Daniel MILHAUD

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DANIEL MILHAUD

daniel milhaud


DANIEL MILHAUD edizioni roberto peccolo livorno 69 marzo / mars 2012 Catalogo edito in occasione della mostra n. 352 presso la Galleria Peccolo Piazza della Repubblica, 12 I - 57123 Livorno galleriapeccolo@libero.it Traduzione dal francese: Arianna Giuntini Fotografie: Stefano Sabella, Bruno Soum, Sylva Villerot I ritratti di Daniel Milhaud sono di Nadine Milhaud Š Copyright Edizioni Peccolo e degli Autori 1979, Kaiserswerth. Realizzazione e stampa: Winfred e Barbara nel loro giardino Debatte Otello srl - im Livorno Winfred und Barbara Garten


Yan Ciret

Yan Ciret

Daniel Milhaud e l’infinito luminoso

Daniel Milhaud l’infini lumineux

Prendiamo l’arte francese, qualunque cosa se ne dica, che la identifichiamo nel suo periodo classico, o nelle innovazioni avanguardiste, vi troveremo sempre un qualche nesso con la frase di Braque: «L’arte è la sensazione corretta dalla ragione». Bisogna far chiarezza in ciò che di punitivo per “il mondo della sensazione”, si cela in quello che chiamiamo, lo “spirito francese”. Non c’è stato mai un movimento, dal Romanticismo al Situazionismo, che non sia cominciato con un manifesto, dei testi di rottura, fiumi di scritti teorici e un onere di analisi. L’inconscio è liberato, ma sotto certe condizioni; si vuol fare la rivoluzione, ma sempre osservando strettamente regole, leggi e dogmi.

Prenez l’art Français, quoiqu’on en dise, qu’on le caractérise par sa période classique ou ses innovations avant-gardistes ; vous aurez toujours quelque chose qui se rapporte, à la phrase de Braque : «  L’art, c’est la sensation, corrigée par la raison. » Il faut faire entendre, ce qu’il y a de punitif pour le « monde sensationnel » dans ce que l’on appelle « l’esprit français ». Pas un mouvement, du romantisme au situationnisme, qui ne commence par des manifestes, des textes de rupture, des flots d’écrits théoriques, d’injonctions analytiques. On libère l’inconscient, mais sous condition, on veut faire la révolution, mais selon la stricte observance de règles, de lois, de dogmes.

Niente è più estraneo a questi superbi meccanismi ideologici, dell’arte delle linee di fuga di Daniel Milhaud. Esse non smettono di liberarsi dalla colla delle parole, che vogliono fissarla, e immobilizzarne il senso. Muovendosi e spostandosi continuamente, fan di tutto per evitare la pesantezza di coloro che rimangono sbalorditi dalla sua rapidità d’esecuzione. Pensiero rapido, gesto vivace, la linea si raccoglie in se stessa, l’energia del piano (il disegno) e del punto (scultura in visione panoramica). Aggiungete a tutto ciò, che queste accelerazioni di flusso, luce e fumo, la reversibilità dei giochi di parole (lettere e il neon), non si lasciano cogliere immobili. Eccovi nell’istante in cui si crea uno spazio, nel momento stesso in cui prende forma, nell’immediato. In altre parole, le opere di Daniel Milhaud rimangono fisse nell’istante del loro crearsi. Bisogna essere lì per vedere le forme e le rappresentazioni in

Rien de plus étranger, à ces superbes mécaniques idéologiques, que l’art de la ligne de fuite de Daniel Milhaud. Elle ne cesse de se déprendre de la glue des discours, qui la fixent pour en immobiliser le sens. Ses rotations et ses décalages permanents font tout pour éviter la lourdeur de ceux qui se laissent méduser par sa vitesse d’exécution. Pensée rapide, actes vifs, la ligne ramasse en elle, l’énergie du plan (le dessin) et du point (sculpture en vision panoramique). Ajoutez à cela que ces accélérations par le flux, la lumière, la fumée, la réversibilité des jeux de mots « lettres et le néon » dit-il, ne se laissent pas saisir hors leur mouvement. Vous voilà dans l’ouverture d’un espace, dans le temps même où il se crée, immédiatement. Autrement dit, les œuvres de Daniel Milhaud sont toujours dans l’instant de leur processus. Il faut être là, pour voir le visible des formes, 3


tutta la loro evidenza, ma dovrete decriptarne, dedurne il loro invisibile doppio.

des représentations, mais il vous revient d’en décrypter, d’en déduire leur double invisible.

Questa cadenza, questo tempo impalpabile, questo ritmo così caratteristico, rende i mobil luminosi dell’artista, degli “eventi” che hanno luogo in ore specifiche, sintetica unione di una notte elettrizzata. Diversi da quelli di Calder, essenzialmente cinetici, i mobil di Daniel Milhaud proiettano la propria ombra portata, come in una scrittura inversa. Visitando l’atelier, le “linee luminose” sul muro non torneranno mai più a essere le stesse: il tempo, l’atmosfera, cambiano più in fretta del cuore dei mortali. Più profondamente, è la mutazione essa stessa, che si riversa a vista, in un’idea, dal sapore quasi scenico, di “cambi a vista”. Ovvero il momento in cui il teatro ingloba le quinte nello spettacolo. Le parole si coniugano come luci collocate in modo casuale, aleatorio, oggetti di mille combinazioni e associazioni d’idee. L’elemento vaporoso (il fumo) fuoriesce dal coperchio per innalzarsi in spirali di fil di ferro, rendendo obsoleta la distinzione tra interno ed esterno. Lo sfondo diviene superfice, e questa, di ritorno, si allontana, poi il concetto stesso di divisione si annulla, davanti alla consapevolezza che non può esistere alcuna distinzione. Questa mancata cesura degli opposti, fa sognare quella “luce nell’ombra” teorizzata da Tanizaki nel suo «Elogio dell’ombra».

Cette cadence, ce tempo subtil, ce rythme si particulier fait des mobiles lumineux de l’artiste des « évènements » qui arrivent à certaines heures, union synthétique d’une nuit électrisée. Différents de ceux de Calder, essentiellement cinétiques, les mobiles de Daniel Milhaud projettent leur ombre portée à la manière d’une écriture inversée. Vous visitez l’atelier et jamais ces « lignes éclairées » sur les murs, ne reviendront les mêmes, les temps, l’atmosphère changent plus vite que le cœur d’un mortel. Plus profondément, c’est la mutation elle-même qui se déverse à vue, dans l’idée presque scénique de « changements à vue ». C’est-à-dire, ce moment où le théâtre intègre ses coulisses à son spectacle. Les mots se déclinent, comme des luminaires aléatoires, objets de mille combinaisons ou associations d’idées. L’élément vaporeux (la fumée) s’élève de coupelles pour s’écrire en fils de fer torsadé, rendant obsolète toute distinction entre le dedans et dehors. Le lointain fait surface, la superficie s’éloigne par retour, puis le cloisonnement s’annule, devant l’évidence qu’il n’y a pas de distinction possible. Cette non césure des contraires fait songer à ce « l’un dans l’autre » de la lumière et des ténèbres dont parle Tanizaki, dans son « Eloge de l’ombre ».

