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Rivista lasalliana
Direzione: 00149 Roma - Via dell’Imbrecciato, 181 ( 06.552.100.243 - E-mail: donato.petti@tiscali.it Amministrazione: 00196 Roma - Viale del Vignola, 56 Sito web: www.lasalliana.com
2014
Rivista lasalliana
Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.
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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/AC - ROMA - “In caso di mancato recapito inviare al CMP Romanina per la restituzione al mittente previo pagamento dei resi”
00 RIV LASALLIANA N 1-2014 D4087_13 copertina_00 RIV LASALLIANA N 1-2014 D4087_13 copertina 25/03/14 09.00 Pagina 1
Rivista lasalliana ISSN 1826-2155
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trimestrale di cultura e formazione pedagogica Donato Petti La sfida della crisi di fede nel nostro tempo
Francesco Trisoglio L’allegoria nella lettura del Vangelo: la prassi di S. Cromazio d’Aquileia Paulo Dullius Identità e identità narrativa
Dario Antiseri Un criterio per distinguere la storiografia scientifica da quella ideologica Grazia Fassorra Autonomia e curricolo
Carlo Rubinacci Il curricolo nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo dell’istruzione Mario Chiarapini I Fratelli delle Scuole Cristiane e la Shoah
M. Devif, A. Houry, Ph. Moulis La Bolla "Unigenitus" e l’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane Francis Ricousse Fratel Agatone: l’esperienza di un secolo di pedagogia lasalliana GENNAIO - MARZO 2014 • ANNO 81 – 1 (321)
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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.
RIVISTA LASALLIANA
Trimestrale di cultura e formazione pedagogica fondato nel 1934 Anno 81 • numero 1 • gennaio-marzo 2014 Direttore
DONATO PETTI
Comitato scientifico DARIO ANTISERI (Metodologia delle Scienze Sociali)
GAETANO DAMMACCO (Diritto di libertà religiosa)
CARLO NANNI (Scienze dell’educazione)
GILLES BEAUDET (Ricerche lasalliane)
FLAVIO FELICE (Dottrine Economiche e Politiche)
STEPHANE OPPES (Filosofia teoretica)
PAOLO ASOLAN (Teologia pastorale)
DENIS BIJU-DUVAL (Teologia dell’evangelizzazione)
GIORGIO CALABRESE (Scienze dell’alimentazione umana) PASQUALE CAPO (Gestione risorse professionali) LUCIANO CHIAPPETTA (Legislazione scolastica)
MARIO CHIARAPINI (Direttore “Lasalliani in Italia”) GIUSEPPE COSENTINO (Ordinamenti scolastici)
ENRICO DAL COVOLO (Letteratura cristiana antica)
GABRIELE DI GIOVANNI (Direttore “Sussidi per la catechesi”) ITALO FIORIN (Pedagogia speciale)
REMO L. GUIDI (Questioni umanistico-rinascimentali) PASQUALE MARIA MAINOLFI (Bioetica) ANTONELLO MASIA (Legislazione universitaria) PHILIPPE MOULIS (Ricerche storiche)
DIEGO MUÑOZ (Ricerche e Studi lasalliani)
RAIMONDO MURANO (Formazione tecnico-professionale)
EDGAR GENUINO NICODEM (Studi lasalliani) CARMELA PALUMBO (Autonomia scolastica)
MARCO PAOLANTONIO (Studi lasalliani) MAURIZIO PISCITELLI (Didattica) MARIO RUSCONI (Management scolastico)
LORENZO TÉBAR BELMONTE (Pedagogia lasalliana) ENRICO TRISOGLIO (Storia e Letteratura patristica) ROBERTO ZAPPALÀ (Antropologia filosofica)
Comitato di Redazione
Luca Amati - Marco Camerini - Stefano Capello - Michele Cataluddi - Giovanni Decina - Francesco Decio Antonio Iannaccone - Annalisa Malatesta - Sara Mancinelli - Virginio Mattoccia - Alberto Rizzi - Enrico Sommadossi - Biancamarta Tammaro - Monica Zanchini Di Castiglionchio.
Collaboratori
Edwin Arteaga Tobón, Antonio Augenti, Gilles Beaudet, Bruno Bordignon, Graziella Bussoni, Emilio Butturini, Angelo Piero Cappello, Italo Carugno, Umberto Casale, Giovanni Chimirri, Terry Collins, Robert Comte, Sergio De Carli, Paulo Dullius, Grazia Fassorra, Paolo Fichera, Matthieu Fontaine, Andrea Forzoni, Emma Franchini, Antonio Gentile, Oreste Gianfrancesco, Pedro Gil, Eugenio Guccione, Edgar Hengemüle, Alain Houry, Léon Lauraire, Lino Lauri, Herman Lombaerts, Anna Lucchiari, Vito Moccia, Patrizia Moretti, Israel Nery, José María Pérez Navarro, Raffaele Norti, Laura Pappone, Marina Pescarmona, Francesco Pesce, Massimo Pisani, Francesco Pistoia, Bérnard Pitaud, Óscar A. Elizalde Prada, Jaume Pujol, Hilaire Raharilalao, Francis Ricousse, Vincenzo Rosito, Carlo Rubinacci, Filippo Sani, Marica Spalletta, Giuseppe Tacconi, Cesare Trespidi, Joan Carles Vázquez, Ciro Vitiello.
DIREZIONE
Donato Petti - Via dell’Imbrecciato, 181 - 00149 Roma ( 06.552.100.243 - E-mail: donato.petti@tiscali.it
Le riviste in cambio e i libri per recensione vanno inviati alla Direzione
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AMMINISTRAZIONE
Viale del Vignola, 56 – 00196 Roma amministrazionecentro@gmail.com - ( 06.322.94.500 - Fax 06.323.6047
EDIZIONE
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ISSN 1826-2155. Registrazione del Tribunale di Torino n. 353, 26.01.1949 (Tribunale di Roma n. 233, 12.6.2007) Spedizione in abbonamento postale: Poste italiane DL 353/2003 (conv. in legge n. 46, 27.02.2004) art. 1 c. 2 - DCB Roma (Associata all’Unione Stampa Periodica Italiana)
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Rivista lasalliana 81 (2014) 1
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009 Donato Petti
EDITORIALE
La sfida della crisi di fede nel nostro tempo
A conclusione dell’Anno della fede, iniziato solennemente da Benedetto XVI l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e a vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, e chiuso da Papa Francesco nella solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013, può essere utile riflettere, alla luce soprattutto del magistero del Papa emerito, sulle radici della “crisi di fede” che caratterizza il nostro tempo, accompagnata da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso. The Challenge of the Crisis of Faith in our Times
As we end the Year of Faith, which was solemnly opened by Benedict XVI on 11 October 2012, the fiftieth anniversary of start of Vatican II and twenty years after the publication of the Catechism of the Catholic Church, and solemnly closed by Pope Francis in the church of the Jesus Christ King of the Universe, on 24 November 2013, it is useful for us to reflect, especially in the light of the teaching of the Pope emeritus, on the “crisis of faith” which characterizes our times and shows itself chiefly in the current agnosticism and religious indifference.
021 Francesco Trisoglio
STUDI
L’allegoria nella lettura del Vangelo: la prassi di S. Cromazio d’Aquileia
Cromazio nella sua esegesi si dimostra uno spirito sereno, calmo, pacato, intonato ad una fine signorilità e ad una lucida consapevolezza. Ha fluidità espressiva in una densità di concetto che rispetta tanto il testo biblico quanto la dignità degli ascoltatori. Illustra la verità partendo sia dalla vita pratica che dalla storia dei due Testamenti. Usa l’allegoria in immediatezza di trasferimento, senza tuttavia inibirsi interpretazioni liberamente fantasiose; affianca volentieri la comprensione letterale e quella allegorica, così da conferire completezza all’interpretazione del testo evangelico.
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Allegory in the reading of the Gospel: the practice of St Cromazio of Aquileia
In his exegesis, Cromazio demonstrates a serene, calm and peaceful mind which is distinguished and finely tuned to clarity of understanding. He combines fluency of expression with a density of thought which respects both the biblical text and the dignity of his audience. He illustrates the truth which emanates both from practical life and the story of the two Testaments. He uses allegory applied with immediacy, even indulging in interpretations which are freely fanciful. He is happy to put literal and allegorical interpretations side by side, so as to give completeness to his interpretations of the Gospel text.
031 Paulo Dullius
Identità e identità narrativa
Al giorno d’oggi si avverte la necessità di una speciale attenzione alla costruzione dell’identità. Arrivare ad una soddisfacente identità significa sentirsi realizzati e vivere felici. Non è facile stabilire dei confini ben definiti tra il mio io ed il non-io, soprattutto a partire dalla dimensione cosciente ed incosciente della struttura dell’uomo. Una sicura identità richiede di conoscere bene se stessi, di raggiungere la pace interiore, di sentirsi persone appagate. L’equilibrio tra ciò che siamo e quello che ci offre continuamente la realtà è una sfida permanente. Identity and narrative identity
Nowadays, people are aware of the need to pay special attention to the construction of identity. Attaining a satisfactory identity means feeling fulfilled and living happily. It is not easy to set definite limits between Myself and The Other, especially in relation to the conscious and unconscious structure of human beings. A secure identity requires us to know ourselves well, to find interior peace, to feel satisfied as persons. Finding the balance between what we are and what reality presents to us is a permanent challenge.
041 Dario Antiseri
PROPOSTE
Un criterio per distinguere la storiografia scientifica da quella ideologica
Esiste storiografia scientifica ed esiste storiografia ideologica: non ci sono argomenti per cancellare la prima né ragioni per condannare la seconda. La cosa davvero importante è non confondere il discorso scientifico con quello ideologico. Ma proprio a tal fine sarà necessaria la conoscenza delle regole del gioco-di-lingua della scienza e delle regole del gioco-di-lingua dell’ideologia. Imparare a distinguere una
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spiegazione storica scientifica da una interpretazione storica ideologica è un risultato educativo di prim’ordine, se consideriamo con quanta facilità si è inclini a scambiare la propria visione del mondo con l’unica e definitiva verità. A criterion for distinguishing scientific historiography from the ideological
Scientific historiography and ideological historiography both exist, and there are no reasons to eliminate or condemn either of them. The important thing is not to confuse scientific discourse with the ideological. But to achieve this goal we need to know the rules of the language games of science and those of ideology. The ability to distinguish scientific historical explanation from ideological interpretation is primarily the result of education, in view of the fact that we are easily inclined to mistake our own vision of the world with the single, definitive truth.
059 Grazia Fassorra
Autonomia e curricolo
Autonomia, curricolo, competenze, certificazioni, risultati di apprendimento: da tempo questi termini si intrecciano nella normativa che riguarda la scuola (riforma e riordino) e nel dibattito intorno ai temi della valutazione e del riassetto dell’intero sistema di istruzione e formazione del nostro Paese. Non è facile trovare un fil rouge che aiuti chi cerca di orientarsi nei numerosi provvedimenti che hanno interessato la scuola nell’ultimo decennio. L’articolo intende offrire una chiave di lettura che lega i provvedimenti che si sono succeduti nel tempo nell’ottica dello sviluppo della progettualità delle scuole autonome verso la costruzione dei curricoli personalizzati degli alunni ed altresì dare alcuni suggerimenti operativi per il lavoro dei dipartimenti e dei consigli di classe. Autonomy and curriculum
Autonomy, curriculum, skills, certification, learning outcomes: these terms have for some time now become intertwined in the regulations for schools (reforms and reorganizations) and in the debate around evaluation and the adaptation of the entire system of teaching and education in our country. It is not easy to see the main thread which would enable us to find a way through the many provisions which have affected schools over the past decade. This article aims to give a key for reading those provisions that have been made recently, looking at them from the point of view of the projected development of autonomous schools towards the construction of personal curricula for pupils. It also aims to give some working suggestions for the operation of departments and class councils.
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067 Carlo Rubinacci
Il curricolo nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo d’istruzione. Come attuare le indicazioni nazionali?
Mettere gli studenti nelle condizioni di apprendere con successo è un obiettivo cruciale del curricolo. In modo particolare, il curricolo gioca un ruolo chiave nel far sì che gli allievi acquisiscano le competenze necessarie alla piena realizzazione di sé, all’esercizio della cittadinanza attiva, alla solidarietà e all’occupabilità nella società della conoscenza. L’autonomia, i suoi modelli organizzativi e didattici, la collaborazione tra le componenti della comunità scolastica possono favorire il raggiungimento e lo sviluppo delle competenze chiave del curricolo. The curriculum for preschool education and general compulsory education. How to implement the National Curriculum?
Enabling all students to become successful learners is a key aim of curriculum. In particular, the curriculum has a key role to play in ensuring that student acquire the competences necessary for personal fulfilment, active citizenship, social cohesion and employability in a knowledge society. School autonomy, its organization and teaching, the cooperation between members of the school community can help the attainment and development of the key competences in the curriculum.
081 Mario Chiarapini
RICERCHE
I Fratelli delle Scuole Cristiane e la Shoah
Durante il periodo delle leggi razziali in Italia (1938-39), i Fratelli delle Scuole Cristiane di Roma hanno scritto una pagina eroica di solidarietà nei confronti degli ebrei braccati dalle SS tedesche. Il maggior numero dei rifugiati si è avuto presso l’Istituto Angelo Mai di Via degli Zingari e il Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode di Piazza di Spagna. Le delazioni, le conseguenti inevitabili perquisizioni e la difficoltà di proteggere le persone e assicurare loro un pasto mettevano continuamente a rischio la vita dei Fratelli che si erano presi cura della loro incolumità. Quei Fratelli non hanno avuto la pretesa di salvare il mondo, ma di salvare la speranza del mondo. The Brothers of the Christian Schools and the Holocaust
During the period of the racial laws in Italy (1938-39), the Brothers of Christian Schools in Rome wrote a heroic page of solidarity for the Jews hunted by the German SS. Most of the refugees stayed in Angelo Mai Institute of Via degli Zingari and Collegio San Giuseppe-Istituto De Merode of Piazza di
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Spagna. The delations, the consequent and inevitable house searches, the difficulty to protect the people and to ensure them a meal, put the Brothers’ lives in continual danger. Those Brothers did not have the presumption to save the world, but rather to save the world’s hope.
091 Magali Devif, Alain Houry, Philippe Moulis
La Bolla “Unigenitus” e l’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane nel Nord della Francia (1713-1724)
La bolla “Unigenitus”, emanata l’8 settembre 1713, divise la Chiesa Francese e fu causa di importanti movimenti nella Francia del Nord. I Fratelli delle Scuole Cristiane, fedeli alla Santa Sede, entrarono in conflitto con il prelato giansenista, Pierre de Langle, vescovo di Boulogne dal 1698 al 1724. The Bull “Unigenitus” and the Institute of the Brothers of the Christian Schools in the North of France (1713-1724)
The Bull “Unigenitus” was issued on the 8 September 1713 by Pope Clement XI to condemn the heresy of Jansenism. The publication split the church in France and had major consequences in the North of France. The Brothers of the Christian Schools were faithful to the Holy See and were in conflict with the Jansenistic prelate, Pierre de Langle, bishop of Boulogne from 1698 to 1724.
ESPERIENZE E TESTIMONI
111 Francis Ricousse
Fratel Agatone: l’esperienza di un secolo di pedagogia lasalliana
Percorrendo la vasta attività di Fratel Agatone, Superiore Generale della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane dal 1777 al 1798, lo si vede animare un corpo di maestri che sa adattarsi alle necessità dei tempi e adeguarsi nella sua offerta educativa: fedeltà e ispirazione alle origini, costante riferimento agli scritti del Fondatore, Jean Baptiste de La Salle, iniziative e adeguamento nella conduzione delle scuole e dei pensionati, nuovi testi ispiratori come Le dodici virtù di un buon maestro, sviluppo di nuove discipline scolastiche, diffusione di manuali per gli alunni, specialmente nel campo scientifico e matematico. Brother Agathon: experience of a century of Lasallian teaching
The author surveys the vast list of pedagogical writings by Brother Agathon, Superior General of the Brothers from 1777 to 1798. He shows Agathon’s
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fidelity to the inspiration of the origins, his constant reference to the writings of the Founder, Jean Baptiste de La Salle, his initiatives and adaptations in the government of the schools and colleges, his new inspirational texts such as The Twelve Virtues of a Good Teacher, his development of new subjects in the schools, his diffusion of textbooks for the pupils, especially in the fields of science and mathematics.
RECENSIONI E NOTE
127 CHIONNA A. - ELIA G. - SANTELLI BECCEGATO L. (a cura di), I giovani e 129 132 135 136 140 140 142 144
l’educazione. Saggi di pedagogia, Guerini Studio, Milano 2012, pp. 268. e 23,50 (Michele Cataluddi). PREZIOSI E., Il Vittorioso. Storia di un settimanale per ragazzi 1937-1966, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 346. e 29,00 (Francesco Pistoia). MARTINE BROCHARD, I miracoli esistono solo per quelli che ci credono, La Fontana di Siloe, 2013, pp. 108, e 12,00 (Raffaele Norti). AA.VV. (sous la direction de Michela Marzano), Dictionnaire de la violence, Presses Universitaires de France, 2011, pp. 1568. e 39,00 (Franco Savoldi). HANS KÜNG, Tornare a Gesù, Rizzoli, 2013, pp. 247. e 21,00 (Franco Savoldi G. Guarisco). JIJÉ, Don Bosco, Nona Arte, Milano, 2013, pp. 112. e 16,90 (Francesco Pistoia). J.M. COETZEE, Gesù e Don Chisciotte, Einaudi, 2013, pp. 249. e 20,00 (Marco Camerini). SEMI, La nuova collana di narrativa per adolescenti, Armando Editore, 2013 (Anna Lucchiari).
SEGNALAZIONE LIBRI
Errata corrige
Nel numero 4 di Rivista Lasalliana 2013, p. 451, l’inizio dell’articolo non è “S. Agostino nacque...” ma “S. Basilio nacque...”.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 1, 9-19
EDITORIALE
LA SFIDA DELLA CRISI DI FEDE NEL NOSTRO TEMPO Donato Petti
SoMMaRio: 1. i volti della crisi di fede. - 1.1. La sfida della cultura secolarizzata. - 1.2. La sfida dell’analfabetismo religioso e dell’apostasia silenziosa. - 1.3. La pretesa prometeica. - 1.4. La sfida dell’ateismo pratico. - 2. Quali risposte alla sfida della crisi di fede? - 2.1. Nuova evangelizzazione. - 2.2. Dimensione pubblica della fede. - 2.3. Credere non è solo un atto privato. - 2.4. Credere non è un rifugio intimistico. - 2.5. Esistenza credente: la “fede adulta”.
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1. I volti della crisi di fede
conclusione dell’Anno della fede, aperto solennemente da Benedetto XVi l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano ii e a vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, e terminato da Papa Francesco nella solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013, torna utile riflettere, alla luce soprattutto del magistero del Papa emerito, sulla “crisi di fede” che caratterizza il nostro tempo, accompagnata da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso. Molti, soprattutto in europa, danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale e come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia. ai segnali inquietanti di smarrimento della memoria cristiana si accompagna una sorta di paura nell’affrontare il futuro. ne sono segni preoccupanti, tra gli altri, il vuoto interiore che attanaglia molte persone e la perdita del significato della vita. tra le espressioni e i frutti di questa angoscia esistenziale vanno annoverati, in particolare, la drammatica diminuzione della natalità, il calo delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, la fatica, se non il rifiuto, di operare scelte definitive di vita anche nel matrimonio. Si assiste a una diffusa frammentazione dell’esistenza; prevale una sensazione di solitudine; si moltiplicano le divisioni e le contrapposizioni. tra gli altri sintomi di questo stato di cose, si accentua il fenomeno delle crisi fami-
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Donato Petti
liari e del venir meno della stessa concezione di famiglia, il perdurare o il riproporsi di conflitti etnici, il rinascere di alcuni atteggiamenti razzisti, le stesse tensioni interreligiose, il crescente egocentrismo dei singoli e dei gruppi, l’aumento di una generale indifferenza etica e di una cura spasmodica per i propri interessi e privilegi. agli occhi di molti, la globalizzazione in corso, invece di indirizzare verso una più grande unità del genere umano, rischia di seguire una logica che emargina i più deboli e accresce il numero dei poveri della terra. Connesso con il diffondersi dell’individualismo, si nota un crescente affievolirsi della solidarietà interpersonale: anche se le istituzioni di volontariato e di assistenza svolgono un lavoro lodevole, si osserva un venir meno del senso della solidarietà, molte persone sono lasciate in balia di se stesse, senza reti di sostegno affettivo. Papa Ratzinger, incontrando il Consiglio del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZDK), il 24 settembre 2011, non esitò ad affermare: “la vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede”.1 il Beato Giovanni Paolo ii, nell’enciclica Fede e ragione, sottolineava come la fede sia messa alla prova anche nell’epoca contemporanea, attraversata da forme sottili e capziose di ateismo teorico e pratico.2 Quali possono essere le motivazioni della crisi di fede che permea la vita delle persone nella nostra società, anche tra coloro che si dichiarano credenti? 1.1. La sfida della cultura secolarizzata
nel nostro tempo, uno dei suoi tratti singolari è stato il misurarsi con il fenomeno del distacco dalla fede. Le trasformazioni sociali degli ultimi decenni hanno profondamente modificato la percezione del nostro mondo. Si pensi ai giganteschi progressi della scienza e della tecnica, all’ampliarsi delle possibilità di vita e degli spazi di libertà individuale, ai profondi cambiamenti in campo economico, al processo di mescolamento di etnie e culture causato da massicci fenomeni migratori, alla crescente interdipendenza tra i popoli. tutto ciò ha avuto conseguenze anche sulla dimensione religiosa della vita dell’uomo.3
BeneDetto XVi, Discorso durante l’incontro con il Consiglio del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZDK), 24 settembre 2011. 2 nn. 46-47. 3 BeneDetto XVi, Lettera apostolica in forma di “Motu proprio” Ubicumque et semper, con la quale istituisce il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, 21 settembre 2010. 1
La sfida della crisi di fede nel nostro tempo
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La cultura odierna promuove idee e valori che sono talvolta in aperto contrasto con quelli proposti dal Vangelo. Spesso sono presentati con un grande potere persuasivo, rinforzato dai media e dalla pressione sociale di gruppi ostili alla fede cristiana. nel contesto della società europea, i valori evangelici ancora una volta stanno diventando una contro-cultura.4 anche se non mancano certo i prestigiosi simboli della presenza cristiana, con l’affermarsi lento e progressivo del secolarismo, essi rischiano di diventare puro vestigio del passato. Molti non riescono più ad integrare il messaggio evangelico nell’esperienza quotidiana; cresce la difficoltà di vivere la propria fede in Gesù in un contesto sociale e culturale in cui il progetto di vita cristiano viene continuamente sfidato e minacciato; in non pochi ambiti pubblici è più facile dirsi agnostici che credenti; si ha l’impressione che il non credere vada da sé mentre il credere abbia bisogno di una legittimazione sociale, né ovvia né scontata.5 La crisi che si sperimenta porta con sé i tratti dell’esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una diffusa indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana. nei decenni passati era ancora possibile ritrovare un generale senso cristiano che unificava il comune sentire di intere generazioni, cresciute all’ombra della fede che aveva plasmato la cultura. in occidente, la società era ritenuta naturalmente cristiana, la fede era l’ambiente in cui ci si muoveva; il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana. Piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità.6 appare naturale che non è possibile credere, che di fatto Dio è assente. Così anche cristiani attivi hanno l’idea che convenga scegliere per sé, dall’insieme della fede della Chiesa, le cose che si ritengono ancora sostenibili oggi. e soprattutto ci si dà da fare per compiere mediante l’impegno per gli uomini, per così dire, contemporaneamente anche il proprio dovere verso Dio.7 Mentre l’insieme dei valori che sono alla base della società proviene dal Vangelo – come il senso della dignità della persona, della solidarietà, del lavoro e della famiglia –, si constata una sorta di “eclissi di Dio”, una certa amnesia, se non un vero rifiuto del Cristianesimo e una negazione del tesoro della fede ricevuta, col rischio di perdere la propria identità profonda.8 4 BeneDetto XVi, Incontro con i giovani durante il Viaggio apostolico a Malta in occasione del 1950° anniversario del naufragio di Paolo, 18 aprile 2010. 5 GioVanni PaoLo ii, Esortazione apostolica “Ecclesia in Europa”, 2003. 6 BeneDetto XVi, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, 30 maggio 2011. 7 BeneDetto XVi, Discorso ai Vescovi della Svizzera, 7 novembre 2006. 8 BeneDetto XVi, Messaggio per la XXVI Giornata Mondiale della gioventù, 6 agosto 2010.
