Jacques VILLEGLE

Page 1

VILLEGLÉ petits formats 1961-1967

2008 novembre


VILLEGLÉ novembre 2008 Catalogo edito in occasione della mostra n. 321 della Galleria Peccolo Piazza della Repubblica, 12 57123 Livorno photo credits La foto di Villeglé è di Philippe Bonan © Copyright©2008 degli autori stampa: Debatte Otello S.r.l. - Livorno


Roberto Peccolo

Petits Formats    Senza prestarne attenzione camminiamo per le strade delle nostre città subissati dalla pubblicità, dai manifesti o dai graffiti che le tappezzano ormai ovunque, ma se riuscissimo a soffermarci e a riflettere un attimo su tutto questo ci renderemmo conto di come, negli ultimi anni, sia subentrato sempre di più, nel nostro sguardo, l’abitudine, l’assuefazione e di conseguenza l’indifferenza. Per anni la presenza di questa cosiddetta Pelle della Città  ha accompagnato suadente le nostre strade. Ma quel colorato, sommesso, a volte piacevole, mormorio, già da tempo, è stato soppiantato dal frastuono assordante, sfrontato, invadente e insopportabile provocato e costituito dai colori e dalle immagini sempre più martellanti e ossessionanti; cosa che ha scatenato in noi, forzatamente, la naturale e istintiva reazione di autodifesa e di protezione, fino al punto di trasformarci in passivi e indifferenti ad ogni messaggio che incontriamo (anche se poi sappiamo che questi interagiscono sul nostro inconscio a livello subliminale). Oramai non reagiamo più né con la collera dello strappo, né con le scancellature o con l’ironia dello sberleffo di un segno denigratorio tracciato magari come sola reazione o partecipazione al gioco. Né, tanto meno, abbiamo voglia e tempo di assaporare il gusto della trasgressione con il gesto di cogliere quel frutto proibito che, negli anni passati, fungeva ancora da stimolo alle nostre reazioni. La civiltà urbana continua a camminare, correre o sostare per le strade delle proprie città ma nei confronti dei messaggi pubblicitari che la circonda, di quella Pelle della Città che gli era familiare, ha oggi raggiunto una soglia di sopportazione invalicabile, un grado tale di saturazione che oramai, alla fine, la sensibilità e quindi una parte della sua sensualità ha perso vitalità. Il nostro grado di reattività agli stimoli si ritrova a zero, con un encefalogramma piatto. I pubblicitari sono avvisati, l’uomo della strada sta evolvendosi verso altri stimoli, rendendo evidente l’inutilità dei loro messaggi e questi, sempre più altisonanti e amplificati per cercare, appunto, una maggiore attenzione, stanno ottenendo invece l’effetto opposto. 3


