Pastiche n° 13 - novembre 2012

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11/2012

n.13

distruggi l’arte e la poesia

PASTICHE versicontroversi mensile gratuito

Oh No - Alessandro Calizza - collezione privata


Pastiche PASTICHE pensata e redatta da Paolo Battista. Grafica e impaginazione a cura di

Non ammettiamo che si interferisca con il libero sviluppo di un delirio, altrettanto legittimo, altrettanto logico, che qualsiasi altra successione di idee o di azioni umane. La repressione delle reazioni antisociali è, per principio, tanto chimerica quanto inaccettabile.

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Collaboratori:

Chiara Fornesi, Fara Peluso. Per ricevere a casa Pastiche in abbonamento ( costo 10 euro ) scriveteci a: pasticherivista@gmail.com, indicando nome e recapito. Per inviare il vostro materiale ( poesie, racconti – lunghezza da concordare -, disegni, racconti per immagini, fotografie b/n, stencil e quant’altro ) scrivete a: pasticherivista@gmail.com oppure all’indirizzo: Paolo Battista, via F. Laparelli n. 63 int.1 00176 Roma

Chi collabora con Pastiche lo fa senza ricevere compensi. La proprietà intellettuale resta chiaramente agli autori.

(Antonin Artaud

da Lettera ai primari dei manicomi)

SCENDETE A CERCARE PASTICHE O LEI TROVERà VOI

a

Alessandro Calizza Cattina Elettroshock Ksenja Laginia Luca Galvani Sergio Gilles La cavalla Libeth Libet Angelo Zabaglio Simone Ghelli MrFijodor


Pastiche

BOSS

BLU -

Scorie e particelle ossidate – Una colata di liquido melmoso verde, stampo di bronzo lucidato – Suona la campana stonata nel Distretto Casilino, giorni che si ripetono – Sagome disposte sulla strada – Contorni pietrificati – Sega a nastro verticale – Stelle morte – Rimozione – Con assoluta precisione il sole rosso brucia arroventato – Keto e Marta sdraiati sul materasso bucato e smollato – Keto scende per della birra verde, l’unica rimasta – L’acqua costa cara - Strade arroventate e ambulanti pakistani – CousCous ai vermi, specialità del Mercato Nero e birra verde sottobanco – Facce senza denti – “ Hey amico, tu denti buoni, tu vendere denti buoni? “ – “ No, cazzo, cerco birra verde e magari anche tre fialette di Boss Blu “ – Tavoloni lerci pieni di teste ammaccate – Cloni ringhianti che sbudellano gatti randagi – Nessun posto speciale – Niente acqua - Marta in casa che guarda vecchi patetici telefilm anni 90, in attesa tremante – Keto si spinge nel retro di un vecchio Panjabi e subito stappa la sua birra verde – Bambini anormali venduti al miglior offerente – L’ultima volta che Keto era uscito fuori dal Distretto Casilino era sparito per sette lunghi giorni – Luce rossa soffusa – Paraboliche non-autorizzate collegate alle antenne della GrandeTV - Marta aspetta sola – Topi allo spiedo cucinati da donne mascherate – Dieci lattine di birra verde e quattro fialette di Boss Blu – Cardiopatia – Il cuore pulsante delle fogne – Caviglie doloranti – Frammenti elettrici – Qualcosa d’incredibile da iniettare nella giugulare – Il mondo è cambiato – La città distrutta – Vita solo all’interno della Zona Rossa, divisa in tre Distretti: Casilino a Sud, Vaticano a Centro, AntagonistaCi-

