edizioni roberto peccolo livorno
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GIOVANNI BONALDI ENRICO T. DE PARIS FRANCESCO DE MOLFETTA RAFFAELLA FORMENTI RICCARDO GUSMAROLI BRUNO LUCCA ELENA MODORATI ANTONELLA ZAZZERA
FUORI CORRENTE
introduz ione di
Arturo Schwarz
t es t o d i
Federico Sardella
FUORI CORRENTE edizioni roberto peccolo livorno 68 gennaio 2012 Catalogo edito in occasione della mostra n. 351 presso la Galleria Peccolo Piazza della Repubblica, 12 I - 57123 Livorno galleriapeccolo@libero.it Traduzioni: Stephen Piccolo Š Copyright Edizioni Peccolo e degli Autori ISBN: 978 88 96294 18 5 1979, Kaiserswerth. Realizzazione e stampa: Winfred e Barbara nel loro giardino Debatte Otello srl - im Livorno Winfred und Barbara Garten
Arturo Schwarz
Arturo Schwarz
Fuori corrente - dall’arte accademica
Fuori corrente - outside the academic art trend
Il mondo artistico sta vivendo oggi una doppia, mortale, ambiguità. Si sta manifestando un odio alle arti plastiche che esigono un certo grado di manualità. Con il pretesto di volere respingere il formalismo dell’arte per l’arte, si è giunti a una forma d’arte contro l’arte. Una nuova, auto-proclamatasi avanguardia, ha, infatti, tutte le caratteristiche della più trita accademia: ripetizione dell’identico, sia del tema sia della forma; ricorso al monumentale e allo smisurato; accento sul decorativo; ambizione di scandalizzare ad ogni costo; mancanza totale di autentica ispirazione. Non credo sia necessario ricordare che vi sia più arte e poesia in un acquarello di 20 cm quadri di Paul Klee che in 20 metri di tele stampate da Buren. Jeff Koons pensa di scandalizzare con opere di schietta pornografia, mentre Cattelan vuole suscitare lo scandalo con le immagini del papa schiacciato da un meteorite; oppure esponendo, in una pubblica piazza, dei fantocci di bambini impiccati. Regna pure una completa confusione semantica totalmente inedita. Sotto la categoria di “arte plastica” si fanno rientrare generi che hanno certamente una loro dignità artistica ma che nulla hanno a che fare con la manualità richiesta dalla pittura, dalla scultura, dal disegno o dall’incisione. Un segnale positivo: Gillo Dorfles, in uno suo recentissimo articolo, sottolinea la recente tendenza di “un recupero della manualità”.1 Gli “Happening” sono semplicemente improvvisazioni (alla maniera del jazz) di mini-teatro. Ricordo che quando assistetti ai primi Happening, a New York, nel 1960, Allan Kaprow, Claes Oldenburg, John Cage e Jim Dine erano d’accordo di definire questo mezzo
The art world is going through a dual, fatal ambiguity today. A hatred of the plastic arts that require a certain degree of manual skill is emerging. With the pretext of rejecting the formalism of art for art’s sake, a form of art against art has arisen. A new, self-appointed avant-garde that, in effect, has all the characteristics of the most hackneyed academicism: repetition of the identical, in terms of both theme and form; use of the monumental and off-scale immensity; an accent on decoration; the goal of causing a scandal at all costs; a total lack of authentic inspiration. I don’t think it is necessary to remind anyone that there are more art and poetry in a watercolor of 20 square centimeters by Paul Klee than in 20 meters of canvas printed by Buren. Jeff Koons thinks he can shock somebody with works of unabashed pornography, while Cattelan wants to raise eyebrows with the image of the pope crushed by a meteorite, or by displaying hanged effigies of children in a public square. There is also a totally unprecedented situation of complete semantic confusion. Under the heading of “plastic art” some now include genres that may have their own artistic dignity, but have nothing to do with the manual skill required by painting, sculpture, drawing or engraving. One positive signal: Gillo Dorfles, in a very recent article, points to the current trend of a “return to manual ability”.1 “Happenings” are simply mini-theatrical improvisations (as in jazz). I remember that when I attended the first Happenings in New York in 1960, Allan Kaprow, Claes Oldenburg, John Cage and Jim Dine were in 3
espressivo come un “evento teatrale senza trama predeterminata”. Allo stesso modo i Video appartengono alla cinematografia; le Istallazioni alle sceneggiature; le opere realizzate con i tubi al neon, sono esempi di interior decoration; la body art è l’espressione di un narcisismo esasperato, spesso di impronta sado-masochista. Nel migliore dei casi, si potrebbe definire la body art come una forma dell’arte dell’attore. Tutto questo mi porta ad una riflessione sentita dal gentile e inventivo Man Ray. Se un artista vuole veramente rompere le regole, la prima regola è quella di conoscerle, anzi, di padroneggiarle.
agreement that this expressive medium should be defined as a “theatrical event without a preset plot”. Likewise, video belongs to the world of film; installation to that of set design; works made with fluorescent tubes and neon to that of interior decorating. Body Art is the expression of extreme narcissism, often with S+M overtones. In the best cases, we might say that Body Art is a form of the art of acting. All this brings me to a reflection I heard from the genteel, inventive Man Ray. If an artist really wants to break the rules, the first rule is to know them, or even to have mastered their tenets.
La riflessione di Man Ray mi porta a ricordare Arp. Credo che pochi artisti abbiano saputo rompere tutte le regole della scultura tradizionale e allo stesso tempo, modellare il proprio materiale con altrettanto amore e sapienza, con altrettanta sensualità mista ad un estrema conoscenza dell’intima struttura della materia. A proposito dello sguardo infantile che Arp portava sul mondo, vorrei raccontarvi un episodio vissuto. Possedevo una sua scultura intitolata L’Idolo dei conigli. Nessuno tra i miei numerosi visitatori vide mai in quest’opera una qualsiasi somiglianza con un coniglio. Un giorno venne a trovarmi il figlio (7 anni) di una cara amica. Appena vide la scultura esclamò “che bel coniglio!” Mi tornò allora in mente la frase di Deleuze: “L’arte permette di ridiventare bambini”.
Man Ray’s consideration reminds me of Arp. I believe that few other artists have understood as he did how to break all the rules of traditional sculpture and, at the same time, to shape its material with such love and knowledge, such sensuality mixed with extreme comprehension of the inner structure of the material. Speaking of the childlike gaze Arp focused on the world, I would like to tell of a firsthand experience. I owned one of his sculptures, entitled Idol of the Rabbits. Not one of my many visitors ever saw any resemblance to a rabbit in this work. One day the son (7 years old) of a dear friend came to visit. As soon as he saw the sculpture he exclaimed “what a nice rabbit!” I was reminded of a phrase of Deleuze: “Art lets us become children again”.
Un’opera d’arte dovrebbe possedere tre qualità essenziali. La prima di queste è l’originalità, requisito indispensabile perché l’opera d’arte abbia la capacità di ampliare i nostri orizzonti visivi e mentali. Ma la sola originalità non basta. Nella nostra era tecnologica è abbastanza facile escogitare novità eccitanti che vengono ben presto rese obsolete da altre. Al contrario, ciò che è davvero originale, o unico, porta con sé la promessa di una validità senza tempo.