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il patrimonio spirituale e morale in cui l’occidente affonda le sue radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi non è più compreso nel suo valore profondo, al punto che non se ne coglie più l’istanza di verità. 1.2. La sfida dell’analfabetismo religioso e dell’apostasia silenziosa
Un grande problema della Chiesa attuale è la mancanza di conoscenza della fede, è l’«analfabetismo religioso».9 il cristiano spesso non conosce neppure il nucleo centrale della propria fede cattolica, del Credo, così da lasciare spazio ad un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo. non è così lontano oggi il rischio di costruire, per così dire, una religione «fai-date». Sempre più numerosi sono coloro la cui fede è debole, e la cui mentalità, le abitudini, il modo di vivere ignorano la realtà del Vangelo, pensando che la ricerca di un benessere egoista, del guadagno facile o del potere sia lo scopo ultimo della vita umana.10 Una delle sfide odierne più temibili è l’ignoranza del contenuto della fede, sotto il duplice aspetto del disconoscimento della persona di Gesù e del valore universale e permanente del suo insegnamento. La diminuzione della pratica religiosa rivela chiaramente che tanti battezzati hanno smarrito identità e appartenenza: non conoscono i contenuti essenziali della fede o pensano di poterla coltivare prescindendo dalla mediazione ecclesiale. e mentre molti guardano dubbiosi alle verità insegnate dalla Chiesa, altri riducono il Regno di Dio ad alcuni grandi valori, che hanno certamente a che vedere con il Vangelo, ma che non riguardano ancora il nucleo centrale della fede cristiana. Si constata, cioè, “un certo silenzioso processo” mediante il quale i cattolici abbandonano la pratica della fede, talvolta mediante una decisione esplicita, ma più spesso quietamente e gradualmente allontanandosi dalla partecipazione alle pratiche religiose e dall’identificazione con la Chiesa. Si verifica una preoccupante perdita del senso del sacro, giungendo persino a porre in questione quei fondamenti che apparivano indiscutibili, come la fede in un Dio creatore e provvidente, la rivelazione di Gesù Cristo unico salvatore, e la comune comprensione delle esperienze fondamentali dell’uomo quali il nascere, il morire, il vivere in una famiglia, il riferimento ad una legge morale naturale. Se tutto ciò è stato salutato da alcuni come BeneDetto XVi, Lectio divina ai Parroci di Roma, 23 febbraio 2012. BeneDetto XVi, Omelia alla Santa Messa in occasione della consegna dell’Esortazione Apostolica post-sinodale ai vescovi dell’Africa, 20 novembre 2011. 9
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una liberazione, ben presto ci si è resi conto del deserto interiore che nasce là dove l’uomo, ritenendosi unico artefice della propria natura e del proprio destino, si trova privo di ciò che costituisce il fondamento di tutte le cose.11 1.3. La pretesa prometeica
Dall’illuminismo in poi, la critica alla religione si è intensificata; dai sistemi atei Dio era considerato una semplice proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni. il secolo scorso poi ha conosciuto un forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo.12 anche nell’attuale contesto sociale, una certa cultura pare mostrarci il volto di un’umanità autosufficiente, desiderosa di realizzare i propri progetti da sola, che sceglie di essere unica artefice dei propri destini, e che, di conseguenza, ritiene ininfluente la presenza di Dio e perciò la esclude di fatto dalle sue scelte e decisioni. in un clima segnato talora da un razionalismo chiuso in se stesso, che considera quello delle scienze pratiche l’unico modello di conoscenza, il resto diventa tutto soggettivo e di conseguenza anche l’esperienza religiosa rischia di essere vista come una scelta soggettiva, non essenziale e determinante per la vita.13 La razionalità scientifica e la cultura tecnica non soltanto tendono ad uniformare il mondo, ma spesso travalicano i rispettivi ambiti specifici, nella pretesa di delineare il perimetro delle certezze di ragione unicamente con il criterio empirico delle proprie conquiste. Così il potere delle capacità umane finisce per ritenersi la misura dell’agire, svincolato da ogni norma morale. eppure, proprio in tale contesto non manca di riemergere, a volte in maniera confusa, una singolare e crescente domanda di spiritualità e di soprannaturale, segno di un’inquietudine che alberga nel cuore dell’uomo chiuso all’orizzonte trascendente di Dio. oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo ai vari idoli. non è tramontato ciò che la saggezza antica evoca con il mito di Prometeo: l’uo-
BeneDetto XVi, Lettera apostolica in forma di “Motu proprio” Ubicumque et semper, con la quale istituisce il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, 21 settembre 2010. 12 BeneDetto XVi, Udienza Generale, 14 novembre 2012. 13 BeneDetto XVi, Discorso alle comunità dei Pontifici seminari regionali marchigiano, pugliese e abruzzese-molisano, 29 novembre 2008. 11
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mo pensa di poter diventare egli stesso «dio», padrone della vita e della morte.14 1.4. La sfida dell’ateismo pratico
La storia del pensiero filosofico e dell’esistenza umana delle persone testimoniano un continuo incontro e scontro con l’esistenza di Dio. oggigiorno, tuttavia, sono pochi coloro che insistono sulla negazione teorica di Dio, ma la società è permeata da uomini e donne che con la loro vita negano “praticamente” l’esistenza di Dio.15 Si ha la sensazione che molti considerino Dio come estraneo ai propri interessi. apparentemente non hanno bisogno di Lui; vivono come se non esistesse e, peggio, come se fosse un “ostacolo” da rimuovere per realizzare se stessi. nei nostri tempi si è verificato un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede: c’è, infatti, una forma di ateismo «pratico», nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili. Spesso, allora, si crede in Dio in modo superficiale, e si vive «come se Dio non esistesse». in definitiva, tale modo di vivere risulta ancora più distruttivo, perché porta all’indifferenza verso la fede e verso la questione di Dio.16 L’idea di vivere “come se Dio non esistesse” si è dimostrata deleteria; il mondo ha bisogno piuttosto di vivere “come se Dio esistesse”, anche se non c’è la forza di credere, altrimenti esso produce solo un “umanesimo disumano”.17 Si vede anche presso non pochi cattolici, una certa schizofrenia tra morale individuale e pubblica: personalmente, nella sfera individuale, sono cattolici, credenti, ma nella vita pubblica seguono altre strade che non corrispondono ai grandi valori del Vangelo, che sono necessari per la fondazione di una società giusta.18 È il dramma del rifiuto di Cristo che, come in passato, si manifesta e si esprime, purtroppo, anche oggi in tanti modi diversi. Le forme odierne del rifiuto di Dio sono forse persino più subdole e pericolose del passato: dal netto rigetto all’indifferenza, dall’ateismo scientista alla presentazione di un BeneDetto XVi, Udienza Generale, 14 novembre 2012. BeneDetto XVi, Discorso ai partecipanti al congresso della stampa cattolica promossa dal Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, 7 ottobre 2010. 16 BeneDetto XVi, Udienza Generale, 14 novembre 2012. 17 BeneDetto XVi, Discorso ai partecipanti al congresso della stampa cattolica promossa dal Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, 7 ottobre 2010. 18 BeneDetto XVi, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Messico, 23 marzo 2012. 14 15
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Gesù cosiddetto modernizzato o postmodernizzato; un Gesù uomo, ridotto in modo diverso ad un semplice uomo del suo tempo, privato della sua divinità; oppure un Gesù talmente idealizzato da sembrare talora il personaggio di una fiaba.19
2. Quali risposte alla sfida della crisi di fede? 2.1. Nuova evangelizzazione
in realtà, l’uomo, separato da Dio, è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale, e proprio questo riduzionismo è una delle cause fondamentali dei totalitarismi che hanno avuto conseguenze tragiche nel secolo scorso, come pure della crisi di valori che constatiamo nella realtà attuale. Di fronte alla crisi di fede, cosa fare? Quale può essere la risposta dei credenti, oggi? Una delle grandi sfide che stanno di fronte alla Chiesa è quella di coltivare un’identità cristiana basata non tanto su elementi esterni, quanto piuttosto su un modo di pensare e di agire radicato nel Vangelo ed arricchito in base alla tradizione vivente della Chiesa. Benedetto XVi nell’enciclica “Spe salvi” ha sollevato con preoccupazione il problema della quasi completa eclissi di un senso escatologico in molte delle società tradizionalmente cristiane. Diviene sempre più difficile nelle società occidentali parlare in maniera sensata di “salvezza”. eppure la salvezza è al cuore stesso del Vangelo. nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (Cfr. Gv 13, 1).20 Gesù non si stanca di proporre il suo Vangelo a tutti, sapendo di essere “segno di contraddizione” (Cfr. Lc 2, 32–33). Risuonano nella mente e nel cuore le parole del prologo di Giovanni: “A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (1,12). Dinanzi a Lui non si può restare indifferenti. Gli oltre duemila anni di storia cristiana sono pieni di esempi di uomini e donne, di giovani e adulti, di bambini ed anziani che hanno testimoniato Gesù Cristo crocifisso e risorto.21
BeneDetto XVi, Udienza generale, Mercoledì, 3 gennaio 2007. BeneDetto XVi, Discorso alla benedizione delle fiaccole e recita del S. Rosario, Fatima, 12 maggio 2010. 21 BeneDetto XVi, Udienza generale, Mercoledì, 3 gennaio 2007. 19 20
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2.2. Dimensione pubblica della fede
nella cultura contemporanea, soprattutto in occidente, di fatto, il discorso su Dio viene relegato nell’ambito soggettivo, ridotto a un fatto intimo e privato, marginalizzato dalla coscienza pubblica. nella vita concreta e pubblica domina la fiducia nel progresso scientifico ed economico, con la tendenza a ridurre l’orizzonte umano al livello di ciò che è misurabile e ad eliminare dal sapere sistematico e critico la fondamentale questione del senso. La cultura contemporanea, poi, tende a confinare la religione fuori dagli spazi della razionalità: nella misura in cui le scienze empiriche monopolizzano i territori della ragione, non sembra esserci più spazio per le ragioni del credere, per cui la dimensione religiosa viene relegata nella sfera dell’opinabile e del privato.22 Per Benedetto XVi, nella mancata apertura al trascendente risiede il cuore della crisi che ferisce l’europa, che è crisi spirituale e morale: l’uomo pretende di avere un’identità compiuta semplicemente in se stesso.23 Gli sviluppi tecnici ed il miglioramento delle strutture sociali sono importanti e certamente necessari, ma non sono sufficienti a garantire il benessere morale della società. L’uomo ha bisogno di essere liberato dalle oppressioni materiali, ma deve essere salvato, e più profondamente, dai mali che affliggono lo spirito.24 2.3. Credere non è solo un atto privato
Se l’individualismo e il relativismo sembrano dominare l’animo di molti contemporanei, non si può dire che i credenti restino totalmente immuni. infatti, l’indagine promossa in tutti i continenti per la celebrazione del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione ha evidenziato, anche nei cristiani, una fede vissuta in modo passivo e privato, il rifiuto dell’educazione alla fede, la frattura tra vita e fede.25 La religione che diventa un affare puramente privato perde la sua stessa anima.26 esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti ai quali diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con
22 BeneDetto XVi, Discorso ai dirigenti, docenti e studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, 21 maggio 2011. 23 BeneDetto XVi, Discorso all’Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana, 24 maggio 2012. 24 BeneDetto XVi, Omelia alla S. Messa nella città di Brno, 27 settembre 2009. 25 BeneDetto XVi, Udienza generale, 17 ottobre 2012. 26 BeneDetto XVi, Incontro con i vescovi degli Stati Uniti d’America, risposte alle domande poste dai vescovi americani, Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington, 16 aprile 2008.
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la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10). il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo. Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. La fede, proprio perché è atto libero, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa. Come Benedetto XVi ha suggerito nella sua enciclica sulla speranza cristiana, la separazione artificiale del Vangelo dalla vita intellettuale e pubblica interpella i credenti ad una reciproca autocritica “dell’età moderna” e “del cristianesimo moderno”, particolarmente riguardo alla speranza che essi possono offrire all’umanità.27 L’interrogativo resta: cosa ha da dire oggi il Vangelo in un tempo segnato dal proliferare di diverse visioni del mondo? Pochi potrebbero contestare che il cristianesimo ha molto da offrire sul piano pratico e morale, poiché il Vangelo non cessa mai di ispirare uomini e donne a porsi al servizio dei loro simili. e nondimeno, i credenti sanno che Dio offre una realtà più profonda, inseparabile dall’“economia” della carità.28 egli offre la salvezza. il termine salvezza è ricco di significati, tuttavia esprime qualche cosa di fondamentale ed universale dell’anelito umano verso la felicità e la pienezza. esso allude al desiderio ardente di riconciliazione e di comunione che spontaneamente sgorga nelle profondità dello spirito umano. È la verità centrale del Vangelo ed è il criterio dell’impegno terreno dei seguaci di Gesù di nazareth.29 La fede non si configura solo come un cammino, ma anche come l’edificazione di un luogo nel quale l’uomo possa abitare insieme con gli altri. non evoca soltanto una solidità interiore, una convinzione stabile del credente; la fede illumina anche i rapporti tra gli uomini, perché il Dio affidabile dona agli uomini una città affidabile. La fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, di arricchire la vita comune, non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto. La sua luce non serve unicamente a costruire una città eterna nell’aldilà, ma ci aiuta a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro di speranza.30 Cfr. Spe salvi, 22. Cfr. BeneDetto XVi, Caritas in veritate, 2. 29 BeneDetto XVi, Discorso durante l’incontro ecumenico, Sala del Trono dell’Arcivescovado di Praga, 27 settembre 2009. 30 FRanCeSCo, Enciclica “Lumen fidei”, 29 giugno 2013, nn. 50-51. 27 28
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2.4. Credere non è un rifugio intimistico
La priorità della fede in Cristo non potrebbe essere, per caso, un ripiegamento verso l’intimismo e l’individualismo religioso, un abbandono della realtà concreta dei grandi problemi economici, sociali e politici del mondo ed un rifugio verso un mondo spirituale inesistente e, pertanto, illusorio? La risposta implica un’altra domanda: che cosa è la “realtà?”, che cosa è il reale?, sono “realtà” solo i beni materiali, i problemi sociali, economici e politici? Per il credente, la falsificazione del concetto di realtà con l’amputazione della realtà fondante e per questo decisiva che è Dio, porta al grande equivoco delle tendenze dominanti nell’ultimo secolo, ad errori distruttivi, come dimostrano i risultati tanto dei sistemi marxisti quanto di quelli capitalisti. Per il cristiano, solo chi riconosce Dio, conosce la realtà e può rispondere ad essa in modo adeguato e realmente umano. La verità di questa tesi risulta evidente davanti al fallimento di tutti i sistemi che mettono Dio tra parentesi.31 2.5. Esistenza credente: la “fede adulta”
Che cosa significa avere fede? Credere nel Signore è un fatto che coinvolge tutto noi stessi: sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni, relazioni umane. Con la fede cambia veramente tutto in noi e per noi, e si rivela con chiarezza la verità della vocazione cristiana dentro la storia e il senso della vita. Con la fede cambia il nostro modo di pensare, di agire, di rapportarci con l’intera realtà, come scriveva S. Paolo ai primi credenti di efeso: «Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5, 8-9).32 S. Paolo descrive una situazione molto attuale quando esorta i cristiani efesini a raggiungere la maturità della fede e a non rimanere “fanciulli in balia delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (Ef 4, 14). negli ultimi decenni abbiamo conosciuto tanti venti di dottrina, correnti ideologiche e mode di pensiero: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. anche oggi nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore. 31 BeneDetto XVi, Sessione inaugurale dei lavori della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, 13 maggio 2007. 32 BeneDetto XVi, Udienza Generale, 17 ottobre 2012.
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negli ultimi decenni si è fatta strada l’espressione “fede adulta”, diventando quasi uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. e lo si presenta come “coraggio” di esprimersi anche contro il Magistero della Chiesa. Paolo, al contrario, descrive la fede veramente adulta in maniera positiva con l’espressione: “agire secondo verità nella carità” (Cfr. Ef 4, 15). il nuovo modo di pensare, che ci dona la fede, si volge prima di tutto verso la verità. il potere del male è la menzogna. il potere della fede è la verità. La verità sul mondo e su noi stessi si rende visibile nell’ottica di Dio. e Dio si rende visibile a noi nel volto di Gesù Cristo. Guardando a Cristo riconosciamo un’ulteriore cosa: verità e carità sono inseparabili. La carità è la prova della verità. il criterio per una fede matura è che la verità diventi carità e la carità ci renda veritieri.33 Spesso, però, avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene etichettato come fondamentalismo; mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io. Gli adulti nella fede, invece, hanno un’altra misura: la persona di Gesù, misura del vero umanesimo.34 La “questione della fede”, in definitiva, è la sfida prioritaria per l’uomo contemporaneo, come lo è stata per il passato. i credenti sono chiamati a vivere e testimoniare la gioia della fede, accreditando l’alleanza tra fede e ragione come due ali con cui lo spirito umano si innalza alla contemplazione della Verità,35 rendendo fecondo il dialogo tra cristianesimo e cultura moderna.36
BeneDetto XVi, Omelia ai Primi Vespri della Solennità dei Santi Pietro e Paolo, 28 giugno 2009. 34 J. RatZinGeR, Omelia alla Messa pro eligendo pontifice, 18 aprile 2005. 35 Cfr. GioVanni PaoLo ii, enciclica Fides et ratio, Prologo. 36 BeneDetto XVi, Omelia alla celebrazione dei primi Vespri della solennità di Maria SS. Madre di Dio, 31 dicembre 2011. 33
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L'ALLEGORIA NELLA LETTURA DEL VANGELO: LA PRASSI DI S. CROMAZIO D'AQUILEIA
FRANCESCO TRISOGLIO Professore emerito di Storia e Letteratura Patristica (Università di Torino) SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Aderenza al testo evangelico. - 3. Dal testo all'applicazione in aderenza di trasferimento. - 4. Allegorie in netta distanza dal testo. - 5. Appoggi biblici. - 6. Senso letterale e senso allegorico, in vicendevole accostamento.
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1. Premessa
romazio, nato nel 335/340, dal 388 al 407/408 fu vescovo di Aquileia, città allora importante quale porta d’accesso all’Italia sul confine nord est. Fu amico di S. Girolamo, che lo definì il più santo ed il più dotto dei vescovi e gli dedicò alcuni dei suoi commenti biblici. Fu in contatti epistolari con S. Ambrogio e con S. Giovanni Crisostomo, che lo ringraziò per un intervento in suo favore presso l’imperatore Onorio. L’edizione critica delle sue opere, curata da R. Étaix e J. Lemarié, Corpus Christianorum, Series Latina IX A, 1974, presenta 42 tra discorsi e frammenti, ed il prologo alle 59 lezioni sul Vangelo di S. Matteo; che non fu però commentato interamente; Cromazio segue il testo continuativamente fino a 9,31, poi saltuariamente fino a 18,35, dove si interrompe per non sappiamo quale motivo. Cromazio ha lo spirito del grande signore che si comporta in tutto con un fine equilibrio; guarda situazioni e problemi con la lucida pacatezza di chi li domina senza lasciarsene trascinare; individua i valori con sicurezza senza iperbolizzarne nessuno; si rivolge al pubblico con un garbo distinto. Come scrittore è elegante in semplicità; scrive bene senza compiacersi della sua perizia; parla, per la sua responsabilità di docente, in ricchezza di contenuto ed in scorrevolezza di esposizione; è, generalmente, piuttosto succinto; il pensiero scorre fluido e penetra nell’ascoltatore, il quale non è affa-
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ticato da difficoltà di assimilarlo; Cromazio non prova nessuna fatica a verbalizzare il pensiero; è agevole, non povero; il periodo può essere, talora, complesso, ma non è mai intricato o contorto; anche quando si snoda attraverso a frasi sintatticamente intrecciate, lascia sempre scorgere perspicuo il filo dello sviluppo; ha idee chiare e le sa esporre in chiarezza. Il pensiero, che sorge copioso, fluisce in una scorrevolezza che, essendo concettosa, si distingue nettamente dalla chiacchiera; procede con un agio che sa di sicurezza in un certo sentore di eleganza. È una fluidità che evita la facilità della superficialità, perché inserisce spesso nel suo interno dei commi ben ritmati e densi di concetto. Nella lessicologia Cromazio ricorre spesso al vocabolo astratto, che suscita una certa impressione di severità filosofica, esprimendo nude idee che sanno di austerità mentale. Parole e idee sono informate ad una pacata concretezza; Cromazio ragiona nella realtà effettiva, non si abbandona a voli di fantasia; è convinto ma non è entusiasta, non si inoltra nelle plaghe del misticismo. Del resto il suo mestiere di esegeta non aveva tanto bisogno di celebrazioni quanto di comprensione e di assimilazione. È denso per rispetto tanto del testo biblico, che non va svilito, quanto degli ascoltatori, che non vanno privati di un nutrimento sostanzioso. Sulle sue omelie si stende un clima di raccoglimento, che non implica uggia; non si permette la minima divagazione; i suoi excursus vanno, regolari, verso l’Antico Testamento, in esclusione da ogni intrusione nell’ambito esterno; condanna eretici ma non si impiglia in diatribe teologiche.
2. Aderenza al testo evangelico
Di esso ha un profondo rispetto; non lo discute mai; lo considera una via dalla quale non intende allontanarsi, non solo dogmaticamente, ma anche narrativamente; non ricostruisce le situazioni, le interpreta; dichiara: «La mia esposizione vuole seguire l’ordine dei fatti» (Om. 6,2 p. 221,38); si attiene al racconto canonico; non soggettivizza, vuole essere obiettivo; non si permette sentieri in margine né aggiunte che apportino complementi esterni. Le sue fughe verso l’Antico Testamento le vede come fondamento, come una prefazione al Vangelo, al quale creano uno sfondo di profezia; arrivano come indiscutibile conferma. In 8,1 p. 228,1 si prefigge: «Ritorniamo alla prosecuzione del testo»; è la sua linea di marcia; le applicazioni morali non gli sono imposte o sovrapposte; non svola in elevazioni mistiche; evidenzia la ricchezza che il testo contiene in se stesso; sa che la sua personalità si afferma nel capire il testo, non nel colorirlo o nell’ampliarlo. «Vediamo che cosa il Signore vuole che si intenda sotto il paragone di questa parola [sale]» (18,I,1 p. 279,4-5): ciò che vuole il Signore, non ciò che propone lui; afferma un metodo d’indagine cri-
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ticamente obiettivo. Esamina quale sia il valore semasiologico del vocabolo e quali le immediate trasposizioni spirituali (Ibid. I,2 p. 279,8-16). In 19,III,1 p. 286,47 dice ancora: «Vediamo quale sia il senso di questa frase del Signore: Non si accende la lucerna per metterla sotto il moggio» (Mt. 5,15) e commenta che noi siamo stati accesi dalla grazia della fede, affinché illuminati dalla luce dello Spirito, mentre noi personalmente risplendiamo spiritualmente come una lucerna mediante le opere della fede e della giustizia, illuminiamo quelli che sono nelle tenebre dell’errore con la luce della verità (Ibid. III,1-2 p. 286,50-57). Il trapasso dalla luce della lampada che illumina la casa e scaccia le tenebre dell’ambiente alla luce della fede che illumina l’anima espellendo le tenebre dell’errore era tanto naturale da apparire obbligato.
3. Dal testo all’applicazione in aderenza di trasferimento
Si tratta di un rapporto ovvio come dalla radice al frutto. Il collegamento talora fluisce in notevole naturalezza, tanto che quasi non si avvertono i due ambiti. Quando, per spiegare chi sia il più grande nel regno dei cieli, Gesù presentò un fanciullo e pronunciò una dura minaccia contro chi scandalizza i piccoli (Mt. 18,1-6) le varie interpretazioni traslate sembrano fluire naturali, emergono spontanee, quasi più che proporre, raccoglie; spiega mentre legge. È una lettura che fa affiorare un piano parallelo, che la rende fruttuosa ed illuminante (55 pp. 472-476). Così quando Gesù prospetta che la mano e l’occhio possano scandalizzare (Mt 18,8-9), Cromazio precisa, come cosa chiara, che il Signore non parlava delle membra del corpo ma dei cattivi pensieri dell’anima (56,1 p. 478,17-19), parla in semplicità e spontaneità; riflette nel buon senso. Sul tema del perdono al fratello che pecca (Mt 18,15-18) ritorna la tranquillità di lettura in tranquillità di ammaestramento (58) ed anche sul grande debitore che non perdona al piccolo (Mt 18,19-35) le considerazioni scorrono in una saggezza che s’impone per la sua evidenza (59). Cromazio rievoca, in acutezza di presentazione, gli indemoniati di Gadara, i quali si lamentavano che Cristo, Figlio di Dio, fosse venuto a tormentarli prima del tempo (Mt 8,28-34) ed osserva che, con «prima del tempo», essi confessavano chiaramente di credere in un giudizio futuro in cui Cristo sarebbe stato il giudice, ed a questa convinzione veritiera contrappone l’empietà dei Giudei e la follia degli eretici, che rifiutano di riconoscere Cristo come Figlio di Dio, che i demoni non possono negare (43,2 p. 406,27-32) e poi nei pastori dei porci che pregarono il Signore di allontanarsi dal loro territorio vede il tipo dei principi dei Giudei e dei sacerdoti degli idoli (§ 5 p. 408, 94-109), anch’essi escludevano la presenza di Cristo.
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Nella tempesta sedata (Mt 8,23-27) la nave è la Chiesa, il mare è il mondo con le sue tentazioni, i venti sono gli spiriti immondi [spiriti, spirare, è connesso con il soffiare dei venti], che infieriscono per il naufragio della Chiesa; il sonno del Signore simboleggia il suo permesso che la Chiesa venga provata con le persecuzioni di questo mondo; le preghiere dei discepoli che svegliano il Signore e gli chiedono aiuto sono le preghiere dei santi i quali, al sorgere della tempesta della persecuzione, risvegliano la pazienza del Signore; l’ammirazione dei presenti è la fede di quanti nella Chiesa pregano il Signore e confessano che il Signore, difensore della Chiesa, è il Figlio di Dio (42,5 p. 402,68-105). A proposito della lampada che si pone sul candeliere (Mt 5,14-16), Cromazio osserva che Cristo chiama i discepoli luce del mondo, perché, illuminati da lui, che è la vera ed eterna luce, sono diventati anch’essi luce delle tenebre (19,I,1 p. 285,6-8); ne dichiara così la missione; c’è una continuità dal testo che non appare neppure trapasso, né sembra una derivazione immediata senza distanza; la luce, anche se viene allegorizzata, rimane pure presente nella sua azione reale. Gesù definì i discepoli, oltre che luce, anche sale della terra (Mt 5,13), richiamandosi alle sue proprietà effettive (18,I,2 p. 279,8-16); poi, partendo dall’affermazione che il sale, diventato insipido, viene gettato via come inutile (Mt 5,13), Cromazio afferma che ciò «mostra che diventano insipidi quelli che, dopo essere stati una volta istruiti mediante la fede e la sapienza celeste, e debbono quindi permanere stabilmente fedeli, abbandonano la fede e la sapienza divina e precipitano nell’eresia o tornano alla stoltezza del paganesimo» (18,IV,1 p. 282, 96-100). Quando in Mt 6,22 si dichiara che la lucerna del corpo è l’occhio, Cromazio (31,I,1 p. 345,5-7) specifica che per lucerna del corpo si intendono la percettività della mente e la fede del cuore, la quale, se è pura, illumina tutto il nostro corpo; è un traslato immediato in un senso spirituale. Cromazio prosegue poi designando nell’occhio il vescovo, che, con la chiara predicazione della sua fede e della sua dottrina, come un occhio, illumina il corpo della Chiesa (31,II,1 p. 346,32-35). Inculcando una serena fiducia nell’amorevole provvidenza di Dio, Gesù invitò: «Guardate gli uccelli del cielo» (Mt 6,26) e Cromazio anima la materialità del guardare: «Questo esempio va inteso in una comprensione spirituale»: negli uccelli che volano all’alto, sono indicati i santi ed i fedeli che si pascono di un cibo celeste e, senza nessun peso di peccato, dalle cose terrestri volano ai regni celesti (32,3 p. 352,67-75). Quel fatto di natura, il volare, parla da solo e da soli parlano gli usi dell’ordinaria attività umana: gli uomini infatti abbattono gli alberi inutili; dinanzi alla prospettiva minacciosa della scure posta sulla radice degli alberi (Mt 3,10) l’esegeta specifica che in
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questo attrezzo è simboleggiato il potere del Verbo divino in riferimento al giudizio finale (11,1 p. 239,1-19). Altro attrezzo che gli agricoltori, a conclusione della trebbiatura, maneggiano è il vaglio; anche Dio lo tiene in mano per mondare la sua aia (Mt 3,12) separando i giusti dai peccatori (11,6 p. 242,111-118); è un’interpretazione imposta dal senso del discorso e dalla natura stessa dell’atto; l’inevitabile mescolanza del grano e della pula e la necessità di separarli esigevano l’impiego di quello strumento. Oltre alla prassi del mestiere, è ricca di segnalazioni allusive la storia: un particolareggiato esame del personaggio di Sansone quale figura di Cristo si svolge in stretta aderenza; il parallelismo appare logico ed indiscutibile; i singoli aspetti si illuminano dall’interno; sembra quasi che esistano proprio per rinviare (7,2 p. 225,46-70). Sul ritorno dei Magi al loro paese per una via diversa da quella dell’arrivo (Mt 2,12) Cromazio trova che «essi hanno offerto un esempio di ossequenza alla segnalazione divina e di fede, affinché, dopo che abbiamo una volta conosciuto Cristo re, abbandoniamo la vita precedente, cioè quella dell’antico errore, e, viaggiando per un’altra strada, nella quale ci è guida Cristo, ritorniamo al nostro paese, cioè al paradiso, dal quale fu cacciato Adamo» (5,2 p. 217, 49-55). È un’applicazione che sorge tanto illuminante quanto spontanea dal testo; sembra quasi che, più che interpretare lui, inviti a leggere il testo con intelligenza. Però, non di rado, è lui che parla; più che far parlare il testo lo integra di sua iniziativa; l’interpretazione diventa interpolazione.