nese a Nord. All’esterno disagio angoscia e desolazione della Zona Nera, vuota - La GrandeTV ha assunto il Monopolio del Potere dando vita ad un Esercito di Mercenari con armi sofisticate di ultima generazione - Tutte le paraboliche puntano all’interno delle abitazioni fatiscenti propagando immagini radioattive che rendono catatonici i cervelli delle persone – Controllo - 24 ore su 24 schermi ultrapiatti vomitano immagini di morte e distruzione alternate a pubblicità di prodotti costosi che nessuno può permettersi, tranne i Manager della GrandeTV - Anche per strada un grande dispiegamento di schermi giganti monopolizza l’attenzione dei passanti - Non c’è via di scampo! Keto cammina silenzioso in preda ad allucinazioni blu - Strade affollate sporche caotiche SottoControllo - Microtelecamere angolari spiano i movimenti sospetti del Fronte di Liberazione Orientale, la cui gente è costretta a vivere come scarafaggi nelle vecchie aree abbandonate della Metropolitana – Keto ci va per comprare le sue fialette, ma non oggi – Nella parte settentrionale della Zona Rossa il Distretto AntagonistaCinese ha occupato il suo territorio difendendolo coi denti - Un Esercito di Tecnici dagli occhi a mandorla è pronto a battersi per riconquistare il dominio elettronico che la GrandeTV esercita con inganno e violenza - La città in preda ad un caldo luciferino puzza di zolfo e animali morti e piscio e rifiuti organici - Una recinzione di ferro delimita la Zona Nera, inabitabile, solo cadaveri in putrefazione per chi si avventura fuori dal recinto in cerca di salvezza - Sui giornali svolazzanti la notizia di un accordo tra la GrandeTV e il Distretto Vaticano – Keto legge distrattamente e bestem-

b


Pastiche mia in silenzio trascinandosi in spalla il suo zainetto nero pieno di birra verde e vecchi cavi elettrici – Da uno scantinato buio suoni distorti di drum’n’bass elettronica – Punk vestiti di latex fumano fiori di crisantemo trattati chimicamente – Donne dai capelli fucsia danzano sfrenate - Come un topo dal pelo ossidato Keto si aggira sotto i muri grigiocenere - Sole rosso 24 ore su 24 – Marta trema aspettando la sua dose di Boss Blu – Sogni sconvolgenti – Alle finestre fumetti di Frank Miller per ripararsi dal sole rosso – E’ magra Marta, i capelli neri corti con delle striature rosa elettrico e gli occhi blu come cieli scomparsi – Ha conosciuto il suo Keto durante l’ultima sommossa contro l’Esercito dei Merceneri – Tutto è stato cancellato, anche i ricordi – Nelle Gabbie Blindate dell’Esercito dei Mercenari ti succhiano i ricordi, ti succhiano la vita – Quando Keto apre la porta, incappucciato, sollevato, Marta gli si butta contro – “ Girare per il Distretto Casilino sta diventando sempre più pericoloso “ sbotta Keto – L’aria puzza di cuori bruciati – Lampioni dalla luce verdezolfo – “ Ho bisogno di farmi “ dice Marta – Qualcosa d’incredibile da iniettare nella giugulare – Sogni sospesi – Fine dell’attesa – Cibo in scatola scaduto – Vecchi libri di Cèline – Si posano i giorni come tragici insetti senz’ali – Marta ha smesso di tremare - Vite in pericolo – La luce cattura le persone – Capire come funziona – “ Come ti senti? “ le chiede Keto sapendo già la risposta – Marta lo squadra e gli si stringe al collo senza dire una parola – “ Sei pronta per stanotte? “ fa Keto stringendola tra le sue braccia scolpite ma magre, nervose. “ Dobbiamo arrivare ai Laboratori nascosti del Distretto Vaticano, e non sarà una cosa facile “ – “ Lo so “ piagnucola Marta – Sole rosso si scurisce – Carcasse di metallo – Carcasse di gente comune – Linguaggi incomprensibili - “ E’ li che costruiscono le macchine per succhiarti i ricordi, per succhiarti la vita “, Keto stappa una birra verde tracannandola tutta d’un fiato, poi tira fuori i suoi cavi e riempie le lattine vuote con un cilindro d’esplosivo - Chiede a Marta di sistemare i fili. Marta è un genio dell’elettronica – “ Come facciamo ad arrivare fin lì? “ fa Marta che però non è per niente preoccupata, si fida di Keto e con lui si spingerebbe dall’altra parte del mondo, o di quello che è rimasto – Il mondo sconosciuto – Come una mannaia che si abbatte sulla popolazione – Il mondo crollato – “ Dai sotterranei, c’è un amico del Fronte di Liberazione Orientale che ci aspetta alla vecchia fermata del-

