutto buio “; “ in che senso? “ “ ma si, era notte anche nel sogno, e il paese doveva essere questo; solo che era disabitato, e allora rientro a casa di corsa, apro la porta, ti chiamo ma tu non rispondi; apro tutte le porte ma tu non ci sei ”; “ ohhhh povero piccolo “; “ è stato tremendo cazzo, ma non finisce qui: alla fine non so come mi addormento e inizio a sognare la stessa cosa, io da solo che ti cerco prima nel paese e poi in casa ma niente, tu non ci sei, non c’è nessuno, e sono spaventato, immobilizzato, non riesco a muovermi, più ci provo più resto bloccato…è stato un delirio cazzo “ arricciando le labbra in una smorfia schifata. Poi Rita mi tira a se, mi bacia, beve dal mio bicchiere e mi ribacia, beve dal suo bicchiere e lo poggia sul tavolino di vetro e inizia a leccarmi sulla pancia infilando la testa sotto la maglietta grigiotopo. Scopiamo come selvaggi, nudi, insaziabili, sballati, sul divano; le vengo dentro ululando come un lupo, lei fa lo stesso aggrappandosi alla mia schiena con le unghie rifatte, gli odori si confondono, le parole sono inutili. Restiamo sospesi sul divano ancora qualche ora mentre schizzi di luce giallo maionese infestano la casa.
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Pastiche
Hard
Vedo fascisti rock’n’roll. Una birra vuota, la mia faccia che tende a sorridere davanti allo specchio. Lui mi dice di non guardare il sole, mentre sorrido senza motivo. Non so perché sorrido, ma non sto bene. La chitarra suona ancora mentre mi preoccupo della gente che mi guarda. Penso ancora a te, e sì, sono ancora fuori. E vedo Parigi, i sobborghi, gente poco valida e che vorrei uccidere. Perché ora vogliono toccare lei. E sì, sono ancora fuori. Però vorrei ucciderli. Continuerei a cercarla tutta la notte. Il vento imita il rumore dell’acqua. La mia pancia è addormentata, ho un giubbino nero, e sono fuori. Sembra che la gente mi spii ancora. Fa dei giri strani sulla strada. Paranoia. Ma gli eroi che torneranno cavalcando poi mi tranquillizzano. Pace. Fanculo a chi ha inventato l’amore. Mi chiamano, mi dicono che lei sta male. E io sono troppo fuori per raggiungerla. Corro al contrario, urlo senza emettere alcun suono. E sono ancora fuori.
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Pastiche Rayleigh, gesticolava lento, annusando tra le pieghe del tempo, fermo al giorno delle murene, collaterale alla gestione filiforme dei muscoli del sistema simpatico. Rayleigh era cosciente che un cecchino di una eta' approssimativa, ma non piu' vecchio di quindici anni, era costantemente appostato, faccia a terra, occhio sul collimatore, ad una delle finestre del lato nord del grattacielo di gruviera, forato in piu' punti dai colpi di cannone e di mortaio inferti dalla milizia, mostro di cemento ed infissi in doppio vetro, che perseguitava la citta' respirando l'affanno dei portantini dalle teste lussate. Le strade erano deserte oltre la collina immemore dei fabbricati in ebollizione, sotto i colpi di malversazione cui erano periodicamente sottoposti i cittadini di Mostar. Dal numero e dal tipo di impronte lasciate sui muri dai colpi di mortaio della milizia, Rayleigh sarebbe riuscito senza difficoltà a calcolare più o meno mentalmente la data dell'ultimo attacco, fuorviante assalto frontale della mente alle inutili, scivolose placche di salsedine lasciate a morire sulle colline bosniache, mentre macchine da lavoro facevano strada a pensieri senza importanza e collaterali alla velocità del suono. La libertà era elargita con parsimonia oltre ogni rassegnazione e raramente il culto dell'ovvio era lasciato a macerare dentro le proprie inquietudini. Senza ombra di dubbio un buon AK-47 avrebbe fatto spazio a diverse convinzioni e sarebbe stato un ottimo passaporto per un letto ed un piatto caldo, barattato con una cattiva coscienza ed un portafoglio pieno di morte, ma Rayleigh preferiva il suo coltellino milleusi ed una buona dose di povertà e buonsenso, che in breve avrebbe inasprito sé stesso e reso più rude ma avrebbe liberato almeno la sua mente da ideologie vetero-nazionaliste, utili quanto una iniezione di eroina a stomaco vuoto.