4. Allegorie in netta distanza dal testo
Al lebbroso guarito Gesù ordinò di portare ai sacerdoti l’offerta prescritta da Mosè (Mt 8,4); da Lev 14,1-7 sappiamo che essa comprendeva anche due polli; Cromazio propone che nei due animali sia stato mostrato il mistero dell’Incarnazione, poiché il sacerdote eterno assunse corpo ed anima per la purificazione dei nostri peccati (38,3 p. 378,63-67); la deduzione non è affatto intuitiva; su questa linea da quella dualità se ne potevano immaginare altre in una quantità illimitata; siamo all’allegorismo individualistico, estroso, dotato di un’accettabilità aleatoria. Nel servo paralitico del centurione che dichiarò sufficiente la parola di Gesù per la guarigione (Mt 8,5-13) Cromazio vede il tipo del popolo pagano che, affetto da gravi colpe, giaceva nella casa di questo mondo paralitico nell’anima e nel corpo (39,2 p. 382, 52-57); siamo in piena gratuità, nell’assenza di qualsiasi collegamento fondato. Nel campo delle guarigioni, a proposito della suocera di Pietro (Mt 8,1415), Cromazio afferma che, secondo l’interpretazione allegorica, essa era il tipo della sinagoga, la quale giaceva oppressa da gravi colpe come da febbri; la interpreta così perché, come essa, una volta guarita, servì Gesù, così dalla sinagoga vennero quelli che credettero nel Figlio di Dio (40,2 p. 386,19-31),
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ma l’esegeta divaga in molte parole che non giustificano affatto l’equivalenza. Subito dopo, Matteo (8,16) comunica che «verso sera si presentarono a Gesù molti ossessi, che egli con la sola parola liberò e guarì tutti gli infermi»; per Cromazio con “verso sera” «secondo l’interpretazione allegorica viene mostrato il mistero della morte del Signore, quando il Figlio di Dio, che si chiama sole di giustizia, subì il tramonto della morte per la nostra salvezza» (40,4 p. 388,66-70). Ma l’inserzione gratuita del sole di giustizia per stabilire un raffronto è un logoro espediente per coonestare un arbitrio. Un’identica mancanza di fondamento si ritrova quando, alla dichiarazione di Gesù che il Figlio dell’uomo non ha dove reclinare il capo (Mt 8,20), Cromazio osserva che, siccome i falsi profeti con la loro predicazione erronea e gli spiriti immondi con il culto degli idoli occupavano tutto il popolo d’Israele, il Signore non trovava posto per reclinare il capo, cioè in cui ci fosse la conoscenza del Padre, che è il capo di Cristo (41,3 p. 392,78-85). Siamo di nuovo al funambolismo verbale che gioca su una parola per divagare nell’illimitatezza della fantasia. Completamente fuori strada è anche la particolarità cronologica che Gesù, camminando sulle acque, raggiunse i discepoli pericolanti sulla barca sbattuta dai flutti, «alla quarta vigilia» della notte (Mt 14,25), il che alluderebbe alle quattro epoche nelle quali si distribuisce la storia umana: la prima va da Adamo a Noè, la seconda da Noè a Mosè, la terza da Mosè al Salvatore, la quarta è il tempo presente, in cui Cristo nacque e sofferse (52,5 p. 457,44-169), ma, a questa stregua, qualunque numero quattro che s’incontri potrebbe, anch’esso, venire connesso con questa concezione della storia; se Cromazio voleva richiamare lo sviluppo della storia della salvezza, non lo doveva attraccare a questa festuca. Ugualmente gratuita e casuale è l’opinione che i due ciechi di Mt 9,27 simboleggiano i due popoli che, dopo la morte di Salomone, furono divisi in due regni (48,2 p. 437, 44-47) e che i dodici anni dai quali l’emorroissa subiva le sue perdite (Mt 9,20) siano le dodici tribù d’Israele e che i medici incapaci ed avidi siano i capi del popolo ed i sacerdoti (47,5 p. 432,152-160). Quella donna non guarita dai medici di questo mondo rappresenterebbe il mistero della verità futura (47,2 p. 429,50-55). Il lembo del mantello (Mt 9,20) significherebbe l’ultimo tempo, nel quale il Figlio di Dio s’incarnò e venne a salvare il mondo (47,1 p. 429,30-33). Nella mano e nel piede che scandalizzano (Mt 17,8) si potrebbero anche intendere i ministri ed i capi della Chiesa infedeli (56,2 p. 478,28). Si tratta di chiazze larghe e vistose in un tessuto abitualmente suasivo. La via dell’allegoria, in stretta e controllata misura, talvolta è necessaria, spesso può anche essere opportuna, però è tentante; lo sfoggio d’intuizione alletta; Cromazio ripetutamente gli cede; ma abitualmente cerca di rassicurarsi con buoni garanti.
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5. Appoggi biblici
Cromazio aspira a crearsi una credibilità, verso se stesso e verso gli altri; allo scopo non esiste avallo più autorevole della parola di Dio. Alla propria interpretazione affianca quindi, pressoché sistematicamente, passi dei due Testamenti, e specialmente dell’Antico; essi un po’ gli sono fonte, ma soprattutto gli agiscono da conferma. Così le pietre dalle quali Dio può trarre dei figli di Abramo (Mt 3,9) li dice pagani dai quali vengono suscitati dei credenti in Cristo dopo che hanno rifiutato la perfidia giudaica e per questo cita a sostegno Ezechiele e Geremia (10,3 p. 237,67-81); sulle tentazioni di Gesù (Mt 4,11) si riferisce alla Genesi (14,3 p. 253,80-86); sulla beatitudine che concerne i poveri di spirito (Mt 5,3) richiama ripetutamente i Salmi (17,II,5 p. 270,67-70). Quest’uso della citazione non gli è accorgimento occasionale, gli è impostazione mentale e norma compositiva. Cita questi passi, anche se taluni sono applicati forzatamente in una connessione evanescente, pure ci sono; con quel patrocinio fa fede che il suo messaggio è autorevole.
6. Senso letterale e senso allegorico, in vicendevole accostamento
Sono due linee che Cromazio ritiene entrambe valide e che entrambe salva. Del vestito di Giovanni Battista, che egli richiama (Mt 3,4), esprime il suo proposito di effettuare un’interpretazione spirituale: la tunica raffigurava la Chiesa, intessuta con i diversi popoli come con peli di cammello ad opera dello Spirito Santo mediante la predicazione dei profeti e degli apostoli; la cintura di pelle che gli cingeva i fianchi indicava la castità e per ciò Cromazio si aggrappa a S. Paolo: «Siano i vostri lombi cinti dalla castità» (Ef 6,14) e nota che la cintura la ordina anche Gesù ai suoi discepoli (Lc 12,35); per le locuste, che indicherebbero i popoli, si collega con Amos 7,1 (9,2 p. 232,35-67). Quanto alla vocazione di Matteo ed al pranzo successivo, spiega che «secondo l’interpretazione allegorica o mistica» la casa di Matteo era la sua mente, nella quale entrò Cristo mediante la fede (45,5 p. 420,102-104). Per i due indemoniati di Gadara (Mt 8,28-34) distingue la lettera del racconto evangelico dall’interpretazione allegorica [che egli, di volta in volta, oltre che allegorica, chiama anche figurale o spirituale o mistica o anche celeste] che vi vede i due popoli, Giudei e pagani (43,4 p. 407, 61-72). Per la figlia di Giairo (Mt 9,18-26) invita prima a conoscere i fatti secondo la litterae simplicitas e poi a leggerli secondo l’interpretazione spirituale (47,5 p. 432,137141); sul regno di Satana diviso (Mt 12,22-28) richiama esplicitamente l’interpretazione spirituale: «poiché la potenza del Signore contiene in sé un senso spirituale, dobbiamo badare a che cosa significhi una determinata affermazione dei farisei secondo l’interpretazione figurale, per quanto riusciamo a capire» (49,4 p. 442,104-107). Sulla purezza legale e morale (Mt 15,10-11)
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affianca la simplicitas litterae al mysterium futurae rei (53,4 p.464,122-124). Quanto al segno di Giona (Mt 16,4) presenta la doppia lettura; nota infatti che Giona fu gettato nel profondo del mare e salvato dal cetaceo e che similmente il Signore fu salvato dalla morte (54,2 p. 469,33-35); dichiara poi che il cetaceo non poté né digerire né trattenere a lungo Giona, così la morte, per quanto avida, se ricevette in sé il Signore, non lo poté però trattenere (§ 3 p. 470,36-40). Forse anche in un’indiretta apologia del suo allegorismo, Cromazio nota che l’interpretazione traslata, se è legittima, non è però unitaria, infatti, mentre egli medita sulla vicenda di Gadara, dichiara che la si può intendere anche in maniera diversa da quella che egli propone, perché l’interpretazione spirituale è molteplice (43,6 p. 409,110-111), tuttavia non è aleatoria; può venire anche malamente impostata; cita quindi un’interpretazione che egli dichiara incompleta e la integra (22,I,2 p. 300,13-23) e poi un’altra, di cui non vede il motivo, la confuta e la corregge (22,II,1-2 p. 300,24-39), un’altra invece l’approva e l’approfondisce (22,III,1-2 p.301,40-53). Cromazio è caratteriologicamente uno spirito sereno e pacato; ha una fede tanto sicura quanto tranquilla; gli è vita e gli diventa soddisfazione della vita; il testo evangelico gli apre gli orizzonti infiniti della trascendenza, ma a leggerlo è sospinto anche dal gusto e dalla soddisfazione; vi indugia con compiacimento. La fede gli appaga la ragione; gli appare strutturata in un perfetto equilibrio: Adamo fu plasmato da una terra vergine ed il Figlio di Dio nacque da una madre vergine; là una vergine concepì la morte, qui una vergine generò la vita (2,5 p.204,117-121). Anche la condotta sociale gli defluisce naturale dalla lettura del Vangelo; non ha bisogno di introdurla: Giuseppe, che sebbene stimasse Maria adultera, non volle esporla ad un pericolo di morte, come prescriveva la Legge, con un ripudio pubblico, viene presentato a quanti, pure immersi nei peccati, condannano le loro mogli per un semplice sospetto (2,2 p. 202,44-51). Più che esortare alla morale ama presentarne modelli: afferma infatti che il Signore, con la sua tentazione ci diede l’esempio di come combattere e vincere il nemico (14,6 p.255,163.164); della morale preferisce specificare le condizioni: «Nessuno può ricevere la grazia di Dio, se non si è purificato da ogni macchia di peccato mediante la penitenza» (15,3 p. 161,70-72). Guarda i fatti e ne trae le conseguenze: «Questa fede dei Magi è la condanna dei Giudei» (4,2 p. 212,57): è semplice e categorico; non c’è enfasi parenetica; c’è la sicurezza dell’analisi di un fatto. La presentazione di un valore autentico oltre le apparenze c’è nella condizione sociale degli Apostoli; Gesù li scelse illetterati ed ignoranti; erano «umili nel mondo e nel loro mestiere, ma eccellenti nella fede e nella loro devota ubbidienza; disprezzati sulla terra, ma graditissimi in cielo; ignobili
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per il mondo, ma nobili per Cristo; non iscritti nell’albo del senato terreno, ma scritti nell’albo degli angeli in cielo; poveri per il mondo, ma ricchi per Dio» (16,1 p. 263,19-25). C’è insistenza, vivezza di sentimento, ma non celebrazione oratoria; il tono è sommesso, quasi voce dell’interiorità. Insieme all’analisi delle persone c’è quella delle disposizioni spirituali; a commento di «Beati i poveri di spirito» (Mt 5,3) osserva che noi conosciamo molti poveri, ma essi non sono beati solo in quanto sono poveri, poiché non è la necessità della povertà che rende beato ciascuno di noi, ma la fede di una povertà per amore di Dio» (17,II,1 p. 269,35-39); sono osservazioni sagge e sobrie, come ovvie; fa parlare la realtà in una persuasività che appare evidente. Sullo stesso tono, per «Non giudicate» (Mt 7,1) spiega che il Signore non proibisce di giudicare, ma prescrive di non giudicare alla leggera, perché ci sono di quelli che credono avventatamente e subito giudicano e di colpe anche lievi fanno dei delitti (33,1 p. 358,1-8). Qui non c’è traslato, c’è riflessione; c’è quanto sta nel testo, dal quale non esce fuori. Sulle due vie (Mt 7,13-14) non suggerisce lui la scelta, la chiede interpellando gli ascoltatori (34,2 p. 366,36-41). Cromazio, calmo con gli uomini, calmo lo è anche con Dio; centro del suo messaggio è pur sempre la Trinità; in 13,II,2 p. 249,28-38 ne presenta, in tersa pacatezza, il dogma; il mistero gli si porge allo sguardo in una serenità che ignora ogni ansia; è una realtà in se stessa persuasiva. Cromazio è l’uomo d’una fede tanto sicura quanto tranquilla; condanna gli eretici senza inveire; espone la verità in modo che sia essa stessa ad imporsi; alla Chiesa, allora travagliata da polemiche teologiche e da personalismi, lascia, come ammonimento, nell’ultima omelia (59,1 p.492,5-6) una meditazione su «quanta importanza abbiano presso Dio l’unanimità e la concordia tra i fratelli».
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LA SALLE BIOGRAFIE DI GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE FRÈRE BERNARD Vita di Giovanni Battista de La Salle trad. it. e presentazione di Bruno Bordone, Vercelli 2007, pp. 153 L’autore ha vissuto in comunità con il La Salle ed ha attinto dalla viva voce dei primi Fratelli le testimonianze che trasmette. Più che biografo è un testimone che offre con limpidità il La Salle nella sua veste di fondatore di una comunità di uomini affascinati da un giovane prete e votati a tenere insieme e in associazione le scuole gratuite.
FRANÇOIS-ELIE MAILLEFER Vita di Giovanni Battista de La Salle trad. it. e presentazione di Bruno Bordone, Vercelli 2007, pp. 301 Nipote del La Salle, l’autore scrisse su incarico della famiglia La Salle. Suo scopo è delineare il volto dello zio in tutta la sua autenticità attingendo a fonti sicure e trattandole con competenza. Con esemplare incisività presenta il giovane Jean-Baptiste alla ricerca della sua vocazione, teso a realizzare il piano di Dio tra l’affetto dei suoi figli spirituali e le resistenze di quanti non capivano il valore profetico delle sue scelte.
ELIO D’AURORA Monsieur de La Salle – una fedeltà che vive Editrice A&C, Torino 1984, pp. 275 La vita del La Salle si svolge nell’irriducibile realismo di una società dibattuta da crisi di coscienza, statolatria, ambizioni del potere, sete di ricchezze, necessità di rigenerarsi. La Salle non colloca la sua pedagogia nelle belle lettere, ma nelle arti e nei mestieri, presagendo il travaglio di un rivolgimento politico e sociale che l’Europa stava covando. Nella Francia del Re Sole, tra guerre miserie e pestilenze, ad onta dello splendore del Grand Siècle, La Salle rovesciò le concezioni pedagogiche di una società che nutriva solo disprezzo o falsa pietà per i ceti popolari. D’Aurora mette tutto questo in risalto con una brillante e documentata biografia.
MICHEL FIÉVET Giovanni Battista de La Salle maestro di educatori trad. it. di Serafino Barbaglia, Città nuova, Roma 1997, pp. 190 L’autore è un professore, sposato, che ha collaborato a lungo con i Fratelli scoprendo poco a poco il loro Fondatore. Affascinato dalla personalità del La Salle ne ha approfondito il profilo come santo e come pedagogista, tanto da riuscire a svelare agli stessi Fratelli aspetti inesplorati della fisionomia del loro Padre e Fondatore. •••
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Rivista Lasalliana 81 (2014) 4, 31-40
IDENTIDAD E IDENTIDAD NARRATIVA HNO. PAULO DULLIUS Formatore lasalliano
RESUMEN: 1. Identidad. - 2. Erickson y la identidad. - 3. Identidad Narrativa. - 3.1. Identidad y diferencia. - 3.2. El hombre capaz: capaz de hablar – capaz de actuar – capaz de narrarse – capaz de imputarse sus acciones.
I
1. Identidad
dentidad significa ser uno mismo. Más, ¿es posible no ser uno mismo? Si el tema aparece es porque sí es posible ser uno mismo, es posible ser dominado tanto por otros al punto que el núcleo personal esté diluido, y es posible mantener un núcleo personal seguro que se mantiene a pesar de los cambios que son introducidos a lo largo de la vida. ¿Por qué ser sí mismo? Cada uno es único y tiene características propias que constituyen su ‘mismidad’, especialmente su libertad, autonomía, expresión de su interior. Cada característica antropológica tiene una energía y un deseo profundo de realización. No desarrollar estas características significa atrofiar la persona y alienarla, es fallar en el proceso de humanización que se nos confía. Nadie tiene el derecho de vivir sin desarrollarse. Además de atrofiarse, quien abdica de la misión de crecer en su proceso integral nunca encontrará una unidad interior, la cual es un deseo profundo de cada uno de nosotros. Según Francesco Alberoni, aprendemos por indicación y por identificación. Eso nos coloca ante contenidos diversificados que constituirán nuestra identidad. Somos en gran medida el resultado de nuestras oportunidades elaboradas a partir de nuestro interior que se va configurando progresivamente y siempre, de acuerdo a las experiencias anteriores. Desde niño tiene indicaciones sobre cómo ser y cómo vivir: “haga eso”, “no haga aquello”. “Eso está muy bien”. “Usted debería haber hecho y sido diferente”... Indicaciones directas y/o indirectas indican comportamientos, modos de pensar, de ser, de actuar... Pasamos la vida recibiendo indicaciones. Tenemos más o menos autonomía sobre ellas para decidir lo que sigue. Es que depende de nuestra fuerza y unidad interior y también de la intensidad y poder de coerción de los agentes influenciadores. Si estamos sujetos a recibir permanentes indicaciones, conviene recordar, también, que nosotros nos pasamos la vida
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indicando algo a los demás. En nuestra misión y vivencia comunitaria damos ‘indicaciones’. Se supone la recta intención y un contenido humanizante, lo cual no siempre es verdadero. Cuanto más débil es la estructura de la persona, más depende de indicaciones externas, y el resultado es una identidad frágil. Algo semejante se puede decir de la identificación. Tenemos personas, ideas e instituciones con las cuales nos identificamos. La identificación de estas identificaciones obedece a la estructura interna, sea como semejanza, como complementariedad o como realización de los ideales personales. Con todo, estos modelos se nos ofrecen a lo largo de la vida y algunos los escogemos y otros nos los presentan repetidamente. Estos modelos pueden corresponder más o corresponder menos a nuestros ideales como realización, complementación o compensación. De alguna forma nosotros mismos somos identificación para otras personas, y nosotros mismos deseamos ser estas personas con quienes otros se identifican. Siempre conviene evaluar con objetividad el contenido de nuestras elecciones de identificación y también en qué contenido se inspiran otros para identificarse con nosotros. De esta evaluación puede depender una identidad más saludable o menos saludable. En esta identificación y deseos miramos mucho a lo que está fuera de nosotros: en las personas, en las instituciones... Miramos y deseamos cosas que vemos en el ambiente, en las personas, y muchas de ellas las queremos para nosotros mismos. Algunas son accesibles y otras no. Cuando no lo son nacen las frustraciones, porque hay límites en cuanto a la realización de los deseos y precisamos contar con nuestros límites. Pasamos mucho tiempo comparándonos con los demás, y eso tiene sus repercusiones en la identidad. La cuestión de la identidad es saber si ella se refiere únicamente a nosotros mismos o se incluyen también los otros. Estamos siempre con los otros, y ellos están dentro de nosotros. Físicamente, podemos percibirnos fuera y separados de los demás. Pero psíquica y espiritualmente, los otros están de alguna forma dentro de nosotros mismos. Investigaciones sobre el inconsciente indican que la realidad vivida y actual de los otros entra en nosotros y de alguna forma nos afecta. Nuestra realidad también entra en los demás y no conseguimos hacer barreras insuperables. Esta cualidad de estar dentro de nosotros enriquece y expresa nuestro ser. Hay un sueño de unión que nos hace fantasear estar unido a los demás sin tener ya diferencias. Mas eso no es posible. Siempre mantenemos nuestra peculiaridad y hay una diferencia permanente entre el yo y el no yo. Esta realidad compleja del yo compuesto por un núcleo central en interacción con los demás constituye la tarea nada fácil de administrar una identidad saludable. De alguna forma siempre permanece una posibilidad de elección y de autonomía. La identidad está comprometida si se nos quita la autonomía y la libertad.
Identidad e identidad narrativa
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Ausubel habla de valorización extrínseca y valorización intrínseca. Eso tiene que ver con la identidad. Valorización extrínseca es aquella que depende demasiado de lo externo: de la familia, de la opinión de los otros, de la autoimagen, de lo que piensan, de lo que esperan de nosotros... La persona gasta su energía a partir de expectativas externas. Eso produce una débil identidad porque no consigue dar seguridad, autoestima verdadera. La valorización intrínseca está basada en el sentimiento y en la realidad de que somos importantes por el hecho de ser lo que somos. Somos amados y aceptados tal como somos. Las acciones derivadas de lo interno a lo externo y de lo externo a lo interno fortifican la individualidad, la diferencia, y fortifican el yo. Eso produce una buena identidad. Si eso está garantizado, con todas las realidades externas cambiadas, permanece una certeza de unidad interior que garantiza la no desestructuración. Quien depende demasiado de la valoración extrínseca desarrolla un yo débil y su identidad es un tanto confusa; quien tiene buena autoestima y fuerte sentimiento y experiencia de ser amado, fortifica su yo y su buena identidad está garantizada.
2. Erickson y la identidad
Eric Erikson comprende las etapas de desarrollo según tensiones entre lo positivo y lo negativo, en un lenguaje de conflictos. En sus libros, especialmente “Identidad, juventud y crisis” estas etapas son bien desarrolladas, lo cual dispensa el su desarrollo aquí, inclusive porque está más allá de este tema. Es una teoría psicosocial. Él coloca la identidad como en la quinta etapa, precedida por: 1) la confianza x desconfianza; 2) autonomía x vergüenza y duda; 3) iniciativa x culpa; 4) industria x inferioridad. 5) identidad x confusión de papel. Para llegar a la identidad es preciso tener bastante superadas las etapas anteriores. Una buena identidad puede ser caracterizada, entre otras, por las siguientes características: estar satisfecho consigo mismo (tener integrada su vida pasada y su contexto); estar satisfecho con su identidad de género e integrarse a partir de esta identidad con el grupo y con la cultura; poder asociarse a las instituciones y grupos y tener éxito en ello, lo que significa asumir otros aspectos de instituciones como fortalecimiento de su yo; haber hecho experiencias de varias formas de trabajo y haber tenido éxito; poder comprometerse con una causa sin tantos desgastes afectivos; tener unificada su vida según su edad y realidad. Las otras etapas dependen del estado de esta identidad: 6) intimidad x aislamiento; 7) generatividad x estancamiento; 8) integración del yo x desespero. Una observación final sobre estos conflictos y la formación: De forma idealizada, se espera que se inicie el postulado teniendo bastante resueltas
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las cuatro primeras etapas y reservar al postulado la gran tarea de adquirir una buena identidad. Al noviciado compete la gran experiencia de la intimidad con Dios, con la institución, con el grupo. “Quien no se posee no puede entregarse”. Al tiempo de vida apostólica, corresponde la etapa de la generatividad, y reservamos la integración del yo a la fase de la tercera edad, cuando ya no hay tantas condiciones de un apostolado más activo. Estas etapas son dialécticas, siempre están interactuando entre sí y nunca aisladamente.
3. Identidad Narrativa
“Largo es el camino para el hombre que ‘actúa y sufre’ hasta el reconocimiento de aquello que él es en verdad, un hombre ‘capaz’ de ciertas realizaciones. Ese reconocimiento de sí, requiere aún en cada etapa, la ayuda de otros, cuando falta ese reconocimiento mutuo, plenamente recíproco, que hará de uno de los socios un ser reconocido. EL reconocimiento de sí permanecerá en lo apenas inacabado, mas permanecerá en la verdad, el reconocimiento mutuo; pero además de eso, mutilado, en razón de la asimetría persistente de la relación con otros construida según el modelo de la ayuda, mas también del impedimento real”.1
3.1. Identidad y diferencia
La persona existe bajo el régimen de una vida que se desarrolla desde el nacimiento hasta la muerte. La concatenación de una vida es un problema de la identidad. Con el término identidad podemos comprender dos cosas diferentes: la permanencia de una sustancia inmutable que el tiempo no muda. Es la mismidad. Yo soy el mismo desde mi concepción hasta el presente momento. Puedo decir que soy el mismo, y la edad es uno de los ‘testimonios’ más objetivos de la continuidad y de la mismidad. Pero hay otro modelo que acentúa la mutabilidad que se introduce con la realidad y las opciones e ideales. Se mantiene un yo, no obstante las vicisitudes del corazón. Es la ipseidad.2 La identidad ídem es la mismidad y la identidad ipse es la ipseidad. La permanencia en el tiempo es el punto de unión entre estas dos identidades. La construcción del sujeto precisa administrar lo que permanece y lo que cambia. La vida ordinaria se mueve en esta casi correspondencia total entre ipseidad y mismidad, y también su casi total disociación. Cuando esta distancia es demasiado grande ocasiona las crisis de identidad. Al mismo tiempo, dependiendo de hechos importantes de la mismidad,
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RICOEUR PAUL, Parcours de la reconnaissance. Trois études, Stock, Paris 2004, p. 119. Cfr. RICOEUR PAUL, La persona, Morcelliana, 1998, p. 65.
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sobre todo los que nos remiten a un pasado distante y lleno de sufrimientos y desamor; una nueva identidad se construye con rupturas del distanciamiento entre estas dos identidades, para construir un sujeto maduro, superando aspectos de la mismidad y fortaleciendo la ipseidad, o sea, las experiencias que se presentan sobre una base diaria. En otras palabras, cuando la mismidad está cargada de experiencias sufridas y dolorosas, la persona aplica mucha energía alrededor de su pasado, su dimensión arqueológica y no puede crecer para la madurez, autonomía y libertad. Pasando del olvido a la memoria de este pasado, comprendiendo la complejidad involucrada en esta mismidad, es posible un proceso de reconciliación y de pacificación. De esta pacificación resulta una disposición de energía para otras metas. Es en este momento cuando la identidad ipse puede proponer contenidos y procesos que estimulen la identidad como un todo, dándole nuevas características significativas. Por eso, la escogencia de los contenidos de la identidad ipse puede reconfigurar una identidad saludable para poder reforzar la fragilidad de la identidad ídem. En este sentido, conviene resaltar la escogencia de contenidos y procesos significativos y en consonancia con las opciones centrales de vida. Una integración de la identidad ídem con datos significativos de la identidad ipse puede incluso distanciarse bastante de las experiencias originales, pero puede también garantizar una saludable identidad. Lo contrario puede acontecer también, o sea, que los datos y las experiencias de la identidad ipse desconfiguren tanto la unidad del yo que el resultado sea una fragmentación de la identidad y del sentido de la vida. Estos dos aspectos o identidades nos introducen en la identidad narrativa. La estima de sí corresponde al concepto de identidad narrativa, es decir, la cohesión de una persona en la concatenación de una vida humana. La persona se designa a sí misma en el tiempo como unidad narrativa de una vida, vida que refleja la dialéctica de cohesión y dispersión de este entrelazamiento. La solicitud tiene su correspondiente narrativo en la propia constitución de la identidad narrativa. La identidad narrativa integra la dispersión, la alteridad. Cada historia de vida se reencuentra involucrada en todas las historias de vida con las cuales cada uno está conviviendo. Mi historia es como un segmento de la historia de otras vidas humanas, incluyendo los padres, los amigos, aun los adversarios. Es una especie de filigrana, un entrelazado de hechos, de experiencias, de ideales. Nosotros nos reconócenos mediante historias ficticias de los personajes históricos, de las leyendas o de los romances.3 La identidad narrativa vale tanto para las instituciones como para las personas consideradas individualmente o en interacción. Las vidas humanas se tornan más legibles 3
Cfr. RICOEUR PAUL, La persona, op. cit., p 68.