la Metro C “ confessa Keto – Si combatte strada per strada – Contro la GrandeTV – “ Buttano i cadaveri nella Zona Nera “, digrigna Keto controllando il caricatore della sua semiautomatica graffiata – “ Ma stanotte pagheranno, cazzo se pagheranno! “ – Punto dolente – Dallo schermo due Fondamentalisti in gonnella parlano sottovoce di spietata verità e invitano a denunciare i ribelli – Codici morali da rispettare – Dallo schermo la Voce della GrandeTV invita a denunciare i ribelli – Quattro ore al sole rossoscuro di mezzanotte – “ Ma stanotte pagheranno, cazzo se pagheranno “ -.

Paolo Battista

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“Double Trouble” Cattina elettroshock Macchina: Sprocket rocket camera Pellicola : Fuji sensia 100 x-pro (convertita in bw) Tecnica : Doppia esposizione

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Pastiche

il

silenzio di Ksenja Laginja

Scivolare sulla strada, incastrarsi con violenza nella vita, sentirla scorrere nelle vene e affondare le mani con forza nei vicoli stretti fino al mare. Gli occhi rivolti in alto, a seguire i gabbiani scendere in picchiata sulle onde increspate del mare, e poi risalire, e di nuovo affondare nella profondità del cielo. L’aveva sempre desiderato. Sì. Aveva sempre voluto possedere quell’amore, quell’emozione pura che scalda il cuore, sentire soffici desideri accendersi sulle dita, assaporare il dolce profumo - inebriante - dei giorni di festa. Quel profumo desiderato che scende rapido sul viso fino all’essenza delle cose - nella semplicità di un abbraccio - pungente come una boccata d’aria fredda sulle guance. Le piccole luci bagnate sulla strada scivolano senza compromessi, da un angolo all’altro, rincorrendosi velocemente, schizzando nel buio della sera. Capriole di luce, attimi colorati, che brillano nel cielo bagnato di una sera d’inverno, spenta sulla strada senza ritorno. Sì, lo sapeva. Camminava nel mondo fra le bancarelle della stazione, quelle inzuppate di incenso, legno e dolci fragranti. Colori accesi, speziati, brucianti, vite spezzate, illuse, confuse. Una storia dopo l’altra, mille storie ingarbugliate, amori appena nati, conclusi o solamente confusi. Pensava a questo, seduto sulla panchina di fronte alla stazione, affrontando il mondo con il cuore in mano, sospeso in bilico sul cielo grigio della città. Pensava che - in fondo - era così facile perdersi, anche solo per un attimo; un brivido nell’istante o una vita intera.

Pensava a questo, mentre osservava raccogliersi lungo i viali alberati le solitudini mescolate nel mondo. Le vedeva unirsi sotto lo stesso cielo, una solitudine dopo l’altra, una luce dopo l’altra. Il rumore silenzioso delle strade, il vortice di passi, la voce soffocata delle persone; piccoli e grandi pesci boccheggianti nelle strade illuminate a festa. Luci intermittenti, zucchero filato nei giardini, caldarroste brucianti fra le mani, passi confusi. Lui, la panchina ghiacciata, il desiderio di mollare tutto, cambiare percorso, di rincorrere un altro treno e mancare il bersaglio. Percepire il tempo, scivolare su di esso, un autobus dopo l’altro, un alito ghiacciato sull’altro, vederlo scivolare via – inevitabilmente – fra le dita. Ritornare indietro nel tempo su quella panchina