Questo principio di reciprocità si spinge molto oltre la semplice figura formale, non è possibile identificarla con un banale simbolismo. È circolazione delle energie e loro diramazione in una gamma di possibilità, detto questo, il numero due, quello della coppia, compare in Entre deux e in Pink and Yellow (1998). Gli archi di cerchio, sempre in coppia, si sovrappongono e compenetrano, secondo i generi sessuali: maschile e femminile. Stilizzati, tracciati con curve armoniose, essi restano riconoscibili nella loro 4

Ce principe de réciprocité va beaucoup plus loin qu’une simple figure formelle, on ne peut l’identifier à un quelconque symbolisme. Il est circulation des énergies, distribution de celles-ci dans une variété de possibles, le chiffre deux, celui du couple dans Entre d’eux et Pink and Yellow (1998). Les arcs de cercles, toujours en double, se superposent et s’interpénètrent selon les modes sexués : féminin et masculin. Stylisés, évidés en courbes harmonieuses, ils restent


omogeneità, da uno se ne possono creare due, senza spezzarne la linea di vita. Al contrario, l’unità del dualismo è indispensabile affinché passi l’influsso vitale, quello che Daniel Milhaud ha giustamente chiamato Flux (2005). Il neon fluorescente che sovrasta un metabolismo cristiano, perfeziona l’opera nell’unione di questi due principi: il pieno e il vuoto, il sacro e il profano, i sussulti di un torrente contro la serenità di una cima.

reconnaissables, dans leurs accords, de l’un on peut faire deux, sans briser la ligne de vie. Bien au contraire, l’unité du dualisme est indispensable, à ce que passe l’influe vital, le justement nommé par Daniel Milhaud Flux (2005) ; le néon fluorescent qui surplombe un métabolisme christique parachève l’œuvre dans l’union de ces deux principes : le plein et le vide, le sacré et le profane, les soubresauts du fleuve en à pic de la sérénité des sommets.

Ma nelle sue transizioni paradossali, si profila un’altra immagine più inquietante e meno definitiva: quella di un personaggio ambiguo, capace di destabilizzare le norme, dalle quali tende ad allontanarsi selvaggiamente. È la serie di Autoritratti che moltiplica a dismisura le maschere. Dall’esemplare unico è possibile creare dei multipli, come nel caso dell’Autoportrait Les Duettistes (2006), o raddoppiarsi per raggiungere un equilibrio reale, come in Autoportrait Balance (2006). L’artista allo specchio è mostrato nell’ostinato piacere di osservare se stesso osservarci mentre noi lo osserviamo. Il profumo della devastazione, della festa dionisiaca non è mai lontano. Seguiamo il gioco delle materie, quella opaca, quella trasparente, quella liscia, l’arte dei contorni in cui la linea serpeggia, diviene tratteggio, sottolinea o evidenzia i tratti del volto, come il trucco dei commedianti. Ma quale è l’elemento più brutalmente evidente in questi Autoritratti, al di là della reinterpretazione del motivo classico? Una fondamentale pulsione di disordine, di fuga, una provvidenziale anarchia, che mantiene il vivente nella sfera vitale.

Mais une autre image se profile, plus inquiétante, moins définitive, dans ses transitions paradoxales. Un personnage à double entrée, déstabilisant les normes, ou s’en affranchissant de manière sauvage. C’est la série des Autoportraits, qui charge la barque de la multiplication des masques. De l’unique, on peut faire aussi du multiple Autoportrait Les Duettistes (2006), se dédoubler pour atteindre un équilibre idéal Autoportrait Balance (2006), l’artiste au miroir se montre dans son goût irréductible, il s’observe nous regardant le regarder. Le parfum du saccage, de la fête dionysiaque, n’est jamais loin. Suivez le jeu des matières, le mat, le transparent, le lisse, l’art des contours où la ligne serpente, zèbre, souligne ou surligne les traits du visage comme un maquillage de Comédie. Mais qu’est-ce qui brusquement apparaît dans ces Autoportraits, au-delà de du motif classique revisité ? Une fondamentale pulsion de désordre, d’échappées, une anarchie providentielle, parce qu’elle maintient le vivant toujours dans le vif.

Con l’armonia, si rischia sempre la noia, che è qualcosa di demoniaco. Ancora di più, essa può essere l’altra faccia della morte, dell’immobilità finale. Dietro l’unicità delle passioni si nascondono una pelle morta, degli occhi ciechi, un tempo immobile. Tutta l’opera di Daniel Milhaud è attraversata

Avec l’harmonie, on risque toujours l’ennui, qui est le démoniaque ; mais plus encore elle peut-être l’autre visage de la mort, de l’immobilité finale. Derrière l’unicité des passions calmes se cache une peau morte, des yeux sans vision, un temps arrêté. Toute l’œuvre de Daniel Milhaud est traversée par la coexistence indissociable de ces deux 5


dall’inseparabile coesistenza di questi due universi: la perfezione, “in sintonia con i nostri desideri”, e il caos, risonante l’ordine di non cedere alla pienezza sterile. Il limite fra loro è minimo. A questo punto si può essere mummificati nella cartapesta e la resina, come le due chiocciole in posizione bocca a bocca di En noir et blanc (1997), o come i due rettili immortalati a bocca aperta di Entre croisés (2002). I motti di spirito, il witz freudiano, gli scherzi linguistici, le eufonie, le analogie verbali e le divagazioni, hanno il preciso compito di rinviare all’infinito le definizioni. La lunga premeditazione delle opere, spesso riprese dopo decenni, non esclude mai il senso estremo del loro rimanere in sospeso. Se l’artigiano è perfezionista, l’artista dirige la perfezione verso territori sconosciuti, là dove regna la natura effimera delle cose, la loro indistinguibilità.

mondes, celui parfait « accordé à nos désirs » et ce chaos roulant son impératif de ne pas céder à la plénitude stérile. Entre les deux, la limite est infime. Vous pouvez être momifiés dans le papier mâché et la résine là, comme deux escargots en bouche à bouche En noir et blanc (1997) ou deux reptiles figés la gueule ouverte Entre croisés (2002). Les mots d’esprits, le witz freudien, les tours linguistiques, les euphonies, les analogies verbales, les détournements ne sont là que pour renvoyer à l’infini les définitions. La longue préméditation des œuvres, souvent reprises des décennies plus tard, n’empêche à aucun moment le sens ultime de rester suspendu. Si l’artisan est perfectionniste, l’artiste le dirige vers des zones inconnues. Là où règne l’impermanence des choses, leur indistinction.

È nelle esibizioni temporanee del carnevale che Daniel Milhaud ritrova questo caos di riferimento; nell’ordine sovvertito delle sfere mobili della società umana. Le identità divengono intercambiabili, disfacendosi e ricreandosi, i valori si capovolgono: che cos’è bello, brutto, grottesco, eccessivo, morale o immorale? Volgare o sublime? Secondo Sciascia, ciascuno di noi indossa «un volto su una maschera», per dire che, se le apparenze sono ingannevoli, allora è la maschera che ci svela qualcosa in più sulla verità. Lo spirito carnevalesco va di pari passo con la teatralità dell’eccesso, mediante il quale si vogliono sovvertire tutte le istituzioni. Ma l’artista vede anche il rovescio della medaglia: l’elemento devastatore insito nello scatenarsi delle pulsioni. Egli, allo stesso tempo in cui sovverte un ordine che tende a stabilirsi, fissandosi, riequilibra delle figure suscettibili di disfarsi. Negli stessi anni in cui produce la serie delle Courants (1985), tumulti torrenziali di acque indomabili, Milhaud inizia parallelamente Les Puits (1987), e una Stèle