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cuando son interpretadas en función de las historias que las personas cuentan a su respecto. Estas ‘historias de la vida’ se vuelven más inteligibles cuando se les aplican modelos narrativos –las intrigas– extraídas de la historia y de la ficción (drama o romance). La autobiografía retrata una cadena de datos: el conocimiento de sí propio es una interpretación; esta interpretación encuentra en la narrativa una mediación privilegiada de signos y símbolos; la narrativa se sirve tanto de la historia como de la ficción, haciendo de la historia de una vida una ficción histórica comparable a las biografías de los grandes hombres en que se mezcla la historia y la ficción. Es importante también considerar que la interpretación siempre refleje la etapa de madurez y de elaboración del momento presente de una persona. La interpretación histórica tiende a relativizar ciertos aspectos subjetivos. El acto de contar parece ser la clave del tipo de conexión que evocamos cuando hablamos de la conexión de una vida. La narrativa construye el carácter durable de un personaje, su identidad narrativa. 3.2. El hombre capaz: capaz de hablar – capaz de actuar – capaz de narrarse – capaz de imputarse sus acciones
La conciencia del hombre capaz revela una comprensión antropológica bastante completa. En los contenidos de este ítem podemos incluir prácticamente todas las características del sujeto. Tal vez sea este uno de los hilos conductores constantes en la filosofía de Paul Ricoeur. Para tal, al menos podemos explicitar algún contenido emergente de este hombre capaz.4 Tratase de la reflexión que el sujeto hace de sí mismo. La reflexión sobre sus capacidades que nos dan acceso al hombre capaz. “La serie de figuras más notables del ‘yo puedo’ constituye a mis ojos la espina dorsal de un análisis reflexivo, en el cual el ‘yo puedo’, considerado en la variedad de sus usos, daría mayor amplitud a la Idea de acción que fue primeramente tematizada por los griegos”.5
• Poder decir, capaz de hablar: Los sujetos que actúan y sufren son sujetos hablantes. Hablan sobre su acción. En la historia, los héroes y otros personajes se nombran cuando se hacen reconocer, se interpretan a sí mismos. Hablar es hacer cosas con palabras. No es tanto el ‘qué’ sino el ‘quién habla’. Los pronombres personales, los adverbios de tiempo y de lugar, las formas verbales, las descripciones definidas son los medios ordinarios de designaPara este tema me serví del texto del propio RICOEUR, explicitado en: Parcours de la Reconnaissance. 5 RICOEUR P., Percurso de reconhecimento, p. 107. 4
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ción de los cuales depende la autodesignación del sujeto hablante. Esta autodesignación del sujeto hablante se produce en situaciones de interlocución en las cuales entra la alteridad. La palabra pronunciada por una persona es dirigida a otra. Puede también responder a una interpelación venida de otro. La estructura pregunta-respuesta constituye la estructura básica del discurso en cuanto implica locutor e interlocutor. Aquí entra toda una complejidad relativa a la objetividad de la comunicación y la correspondiente comprensión del comunicado. La traducción siempre es aproximativa de la realidad interior y de la comprensión del mundo exterior, sea ella la realidad material, humana, el transcendente.
• Yo puedo hacer, soy capaz de actuar: Es la capacidad de hacer ocurrir acontecimientos en el ambiente físico y social del sujeto que actúa. El sujeto se reconoce como siendo la causa: “fui yo quien hice”. Es que se hace ocurrir intencionalmente sobre los acontecimientos que simplemente ocurren. ‘Un hombre que sabe cómo hacer las cosas tiene un conocimiento práctico de eso’ (M. Ascombe). La atribución de una acción es la ‘adscripción’ que hace parte del sentido de la acción intencional. El reconocimiento, desarrollo y valorización del actuar depende del sujeto y del reconocimiento y estímulo social.
• Poder narrar y narrarse, ser capaz de narrarse: La tercera posición de la fenomenología del hombre capaz es la problemática de la identidad personal ligada al acto de narrar. En ‘narrarse’, la identidad personal se proyecta como identidad narrativa. La persona puede narrarse, y lo mismo se puede decir del personaje. Aprender a narrarse es aprender a narrarse a sí mismo de otro modo, de una variedad de modos, los cuales van a depender de la autocomprensión, del proceso de crecimiento y del grado de la autoestima. La objetividad de este ‘narrarse’ incluye una madurez proporcional a la edad y a la condición social. Poder narrarse de otro modo tiene gran conexión con la identidad personal. La identidad narrativa pone el problema y también la solución. La identidad personal incluye la identidad inmutable del ídem, del mismo y la identidad móvil del ipse, del sí, considerada en su condición histórica. La capacidad de narrarse así como la voluntad de narrarse dependen de las oportunidades, de los contextos y de la garantía de ser preservada la autoestima y autoimagen.
• La imputabilidad, ser capaz de imputarse sus acciones: Las preguntas ‘quién habla’, ‘quién actúa’, ‘quién narra’ se completan con ‘¿quién es capaz de imputar?’ La imputabilidad sugiere la idea de una responsabilidad que hace al sujeto responsable por sus actos, al punto de poder imputárselos a sí mismo. Significa tener el poder de asumir las consecuencias de los propios actos, especialmente aquellos que son considerados un daño, un
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error, del cual otro es considerado víctima. También pueden incluir elogios, reconocimiento, perdón... Es considerado imputable el sujeto puesto en la obligación de reparar los daños y de sufrir la pena. Una persona es ese sujeto cuyas acciones son susceptibles de imputación. El problema es el que no es susceptible de imputación alguna. En este ítem se podría incluir de alguna forma la moral y la ética. Ética y moral remiten a la idea intuitiva de costumbres, con la doble connotación sobre lo que es tenido como bueno y de lo que se impone como obligatorio. La Ética se refiere más a las perspectivas de una vida concluida, y la moral a la articulación de esa perspectiva en normas caracterizadas al mismo tiempo por la pretensión a la universalidad y un efecto de constreñimiento. La ética está más centralizada en la estima de sí y la moral más en el respeto de sí. Ricoeur resume su ‘pequeña ética’ en la ‘perspectiva de la vida buena con y para los otros en instituciones justas’.6
6 Esta pequeña ética está mejor explicitada en Ricoeur P., Soi-même comme un autre, Éditions de Seuil, 1990. El lector está convidado a consultar esta obra para una comprensión más exhaustiva da la identidad.
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IDENTITÀ E IDENTITÀ NARRATIVA* (Sintesi)
Al giorno d’oggi, con una realtà così complessa, si avverte sempre la necessità di una speciale attenzione alla costruzione dell’identità. La prima missione dell’uomo è quella di realizzare se stesso, cioè dare un ordinamento concreto nel complesso ed ad ogni singola peculiarità naturale. Arrivare ad una soddisfacente identità significa sentirsi realizzati e vivere felici. Le insoddisfazioni esistenziali provengono dalla difficoltà di rendere stabile la propria identità. La realtà esterna interferisce continuamente sulla personalità. Per la propria identità occorre tener conto di molti fattori esterni. Non è facile stabilire dei confini ben definiti tra il mio io ed il non-io, soprattutto a partire dalla dimensione cosciente ed incosciente della struttura dell’uomo. L’inconscio elabora in continuazione nuovi aspetti della realtà interiore ed esteriore. La struttura dell’io viene acquisita attraverso indicazioni offerte da persone significative come i genitori, i maestri i superiori religiosi. Queste indicazioni hanno un orientamento morale ed esistenziale che si è portati ad assumere e ad inserire nella configurazione della propria identità. Alle indicazioni si aggiungono anche i processi di identificazione con persone ed altri modelli teorici. Da qui deriva un’autostima più sicura o più fragile. È più fragile quando esiste dall’esterno un’influenza troppo forte sul proprio io e lui non riesce a mantenere una solida unità. Se ci fosse un nucleo centrale più stabile e sicuro, sarebbe l’ideale. Ausubel lo definirebbe come valutazione intrinseca. Questo è indice di buona identità. Eric Erikson ha sviluppato studi circa il tema dell’identità. Una sicura identità richiede di conoscere bene se stessi, di raggiungere la pace interiore, di sentirsi persone appagate perché riescono ad essere se stesse, soddisfatte per le opportunità offerte dalla vita. Questo fatto garantisce il successo nell’associazione a gruppi significativi. Per questo l’identità richiede il superamento di fasi precedenti di sviluppo. Una buona identità permette esperienze di intimità, rigenerazione ed integrazione della propria vita. Una giusta identità è necessaria soprattutto per coloro che fanno differenti opzioni di vita, sia come religiosi che come laici. * Traduzione di Giovanni Decina.
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Nel considerare il dinamismo della persona umana, per dare un senso alla vita, il tema dell’identità deve prendere in considerazione aspetti diversi. Identità e differenza ricordano la realtà dell’avventura umana in questo mondo. L’equilibrio tra ciò che siamo e quello che ci offre continuamente la realtà è una sfida permanente. Il contributo di Paul Ricoeur su questo tema, appare di grande utilità. Tutti siamo costituiti secondo una struttura caratterizzata da varie specificità derivate dalla cultura e dalla predisposizione genetica. Questo non si può cambiare. Ricoeur la definisce come identità “idem”. C’è però, un’altra realtà riferita alla strutturazione dell’io derivata dalle circostanze della vita. È l’identità “ipse”. Le circostanze possono accordarsi meglio con l’identità idem o presentare situazioni nuove molto distanti dall’identità ipse. Nel caso di una opzione nuova come quella della vita religiosa, il dato dell’identità ipse è importante per la formazione o la costituzione dell’identità. Paul Ricoeur parla dell’identità narrativa per esprimere l’importanza dell’integrazione della propria vita. Il testo termina con alcune considerazioni circa l’uomo capace, così come considerato da Paul Ricoeur. È la sintesi antropologica di Paul Ricoeur e permette di ubicare l’identità narrativa come una delle capacità umane, la capacità di narrarsi.
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UN CRITERIO PER DISTINGUERE LA STORIOGRAFIA SCIENTIFICA DA QUELLA IDEOLOGICA DARIO ANTISERI Professore di Metodologia delle Scienze Sociali
SOMMARIO: 1. La funzione delle leggi generali in fisica e in storiografia. - 2. La struttura logica della spiegazione storica. - 3. Quando un’argomentazione storica è scientifica. - 4. Per demarcare la storiografia scientifica dalla storiografia ideologica. - 5. Sulla teoria dell’“empatia” e sulla categoria di “significato di un fatto storico”. - 6. Ma davvero la storiografia non può essere scienza perché gli oggetti delle sue indagini sono “unici ed irripetibili”? - 7. Una didattica della storia epistemologicamente orientata. - 8. L’urgenza didattica di ricerche di storia locale.
«Coloro che, assumendo di narrare storie, si affannano a far giustizia, condannando e assolvendo, perché stimano che questo sia l’uffizio della storia, sono concordemente riconosciuti manchevoli di senso storico» Benedetto Croce
«In linea di fatto non c’è alcuna differenza essenziale fra i problemi che affronta lo scienziato nel ricostruire il passato astronomico, geologico o biologico e i problemi che affronta lo storico nel ricostruire il passato degli uomini. In entrambi i casi l’esperto ricostruisce il passato con l’aiuto di testimonianze» Gaetano Salvemini
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1. La funzione delle leggi generali in fisica e in storiografia
el 1942 apparve sul numero 39 del «Journal of Philosophy» un articolo di Carl Gustav Hempel dal titolo The Function of General Laws in History.1 Questo articolo era destinato ad esercitare una influenza estremamente rilevante sulle analisi che, in ambito epistemologico-analitico 1 C.G. HEMPEL, The Function of General Laws in History, in «Journal of Philosophy», 39, 1942, pp. 35-48; rist. in C.G. HEMPEL, Aspects of Scientific Explanation, New York-London, 1964, pp. 231-213; cito da questa ristampa. Nel 1935 Karl R. Popper nella sua Logica della scoperta scientifica precisava: «Dare una spiegazione causale di un evento significa dedurre un’asserzione che
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(ma non solo in quest’ambito), sarebbero state sviluppate nella filosofia del dopoguerra con un impegno via via crescente.2 La tesi di fondo che Hempel sostiene in questo suo scritto è che le leggi generali assolvono la medesima funzione nelle scienze naturali e nella storiografia.3 «La funzione principale – egli afferma – delle leggi generali nelle scienze naturali è quella di connettere eventi in argomentazioni alle quali usualmente ci si riferisce con i nomi di spiegazione e di previsione. La spiegazione dell’accadimento di un evento di un certo specifico tipo E in un certo luogo e tempo consiste, come solitamente si dice, nell’indicare le cause o i fattori che determinano E. Ma l’asserzione che un insieme di eventi – cioè di eventi dei tipi C1, C2, ..., Cn – ha causato l’evento da spiegare dipende dall’enunciato per cui, in accordo con certe leggi generali, un insieme di eventi dei tipi menzionati è regolarmente accompagnato da un evento di tipo E. Talché, la spiegazione scientifica dell’evento in questione consiste:
lo descrive, usando come premesse una o più leggi universali, insieme con alcune asserzioni singolari dette condizioni iniziali. Per esempio, possiamo dire di aver dato una spiegazione causale della rottura di un certo pezzo di filo se abbiamo trovato che il filo ha una resistenza alla trazione di ½ kg. ed è stato caricato con un peso di 1 kg. Se analizziamo questa spiegazione causale, troveremo che consta di diverse parti costituenti. Da una parte abbiamo l’ipotesi: “Un filo si rompe tutte le volte che viene caricato con un peso che supera il peso che definisce la resistenza alla trazione di quel filo”, e questa è un’asserzione che ha il carattere di una legge universale di natura. Dall’altra parte abbiamo certe asserzioni singolari (in questo caso due) che sono vere soltanto per l’evento specifico in questione: “Il carico di rottura di questo filo è ½ kg.”, e “Il peso con cui è stato caricato questo filo è 1 kg.”» (K.R. POPPER, Logica della scoperta scientifica, trad. it., Einaudi, Torino, 1970, p. 44). È così, dunque, che Popper delinea la struttura della spiegazione causale. In una spiegazione causale «abbiamo [...] due differenti tipi di asserzioni che sono entrambe ingredienti necessari di una spiegazione causale completa. Esse sono: 1. asserzioni universali: cioè ipotesi che hanno il carattere di leggi di natura; 2. asserzioni singolari, che valgono per l’evento specifico in questione e che chiamerò “condizioni iniziali”. Dalle asserzioni universali, insieme con le condizioni iniziali, deduciamo l’asserzione singolare: “questo filo si romperà”. Diciamo che questa è una predizione specifica, o singolare» (Ibidem). 2 Per avere un’idea dell’influsso esercitato dal saggio di Hempel basta sfogliare le varie annate della rivista «History and Theory: Studies in the Philosophy of History», fin dal 1° numero del 1960. 3 Quando Hempel parla di legge generale, egli la intende come segue: «Con legge generale, noi intenderemo qui una proposizione di forma condizionale universale in grado di essere confermata o smentita da asserzioni empiriche rilevanti [...] Nel contesto di questo saggio, una ipotesi universale [o legge generale] può venir assunta per affermare una regolarità dei tipo seguente: in ogni caso in cui accade in un certo luogo e in un determinato tempo un evento di tipo C, allora si darà un evento di tipo E in un luogo e in un tempo legati in uno specifico modo al luogo e al tempo dell’occorrenza del primo evento». C.G. HEMPEL, The Function of General Laws in History, cit., pp. 231-232. Vedasi, a proposito, sempre di C.G. HEMPEL, Studies in the Logic of Explanation, in Aspects of Scientific Explanation, cit., pp. 264-267.
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1) di un insieme di enunciati asserenti l’occorrenza di determinati eventi C1, ..., Cn in certi tempi e in certi luoghi; 2) di un insieme di ipotesi universali, tali che: (a) gli enunciati dei due gruppi siano ragionevolmente ben confermati da prove empiriche; (b) e dai due gruppi di enunciati si possa logicamente dedurre la proposizione asserente il verificarsi dell’evento E. In una spiegazione fisica, il gruppo (1) di enunciati descrive le condizioni iniziali e vincolanti per l’accadimento dell’evento finale; generalmente diciamo che il gruppo (1) stabilisce le condizioni determinanti l’evento da spiegare; mentre il gruppo (2) contiene le leggi generali su cui si basa la spiegazione: esse implicano l’asserzione che, dovunque e sempre si verifichino eventi del tipo descritto nel primo gruppo, avrà luogo un evento del tipo di quelli da spiegare».4 A chiarificazione di questa idea di spiegazione, Hempel adduce il seguente esempio. Supponiamo di dover spiegare il fatto o evento per cui, durante una notte fredda, il radiatore di un’automobile si spacca. Ebbene, le asserzioni del gruppo (1) possono stabilire le seguenti condizioni iniziali: la macchina è stata lasciata sulla strada per tutta la notte; il suo radiatore, che è fatto di ferro, era riempito completamente d’acqua; e il coperchio del radiatore era stato saldamente avvitato; la temperatura è scesa durante la notte dai 39° F della sera ai 25° F del mattino; la pressione dell’aria era normale; la pressione di rottura del materiale del radiatore raggiunge un certo grado. Il gruppo (2) conterrà leggi empiriche quali: al di sotto di 32° F, a normale pressione atmosferica, l’acqua gela; al di sotto di 39° F, la pressione di una massa di acqua cresce col decrescere della temperatura, se il volume rimane costante o decresce; se l’acqua gela, la pressione di nuovo aumenta; e, infine, que4 C.G. HEMPEL, The Function of General Laws in History, cit., p. 232. Questo per quanto riguarda la spiegazione. Per quel che, invece, concerne la previsione, Hempel (Op. cit., p. 234) asserisce: «In linea generale, la previsione nelle scienze empiriche consiste nel derivare una proposizione che descrive un determinato evento futuro (per esempio, la posizione dei pianeti in relazione al sole, in una data futura) da (1) asserti descriventi certe condizioni conosciute (passate o presenti come per es. le posizioni e le velocità dei pianeti nel passato o nel presente) e da (2) leggi generali rilevanti (per es. le leggi della meccanica celeste). Pertanto la struttura logica della previsione scientifica è la stessa di quella della spiegazione scientifica [ ...]. In particolare, la previsione non diversamente dalla spiegazione nelle scienze empiriche implica il riferimento ad ipotesi empiriche universali. L’usuale distinzione tra spiegazione e previsione si basa principalmente sulla seguente differenza pragmatica: mentre nel caso di una spiegazione l’evento finale è conosciuto per accaduto, e le condizioni che lo hanno determinato debbono essere cercate; la situazione si rovescia nel caso della previsione: qui, le condizioni iniziali sono date e il loro “effetto” – che nel caso tipico, non ha ancora avuto luogo – è da determinare».
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sto gruppo di asserzioni includerà una legge quantitativa concernente il mutamento della pressione dell’acqua come funzione della sua temperatura e del suo volume. Da questi due insiemi di tipi di asserzioni si deduce, attraverso un ragionamento logico, l’asserto che descrive l’evento da spiegare, e cioè il fatto che il radiatore si è spaccato durante la notte.5 Questo, dunque, è un caso con il quale Hempel esemplifica il suo concetto di spiegazione scientifica. Ovviamente, casi analoghi esemplificativi si possono addurre a volontà, ma quel che conta è comprendere, per mezzo di essi, che un fenomeno (E, l’asserto che descrive il fatto da spiegare o Explanandum) è spiegato o spiegabile scientificamente quando è dedotto o deducibile da un insieme di asserzioni (Explanans) costituito da condizioni iniziali (C1, ..., Cn)6 e da leggi generali rilevanti (L1, ..., Lr),7 per cui vediamo che, simbolizzando, una spiegazione scientifica assume la forma di una argomentazione di questo tipo:
C.G. HEMPEL, The Function of General Laws in History, cit., p. 232. Per altri esempi di spiegazioni tratte da scienze fisico-naturalistiche, cfr.: C.G. HEMPEL, Studies in the Logic of Explanation, in Aspects of Scientific Explanation, cit., p. 246; ID., Filosofia delle scienze naturali, trad. it., Bologna, 1968, p. 15 e segg.; ID., Explanation in Science and in History, in AA.VV., Philosophical Analysis and History, a cura di W.H. DRAY, New York-London, 1966, pp. 96-103. Cfr. E. NAGEL, La struttura della scienza, trad. it., Milano, 1968, capp. 2-3. Questo libro di Nagel sviluppa nei capitoli 13, 14 e 15 una attenta analisi dei problemi metodologici delle scienze storico-sociali; R.B. BRAITHWAITE, La spiegazione scientifica, trad. it., Feltrinelli, Milano, 1966, capp. X e XI. 6 A p. 232 di The Function of General Laws in History Hempel scrive che «i simboli ‘C’ ed ‘E’ sono stati scelti per suggerire i termini ‘causa’ ed ‘effetto’ ... ». 7 In questo modo, Hempel ha considerato lo schema esplicativo dell’occorrenza, in un dato spazio e in un determinato tempo, di eventi particolari o singolari. Naturalmente, si danno anche spiegazioni di regolarità e non solo di eventi o fatti particolari. «Così [...], si potrebbe porre il seguente interrogativo: Perché la propagazione della luce si conforma alla legge di rifrazione? La fisica classica risponde nei termini della teoria ondulatoria della luce, cioè asserendo che la propagazione della luce è un fenomeno ondulatorio di un determinato tipo generale, e che tutti i fenomeni ondulatori di quel tipo soddisfano la legge di rifrazione. Pertanto, la spiegazione di una regolarità generale consiste nel sussumerla sotto un’altra più 5
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Dunque: spiegare un fenomeno in fisica, come anche nell’intero ambito delle scienze naturali, significa dedurre l’asserto che descrive questo fatto o fenomeno (Explanandum) da un Explanans formato da condizioni e leggi. Conseguentemente, una argomentazione esplicativa è in grado di mostrare la sua oggettività o consistenza scientifica se soddisfa questi tre requisiti: «a) la prova empirica delle asserzioni che stabiliscono le condizioni determinanti; b) la prova empirica delle ipotesi universali sulle quali si fonda la spiegazione; c) una indagine che accerti che la spiegazione sia logicamente conclusiva nel senso che la proposizione che descrive gli eventi da spiegare consegua dalle proposizioni dei gruppi (1) e (2)».8 Quel che vale per la spiegazione nelle scienze naturali, vale anche – è questa la tesi di fondo di Hempel – per la spiegazione in storiografia e, più ampiamente, nelle scienze sociali. La verità è che: scire est scire per causas; noi conosciamo un fenomeno quando ne abbiamo individuato le cause; ma le cause di un fenomeno (fisico, biologico, economico, sociale, ecc.) sono tali solo in riferimento a leggi, cioè ad asserti universali che legano le cause ai fenomeni da spiegare. Ora, un sociologo, uno storico o un economista non sono studiosi che offrono spiegazioni? E queste loro spiegazioni non sono anch’esse spiegazioni causali? E le cause da loro individuate non sono tali solo in riferimento a generalizzazioni, cioè a leggi dei loro relativi ambiti di ricerca?
2. La struttura logica della spiegazione storica
La riflessione epistemologica, ermeneutica ed analitica contemporanea ha mostrato, sulla base di convincenti ragioni, l’insostenibilità della venerabile distinzione tra l’Erklären (spiegare causalmente un fenomeno) e il Verstehen (intendere, comprendere, il senso di un fenomeno).9 Quando uno storico
comprensiva regolarità, sotto una legge più generale. Così, ancora, la validità della legge di Galileo della caduta libera dei corpi in vicinanza della superficie della terra può essere spiegata deducendola da un insieme più ampio di leggi, e cioè dalle leggi newtoniane del moto e da quella di gravitazione, insieme ad alcune asserzioni concernenti fatti particolari, vale a dire concernenti la massa e il raggio della terra». C.G. HEMPEL, Studies in the Logic of Explanation, cit., p. 247. 8 C.G. HEMPEL, The Function of General Laws in History, cit., p. 234. Per una analisi più approfondita delle condizioni di adeguatezza di una spiegazione cfr. sempre di C.G. HEMPEL, Studies in the Logic of Explanation, cit., pp. 247-251. 9 Sulle ragioni della insostenibilità della distinzione tra l’Erklären e il Verstehen si possono consultare anche alcuni miei lavori: Teoria unificata del metodo, Liviana, Padova, 1981; rist. presso UTET Libreria, Torino, 2001, capp. 3, 4 e 5; Contro Rothbard. Elogio dell’ermeneutica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011; in coll. con S. TAGLIAGAMBE e P. MANINCHEDDA, La libertà, le lettere e il potere, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011, pp. 11-65.
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spiega usa lo stesso procedimento usato da un fisico o da un biologo: le cause di un fenomeno sono tali unicamente in riferimento a leggi. Ed è interessante constatare, a questo proposito, che anche quando uno storico nega nella sua filosofia che la spiegazione storica sia logicamente strutturata come una spiegazione in fisica, poi nei fatti, allorché produce storia, non può fare altro che ragionare come ragiona un fisico. 1. È questo, tanto per addurre un esempio, il caso di Benedetto Croce. Da una pagina del suo libro Il carattere della filosofia europea: «E poiché gli uomini non abbandonano il vecchio se non quando sorge il nuovo capace di sostituirlo e aborrono dall’anarchia come dal vuoto, e poiché allora davano smarrimento e paura lo spezzettarsi dell’Europa in chiese e sette contrastanti, e il traballante ordine sociale, e la sregolatezza del costume, e la minaccia alla cultura, il gesuitismo venne al soccorso e, col correggere, rinsaldare e riadattare gli istituti della chiesa di Roma, fece argine alla rovina e molte cose necessarie salvò, e questo servizio che rese alla civiltà europea gli acquistò autorità e potere».10 L’argomentazione esplicativa addotta da Croce risulta convincente. Ma vediamo come egli l’ha strutturata. C’è un Explanandum: «Il gesuitismo acquistò autorità e potere». Ma quali sono le cause del fatto che «Il gesuitismo acquistò autorità e potere»? Ecco come Croce le individua: C1: «Allora davano smarrimento e paura lo spezzettarsi dell’Europa in chiese e sette contrastanti, e il traballante ordine sociale, e la sregolatezza del costume, e la minaccia alla cultura».; C2: «Il gesuitismo venne al soccorso e, col correggere, rinsaldare e riadattare gli istituti della chiesa di Roma fece argine alla rovina e molte cose necessarie salvò». E tali cause hanno potere esplicativo nei confronti dell’Explanandum in base alla legge (L1) secondo cui: «Gli uomini non abbandonano il vecchio se non quando sorge il nuovo capace di sostituirlo e aborrono dall’anarchia come dal vuoto». 2. E ancora con Croce. Dalla Storia dell’Europa nel secolo decimonono: «...L’umanità visse allora uno di quei rari momenti nei quali la lieta fiducia di se stessa e del suo avvenire tutta la riempie, e, ampliandosi nella purezza di questa gioia, essa si fa buona e generosa, e vede attorno a sé fratelli, e ama. Così fu all’aprirsi della rivoluzione del 1789, che scosse e inebriò i cuori in ogni parte del mondo; così, e ancor più, nel ‘48, quando duri ostacoli, contro i quali si era cozzato invano da oltre mezzo secolo, parvero dispersi d’incanto come le mura di Gerico al suono delle trombe. L’onda dell’entusiasmo avvolgeva e trascinava tutti; e i nemici stessi della vigilia, gli invisi monarchi assoluti, i despoti aborriti, gli odiati tiranni, non parevano più quelli, o 10
B. CROCE, Il carattere della filosofia europea, Laterza, Bari, 1945, p. 95.
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che fossero anch’essi trascinati con gli altri, o che s’infingessero per calcolo e istinto di difesa, o che non sapessero talvolta essi medesimi a quali di questi due ordini di motivi in realtà obbedivano. Gli uomini che erano stati loro strumenti, spesso cattivi e crudeli strumenti, vennero generalmente risparmiati o perdonati o messi da parte e obliati col passato che si dileguava. Tale, del resto, è il carattere delle rivoluzioni liberali, punto vogliose del carnefice e dei plotoni d’esecuzione, miti di lor natura e tendenti a conciliare con sé gli avversari; e tale si dimostrò in quelle del ‘48, come nelle altre che le precessero e le seguirono. Studenti, intellettuali, borghesi, artigiani ne furono gli esecutori, e dappertutto esse si iniziarono e compirono tra acclamazioni, getti di fiori, festeggiamenti, deliri di giubilo, abbracci per le strade di gente che fino allora non si conosceva...».11 3. Scrive N. Machiavelli ne Il Principe: «Potrebbe alcuno dubitare donde nascessi che Agatocle e alcuno simile, dopo infiniti tradimenti e crudeltà, possè vivere lungamente sicuro nella sua patria e defendersi dalli inimici esterni, e da’ sua cittadini non gli fu mai cospirato contro; con ciò sia che molti altri, mediante la crudeltà, non abbino, etiam ne’ tempi pacifici, possuto mantenere lo stato non che ne’ tempi dubbiosi di guerra. Credo che questo avvenga dalle crudeltà male usate o bene usate. Bene usate si possono chiamare quelle (se del male è lecito dir bene) che si fanno a un tratto, per la necessità dello assicurarsi, e di poi non vi si insiste dentro, ma si convertiscono in più utilità dei sudditi che si può; male usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche, piuttosto con il tempo crescono che le si spenghino. Coloro che osservano il primo modo, possono con Dio e con li uomini avere allo stato loro qualche rimedio, come ebbe Agatocle; quelli altri è impossibile si mantenghino. Onde è notare che, nel pigliare uno stato, debbe l’occupatore di esso discorrere tutte quelle offese che gli è necessario fare, e tutte farle a un tratto, per non le avere a rinnovare ogni dì, e potere, non le innovando, assicurare gli uomini e guadagnarseli con beneficarli. Chi fa altrimenti, o per timidità o per mal consiglio, è sempre necessitato tenere el coltello in mano; né mai può fondarsi sopra e sua sudditi, non si potendo quelli, per le fresche e continue iniurie, assicurare di lui. Perché le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno; e benefizii si debbano fare a poco a poco, acciò si assaporino meglio. E debbe, sopra tutto, uno principe vivere con li suoi sudditi in modo che veruno accidente o di male o di bene lo abbi a fare variare; perché, venendo, per li tempi avversi, le necessità, tu non se’ a tempo al male; e il bene che tu fai non ti giova, perché è indicato forzato, e non te n’è saputo grado alcuno».12 11
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B. CROCE, Storia dell’Europa nel secolo decimonono, Laterza, Bari, 1965, pp. 149-150. N. MACHIAVELLI, Il Principe, in Opere, Milano, 1969, p. 26.