e


Pastiche

del

uomo aggrappato ad essa, nessuno sguardo su di lui. E ancora quel profumo dolce che si schianta sul cuore, e ancora quella panchina ghiacciata, i guanti strappati sulla punta delle dita infreddolite. Una casa in cui non poter ritornare, un salto nel vuoto. Nuove partenze. Nuovi arrivi. Una solitudine - accesa nel cuore - germoglia nell’aria, nel sapore di tasche vuote, dove il vento tagliente scende sul viso ripiegando su sé stesso, avvolgendo gli ultimi aliti caldi del giorno. I capelli scomposti sul viso, le labbra screpolate, gli occhi inumiditi sotto l’aria pungente - stelle nel buio - come tizzoni ardenti dispersi nel mondo. I desideri scorrono sulle vite appese dalle finestre, sospinte dal vento, vite incastrate a fondo negli occhi che gridano nella notte calda della bocca, nella soffice morsa di un bacio in punta di labbra. Guardare il mondo scorrere senza paura fuori di casa, seduti su di una panchina ghiacciata, aspettando un autobus, la linea giusta, un modo di esistere e sopravvivere ai cambiamenti inevitabili della vita. L’unico modo per ritrovare la strada verso casa è custodito nel cuore, è la dolce sofferenza di un’anima pura che rinasce nel mondo. Piccoli fiocchi di neve scendono lentamente dal cielo, posandosi delicatamente sulla vita che scorre frenetica, inondando le strade di piccoli puntini colorati affamati, di mani strette le une sulle altre. Piccoli fiocchi sul viso, un bacio gelido sugli occhi, un sorriso di speranza sulle labbra, un sogno nel cuore. È ancora lì, seduto su quella panchina, un’anima perduta e ritrovata nelle pieghe del tempo, sotto questo cielo invernale. Sei tu, sono io, siamo noi, anime confuse trasportate nel vento, desideri di vita sospesi nel mondo.

cuore

ghiacciata e riscoprire sé stessi, con gli occhi di un bambino; ricordi di giochi, di gare a trattenere il respiro, quasi a voler sentire questa vita in profondità, affondare così tanto da sentirla bruciare in gola e ricominciare a respirare. Rincorrere un desiderio in equilibrio sul cuore. Lassù, oltre le nuvole morbide affogate nel petto. Guardare le storie degli uomini attraversare tempi, luoghi, vederle nascere, vivere e morire da un’altra prospettiva, semplicemente con occhi diversi. Sedersi su quella panchina, sentire il freddo penetrare nelle ossa, ghiacciare le dita e scivolare ancora nel ricordo di natali incompresi, non vissuti, mai esistiti, di alberi non fatti, regali non scartati, desideri inesauditi. Nuovi mondi e destini in attesa per il cuore di un uomo perso nel tempo. E ancora, altra solitudine, altro freddo nelle ossa, altra confusione. I rumori della stazione brulicante di vita, di piedi che si intrecciano, di confezioni e sacchetti profumati. Eccolo lì. Un uomo su di una panchina, le mani ghiacciate, un cappotto sdrucito e uno strano cappello in testa. Gli occhi puntati al cielo con un desiderio, quello di attraversarlo, di sprofondare anche solo per un istante in quella bellezza solitaria. Ecco come il mondo vede quest’uomo. Ecco, come una solitudine può sparire in silenzio sulla strada, fra gli alberi spogli della stazione, lungo le bancarelle e le scie di incenso che si diffondono di bocca in bocca. Sprofondare nella bellezza: è questo il segreto. Bruciare la vita, semplicemente vivendola senza compromessi. Una panchina desolata, un

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Pastiche

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Luca Galvani - Chewing Gum parte 5 e 6

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Pastiche Satellite of Love parte II Kristen si ferma di nuovo, dà un piccolo bacio sul ginocchio di Laura e scende sui suoi piedi che stringe tra le mani, accarezza i talloni induriti dalla danza, le dita della sua mano tra quelle del piede di Laura, ne segue l’arco arcuato e il collo sviluppato, poi sale sulla sua caviglia, la coscia, la pancia rilassata, il seno e la faccia più bella e tenera del mondo che ora è lì solo per lei; le dà un altro delicato bacio sul sopracciglio. «Adesso è passato.» dice Kristen e la bacia sulla bocca. Quindi riprende a masturbarla con le dita di saliva, seguitando a baciarla. Riabbassa il viso e le lecca un seno sul grosso capezzolo. Laura emette un gemito. «Avevo resistito pure a quello» continua. «Ma non riuscivo proprio a sopportare l’abbandono, quel tradimento... crudele... chi ti abbandona è sempre crudele. Non permetterò più a nessuno di farmi tanto male. Devo difendermi.» Kristen guarda ancora Laura in faccia. «Smettila Lilla» (il vezzeggiativo dei momenti dolci e strani quando si vorrebbe dire altro). Laura ora guarda Kristen togliendo gli occhi dal soffitto. «Sapessi quanto l’ho odiata. Non potevo fare altro... non potevo fare altro che odiarla e masturbarmi. Poi, dopo qualche mese, scopare con qualsiasi ragazza mi capitasse a tiro. C’ho sempre saputo fare io con le altre ragazze... anche con te, vero?» Kristen la fissa. Gli occhi sono pieni di parole non dette, eppure come svuotati. Laura riavvicina la bocca a quella della sua amica. Si baciano, morbide le lingue, a lungo. Laura accarezza Kristen tra le natiche e sulla vagina fradicia. Il cielo è sempre più scuro e piove incessantemente segnando il ritmo sfinito del pomeriggio sul vetro della finestra e in strada, con qualcuno che corre e urla e ride. Kristen poggia il suo viso sul piccolo seno di