E non è stato certamente un caso se Jacques Villeglé, uno dei quattro “moschettieri” del gruppo dei Nouveaux Realistes sorto a Parigi nel 1960 e sostenuto da Pierre Restany, divenuto famoso proprio per i suoi manifesti strappati, “affiches lacerées”,  (operazione che condivideva con gli amici François Dufrêne, Raymond Hains e Mimmo Rotella), abbia deciso, dopo il 1990, di non utilizzare più, per i suoi lavori, i manifesti strappati dai muri che per anni aveva “rapito”dalle strade della metropoli e si  dedica oggi ad altri tipi di appropriazione; rivolgendo lo sguardo per il suo operare su cose più “reali”, oggetti, scritte o quanto altro gli capita di incontrare o che lo circonda nella vita quotidiana. Oppure dedicandosi interamente alla Guerriglia delle Scritture e creare così i suoi “messaggi scritti”, slogan e aforismi, utilizzando quell’“Alfabeto Socio-Politico” da lui creato. “Arriveremo a vendere i manifesti da noi strappati come si vendono i tappeti Orientali”, fu la profetica battuta fatta da Raymond Hains, rispondendo ad una giornalista che, nel 1959, lo intervistava circa l’opportunità dell’appropriazione dei manifesti da lui praticata in quegli anni. Infatti già dalla prima metà degli anni ’50, quei “monelli” strappa-manifesti degli artisti, affichisti,  (all’interno dei Nouveaux Realistes), avevano instaurato i loro atelier per le strade della città nella ricerca continua e ravvicinata di una “Poesia della quotidianità”. Più che un atteggiamento, un modo di essere per riaffermare la loro differente “natura moderna” e la volontà di “riappropriarsi del reale che ci circondava sui muri”. Il manifesto, nella Parigi di allora, era un materiale nuovo, utilizzabile quanto tanti altri e con il quale combinare nuove qualità coloristiche e valori plastici (non dissimile dalle intenzioni contenute nelle tele dei loro amici pittori) ma con in più il valore aggiunto della documentazione etnologica che registrava l’evoluzione della propria società e dei suoi Miti, attraverso l’immagine di essa, riflessa e affissa sui muri della città. Diversamente dagli altri amici affichisti, Villeglé raccoglieva e strappava manifesti murali già lavorati dalle lacerazioni anonime dei passanti, scegliendo brandelli di messaggi e scritture, parole o lettere che poi in studio, grattati, recisi e incollati su tela formavano quelle reliquie, scritte e riscritte: palinsesti di un’azione del tempo e memoria di un vissuto. Infatti la maggior parte delle sue opere, da quella più enorme alla più minuscola, portano nel titolo la data del giorno e il nome del luogo o della via da cui provengono o da cui sono stati “strappati via”, per essere immessi nei nuovi luoghi della circolazione dell’arte. E questo avviene anche con le opere di piccolissimo formato. Ho visto per la prima volta, nel lontano 1990 nel suo studio parigino alcune opere di piccolo formato e mi 4


avevano così entusiasmato che avevo voluto dedicare a quella serie uno dei libretti delle mie edizioni: la n°8. Recentemente, altre opere di piccole dimensioni e il desiderio di realizzarne ancora una mostra: Petits formats 1961-1967, è il titolo di questa mostra. Si tratta di miniature che Villeglé ha raccolto dagli avanzi di altre “lacerazioni”; frammenti, lacerti che denunciano il piacere di isolare dei pezzetti, delle reliquie di realtà a sé stanti, ma non per il solo semplice gesto dell’artista di recuperare, al piacere dello sguardo, gli scarti rimasti da lacerazioni di scarti più ampi, ma anche, e soprattutto, perché il “frammento”, essendo antiautoritario per antonomasia, è un eccellente trasgressore e, in quanto tale, non fa pervenire ad alcuna conclusione: lascia l’osservatore libero di giocare e goderselo seguendo il proprio gusto.     ottobre 2008

5


6


Villeglé

La guerriglia dei simboli Dopo il ‘68, per un periodo di circa diciotto mesi, per il piacere della trasgressione sociale di certuni, il manifesto affisso nel metrò servì da medium a certuni per un gioco che ambiva a diventare collettivo.(1) Questo gioco consisteva nel ritorcere con una sovrascrittura in pennarello il discorso pubblicitario contro se stesso o, più generalmente, contro il condizionamento sociale. Una parola o una frase epigrammatica, in un fumetto che usciva dalla bocca di un personaggio dirottava con la derisione, l’immagine e lo slogan del manifesto murale. In un batter d’occhio veniva data un’identità nuova e umoristica alle comparse, all’azione, all’oggetto, in una parola al tema della campagna pubblicitaria. Queste iscrizioni facevano seguito ai disegni licenziosi quali sono quelli che proliferano di solito nei vespasiani; ci sono sempre stati e non sono in procinto di scomparire, con il penetrare nel viso o nel corpo di una giovane donna alla quale “gli si darebbe l’eucarestia senza confessione”. Questa pratica di scrittura fu, dunque, alla fine degli anni Sessanta, il gioco di società che si offrì come il cadavre exquis* a quanti non avevano una particolare tribuna e a coloro che non ritenevano di possedere un’ attitudine alla creazione personale, ma che consapevoli della loro spontaneità, della loro fantasia e della loro marginalità prefiguravano la possibilità di aprire con il rifiuto delle regole e con uno humor spesso nero, una porta sull’imprevedibile, l’inatteso e lo sconcertante. Per questi distruttori di segni logorati dal labirinto urbano della comunicazione, il supporto della società consumistica serviva molto naturalmente le vie sotterranee dell’anticonformismo. Da una fermata all’altra, distruttori di idoli, capitava loro di creare una storia a fumetti, per via della successione degli spazi riservati di 3 x 4 m. Vennero gli anni ‘70, i markers rimasero nelle tasche, basta con le comic-strip, per via degli effetti politici della normalizzazione, il logos camaleontesco fu sempre meno contraddetto dai gruppuscoli. Nel corso degli anni ‘80 le superfici scarabocchiate, enfiate, graffittate, sporcate o parafate(2) si decuplicarono, ai graffiti personalizzati, denominati “graffs” o “graphes” si aggiunge il pochoir (lo stampino) più elaborato e dal riferimento poetico. E sull’esempio dei taggers della metropolitana di New York l’artefice dei graf7