An artwork should possess three essential qualities. The first is originality, an indispensable factor that gives the artwork the capacity to widen our visual and mental horizons. But originality alone is not enough. In our technological era it is quite easy to think up exciting novelties that are soon made obsolete by others. Instead, what is truly original, or unique, brings with it the promise of a timeless validity. The imaginative power of the artist, then, has to be developed to
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Il potere immaginativo dell’artista deve perciò essere sviluppato a un tale livello da potere creare una realtà finora sconosciuta. Il che implica che non può creare “su commissione” obbedendo a una richiesta esterna anziché ad una esigente pulsione interiore. Cosa che porta alla seconda qualità dell’opera d’arte. Un’opera d’arte se tale sarà, deve essere motivata da un irresistibile impulso che nasce dal profondo. L’artista deve obbedire a un impellente bisogno cognitivo ed emotivo, avendo sempre presente il consiglio dato da Polonio a suo figlio Laerte: «Questo sopra tutto: a te stesso sii fedele» (Amleto I:3). Ma, di nuovo, il requisito dell’autenticità da solo non basta. La pulsione creativa non è prerogativa dei soli artisti. Anche uno squilibrato mentale la può avvertire, ma sebbene l’opera di questi può, a volte, avere una potenza espressiva e un valore estetico, non è sempre il caso. In breve, la seconda qualità che si richiede all’artista è che la sua sensibilità sia bilanciata da una sincerità altrettanto esigente. La terza qualità – la più sfuggente, sia da descrivere, sia da acquisire – è che l’opera d’arte non solo deve renderci consapevoli di una nuova realtà ed essere il frutto di una necessità esistenziale, deve anche suscitare una emozione di carattere iniziatico ed emanare un’aura poetica. Come l’arte, pure la poesia deve suscitare un emozione. Così la pensava anche il grande poeta Pierre Reverdy intitolando un suo saggio “Questa emozione che chiamiamo poesia”.2 In proposito, Jacobson chiariva, «L’oggetto della scena letteraria non è la letteratura, ma la letterarietà, vale a dire, ciò che dà ad ogni opera una qualità letteraria».3 Analogamente, quando guardo un’opera d’arte, sono interessato non tanto dalla sua qualità estetica, quanto dalla sua potenza emotiva e quindi
the point of managing to create a reality previously unknown to us. This implies that the artist cannot create “on commission”, complying with an external request instead of a demanding inner impulse. And this brings us to the second essential quality of an artwork. A work of art, if it is art, must be motivated by an irresistible impulse that springs from the depths of its maker. The artist has to respond to an impelling cognitive and emotional need, always keeping in mind the advice given by Polonius to his son Laertes: «This above all: to thine own self be true» (Hamlet I:3). But, again, the requirement of authenticity cannot suffice on its own. The creative impulse is not an exclusive prerogative of artists. Even a mentally deranged person can sense it, but while a work by that person may at times have expressive power and aesthetic value, this will not always be the case. In short, the second quality demanded of the artist is that his sensitivity be balanced out by an equally demanding sincerity. The third quality – the most elusive, both to describe and to achieve – is that the artwork not only has to make us aware of a new reality and be the result of an existential necessity, but must also stimulate an emotion of an initiatic character and emanate a poetic aura. Like art, poetry too must prompt an emotion. This was the view of the great poet Pierre Reverdy, who entitled an essay “Cette émotion appelée poésie”.2 On this subject, Jacobson clarified that the «object of literary science is not literature but literariness, i.e. what makes a given work a literary work».3 In like manner, when I look at a work of art I am interested not so much in its aesthetic quality, as in its emotional and therefore poetic power. These are the values that grant the work its aesthetic quality. This quality is unutterable. If an expression 5
poetica. Sono questi valori che conferiscono all’opera la sua qualità estetica. Questa qualità è ineffabile. Se un espressione artistica o poetica è tale, è perché questa espressione suscita, anche, una emozione. Ne consegue che è partecipe di un elemento misterioso che mai si dovrebbe cercare di dissipare, se non si vuole che il suo impatto sia distrutto. Così Marcel Duchamp affermava, “Non si può valutare a parole il contenuto o il valore di un quadro [o di una poesia aggiungerei]. Non si può interpretare una forma di espressione con un’altra forma di espressione. A dir poco, si distorcerà completamente il messaggio originale, qualsiasi cosa se ne possa dire”.4 Nella Critica della critica del giudizio, Kant forniva un fondamento epistemologico per le tre semplici regole che ho tracciato per mio conto, quando osservava che «le arti belle devono essere necessariamente considerate come arti del genio»5 e proseguiva osservando che il genio «è un talento per produrre ciò per cui non può esserci alcuna regola determinata, e non una disposizione di abilità per ciò che può venire imparato secondo una qualche regola: di conseguenza l’originalità dev’essere la sua prima peculiarità» (ibid.). Specificava anche che, dato che vi potrebbe essere una «assurdità originale», era necessario che il genio producesse opere che «devono essere al contempo modelli, cioè devono essere esemplari, e dunque, pur non essendo scaturiti dall’imitazione, devono però servire agli altri in questo senso, cioè come criterio o regola di valutazione» (ibid.). Kant accennava alla ineffabilità di un’opera d’arte e alla sua origine essenzialmente inconscia, quando affermava che «l’artefice di un prodotto che egli deve al proprio genio non sa lui stesso come vengano a trovarsi in lui le idee per farlo, né ha in suo potere di escogitarsene a piacimento o secondo un piano e di comunicarle ad altri in prescrizioni 6
is artistic or poetic, it is because it also stimulates an emotion. It follows that it thus takes part in something mysterious, something we should never attempt to dispel unless we want to destroy its impact. Thus Marcel Duchamp stated “you cannot assess in words the content or value of a painting [or of a poem, I would add]. You cannot interpret one form of expression with another form of expression. To say the least, the original message will be completely distorted, no matter what is said about it.”.4 In his Critique of Judgment Kant provided an epistemological basis for the three simple rules I have outlined above, when he observed that «the fine arts must necessarily be considered arts of genius»,5 and went on to observe that genius «is a talent for producing something for which no determinate rule can be given, not a predisposition consisting of a skill for something that can be learned by following some rule or other: hence the foremost property of genius must be originality» (ibid.). He also specified that given the fact that an «original nonsense» could exist, it was necessary for the genius to produce works that «must also be models, i.e. they must be exemplary; hence, though they do not themselves arise through imitation, still they must serve others for this, namely as a standard or rule by which to judge» (ibid.). Kant made reference to the ineffable quality of the artwork and its essentially unconscious origin when he stated that «if the author owes a product to his genius, he himself does not know how he came by the ideas for it; nor is in in his power to devise such products at his pleasure, or by following a plan, and to communicate [his procedure] to others in precepts that would enable them to bring about like products» (ibid.). Regarding my third golden rule – which states that an artwork must have a poetic dimension