C’est dans les expositions intempestives du carnaval que Daniel Milhaud trouve ce trouble des repères ; dans les agencements perturbés de ces sphères mouvantes de la société humaine. Les identités deviennent interchangeables, se défont pour se redéfinir, les valeurs se renversent, qu’est-ce qui est beau, laid, grotesque, excessif, moral ou immoral, vulgaire ou sublime ? Chacun porte un « visage sur un masque » selon l’expression de Sciascia, voulant dire, par là, que si les apparences sont trompeuses, alors le masque en dit plus sur la vérité. L’esprit carnavalesque va de pair avec une théâtralité de l’outrance, où il s’agit de subvertir toutes les institutions. Mais à revers, l’artiste voit aussi ce qui pourrait y avoir de dévastateur dans ce déchainement pulsionnel. Il rééquilibre des figures qui menacent de se défaire, dans le même temps qu’il désarticule, un ordre qui tend à s’instituer en se figeant. Dans les mêmes années où il produit la série des Courants (1985), tumulte torrentiel des eaux indisciplinées, il introduit

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molto elegiaca. Ci troviamo sempre in questa tensione che si va a creare nella zona liminale tra due poli antagonisti: il vecchio e il nuovo, il barbaro, il primitivo e il civilizzato. Bisogna distruggere ciò che si oppone alla vita e creare ciò che la prolunga; ma è una guerra in cui il secondo elemento si scontra nel primo. L’artista, abbandonato al suo destino, si lancia in una variante di « tête à tête » con se stesso. Vi saranno, dunque, due volti, due profili che si combattono, che si avvicinano l’uno all’altro, che giocano con dei mondi (spesso contrassegnati da un solo cerchio), disegni dalla fantasia rabbiosa, comica, visionaria. L’occhio dell’uno collegato con quello dell’altro, attaverso un effetto semplificato. La serie delle “due teste” può essere letta tanto quanto osservata, in ogni caso, essa sfugge a ogni interrogativo umano. La somiglianza non è meno presente della differenza, e forse è proprio questo il vero soggetto dei disegni: Che cos’è che mi rende diverso da me stesso? Ma anche, che cosa mi riporta al concetto di somiglianza? L’umanesimo burrascoso di Daniel Milhaud non dà una risposta, formalmente la sua “linea leggera” contrasta con l’espressionismo di questo “trattato delle passioni ludiche”. È come se non avesse mai abbandonato i suoi due punti di riferimento; da una parte il minimalismo, che lo riavvicina ad artisti statunitensi, come Sol Lewitt, dall’altra, l’espressionismo degli inizi, di Oscar Kokoschka. Questi duelli sono anche l’espressione di due stili contraddittori, dinamici; della violenza del disegno, dal gesto quasi brutale, e dell’economia del mezzo, il disegno dei segni.

comme en parallèle Le Puits (1987) et la même année une très élégiaque Stèle. Nous sommes toujours sur cette tension, qui se fait à la limite du point de bascule, entre ces pôles antagonistes : l’ancien et le nouveau, le barbare, le primitif et le civilisé. Il faut détruire ce qui s’oppose à la vie, et créer ce qui la prolonge. Mais, il s’agit d’une guerre. Le deux, cette fois-ci, s’affronte dans l’un. L’artiste livré à lui-même s’engage avec une variation sur le « tête à tête » avec soi-même. Soit donc deux faces de profils se combattant, s’approchant, jouant avec des mondes (signalés souvent d’un seul cercle), des dessins d’un fantastique rageur, comique, visionnaire. L’œil de l’un rattaché à l’œil de l’autre, par un effet simplifié. Cette série des « deux têtes » peut se lire autant que se voir, toutes les interrogations humaines y défilent. La ressemblance n’y est pas moins présente que la différence, c’est peut-être même le vrai sujet de ces dessins. Qu’est-ce qui me fait autre ? Mais aussi qu’est-ce qui me ramène au semblable ? L’humanisme intranquille de Daniel Milhaud ne répond pas, formellement sa « ligne claire » contraste avec l’expressionnisme de ce « traité des passions ludiques ». Comme s’il n’avait pas quitté ses deux orientations, sur un versant le minimalisme qui le rapproche des américains, d’un Sol Lewitt, et de l’autre l’expressionnisme de ses débuts avec Oscar Kokoschka. Ces duels sont aussi l’expression de ces deux styles contradictoires, dynamiques, de la violence du dessin dans son geste, presque brutal, et l’économie de moyen, l’épure des signes.

Ma come rappresentare queste opposizioni, senza che esse degenerino in una reclusione? È necessario dare loro uno sfondo, un teatro, delle drammaturgie, come nel caso dell’inedito “carnevale erotico” o dell’insieme di mascelle di Le Choryphée (1998-2002).

Mais comment présenter ces oppositions, sans qu’elles ne dégénèrent en un enfermement ? Il faut leur donner une scène, un théâtre, des dramaturgies comme ce « carnaval érotique » encore inédit, ou ces mâchoires chorales Le Choryphée (1998-2002). Référence directe 7


Riferimento diretto alla tragedia greca, muta declamazione della maschera teatrale classica, imballata in fogli di giornale. È il terzo termine, la folla anonima, il popolo, il voyeur, il personaggio da pantomima. Ci addentriamo nei giochi di “prospettive” di Daniel Milhaud. Come al circo, nel varietà, negli spettacoli da fiera, nel teatro delle ombre o nel cinema delle origini, tutto è questione di “prospettiva”. Non indirizziamo mai il nostro sguardo in maniera diretta, senza intercessione, senza costruirne il dispositivo, senza che ciascuna percezione non sia bilanciata da un’altra, che ne svela l’ambivalenza. È necessario aver osservato l’artista, parlato delle sue opere negli spazi pubblici, nelle piazze e nei luoghi frequentati dalla gente; la sua scenografia lavora sulla “taglia” umana, sulle sue dimensioni, smerigliature, sul suo orientamento. È l’insieme delle arti della presenza, del passaggio e della veduta. Non è solo una questione di manipolazione, né un’ironica messa a distanza di uno spettatore; le sculture applicano lo stesso protocollo relazionale dei mobil luminosi. Esse ci riportano al processo della creazione, ripercorrendone il cammino. Poiché si è rivelato che l’artista punta tutto sulla trasmissione, e che questa non può che passare per la relazione. Ma come collegare senza attaccare o attaccarsi? Come si fa a rimanere a un’esatta distanza? Né troppo lontano da perdere la motivazione e l’effetto catalizzante, né troppo vicino, poiché la confusione dei generi annichilisce la visione. Non farsi confondere dai rebus, dalle parole-metafora, dall’humour esplicito o implicito; essi sono lì solo per far saltare il percorso che non sarebbe giunto alla fine, che si sarebbe lasciato andare a una soddifazione momentanea. Parafrasando Montaigne, potremmo dire che l’artista “dipinge il passaggio”, ciò che è dentro la realtà, e non la realtà stessa. Per farlo, egli ha bisogno di tutti i suoi corpi conduttori: ampolle, proiettori e diodi, e di idearne la 8