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4. Nella Storia dei Romani, Gaetano De Sanctis scrive: «Terminata la guerra [coi Latini] ebbero i Romani ad avvisare alla maniera da tenere coi vinti [...] era indispensabile giovarsi come e più di prima delle energie inesauribili della stirpe latina nelle lotte che era facile prevedere con Sanniti, Etruschi e Galli. Or qui stava la difficoltà: perché non si possono aspreggiare senza pericolo coloro cui si chiede, e in larga misura, il tributo di sangue. Questo dà ragione della relativa mitezza che i Romani usarono verso il Lazio, ben diversa alla sistematica crudeltà con cui oppressero quei nemici onde il tributo dei sangue non si pretese».13 De Sanctis, dunque, si trova davanti ad un problema, ad un fatto cioè sorprendente e strano che esige una spiegazione. Il fatto problematico è il seguente: «I Romani usarono verso il Lazio una relativa mitezza». E questo fatto fa problema perché urta contro un pezzo di sapere dello storico (della sua “precomprensione”, direbbe Gadamer) e cioè contro l’informazione relativa alla «sistematica crudeltà dei Romani nei confronti dei vinti». Posto di fronte a tale problema, De Sanctis cerca di risolverlo. E lo risolve congetturando che i Romani furono miti con i Latini perché avevano bisogno di alleati nelle prossime guerre. Fatto, questo, esplicativo del problema affrontato, data la legge per la quale «non si possono aspreggiare senza pericolo coloro cui si chiede, e in larga misura, il tributo di sangue».
3. Quando un’argomentazione storica è scientifica
Negli esempi di spiegazioni storiche sopra riportate le leggi di copertura sono formulate esplicitamente. Tuttavia, si dà molto spesso che storici e sociologi nelle loro effettive spiegazioni tralascino l’enunciazione esplicita di leggi e generalizzazioni per il semplice motivo che queste leggi e generalizzazioni sono implicitamente assunte per scontate e garantite. Si tratta per lo più di leggi tratte dalla psicologia sociale o individuale, generalizzazioni familiari e continuamente utilizzate nella vita di ogni giorno. Eccone un esempio. Scrive lo storico Charles Seignobos: «Luigi XIV morì nell’impopolarità [...] perché aveva causato alla Francia la perdita della incomparabile posizione che essa aveva guadagnato attraverso l’attività dei cardinali».14 Qui la legge di copertura, sebbene non espressa, risulta facilmente individuabile - L1: «Non può morire compianto dal popolo, chi al popolo ha G. DE SANCTIS, Storia dei Romani, vol. II, Sansoni, Firenze, 1860, p. 265. CH. SEIGNOBOS, A History of the French People, p. 261; cit. da P. GARDINER, The Nature of Historical Explanation, Oxford University Press, Londra, 1961, p. 65. Il volume di Gardiner è apparso in traduzione italiana presso Armando, Roma, 1977, con il titolo La natura della spiegazione storica. 13 14
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causato danni». Lo storico, in breve, offre molte volte delle spiegazioni incomplete, avanza degli “abbozzi di spiegazione”; e un explanation-sketch – annota Hempel – «consiste nella indicazione più o meno vaga delle leggi e delle condizioni considerate rilevanti, ed esso necessita di venir “completato” per trasformarsi in una spiegazione ‘in piena regola’. Questo completamento richiede ulteriore ricerca empirica, per la qual ricerca l’abbozzo suggerisce la direzione».15 Se dalle precedenti considerazioni c’è da trarre una conclusione, questa è che una spiegazione storica è scientifica, così come lo è una spiegazione in fisica, a patto che l’Explanandum sia logicamente dedotto dall’Explanans e che empiricamente controllati (falsificabili e non ancora falsificati, nonostante severi tentativi di falsificarli) siano sia gli asserti costituiti dall’Explanandum e dalle condizioni iniziali sia quelli costituiti dalle leggi di copertura. In tal modo ogni spiegazione storica scientifica resta sempre smentibile, in quanto smentibili sono e restano gli asserti che la compongono. E, oltre che smentibile, una spiegazione storica è sempre parziale in quanto effettuata sempre – e non potrebbe essere diversamente – dalla prospettiva di una teoria (psicologica, sociologica, economica, ecc.). Ogni spiegazione storica è, quindi, smentibile e parziale. E in essa le leggi non sono un lusso. Sono, piuttosto, una necessità logica, giacché se non ci fossero le leggi noi sapremmo a quali fatti nel mondo imputare di essere causa del fatto da spiegare.
4. Per demarcare la storiografia scientifica dalla storiografia ideologica
Senza leggi, dunque, non sono possibili né spiegazioni né previsioni. E qui va posta l’attenzione su di una questione di fondamentale importanza, vale a dire sulla questione della demarcazione tra storiografia scientifica e storiografia ideologica. Vale la pena premettere che lo storico, al pari del medico e dell’ingegnere, non è un produttore di leggi, ma un consumatore di leggi, e per le sue argomentazioni prende leggi da ovunque egli riesca a trovarne. Ora, se le leggi prese in prestito e fatte proprie dallo storico per le proprie argomentazioni sono leggi empiricamente controllate e ben confermate, e se sono confermati, dopo controlli, gli asserti che descrivono le condizioni iniziali e l’Explanandum, allora, come già sappiamo, le spiegazioni sono scientifiche e, in quanto tali, smentibili e parziali; se, invece, le leggi che lo storico assume per le sue argomentazioni sono teorie empiricamente non controllabili, sono cioè filosofie o teologie della storia, avremo allora interpretazioni totalizzanti, “ideologiche”, della storia. È questo il caso, per esempio, della teoria hegeliana della storia o del materialismo storico-dialettico di 15
C.G. HEMPEL, The Function of General Laws in History, cit., p. 238.
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Marx: filosofie della storia non scientifiche perché fattualmente infalsificabili, prospettive deterministiche degli eventi umani in grado, apparentemente, di interpretare tutto, ma insieme incapaci di spiegare alcunché. Filosofie e teologie della storia interpretano tutto e non spiegano niente.16 Un’argomentazione storica scientifica spiega sempre soltanto qualche evento o qualche azione. Dunque: chiara, almeno in linea teorica, è la demarcazione tra storiografia “scientifica” e storiografia “ideologica”. Le funzioni svolte dalle interpretazioni storiche “ideologiche” (teologie e filosofie della storia) non sono, pertanto, funzioni informative. Sono, piuttosto, funzioni morali, politiche, religiose o antireligiose.17 Informano, soprattutto se non esclusivamente, su chi propone queste interpretazioni e su quanti le accettano, sulle loro prospettive di valori. Ma qui va chiarito che lo storico che vuol comprendere e spiegare i fatti, che cioè si propone di essere scienziato e non “ideologo”, non ha il compito del giudice e se fa il giudice lo fa come giudice istruttore. E a questo proposito Croce annotava: «Coloro che, assumendo di narrare storie, si affannano a far giustizia, condannando e assolvendo, perché stimano che questo sia l’uffizio della storia [...] sono concordemente riconosciuti manchevoli di senso storico».18 A Croce fa eco Salvemini: «Quando usurpa il compito del moralista, l’attività dello storico o del sociologo rientra nella definizione aristotelica di attività pratica [...] I “propagandisti” si presentano semplici come storici o sociologi spregiudicati e imparziali: lupi in veste di agnelli [...] Quando discuto se la storia e le scienze sociali sono scienze, io mi aspetto che il lettore penserà a ricercatori della verità e non a propagandisti».19 Esiste storiografia scientifica ed esiste storiografia ideologica. Quando fatti ed eventi non sono letti alla luce di specifiche teorie controllabili quali le teorie economiche, quelle sociologiche o psicologiche, ecc., ma sono inve16 Sulla distinzione tra storiografia scientifica e storiografia ideologica si può vedere, per un primo approccio, il mio Trattato di metodologia delle scienze sociali, UTET Libreria, Torino, 1996, specialmente le pp. 296-297. 17 Scrive Hempel, sempre in The Function of General Laws in History, cit., p. 241, che allorché copriamo le argomentazioni storiografiche con teorie non passibili di controllo empirico avremo delle «pseudospiegazioni che possono contenere un appello emotivo ed evocare vivide associazioni suggestive, ma che non promuovono la nostra comprensione teorica del fenomeno in considerazione». 18 B. CROCE, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari, 1938, pp. 33-34. 19 G. SALVEMINI, Storia e scienza, La Nuova Italia, Firenze, 1948; rist. in Opere scelte, vol. VIII; Scritti vari (1900-1957) a cura di G. Agosti e A. Galante Garrone, Feltrinelli, Milano, 1978, pp. 133-134. Sempre sulle condizioni di una storiografia scientifica si veda il cap. 8 (La storiografia oggettiva non è un mito: le storie non sono favole) dell’istruttivo, informato e teoreticamente ben articolato volume di E. DI NUOSCIO, Tucidide come Einstein. La spiegazione scientifica in storiografia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004.
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ce visti alla luce di concezioni filosofiche o teologiche, olistiche ed empiricamente incontrollabili, abbiamo storiografia ideologica: storie manichee, fataliste, progressiste, reazionarie, borghesi, marxiste, ecc. le quali, pur non essendo scientifiche, possono tuttavia in qualche caso indirizzare l’attenzione su avvenimenti e aspetti di eventi altrimenti trascurati o, come nel caso del materialismo storico marxista, essere fecondi di ipotesi controllabili (nella fattispecie, circa l’eventuale influsso economico su fatti sociali ed istituzioni politiche). Che un dato evento si sia dato o meno perché così ha voluto Dio, o in base ad ineluttabili leggi dialettiche, o in forza della legge della Nemesi, o perché la storia è sottoposta ad una legge ciclica o anche di decadenza... è sempre un aggirarsi in grovigli di argomentazioni non scientifiche. Con tutto ciò non si vuole affatto sostenere che andrebbe proibita la storiografia ideologica, si dice soltanto che teorie incontrollabili, cioè non falsificabili, non spiegano (scientificamente) niente, anche se interpretano (ideologicamente) tutto. Quel che va smascherato e proibito è, per dirla con Wittgenstein, il “crampo mentale” di scambiare e far passare il discorso ideologico per discorso scientifico. E il fatto che esistano storie ideologiche non significa affatto che tutta la storiografia sia sempre e comunque ideologica e quindi non scientifica. Che esistano storie ideologiche non vieta minimamente l’esistenza di storie scientifiche, così come il fatto che su un giornale si stampi l’oroscopo non implica che non esista o non possa esistere l’articolo scientifico. Fondamentale resta comprendere, come ha scritto E. H. Carr, che la storia va giocata con un mazzo di carte senza la matta.
5. Sulla teoria dell’“empatia” e sulla categoria di “significato di un fatto storico”
Tra le diverse obiezioni addotte, nel passato ma in circolazione pure ai nostri giorni, a difesa dell’idea che il metodo delle scienze dello spirito o storico-sociali sia differente da quello delle scienze naturali ce ne sono almeno due che non possono venir trascurate: si tratta della teoria dell’empatia e dell’idea che, mentre i fatti presi in considerazione dalle scienze naturali verrebbero spiegati causalmente, dei fatti storici e sociali noi andremmo in cerca del senso o significato. I fatti delle scienze storico-sociali sono realtà prodotte dallo spirito umano: opere d’arte, codici penali e civili, istituzioni sociali e politiche, idee religiose, teorie filosofiche, romanzi e poesie, azioni umane... e così via. Ebbene, quanto sostengono i teorici dell’empatia è che lo storico, per comprendere queste realtà create dallo spirito umano, dovrebbe ri-vivere, ripensare le azioni, i calcoli, i pensieri degli attori sociali implicati negli eventi e fenomeni che si vogliono spiegare. Questa, dunque, è in nuce la teoria dell’empatia. Ma che essa non regga non ci vuol molto a scoprirlo. Difatti, è
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facile constatare, come suggerisce, tra altri, Hempel, che: è vero che processi empatici di immedesimazione hanno luogo; ma è anche vero che essi sono processi psicologici; che essi non sempre sono possibili (quando, per esempio, lo storico non è “paranoico” mentre lo è l’attore sociale); che talvolta tali processi empatici sono semplicemente svianti; e che, essendo appunto processi psicologici, non sono automaticamente garanti dell’oggettività di quanto in essi si rappresenta. E qui sta esattamente il punto: la teoria dell’empatia confonde un processo psicologico con un procedimento logico. L’empatia è un processo psicologico di immedesimazione che può talvolta costituire un utile espediente euristico (a heuristic device: dice Hempel); ma questo processo psicologico si risolve, dal punto di vista oggettivo – cioè dalla prospettiva della controllabilità –, in una ipotesi o asserzione che esprime il sospetto o la speranza che le cose (rivissute con più o meno partecipazione nel processo empatico) stiano in un certo modo. Ma questa ipotesi o asserzione sarà vera, non se lo storico avrà rivissuto, con più o meno passionalità, entusiasmo o sofferenza, i fatti supposti accaduti, ma solo a patto che tale ipotesi, ottenuta geneticamente per caso attraverso un processo empatico, sia confermata dai documenti che essa comanda di guardare.20 L’idea, insomma, che esista una incolmabile differenza tra l’Erklären (spiegare causalmente) e il Verstehen (comprendere il senso di un’azione umana o il significato di una istituzione o di un evento storico) non regge. Nelle scienze umane non è in funzione un metodo differente da quello delle scienze naturali. Genesi, sviluppi, mutamenti, declino ed eventuale scomparsa di una istituzione non vanno spiegati causalmente, se vogliamo comprenderli? Che cosa vuol dire comprendere il senso o significato di un’azione umana se non descriverla, individuarne le cause e vederne gli effetti? Con ciò risultano del tutto inconsistenti i tentativi di coloro che vorrebbero basare la diversità tra scienze naturali e scienze dello spirito sul venerabile concetto o categoria di “significato” di un evento storico.21 Un evento, infatti, ha significato, è significativo o acquista rilevanza solo in funzione di una teoria all’interno della quale tale fenomeno prende posto, nel senso che – data appunto una teoria - o tale fenomeno è effetto di determinate condizioni o è condizione di determinati effetti. In breve: la 20 Sulla insostenibilità della teoria dell’empatia, vale a dire sul fatto che in tale teoria si confonde un processo psicologico con un procedimento logico, si veda: C.G. HEMPEL, The Function of General Laws in History, cit., pp. 239-240; P. GARDINER, The Nature of Historical Explanation, cit., p. 46 e segg.; K.R. POPPER, La teoria del pensiero oggettivo, in Conoscenza oggettiva, trad. it., Armando, Roma, 1975, pp. 244-245, dove, tra l’altro, Popper scrive: «Vi possono essere atti che sono per molti aspetti oltre la capacità dello storico di agire e di rivivere. L’atto che deve essere rivissuto può essere un atto di intollerabile crudeltà, o di supremo eroismo o di spregevole codardia, o può essere un risultato artistico o letterario o scientifico o filosofico di un’eccellenza che supera di troppo le capacità dello storico». 21 Cfr., al riguardo, C.G. HEMPEL, The Function of General Laws in History, cit., p. 241.
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categoria di “significato di un evento” è relazionale: un evento ha significato solo in relazione ad altri eventi; ma questa relazione – che lo rende “significativo” – non può essere stabilita se non da leggi o teorie. Dunque: essendo le teorie attraverso cui noi leggiamo gli eventi storici o teorie scientifiche ovvero teorie filosofiche o teologiche, occorre saper distinguere tra significato scientifico di un fatto storico e significato filosofico o religioso sempre di un fatto storico.
6. Ma davvero la storiografia non può essere scienza perché gli oggetti delle sue indagini sono “unici ed irripetibili”?
La domanda relativa al significato di un fatto storico è solo una delle domande caratteristiche del lavoro degli storici. Che cosa è accaduto e che merita spiegazione?; quando è accaduto questo qualcosa?; perché è accaduto questo qualcosa? – sono queste altrettante domande dello storico. Ma è proprio in connessione con la domanda come è accaduto quello che è accaduto? che è stata articolata l’obiezione più insidiosa contro la concezione che la storia possa essere scienza così come è scienza la fisica. L’obiezione consiste nel dire che i fatti presi in considerazione dallo storico, diversamente dai fatti, per esempio, della fisica, sono unici e irripetibili. Così, la Rivoluzione francese, cioè quell’evento accaduto in quel periodo di tempo, in quei luoghi, con quegli uomini e quei ceti sociali, quelle istituzioni, con quell’insieme di conoscenze variamente distribuite, con quei privilegi e quei valori in contrapposizione, ecc. è un avvenimento unico – unico nel senso che non è e non potrà essere un elemento di una classe, mentre invece i fatti della fisica sono tipici e non unici. Ed essendo unico, il fatto degli storici non potrà venir spiegato da leggi generali in grado di assumerlo come un caso particolare di una generalizzazione. Esistono leggi che rendono conto dei movimenti e posizioni di tutti gli astri. Non esistono leggi di tutte le rivoluzioni. La storia, dunque, non può essere scienza così come lo è la fisica. Questa obiezione va presa, fuor d’ogni dubbio, in seria considerazione. Comunque, per quanto essa possa apparire persuasiva, l’obiezione non ha affatto la forza logica che ad essa è stata attribuita. Che cosa è unico in un fatto unico? È certo, come sa ogni clinico, che ogni malato è un caso a sé, un caso unico. E perché mai? Per la ragione che ogni malato ha la sua storia: ha quel corredo genetico, ha avuto quel tipo di alimentazione, ha fatto quel lavoro, è vissuto in quell’ambiente, ha avuto altre malattie e così via. Ogni malato è un caso unico.22 Questo il clinico lo sa, eppure non disdegnerà di fare la sua Si veda sul problema del “caso unico”, così come se ne parla in metodologia della clinica, D. ANTISERI – V. CAGLI, Dialogo sulla diagnosi, Armando, Roma, 2008, pp. 18-19 e 62-63. 22
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diagnosi e di proporre la sua terapia esattamente in base a leggi generali della patologia, della fisiologia o della biochimica. Ciò che è unico in un caso clinico come in un evento storico è l’intreccio di aspetti tipici descrivibili e spiegabili con leggi generali.23 Così è per un’opera di architettura, per esempio il Ponte di Brooklin. Si tratta di opere uniche – certamente, opere uniche, ma altrettanto certamente realizzate in base alle leggi della fisica. Anche un incidente stradale è sempre unico, ma le indagini della polizia puntano su cause tipiche e non uniche: strada troppo stretta, curve pericolose, freni non funzionanti, velocità elevata, abbaglianti di macchine provenienti in senso opposto, autisti più o meno ubriachi o sotto l’effetto di stupefacenti, gomme troppo lisce, distrazione del guidatore e così via. Tutti aspetti tipici che, variamente combinati, danno forma ad un evento unico, unico nell’intreccio di aspetti tipici perfettamente catturabili da ipotesi empiricamente controllabili sorrette da leggi rilevanti. Quel che vale in clinica, in architettura, in ingegneria o nell’attività del detective vale per il lavoro dello storico: fatti ed eventi oggetto delle sue indagini sono unici, ma non per questo, per spiegarli, c’è bisogno di un metodo diverso da quelli delle scienze naturali. L’obiettore, però, non si perde d’animo e insiste. Insiste col sostenere che la storiografia non può essere scienza come la fisica per la ragione che i fatti dello storico sono non solo unici ma anche irripetibili, mentre i fatti della fisica sono ripetibili. Se qualcuno non si fida di una ipotesi o teoria chimica, costui può controllare tale ipotesi ripetendo a volontà gli esperimenti necessari. Ma questo non è possibile nella storiografia: la Rivolta dei Ciompi come la Rivoluzione americana sono eventi accaduti una volta per sempre, non si ripetono. Dunque: non controllabili su esperimenti ripetibili, le ipotesi dello storico non possono essere scientifiche come, invece, lo sono le ipotesi della fisica, della chimica o della fisiologia. Ebbene, c’è qui subito da replicare che questa obiezione, tante volte ripetuta, è da una parte falsa e dall’altra irrilevante. Innanzi tutto, se con il termine “irripetibile” si dovesse intendere “irripetibile nel tempo”, allora tutti i fatti – quelli della fisica come quelli della storia – sono irripetibili nel tempo, accaduti una volta per tutte e per sempre. Conseguentemente, sotto questo aspetto, non ci sarebbe differenza alcuna tra i fatti della fisica e i fatti della storia.24 L’obiettore, però, non si placa e insiste: i fatti della fisica sono irripetibili in quanto “irriproducibili”, e questo non si dà per i fatti della storia, quindi la storia non può essere scienza come la fisica. Ma anche qui l’obiezione non regge. Difatti, se si assume il termine di “irripetibile” nel senso di 23
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Si può consultare, al riguardo, il mio Trattato di metodologia delle scienze sociali, cit., pp. 306-307. Cfr., al riguardo, G. SALVEMINI, Storia e scienza, cit., p. 138.
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“irriproducibile”, allora va subito fatto notare e sottolineato che anche larghe zone, e zone di primaria rilevanza, delle scienze naturali hanno a che fare con “fatti irriproducibili”. Il big-bang in fisica, il corrugamento ercinico in geologia, l’estinzione dei mammuth in biologia, per esempio, non sono fatti ripetibili, cioè riproducibili a volontà in laboratorio. Ma forse per questo le teorie fisiche, geologiche e biologiche che ne parlano, descrivendoli e spiegandoli, non sono scientifiche? Si tratta di teorie scientifiche che lavorano su “tracce”, esattamente come avviene nel lavoro dello storico.25 Scienziato il fisico, scienziato lo storico: è il metodo, e non gli oggetti di studio, che fa dell’uno e dell’altro degli uomini di scienza.
7. Una didattica della storia epistemologicamente orientata
Dalle considerazioni epistemologiche sin qui condotte e relative al discorso storiografico conseguono consapevolezze e strumenti di analisi di indubbia rilevanza per la comprensione di un testo di storia e insieme per la didattica della storia. Innanzi tutto, ci sono ottime ragioni per respingere l’idea che la storia è e non potrà essere che storia ideologica. Esiste storiografia scientifica ed esiste storiografia ideologica: non ci sono argomenti per cancellare la prima né ragioni per condannare la seconda. La cosa davvero importante è non confondere il discorso scientifico con quello ideologico. Ma proprio a tal fine sarà necessaria la conoscenza delle regole del gioco-dilingua della scienza e delle regole del gioco-di-lingua dell’ideologia. E, come si è cercato di precisare nelle pagine precedenti, il principale strumento tecnico per venire a conoscere se uno storico sta spiegando scientificamente oppure
Scrive M. Bloch (in Apologia dello storico o mestiere di storico, trad. it., Einaudi, Torino, 1969, p. 36): «La conoscenza di tutti i fatti umani nel passato, e della maggior parte di essi nel presente, ha come sua prima caratteristica quella di essere una conoscenza per via di tracce, secondo la felice espressione di François Sismiand. Si tratti di ossa murate nei bastioni di Siria, di una parola la cui forma o il cui impiego riveli una data usanza, di un racconto scritto dal testimone di una scena antica o recente, che cosa intendiamo infatti per documenti se non una “traccia”, ossia un segno, percettibile ai sensi, lasciato da un fenomeno non afferrabile in se stesso? Poco importa che l’oggetto originale sia per sua natura inaccessibile alla sensazione, come l’atomo la cui traiettoria è visibile nel tubo di Crookes; o che esso sia divenuto tale soltanto oggi, per effetto del tempo, come la felce, morta da millenni, la cui impronta rimane sul blocco di carbon fossile, o come le solennità cadute da lunghissimo tempo in disuso che si vedono istoriate sui muri dei templi egizi. In ambedue i casi, il processo di ricostruzione è lo stesso e tutte le scienze ne offrono molteplici esempi». Sul medesimo argomento H.-I. Marrou (in La conoscenza storica, trad. it., il Mulino, Bologna, 1952, p. 66) fa presente che il passato «non può essere conosciuto direttamente, ma solo attraverso le tracce che ha lasciato dietro di sé, e che noi riusciamo a capire, e inoltre soltanto nella misura in cui queste tracce sono state lasciate, in cui le abbiamo ritrovate e ci siamo mostrati capaci di interpretarle (più che mai bisogna insistere sul far as...)». 25
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sta interpretando ideologicamente i fatti è quello consistente nell’esplicitazione delle leggi che lo storico pone a premessa delle sue spiegazioni. L’individuazione dell’Explanandum (e dei documenti ben vagliati che ne supportano l’accettabilità come asserto empirico controllato e confermato); l’enucleazione degli asserti che descrivono le condizioni o cause (e la loro accettabilità empirica); l’esplicitazione delle leggi che coprono un’argomentazione esplicativa storiografica costituiscono passaggi irrinunciabili in vista dell’accertamento della validità o meno di tale argomentazione. A simile tipo di analisi si lega, contestualmente, l’esame della gerarchizzazione delle cause effettuato dallo storico. Tutto ciò al fine di venire in possesso di ragioni per decidere se una argomentazione storica ha natura scientifica o ideologica. Qualora le leggi di copertura siano generalizzazioni infalsificabili tratte da filosofie e teologie della storia e qualora la gerarchizzazione della costellazione delle cause sprofondi nel dogmatismo dove una causa viene assunta, sempre e comunque in ultima analisi, come la causa dei fatti studiati, abbiamo storiografia ideologica. Imparare a distinguere una spiegazione storica scientifica da una interpretazione storica ideologica è un risultato educativo di prim’ordine, se consideriamo con quanta facilità si è inclini a scambiare la propria visione del mondo con l’unica e definitiva verità. Così come è un risultato formativo comprendere le ragioni epistemologiche della parzialità di qualsiasi approccio storiografico. La parzialità costituisce una caratteristica inevitabile di qualsiasi spiegazione storiografica: ogni volta che si parla di qualcosa se ne parla da un punto di vista, dalla prospettiva di una teoria – non è possibile la comprensione olistica, cioè totale, nemmeno del più piccolo pezzo di mondo, per esempio di un pezzo di carbone: il colore, il peso, la composizione chimica, la struttura fisica, il luogo del giacimento, il prezzo, i diversi usi... sono aspetti via via descritti da diverse teorie. E quel che vale per un pezzo di carbone, vale per qualsiasi fatto o avvenimento storico. Va sottolineato, in ogni caso, che la inevitabile parzialità di una spiegazione storica non va confusa con la faziosità.26 Né va confuso un giudizio storico scientifico con un giudizio di valore. La storiografia scientifica non condanna e non assolve; è unicamente un tessuto di descrizioni e spiegazioni tese a capire che cosa è accaduto e perché e come è accaduto quello che è accaduto. Ma è sempre l’analisi epistemologica che mostra, con l’idea weberiana di riferimento ai valori, quali valori premono dietro alla scelta dei problemi da inda-
Sulla distinzione tra parzialità e faziosità in una spiegazione storica si può consultare D. ANTISERI, Trattato di metodologia delle scienze sociali, cit., pp. 322-323 e p. 328. 26
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Un criterio per distinguere la storiografia scientifica da quella ideologica
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gare.27 E si deve ancora all’analisi epistemologica l’erosione della “sacralità” del fatto, del feticismo dei “fatti certi e indubitabili”. Certo, contra factum non valet argumentum, ma i fatti non sono sacri. I fatti parlano – diceva John Stuart Mill – solo se c’è qualcuno che ne sa raccontare la storia. Ma possiamo sempre sbagliarci nel raccontare questa storia. La base empirica della scienza, vale a dire gli asserti-di-osservazione non sono roccia, sono anch’essi asserti fallibili. La storiografia è scientifica perché, al pari di ogni altra disciplina scientifica, è costituita di asserti singolari e generali che restano sempre sotto assedio. Possiamo sbagliarci nello stabilire un fatto da spiegare; possiamo sbagliarci nell’individuarne le cause; possiamo commettere errori nel valutare il peso di queste cause; e false possono magari in seguito risultare le leggi e le generalizzazioni utilizzate per spiegare i fatti sotto esame. Avere la consapevolezza della fallibilità di un’argomentazione storica scientifica è il necessario presupposto di quella estremamente formativa pratica didattica consistente nel porre in evidenza, dove è possibile, gli errori storiografici che, su di un dato argomento o problema, hanno tappezzato la via verso spiegazioni migliori, più consistenti. Il passato è passato una volta per tutte, ma la nostra comprensione del passato è ricerca senza fine, ricerca mai conclusa.