Resistere, resistere.
Post-logo Durante la ritirata, le giubbe aderivano profondamente alle nostre convinzioni scaltre di immaginifici pensatori scialbi; i tratti subverticali in cui ci costringevano a passare erano sottili e inutili mentre l'epoca della murena lasciava spazio a futili flussi di coscienza, resi fragili e madidi di sudore freddo e solido, materia evanescente delle nostre convinzioni ieratiche. Avremmo abbandonato le armi di lì a poco, inutili scettri di un potere almeno altrettanto inutile. Immanente la struttura bilingue dei nostri condizionamenti mentali, imponeva disciplina mista a rassegnazione politica, coltiva-
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ta dalla remota possibilità di essere qualcosa d'altro di là dalle inquietudini umorali mattutine, che risvegliavano la nostra recondita aggressività intumescente, livida di piani particolareggiati di interesse paesaggistico; Rayleigh era comparso dietro una staccionata di riserva, coltivata calpestando fascine di inquietudine, mimetizzato fra i vietminh che facevano la spola fra Laos e Cambogia, lungo le vie dell'oppio, era la nostra ombra irrequieta, irretito dai panetti di novocaina nascosta tra le tavole da gioco collimate tra la materia oscura nascosta fra le pieghe
Pastiche immemori della luna livida, opale timido dilagante come le nostre non-azioni, oziose inquietudini affastellate nell'ombra e poi dimenticate, sotto la pioggia battente riparata dai suoni senza significato che erano riservati ad orecchie improprie: in territorio nemico le parole non avevano profondità mentre il silenzio bucava i nostri corpi dilaniati dal nulla posticipato oltre ogni dubbio, prigionieri del fango e della rassegnazione; rifiutavamo di cibarci di parole e suoni allontanandoci dall'universo sensoriale imposto dalla cattività, preferendo il diluvio di psicosi che annegavano dentro le nostre coiscienze.
Rayleigh governò con parsimonia le proprie passioni disordinate, a margine dello sbarco in Normandia, smaltendo parole e suoni oltre i margini estremi della rassegnazione immaginifica, retratta retrattile, coltivata dietro immagini di immagini collaterali alla velocità del suono. In breve le coltivazioni di oppio della Cambogia finirono per reggere a malapena la struttura ossea di alcuni dei suoi pensieri in lotta, affastellati contro un muro scalcinato e riarso da anni di incuria e guerra sensoriale, passata a dormire dentro i fienili e a fare la guardia a inutili avamposti di frontiera scomparsa; molto oltre i sentieri della cultura magiara, Frank Zappa era da solo in grado di influenzare di buon grado le disaffezioni di intere legioni di soldati romani, di cui Rayleigh, inconsapevole, comandò l'attacco, oltre il vallone di Adriano. Forse a causa di troppa immaginazione intere classi di allievi ufficiali furono mandate al macero come carta da ardere dentro livide sovrastrutture create dall'infinita dissuasione della lotta armata controrivoluzionaria. Mille anni dopo Rayleigh era tra le fila immemori della rivoluzione di ottobre, mentre Lenin ancora