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Anni possibili Marco Trabucchi

DA VECCHI È POSSIBILE ESSERE FELICI?

di Marco Trabucchi

Èuna domanda che molti si pongono prima della loro vecchiaia e altri quando ne sono immersi. Provo a dare una risposta all’interrogativo del titolo, per arricchire il dibattito tra pessimisti e ottimisti, partendo però da un’idea ben chiara: a qualsiasi età è possibile essere felici. Ma come fare per gustare anche da vecchi la felicità? Alcune premesse oggettive. Il passare degli anni non è un even un capitale biologico, clinico e psicologico che viene eroso dal tempo. Al contrario, ogni atto che la persona compie lascia una traccia, di tipo diverso, ma ugualmente incisiva. Sulla base di una copiosa letteratura ma dentro la vita poi la ritrova più ricca e amica. Il punto è il seguente: l’impegno, il lavoro di ogni tipo, la dedizione agli altri produce una psichica, che a sua volta induce felicità, perché la persona si sente capace di esercitare ancora un ruolo nella vita, in mezzo ai suoi simili. Questo atteggiamento è possibile ai vari livelli di autonomia conservata uno spazio per uscire dalle proprie personali problematiche, per mettersi in contatto con gli altri e quindi cercare di stare meglio. La ben nota frase di Seneca: «L’uomo saggio deve vivere quanto deve,

Il concetto di felicità, in età adulta, cambia e assume nuove forme. Ma la sostanza è che la felicità è vivere la propria vita in una serena normalità, senza angosce per il futuro. Stando sempre attenti a non incappare nel nemico numero uno della vecchiaia: la noia

non quanto può» riassume in modo sponsabilità verso gli altri, e oggi diremmo anche verso il creato. Perché nessuno è autorizzato a rinunciare a vivere (non tanto biologicamente, ma umanamente), anche se stanco e ce a continuare nella responsabilità della cura degli altri, il “deve” che caratterizza la nostra vita. Qualcuno potrebbe ritenere irrealistico il collegamento tra cura degli altri e felicità, perché troppe sono sotto i nostri occhi le condizioni di dolore che sembra impossibile vincere o anche soltanto lenire. Non vorrei fare un’analisi precisa delle condizioni che si oppongono alla re mazione non è ideologica, ma con perché sogna la relazione con famigliari e persone amiche, sogna che qualcuno risponda alle sue chiamate di aiuto, quando la disperazione dilaga nelle giornate. Chi è responsabile della realizzazione di questi sogni, anche se in modo parziale, se non chi conosce la gioia di una vita realizzata insieme con altre donne e altri uomini? In questi casi si potrebbe dire che la felicità in solitudine può essere raggiunta se chi la possiede è in grado di trasferirla. È una condizione obbligatoria, perché è solo una parvenza, perché chi è felice anche da vecchio deve donarsi e donare felicità. Ma è felice l’ammalato cronico, che ha perso l’autonomia, chi non è più in grado di ricordare? È una felicità tutta particolare, ma non possiamo cancellare dalla nostra prospettiva le persone che sono aiutate a vivere, che sviluppano relazioni intense d’amore con chi vive vicino a loro. La rete dell’amore prende dentro chi aiuta e chi è aiutato ed è capace di produrre felicità. In questa prospettiva si costruisce anche la felicità del caregiver che, immerso nella fatica riesce a trarre dal suo lavoro il tempo per essere felice, perché appagato dal lavoro stesso e dall’ipotesi che Come conquistare la felicità da vecchi? La prima regola è adottare un atteggiamento che valorizzi il qui e ora, senza pensare al futuro, ma cercando di dare il massimo e di ottenerne una ricompensa. In questo momento apprezzo quello che la vita mi dà, senza fare calcoli più o meno pessimisti sul futuro. È sempre imperscrutabile e chi da giovane o da vecchio vuole fatiche inutili, le angosce dell’attesa. Felice è chi in un certo momento si in quel momento riesce a considerare parte della propria vita. Certamente vi sono situazioni più o meno favo solo quella di chi cura i nipotini in una condizione idilliaca, ma quella che ciascuno vive in un certo momento… Anche senza nipotini. Così la felicità non è solo quella di chi va tutti i giorni al circolo a giocare a carte, né quella di chi coltiva un orto né quella del lettore accanito, ma è la storia di una normalità serena, senza angosce per il futuro. Nemica della felicità è la noia, l’incapacità di trovare un luogo nel quale appoggia una meta concreta o immaginaria, un luogo del riposo. La vecchiaia è spesso accompagnata da malattie, da dolori pervasivi, che possono dare momenti di angoscia, indurre a pensare di rinunciare al cità (non è peraltro il suo compito, perché si deve limitare ad eliminare gli ostacoli che si frappongono ad una ricerca che è solo umana). tante. Per chi ha la fortuna di credere, la religione aiuta la costruzione che non deve chiudersi alla felicità degli altri, perché il messaggio cristiano è prima di tutto garanzia che la mia felicità, un dono della fede, deve essere donata anche alle donne e agli uomini che non l’hanno.

PARLIAMONE...

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