Laura e continua a masturbarla lentamente. «Sì, anche con te. Ti ho conquistata subito, non è vero? Dalla prima volta che mi hai vista, nei camerini del Theatre du Orléans. Avevo appena finito di danzare Querelle de Brest, ero ancora sudata e affaticata ed ero ancora con l’abito di scena, praticamente nuda, avevo soltanto la giacca da marinaio aperta e mi stavo baciando nel corridoio con un’altra ballerina... non mi ricordo neanche chi fosse, ma lei era nuda del tutto, questo lo ricordo, e mi baciava sulla bocca carezzandomi il sesso, a quei tempi era sempre bagnato; bastava niente per bagnarmi. Tu ti fermasti a guardarci. Non riuscivi più a staccarmi gli occhi di dosso: dal mio viso, dal mio corpo... dal seno che usciva dalla giacca, dal mio sesso scoperto che si apriva sulla sua mano. Allora venivo tanto, la sua mano era fradicia. Ti guardavo anch’io mentre mi baciavo con quella ragazza: eri bellissima. Solo dopo un po’ ti sei accorta che pure io ti guardavo; non riuscendo neanch’io a staccare lo sguardo da te. Dovevo essere sconvolgente per una così, eterosessuale, forse non avevi mai visto due donne baciarsi in quel modo. Tolsi la bocca da quella della mia amica e continuai a guardarti mentre lei, inginocchiata davanti a me, mi leccava la fica che le veniva in bocca senza che me ne accorgessi; o meglio, venivo sulla tua bocca, questo devo aver provato, fantasticando di farti sentire il mio sapore, di sentire il tuo, di leccare la tua fica che immaginavo dalla peluria folta e nera come una notte infinita e meravigliosa. Tu i


Pastiche ricambiavi quel mio sguardo insistente. Lei continuava a masturbarmi, ma ormai non la sentivo più. C’eri solo tu... ma eri lì, ferma a guardarmi, distante solo qualche passo eppure lontanissima... non eri sul mio sesso... sul mio piacere che all’improvviso tornai ad avvertire fortissimo e stordente in quel momento e in quel posto, forte come non mai, quando i tuoi occhi si confusero con i miei. Dopo, stavi fuori dal teatro, faceva un freddo! Avevo ancora i capelli bagnati ed ero contenta che non eri già andata via. Forse mi aspettavi. Mi sono avvicinata, anche se adesso mi sentivo così timida, tu mi hai guardata e mi hai detto con un sorriso una cosa tipo: “Sei brava... e bella, davvero”. Eri imbarazzata per come mi avevi visto prima... e anch’io ora... “grazie!” ti ho risposto sorridendoti, poi, senza dirti altro, non sapevo che dire e il respiro era affannato come se avessi corso, il mio cuore stava per scoppiare, senza guardarti ti diedi quel bigliettino dove avevo scritto il mio nome e l’indirizzo con una data e l’ora, l’avevo scritto un istante prima di uscire dal teatro sperando che ci fossi ancora... non ricordo il giorno ma era dicembre. Ti salutai con la mano e andai via correndo. Quella notte stessa mi masturbai pensando di fare l’amore con te. E quando lo facemmo per la prima volta, a quell’indirizzo e quel giorno – non pensavo che saresti venuta – fu tutto come avevo immaginato: venni tante volte... e anche tu. Ero in quel momento tutto ciò di cui avevi bisogno. Tu eri la stessa cosa per me. Un intero pomeriggio a fare l’amore... lo ricordi ancora? Oppure hai cancellato anche questo?» Kristen (continuando a carezzare lentamente il sesso di Laura): «No Lilla, non l’ho cancellato.» La camera è ancora più scura. È sera. Continua a piovere a dirotto. In strada però più nessuna voce. Solo il riflesso dei lampioni. Kristen lascia andare il suo busto fuori dal letto e struscia il pavimento con le mani portate