che li pongano nella condizione di produrre prodotti analoghi» (ibid.). Riguardo alla mia terza regola d’oro – quella secondo la quale un’opera d’arte deve avere una dimensione poetica – Kant, col definire lo spirito (Geist) in senso estetico come «principio vivificante nell’animo»,6 affermava molto esplicitamente che un’aspirante opera d’arte «senza spirito» non avrebbe potuto acquisire lo stato di arte. Kant concludeva la sua analisi con la formula secondo cui «per l’arte bella si richiederebbero dunque immaginazione, intelletto, spirito e gusto».7 Per dirlo in sintesi, con Kandinsky, «bello è ciò che deriva da una necessità psichica interiore. Bello è ciò che è interiormente bello» ciò che sgorga dall’anima e «arricchisce l’anima».8 Il 10 dicembre 1942 – nel suo discorso agli studenti di Yale – André Breton affermava, “Il Surrealismo è nato da un’affermazione di fede senza limiti nel genio della gioventù”.9 Proseguendo, ricordava i casi di Lautréamont – morto a 24 anni; di Rimbaud – che a 18 anni aveva già ultimato la sua opera; di De Chirico – il cui contributo inizia a 23 anni per chiudersi a 28; di Saint-Just ghigliottinato a 27 anni; di Novalis morto a trenta, di Seurat morto a 32, di Jarry che, a 15 anni, scrive Ubu roi, “il grande lavoro profetico e vendicativo” Questo mi riporta all’inizio del mio discorso – bando alla confusione semantica e ai falsi artisti. Questa mostra collettiva, è molto appropriatamente intitolata Fuori corrente, come per segnalare l’autonomia espressiva e l’autenticità delle motivazioni ideali di ogni singolo artista. Questi, non a caso, sono accomunati da un altro fattore – quello generazionale. Sono tutti giovani trentenni e quarantenni, con tre cinquantenni: Giovanni Bonaldi (46 anni),
– Kant, when he defines the spirit (Geist) in an aesthetic sense as the «life-giving principle of mind»,6 very explicitly states that a would-be artwork «without spirit» would not be able to achieve the status of art. Kant concludes his analysis with the formula according to which «for beautiful art, imagination, intellect, spirit and taste are required».7 To put it concisely, we can use the words of Kandinsky: beauty is what is «produced by the inner need, which springs from the soul» and «speaks to the soul».8 On 10 December 1942 – in a lecture to the students at Yale – André Breton said that “Surrealism sprang from an affirmation of boundless faith in the genius of youth”.9 Continuing, he recalled the cases of Lautréamont – who died at the age of 24; Rimbaud – who had already completed his work at the age of 18; De Chirico – whose contribution began at 23 and concluded when he was 28; Saint-Just, guillotined when he was 27; Novalis, dead at 30, Seurat at 32, and Jarry who at the age of 15 wrote Ubu Roi, “the great prophetic and avenging play of modern times”. This brings me back to the start of my discussion – the need to banish semantic confusion and false artists. This group show is very appropriately titled Fuori corrente (Off Trends), as if to underscore the expressive autonomy and the authenticity of the ideal motivations of every single artist. Not coincidentally, these artists also share another factor, that of their generation. They are all in their thirties or forties, with three in their fifties: Giovanni Bonaldi (46), Francesco De Molfetta (32), Enrico T. De Paris (51), Raffaella Formenti (56), Riccardo Gusmaroli (48), Bruno Lucca (50), Elena Modorati (42), Antonella Zazzera (35). Today, with the considerable increase in life expectancy as 7
Francesco De Molfetta (32 anni), Enrico T. De Paris (51 anni), Raffaella Formenti (56 anni), Riccardo Gusmaroli (48 anni), Bruno Lucca (50 anni), Elena Modorati (42 anni), Antonella Zazzera (35 anni). Oggi con il considerevole allungamento della media vitale rispetto a solo cinquant’anni fa, questi artisti sono da considerarsi giovani a tutti gli effetti e non solo grazie alla freschezza e innovazione delle loro poetiche. Tanto più, che, come ricorda Henri Duvernois, “l’età che si ha quando si decide di essere giovani importa poco”.10 Questa mostra è quindi una boccata d’aria fresca che ci permette di evitare i miasmi di tanta arte fasulla che le moderne tecniche pubblicitarie riescono ad imporre con l’interessata complicità di certi critici al servizio di alcuni conservatori assetati di notorietà e di altrettanti galleristi che non meritano la qualifica di mercanti d’arte.
compared to just fifty years ago, these artists can justifiably be considered young, not only due to the freshness and innovation of their poetics. Even more so, because as Henri Duvernois reminds us, “your age, when you decide to be young, matters little”.10 So this exhibition is a breath of fresh air that permits us to avoid the noxious fumes of all the fake art modern advertising techniques have managed to impose, with the conspiratorial duplicity of certain critics at the service of certain curators hungry for fame and a band of gallerists who don’t deserve the title of art dealers. Milan, November 2011
Milano, novembre 2011
NOTE La Lettura (Milano), n.3 (27 novembre 2011), p. 3 In Mercure de France, n° 1044 (1° agosto 1950), p. 577 3 Roman Jakobson, Novejsaja russkaja poèzija, Nabrosok pervyj, Praga, p. 16 4 A. Schwarz, The Complete Works of Marcel Duchamp, Abrams, Newyork, 1969, trad. it. La Sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, anche, Einaudi, Torino, 1974, p. 276 5 Immanuel Kant, Critica del giudizio (1790), trad. it. Alfredo Gargiulo, Laterza, Bari, ristampa CDE, Milano 1990, § 46, p. 166-67 6 ibid. § 49, p. 173 7 ibid. § 50, p. 180 8 Kandinskij, Dello spirituale nell’arte (1912), § 8, in Tutti gli scritti, a cura di Philippe Sers, vol. 2, Milano, Feltrinelli, 19894, p. 133) 9 “Situation du Surréalisme entre les deux guerres” in La Clé des champs, Sagittaire 1953, p. 63 10 H. Duvernois in Mon Petit Claude, p. 19 1 2
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NOTES La Lettura (Milan), n.3 (27 November 2011), p. 3 in Mercure de France, n° 1044 (1 August 1950), p. 577 3 Roman Jakobson, Novejsaja russkaja poèzija, Nabrosok pervyj, Prague, p. 16 4 A. Schwarz, The Complete Works of Marcel Duchamp, Abrams, New York, 1969, Italian trans. La Sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, anche, Einaudi, Turin, 1974, p. 276 5 Immanuel Kant, Critique of Judgment (1790), Eng. trans. Werner S. Pluhar, Hackett Publishing, Indianapolis, 1987. 6 ibid. 7 ibid. 8 Kandinsky, Concerning the Spiritual in Art (1912), chap. VIII, Project Gutenberg, Eng. trans. Michael T. H. Sadler 9 “Situation du Surréalisme entre les deux guerres” in La Clé des champs, Sagittaire 1953, p. 63 10 H. Duvernois in Mon Petit Claude, p. 19 1 2
Federico Sardella
Federico Sardella
Quel giorno al bar, un’ottava sopra
That day at the bar, up one octave
Quel giorno al bar: Giovanni Bonaldi, Enrico T. De Paris, Francesco De Molfetta, Raffaella Formenti, Riccardo Gusmaroli, Bruno Lucca, Elena Modorati, Antonella Zazzera: otto giovani artisti, come ci conferma Arturo Schwarz. Alcuni si conoscono e si frequentano, altri lo hanno fatto ma per lo più sono dei perfetti estranei. I loro lavori sono nutriti da percorsi e storie differenti e, se non in alcuni casi, sono difficilmente accostabili, in particolare se l’accostamento è teso a rilevare affinità di intento o di forma. C’è chi vive in campagna, chi in città e chi in bilico tra centro e periferia o tra luoghi senza centro né periferia. Chi adopera i materiali classici del fare arte, i colori ed i pennelli, chi usa materie naturali quali la cera ed il rame, chi usa fogli bianchi finalizzati a dare vita a forme pertinenti, chi fogli ricchi di tracce, iscrizioni, segnali, sottratti alla quotidianità ed al disordine dell’informazione e della comunicazione e chi sostanze plastiche, quasi dei fossili della contemporaneità, che rendono immagini artificiali di paesaggi altrettanto artificiali. Ci sono tre donne e cinque uomini, ma questo forse importa meno. Ci sono otto artisti, ognuno dei quali dice la sua senza quel conformismo obbligato che vorrebbe solo ciò che piace o che rende meritevole d’essere mostrato.