à la tragédie grecque, déclamation muette du masque de théâtre antique, emballée dans du papier journal. C’est le troisième terme, la foule anonyme, le peuple, le voyeur, le personnage de pantomime. On entre-là, dans le jeu des « points de vue » de Daniel Milhaud. Comme au cirque, au music-hall, dans les arts forains, les théâtres d’ombres, le cinéma des origines, tout est affaire de « points de vue ». On ne conduit pas les regards de manière directe, univoque, sans intercession, sans en construire le dispositif ; sans que chaque perception soit aussitôt contrebalancée par une autre, qui en révèle l’ambivalence. Il faut avoir vu l’artiste, parler de ses œuvres dans l’espace public, places urbaines, esplanades passantes ; sa scénographie travaille la « taille » humaine, ses dimensions, ses échelles, son orientation. L’ensemble des arts de la présence, du passage, et de la vue. Ce n’est pas uniquement une question de manipulation, ni la mise à distance ironique d’un spectateur, les sculptures gardent le même protocole relationnel que les mobiles lumineux. Elles nous remettent dans le processus même de la création, nous en refaisons le chemin. Puisqu’il s’avère que l’artiste mise tout sur la transmission, et que celle-ci ne passe que par la relation. Comment relier, sans attacher ou s’attacher, être à l’exacte distance ? Ni trop loin, on perd le motif, l’aimantation, ni trop près, la confusion des genres anéantit la vision. Ne pas se laisser perdre par les rébus, les mots valises, l’humour sous jacent ou explicite, ils ne sont là que pour dynamiter le trajet qui ne serait pas aller jusqu’au bout, qui se serait laissé aller à une satisfaction momentanée. Pour paraphraser Montaigne, on dirait que l’artiste : « Peint le passage », ce qu’il y a entre les choses, et non les choses ellesmêmes. Pour ce faire, il a besoin de tous ces corps conducteurs, ampoules, projecteurs, diodes, et d’en inventer la mise en espace,


messa in scena, l’ “ordimento”. Questo non senza una parte di illusione, di magia, di spettacolo, e ciò la rende una “arte dei cicli”. Un mezzo che rende fluido il passaggio dal mondo dei morti di Smoke (2005), inchiodati per i crani dissolti in nero alle anime, agli spiriti che viaggiano nella luce per ritornare all’origine della cesura primigenia.

la « machination ». Cela ne va pas sans une part d’illusion, de magie, d’attraction, ce qui en fait un « art des cycles ». Un médium qui rend fluide le passage du monde des morts de Smoke (2005) cloutés par ses crânes fondus au noir, avec l’âme, les esprits, qui transitent par la lumière, pour revenir à l’origine des coupes matricielles.

Qualche cosa si rigenera attraverso l’artificio di fabbrica, con Maybe [Forse] (2005), ricongiungendosi ad antichi miti e riti di passaggio, ai quali Daniel Milhaud conferisce una leggerezza aerea. In quest’opera, un “piano luminoso”, è unito al suo opposto: la pittura di una “mano negativa”, rupestre, originario, a un apparecchio di proiezione cinematografica che, “invia” in fondo al suo fascio di luce, uno spoglio «maybe» in una luminosa spirale di neon. L’opera è cosparsa anche di semenze, come se l’elemento più spirituale (la luce) si unisse a quanto c’è di più larvale e germinativo in ciò che spesso appare. È l’inganno della facezia, dell’ironia turbolenta, la prendiamo per quella che è: un gioco. Data la sua scaltrezza, nasconde il significato letterale dell’opera, lasciando libere le interpretazioni. Questo capovolgimento d’intenzioni, ci priva di un’interpretazione alla lettera. Delicatezza di un artista che non si appesantisce mai, rifiuta qualsiasi effetto dimostrativo, e in cui una grossa parte del lavoro consiste nel comporre dettagli estremamente precisi, la somma dei quali si cristallizza in un reinventato linguaggio.

Quelque chose se régénère par l’artifice de fabrication, avec Maybe (2005) cela rejoint de très anciens mythes et rites de passages, auxquels Daniel Milhaud donne une sorte de légèreté aérienne. Dans cette pièce une « boite lumineuse » réunit à son verso : la peinture d’une « main négative » rupestre, originelle, à un appareil de projection cinématographique qui « envoie » au bout de son rayon un « maybe » dénoué en un spiralé néon lumineux. L’œuvre s’enduit aussi de semences, comme si le plus spirituel (la lumière) se mariait au plus larvaire, au plus germinatif de ce qui va bientôt apparaître. C’est bien le piège de la facétie, de l’ironie turbulente, on la prend pour ce qu’elle se donne : un jeu. D’autant plus malin, qu’il cache la littéralité de l’œuvre, laissant libre les interprétations. Ce détournement d’intention, nous égare d’une prise au pied de la lettre. Délicatesse d’un artiste qui ne s’appesantit jamais, et refuse tout effet démonstratif, dont une grande part du travail consiste dans la composition de détails extrêmement précis, dont la somme se structure autour d’un langage réinventé.

Possiamo quindi intendere questo «Forse», questo Maybe, non solo come un’ipotesi, con quest’idea che ogni vita, ogni creazione resti una fragile ipotesi di fronte al nulla, ma anche come un potente incentivo: «forse». Come diceva Beckett in letteratura: «capace solo di questo», o in maniera più sobria, il Bartleby di Melville: «preferirei di no». Siamo accerchiati da due elementi assoluti, dei quali ignoriamo

On peut donc entendre ce « peut être », ce Maybe non seulement comme une hypothèse, avec cette idée que toute vie, toute création demeure une fragile hypothèse face au néant ; mais dans le même temps, il rayonne comme un puissant incitatif : « peut être ». Comme Beckett disait pour la littérature : « Bon qu’à ça », ou plus sombrement le Bartleby de Melville : « I would prefer not to ». Nous 9


tutto: ciò che c’è prima della vita e ciò che c’è dopo la morte. Cerchiamo un passaggio, a tentoni, alla cieca. Non ci resta che un «forse» che ci lasci intravedere una forma di comunicazione con l’altro. Questo dolce Maybe ci apre lo spettro delle esperienze, disegnando l’ infinita gamma delle possibilità, ma anche dell’indeterminatezza. È qualcosa che ci include in questo movimento elementare che non si arresta mai, e che ci scavalca. Poiché esso è in qualche modo legato all’istante, a questo “infinito luminoso” del presente, già descritto dai fisici del XVII secolo: «Lungi da essere il mistero assoluto, l’infinito luminoso si comunica attraverso l’idea che da vita al suo pensiero. La teoria dell’idealità dell’infinito culmina in questa tesi, che sostiene che esso esiste nel momento in cui lo si pensa, poiché esso si afferma nel momento stesso in cui noi lo pensiamo». Non sarebbe meglio dire che, le opere di Daniel Milhaud, nella loro potenza enigmatica, troveranno l’espressione troppo solenne, perentoria, essa le farà rimbalzare dalle risate o con una battuta, ma alla fine si tratta proprio di questa domanda: che cosa può «essere»?

sommes cerclés par deux absolus, dont nous ignorons tout, l’avant de la vie et l’au-delà de la mort. Nous cherchons un passage, à tâtons en aveugle, il n’y a donc qu’un « peut être » qui puisse nous laisser entrevoir une forme de communication avec l’autre. Ce gracieux Maybe nous ouvre le compas des expériences, il dessine la variété infinie des possibles, autant que l’indétermination. Quelque chose qui nous met dans ce mouvement élémentaire qui lui ne s’arrête jamais, et qui nous dépasse. Parce qu’ayant partie liée à l’instant, à cet « infini lumineux » du présent qu’avait décrit les physiciens du XVIIe siècle : « Loin d’être le mystère absolu, l’infini lumineux se communique par l’idée par laquelle il se pense. La théorie de l’idéalité de l’infini culmine dans cette thèse qu’il est quand il se pense, puisque c’est lui qui s’affirme quand nous le pensons ». On ne saurait mieux dire la force énigmatique des œuvres de Daniel Milhaud, sans doute trouvera-t-il l’expression trop solennelle, trop péremptoire, il la fera ricocher d’un éclat de rire ou d’une boutade, mais en dernière instance, c’est bien de cette question dont il s’agit : qu’est-ce qui peut « être » ?