in alto e indietro. Laura è tra le sue cosce e le lecca il sesso tenendole un dito dentro l’ano mentre Kristen guarda fuori la città bagnata. Quando avverte il suo orgasmo arrivare, violento e dolcissimo, abbondante e irrefrenabile, Kristen si toglie con forza, strappandosela, la fascia dalla mano riaprendosi la ferita mordendosi il palmo sopra il taglio. Riporta il braccio indietro facendo gocciolare il sangue sul pavimento – una pioggia rossa sottile e lenta – rilassandosi piano piano con il suo orgasmo che va colando nel residuo rivolo di piacere, per placarsi nell’ultimo sussulto della vagina, nell’ultima contrazione dell’ano, ora che Laura vi ha tolto il dito. Poi si solleva tra le cosce di Laura sporcandole del suo sangue. Adesso quel sangue è anche sul sesso della sua amica che ha ripreso a masturbare con dolcezza – sempre avendo cura di bagnarsi le dita, ora di uno strano liquido fatto di saliva mista a sangue e le proprie secrezioni sessuali. Laura lascia fare senza ancora provare nessun orgasmo. Poi scansa piano Kristen da sé e si riporta tra le sue gambe leccandole di nuovo la fica per qualche secondo. Cerca di farla venire un’altra volta, ma adesso Kristen pare distante. Sembra non sentire più la sua lingua. «Anche tu hai odiato qualcuno, vero?» le chiede Laura. Kristen non risponde e guarda fuori dalla finestra le luci della sera trafitte di pioggia. Laura si toglie lentamente dal suo corpo e si mette seduta sul letto mentre Kristen chiude le gambe girandosi di lato. Laura si masturba piano guardando il corpo di Kristen in quella posizione con la spina dorsale che dal collo finisce all’inizio del solco dei glutei. Le labbra vaginali, ancora umide, sono serrate tra le cosce, le gambe piegate, le mani giunte tra le ginocchia. «Lo odi ancora» dice abbassando il tono della voce. «E ti stai l


Pastiche gli occhi pieni di lacrime represse a fatica. «Kristen, non lasciarmi così un’altra volta, ti prego... lo sai che poi ci sto male.» Kristen continua a vestirsi senza guardarla. S’infila gli slip e rialza lo sguardo su Laura. «Devo andare Laura.» «Ti faccio stare bene ancora un po’... ti faccio quello che vuoi, eh? Ancora un po’, dai…» le dice Laura quasi supplicandola. «Cosa vuoi? Eh? Te lo faccio.» Kristen seguita a guardare Laura che la fissa con gli occhi sempre più bagnati e rossi e poi abbassa il capo. Riprende a vestirsi e Laura si porta carponi sul letto verso il comodino da cui apre un cassetto e prende nervosamente un dildo, di quelli con la cintura di cuoio. Kristen la guarda sorpresa, perché non aveva mai visto quell’oggetto nelle mani della sua amica. Laura glielo mostra timidamente e con imbarazzo. «Guarda Kristen... si mette intorno ai fianchi e...» sorride a fatica e rossa in viso. Kristen esita, poi si avvicina alla sua amica con gli occhi pieni di lacrime al punto che sembra che da un momento all’altro queste debbano traboccare irrefrenabili, più forti della pioggia, più incontenibili del suo orgasmo, e inondare la stanza, col sorriso pieno di vergogna accennato sulla bocca priva di rossetto, e le toglie lentamente l’oggetto dalla mano per posarlo sul comodino. Laura continua a tenere la mano vuota protesa verso Kristen senza dire niente. «Mi dispiace Lilla.» Kristen si mette le scarpe, dà un piccolo bacio sulle labbra alla sua amica che la fissa muta e lascia l’appartamento seguita dallo sguardo di Laura con la mano ancora sollevata e le lacrime che le riempiono gli occhi e le scendono lungo le guance e sulla bocca.