That day at the bar: Giovanni Bonaldi, Enrico T. De Paris, Francesco De Molfetta, Raffaella Formenti, Riccardo Gusmaroli, Bruno Lucca, Elena Modorati, Antonella Zazzera: eight artists with ages ranging from thirties to fifties… young artists, as Arturo Schwarz confirms. Some are well acquainted, others less so, but for the most part they are perfect strangers to each other. Their works come from different paths and stories, and apart from a few exceptions they are hard to juxtapose, especially if the combination is supposed to reveal affinities of intent or form. Some live in the country, others in the city; some waver between the center and the suburbs, or exist in spaces that have neither. Some use the classic materials of art making, paints and brushes, while others employ natural substances like wax and copper, or white sheets that give rise to pertinent forms, or surfaces dense with tracks, inscriptions, signals gleaned from everyday life and the disorder of information and communication. Others still use plastic materials, almost contemporary fossils, making them into artificial images of equally artificial landscapes. There are three women and five men, but that is perhaps not so important. There are eight artists, each of them with something to say, without that obligatory conformism that strives only for what is pleasing or deems things worthy of display.
Otto artisti con lavori così diversi sono proposti assieme in questa rassegna pensata da Roberto Peccolo ed Arturo Schwarz, anch’essi, tutto sommato, due “fuori corrente” che, quando nella corrente ci sono stati, hanno proceduto determinandone il corso. Otto artisti che con lavori così diversi non potranno che, ancora una volta, metterci
Eight artists who make very different works are presented together in this exhibition conceived by Roberto Peccolo and Arturo Schwarz, two figures that are also (all told) “out of the current”, and when they have been inside it have proceeded by determining its 9
nella condizione di ridomandarci che cosa sia l’arte e, nello specifico, che cosa sia oggi… Quale il suo ruolo? Il suo posto? Cosa la anima e la alimenta? Cosa spinge gli artisti a continuare ad essere, a considerarsi tali o a far si che altri li classifichino come tali? Ovviamente, non ho risposte da offrire, né a questi pochi quesiti né agli altri numerosi che inevitabilmente sgorgherebbero se permettessi al foglio bianco di lasciarsi inondare dai miei dubbi, dalle mie insicurezze e dalle fragilità che emergono ogni qualvolta vorrei che a domanda posta coincidesse una risposta data. In ogni caso, anche le forme di arte più esatte o verificabili portano in sé un margine di dubbio, che conferisce fascino e mistero all’opera e che permette a questa di distinguersi da un manufatto qualunque, che permette a chi la osserva di imparare a guardare e che ci conduce a qualcosa di altro rispetto a quel e a quanto siamo, conosciamo e viviamo. E, laddove ci si troverà a vedere tutti assieme dei lavori così indipendenti gli uni dagli altri come in questa occasione, alcuni si faranno l’occhiolino, ammiccheranno, altri faranno a pugni ed i più discreti si limiteranno a vivere silenziosamente la loro condizione di ossimori; quando li si scorrerà, uno dopo l’altro, il sapore del dubbio risulterà potenziato, elevato alla seconda o, forse all’ottava. In ogni caso, questa non è una mostra sull’arte italiana né tanto meno generazionale, non è un accrochage teso a fare il punto su una qualche situazione o tendenza e nemmeno una miscellanea del meglio che abbiamo. È una mostra contro tendenza, che presta attenzione alla differenza più che alle possibilità di omologazione, che considera la differenza un valore e che non esclude le possibilità di rintracciare similitudini sottili come bagliori nelle profonde distanze.
course. Eight artists that with such different works cannot help but prompt us, once again, to wonder what art is and, specifically, what it is today… What is its role? Its place? What gives it life and nurture? What motivates artists to continue to exist, to consider themselves artists, or to act in such a way that others will classify them as such? Obviously I have no answers to offer, either for these few questions or for the many other queries that would inevitably arise were I to allow all my doubts to flood the blank page, the uncertainties and fragilities that emerge every time I wish a given response would coincide with a question posed. In any case, even the most exact or verifiable forms of art contain a margin of doubt, which adds charm and mystery to the work and allows it to distinguish itself from just any artifact, allows the observer to learn to look, leading us toward something other than what we are, what we know and live. And when we find ourselves looking at a set of works that are so independent one from the next, as in this exhibition, some will seem to interact with complicity, others to clash, while the more discreet specimens may simply exist quietly in their condition as oxymora; observing these works, one after another, the sense of doubt will be heightened, raised to the second power or, perhaps, by an octave. In any case, this is not an exhibition on Italian art or the art of a generation, it is not an accrochage designed to take stock of some situation or trend, nor is it a gathering of the best things available. It is a show against the current, that pays more attention to difference than to possibilities of resemblance, that considers difference to be a value and does not exclude the possibilities of discovering subtle similarities like flashes of light in the remote distance.