Le parole non coincidono più con le cose, esiste uno spazio ulteriore che l’artista fa emergere, ed è in questi “scarti del linguaggio” che si infila, con un’effrazione, un intervento, un’architettura del desiderio. È la farfalla che va a posarsi sul marmo, il colibrì che spicca il volo dal suo fil di ferro, siamo noi che attraversiamo L’Arc (1993). Ogni opera dà vita ai suoi giochi ottici, ai suoi sentieri segreti, alle sue ambigue mistificazioni. Il plexiglas di Desir (2006) iscrive il suo nome in un’impossibile trasparenza, in lingue diverse le une dalle altre: lust, desiderio. L’eros confuso, latente talora allegro o incomprensibile si spande in Je dis amour? (2005), successivo a I love you (1997). Anche in questo caso si tratta di un’assurda finzione, di un inganno, le cose si

De là les mots ne coïncident plus avec les choses, il y a un espace autre que l’artiste fait surgir, et c’est dans ces « écarts de langage » que s’engouffre, par effraction, intervention, une architecture du désir. C’est le papillon qui se pose dans le marbre, le colibri qui s’envole de son fil de fer, nous qui passons à travers L’Arc (1993). Chaque pièce fait fonctionner ses pièges optiques, détient ses détours secrets, ses fictions obliques. Le plexiglas dans Désir (2006) inscrit son nom dans une impossible transparence, sous diverses langues étrangères les unes aux autres : lust, desiderio. L’éros diffus, latent, parfois opaque ou allègre se répand avec le Je dis amour ? (2005) venant après un I love you (1997). Là encore, il s’agit d’un théâtre, cousu de fil blanc, de chausse-trappes, les

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manifestano solo nella loro messa in scena. Paiono sfuggire, a chi non vede come esse siano unite anche da un fil rouge che mantiene la coerenza fra queste opere così differenti, ma che riprendono sempre lo stesso tema del labirinto di segni e di metafore, che portano il desiderio fin dentro la sua rivelazione. Non chiedete all’artista di sostenere questo o quest’altro, di proferire verità estemporanee sulle sue opere, otterreste in risposta solo il fragore del suo moto perpetuo, un: «Tu la promessa mi ritorni in mente, che, al sollevar della tempesta, io fea: Dove lasciasti Alonzo? dove i seguaci suoi?»  Una lunga eco delle parole che pronunziò quel diavolo di Prospero: il mago shakespeariano navigatore d’illusioni.

choses ne s’y manifestent que dans leur mise en scène. Elles paraissent se dérober, si l’on ne voit pas que c’est aussi un fil rouge, qu’il tient l’unité, la cohérence de ces œuvres si différentes, mais qui reprennent toujours le même thème du labyrinthe des signes, des métaphores, qui mènent le désir jusque dans sa révélation. Ne demandez pas à l’artiste d’affirmer ceci ou cela, de déclarer des vérités intempestives sur son œuvre, vous n’aurez comme toute réponse que le fracas de son mouvement perpétuel, un : « I did say so, when first I raised the tempest. Say, my spirit, how fares the king and’s followers? », un long écho de ce que profère ce diable de Prospero : le magicien navigateur en illusions de Shakespeare.

ottobre 2011

Octobre 2011

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Yan Ciret

Yan Ciret

Intervista con Daniel Milhaud

Entretien Daniel Milhaud

Y.C.: Lei non ha mai aderito a nessun grande movimento artistico come il NouveauRéalisme, la Pop Art, il secondo periodo del Surrealismo o il Lettrismo, pur avendone conosciuto i protagonisti. Come spiega questo fatto?

Y.C.: Vous n’avez jamais adhéré à aucun des grands mouvements esthétiques, le Nouveau-Réalisme, le Pop Art, le Surréalisme deuxième période, le Lettrisme, alors que vous en connaissiez nombre de protagonistes, comment l’expliquez-vous ?

D. M.: No, effettivamente ho sempre compiuto ricerche autonome. Tendiamo a inseguire l’evoluzione di qualcosa che è dentro di noi, e non c’è tempo di avvicinarsi a concetti a noi lontani. Se vogliamo, è nel Minimalismo che ho trovato molti punti d’interesse, tuttavia, l’avevo già incontrato, nei megaliti. Spesso quindi questo tipo di cose ti colgono per vie indirette. Si crede che la mia folgorazione per la pietra sia avvenuta a Carrara, invece è stato in Bretagna, quando ho notato come anche un singolo megalite fosse in grado di modificare l’intero paesaggio. In gioventù, mi sono avvicinato molto all’Espressionismo, ma anche in questo caso, attraverso un’altra fonte rispetto al movimento in sé per sé: dalla visione del Cristo di Grünewald.

D. M. : Non, en effet, je suis resté complètement autonome dans mes recherches. Vous poursuivez l’évolution de quelque chose qui est en vous, et vous n’avez pas le temps de vous apparenter à des concepts qui viennent d’ailleurs. Si vous voulez, j’ai trouvé dans le minimalisme des rapports avec ce que je faisais ; cela m’a beaucoup intéressé, mais j’avais déjà rencontré le Minimalisme, à travers les mégalithes, c’est donc de manière souvent indirecte, que ces choses-là arrivent. On pense que mon choc, avec la pierre, c’est à Carrare que je l’aurais eu, alors que c’est en Bretagne, lorsque j’ai vu qu’un seul mégalithe pouvait modifier tout le paysage. J’ai été très proche de l’expressionnisme, plus jeune, et là aussi ça vient d’une autre source, que le mouvement lui-même, mais de ma vision du Christ de Grünewald.

Y.C.: Vuol dire il Polittico d’altare di Issenheim?

Y.C.: Vous voulez parler du retable d’Issenheim ?

D. M.: Sì, è straordinario, il mio legame con Kokoschka, che è stato il mio unico “maestro”, nell’accezione classica del termine, nasce da lì. Quando avevo 23 anni e seguivo i suoi corsi a Salisburgo, mi recavo nella sua casa di Bellevue per mostrargli i miei lavori. È stato un passaggio molto importante per me.

D. M. : Oui, c’est extraordinaire, et c’est par là que se fait le lien avec Kokoschka, qui a été mon seul « maître » au sens classique du terme ; lorsque j’avais vingt-trois ans, je suivais ses cours à Salzbourg, et je me rendais dans sa maison de Bellevue, pour lui montrer mes travaux, ce qui a été très important pour moi.

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Y.C.: Ciò che l’ha allontanata dai movimenti avanguardisti europei non è stato il fatto di aver vissuto negli Stati Uniti, di avere quasi una seconda cultura americana?

Y.C. : Est-ce que, ce qui vous a éloigné des mouvements avant-gardistes européens, n’est pas le fait d’avoir vécu aux Etats-Unis, d’avoir presque une double culture américaine ?

D. M.: Certamente, ciò mi ha fatto acquisire soprattutto un diverso senso dello spazio.

D. M. : Bien sûr, cela m’a donné surtout un tout autre sens de l’espace.

Y.C: Allo stesso tempo, la cultura americana non separa le arti popolari da quelle dei grandi, la cultura erudita da quella popolare. Ciò lo si può ritrovare nelle Sue opere? Questo a parte il fatto che Lei rielabora certi simboli, cambiando loro collocazione. Nel caso del Polittico di Issenheim, può riprendere l’elemento della croce solo per trasformarlo in qualcosa di diametralmente diverso?