retrocedeva nei pensieri maturati dentro una tazza di the, forse troppo caldo per costituire un modello di dissuasione, necessario per costruire l'Armata Rossa; senza capire l'utilità delle mescolanze irrigue di sangue e feci disseminate in milioni di ettari di terra in tutte le parti del mondo, ciascuno poteva affastellare, sin dall'epoca della murena, congetture poco idilliache circa la reale natura dell'uomo, affranto dalla solitudine del mondo capovolto, immerso in una nuvola di assenza di gravità sovrapposta alla dialisi delle emozioni indotte dalla massa critica ed estenuante, massificata dall'assenza di senso di alcune delle conversazioni fra governi materici, perseguitati da capi di stato intenti a mantenere lo status quo. Mentre i cannoni della contraerea rispondevano all'insofferenza verso il buon senso, alcune delle menti migliori del secolo scendevano a capofitto e
Pastiche dentro trincee scavate nella struttura mentale dei generali di corpo d'armata, entrando in una nuova dimensione, visibilmente più ampia e più tollerante nei confronti della letteratura. La perdita di conoscenza adeguata alla malinconia ossea deturpata dal libero istinto di distruzione maturato dopo secoli di inadeguatezza, indussero la Concordia a dissuadersi dall'essere parola vana. Pro-logo Micotiche le nostre malinconie vennero confuse con le crisi di astinenza multiple indotte dalla carenza endemica di LSD nell'ambiente circostante; di fatto e da tempo, ci nutrivamo di visioni allucinatorie che per sempre avrebbero preso il posto della realtà, nella nostra nuova dimensione. La trascendenza delle azioni valicava il muro di inquietudine e profonda costernazione in cui nostro malgrado, ci trovavamo. Nelson Mandela, la lotta armata, tutto il vivere quotidiano ci sembravano giustificare il mantra delle dinamiche delle particelle elementari, resistere, resistere allora, sopra e dentro le barricate di guerriglia e molotov inesplose, dietro il tumulto della prima linea, oltre le grida soffocate della celere, oltre il sintomo di inadeguatezza indotto dai lacrimogeni, oltre la maschera di fango e sangue ingiustificata, a dispetto della nostra età. Sembravamo immortali, forse
invece eravamo solo immateriali, nascosti tra le nuvole di fumo e di bombe (carta) che periodicamente invadevano gli stomaci, dopo le cariche della polizia, dopo un turno di veglia e di combattimento con le nostre visioni ancestrali. Perdere retribuire lasciare che reietti di tutto rispetto cogliessero la rupe asfittica penosa idilliaca delle case di fango, governate dalla tesi istintiva che il valore della regalità tagliasse secondo regole di parallasse la dorsale irrequieta, irretita delle tavole levantine defluite oltre i canali irrigui della mente, inutile iguana piantata sottilmente nel pavé dolce come la neve delle civiltà assecondate come Assiri, nella sostituzione commutativa delle principali operazioni aritmetiche.
Resistere, resistere: è scritto nella teoria dei frattali e nella visione di un quadro, di uno in particolare: "Cascata". Escher sarebbe contento.