Quel giorno, al bar, giocavo con un coltello. Giocavo a piantarlo nel tavolo di legno fra le dita dell’altra mano. Miravo giusto eppure a
That day at the bar I was playing with a knife. I played at stabbing it into the wooden table, between the fingers of my other hand. I tried
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volte sbagliavo e mi tagliavo. Il mio sangue sporcava il tavolo. Ne sentì l’odore, da lontano. Lo ha sempre fatto: con le bestie alla corrida, con le donne, con gli uomini, nei luoghi di sventura suprema, sopra tutti. Si sedette accanto a me in silenzio e vi rimase a lungo. Assaporando i sapori e gli odori. Amandoli. Nel bar tutti ci guadavano, io continuavo a tagliarmi. Sentivo però la sua presenza. Ad un certo punto mi disse: andiamo! Non era una domanda, era un ordine. Alzai la testa e per la prima volta incrociai i suoi occhi. I suoi occhi non erano occhi: erano uno specchio dell’inferno. Gli chiesi: dove? Rispose: in qualunque posto, purché non sia fuori da te...
to aim properly, but at times I missed and cut myself. There was blood on the table. He could smell it from a distance. He’s always done that: with the animals at the corrida, with women, men, in the places of supreme misfortune, above all others. He sat down next to me in silence and stayed there for a long time. Savoring the flavors and smells. Loving them. Everyone in the bar was staring at us, and I kept cutting myself. But I could sense his presence. At a certain point he said: let’s go! It was not a question, but an order. I looked up and for the first time our gazes met. His eyes were not eyes, but a mirror of hell. I asked him: where? He replied: anywhere, as long as it is not outside of you...
Quel giorno al bar, in quegli occhi iniettati del mio sangue, capii che fare arte “comporta passione, lotta, desiderio, speranza, fallimento” (Lea Vergine). Capii che c’è chi lo fa per tenersi a galla e chi per far si che altri non affondino. Qualche settimana dopo intuii che l’arte è di tutti ma che non è per tutti, o meglio, che ognuno ha la possibilità di scegliere cosa meglio lo rappresenti. Ecco: l’opera d’arte come un autoritratto… siamo quello che scegliamo di essere, che abbiamo appeso alle pareti di casa. Siamo le immagini che ci portiamo dentro; solo gli artisti che amiamo ci insegnano a vederle, danno loro forma, peso, spessore e sostanza.
That day at the bar, in those eyes bloodshot with my blood, I understood that making art “implies passion, struggle, desire, hope, failure” (Lea Vergine). I understood that some people do it to stay afloat, while some do it to keep others from sinking. A few weeks later, I realized that art belongs to everyone but it is not for everyone. Or, more precisely, that all have a chance to choose what represents them best. There it is: the artwork as self-portrait… we are what we choose to be, what we have hung on the walls of home. We are the images we carry inside of us; only the artists we love teach us to see them, give them form, weight, depth, substance.
Quel giorno al bar c’era molta gente, ma io non riconobbi nessuno, nemmeno quando ci alzammo ed i miei occhi accarezzarono rapidamente tutti i presenti, prima di andare. Ora che ci penso, a mente vuota, a distanza di tempo, sento voci note, scorgo nitide alcune sagome e ricordo.
That day at the bar there were many people, but I recognized no one, not even when we stood up and my eyes quickly caressed everyone in the place, before leaving. Now that I think about it, with an empty mind, some time later, I hear familiar voices, I can make out clear silhouettes, and I remember.
Seduto al bancone c’era Giovanni Bonaldi che, oggi, dipinge foreste, alberi, cortecce, corpi di donna restituiti alle silvane origini e per questo solo appena percepibili, come
Seated at the bar there was Giovanni Bonaldi, who now paints forests, trees, bark, female bodies taken back to their sylvan origins and therefore barely perceptible, like hot breath 11
fossero un alito caldo in grado di lasciare una impronta di sé. Un filo di luce, la terra e la linfa, il biancore sfibrato di una corteccia di betulla, sulla quale si aprono tagli e crateri, in silenzio, senza che una goccia sia sprecata, alle volte mostrando il leggero brusio prodotto dagli anelli di accrescimento che determinano lo scorrere del tempo e l’ispessimento dei fusti. Presenze? Le sue opere non raccontano luoghi lontani o le loro atmosfere. Le sue opere sono luoghi, dove la metafora, il dubbio, l’inganno ed il simbolo trovano posto. Luoghi di possibile contemplazione, di rinascita e del semplice esistere. Dedito ad una solitaria chiassosa partita a flipper c’era Enrico T. De Paris. La pallina scorreva lungo tracciati obbligati e i pori della sua pelle sprigionavano l’odore del desiderio di raggiungere l’obiettivo: fare centro. Gioiva nel vederla sfrecciare in quel piccolo labirinto, protagonista per caso, comparsa a vita. Provava gusto nel dominare dall’alto quel piccolo mondo separato dal nostro da una lastra di vetro, inespugnabile, vicino ed inavvicinabile, governato dal caso e dalla fortuna. Un mondo ricco ed organizzato, dove le verità della vita trovano posto leggere, come nei suoi lavori, del resto: cellule abitative, spazi modificati irreversibilmente, pezzi di universo. Spazi artificiali eppure dell’uomo, dove la dinamicità dell’esistenza ha l’andamento di strutture cromosomiche senza fine, che si sviluppano consapevoli d’esser frammenti, capaci di mostrare tutta la fragile forza, la magia ed il mistero del tutto. Francesco De Molfetta probabilmente era al telefono. Narrava di situazioni paradossali, sconfiggendo surreali distanze servendosi dell’ironia e di immagini figurate, gesticolando sino a dare forma al suo dire. Parlava delle sue opere e delle loro dimensioni, spesso notevolmente ridotte, e probabilmente il suo interlocutore ribatteva 12
that can leave an imprint of its passage. A ray of light, earth and vital fluid, the worn whiteness of birch bark on which cuts and craters appear, in silence, without a drop going to waste, at times revealing the slight murmur produced by the growth rings that determine the flow of time and the thickening of the trunks. Presences? His works do not narrate faraway places and their atmospheres. His works are places, where metaphor, doubt, deceit and symbol find space. Places of possible contemplation, of rebirth, of mere existence. Enrico T. De Paris was absorbed in a solitary, noisy pinball session. The ball sped along its tracks and the pores of his skin released the smell of desire to achieve a goal: to hit the target. He rejoiced to see it careen through that little labyrinth, a protagonist by chance, a bit player for life. He found pleasure in looming over that little world, separated from ours by a pane of glass, impregnable, close yet unapproachable, governed by chance and luck. A rich, organized world where the truths of life lightly find their places, as in his works, in fact: habitat cells, irreversibly modified spaces, pieces of universe. Artificial spaces, yet of man, where the dynamism of existence has the shape of endless chromosomal structures that grow, aware that they are fragments, capable of displaying all the fragile force, the magic and mystery of the whole. Francesco De Molfetta was probably on the phone. He told of paradoxical situations, overcoming surreal distances by using irony and figured images, gesticulating his words into form. He talked about his works and their sizes, often remarkably small, and probably his counterpart on the other end of the line replied by insisting – I’m guessing here – that large forms are needed to convey what you want to assert. Francesco, immovable, held his ground, playing the card of provocation as