Y.C : En même temps, la culture américaine ne différencie pas le arts populaires, les arts des mythes, culture savante et culture populaire, ce que l’on retrouve dans votre œuvre ? Sauf que vous, vous détournez certains symboles, vous les déplacez, le retable d’Issenheim vous pouvez en reprendre la croix, mais pour en faire tout autre chose ?

D. M.: È l’ “eterno ritorno” degli elementi di cui parlava Nietzsche. Ciò che provoca un’evoluzione anche attraverso l’utilizzo di certi materiali. Quando ho iniziato a lavorare con il neon, mi attraeva la sua capacità di rappresentare la “forma-parola”, cioè, la cosa più comune che si possa osservare nel quotidiano. Adesso, il mio approccio è molto diverso, mi sono allontanato dalla parola per avvicinami al colore. Sono stato pittore per vent’anni e non l’ho dimenticato. Anche per ciò che riguarda la scultura, negli spazi pubblici procedo sempre partendo dal colore, al contrario di uno scultore, che si concentrerebbe unicamente sulla pietra. Y.C.: In questo senso, quando Lei crea nello spazio, ingloba sempre una parte d’interiorità? D. M.: Non è proprio così; quello che penso è che il monumentale debba sempre possedere un qualcosa di intimo, quale che sia la sua grandezza. Prendiamo ad esempio i Menhir: per quanto siano immani non sono mai vuoti. Questo perché sentiamo fortemente la presenza di coloro che si sono riuniti, e hanno lavorato per scolpire e innalzare questi 14

D. M. : C’est ce que Nietzsche appelle « l’éternel retour », des éléments reviennent en vous. Ce qui amène une évolution, à travers même l’usage de certains matériaux. Au moment où j’ai commencé à travailler avec le néon, ce qui m’a intéressé c’est sa représentation de « la forme mot ». C’està-dire, la chose la plus commune, que l’on peut voir dans la rue. Maintenant, je m’en serre de manière très différente, je me suis écarté du mot, pour aller vers la couleur. Je n’ai pas oublié, que j’ai été peintre, pendant vingt ans. De même pour la sculpture, dans l’espace public, mon approche passe par la couleur, contrairement à un sculpteur qui ne s’attacherait qu’à la pierre en elle-même. Y.C.: Dans ce sens, lorsque vous travaillez dans l’espace, vous intégrez toujours une dimension d’intériorité ? D. M. : Ce n’est pas exactement cela ; ce que je pense, c’est qu’il faut que le monumental contienne quelque chose de l’intime, quelque soit sa grandeur. Prenez les « pierres levées », elles peuvent être grandes, mais elles ne sont jamais creuses. Parce qu’on y a la sensation forte de ceux qui s’y sont réunis, qui ont


massi, nonostante che misteriosamente, non conosciamo più le motivazioni per le quali l’hanno fatto.

travaillé pour dresser, pour élever ces pierres. Malgré le fait mystérieux que nous n’en sachions plus les raisons.

Y.C: Ho avvertito anche un pensiero cosmico, un lato ermetico o culturale. Questo mi induce a pensare che vi sia qualche segreto nelle Sue opere; si possono quindi definire “opere col trucco”?

Y.C : Il y avait aussi un souci cosmique, un aspect hermétique ou cultuel ; ce qui me fait penser qu’il y a une donne cryptée dans vos œuvres, ce sont presque des « œuvres pièges » ?

D. M.: Sì. Certo, è sempre così. Se non ci fossero segreti saremmo in grado di comprendere tutto e la cosa sarebbe priva di qualsiasi interesse. Anche il linguaggio ha la sua parte segreta. Prenda quest’opera, due colonne con su scritto per cinque volte la parola “notte” e “otto” in lingue diverse, Lei non riesce a capirne assolutamente il significato. Queste due colonne si chiamano “Le Lettere”, sulla prima ho scritto “parola” al singolare e sull’altra al plurale. L’opera s’intitola «Lettres et le néon», è un gioco di parole con «Les lettres et le néant» di Sartre, che non fa alcun riferimento alla sua filosofia. È una provocazione. Un altro esempio è quello di una frase a doppio senso, basata sulla relazione tra le parole “arte” e “rosa”. «L’art ose arroser la rose».

D. M. : Oui, bien sûr, c’est comme ça que l’on fonctionne, toujours. S’il n’y avait pas de secret, on comprendrait tout, et cela n’aurait aucun intérêt. Dans le langage aussi, il y a cette part secrète. Vous avez vu cette œuvre, à deux colonnes avec cinq fois le mot nuit et le mot huit, dans des langues différentes, et l’on ne comprend absolument pas pourquoi. Et ces deux colonnes s’appellent « Les Lettres », derrière j’ai écrit « mot » au singulier sur l’une et au pluriel sur l’autre. L’œuvre s’appelle « Lettres et le Néon », c’est un jeu de mot avec « L’être et le néant » de Sartre, mais sans référence à sa philosophie. C’est une boutade. Une autre, c’est une phrase qui tourne en rond, se basant sur les rapports du mot « art » et du mot « rose ». L’art ose arroser la rose.

Y.C.: La Sua è una generazione che ha messo profondamente in discussione il linguaggio: pensiamo alla psicoanalisi, a Lacan e ai suoi giochi di parole, allo Strutturalismo, a «Le parole e le cose» di Foucault o all’Oulipo di Perec e Queneau. D. M.: Sì, è stato Freud a sottolineare l’importanza del “motto di spirito”, tuttavia, quella dei “giochi di parole” è una lunga tradizione. La letteratura ne è piena: in Shakespeare, ad esempio, o nella Bibbia; io non leggo l’ebraico ma di certo contiene doppi sensi, come anche la poesia giapponese. Essi esprimono anche volontà di distacco dalla realtà: stravolgendo una parola ci si allontana

Y.C.: Vous êtes de la génération où le langage a été profondément mis en question, par la psychanalyse, par Lacan et ses jeux de mots, par le structuralisme, « Les mots et les choses » de Foucault, l’Oulipo avec Perec et Queneau ? D. M. : Oui, c’est Freud qui a souligné l’importance du « mot d’esprit » ; mais l’histoire des « jeux de mots » a une longue tradition. Dans la littérature, chez Shakespeare, il y en a énormément, même dans la Bible, je ne comprends pas l’hébreu, mais il y a des doubles sens, dans la poésie japonaise aussi. C’est aussi une position de distance par rapport au réel, en détournant un mot vous obtenez une distanciation, par 15


dalla parola stessa e dalla realtà che questa vuol rappresentare. Alla fine ciò finisce per diventare un’attitudine.

rapport à ce mot, et par rapport au réel qu’il recouvre. Cela fini par correspondre à une attitude.

Y.C.: D’altronde, questo straniamento implica che, osservando le Sue opere non possiamo essere certi di averle comprese appieno, c’è quindi un fondo d’incertezza?

Y.C.: D’ailleurs, cette distanciation implique que, devant vos œuvres, l’on n’est jamais sûr d’avoir compris, il y a un principe d’incertitude ?