Attilio Scatamacchia
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CARCASSE /\/ Leo Ragno g
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Il mio nome è Natasha e sono stata rapita all’età di sei anni da un uomo di nome Eckart. Per dieci anni sono rimasta costretta in casa immaginando che quella fosse la vita vera. Non so nulla di quello che fanno gli altri ragazzi, di come sia la loro vita. Quando sono andati nel luogo della mia prigionia hanno trovato il corpo di Eckart. Scoprendo la mia assenza si è ucciso. Era disteso tra le mie cose. Migliaia di oggetti, minuscoli a volte. Ho collezionato molto ed Eckart è sempre stato molto attento a questa mia piccola ingombrante mania. Era stato lui a portare in casa ogni singolo oggetto. E poi le foto, le molte foto. Eckart teneva maniacalmente ordinati interi album di foto solo di me, quasi una per ogni settimana passata insieme negli ultimi dieci anni. Non saprei dire ora perché io abbia conservato così gelosamente tutte quelle cose, ma forse una vita priva di tutto ciò che si compone esteriormente, come i sogni di una donna e le sue ambizioni, finisce con il corollarsi di cose e oggetti. Un uomo deve pur esercitare su qualcosa la sua naturale ambizione a possedere. Forse Eckart era pazzo davvero ma in qualche modo, nonostante tutto, mi ha fatto sentire tutelata. L’amore può essere una patologia come un abbraccio tanto forte da soffocare, ma quella casa mi ha permesso di restare una bambina. Ci sono stati momenti felici e altri di avvilente tristezza. Sono sicura che lui vivesse male visceralmente ogni ombra sul mio viso, era come se vacillasse in quel momento ogni sicurezza sul suo metodo, ma la sua follia lo persuadeva che qualunque sacrificio fosse giustificato dalla disperazione che avrebbe provato se anch’io, come sua madre, lo avessi abbandonato. Qui dicono che mi chiamo Emma. Francamente trovo che sia un nome che poco mi si addice. Quando mi hanno detto della sua morte ho pianto molto. Del resto Eckart è stato tutto il mio mondo per dieci anni. Sono stata la sua bambina, poi la sua compagna. Non riuscendo a scegliersi una moglie, non riuscendo a trovarla, se ne era coltivato una. Pensava che tutti gli uomini lo avrebbero deluso e le donne abbandonato. Ricordo che nei primi anni venivo legata al frigorifero con una corda abbastanza lunga da arrivare al bagno, ma solo quando lui non c’era. Questo all’inizio, poi non ce ne fu più bisogno. Mi raccontava molte storie spaventose. Il tema comune era il mondo fuori. Prima c’erano stati i lupi, poi i morti. Infine una grande guerra fredda. Eckart diceva che non potevi sapere se l’uomo del tram, o il tuo collega d’ufficio, fossero delle spie. E poi spie di chi? Si chiedeva, russe o americane? Motivo per cui si limitava a rispondere il meno che poteva e ad evitare le conversazioni. La maniera più crudele di combattere una guerra, diceva anche, è attraverso le minacce e le parole, perché restavano sospese nell’aria. Suo padre gli aveva insegnato che il posto più sicuro in cui nascondersi in caso di bombardamento aereo era il buco di una bomba perché è difficile che proprio lì ne cada una seconda, ma dalle minacce, dalle spie, come avresti potuto difenderti? i
Pastiche Tutto quello che so l’ho appreso da Eckart così come tutto quello che sapeva lui glielo aveva insegnato suo padre. Un’altra cosa che diceva era che nel resto d’Europa i nipoti di chi l’aveva vissuta pensavano alla guerra come a un vecchio film di cui solo confusamente ricordi la trama, ma per i berlinesi era diverso. All'orizzonte del nostro immaginario c'è sempre un muro. Per noi, diceva lui, la guerra è come i denti del giudizio: un giorno, generazioni più evolute non li avranno più, ma per noi quelle inutili zanne continuavano ad essere un dolore. Naturalmente quando diceva “noi”, per me era difficile seguirlo, specie quando il noi esondava dal noi due per estendersi a Berlino o alla Germania per intera. Io non sono europea e non sono berlinese, per chi è rimasto sempre chiuso in un posto solo, quello è la sua patria e quell’unico uomo, tutta la sua gente. Nemmeno conosco l’indirizzo di tutto il mio mondo e non ci saprei ritornare. Forse dovrei provare rancore per Eckart, per quello che mi ha tolto, ma non ci riesco, continuo a pensare alle cose belle che comunque ci sono state e che sono innamorata di lui. Una dottoressa mi ha spiegato che domani verrà a prendermi la mia vera madre. Io non so chi sia. Sono confusa. Mi hanno mostrato delle sue foto di quando ero piccola, per cercare di riportare alla mente dei ricordi, ma non ha funzionato. Ho fatto dei sogni, ma in nessuno lei c’era. Perché poi io sia scappata nemmeno lo so. La porta era aperta ed è stato un attimo. Ho corso, corso e basta e ho corso tanto. Un poliziotto mi ha fermato, ha fatto delle domande e io non ho saputo rispondere. Avrà pensato che sono pazza e mi ha portato all’ospedale. Adesso Eckart è morto e io mi sento in colpa. Non volevo scappare ma solo vedere il mondo fuori. Capita persino ai cani, quando sono giovani e poco esperti della vita. Domani una donna arriverà per portarmi via. In una casa diversa, dove non c’è Eckart e tutte le mie cose. Non voglio che accada. Non posso permetterlo.