in proposito, sostenendo, ipotizzo io, che occorrono grandi forme per far passare ciò che si vuole affermare. Lui, impassibile, insisteva nel sostenere la sua posizione, giocando la carta della provocazione come tanti in passato hanno fatto e come solo lui, con pochi altri, oggi sa fare. Una provocazione che rasenta la comicità e che, come la migliore comicità cinematografica che posso ora pensare, da Buster Keaton a Stanlio e Ollio, da Charlie Chaplin a Totò, porta dentro, suo malgrado, l’amarezza del dramma. Raffaella Formenti preoccupata più degli altri astanti di quanto io stessi facendo, leggera nell’intrico dei rami, solida senza avere fondamenta, la cui mente corre più veloce di quanto una mano che disegna o dà vita a forme possa tollerare, in attrito continuo, era lì. Mi guardava attonita. Come un ragno che per tutta la durata della sua esistenza tesse tele, ponendosi mille domande o forse nessuna, lei c’era. Composta ma mai ordinata né ordinaria. Compiva quei gesti che ben conosciamo e che lei, ormai, d’abitudine, compie sovrapponendoli a mille altri ed a mille altri pensieri. Era lì, con una manciata di pixel sparsi sul tavolo che, gettati come coriandoli, avevano preso posto sul piano di legno come fossero i punti di raccordo di una costellazione. Avevano preso posto esattamente là dove il mio coltello lasciava traccia del suo esser stato conficcato. Riccardo Gusmaroli era con alcuni amici. Sul loro tavolo una mappa stesa come una tovaglia. Una tovaglia a quadrotti sulla quale un via vai di barche narrava di rotte e di storie inedite, di viaggi e di venti, di pacifiche battaglie e di terre dorate. Giocavano una partita, progettavano partenze ed ipotizzavano grandi ritorni. Una cortina di fumi e scoppi di risa innervavano i loro volti, le bianche barchette, la tovaglia e la tavolata. Scardinando le regole del gioco, muovevano
many have done in the past, and as only he, with a few others, knows how to do today. A provocation that borders on the comical and – like the best comic cinema I can think of right now, from Buster Keaton to Laurel & Hardy, Charlie Chaplin to Totò – carries with it, in spite of itself, the bitterness of drama. Raffaella Formenti concerned more than the others about what I was doing, light in the tangle of branches. Solid without foundations, mind racing faster than a hand that draws or gives life to forms can bear, in ongoing friction, she was there. She stared at me, stunned. Like a spider that spins webs throughout its existence, pondering a thousand questions or none, perhaps, she was there. With composure, yet never orderly nor ordinary. She made those gestures we know so well, which at this point she does out of habit, overlapping them with a thousand others, a thousand other thoughts. She was there, with a handful of pixels scattered on the table, which tossed there like confetti had found a place on the wood as if they were the dotted connection lines of a constellation. They found their place precisely where my knife had left the signs of its penetration. Riccardo Gusmaroli was with some friends. A map was spread like a tablecloth on their table. A tablecloth of panels on which the coming and going of boats narrated untold routes and histories, voyages and winds, pacific battles and golden lands. They were playing a game, planning departures and positing grand returns. A curtain of smoke and outbursts of laughter innervated their faces, the white boats, the tablecloth and table. Disrupting the rules of the game, they moved their pieces on that unusual chessboard, putting them where they could assume their places almost as if atmospheric agents had determined their position and progress. Only a turn now and then, a slight shift of 13
le loro pedine sulla inusuale scacchiera, collocandole là dove avrebbero preso posto quasi fossero stati gli agenti atmosferici a determinare la loro posizione ed il loro andamento. Solo una qualche virata di tanto in tanto, un leggero ripensamento, un misurato assestamento ed il piccolo esercito di caravelle in miniatura, impettite ed identiche, era pronto a solcare mari ed oceani e a titillare le coste, i golfi e le insenature, verso nuovi orizzonti. Solo ad un tavolo, seduto su una panca di legno, Bruno Lucca aveva le spalle rivolte alla vetrata dalla quale una luce impertinente inondava, aiutata da alcuni neon sfacciati, gli angoli più remoti del locale, i frequentatori distratti e gli oggetti, anche i più appartati. Nel buio di fondo il suo occhio eccitato misurava questo teatro di ombre. La sua mano stenografava eleganti bordi per catturare un passare irripetibile. Ecco ombre divenire corposi sinuosi giardini smarriti. Ecco il suo dito muoversi a delineare sagome di corpi essenziali, senza carne, quasi dei timbri, delle insegne, dei bersagli, dei paesaggi umani impressionati come fossero nati da una operazione compiuta in camera oscura. Ad un certo momento, il barista infila una calla in un vaso, la sua ombra si staglia sul muro e diviene protagonista assoluta della scena, morbida, impeccabile e solitaria, senza alcuna traccia di superfluo né sbavature. Elena Modorati, con occhio vivace sorseggiava un vermentino dorato. Le sue gentili movenze segnavano un tempo dal profumo di cera calda e tracciavano un tenue tagliente dire su carte di riso impreziosite d’Oriente. Sul bancone aveva disposto mappature, testi, ricordi di viaggio, dettagli di mondo, di giochi, di prossimità e distanze amorevolmente sfocati e congelati, introiettati su schermi afoni e svaporati. Scriveva come se non potesse farne a meno, senza permettere a nessuno dei presenti di accedere a quanto 14
direction, a gauged adjustment, and the little fleet of miniature caravels, stiff and identical, was ready to cross seas and oceans, to tickle coasts, gulfs and inlets, on the way to new horizons. Alone at a table, seated on a wooden bench, Bruno Lucca turned his back to the window through which an impertinent light flooded the most remote corners of the space, the distracted patrons and the objects, even the most secluded, with the help of some insolent neon lights. In the gloom at the back of the room his excited eyes measured this theater of shadows. His hand drew elegant stenographic borders to capture an unrepeatable passage. Shadows became voluminous, sinuous misplaced gardens. His finger moved to outline profiles of essential bodies, without flesh, almost like rubber stamps, signs, targets, human landscapes imprinted as if they were the result of an operation done in a darkroom. At one point the barman placed a lily in a vase. Its shadow stood out on the wall, becoming the absolute protagonist of the scene. Soft, impeccable and alone, without any trace of the superfluous, clear as a bell. Elena Modorati, with a bright look, sipped a pale golden Vermentino. Her graceful movements marked a tempo of the scent of hot wax, tracing a tenuous yet cutting utterance on precious oriental rice paper. On the counter she had spread mappings, texts, memories of travel, details of the world, of games, of proximities and distances lovingly blurred and frozen, introjected on aphonous, evanescent screens. She wrote as if she couldn’t do otherwise, without letting anyone catch a glimpse of what she was outlining, saying without speaking, letting the silence burgeon louder than a scream, determined in its harrowing indeterminacy. A tongueless phantom, yet capable of shouting.