D. M.: Beh, davanti a opere che hanno attraversato i secoli, si ha sempre la medesima reazione, c’è sempre qualcosa che ci sfugge. Victor Hugo ha dato una definizione della bellezza, che io trovo molto potente: «La bellezza è l’infinito in una forma». Noti il paradosso: Lei possiede un quadro bellissimo ed esso, attraverso la sua forma, è in grado di regalarle l’eternità.

D. M. : Mais avec les œuvres qui ont traversé le temps, on a la même réaction, il y a quelque chose que l’on ne comprend pas. Il y a une définition de la beauté par Victor Hugo, que je trouve très forte, il dit : « La beauté, c’est l’infini dans une forme ». Vous voyez le paradoxe. Vous avez un sublime tableau, et il vous donne l’infini, à travers sa forme.

Y.C.: Ciò che vuole mettere in evidenza è l’uso del paradosso, della contraddizione; una sorta di destabilizzazione che s’accompagna alla velocità?

Y.C.: Ce qui accentue cela, c’est l’usage du paradoxe, de la contradiction, une déstabilisation, qui s’accompagne d’une vitesse ?

D. M. Sì. Siamo sempre sul filo del rasoio; quando destabilizziamo creiamo straniamento. È vero che vado veloce, o meglio, evolvo rapidamente, perché sono sempre alla ricerca di nuovi materiali per evolvermi. D’altronde, è dalla pittura che è nata la scultura, se vogliamo, le forme piane tendevano al volume. Lo stesso vale per le opere in plexiglass, in cui la luce e l’ombra vanno a completarsi. Uno dei principi a cui tengo molto è quello per cui voglio evitare in ogni modo la ripetizione. Esso va a ricongiungersi con l’idea della velocità. I pigmei sostengono che se si infonde la vita a una linea, questa genererà il serpente, con tutte le connotazioni ritmiche che comporta.

D. M. : Oui, on est toujours sur le fil du rasoir, en déstabilisant on crée de la distanciation. C’est vrai que je vais vite, ou plutôt j’évolue rapidement, parce qu’il faut toujours trouver les nouveaux matériaux pour évoluer. D’ailleurs c’est de la peinture qu’est venu la sculpture, si vous voulez les formes sur plan fuyaient vers le volume. De même pour les œuvres sur plexiglas où l’ombre et la lumière se complètent. Avec l’un des principes auxquels je tiens beaucoup, éviter absolument la répétition. Cela rejoint ce souci de vitesse, les pygmées disent que si l’on met de la vie dans un trait, cela donne le serpent, avec toutes les connotations de rythme que cela produit.

Y.C.: Un altro aspetto della Sua opera è la teatralità: la ritroviamo sia negli Autoritratti, che nelle maschere.

Y.C.: Un autre aspect de votre œuvre, c’est la théâtralité, on la retrouve dans vos Autoportraits, et dans votre art des masques ?

D. M.: Ciò è legato a un periodo molto importante, gli anni ’70, durante i quali ho

D. M. : Cela a été un moment important, j’ai fait beaucoup de masques, dans les

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realizzato molte maschere. La maschera neutra, non esprime alcun significato, rifugge qualsiasi introspezione psicologica, ma conferisce estrema importanza al gesto e al movimento. Ma ciò che amo di più è il carnevale, perché non sappiamo mai chi si cela sotto la maschera, un uomo? Una donna? È esattamente così che amo osservare un quadro, prima solo da destra, e poi solo da sinistra. In questo modo si possono percepire le linee di forza, linee compositive molto incisive, ma che non sono mai le stesse. La cosa importante è che se ci posizioniamo al centro, il gioco d’equilibrio permette di bilanciare questi due estremi. Se va a vedere la “Crocifissione” del Tintoretto, in San Rocco, a Venezia, lei potrà osservare la vita del quadro nello spazio tra un punto e l’altro.

années soixante-dix. Le masque neutre qui ne signifie rien, qui évite toute psychologie, et donne toute son importance au geste, au mouvement. Mais j’aime surtout le carnaval, parce qu’on ne sait jamais qui est derrière, sous le masque, un homme ou une femme. C’est aussi ce que j’aime en regardant un tableau, le voir du côté droit absolu, puis le voir du côté gauche absolu, on perçoit des lignes de force, des lignes de constructions très fortes, mais qui ne sont absolument pas les mêmes. La notion importante ici, c’est que si vous vous placez au centre, le jeu d’équilibre permet d’équilibrer ces deux extrêmes. Si vous allez voir la « Crucifixion » de Tintoret, à San Rocco à Venise, vous allez voir comment vit le tableau, en passant d’un point à un autre.

Y.C.: Come vede l’arte contemporanea, rispetto a quella moderna?

Y.C.: Comment voyez-vous l’art contemporain, par rapport à l’art moderne ?

D. M.: L’arte contemporanea deriva da quella moderna, ma tende a dimenticare, ad avere amnesie. Ciò che ha infuso una nuova linfa è stata la video-arte di Gary Hill e l’uso della luce fatto da James Turrel e Dan Flavin, spazi del tutto nuovi, dei quali mi approprio.

D. M. : L’art contemporain provient de l’art moderne, mais il a tendance à l’oublier, à être amnésique. Ce qui a apporté un sang nouveau, c’est l’art de la vidéo (Gary Hill), c’est l’utilisation des lumières (James Turrell), Dan Flavin, tout un nouvel espace que je rejoins.

Y.C.: Che rapporto aveva con un movimento, sotto certi aspetti a Lei vicino, come quello degli “Affichisti”? D. M. Nessuno, detto questo, ho sempre apprezzato il gesto dello strappo, ma l’aspetto del “ready-made” non mi appartiene. Anche in Fontana, amo la violenza del taglio, certamente fatto senza l’aiuto del tiralinee. È soprattutto nell’ “Arte Povera” che ho trovato una rispondenza. La nuda evidenza dei materiali mi ha sempre dato una grande soddisfazione. ottobre 2011

Y.C.: Quelles relations aviez-vous avec un mouvement, qui par certains côtés, pourrait vous être proche, comme les Affichistes ? D. M. : Aucun, cela dit j’ai toujours apprécié le geste de la déchirure, mais le côté « readymade » m’est étranger. Chez Fontana aussi j’aime la violence de l’entaille certainement pas faite avec un tireligne. C’est surtout dans l’« Arte Povera » que j’ai trouvé un écho. L’évidence nue des matériaux m’a toujours donné une grande satisfaction. Octobre 2011

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NOEUD 1995

cartapesta e pittura acrilica papier machĂŠ et acrylique cm.54x82x58

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EN BLANC ET NOIRE 1995 cartapesta e pittura acrilica papier machĂŠ et acrylique cm.43x42x80

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ENTRE CROISÉS 1995

cartapesta, legno e pittura acrilica papier maché, bois et acrylique cm.54x82x58

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LUNULES 2011

pittura serigrafica su plexiglas peinture sĂŠrigraphique sur plexi cm.56x50x19

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MAINS 2011

pittura serigrafica su plexiglas peinture sĂŠrigraphique sur plexi cm.100x70x10

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VOLS 2011

pittura serigrafica su plexiglas peinture sĂŠrigraphique sur plexi cm.115x132x26

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POISSONS 2011

pittura serigrafica su plexiglas peinture sĂŠrigraphique sur plexi cm.80x104x13

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NUAGES 2011

pittura serigrafica su plexiglas peinture sĂŠrigraphique sur plexi cm.100x150x30

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TRAMONTO 2011

da Bruno Munari: ho provato ad insegnare a vedere un arcobaleno di profilo. pittura serigrafica su plexiglas peinture sÊrigraphique sur plexi cm.75x89x20,5

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TÊTE À TÊTE tecnica mista su carta technique mixte sur papier cm.56x76

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DANIEL MILHAUD Nato il 9 febbraio 1930 a Parigi. Passa l’adolescenza in California (USA) dove, giovanissimo, comincia a dipingere. Va a studiare a New York (Art Students Leaugue). Nel 1947 ritorna a vivere in Europa con lunghi soggiorni a Roma e Firenze. Dal 1956 al 1961 segue i corsi estivi di Kokoschka a Salisburgo (A.) Si stabilisce a Parigi da cui riparte nel 1989 per l’Italia in Versilia. Da quegli anni divide i suoi soggiorni tra i due paesi. Ha insegnato scultura alla Parson School of Design di Parigi.