Pier Angelo Consoli
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Pastiche E quanta ne serve Quanta occorre scriverne Quanta leggerne È una quantità la poesia Prima di una qualità È tutto ciò che straborda Tutto l’incontenibile Che si riversa sul mondo in parole È un suono la poesia Prima che un senso È la cantilena di un’anima stanca È il canto di un bimbo dispettoso Che non vuole tacere La poesia è erranza di scopo Che legge se stessa scrivendosi
E scrive in chi la legge Quando dà una chiave, la poesia, È un passepartout Che apre ogni porta E rende ogni porta inutile Non serve la poesia Non serve nessuno Non si sottopone a questioni di valori Non cerca fine È un cristallo iridescente Esploso da un’invasione di luce O devastato da una lama di buio La poesia non è dentro È l’esatto opposto Catarsi e catarro Pustola semmai La poesia è tutto quel che un corpo Non può confinare Allontanandosi dall’anima Nel suo farsi parole di carne Capace di creare Distruggere Godere E sanguinare È sperma la poesia È seme Capace di germinare Solo se incontra la terra madre Che la accolga L’utero racchiuso in un essere altro Da sé, per sé La poesia è sterile masturbazione Consolante quanto basta Nell’accorgersi di essere soli m
Pastiche
avevo due appunti da qualche parte due appunti che non trovo e non ricordo due appunti che mi ero appuntato apposta per ricordarmeli Avevo due appunti smarriti persi in chissà quale quadernaccio due appunti necessari come ogni nota nel diario Ho perso i miei appunti e non so a cosa si riferivano non ricordo perché li avevo presi e cosa avrebbero dovuto ricordarmi Mi ero segnato di evitare qualcosa o qualcosa da imparare qualcosa che mi era piaciuto o qualcosa che mi ha fatto spaventare Avevo due appunti e non vivo più perché ho perso qualcosa ma non so cosa sia E’ una sensazione strana che mi rende irrequieto sono troppo distratto troppo non posso più permettermelo E’ necessario che lo ricordi per la prossima volta prendo due appunti e ricomincio a non vivere
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Daniele Casolino
Pastiche
Ho avuto fortuna, lo so a scrivere questa dozzina di libri e tranquilli, un giorno anche io me ne andrò, non sporcherò più, come diceva lui le vostre pagine con versi semplici e crudi! Diventerò mite e sedentario non attaccherò o risponderò in malo modo nessuno, magari lascerò scritte solo cose dolci e smielate per solleticare le vostre orecchie. Passeranno alla radio quelle musiche che accompagnavano i miei versi, come Riders On The Storm oppure Something In The Way e non ci sarà più la mia voce a leggere in sottofondo come un capobanda che suggerisce la sua strategia. E riempendo anch'io il bicchiere berrò l'ultimo goccio d'assenzio alla faccia dei miei fedeli lettori, ma senza nessun brindisi al miracolo.