8. L’urgenza didattica di ricerche di storia locale
E ancora qualche riflessione relativa alla pratica didattica. Lo studio della storia nel nostro sistema formativo, dalle Elementari all’Università, si risolve, il più delle volte, nell’imparare a memoria pagine di storia, manuali di storia alle Medie inferiori e superiori, ancora manuali di storia e monografie all’Università. In breve, l’insegnamento della storia, nella nostra scuola, è un insegnamento mnemonico basato quasi esclusivamente su un rapporto fiduciario stabilito tra l’autore del testo (e che l’insegnante non di rado sceglie su base “ideologica”) e lo studente che apprende. Ovviamente non si sostiene qui che bisogna abolire il manuale: uno schema orientativo delle vicende umane nelle diverse epoche è più che necessario. Non si dice nemmeno che sia inutile la lettura di documenti “standard” come anche la proiezione di diapositive, film e documentari, visite ai musei. Questi ed altri espedienti 27 Sulla questione della “avalutatività” e conseguente distinzione tra “riferimento ai valori” e “giudizi di valore” si veda il classico saggio di M. WEBER, Il significato dell’“avalutatività” delle scienze storiografiche ed economiche, in PIETRO ROSSI (a cura di), Il metodo delle scienze storicosociali, Einaudi, Torino, 1958. Sempre sull’argomento si vedano le valide considerazioni sviluppate da E. DI NUOSCIO nel saggio Le storie non sono favole. La storiografia scientifica non è un mito, in AA.VV., Conoscere per tracce. Epistemologia e storiografia, a cura di E. DI NUOSCIO e M. GERVASONI, Edizioni Unicopli, Milano, 2005, specialmente le pp. 27-32.
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sono indubbiamente di grande utilità, solo che, a mio parere, non sono del tutto sufficienti a formare una mente critica nei confronti del discorso degli storici, dei manuali e saggi di storia, ed anche di quegli articoli concernenti la storia di ieri e che si leggono sul giornale di oggi. Più efficace a questo scopo risulta guidare gli studenti ad affrontare problemi di storiografia locale. I problemi di storia locale sono interessanti per ovvie ragioni e le ipotesi risolutive, spesso disponibili nella “memoria” della gente del luogo, possono venir controllate e non semplicemente accettate perché stampate su qualche testo. Controllate su documentazione reperibile nelle biblioteche ed archivi locali, in collezioni di giornali locali, in lapidi e monumenti, nei ricordi di quanti certe vicende le hanno eventualmente vissute. Controllabili e controllate e, quindi, confermate e magari smentite. È questo un lavoro che, compiuto negli anni della scuola media e soprattutto negli anni della scuola media superiore, aiuta lo studente a liberarsi dalla servitù intellettuale a cui lo condanna qualsiasi manuale mnemonicamente appreso e che lo emancipa dall’autoritarismo della carta stampata e da tutti i muezzin che cantano la loro presunta “verità” da minareti televisivi. Un’epoca di menzogna organizzata, è questa un’espressione di Irving Lee, va fronteggiata da menti critiche, da menti cioè non scettiche né dogmatiche. E solo menti aperte costituiscono il miglior presidio di una società aperta.28
28 Sulla necessità, in vista di una migliore didattica della storia, di ricerche di storiografia locale da parte degli studenti ho insistito in parecchi miei scritti. Di recente vi sono tornato nel saggio Più filologia nel mondo di Google, in D. ANTISERI – S. TAGLIAGAMBE – P. MANINCHEDDA, La libertà, le lettere, il potere, cit., pp. 44-48.
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AUTONOMIA E CURRICOLO
GRAZIA FASSORRA Responsabile Area formazione Associazione Nazionale Presidi SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Le Indicazioni nazionali. - 3. La certificazione delle competenze. - 4. Gli strumenti.
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1. Premessa
er impostare una riflessione che abbia un qualche carattere di utilità sul tema della costruzione del curricolo, sarebbe opportuno fare riferimento alle norme, almeno a quelle che hanno contribuito a cambiare la ratio del sistema ed a dare indicazioni alle scuole sui percorsi da seguire: purtroppo, come spesso accade, le buone intenzioni della norma sono rimaste tali soprattutto perché, solo con poche eccezioni, non ci si è curati, da parte del committente principale (che è lo Stato), di dare le risorse necessarie e di controllare che fossero bene allocate e gestite. Insomma ciò che è scritto nel regolamento sull’autonomia, DPR 275/99, è rimasto spesso sulla carta, perché si è presunto che le scuole, da sole, fossero in grado di attuare ciò che invece aveva bisogno di supporto, di formazione e di risorse certe. Inoltre la normativa si è successivamente ampliata, comprendendo la riforma dell’intero sistema di istruzione e formazione (dalla legge 53/2003 ai decreti legislativi emanati in sua attuazione, fino alle disposizioni del cosiddetto “riordino”), riforma che ha avuto comunque come base l’autonomia delle scuole. I documenti che accompagnano il riordino (ultima “tappa” della riorganizzazione del sistema) si collocano, per questa ragione, sul piano dell’attuazione dell’autonomia che aveva per prima declinato i parametri di costruzione dei curricoli sulla scorta di obiettivi di apprendimento. I regolamenti (DPR 89/2009, Scuola dell’Infanzia e primo ciclo; 87/2010, Istituti professionali; 88/2010, Istituti tecnici; 89/2010, Licei) hanno infatti Indicazioni e Linee guida che supportano e guidano la progettazione curricolare delle scuole, in linea appunto con il dettato del regolamento 275/99 che, all’art. 81 definisce il nuovo sistema delle relazioni tra le scuole e il ministero dell’Istruzione. 1
Art. 8 del regolamento dell’autonomia – DPR 275/99: 1. Il Ministro della Pubblica Istruzione, pre-
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2. Le Indicazioni nazionali
Per quanto riguarda il primo ciclo si sono succeduti, in breve tempo, tre documenti: le “Indicazioni nazionali per le attività e i piani di studio personalizzati” in attuazione del D.Lgs 59/2004 (Ministro Moratti), le “Indicazioni per il curricolo” di cui al DM 31 luglio 2007 (Ministro Fioroni) e il testo più recente, pubblicato nel dicembre 2012, revisionato sulla scorta del DPR 89/2009 dal titolo “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione” (Ministro Profumo). Facendo riferimento solo all’ultimo testo, si possono fare alcune annotazioni nel merito: vi si afferma in modo esplicito che la progettazione è affidata alle scuole che hanno il compito di “predisporre il curricolo all’interno del Piano dell’offerta formativa con riferimento al profilo dello studente al termine del primo ciclo dell’istruzione, ai traguardi per lo sviluppo delle competenze, agli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina”. Inoltre nella presentazione del Profilo dello studente si annuncia la descrizione delle competenze riferite alle discipline e “al pieno esercizio della cittadinanza che un ragazzo deve mostrare di possedere al termine del primo ciclo di istruzione. Il conseguimento delle competenze delineate nel profilo
vio parere delle competenti commissioni parlamentari sulle linee e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’articolo 205 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sentito il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, per i diversi tipi e indirizzi di studio: a) gli obiettivi generali del processo formativo; b) gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni; c) le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale; d) l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche; e) i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo; f) gli standard relativi alla qualità del servizio; g) gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi; h) i criteri generali per l’organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all’educazione permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali. 2. Le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano dell’offerta formativa, il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare, a norma del comma 1, la quota definita a livello nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte. Nella determinazione del curricolo le istituzioni scolastiche precisano le scelte di flessibilità previste dal comma 1, lettera e). 3. Nell’integrazione tra la quota nazionale del curricolo e quella riservata alle scuole è garantito il carattere unitario del sistema di istruzione ed è valorizzato il pluralismo culturale e territoriale, nel rispetto delle diverse finalità della scuola dell’obbligo e della scuola secondaria superiore. 4. La determinazione del curricolo tiene conto delle diverse esigenze formative degli alunni concretamente rilevate, della necessità di garantire efficaci azioni di continuità e di orientamento, delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie, dagli Enti locali, dai contesti sociali, culturali ed economici del territorio. Agli studenti e alle famiglie possono essere offerte possibilità di opzione.
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costituisce l’obiettivo generale del sistema educativo e formativo italiano”. Le parole chiave ci sono tutte. Anche nel secondo ciclo, sebbene la strada sia stata più lunga e difficile in quanto, dopo tanti tentativi di riforma, sembrava arduo arrivare a delle conclusioni, i regolamenti ed i documenti collegati indicano in modo chiaro la strada per la costruzione dei curricoli da parte delle scuole.
3. La certificazione delle competenze
C’è da considerare inoltre che durante lo scorso anno si è assistito ad una accelerazione delle norme che riguardano il “sistema” delle competenze e la loro certificazione. È vero che una Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio (23 aprile 2008) chiedeva a tutti gli stati membri di allineare, entro il 2012, titoli di studio e certificazioni al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), ma è vero anche che molte sollecitazioni si sono avute proprio dal riordino dei cicli e dalla necessità di definire in modo chiaro i rapporti tra Stato e Regioni su tutta la partita dell’istruzione e della formazione professionale. Da tutti i provvedimenti (Accordi in Conferenza Stato – Regioni, Decreti Interministeriali, Regolamenti, fino al Decreto Legislativo n. 13 del 16 gennaio 2013, pubblicato sulla GU n. 39 del 15 febbraio 2013, “Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali”) emergono alcuni principi generali di riferimento per tutti i soggetti coinvolti:
– al centro del processo di certificazione si trova la persona cui vanno riconosciute le competenze comunque acquisite in una logica di lifelong learning; – la certificazione è un atto pubblico; – un sistema nazionale di certificazione si fonda su standard minimi di servizio omogenei su tutto il territorio nazionale nel rispetto dei principi di accessibilità, riservatezza, trasparenza, oggettività e tracciabilità. L’adozione della valutazione per competenze è oggi considerata ormai uno snodo strategico in grado di mettere in comunicazione e far dialogare i diversi sub-sistemi tra loro (scuola, formazione professionale, lavoro). In questa direzione le politiche formative avviate nei diversi paesi europei convergono verso obiettivi comuni di personalizzazione dei percorsi e di valorizzazione delle competenze individuali. Per tornare alla scuola, è opportuno ricordare che il sistema scolastico italiano ha imboccato da lungo tempo la strada che porta al riconoscimento delle competenze acquisite dagli studenti ed alla loro certificazione: basti pensare, tra le norme più recenti, al DM 139 del 2007, “Regolamento recante norme in
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materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” ed al DPR 122 del 2009, Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni” che, all’art. 8, elenca gli step delle certificazioni dovute dalla scuola. Ma tutto il quadro normativo che si riferisce al riordino dei cicli che, a partire dal 2009, ha revisionato gli ordinamenti del nostro paese, recupera l’idea che gli obiettivi del sistema sono ormai riferibili agli orientamenti europei, a partire dalla declinazione delle cosiddette competenze chiave, fino alla definizione degli obiettivi di apprendimento nella forma di conoscenze, abilità e competenze. In particolare un documento ha posto la questione in modo esplicito; si tratta di “Persona, tecnologie e professionalità” - Gli Istituti Tecnici e Professionali come scuole dell’innovazione” (Documento finale della Commissione ministeriale per la riorganizzazione degli Istituti Tecnici e Professionali, 2008). Vi si afferma infatti che “la sfida che la complessità prospetta alla scienza è soprattutto quella di esplorare e sviluppare il territorio dell’interdisciplinarità, della multidimensionalità del reale, della complementarietà dei saperi. Nel nuovo paradigma della complessità, le diverse discipline si presentano come un sistema a rete, con correlazione e nodi multipli. In questo modo vengono superate tutte le chiusure disciplinari, tutte le dicotomie che finiscono per paralizzare la ricerca e per impedire la comprensione e la trasformazione della realtà”. E si affida questa lettura del rapporto tra le discipline per la costruzione di curricoli ai docenti chiamati a svolgere una professione di alto profilo, in grado di interpretare la realtà, i bisogni degli alunni e gli obiettivi di apprendimento dati dal sistema. Un compito arduo in quanto, fino al regolamento dell’autonomia, il lavoro dei docenti e delle scuole era basato sull’adempimento ai programmi dati dall’alto orientati per lo più all’acquisizione, da parte degli studenti, di conoscenza e di abilità: le competenze erano lasciate alle capacità di ciascuno di utilizzare ciò che si era appreso, non era un compito della scuola. Con l’autonomia invece la scuola viene chiamata a svolgere la sua parte, per ciò che le compete e ad accompagnare l’apprendimento degli studenti fino a dare loro certificazioni su ciò che hanno appreso. La scuola che si pone come obiettivo i risultati di apprendimento è una scuola che si colloca nella realtà, che supera la discrasia tra se stessa e la comunità in cui vive e di cui fa parte, mentre, nella prassi del quotidiano, tende a fare il contrario di quello che avviene nel mondo: richiede prestazioni individuali, mentre il lavoro all’esterno richiede lavoro di gruppo e condivisione; richiede un pensiero astratto, mentre fuori ci si avvale di strumenti; coltiva il pensiero simbolico, mentre fuori la mente è sempre alle prese con oggetti e situazioni; insegna conoscenze generali, mentre nelle attività esterne dominano competenze legate a situazioni concrete.
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In realtà si tratta di una “ricollocazione” della scuola e di una revisione del suo ruolo e della sua funzione che non sono più soltanto quelli di trasmettere conoscenze ad una futura classe dirigente colta e in grado di costruire da sola i propri percorsi e le proprie acquisizioni successive, ma quelli di sostenere tutti nell’affermazione delle proprie possibilità, secondo il talento di ciascuno. Ma soprattutto una scuola che sia attenta alla realtà e che ribalti le tradizionali modalità di approccio ai saperi investendo su impianti laboratoriali e su ambienti di apprendimento ricchi di stimoli. Si apprende anche dal fare e questa è la lezione più importante che il nostro sistema deve ancora attuare. Il primo compito nella reimpostazione generale della nostra percezione del sistema, in grado di farci vedere in modo chiaro il cammino verso la costruzione di curricoli “personalizzati”, riguarda il tema della collegialità ma, se vogliamo uscire dalle parole che hanno assunto negli anni un che di burocratico, del lavorare insieme, comunque anche al di là della formalità degli incontri ufficiali. Lavorare insieme è anche uno status mentale assai distante dalla preparazione e dalla cultura del lavoro dei docenti da sempre abituati a vedersela da soli con la classe o con i singoli studenti. La collegialità è spesso stata vissuta come atto rituale e poco produttivo, ai fini delle scelte didattiche. Sarebbe lungo elencare le ragioni anche storiche di questo dato di fatto, ma è ciò che si rileva in tante, troppe scuole. Invece la nuova ratio del sistema ci chiede proprio questo. Perché quando si pongono obiettivi di risultato e non più solo di conoscenze, si esce dall’hortus conclusus di ogni disciplina e si chiede di valutare e di progettare qualcosa che va al di là delle discipline intese come singolarità. Le competenze sono complesse e, se si imbocca la strada della valutazione della “persona competente”, come ci viene indicato dai documenti elaborati in sede europea, ci troviamo di fronte a dati che non possono essere letti con una lente monodisciplinare. Due strade si incrociano nella progettazione che la scuola è tenuta a fare: una di tipo disciplinare, con le finalità anzidette, l’altra di tipo trasversale che sostenga gli studenti nell’acquisizione di quelle competenze individuate nelle indicazioni elaborate per il riordino dei cicli, nella norma di innalzamento dell’obbligo di istruzione e nelle raccomandazioni europee. Per costruire un curricolo è necessario che gli insegnanti compongano un sistema di opportunità educative che consentano agli studenti di interpretare la realtà mediante chiavi che derivano da un lavoro comune: si tratta, partendo dall’acquisizione degli obiettivi contenuti nei profili di uscita e da quelli specifici di ogni disciplina, di selezionare nuclei tematici disciplinari, individuare e concordare metodologie didattiche e valutative, scegliere le
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attività cognitive e metacognitive pertinenti alle scelte, costruire un quadro relativo agli aspetti relazionali e organizzativi ed individuare i mezzi e le risorse necessarie alle attività scelte. I curricoli sono caratterizzati, come indica la norma, da continuità, essenzialità e trasversalità: tre parole chiave che dovrebbero diventare il fil rouge di ogni progettazione didattica.
4. Gli strumenti
Nel testo dei tre regolamenti del secondo ciclo è scritto: i licei (gli istituti tecnici e i professionali)… ”possono costituire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dipartimenti, quali articolazioni funzionali del collegio dei docenti, per il sostegno alla progettazione formativa e alla didattica”. A quale livello decisionale collocare i dipartimenti? Quali le funzioni e i compiti da attribuire affinché siano di valido sostegno alla progettazione didattica? Dalle esperienze già in atto si possono fare alcune ipotesi su dipartimenti disciplinari e/o per asse o area culturale. Si tratta di fare una scelta legata all’esperienza della scuola: là dove l’abitudine all’analisi disciplinare è affermata, si possono organizzare i dipartimenti secondo gli assi individuati nel documento allegato al DM 139/2007 e procedere ad una progettazione integrata che può condurre più direttamente ad una valutazione delle competenze individuate. Là dove invece c’è la necessità di procedere ad un lavoro sistematico di scomposizione delle discipline e di ricomposizione in mappe disciplinari, è bene iniziare da questo livello. La decisione scaturisce da un’analisi puntuale del lavoro svolto dalla scuola negli anni precedenti e da un confronto tra i docenti su temi portanti quali: progettazione e valutazione per competenze, analisi dei documenti di corredo al riordino, individuazione degli obiettivi irrinunciabili. È a questo punto che il collegio dei docenti si articola in dipartimenti. Anche nella scuola dell’infanzia e del primo ciclo le modalità possono essere analoghe: dall’analisi del lavoro svolto sui campi di esperienza e sui traguardi per lo sviluppo delle competenze, si può procedere con un’organizzazione del lavoro collegiale che permetta la costruzione di percorsi disciplinari (per l’acquisizione di conoscenze e lo sviluppo di abilità) e interdisciplinari (per lo sviluppo delle competenze). Per la progettazione curricolare i dipartimenti hanno la funzione di individuare percorsi per il raggiungimento degli obiettivi delle discipline (il che presuppone un lavoro di analisi e di redazione delle mappe relative); standard comuni a tutte le classi parallele (il che presuppone la definizione di criteri condivisi di valutazione) e le relative prove e strumenti di verifica per la valutazione degli apprendimenti degli allievi.
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Con l’analisi disciplinare si è in grado di delineare la rete semantica dei concetti chiave, i “saperi essenziali”, di ricercare i concetti ricorrenti che “tessono” la disciplina e che hanno valore strutturale, che ci permettono di riconoscere quello che abbiamo già incontrato e di prefigurare nuovi contesti e contenuti e, inoltre, di evidenziare i collegamenti tra le diverse discipline col fine di superare la parcellizzazione delle conoscenze. Questo compito è complesso perché presuppone la capacità di destrutturare per ricostruire percorsi, il che va oltre la formazione tradizionalmente sequenziale sulla disciplina, ma è più semplice rispetto a quello che compete ai consigli di classe e ai gruppi di progetto, in quanto i docenti lavorano sul terreno comune e noto degli obiettivi disciplinari. I compiti dei consigli di classe infatti riguardano la progettazione dei percorsi della classe mediante l’individuazione delle attività disciplinari e multidisciplinari volte all’acquisizione delle competenze indicate, l’elaborazione e la scelta degli strumenti di osservazione, verifica e valutazione e l’organizzazione degli interventi calibrati sui bisogni dei singoli studenti. Insomma, la vita della classe stessa, compito al quale i consigli sono poco abituati. La difficoltà sta nella modulazione degli obiettivi comuni, quelli che definiscono il profilo dello studente e nell’individuazione dell’apporto che ogni disciplina può dare per il loro raggiungimento. È la logica che sottende alla certificazione delle competenze in uscita dall’obbligo di istruzione che assegna ai consigli di classe il compito di valutarle secondo i quattro assi culturali, ponendo in controluce le competenze chiave di cittadinanza (di cui all’allegato 2 del regolamento DM 139/2007)2.
Competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria • Imparare ad imparare: organizzare il proprio apprendimento, individuando, scegliendo ed utilizzando varie fonti e varie modalità di informazione e di formazione (formale, non formale ed informale), anche in funzione dei tempi disponibili, delle proprie strategie e del proprio metodo di studio e di lavoro. • Progettare: elaborare e realizzare progetti riguardanti lo sviluppo delle proprie attività di studio e di lavoro, utilizzando le conoscenze apprese per stabilire obiettivi significativi e realistici e le relative priorità, valutando i vincoli e le possibilità esistenti, definendo strategie di azione e verificando i risultati raggiunti. • Comunicare: comprendere messaggi di genere diverso (quotidiano, letterario, tecnico, scientifico) e di complessità diversa, trasmessi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali); rappresentare eventi, fenomeni, principi, concetti, norme, procedure, atteggiamenti, stati d’animo, emozioni, ecc. utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) e diverse conoscenze disciplinari, mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali). 2
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Dal punto di vista organizzativo, l’idea di scuola che si afferma nel lungo percorso delle riforme presuppone la costruzione di una comunità che, attraverso la pratica dell’autonomia di ricerca e sviluppo, vive in una dimensione collaborativa e cooperativa, aperta agli apporti esterni, pronta a mettersi in rete per acquisire e offrire esperienze, attenta a ciò che cambia nel mondo e nel territorio, sensibile ai processi educativi ed a quelli culturali. Un’utopia? Forse, ma un’utopia in grado di mobilitare risorse d’intelligenza e di impegno. Ciò presuppone un’organizzazione flessibile, darsi delle regole condivise entro le quali muoversi, regole che gli organi della scuola possono senz’altro individuare secondo i bisogni che emergono. La cosa importante è che le regole siano percepite come risorse e non come vincoli e che consentano facilmente di modificare fatti e processi inefficaci o troppo dispendiosi anche dal punto di vista del tempo e delle forze che richiedono. Per i docenti si tratta quindi di “vivere la scuola”, non più chiamati ad adempimenti solo formali, ma alla costruzione di percorsi innovativi, volti al successo formativo degli alunni, e dotati di punti di riferimento e di statuti che consentano a tutta la comunità di crescere insieme.
• Collaborare e partecipare: interagire in gruppo, comprendendo i diversi punti di vista, valorizzando le proprie e le altrui capacità, gestendo la conflittualità, contribuendo all’apprendimento comune ed alla realizzazione delle attività collettive, nel riconoscimento dei diritti fondamentali degli altri. • Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevole nella vita sociale e far valere al suo interno i propri diritti e bisogni riconoscendo al contempo quelli altrui, le opportunità comuni, i limiti, le regole, le responsabilità. • Risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, individuando le fonti e le risorse adeguate, raccogliendo e valutando i dati, proponendo soluzioni utilizzando, secondo il tipo di problema, contenuti e metodi delle diverse discipline. • Individuare collegamenti e relazioni: individuare e rappresentare, elaborando argomentazioni coerenti, collegamenti e relazioni tra fenomeni, eventi e concetti diversi, anche appartenenti a diversi ambiti disciplinari, e lontani nello spazio e nel tempo, cogliendone la natura sistemica, individuando analogie e differenze, coerenze ed incoerenze, cause ed effetti e la loro natura probabilistica. • Acquisire ed interpretare l’informazione: acquisire ed interpretare criticamente l’informazione ricevuta nei diversi ambiti ed attraverso diversi strumenti comunicativi, valutandone l’attendibilità e l’utilità, distinguendo fatti e opinioni.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 1, 67-80
IL CURRICOLO NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E NEL PRIMO CICLO D’ISTRUZIONE: COME ATTUARE LE INDICAZIONI NAZIONALI?
CARLO RUBINACCI Dirigente scolastico – Esperto di temi e problemi relativi alla scuola di base SOMMARIO: 1. Il senso del curricolo. - 2. Priorità del curricolo nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo. - 3. Curricolo verticale per competenze. - 4. Competenze e apprendimento permanente. - 5. Curricolo verticale e misure di accompagnamento delle Indicazioni nazionali. 6. Suggerimenti e proposte di lavoro. - 6.1 Curricolo e competenza unitaria nella scuola dell’infanzia. - 6.2 Curricolo e competenze nel primo ciclo d’istruzione. - 6.3 Curricolo, discipline e competenze trasversali. - 7. Quali ambienti di apprendimento per la costruzione delle competenze? - 8. Aspetti qualificanti del curricolo per competenze. – 9. Osservazioni conclusive.