Né le 9 février 1930 à Paris. Passe son adolescence en Californie où il commence la peinture, part pour New-York (Art Students league), rentre en Europe en 1947, vit à Rome puis Florence, tout en suivant les cours d’été de Kokoschka à Salzbourg, 1956 à 1961. Retour à Paris, puis revient en Versilia en 1989. Et depuis partage son temps entre les deux pays. A enseigné la sculpture à la Parson School of Design de Paris.

Principali esposizioni personali dopo il 1980 Principales expositions personnelles depuis 1980 1980 Centre Culturel de Villeparisis 1981 Dominican College de San Francisco 1983 Galerie Zem Specht, Bâle 1984 Université de Cleveland, USA, Tableaux dans les collections privées américaines Galerie Im Rathausdurchgang, Winterthur 1985 Centre culturel de Brétigny 1986 Galerie Zem Specht, Bâle 1989 Galerie Carzaniga-Uecker, Bâle 1990 C.A.C. de Corbeil-Essonnes 1991 Galerie des Beaux Arts, Nantes 1995 Galerie ESCA à Milhaud, Gard, Volumes de peintres avec Michel Duport et Jan Voos 1998 Galerie Satellite, Paris 1999 Galerie Satellite, Paris Galerie des Beaux Arts, Lorient Collection Duo, Editions Maeght, La Voyageuse 2002 Galerie ESCA, Milhaud, Gard 2003 Bobbie Greenfield Gallery, Santa Monica, Californie

2009 Le 19 - Hôtel de Sponeck, Montbéliard. Chiostro di San Agostino, Pietrasanta, Altamente infiammabile MXM Arte, Pietrasanta, Trait d’union Espace Julien Green, Andresy, Tout feu tout flamme Galerie Passage de l’Art, Marseille, Trait pour trait - Très portrait 2011 Festival Ossiach, Carinthisher sommer, Autriche, Les Têtes 2012 Galleria Peccolo, Livorno

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Principali esposizioni collettive dopo il 1980 Principales expositions collectives depuis 1980 1980 Chez soi, quant à soi, Centre National d’Art Contemporain, Paris. Oeil pour oeil, installation pour 15 sculptures en équilibre, Villeparisis. 1981 Les machines inutiles, Limoges. Sculptures sur métal, exposition itinérante, La Rochelle, Saint Brieuc, Musée de Belfort, Sarcelles. 1983 Les Oiseaux, Maison de la Culture, Boulogne. Musée Granet, Aix en Provence. Une journée à la campagne, Pavillon des Arts, Paris. 1984 Salon de la Jeune Sculpture, Paris. ART 84, Bâle. 1985 Le temps du regard, exposition itinérante organisée par le Ministère de la Culture dans les Centres Hospitaliers. ART 85, Bâle. 1986 ART 86, Bâle. 1987 De l’Art, Musée de l’Assitance Publique, Paris. 1995 Un mot pour le dire, Galerie Satellite, Paris. De l’Art d’Afrique à l’Art Moderne, Musée de la ville de Sisteron. Mostra della pietra lavorata, Castel San Niccolò, Arezzo. 1996 Von des Africanishen zur Modernen Kunst, Galerie der Stadt, Tütltlingen, Allemagne. 2000 Arte nella Città, La Spezia. Dessins choisis, Alliance Ethio-française, Addis Abeba, Ethiopie. 2001 Dessins choisis, Forum culturel du BlancMesnil. Mostra della pietra lavorata, Castel San Niccolò, Arezzo. 2004 Vous avez dit : bizarre..., La Galerie, Paris. 2005 Premier Indice, Galerie Satellite, Paris. 2006 Art Portable, Galerie Satellite, Paris. 2007 Quinze ans et plus si affintés, Galerie Satellite, Paris. 38

2007 D’Apres, MXM Arte, Pietrasanta. 2008 Paradoxe, Galerie Satellite, Paris. 2008 Sotto il segno, MXM Arte, Pietrasanta. 2009 Sculpture contemporaine, balade en Yvelines, Andrésy. 2010 Mots en turbulence, Bibliothèque Elsa Triolet et Jules Verne, Cinéma 104, Pantin. 2011 150 ans de l’Unité italienne, Galerie Satellite, Paris. Espaces de destins/espèces de dessins, Le 19, CRAC, Montbéliard. Exposition interplanétaire, Galerie Satellite, Paris.` Arte Verona, MXM Arte, Verona.

Opere in Musei e Collezioni Pubbliche Oeuvres dans les Collections Publiques Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris FNAC. Trois elles sont trois, 1992, trois sculptures monumentales, Bobigny. Fontaine, 1993, Place des Grès, Paris.


Bibliografia Bibliographie

Pubblicazioni Publication

Prefazioni / Préfaces 1955 Claude Roy. 1960 Waldemar Georges. 1961 John Ashberry. 1963 Alfred Neumeier, Jean Cassou. 1965 Stanislas Van Moos. 1983 Maurice Pianzola. 1986 Phillipe Cyroulnik. 1990 Frédéric Valabrègue, Chantal Cusin-Berche. 1992 Frédéric Valabrègue. 1998 Arnaud Labelle-Rojoux. 1999 Frédéric Valabrègue. 2002 Antonella Serafini.

1990 Monographie publiée par le Centre d’Art Contemporain de Corbeil-Essonnes. Éditions Pierre Belfond. Texte de Frédéric Valabrègue, Prèface de Chantal Cusin-Berche 2008 Dictionnaire international de la Sculpture Moderne et Contemporaine. Editions du Regard, Paris. 2009 Livre édité par L’Allan et Le 19 C.R.A.C. Montbéliard La Planète Milhaud préface de Philippe Cyroulnik Vice Versa texte de Frédéric Valabrègue

Interviste e Tesi Universitarie Thèse et entretiens

Documentari Documentaire

Thèse de Marina Quaranta, Académie des Beaux Arts, Milano. Antonella Serafini, Chiacchierata.

2010 Hors Cadre - Breaking the frame Milhaud’s Planet Direction/ Regia Pierre Stoeber 52 min. aaaproduction - Cinéplume/TVM

Articoli su riviste Articles de presse 1967 Johm Russel, London Times. 1980 Jean-Luc Chalumeau, Les corps incertains, Opus 76. 1980 Maïten Bouisset, le matin de Paris. 1983 Aurel Schmidt, Basler Magazin. 1985 Monique d’Aubigné, Art Press. 1986 Phillipe Cyroulnik, Opus 99. 1990 Anne Tronche, Beaux Arts magazine. 1990 Patricia Brignone, Opus 121. 1995 Gilbert Lascaut, feuilles libres. 1995 Midi libre. 1996 Patricia Brignone, feuilles libres.

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