fiti che si autobattezza grapheur (segnatore) “investe uno spazio” con i suoi segni spruzzati all’aerosol. Nella strada fu riconosciuta un’arte e distinta dalle arti della strada. Una letteratura prolissa, un buon numero di mostre museali, private o perfino sovvenzionate di tutte le tendenze senza distinzione, le aste pubbliche che si moltiplicarono mi autorizzano a non esprimermi oltre su quest’arte grafitista che si stereotipa più velocemente della pittura gestuale dell’astrazione lirica, “all over” o no. È forse per il fatto che quest’espressione risente dei tic individuali, “ ahimè no, l’arte personale non è ancora del tutto superata nel tempo....” può sospirare il poeta(3), presto essa fu mediatizzata, canalizzata dal potere paternalista che tuttavia nel suo nuovo codice penale (luglio 1992) la definisce opera terrorista. Doppio gioco dell’autorità, tentativo di reinserimento sociale, mano di ferro in guanto di velluto? L’espressione ingozzata di rivolta finisce nella sovralimentazione e nei prezzi di vendita, avrebbe detto il critico Julien Alvard.(4) In opposizione ebbi l’iniziativa di riunire l’alfabeto socio-politico sul quale ho rielaborato le poesie di Louis Even. A Libertà di Parola (6-7 Maggio 1969) al Téatre du Vieux Colombier, esposi una prima volta un grafismo politico che mi aveva sorpreso il 28 Febbraio precedente, per attirare l’attenzione di tutti su un’altra traccia ibrida della società messa a margine.......Nelle sue conversazioni Sur l’Art et la Vie (1936) un filosofo quale Herman de Keyserlig avrebbe insegnato questa concentrazione (6) tipografica e manoscritta anonima europea che ho rilevato nel 1969 ? Sarebbe stata dotata ai suoi occhi delle stesse virtù dell’ ideogramma cinese che, egli pensava, poteva in cinquanta pagine reincorporare la voluminosa Critica della Ragion Pura senza nessuna omissione ? (7) È che, diceva, “ogni ideogramma, in quanto simbiosi di relazione, implica per via della pura giustapposizione con altri ideogrammi il tenore di intere pagine.” E aggiungeva: “L’ideale di ogni letteratura dovrebbe essere analogo”. Così la mia appetenza morale fu stupendamente affinata, come avrebbe detto Edgar Poe, l’osservatore dell’Uomo delle Folle, dalla generalizzazione in tutte le direzioni di questa guerriglia delle scritture, realtà sociale, mentre invece mi ha presto stancato la grafomania parietale dei taggers della metropolitana di New York poi dei graffitisti europei. Nel corso della mia prima messa a punto, nel 1958, sulla lacerazione di manifesti, evocavo la manifestazione spontanea; in seguito, in diapason al momento del raggruppamento dei Nuovi Realisti, Pierre Restany parlò di espressività diretta. Da quel tempo in poi, i graffiti suscitano l’espressione mediatica, democrazia diretta; per parte mia preferirei usare a proposito dei grafismi socio-politici i termini che Francis Ponge, poeta che tentava di stabilire un legame tra conoscenza intuitiva e conoscenza discorsiva, utilizzava quando doveva discorrere in società. Aveva l’abi8