andava tracciando, dicendo senza dire, consentendo al silenzio di levarsi più alto di un grido, determinato nella sua straziante inderminatezza. Un fantasma senza lingua eppure capace di urlare. Antonella Zazzera, da poco arrivata, recava tra le mani un nido che aveva trovato. Lo voleva mostrare a tutti, come se si trattasse di una scoperta che avrebbe risollevato le sorti dell’umanità. Nessuno se ne accorse ma quello non era un nido qualsiasi: era una conferma di quanto da alcuni anni andava facendo, uno stimolo a proseguire. Un nido fatto di aghi di pino qualunque, costruito da un volatile qualunque, irrobustito però da quegli stessi fili di rame che lei adoperava per dare vita e forma alle sue sculture. Riconoscendo quei frammenti da lei stessa scartati si commosse. Li vide come fossero piccole perle di luce incastonate in una struttura funzionale, come l’immagine dell’ultima possibilità che l’uomo aveva di fare pace con la natura madre e matrigna e di fondersi finalmente con essa. Li vide è capì che anche l’ultimo degli scarti, un giorno, potrà adempiere a funzioni inaspettate ed essere trasformato in chiave di volta. Intanto… prima di andare, ora che ci penso, a mente vuota, a distanza di tempo, scorgo alcune sagome e sento voci note; quel giorno al bar, un’ottava sopra…
Antonella Zazzera had just come in, and was clutching a nest she had found. She wanted everyone to see it, as if it were a discovery that would improve the fortunes of humankind. Nobody noticed, but it was not just any nest: it was a confirmation of what she had been doing for several years, an urging to continue. A nest made of ordinary pine needles, built by an ordinary bird, but reinforced by the same copper threads she used to give life and form to her sculptures. Recognizing those fragments she had discarded, she was moved. She saw them as if they were little beads of light set into a functional structure, like the image of the last possibility of man to make peace with nature, mother and stepmother, and to finally join with her. She saw them and understood that even the humblest piece of refuse, one day, can perform an unexpected function and be transformed into a factor of crucial importance. In the meantime… before leaving, now that I think of it, with an empty mind, after time has passed, I glimpse silhouettes and hear familiar voices. That day at the bar, up one octave… December 2011
dicembre 2011
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Giovanni Bonaldi è nato nel 1965 a Serina (BG), dove vive e lavora. Recenti esposizioni personali
Recenti esposizioni collettive
2011 Il filo di Arianna, Sala espositiva Virgilio Carbonari, Palazzo Municipale, Seriate (BG). L’amore negli scritti della tradizione ebraica e la simbologia del cinque, Museo delle luci, Casale Monferrato (AL). Liriche d’anima amante, Sala Polivalente, Palazzo del Comune, Castel Rozzone (BG). 2010 Stanza dell’altra memoria, Palazzo della Provincia, Bergamo. 2008 Tikkùn, Francoise Calcagno Art Studio e ScalaMata Gallery, Venezia.
2012 Fuori Corrente, Galleria Peccolo, Livorno. 2011 Elevazioni e Permutazioni 3, Museo Ebraico, Venezia. 2010 La leggerezza della scultura, Parco dell’Arte, Cerrina Monferrato (AL). Elevazioni e Permutazioni, Barchessa di Villa Donà Dalle Rose, Mirano (VE). L’altra memoria, Sala Manzù, Circolo Culturale G. Greppi, Bergamo. L’altra memoria, Galleria Minelli, Venezia.
Da sinistra: Rotolo, 2008; Tikkùn, 2006; Lamed, 2004; Dall’Albero della Vita, 2011; Come in cielo, così..., 2011; Segnalibri, 2011
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Dall’Albero della Vita, 2011,
tessuto e colori vegetali, cm. 50x40
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Francesco De Molfetta è nato nel 1979 a Milano, dove vive e lavora. Recenti esposizioni personali
Recenti esposizioni collettive
2011 Galleria Brera 1, Corbetta (MI). Francesco De Molfetta, Carlo Pasini. Tu gusti s megl che uan, Art Gallery Contemporaneamente, Parma. 2010 New Idols, The Don Gallery, Milano. Maria Mulas e Francesco De Molfetta, Spazio Solferino, Milano. RAAB Galerie, Berlino (Germania). 2009 Italians Do It Better, Angel Art Gallery, Milano. RAAB Galerie, Berlino (Germania). 2008 Fiato Sprecato, Colossi Arte Contemporanea, Brescia.
2012 Fuori Corrente, Galleria Peccolo, Livorno. 2011 Tra il sublime e l’idiota. L’umorismo nell’arte contemporanea italiana, Museo Napoleonico, palazzo Parisani Bezzi, Tolentino (MC). Fake to Fake, Spazio Tra, Torino. Variabili appartenenze, Memoli Arte Contemporanea, Milano. Dadaunpop. Italian New Pop, Galleria Rinascimento Contemporaneo, Genova. La vita in una battuta, Spazio Citylife, Milano. 2010 Pensiero Fluido, Spazio Oberdan, Milano. Il MA, Fabbrica del Vapore, Milano. Pocket Art Format & Prize, Galleria Orizzonti Arte, Bari. Message out a bottle, Spazioinmostra, Milano.
La 500, 2009,
assemblaggio di materiali vari, cm. 25x25x25
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O b’ama o non b’ama, 2009,
tecnica mista su tela, cm. 30x20x12
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Enrico T. De Paris è nato nel 1960 a Mel (BL), vive e lavora a Torino. Recenti esposizioni personali
Recenti esposizioni collettive
2011 Cosmos, Artiscope Gallery, Bruxelles (Belgio). Sette pensieri capitali, Rizoma Architettura, Bologna. 2010 Organic 2010, Le Coin C Gallery, Christine Janssens, Knokke (Belgio). 2009 Imprevedibile, Galleria Ermanno Tedeschi, Roma e Milano. 2007 Bio Landscape, Galleria Ermanno Tedeschi, Torino. Bio Landscape, Byblosartgallery,Verona. Inside, Atomium, Bruxelles (Belgio). 2006 Chromosoma BX/06, Artiscope Gallery, Bruxelles (Belgio). Chromosoma MI/06, Ermanno Tedeschi Gallery, Milano. 2005 Chromosoma, 51ª Biennale Internazionale d’Arte, Spazio Thetis, Arsenale Nuovissimo, Venezia.
2012 Fuori Corrente, Galleria Peccolo, Livorno. 2011 World, Galleria Ermanno Tedeschi, Tel Aviv (Israele). KM 011. Arti a Torino 1995-2011, Museo Regionale di Scienze Naturali, Torino. Fake to Fake, Spazio Tra, Torino. 2010 Paratissima Fresh Art, Casa Paratissima, Torino
Good news # 010507, 2007,
acrilico e tecnica mista su tela, cm. 25x20 cad.
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Flussi # 020805, 2005,
acrilico su tela e legno, cm. 50x50
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Raffaella Formenti è nata nel 1955 a Brescia, dove vive e lavora Recenti esposizioni personali
Recenti esposizioni collettive
2011 Alfabeto plurale, Open Space, Catanzaro. 2009 Passa a qbxl system, Zilioli, Kunstforum, Egna. 2008 e… paghi fra un anno, Spazio Tadini, Milano. 2006 Files temporanei, Il Portale. Pavia 2004 Disseminazioni, Palazzo Stella, Genova. 2002 Motore di ricerca, Galleria Peccolo, Livorno. Rumori Visivi, Fabio Parys Art Gallery, Brescia. Motore di ricerca, Scoglio di quarto, Milano. Motore di ricerca, Galleria Miralli, Palazzo Chigi, Viterbo.
