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Il Terzo Tempo Lidia Ravera

LA FANTASIA ABBATTE LA VECCHIAIA

di Lidia Ravera

«A che età si diventa vecchie?», mi ha chiesto la mia nipotina seienne, mentre andavamo a prendere un gelato. «Un minuto prima di morire», le ho risposto. «E quando si muore?», ha detto lei, preoccupata. «Questo nessuno lo sa». Lei si è placata e io ho continuato a interrogarmi. Una volta si diventava vecchie a 50 anni. Adesso, a 50 anni, ti danno della ragazza. Sono tutti percorsi soggettivi, non de più niente di inamovibile, di questi al mondo altri esseri umani sempre più tardi, si lascia il mondo sempre più tardi, ci si ammala più tardi, si muore più tardi. Si diventa dipendenti più tardi (per le invalidanti patologie della vecchiaia), ma si diventa anche indipendenti più tardi, per le invalidanti politiche della precarietà. Se ad ogni età corrisponde un costume di scena, io, Lidia Ravera, nel pie qual è il mio? I miei armadi rigurgitano jeans e gon cambiato gusti. Questo fa di me una macchietta? Questa continuità è una forma di demenza, di nostalgia, di pietosa smemoratezza? Faccio quel scrivo. Guardo, osservo, metto in re del giorno corro, o nuoto, o pedalo. E poi di nuovo scrivo, leggo, scrivo. Corro, pedalo e scrivo. Per quello che scrivo vengo pagata, meno di 30 anni fa, 20 anni fa, 10 anni fa… Ma questo è l’unico segnale di regressione. Per consolarmi penso che la riduzione del mio valore in tàlleri è determinata dal mercato. E nel mercato del libro oggetto, di questi tempi, è sempre buono l’ultimo arrivato, la novità “wow”, l’esordio “smash”, “boom”, “smart”, il “best”, il “top”. Ma non importa, a me non fa paura essere vecchia. Le età, per quanto propense ad esondare una nell’altra, corrispondono alle giungi una meta. Ti guardi attorno. Passi in rassegna bellezza e brutture. Impari i dialetti locali. Partecipi dei nuovi rituali. E quando sei ben instal-

lata, naturalizzata, amalgamata ti tocca ripartire. Il tempo ti spinge avanti. Ma tu sei sempre tu. Hai soltanto un bagaglio più pesante, perché ogni tappa aggiunge qualcosa. E tocca farsene carico. Conoscenze, consapevolezze, svelamenti. Si diventa più ricche di materiale, quando si diventa vecchie. Ma se veramente si è scrittrici per necessità primaria, e non scriventi per mestiere, è d’obbligo saper essere vecchie da subito, anche quando si è giovani o molto suto. Immaginarsi quello che sarà, come se fosse stato. Inventare ciò che non si sa (del resto a questo serve la

PARLIAMONE...

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sai, non a raccontare quello che sai). Così come, quando si è vecchie e si rischia di sapere troppo, occorre imparare a essere giovani, e darci giù con la meraviglia, lo stupore, la curiosità. Occorre essere eternamente principianti. E precocemente ottuagenarie. Per scrivere romanzi. Io ne ho scritti tanti di romanzi. Mentre scrivo la mia età, che ho sempre considerato un peso, un costume di scena sempre troppo stretto, imposto da un’occulta regia conformista, dimentico la mia età del momento (ho incominciato ad abbozzare romanzi a 15 anni, ho pubblicato il primo a 25, quello che sto scrivendo è il trentesimo), il tempo mi scivola via di dosso, entro nella atemporalità beata dei dormienti. Eppure le mie protagoniste hanno te coincide con la mia, certe volte è più giovane (la sedicenne Antonia di Porci con le ali), certe volte molto più vecchia (la protagonista sessantaquattrenne di Un lungo inverno , partorita quando non avevo ancora 40 anni, o la Iris del romanzo Piangi pure, settantanovenne splendida, partorita da me quando avevo sempre sul punto di essere sfrattate dalla loro casa-età verso nuovi pe tutte, in modi diversi, in lotta contro il tempo. Tutte. Come me. Come voi, che leggete questa pagina.

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