tudine di non preparare il suo intervento, contando sull’evenienza che dal suo rapporto con il pubblico si sarebbe spontaneamente creata una comunicazione diretta. L’applicarmi a ritrascrivere con il pennello, con il pennello di feltro, con la bomboletta aerosol, quei segni della spontaneità popolare, non è da parte mia un contraddirmi? “Rapitore” di manifesti lacerati non ho forse preso e mantenuto le mie distanze da oltre cinquant’anni dai pittori e dal loro mestiere? Forse, pur avendo tuttavia questo comportamento di voluto distanziamento nei confronti della pittura-trasposizione mi sono rifiutato fin dall’inizio di stabilire qualsiasi scala di valore tra l’oggetto creato, il banale ready-made e l’oggetto trovato nella sua pienezza. L’artista coordinatore delle ossessioni e dell’efficienza della società, anche se non assume des Esseintes a modello, fa sua la menzogna alla Diderot pre-assaggio dell’artificio baudelairiano per un diritto di ostentare i contraddittori, non dovendo nessuno rinchiudersi in una camera a chiusura ermetica. Spero che colui che guarda sia più sensibile alle costanti della mia visione, delle mie intenzioni, piuttosto che alle contraddizioni che assumo nell’attuazione della trascrizione e della presentazione di questi ideogrammi ingarbugliati che scompigliano la scrittura. Gli scripteurs anonimi, da parte loro, non hanno nessuna ambizione personale e stilistica, semplicità che condivido: non ricercano, mascherando gli slogans, i nomi dei potenti, per niente l’eleganza del tratto ma una certa efficacia di contestazione. Per parte mia, da testimone, mi sforzo di far conoscere la guerriglia dei segni con l’applicazione del disegnatore di tavole illustrative enciclopediche e dell’arcaico contabile responsabile di registro di ordini e di registro commerciale. La maniera con la quale divento l’intermediario, (è dagli intermediari che nasce l’impurità), è nella materia secondaria. Se riesco a mettere in valore quei criptogrammi controvertenti le manipolazioni dei leaders di ogni razza, le informazioni falsificate, deviate, l’uso massiccio delle tecniche di comunicazione, comincerei a predicare la surreazione? Testo estratto dal libro di Villeglè: “Liens & Lieux Contrastes” Ed. Dourven 1998.

Note: 1. Jean-Jacques Michel e Victor Schwach “Il dirottamento del senso dei manifesti” in Communication et langages n.18, 1973 9