vendicando su di me.» Si guarda il ventre. «Non sono ancora venuta... neanche da sola… come al solito.» I suoi occhi sono arrossati e lucidi e vorrebbe piangere. «Non t’importa?» Kristen non dice niente e solleva le ginocchia vicino al petto toccandosi con esse il seno quando Laura le si riavvicina carezzandole la spalla e la schiena seguendone con un dito la spina dorsale fino al sedere in cui insinua il dito e le sfiora l’ano placato e la vagina che si sta asciugando, inerte, a parte lo stimolo di urinare, ma Kristen si alza dal letto, si fascia la mano alla meglio con una garza presa dalla borsa e comincia a rivestirsi. Laura la osserva con

di Sergio Gilles La cavalla

m


Pastiche -

Premessa

Credo che il giorno in cui nacqui ci fosse stata una gran nevicata. Nascevo distrattamente, nel candore di una citta’ estranea, nel dolore di un parto solitario. Ululante di disperazione. Questo e’ il segno indelebile che avrei portato con me, con i miei passi, con le mie parole. Una bramosia irrisolta e vacillante. Un impegno equo sostenibile, nel ventre di una terra bruciata da luci al litio.

di

Li

beth Libet

A luglio ero libera, potevo scegliere e dimenticare. Lou Reed cantava disperato sul palco, le sedie rosse lo incoraggiavano a procedere. Io ed E. trangugiavamo vodka, insofferenti e caparbie. C’era tanto traffico quella notte in quel parco animato da animi ed umani esseri. Ricordo che avevamo fame e ci diedero un panino pieno di salsa piccante, il quale fu letale per lo stomaco di E. Eravamo scese giu’, dove il fiume si scontra con un chiacchiericcio mondano e vigile. Incontrammo tante persone. Avevo sonno e paura:la scelta, il disturbo, la miopia salita alle stelle, sotto un cielo rosso, in una mattina paranoide ed insonne. Non la dimentichero’ mai quella fatica. Quel plagio autoironico. MAI.

-

All’asilo ero piuttosto solitaria, il pomeriggio non dormivo e disegnavo sempre le stesse cose: un prato, un cielo ed in mezzo IL VUOTO. Un giorno scoppiai a piangere perche’ vidi, dalla finestra, passare mio nonno; non avevo altro che quelle lacrime , che si mischiavano agli sguardi degli ALTRI. Nessuno mi calmo’ se non la presenza vigile di mio nonno. La sua mano, la

n

Lith

ium licht

semplicita’ della gente del sud, mentre gli occhi tortuosi dei bambini mi incatenavano alla veridicita’ del mondo.

-

La birra mi aveva fatto male ed avevo ascoltato il consiglio di E&Z. Chissa’ dove siete ora, con i vostri capelli rasati, con le vostre storie piene di crudelta’. Cosa volevate da me? Ricordo che cercavate un equilibrio, una distanza da quegli eroinici disturbi. La volevate trovare in me, in noi, nelle risate isteriche di adolescenti liceali. Ho sempre adorato quelle strade marce, quegli occhi spenti, siete stati il mio canale dissociante, fluido. Mi avete incatenata all’universo delle meraviglie.

E&Z.