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Pastiche
Inezia sensuale d’un
L’indizio era l’inezia, l’inerzia minimale per un’entropia infinitesima. Il residuo era l’invisibile. Lei non era ancora apparsa dall’ipotesi d’una volizione che rasentava l’inerenza. Per analogia l’irruenza di quell’assenza si protrasse nell’era successiva e si spense con l’espansione ultima dell’universo. L’unica certezza è la mancanza, tutto il resto è dubbio. Potrebbe essere lei quella maschera di belletti, il seno restaurato in accademia. Spesso fermavo il mio sguardo sul quadro che avrei voluto fare per coerenza. La mia vita non avrebbe voluto essere diversa da quella che è, gioia senza successi, elaborato semplice d’una mente eccessiva, estensione appena oltre. L’ignoto è la mia scoperta! L’inizio era stato l’indizio quasi privo d’inerzia, l’inezia scabra del sentire tattile, una carezza, per inciso, alla possibilità di sfinirla, di trasformare le sue mancanze in mancamenti, il suo precipitare nella vertigine d’una vibrazione etica, acrobazia sul baratro della nuda verità. Se mi
avesse detto qualcosa altrove avrei potuto non trovarla mai ma ebbe l’accortezza di restare in silenzio. Il suo corpo si esplicò. I suoi occhi erano piccole fiammelle accese dalla voglia. Avrei potuto prendere quel che volevo! Lei era apparsa dall’ipotesi perché era l’idea che io avevo di me al femminile, non poteva materializzarsi dalla mia costola con la vagina di Eva. In sintesi. Lei era me come ritorsione ricorsiva, l’altra appena possibile di un’ipotesi contesa al dio creativo. Scultura apollinea. Qualche giorno dopo, pervaso dalle tentazioni, divenni alchemico, inerente al totem, simbolo di totalità. Il presentimento di potere estirpare la misoginia testosteronica mi condusse, mio malgrado, all’inerenza progesteronica, creai un figlio determinante, un’opera sospesa tra il delirio e dio. Lei era stata decostruita per inerenze programmatiche, serie d’improvvisi ripensamenti, orgia d’intendimenti sull’impossibile. Questo è il momento, se ricordo bene, in cui decisi di riscrivere la storia del pensare umano. Decisi di prendere quel che volevo e lei era soddisfatta. Le concessioni sono, d'altronde, richieste tacite, piccole asserzioni sensuali il cui erotismo è un divenire progressivo. La geometria dei suoi attributi era stata segmentata, labbra piccole e grandi, schiena animale. Il resto corollario motivato dal teorema. Lei veniva per le lezioni di tutto ed io non potevo deluderla con un nulla di fatto. Le spiegai come piegarsi. Lei lo sapeva già. Mi chiesi perché venisse. Era soddisfatta della mia tesi. Lei restava, dunque, l’ipotesi discutibile che rasentava l’inerenza. Per analogia, la mia irruenza si protrasse, anche dopo, per motivare la sua eccitazione. Volle essere presa contro la parete restaurata mentre guardava il quadro che avrei dovuto fare per coerenza. Lei era diversa, forse un’altra, non me ne accorsi. La seduzione è l’arte di dimenticare da dove uscire. Restai dentro. Resistere. L’unica ragione del tempo è la cadenza. Resistere senza tempo. Il ritmo dei pensieri. Nel silenzio il respiro. La luna chiarisce i contorni morbidi dei suoi fianchi. Insistere. Avrei voluto desistere per altre ipotesi oltre lei ma i sogni si avverano solo quando l’inconscio muore. Avrei voluto che lei lo sapesse per insegnarle quel che mi doveva ed invece sono io che devo. Non si può chiedere ad una donna di scegliere. Scarterebbe troppi regali prima di darsi. Sono in cerca di una femmina, fame di me, ferita, decisa a nutrirsi di carne umana. Voglio essere smembrato, parti di me articolate, ancore gli snodi, vincoli di spostamenti. Sono decostruito. Riscrivimi. Aspetto una lettera piena di tracce, orme logiche i nessi, per essere seguito negli smarrimenti. Per amarsi occorre il coraggio di perdersi. Voglio osare. Non fermarmi.
minimale progressivo. ANTONIO LIMONCELLI
Anna Paolini, Negativo – Caduta Libera Helbones Artist