2. Dalla parola inglese tag, etichetta, enseigne, e in gergo americano parafa, contrariamente al graffiti, (alla scritta sui muri), il tag è una firma elaborata. Come il logo di una società civile o amministrativa, le lettere stilizzate del tag devono essere ripetitive l’uno a migliaia, l’altro fino a decine di esemplari. Più che degli stili cubista, espressionista, fauve, o dell’astrazione lirica, il tag vorrebbe evocare il rumore e il furore delle onomatopèe del racconto a fumetti. 3. Paul Eluard, Poesia involontaria e poesia internazionale, Ed. Seghers, Villeneuve-lès-Avignon, 1942. 4. “I Più Brutti Quadri sono come le correnti d’aria morale” Galerie Prismes, Paris, dicembre 1955. 5. Pr. Serge Tchakotine, Lo Stupro delle folle, Paris,1939. Riedizione Gallimard, 1972. La tattica di Tchakotine era quella di lottare contro la propaganda di intimidazione con le stesse armi dell’avversario; così ai gridi di Heil Hitler risponderanno Freiheit, e al saluto nazista quello del pugno alzato. Accusò di avere cattivi riflessi coloro come Heartfield che nel denunciare le atrocità e lo spirito di aggressione dei fascisti servivano oggettivamente (inconsapevolmente) e proprio in quel modo lo spirito della propaganda da combattere. 6. Dall’alto della sua écriture (Paris, Gallimard, coll. Idées, 1973), Etiemble giudicava la discrittura (la désécriture) di “Hépérile Eclaté” come “una incarnazione degna di Visnù, un’illustrazione del nihilismo generalizzata che, altrettanto quanto la relatività generalizzata, forse ancora di più, segnerà il secolo XX, e della quale pare che i campi hitleriani di concentramento non abbiano esaurito l’orrore”. Io gli dedico in cambio indirettamente per lo sbieco del suo gioco di parole, così brutto che devo sottolinearlo, le citazioni che precedono, e la seguente di un universitario di Dijon che persegue lo stesso discorso del mito di “Hépérile” però con una sfumata disperazione: “... pittoricamente sconquassato, Diòniso galleggia in seno a puzzles di ogni sorta nei quali si esercita la sua frenesia: affonda nel chaos per ricercare le ricomposizioni e le sìntesi inaudite che, egli pensa, tutti i baratri contengono”. (Jean Brun, Le Retour de Dionysos, Paris, Ed. Le Berger et les Mages, 1976). 7. Dunque senza de-Kantare Kant il suo autore, come avrebbe detto, forse, un mio amico onomaturgo, François Dufrêne.

10


Biennale de 1961

affiche lacerĂŠe cm.6,4x9,4

11


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.7,6x10

12


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.6,8x11,5

13


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.5,9x11,1

14


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.7,5x12

15


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.7,2x12,5

16


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.8x10,7

17


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.8,2x10,4

18


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.7,9x7,9

19


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.10x6,5

20


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.7x9

21


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.8x8,3

22


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.7,5x6,8

23


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.6,6x7,9

24


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.7x8,2

25


sans titre DI 1964

affiche lacerĂŠe cm.3,7x6,2

26


sans titre 1964

affiche lacerĂŠe cm.5,7x11

27


Metro Tramé mars 1965 affiche lacerée cm.7x8

28


Place Torigny (Aret) avril 1967

affiche lacerĂŠe su tela cm.22,2x14,2

29


Biografia

JACQUES MAHÉ DE LA VILLEGLÉ Nasce il  27 marzo 1926 a Quimper (Finistère, Francia). Dopo gli studi secondari e un anno presso uno studio di architettura a  Vannes, si iscrive nel 1944 nella sezione pittura alla Scuola di Belle Arti di Rennes. In quella Scuola incontra e stringe amicizia con il coetaneo, anch’egli di origine bretone, Raymond Hains. Nel 1947 comincia a Saint Malò una raccolta di oggetti trovati (per esempio vecchi  fili di ferro dalle forme bizzarre). Sempre nel 1947 Villeglé e Hains mettono a punto il principio della camera scannellata che consiste nell’adattare all’obiettivo sulla macchina fotografica un vetro speciale che produce la diffrazione ottica delle immagini riprese. Metodo con cui  produrranno alcuni esperimenti fotografici ed artistici e con il quale produrranno nel maggio 1952 il lavoro Hepérile Eclaté in omaggio al poema fonetico Hepérile creato dal pittore Camille Bryen. Nel 1949 si stabilisce a Parigi e decide, insieme con Hains di limitare la sua “appropriazione” solamente ai manifesti strappati (affiches lacérées). Il décollage è essenzialmente un gesto di appropriazione puro, immediato. Il gesto della lacerazione modifica la morfologia esteriore dell’immagine ma non ne altera  minimamente la qualità intrinseca. Soprattutto la “lettera tipografica” stampata gli offre il vantaggio di una resistenza interna alla scomposizione durante la lacerazione. Le prime opere realizzate rivelano un orientamento chiaramente interessato all’aspetto tipografico dei manifesti  (ne è importante esempio l’opera realizzata insieme con Hains nel 1949 dal titolo Ach Alma Manetro – oggi nella collezione del Centre Pompidou, Parigi –); il che è normale se si pensa al ruolo capitale avuto dalla lettera esplosa nelle loro sperimentazioni giovanili. Nel 1954 insieme a François Dufrêne incontra Yves Klein. Prima mostra di sue affiches lacèrées alla Galerie Colette Allendy di Parigi nel 1957 dove conosce Gérard Deschamps che lì aveva già esposto; e nel 1959 presso l’atelier di François Dufrêne esporrà le sue opere con il titolo “Lacérée Anonyme”. Nell’aprile del 1960 il giovane critico Pierre Restany organizza alla Galleria Apollinaire di Milano una mostra collettiva nella quale include opere di Yves Klein, Tinguely, Hains, Dufrêne e Villeglé, mostra che segnerà l’inizio del gruppo del Nuovo Realismo. 30