Pastiche Lo svarionato di CCollegno

O

ggi c’ho avuto la

ho avuto lossvarione varioo OOne ho avuto lo svariooOOne

svarione

forse dovrei ricominciare a non fare il muratore o non fare l’amoooOOre. o forse che è saltato quel lavoro in produzione o forse per lo sfratto esecutivo in locazione o forse perché tutta questa gente è un sol pedone o forse dovrei fare più attenzione all’attenzione o forse al mio cervello urge deframmentazione

o forse o

o forse perché cerco poi il perché

- so solamente che:hho o aavuto vuto uno svarione insieme a te Possibile sia un calo di tensione o la mia ammirazione One O o ma ho avuto lo svarioOone vedevo le mie gambe giù al soffitto i piedi in terra al tetto e allora mi son detto: “A-ttè-nziò-o-one” al tuo giubbotto stretto mi son stretto dicendoti ti ho detto:

“A-ttè-nziò-o-one”

“Oh cazzo! Lo svariooOOne” E tu gentile e cara come donna che mi ama mi hai visto bianco in volto ed hai rivolto a me il tuo verbo in modo da restare bello arzillo e mi hai comprato un Duplo e uno spinello, ...ma quello forse è causa di svariooOOne. Ti ho ringraziato e poi mi pare ho detto: “Lo sai cara che ho smesso, ess o, non sono mica un fesso,

.. . .. ..

no n voglio lo svariooooOOOoneeee” non Fineeeee

Angelo Zabaglio o


Pastiche

Organizzatevi, mi dici, tornate sotto le armi, alzate barricate e accogliete disertori: sai quanti ne raccattammo, tra i casali, disarmati e spersi? Sarà una lunga guerra, nipote, i nemici avanzeranno: fate incetta di provviste, di pensieri giusti da masticare. Li abbiamo ruminati per anni, nipote, tra un bicchiere e l’altro: noi ci capivamo. Lascia stare le zucche vuote: in quelle risuona solo la voce del padrone, non ci perder tempo. Continua la tua strada, stringiti ai compagni, anche uno solo è sempre tanto quando si contan gli anni bui. Io ne avevo uno con cui ci parlavo dell’orto e dei russi, che mi tenne sveglio a ragionar d’innesti e di piani quinquennali; ed era un bel parlare, noi due soli, tra la merda di vacche e le stelle. Non essere indeciso, nipote, ti potrebbe costar caro. Le tue idee son sempre lì, basta togliere il tappo; ma una volta scelta l’uva non si cambia gusto, né il colore che ne viene. Si butta giù un sorso dopo l’altro, con ostinazione, anche contro il corpo che si ribella. Io lo butto giù anche dopo il caffè, il mio sorso, per non pensar mai d’essere in pace con qualcosa. Ma son anni che apro la bocca e inghiotto, nonno, come dici tu; eppure resto un enigma anche per me stesso: non mi comprendo, non mi ritrovo. Dev’esserci un punto in cui gli estremi si son sciolti, quei fili che avevo tessuto con cura per legarmi a una storia: un momento che mi sono tradito, che non ho scelto. Il colore ce l’ho ancora chiaro, nonno, e le fotografie stanno sempre lì davanti agli occhi: le immagini delle folle che hanno occupato le piazze di questo paese, che hanno attraversato un secolo intero, tra le bombe, gli spari e i manganelli. Eppure ho fatto come tanti, nonno: mi sono isolato; anche se ho continuato a guardare, ad ascoltare, con i sensi lacerati da decenni di soprusi. Si può dire che anch’io mi sia dato alla macchia, ma non ho di che sparare, e sento le parole cadere fuori dal bersaglio. Siamo truppe allo sbando, nonno, e ognuno si guarda alle spalle; altro che solidarietà: verrà il giorno che li troverò alla porta, a dirmi che gli dispiace, che non ho più i requisiti. Verrà il tempo che non potrò più adattarmi, a forza di cambiare: che non saprò nemmen più che ci faccio, a questo mondo. Mi manca questo, nonno, della Maremma che ricordo: che anche sotto assedio mi sentivo a casa, riconoscevo dove camminavo; e quella lingua indurita dalla terra, la lingua senza fronzoli degli anarchici barbuti. Mi mancano le lunghe tavolate tra i boschi a ripigliare il passato per i capelli, ad acciuffare il futuro per le orecchie: i tavoli così lunghi che c’era sempre posto per tutti. Mi sentivo dalla parte giusta, nonno, tra quelle facce bruciate dal sole, tra quei profili dolci e austeri. Credevo a tutto, tra quei faggi: credevo che saremmo stati liberi davvero, un giorno.

Simone Ghelli


Mrfijodor - Sulla groppa del vecchietto contadino www.mrfijodor.it


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