A
1. Il senso del curricolo
ddentrarsi nelle problematiche che riguardano l’elaborazione del curricolo significa intraprendere un processo di ricerca che non ha fine e che non si intraprende una volta per tutte.1 Diversamente dai tradizionali programmi ministeriali, il curricolo non è emanato dal centro ma viene costruito nelle scuole che, a tale scopo, sono chiamate a diventare luogo di ricerca e di innovazione educativa e ad assicurare un rapporto equilibrato tra prescrittività delle competenze in uscita, diversità dei bisogni formativi e specificità dei territori di appartenenza.2 In tale direzione, un impulso decisivo viene offerto dall’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (legge Bassanini) e dal D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (Regolamento autonomia scolastica): infatti, nel piano dell’offerta formativa le istituzioni scolastiche “concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità, promuoPer un’analisi del concetto e delle interpretazioni del curricolo nel mondo della ricerca psicosocio-pedagogica si rinvia a: NICHOLLS A. e H., Guida pratica all’elaborazione del curricolo, Feltrinelli, Milano, 1976 e a AJELLO A.M., PONTECORVO C., a cura di, Il curricolo. Teoria e pratica dell’innovazione, La Nuova Italia, Firenze, 2002. 2 Per lo studio e l’approfondimento si rinvia a: FIORIN I., CASTOLDI M., PREVITALI D., Dalle Indicazioni al curricolo scolastico, La Scuola, Brescia, 2013. 1
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vono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo”.3 È proprio questo il senso della costruzione del curricolo, che “tiene conto delle diverse esigenze formative degli alunni, concretamente rilevate, della necessità di garantire efficaci azioni di continuità e di orientamento, delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie, dagli Enti locali, dai contesti sociali, culturali ed economici del territorio”.4
2. Priorità del curricolo nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo
Quale curricolo predisporre nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo d’istruzione? Il testo delle Indicazioni nazionali 2012 esplicita in merito quanto segue: “Ogni scuola predispone il curricolo all’interno del Piano dell’offerta formativa con riferimento al profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, ai traguardi per lo sviluppo delle competenze, agli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina”. A tale scopo occorre individuare delle priorità,5 nell’intento di coniugare efficacemente tradizione e innovazione:
– l’autonomia è lo strumento e la risorsa attraverso cui adottare metodi di lavoro, tempi di insegnamento, soluzioni funzionali alla realizzazione dei piani dell’offerta formativa e alle esigenze e vocazioni di ciascun alunno, affinché nessuno resti indietro ed escluso; – le sfide poste dalla rivoluzione digitale, dalla globalizzazione, dalla convivenza di culture e religioni diverse possono trasformarsi in opportunità, grazie all’azione educativa compiuta dalla scuola. I cambiamenti non mutano, tuttavia, la necessità di garantire a ciascun allievo le irrinunciabili basi culturali; – il percorso educativo e formativo è un continuum progettuale che accompagna i bambini e le bambine dal loro ingresso nella scuola dell’infanzia alla conclusione del primo ciclo di istruzione, nella prospettiva della successiva prosecuzione degli studi; – occorre predisporre un curricolo che, a partire da un’impostazione necessariamente predisciplinare e salvaguardando sempre la dimensione transdisciplinare e interdisciplinare, miri a far scoprire la bellezza e l’interesse di ciascuna disciplina e conduca così gradualmente a coglierne i nuclei fondanti. Art. 4, comma 1, D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (Regolamento autonomia scolastica). Art. 8, comma 4, D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (Regolamento autonomia scolastica). 5 Rif. Atto di indirizzo (MIUR) - 8 settembre 2009. 3 4
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3. Curricolo verticale per competenze
La consapevolezza condivisa e convinta delle suddette priorità da parte dell’intero collegio dei docenti potrebbe dare un forte impulso allo sviluppo di un curricolo verticale per competenze, inteso come progetto unitario e coerente di scuola. Infatti, la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado - specialmente se aggregate negli istituti comprensivi - non sono segmenti “separati” e “autoreferenziali”, ma “interdipendenti” e soprattutto intenzionalmente impegnati a concorrere, nella loro specificità educativa e culturale, al raggiungimento delle competenze previste nel profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione. Si tratta di un’esigenza che non può e non deve essere ignorata, in quanto, come opportunamente evidenzia I.Fiorin, “la tradizionale alfabetizzazione disciplinare è sollecitata a fare posto ad una nuova alfabetizzazione culturale, nella quale il riferimento non è dato dal modello dell’erudito (chi conosce tante cose), ma da quelli del competente (chi sa fronteggiare efficacemente problemi) e del sapiente (chi cerca di dare senso alle cose che conosce)”.6
4. Competenze e apprendimento permanente
Nell’elaborazione del curricolo verticale occorre chiarire che i traguardi per lo sviluppo delle competenze delineati nelle Indicazioni nazionali 2012 rappresentano riferimenti ineludibili per gli insegnanti: sono, pertanto, prescrittivi e costituiscono criteri per la valutazione delle competenze attese. Naturalmente le scuole - dotate di autonomia - assumono la libertà progettuale e la responsabilità di scegliere i modelli organizzativi e didattici per consentire agli studenti il miglior conseguimento dei risultati, nella consapevolezza che “la ricerca sta dimostrando che in futuro il successo educativo non consisterà nel memorizzare e riprodurre le conoscenze, ma nell’estrapolare ciò che si sa e nell’applicare tali conoscenze in situazioni nuove. Sarà sempre importante aggiornare le proprie conoscenze, ma l’educazione oggi deve formare soprattutto: il modo di pensare, e quindi la creatività, il pensiero critico, il problem solving e la capacità decisionale; il modo di lavorare, e quindi la capacità di riconoscere e sfruttare il potenziale delle nuove tecnologie; da ultimo, ma non meno importante, la capacità di vivere da cittadini attivi e responsabili in un mondo assai articolato e complesso”.7 FIORIN I, CASTOLDI M., PREVITALI D., Dalle Indicazioni al curricolo scolastico, La Scuola, Brescia, 2013, p. 22. 7 ANDREAS SCHLEICHER, Individuare le competenze che meglio si accordano ai bisogni emergenti in Associazione TreeLLLe e Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, La scuola dell’obbligo tra conoscenze e competenze, Seminario n. 12, aprile 2010, p. 93. 6
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Alla luce di queste considerazioni si comprende la ragione per la quale le Indicazioni nazionali 2012 individuano nel riconoscimento della centralità della persona e nell’organizzazione del curricolo la “via” per una nuova cittadinanza ed un nuovo umanesimo: è una scelta culturale di elevata portata, che assume come orizzonte di riferimento il quadro delle competenzechiave europee per l’apprendimento permanente8 (1. comunicazione nella madrelingua; 2. comunicazione nelle lingue straniere; 3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4. competenza digitale; 5. imparare ad imparare; 6. competenze sociali e civiche; 7. spirito d’iniziativa e imprenditorialità; 8. consapevolezza ed espressione culturale).
5. Curricolo verticale e misure di accompagnamento delle Indicazioni nazionali
Nell’intento di offrire adeguato supporto alle scuole impegnate in un’operazione così complessa (ma anche affascinante, è il caso di dirlo!), il Miur ha predisposto apposite misure di accompagnamento - di durata pluriennale - che intendono assicurare azioni di informazione, formazione, ricerca, monitoraggio e documentazione. Ciò dovrebbe comportare per le scuole l’assunzione di una decisione importante: trasformarsi in laboratori di innovazione educativa, nell’intento di progettare con originalità la verticalità del curricolo, che rappresenta “un impegno che ciascuna scuola si assume per costruire percorsi di apprendimento progressivi e coerenti, che sappiano ottimizzare i tempi della didattica e stimolare la motivazione degli alunni. È fondamentale partire dalla costruzione del curricolo come autentico progetto di scuola, che contiene, organizza e finalizza tutte le possibili attività e proposte racchiuse nei cosiddetti progetti didattici o nelle diverse ‘educazioni’, in modo da assicurare la dimensione olistica di un curricolo finalizzato alla centralità dello studente e allo sviluppo integrale della persona”.9
6. Suggerimenti e proposte di lavoro
La conoscenza approfondita delle Indicazioni nazionali 2012 costituisce un impegno ineludibile per tutti i docenti e i dirigenti scolastici, poi-
Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea - 18 dicembre 2006. 9 Documento di lavoro del Comitato scientifico nazionale “Accompagnare le Indicazioni. Misure di accompagnamento delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” (C.M. n. 22 del 26 agosto 2013). 8
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ché costituisce il punto di partenza per l’elaborazione di un curricolo per competenze che risulti coerente con gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione e con gli intenti educativi e culturali del piano dell’offerta formativa. In modo particolare, nel curricolo verticale occorre esplicitare: a) il contributo specifico dei campi di esperienza allo sviluppo della competenza al termine della scuola dell’infanzia; b) il contributo specifico delle discipline allo sviluppo delle competenze previste nel profilo dello studente al termine del primo ciclo d’istruzione; c) il contributo specifico delle discipline all’acquisizione delle competenze di tipo trasversale; d) le connessioni longitudinali che si possono stabilire tra: traguardi di sviluppo delle competenze dei campi di esperienza nella scuola dell’infanzia, traguardi di sviluppo delle competenze delle discipline e profilo dello studente al termine del primo ciclo; e) il raccordo tra profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione e istruzione secondaria superiore, con particolare riferimento alle competenze relative agli assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientificotecnologico, storico-sociale) dell’Obbligo d’istruzione, ai sensi del D.M. n. 139 del 22 agosto 2007. Infatti, come sottolineato nelle Indicazioni nazionali 2012, “fin dalla scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado l’attività didattica è orientata alla qualità dell’apprendimento di ciascun alunno”; inoltre, “la scuola finalizza il curricolo alla maturazione delle competenze previste nel profilo dello studente al termine del primo ciclo, fondamentali per la crescita personale e per la partecipazione sociale, e che saranno oggetto di certificazione”. 6.1. Curricolo e competenza unitaria nella scuola dell’infanzia
A conclusione della scuola dell’infanzia ogni bambino ha sviluppato alcune competenze di base grazie alle opportunità di apprendimento offerte dai campi di esperienza in termini di sviluppo dell’identità, dell’autonomia, della competenza e della cittadinanza: come viene precisato nelle Indicazioni nazionali 2012, “i traguardi per lo sviluppo della competenza suggeriscono all’insegnante orientamenti, attenzioni e responsabilità nel creare piste di lavoro per organizzare attività ed esperienze volte a promuovere la competenza, che a questa età va intesa in modo globale e unitario”. In che modo, allora, ciascun campo di esperienza potrebbe offrire un contributo specifico allo sviluppo della competenza al termine della scuola dell’infanzia?
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Vediamo alcune esemplificazioni: Campi di esperienza
Contributo specifico allo sviluppo della competenza al termine della SCUOLA DELL’INFANZIA
Il sé e l’altro
Rappresenta l’ambito elettivo in cui i temi dei diritti e dei doveri, del funzionamento della vita sociale, della cittadinanza e delle istituzioni trovano una prima “palestra” per essere guardati e affrontati concretamente.
Il corpo e il movimento
Le esperienze motorie consentono di integrare i diversi linguaggi, di alternare la parola e i gesti, di produrre e fruire musica, di accompagnare narrazioni, di favorire la costruzione dell’immagine di sé e l’elaborazione dello schema corporeo.
Immagini, suoni, colori
La scuola può aiutare il bambino, come spettatore e attore, a familiarizzare con l’esperienza della multimedialità (la fotografia, il cinema, la televisione, il digitale), favorendo un contatto attivo con i “media” e la ricerca delle loro possibilità espressive e creative.
I discorsi e le parole
La vita di sezione offre la possibilità di sperimentare una varietà di situazioni comunicative ricche di senso, in cui ogni bambino diventa capace di usare la lingua nei suoi diversi aspetti, acquista fiducia nelle proprie capacità espressive, comunica, descrive, racconta, immagina.
La conoscenza del mondo
I bambini imparano a fare domande, a dare e a chiedere spiegazioni, a lasciarsi convincere dai punti di vista degli altri, a non scoraggiarsi se le loro idee non risultano appropriate. Esplorano le potenzialità del linguaggio e l’uso dei simboli per rappresentare significati.
Religione cattolica
I traguardi relativi all’Irc sono distribuiti nei vari campi di esperienza e le attività d’insegnamento offrono occasioni per lo sviluppo integrale della personalità dei bambini, promuovendo la riflessione sul loro patrimonio di esperienze e contribuendo a rispondere al bisogno di significato di cui sono portatori.
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6.2 Curricolo e competenze nel primo ciclo d’istruzione
Come evidenziano le Indicazioni nazionali 2012, “compito specifico del primo ciclo è quello di promuovere l’alfabetizzazione di base attraverso l’acquisizione dei linguaggi e dei codici che costituiscono la struttura della nostra cultura, in un orizzonte allargato alle altre culture con cui conviviamo e all’uso consapevole dei nuovi media. Si tratta di una alfabetizzazione culturale e sociale che include quella strumentale, da sempre sintetizzata nel «leggere, scrivere e far di conto» e la potenzia attraverso i linguaggi e i saperi delle varie discipline … in particolare la scuola del primo ciclo, con la sua unitarietà e progressiva articolazione disciplinare, intende favorire l’orientamento verso gli studi successivi mediante esperienze didattiche non ripiegate su se stesse ma aperte e stimolanti, finalizzate a suscitare la curiosità dell’alunno e a fargli mettere alla prova le proprie capacità”. Vediamo allora in che modo ciascuna disciplina potrebbe offrire un contributo specifico allo sviluppo delle competenze previste nel profilo dello studente al termine del primo ciclo d’istruzione: Discipline
Contributo specifico allo sviluppo delle competenze previste nel profilo dello studente al termine del PRIMO CICLO d’istruzione
Italiano
Lo sviluppo di competenze linguistiche ampie e sicure è una condizione indispensabile per la crescita della persona e per l’esercizio pieno della cittadinanza, per l’accesso critico a tutti gli ambiti culturali e per il successo scolastico. È oggetto di specifiche attenzioni da parte di tutti i docenti.
Lingua inglese e seconda lingua comunitaria
L’apprendimento della lingua inglese e di una seconda lingua comunitaria permette all’alunno di sviluppare una competenza plurilingue e pluriculturale e di acquisire i primi strumenti utili ad esercitare la cittadinanza attiva nel contesto in cui vive, anche oltre i confini del territorio nazionale.
Storia
Rafforza la possibilità di confronto e dialogo intorno alla complessità del passato e del presente fra le diverse componenti di una società multiculturale. Si apre all’utilizzo di metodi, conoscenze, visioni, concettualizzazioni di altre discipline. Gli insegnanti, mettendo a profitto tale peculiarità, potenziano gli intrecci disciplinari suggeriti dai temi proposti agli alunni.
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Geografia
Matematica
Scienze
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È disciplina “di cerniera” per eccellenza poiché consente di mettere in relazione temi economici, giuridici, antropologici, scientifici e ambientali di rilevante importanza per ciascuno di noi. Contribuisce a formare persone autonome e critiche, in grado di assumere decisioni responsabili nella tutela dell’ambiente, con un consapevole sguardo al futuro. Di estrema importanza è lo sviluppo di un’adeguata visione della matematica, non ridotta a un insieme di regole da memorizzare e applicare, ma riconosciuta e apprezzata come contesto per affrontare e porsi problemi significativi e per esplorare e percepire relazioni e strutture che si ritrovano e ricorrono in natura e nelle creazioni dell’uomo.
La ricerca sperimentale, individuale e di gruppo, rafforza nei ragazzi la fiducia nelle proprie capacità di pensiero, la disponibilità a dare e ricevere aiuto, l’imparare dagli errori propri e altrui, l’apertura ad opinioni diverse e la capacità di argomentare le proprie.
Musica
L’apprendimento della musica esplica specifiche funzioni formative, tra loro interdipendenti. Gli alunni esercitano la capacità di rappresentazione simbolica della realtà, sviluppano un pensiero flessibile, intuitivo, creativo e partecipano al patrimonio di diverse culture musicali, colgono significati e valori della comunità cui fanno riferimento.
Arte e immagine
Ha la finalità di sviluppare e potenziare nell’alunno le capacità di esprimersi e comunicare in modo creativo e personale, di osservare per leggere e comprendere le immagini e le diverse creazioni artistiche, di acquisire una personale sensibilità estetica e un atteggiamento di consapevole attenzione verso il patrimonio artistico.
Educazione fisica
Promuove la conoscenza di sé e delle proprie potenzialità nella costante relazione con l’ambiente, gli altri, gli oggetti. In particolare, lo “stare bene con se stessi” richiama l’esigenza che il curricolo preveda esperienze tese a consolidare stili di vita corretti e salutari. È l’occasione per promuovere esperienze cognitive, sociali, culturali e affettive.
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Tecnologia
È necessario sviluppare un atteggiamento critico e una maggiore consapevolezza rispetto agli effetti sociali e culturali della diffusione delle tecnologie, alle conseguenze relazionali e psicologiche dei possibili modi d’impiego, alle ricadute di tipo ambientale e sanitario, compito educativo cruciale che andrà condiviso tra le diverse discipline.
Religione cattolica
Il confronto esplicito con la dimensione religiosa dell’esperienza umana svolge un ruolo insostituibile per la piena formazione della persona. Contribuisce alla formazione di persone capaci di dialogo e di rispetto delle differenze, di comportamenti di reciproca comprensione, in un contesto di pluralismo culturale e religioso.
6.3 Curricolo, discipline e competenze trasversali
Le Indicazioni nazionali 2012 evidenziano che “le competenze sviluppate nell’ambito delle singole discipline concorrono a loro volta alla promozione di competenze più ampie e trasversali, che rappresentano una condizione essenziale per la piena realizzazione personale e per la partecipazione attiva alla vita sociale, orientate ai valori della convivenza civile e del bene comune”. Pertanto, nell’elaborazione del curricolo verticale occorre ricercare fra i traguardi per lo sviluppo delle competenze - al termine della scuola primaria e secondaria di primo grado - gli aspetti che concorrono all’acquisizione delle competenze di tipo trasversale. Vediamo, anche in questo caso, alcune esemplificazioni: Competenze trasversali
Discipline nella SCUOLA PRIMARIA
Italiano
- Legge e comprende testi di vario tipo, ne individua il senso globale e le informazioni principali, utilizzando strategie di lettura adeguate agli scopi. - Utilizza abilità funzionali allo studio: individua nei testi scritti informazioni utili per l’apprendimento di un argomento dato e le mette in relazione; le sintetizza, in funzione anche dell’esposizione orale; acquisisce un primo nucleo di terminologia specifica.
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Italiano
- Scrive testi corretti nell’ortografia, chiari e coerenti, legati all’esperienza e alle diverse occasioni di scrittura che la scuola offre; rielabora testi parafrasandoli, completandoli, trasformandoli. - Capisce e utilizza nell’uso orale e scritto i vocaboli fondamentali e quelli di alto uso; capisce e utilizza i più frequenti termini specifici legati alle discipline di studio.
Storia
Organizza le informazioni e le conoscenze, tematizzando e usando le concettualizzazioni pertinenti.
Matematica
- Ricerca dati per ricavare informazioni e costruisce rappresentazioni (tabelle e grafici). Ricava informazioni anche da dati rappresentati in tabelle e grafici. - Costruisce ragionamenti formulando ipotesi, sostenendo le proprie idee e confrontandosi con il punto di vista di altri.
Scienze
- L’alunno sviluppa atteggiamenti di curiosità e modi di guardare il mondo che lo stimolano a cercare spiegazioni di quello che vede succedere. - Individua nei fenomeni somiglianze e differenze, fa misurazioni, registra dati significativi, identifica relazioni spazio/temporali. - Trova da varie fonti (libri, internet, discorsi degli adulti, ecc.) informazioni e spiegazioni sui problemi che lo interessano.
Musica
Improvvisa liberamente e in modo creativo, imparando gradualmente a dominare tecniche e materiali, suoni e silenzi.
Arte e immagine
È in grado di osservare, esplorare, descrivere e leggere immagini (opere d’arte, fotografie, manifesti, fumetti, ecc.) e messaggi multimediali (spot, brevi filmati, videoclip, ecc.).
Educazione fisica
- Utilizza il linguaggio corporeo e motorio per comunicare ed esprimere i propri stati d’animo, anche attraverso la drammatizzazione e le esperienze ritmicomusicali e coreutiche. - Agisce rispettando i criteri base di sicurezza per sé e
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Educazione fisica
per gli altri, sia nel movimento che nell’uso degli attrezzi e trasferisce tale competenza nell’ambiente scolastico ed extrascolastico. - Riconosce alcuni essenziali principi relativi al proprio benessere psico-fisico legati alla cura del proprio corpo, a un corretto regime alimentare e alla prevenzione dell’uso di sostanze che inducono dipendenza.
Tecnologia
- Sa ricavare informazioni utili su proprietà e caratteristiche di beni o servizi leggendo etichette, volantini o altra documentazione tecnica e commerciale. - Si orienta tra i diversi mezzi di comunicazione ed è in grado di farne un uso adeguato a seconda delle diverse situazioni.
Discipline nella SCUOLA SECONDARIA di PRIMO GRADO
Competenze trasversali
Italiano
- Produce testi multimediali, utilizzando in modo efficace l’accostamento dei linguaggi verbali con quelli iconici e sonori. - Riconosce e usa termini specialistici in base ai campi di discorso.
Lingua inglese
Autovaluta le competenze acquisite ed è consapevole del proprio modo di apprendere.
Matematica
Sostiene le proprie convinzioni, portando esempi e controesempi adeguati e utilizzando concatenazioni di affermazioni; accetta di cambiare opinione riconoscendo le conseguenze logiche di una argomentazione corretta.
Educazione fisica
È capace di integrarsi nel gruppo, di assumersi responsabilità e di impegnarsi per il bene comune.
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Naturalmente l’attenzione prestata alle competenze di tipo trasversale fa sì che la costruzione del curricolo si inserisca in un continuum che approda alle competenze dell’Obbligo di istruzione, che rappresentano una meta irrinunciabile verso cui tendono la scuola dell’infanzia e il primo ciclo, nell’intento di assicurare un efficace raccordo pedagogico, curricolare ed organizzativo tra campi di esperienza, discipline e assi culturali.
7. Quali ambienti di apprendimento per la costruzione delle competenze?
Nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione è fondamentale allestire ambienti di apprendimento - funzionali alle esigenze di un curricolo verticale per competenze - allo scopo di: a) valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni; b) attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità; c) favorire l’esplorazione e la scoperta; d) incoraggiare l’apprendimento collaborativo; e) promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere; f) realizzare attività didattiche in forma di laboratorio. Vediamo alcune esemplificazioni desunte dalle Indicazioni nazionali 2012: Discipline
Italiano
Storia
Geografia
Matematica
Ambienti di apprendimento funzionali al curricolo verticale per competenze
Predisporre ambienti sociali di apprendimento idonei al dialogo, all’interazione, alla ricerca e alla costruzione di significati, alla condivisione di conoscenze, al riconoscimento di punti di vista e alla loro negoziazione.
I libri, le attività laboratoriali, in classe e fuori della classe, e l’utilizzazione dei molti media oggi disponibili, ampliano, strutturano e consolidano questa dimensione di apprendimento.
Il primo incontro con la disciplina avviene attraverso un approccio attivo all’ambiente circostante, attraverso un’esplorazione diretta.
È elemento fondamentale il laboratorio, in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le conseguenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati, negozia e costruisce significati, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzione delle conoscenze.
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Scienze
L’osservazione dei fatti e lo spirito di ricerca dovrebbero caratterizzare anche un efficace insegnamento delle scienze e dovrebbero essere attuati attraverso un coinvolgimento diretto degli alunni, incoraggiandoli a porre domande sui fenomeni e le cose, a progettare esperimenti/esplorazioni.
Arte e immagine
Con l’educazione all’arte e all’immagine, caratterizzata da un approccio di tipo laboratoriale, l’alunno sviluppa le capacità di osservare e descrivere, di leggere e comprendere criticamente le opere d’arte.
8. Aspetti qualificanti del curricolo per competenze
Nell’elaborazione e realizzazione del curricolo verticale per competenze è importante che i docenti di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado condividano la “tensione positiva a coltivarsi”, soprattutto attraverso il lavoro cooperativo tra colleghi, lo studio, la ricerca e la formazione in servizio, la produzione di buone pratiche per favorire la crescita di una comunità professionale costantemente orientata all’innovazione, alla riflessione e alla condivisione. In tale contesto, è fondamentale che i dirigenti scolastici orientino i docenti a concentrarsi su alcuni aspetti di qualità, che si rivelano determinanti per un curricolo realmente rispondente ai bisogni formativi degli alunni: 1. personalizzazione dell’apprendimento: rappresenta la condizione irrinunciabile per garantire il successo formativo di tutti e di ciascuno;10 2. inclusione e bisogni educativi speciali: i docenti hanno la funzione di riconoscere i bisogni educativi speciali e di valorizzare l’inclusione come “sfondo integratore” del curricolo, poiché ciascuno studente è una persona unica e irripetibile;11
Per un inquadramento sistematico dei fondamenti psicopedagogici e didattici della personalizzazione e dell’individualizzazione si rinvia a: BALDACCI M., Una scuola a misura di alunno. Qualità dell’istruzione e successo formativo, UTET, Torino, 2002 e a CERI-OCSE, Personalizzare l’insegnamento, Il Mulino, Bologna,2006. 11 Direttiva ministeriale “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” - 27 dicembre 2012. 10
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3. valutazione degli apprendimenti: offre supporto agli studenti, affinché diventino protagonisti attivi e responsabili del proprio successo formativo;12 4. corresponsabilità educativa scuola-famiglia: assicura un contributo insostituibile alla piena realizzazione del piano dell’offerta formativa e del curricolo;13 5. orientamento: permea il processo educativo sin dalla scuola dell’infanzia, al fine di aiutare ciascuno studente a costruire un personale progetto di vita.14
9. Osservazioni conclusive
“Una buona scuola per i bambini e i ragazzi dai 3 ai 14 anni è una priorità per il futuro delle giovani generazioni e per l’avvenire del Paese. La scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado offrono un fondamentale contributo alla crescita umana e civile di ciascun allievo”:15 per questa ragione, la progettazione del curricolo verticale per competenze comporta la capacità di ascoltare, incoraggiare e guidare gli allievi verso il successo formativo e l’esercizio di una cittadinanza inclusiva per una società più giusta e più umana. Come ci ricorda E.Morin, “civilizzare e solidarizzare la Terra, trasformare la specie umana in vera umanità diventano l’obiettivo fondamentale e globale di ogni educazione che aspiri non solo a un progresso, ma alla sopravvivenza dell’umanità”.16
Per una ricca e documentata esplorazione delle potenzialità della valutazione come risorsa per il successo degli apprendimenti si fa riferimento a: WEEDEN P., WINTER J. E BROADFOOT P., Valutazione per l’apprendimento nella scuola. Strategie per incrementare la qualità dell’offerta formativa, Erickson, Trento, 2009. 13 MIUR Linee di indirizzo “Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa” - 22 novembre 2012. 14 MIUR “Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita” - C.M. n. 43 del 15 aprile 2009. 15 Rif. Atto di indirizzo (MIUR) - 8 settembre 2009. 16 MORIN E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano, 2001, p. 80. 12
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RICERCHE
I FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE E LA SHOAH MARIO CHIARAPINI Direttore "Lasalliani in Italia"
SOMMARIO: 1. Le leggi razziali in Italia. - 2. La solidarietà dei Fratelli delle Scuole Cristiane. - 3. Presso il Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode. - 4. Presso l’Istituto Angelo Mai. - 5. Situazioni precarie e rischiose. - 6. Conclusioni.
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1. Le leggi razziali in Italia
na pagina eroica mai raccontata. Nel 70° anniversario della Shoah (1943-2013) cogliamo l’occasione, per sottolineare come i Fratelli delle Scuole Cristiane, spinti da sentimenti di cristiana solidarietà, si siano mobilitati per salvare quante più persone hanno potuto nelle loro scuole di Roma. Erano clandestini, braccati dai nazifascisti; se catturati, deportati nei campi di sterminio. Si trattava degli ebrei che, insieme ad altre minoranze, venivano internati perché indesiderati. Le leggi razziali non li consideravano persone, quindi li defraudavano anche del diritto di esistere. Dovevano semplicemente scomparire. E il nazismo riuscì a inventarsi la Shoah1 e i raccapriccianti orrori dell’Olocausto. Le leggi dell’infamia, così sono state definite, furono emanate in Italia tra il 5 Settembre 1938 e il 29 Giugno 1939 e ricalcavano essenzialmente quelle promulgate in Germania. Il primo documento ufficiale da cui sono scaturite è stato il Manifesto sulla purezza della razza, pubblicato il 14 Luglio 1938. Gli ebrei, a causa di queste leggi, erano addirittura costretti ad autodenunciarsi e, con l’identificazione della “razza”, scritto sull’atto di nascita e stampigliato su tutti i documenti, venivano licenziati dai pubblici impieghi, dagli albi professionali, privati della tessera annonaria e di ogni altro diritto. 1
È un termine ebraico che significa annientamento, sterminio.