A Parigi il 27 ottobre dello stesso anno in casa di Yves Klein verrà firmato da Arman, Dufrêne, Hains, Yves Klein, M.Raysse, Spoerri, Tinguely e Villeglé il manifesto che sancirà l’atto di nascita del gruppo. Subito dopo si aggiungeranno, a completare il gruppo definitivo: César, Christo, Deschamps, Rotella e Nicky de St-Phalle.   Dalla creazione del gruppo dei NOUVEAUX REALISTES  si moltiplicano le mostre sia personali che di gruppo in Europa che negli Stati Uniti. Paul Wember direttore del Kaiser-Wilhelm-Museum di Krefeld gli acquista nel 1963 un’opera per la collezione del Museo e subito dopo acquisterà anche opere di Hains e Dufrêne dedicando così una sala del Museo agli affichistes. Nel 1970, per il decimo anniversario della fondazione dei N.R., partecipa alla mostra commemorativa alla Rotonda della Besana di Milano e  all’evento Ultima Cena o Banchetto Funebre dei Nuovo Realisti concepito e realizzato da Daniel Spoerri che dedicherà una ricetta “omaggio” ad ogni partecipante; per Villeglé il piatto: “Coquilles Saint-Jaques au gratin Mahé”. Lo stesso anno il F.N.A.C. gli acquista l’affiche lacérée di cm.319x 810 Carrefour Sèvres-Montparnasse juillet 1961, ora esposta al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris. A partire da questa data si moltiplicheranno le acquisizioni di sue opere da parte dei Musei francesi ed  europei. Nel 1976 prima mostra personale italiana allo Studio Santandrea di Milano. In  quegli anni la sua attenzione si era rivolta verso i manifesti di giornali, i cosiddetti Placard de journaux, che esporrà in seguito,nel 1989, anche in Italia a Milano presso il Centro Culturale Bellora e alla Galleria Peccolo di Livorno. Nel 1988 esce il primo volume del Catalogo Generale Ragionato per cicli  delle sue opere e l’anno seguente si costituisce il Secretariato Jacques Villeglé che si occuperà dell’archiviazione e della catalogazione delle sue opere continuando ad occuparsi del Catalogo Ragionato che è giunto attualmente al sesto volume. Nel 2001, le Edizioni Idées et Calendes di Neuchatel in Svizzera gli dedicano un’ampia monografia curata da Odile Felgine. Nel 2002 ritorna a Livorno per la sua mostra personale “Affiches Lacherées” alla Galleria Peccolo, Livorno. Il Centre National Georges Pompidou di Parigi inaugura nel settembre 2008 una mostra ampiamente antologica del suo lavoro con opere dal 1947-49 comprendente le “Affiches Lacerées” fino agli “Alfabeti Socio-Politici” realizzati da Villeglé negli anni tra il 1968 fino all’opera clou di questa serie “La Mémoire insoluble” del 2008. Un assemblage di 237 lavagnette scolastiche di ardesia sulle quali ha trascritto aforismi, memorie, citazioni utilizzando la sua particolare scrittura-crittografata.

31



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.