2012 Fuori Corrente, Galleria Peccolo, Livorno. 2011 Nel frattempo – Meanhwille, Antico Mercato, Valeggio (VR). Women white. La dimensione dell’infinibilità, Fabbri Contemporary Art, Milano. Auszug aus dem Paradies, Kunst Pavillon, Eisenach. Wonder Woman, SAACS Sala Pertini, Pieve di Teco (IM). 2007-2008 La Parola nell’Arte, MART, Rovereto (TN).
WIKI scraps, 2009,
carta in 3D, misure variabili
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WIKI scraps, 2009, carta in 3D, misure variabili
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Riccardo Gusmaroli è nato nel 1963 a Verona, vive e lavora a Milano. Recenti esposizioni personali
Recenti esposizioni collettive
2011 Galleria Tega, Milano. Così vicino, così lontano, Galleria Glauco Cavaciuti, Milano. 2010 Derive, Galleria Spazia, Bologna. 3 oceani 7 mari 149 mila km qudrati di terra, Colossi Arte Contemporanea, Brescia. 2009 L’artista e la materia, Galleria Tega, Milano. A tutto tondo, Galleria Paola Verrengia, Salerno 2008 Ermanno Tedeschi Gallery, Roma. Ermanno Tedeschi Gallery, Torino. 2007 Duetart Gallery, Varese. Evi Gougenheim, Paris (Francia). 2006 Corsoveneziaotto, Milano. Ermanno Tedeschi Gallery, Torino. Galleria Tega, Milano. Galleria Forni, Bologna.
2012 Fuori Corrente, Galleria Peccolo, Livorno. 2011 Undici, Galleria Spazia, Bologna. Numerouno, En papier, Circoloquadro, Milano. Le Rouge et le Noir. Il piacere di puntare sull’arte, Zonca&Zonca, Milano. Variabili appartenenze, Memoli Arte Contemporanea, Milano. 2010 Looks good on paper, Anfiteatro Arte, Milano. 10, Galleria Spazia, Bologna. Small paintings. Piccolo formato, Galleria Biasutti, Torino.
Golfo di Congianus, 2009,
barche di carta su carta nautica, cm. 117x82
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Da San Rossore al canale di Piombino, 2011, barche di carta su carta nautica, cm. 114x81
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Bruno Lucca è nato nel 1961 a Nove (VI), vive e lavora a Vicenza Recenti esposizioni personali
Recenti esposizioni collettive
2011 Il porto delle nebbie, Atlantica Arte Contemporanea, Vicenza. 2010 Ne quid nimis, Galleria Totem, Venezia. 2009 Due senza, AB23 contenitore per il contemporaneo, Vicenza. In vivo / In vitro, Weber & Weber Arte Contemporanea, Torino. 2007 Doppio gioco, Galleria Totem, Venezia. Relazioni instabili, Palazzo Libera, Villa Lagarina, Trento. 2006 Paesaggi, Weber & Weber Arte Contemporanea, Torino. De Figura, L’Officina Arte Contemporanea, Vicenza.
2012 Fuori Corrente, Galleria Peccolo, Livorno. 2011 Quadratonomade, Scuderie Aldobrandini, Frascati (Roma). 6 artisti, Galleria Totem, Venezia. 2010 Roma. The Road to Contemporary Art, Weber & Weber Arte Contemporanea, Torino, Macro Future, Roma. Artisti per la salute - Galleria Derbylius e Istituto Nazionale dei Tumori, Milano. In-difesa, artisti da Africa, Asia, Europa, Russia, Usa e Medio Oriente, Fondazione 107, Torino.
Serra, 2009
olio di lino e pastello su tessuto, cm. 52 x 42
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Serra, 2009
olio di lino e pastello su tessuto, cm. 52 x 42
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Elena Modorati è nata nel 1969 a Milano, dove vive e lavora. Recenti esposizioni personali
Recenti esposizioni collettive
2011 La consistenza dello schermo, Spaziotemporaneo, Milano. 2010 La parola e il suo fantasma, Leo Galleries, Monza. 2009 Indizi supplementari, Circolo Culturale Seregn de la Memoria, Seregno (MB). 2008 Minimalia, Università Bocconi, Milano. 2006 L’esercizio inadempiente, Studio Lucio Fontana; Galleria Eleutheros, Albissola Marina (SV). 2005 Annidare le parole, Spazio Cesare da Sesto, Sesto Calende (VA). Altri giardini per sette poeti, Magazzini del Cotone, Genova.
2012 Fuori Corrente, Galleria Peccolo, Livorno. 2011 Circusquadrus. 30 artisti per Bruno Munari, Galleria Il Milione, Milano. Women white. La dimensione dell’infinibilità, Fabbri Contemporary Art, Milano. Inventario perenne. Elena Modorati, Gianni Moretti, Paola Pezzi, Pescheria Centro Arti Visive, Pesaro. Corpi senza: Emanuela Fiorelli, Elena Modorati, Paola Pezzi, Fabbri Contemporary Art, Milano. 2010 Clicking the future. Arte nel territorio, parco di Villa Zanetta, Borgomanero (NO). Scrivere il silenzio. Dadamaino, Elena Modorati, Maria Elisabetta Novello, Galleria Il Milione, Milano. Premio Bice Bugatti-Segantini, 51° edizione, Palazzo Comunale, Nova Milanese (MB); seconda classificata.
Apparterrebbe piuttosto alla natura del vapore, 2009,
cera e carta millimetrata, ingombro totale cm. 36x24,5
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A partire da una domanda non formulata, 2010,
cera, carta giapponese, carta vergatina, nastro adesivo e poliestere, ingombro totale cm. 160x85
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Antonella Zazzera è nata nel 1976 a Todi, dove vive e lavora. Recenti esposizioni personali
Recenti esposizioni collettive
2011 Trame mentali, Grossetti Arte Contemporanea, Milano. 2010 Carte e Sculture, Galleria Diagonale, Roma. 2009 De Re Metallica, Antonella Cattani Contemporary Art, Bolzano. 2008 Armonici, Extra Moenia Associazione Culturale, Todi (PG). Vibrante materia, Fioretto Arte, Padova. Antonella Zazzera, Museo della Musica, Premio Art First. 2007 INcontro sensibilMENTE, Grossetti Arte Contemporanea, Milano. 2006 Rhythmical, Galerije Media Nox, Maribor (SLO). 2005 Armonie Private, Galleria Miralli, Viterbo. E io che me la portai al fiume…, Galleria En Plein Air, Circuito Musei Civici, Pinerolo (TO).
2012 Fuori Corrente, Galleria Peccolo, Livorno. 2011 Una collezione che attraversa il tempo 1958-2011, Grossetti Arte Contemporanea, Milano. Women white. La dimensione dell’infinibilità, Fabbri Contemporary Art, Milano. 54 Esposizione Internazionale d’Arte. La Biennale di Venezia (sezione Umbria), palazzo Collisola, Spoleto. 2010 La Scultura Italiana del XXI secolo, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano. Musma, Museo della Scultura Contemporanea, Matera.
Ri-trattiche 18-11, 2011,
fili di rame, cm. 29x22x7 cad.
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Armonico CLXIIX, 2011, fili di rame, cm. 83x90x10
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