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Mario Chiarapini
Si è potuto calcolare che, durante gli anni della Seconda guerra mondiale, gli Ebrei presenti a Roma fossero tantissimi: se ne contavano tra i 10.000 e i 12.000, residenti o giunti come rifugiati, evasi da altre parti del Vecchio Continente, dove era iniziata da tempo la loro persecuzione. Il 16 ottobre del 1943, ebbe inizio il rastrellamento nel Ghetto di Roma. Il colonnello delle SS2 Herbert Kappler e il capitano Theodor Dannecker, a capo della brigata Einsatzgruppen, diedero il via all’operazione, arrestando in un primo momento 1259 persone. Qualcuno ha calcolato che, su 32300 ebrei residenti nell’Italia occupata dai tedeschi, gli arrestati sarebbero stati circa 8 mila, mentre 23500 sarebbero rimasti “indenni”. In Italia, la percentuale dei sopravvissuti fu molto alta, rispetto ad altri paesi, grazie alla grande solidarietà che i perseguitati trovarono nella popolazione. L’avviso dattiloscritto che le SS diffusero nella Capitale era esplicito: “Portare con sé viveri per almeno otto giorni; ammalati, anche casi gravissimi non possono, per nessun motivo, rimanere indietro; la famiglia deve essere pronta per la partenza 20 minuti dopo la presentazione di questo biglietto”. Poi si sa come andava a finire: una prima tappa nel Campo di Fossoli e da lì ad Auschwitz o in altri campi di sterminio. Gli ebrei che riuscirono a sfuggire alle incursioni delle SS cercarono di salvarsi come meglio poterono: alcuni in casa di amici, altri alla macchia, altri ancora nei conventi e in case religiose. A Roma, tra i religiosi vi fu una vera e propria gara di solidarietà. La clandestinità durò diversi mesi; in alcuni casi, un anno intero. Il rischio di essere scoperti, anche a causa di qualche spiata, era all’ordine del giorno. Al numero 155 di via Tasso, tra viale Manzoni e San Giovanni in Laterano, c’era la sede del Comando della polizia tedesca, dove alcuni vani, debitamente trasformati e adibiti a celle di detenzione e a luogo di tortura fisica e psicologica,3 testimoniano la ferocia prodigata dai nazisti per estorcere delle confessioni.
2. La solidarietà dei Fratelli delle Scuole Cristiane
A Roma, il periodo cruciale si ebbe tra il 1943 e il 1944. In questo lasso di tempo, tanti istituti religiosi maschili e femminili, mossi da senso cristiaSS ovvero Schutz Staffeln (reparti di protezione) organizzati e comandati da H. Himmler. Il loro motto era “Il mio onore si chiama fedeltà” (in tedesco: “Meine Ehre heißt Treue”). L’emblema simbolo delle SS era il Totenkopf (testa di morto), formato da un teschio e da ossa incrociate, che intendeva esprimere un messaggio ben preciso: dire al nemico che non avevano paura della morte e allo stesso tempo premonirgli la sorte che lo attendeva. 3 Ora l’edificio è stato adibito a Museo storico della Liberazione. 2
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no e umanitario, si mobilitarono per dare un rifugio sicuro agli ebrei perseguitati. Un calcolo approssimativo per difetto ne ha stimati circa 4500, anche perché negli archivi delle varie case religiose, si evitava di lasciare tracce e documenti scritti che sarebbero potuti risultare compromettenti. Però, passato il pericolo, sono rimaste la gratitudine e le tante testimonianze scritte e orali di coloro che furono salvati. Si può comunque immaginare come abbiano potuto vivere quei tragici mesi non solo gli ebrei ma anche i religiosi e le autorità ecclesiastiche che approvavano e sostenevano il loro operato. In un elenco, redatto dallo storico Renzo De Felice, riportato nel volume “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo”, edito da Mondadori, Milano, 1977, si parla di ben 155 istituzioni ecclesiastiche che a Roma accolsero degli ebrei. In esso, figurano 100 istituti religiosi femminili, 35 maschili e alcuni collegi e parrocchie. Al primo posto, tra gli istituti maschili, il noto storico ricorda i Fratelli delle Scuole Cristiane che avrebbero salvato un centinaio di ebrei, in particolare presso l’Istituto Angelo Mai di Via degli Zingari, nel rione Monti, e presso il Collegio San Giuseppe di Piazza di Spagna. I dati a disposizione dello storico, però, per le ragioni sopraccennate, non sono del tutto esatti. Negli anni successivi, si è avuta la possibilità di portare alla luce le testimonianze dirette dei protagonisti, che hanno permesso di arricchire i dati da lui forniti. L’intento del presente lavoro è quello di rivelare, dopo anni di silenzio a causa della discrezione che ha sempre caratterizzato l’operato della Congregazione del La Salle, la solidarietà offerta dai Fratelli delle Scuole Cristiane delle varie istituzioni romane agli ebrei e a quanti durante la seconda guerra mondiale si trovarono in pericolo di vita: renitenti alla leva, ricercati politici, membri della resistenza; sarebbe comunque, anche molto interessante svolgere un’analoga ricerca nel resto dell’Italia e nelle ex-colonie, dove erano presenti alcune scuole lasalliane. Ho scartabellato nei vari archivi e intervistato, dove ho potuto, i protagonisti e i testimoni diretti di quel periodo storico. Con un conteggio generico, posso affermare che nelle varie scuole dei Fratelli, solo a Roma, siano state salvate più di centocinquanta persone. Sono assai significativi ed eloquenti, per esempio, l’apprezzamento unanime che la comunità israelitica romana testimoniò in Campidoglio per l’opera di soccorso prestata dai Fratelli a rischio della loro vita; l’iniziativa di una colletta con la quale fu acquistato un bellissimo organo a canne per la Cappella dell’Istituto Angelo Mai; nonché le ripetute visite annuali, fino al giorno d’oggi, di alcuni ebrei nei luoghi che li avevano visti rifugiati, con la speranza ogni volta di trovare ancora in vita i loro benefattori.
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3. Presso il Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode
L’ospitalità non veniva negata a nessuno: uomini, donne (subito indirizzate in conventi femminili), ragazzi. Agli uomini veniva spesso fatto indossare l’abito religioso, mentre con i ragazzi la soluzione risultava più semplice, in quanto venivano inseriti a scuola come alunni. Così successe al ragazzo David Limentani, 13 anni, che, accompagnato al Collegio San Giuseppe Istituto De Merode da un conoscente, fu accolto inizialmente da Fratel Tarcisio (Tullio Felici), incaricato dei camerieri e della sacrestia, che, per la confusione fatta dal portiere Vincenzo, in un primo momento, condusse il ragazzo nelle cucine, essendo stato scambiato per un garzone, poi chiarito l’equivoco, fu inserito come convittore nella classe del 1° liceo scientifico, con il falso nome di Fabio Marucco, figlio di una improbabile donna piemontese. Il rifugio al Collegio di Piazza di Spagna per il giovane Limentani durò fino all’arrivo a Roma degli Americani (4 giugno 1944). La Storia della Casa4 del 1942/43, consultabile nell’archivio di Piazza di Spagna, nel riportare le statistiche degli alunni (874), di cui 551 del Collegio San Giuseppe e 323 dell’Istituto De Merode, dei quali 144 convittori, con molta discrezione, per i sopraccennati motivi di sicurezza, in forma assai laconica, riferisce testualmente: “I convittori di famiglie fuori di Roma non sono potuti ritornare ed in parte sono stati sostituiti da alcuni alunni appartenenti a famiglie che la nequizia dei tempi ha obbligato a nascondersi. Sono anche diminuiti di numero gli alunni degli ultimi due anni del De Merode che hanno raggiunto l’età del servizio militare. Nulla da segnalare al di fuori degli eventi dell’ultimo periodo dell’anno scolastico che hanno aggravato la situazione dello stato di guerra”. A tutti i rifugiati era raccomandata la massima prudenza per non destare alcun sospetto: evitare di uscire in strada, non affacciarsi alle finestre e ai balconi e, in caso di controlli, recitare bene la propria parte nel ruolo assunto o come religiosi o come studenti. E così lo svolgimento di alcune pratiche e tradizioni religiose tipicamente cattoliche non avrebbero dovuto risultare un impedimento, quali la preparazione del presepe nel periodo natalizio e il canto della Novena o, addirittura, l’accostarsi al confessionale, magari per ricevere dal cappellano, Mons. Dino Staffa,5 senza essere disturbati o destare sospetti, notizie riguardanti le rispettive famiglie. Tra gli stessi collegiali ebrei si evitava di parlare e di rivelarsi per evitare, nel caso in cui qualcuno fosse stato scoperto, di coinvolgere anche altri. È il libro di cronache che ogni comunità religiosa è chiamata a redigere. Dino Staffa (1906-1977) cappellano nel Collegio San Giuseppe - Ist. De Merode, vescovo nel 1960, elevato a cardinale da Paolo VI nel 1967.
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Tra gli ospiti della comunità dell’Istituto De Merode, vi fu anche il redattore capo del quotidiano Il Messaggero, Renato Terracina immortalato in una foto con l’abito religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Per gli adulti, oltre all’espediente di mimetizzarli con gli abiti religiosi, venivano trovati locali adatti, che permettessero di nasconderli in caso di ispezioni. Nello stesso collegio San Giuseppe - Istituto De Merode, ricorda Dennis Walters6 nel suo libro “Not always with the pack”, i Fratelli, che affettuosamente definisce “una banda eccezionale”, avevano dato rifugio a lui, cui fu assegnato il nome di Mario Cambi e inserito tra gli alunni; al padre, che prese il falso nome di Aldo Danieli, fatto risultare come suo zio e introdotto come insegnante, facendogli indossare l’abito religioso; e a un’altra quarantina di persone (ebrei, ufficiali antifascisti, jugoslavi e monarchici legati al colonnello Giuseppe di Montezemolo, che in seguito fu ucciso alle Fosse Ardeatine…). Per proteggere questi ospiti clandestini da eventuali retate, i Fratelli avevano predisposto, nella cantina, racconta Dennis Walters, un “dispositivo che faceva ruotare una parte del muro, dietro il quale c’era una stanza umida, fredda, buia e piena di muffa. La parete tornava al suo posto e nessuno avrebbe potuto notare la differenza”.
4. Presso l’Istituto Angelo Mai
All’istituto Angelo Mai, situato tra via degli Zingari e via Clementina, la comunità, composta di sette Fratelli, aveva come direttore Fratel Romualdo (Luigi Antinelli). Nella Storia della Casa dell’anno scolastico 1943/44, si legge: “L’istituto ha aperto le porte a un centinaio di rifugiati: ebrei, giovani italiani di leva militare tagliati fuori dal sud con il fronte di Cassino, universitari e ufficiali, perché non cadessero in mano ai tedeschi. La comunità ha provveduto al mantenimento attraverso l’indefessa e rischiosa opera di Fratel Pietro Eusepi e Fratel Roberto Boccacci. L’O.N.A.R.M.O.7 contribuiva per una cinquantina di minestre per la popola-
Dennis Walters, nato nel 1928, da madre italiana (Clara Pomello) e padre inglese (Douglas Walters), appena scoppiò la guerra venne internato con tutta la famiglia vicino Firenze perché “di nazionalità nemica”. Dopo l’armistizio del ’43, a quindici anni, prese contatto con i gappisti (GAP = Gruppi di azione patriottica). Ospite clandestino al Collegio San Giuseppe - Ist. De Merode come finto alunno, in bicicletta portava messaggi tra le varie cellule della Resistenza e traduceva in inglese i testi dei piani per un’insurrezione a Roma e destinati agli anglo-americani. Con la Liberazione fu lui a guidare gli Alleati in via Tasso. In seguito, è diventato politico conservatore, stretto collaboratore della Thatcher e deputato al Parlamento inglese. Il presidente Napolitano, il 12 novembre 2012, lo ha insignito “Grande Ufficiale al Merito della Repubblica”. Cfr. anche Time Out, aprile-maggio, 2013. 7 Opera Nazionale di Assistenza Religiosa e Morale degli Operai, organizzazione di assistenza religiosa, sociale, sanitaria ed economica degli operai, fondata nel 1926, sotto il patrocinio della S. Congregazione Concistoriale. Provvedeva tra l’altro anche alle mense popolari. 6
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zione dietro relativi bollini delle tessere annonarie. Il pericolo e il rischio era continuo per un eventuale e improvviso controllo da parte tedesca, specialmente dopo che una lettera anonima aveva rivelato la presenza di rifugiati nell’istituto, secondo una comunicazione più che riservata di un ufficiale tedesco profondamente cattolico”. In realtà, l’ufficiale tedesco “profondamente cattolico” era il cappellano austriaco delle truppe tedesche che avvertì Fratel Pietro Eusepi della delazione giunta agli ufficiali delle SS e del pericolo imminente, invitandolo a lasciare Roma. Il Fratello rimase al suo posto, per fortuna, senza alcuna conseguenza. Un’altra testimonianza sull’accoglienza offerta dalla comunità religiosa dell’Istituto Angelo Mai riferisce che, durante gli anni dell’occupazione tedesca, “un centinaio di rifugiati tra ebrei, giovani di leva e ufficiali, trovano protezione nell’Istituto, munito di grandi sotterranei risalenti ad epoca romana, come farebbero supporre tracce di pavimenti a mosaico dell’epoca. Comunque le ispezioni tedesche, provocate anche da delazioni e denunce anonime, non ebbero fortunatamente alcun risultato e l’Istituto, diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane, per la sua opera di assistenza ricevette dal rabbino di Roma uno speciale attestato di riconoscenza”.8 Gli indesiderati blitz dei militari delle SS venivano resi inoffensivi, grazie a una persona di guardia che, da una torretta d’avvistamento, aveva la possibilità di controllare l’ingresso di Via degli Zingari e quello di via Clementina, dove dallo stanzino del portiere un’altra persona a turno era pronta a dare l’allarme. Appena si sentiva il suono di una campanella, che veniva azionata con un lungo filo e che poteva essere avvertita solo all’interno dell’Istituto, cento clandestini si radunavano velocemente nella Cappella e, attraverso una botola del pavimento adiacente alla balaustra dell’abside, si calavano negli ampi sotterranei della Chiesa i cui accessi esterni erano stati murati e ricoperti da abbondante vegetazione. Vittorio Anticoli, un ultraottantenne con la verve di un uomo di mezza età, da ragazzo di dodici - tredici anni, fu uno degli ebrei rifugiati all’Angelo Mai insieme al padre, a uno zio e a un cugino (Vittorio Emanuele Schunnach), quest’ultimo già presente in Istituto perché alunno regolare della scuola. Nell’interessante incontro che ho avuto con lui, mi ha espresso tutta la sua infinita gratitudine per i Fratelli che ha conosciuto (al primo posto, Fratel Pietro Eusepi, che vorrebbe subito inserito tra i Giusti delle nazioni, Fratel Roberto Boccacci, Fratel Odoardo Toracca) e che definisce semplicemente eccezionali, con i quali, lui e tutti gli altri hanno formato per alcuni mesi una vera famiglia, dove si condivideva ogni cosa. “Se io sono qui, vivo, ripete più volte quasi fosse un refrain, lo devo a loro”. MANLIO BARBERITO, Ritorno all’Angelo Mai, estratto da “Strenna dei romanisti”, 18 aprile 1996. 8
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Tanti i ricordi che si affollano alla mente del signor Vittorio Anticoli: in quei mesi, tutta la vita si svolgeva all’interno dell’Istituto e guai a tirar fuori la testa, “si poteva mettere a rischio la vita propria e quella degli altri”; e poi, la presenza in una stanza inaccessibile di un importante Monsignore (che però mica era un prete. . . era un grosso politico, non so di quale partito, rifugiato pure lui); il pane che sapeva di petrolio, il giorno in cui la farina aveva viaggiato vicino ad alcune taniche di nafta (ma era bono, perché la fame era tanta e lo mangiavano anche i Fratelli. . .); i grossi barattoli di tonno che la comunità dei religiosi divideva con noi rifugiati; la processione in onore della Madonna per la chiusura del mese di maggio nel grande cortile dove sfilavano tutti, ebrei e cristiani. . . e dove rivedo ancora mio padre con la sua bella barba bianca, dietro la statua della Madonna; gli scherzi con gli altri rifugiati nel sottotetto dell’Istituto; la gioia per l’arrivo degli americani e Fratel Pietro che prese per mano me e mio cugino per andare in via Nazionale a salutare il loro passaggio, dove ricevetti una stecca di cioccolata e una chewing gum che non sapevo cos’era. . . ecc.
5. Situazioni precarie e rischiose
Le delazioni erano piuttosto frequenti e qualcuna riguardava anche gli istituti dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Ma la provvidenza volle che il direttore del Collegio San Giuseppe, Fratel Sigismondo (Ugo Barbano), si fosse conquistata la simpatia e forse la benevolenza del generale Rainer Stahel e, molto probabilmente, anche del console Friedrick Moellhausen, cattolico (cfr. nota 9); così, fu abbastanza facile evitare tragiche conseguenze. Addirittura, quando un alunno fu arrestato, durante una retata, pur possedendo il permesso bilingue di circolazione, fu poi rilasciato. C’è anche da dire che l’ispettore del De Merode, Fratel Leonida (Ralli Floriano), non si sa come, era sempre informato sulle possibili perquisizioni e metteva tutti sul chi vive. In questa tragica quanto precaria situazione, accadde anche che, nelle varie comunità romane, si verificasse un aumento improvviso di religiosi, ma ciò viene spiegato in modo plausibile in una pagina delle cronache comunitarie del Collegio San Giuseppe - De Merode dell’anno 1943: “L’aumento del numero dei Fratelli è dovuto alle vicende militari che non hanno permesso a un certo numero di Fratelli delle Comunità di Catania, Acireale e Napoli, presenti in Roma per ragione di studio, di ritornare nelle rispettive Comunità. I loro servizi, tanto apprezzati, hanno permesso al Collegio di diminuire il numero dei professori secolari”. Una comunità, dunque, molto numerosa, che permise di inserire, senza dare troppo nell’occhio, alcuni personaggi (ufficiali, politici, partigiani) rivestiti dell’abito religioso. Nell’anno 1943/44 nella stessa Storia della Casa, sempre in modo molto conciso, viene precisato che “l’anno 1943 si è chiuso bene, nonostante le numerose difficoltà cagionate dopo l’armistizio dall’occupazione tedesca. I nostri alunni più
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grandi hanno dovuto nascondersi per sottrarsi alle ricerche delle autorità tedesche, perciò le classi più alte hanno sofferto per una certa irregolarità nella frequenza dei corsi. Alla fine di dicembre, il Collegio riceve la visita della polizia fascista e alcuni giorni dopo subisce una perquisizione provocata da alcune denunce malevole, ma senza alcun risultato, per fortuna. Una quarantina di uomini e di giovani, in maggior parte ex Alunni, venuti a cercare un rifugio in casa nostra sono rimasti nostri ospiti fino all’entrata in Roma degli Alleati”. È interessante sottolineare come i rifugiati vengano fatti passare per ex-alunni e che il rifugio abbia avuto termine con l’arrivo degli Alleati e la liberazione di Roma dai nazi-fascisti. Un grosso problema era trovare cibo per tutti quegli ospiti (allora era in vigore il tesseramento). Non era il caso di suscitare sospetti con l’aumento improvviso degli acquisti, ma grazie a Dio, ogni Istituto religioso poteva contare sulle proprie conoscenze e, in una certa misura, anche sugli aiuti del Vaticano, per esempio, tramite l’O.N.A.R.M.O. Al Collegio San Giuseppe Ist. De Merode, c’era Fratel Vilberto (Giovanni Barbati) che con un camioncino, come ha testimoniato il dott. Pellegrini in un suo memoriale conservato nell’archivio di Piazza di Spagna, appena aveva la possibilità, “partiva per la provincia abruzzese, dove, grazie a compiacenti paesani, riempiva le valigie, tornando alla base stanco e affaticato dal pesante fardello di vettovaglie, che, almeno temporaneamente rinforzavano la mensa”. E lo stesso dottore, alunno del 2° liceo classico e convittore regolare del Collegio, ricorda che “il Collegio San Giuseppe con generosa quanto rischiosa ospitalità, accoglieva e nascondeva tra i Fratelli della comunità, numerosi ufficiali dell’esercito italiano in fuga dai vari reparti, ed un cospicuo gruppo di israelitici romani sfuggiti alla persecuzione”. Sulle porte d’ingresso di tutti gli istituti religiosi, su consiglio delle autorità ecclesiastiche, venne affisso un Avviso, in italiano e in tedesco, in cui si dichiarava che l’edificio in questione era alle dipendenze della Città del Vaticano e, di conseguenza, non poteva essere oggetto di perquisizioni o requisizioni di qualsiasi genere. L’Avviso, redatto sicuramente con un previo accordo tra il Vaticano e le autorità tedesche (portava la firma del generale Rainer Stahel,9 comandante delle forze tedesche a Roma), ebbe un certo valoIl generale Rainer Stahel e il Console tedesco Eitel Friedrick Moellhausen, appena vennero a conoscenza del dispaccio segretissimo in cui Himmler ordinava l’arresto di tutti gli ebrei presenti a Roma, perché venissero trasferiti in Germania ed essere liquidati, si opposero in maniera dura. Stahel disse che non avrebbe mai partecipato a una simile “Schweinerei” (porcheria). Moellhausen era un cattolico osservante e considerava la deportazione degli ebrei inutile e inumana e per convincere Albert Kesselring sollevò questioni riguardanti l’inopportunità politica e militare della deportazione. Stahel pagò di persona per l’opposizione alla deportazione degli ebrei: due settimane dopo fu deposto e per punizione inviato sul fronte russo da dove non tornò. 9
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re fino all’avvento delle SS. In seguito, una circolare della Segreteria di Stato del Vaticano, in data 25 ottobre 1943, invitava a togliere detto avviso dal portone esterno per non dare sull’occhio, ma di conservarlo comunque all’interno, per ogni evenienza. Uno dei fatti più tragici, ricordati dal dottor David Limentani, fu quello del 23 marzo 1944, giorno dell’attentato di via Rasella.10 All’oscuro di quanto era successo o che stava succedendo, l’attentato avvenne tra le ore 15 e le 16, Fratel Adelin (Boeghin Camille), aveva deciso quel pomeriggio di portare alcuni suoi alunni a fare una passeggiata per Roma. ”Figurati, racconta Limentani, io non stavo in me dalla gioia; non uscivo mai! Non mi sembrava vero! Arrivati a Piazza Barberini, sentimmo dei mitra sparare e, ignari di quanto era accaduto, ci rifugiammo in un portone. Venimmo presto scoperti dai militari delle SS che stavano già rastrellando le future vittime delle Fosse Ardeatine e fummo condotti in sei al Collegio militare di Via della Lungara. Per fortuna, Fratel Adelin, oltre a essere un alsaziano, aveva militato da ufficiale durante la Prima Guerra mondiale (non si sa bene se sotto bandiera francese o tedesca), e così iniziò a parlare e urlare in perfetto tedesco e le SS, colte di sorpresa dal Fratello che, oltre a vantare i suoi gradi religiosi, vantava pure quelli militari e li minacciava nella loro stessa madrelingua, lasciarono i malcapitati ragazzi, liberi di tornare in Collegio la sera stessa, sani e salvi”.11 Il dottor Limentani conclude il suo racconto, dicendo che, pur essendosi risolta ogni cosa per il meglio, ne ebbe uno shock tale che i successivi quindici giorni li passò in infermeria. Ma quello dei clandestini non era l’unico problema. L’organizzazione tedesca TOD12 reclutava giovani nati tra il 1910 e il 1925 per i propri servizi, ma non risparmiava neanche soggetti di età inferiore, se fisicamente utili. “In Collegio, ricorda il dottor Pellegrini nel sopracitato memoriale, avevamo controlli e visite della PAI (Polizia Africa Italiana) di estrazione fascista, in appoggio alle attività tedesche, ma Fratel Leonida (Ralli Floriano), Ispettore del De Merode, era sempre preventivamente al corrente di tali sorprese e ci esortava a stare tranquilli e ci suggeriva opportuni comportamenti”. La via si trova a Roma, in pieno centro storico, nel rione Trevi. Congiunge via delle Quattro Fontane con via del Traforo. L’attentato fu un’azione partigiana condotta dai Gruppi di Azione Patriottica contro un reparto delle truppe di occupazione tedesche. Seguì l’efferata rappresaglia tedesca consumata alle Fosse Ardeatine. 11 Cfr. anche Time Out, Anno 1996 n. 4/5. 12 L’Organizzazione TOD o Todt fu una grande impresa di costruzioni che operò in tutti i paesi occupati dalla Wehrmacht, impiegando il lavoro coatto di più di 1.500.000 uomini e ragazzi. Creata da Fritz Todt, Ministro degli Armamenti e degli Approvvigionamenti, l’organizzazione operò in stretta sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la Seconda Guerra Mondiale. Il compito principale era la costruzione di strade, ponti e altre opere di comunicazione, vitali per le armate tedesche e per le linee di approvvigionamento, così come della costruzione di opere difensive. 10
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Una conferma di ciò si evince anche dalle cronache della comunità dell’anno 1943: “L’8 settembre il governo Badoglio proclama l’armistizio.13 Ne consegue un certo disordine in tutta la Nazione che dura ancora. Un gran numero di personalità politiche,14 di ufficiali e di soldati è costretto a nascondersi. Il Collegio, con spirito di carità cristiana, accorda l’ospitalità a un certo numero di antichi alunni che ricorrono a lui”.
6. Conclusioni
La carità cristiana espressa dai Fratelli non guardava né all’appartenenza politica né a quella religiosa e non era rivolta esclusivamente agli ex-alunni; così, terminato il periodo di reclusione degli ebrei, iniziò quello per i tedeschi e i fascisti che trovarono a loro volta asilo nello stesso collegio dove avevano trovato rifugio quelli che avevano perseguitato. E questi ultimi, pur conoscendo il ribaltamento della situazione, si guardarono bene dal denunciare la cosa, perché avevano ben compreso dal comportamento solidale dei Fratelli che non era il nemico o l’amico che veniva salvato, ma la persona umana di qualunque colore o schieramento fosse. E quei Fratelli, che hanno rischiato la vita per salvare quella degli altri, non hanno avuto la pretesa di salvare il mondo, ma sicuramente hanno salvato la speranza del mondo, perché, quando nel mondo e nel cuore degli uomini resta un barlume di speranza, è sempre possibile ricominciare e intravedere una società migliore.
Si tratta dell’armistizio di Cassibile (8 settembre 1943) l’atto con il quale l’Italia cessa le ostilità contro le forze alleate. Fu firmato dal generale Castellano e il generale Eisenhower. 14 Tra coloro che hanno trovato asilo sicuro al Collegio San Giuseppe - Ist. De Merode, si ricorda, per esempio, don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare, Angelo Raffaele Iervolino e altri. 13
Rivista Lasalliana 81 (2014) 1, 91-110
LA BULLE “UNIGENITUS” ET L’INSTITUT DES FRERES DES ÉCOLES CHRETIENNES DANS LE NORD DE LA FRANCE. LES RELATIONS HOULEUSES ENTRE JEAN-BAPTISTE DE LA SALLE, LES FRERES DE BOULOGNE ET DE CALAIS ET MGR PIERRE DE LANGLE DE 1713 A 1724 MAgALi DEviF, FR. ALAin HoURy Et PHiLiPPE MoULiS1 SoMMAiRE: 1. Les prémices d’une querelle annoncée: de la bulle Unigenitus à l’Appel des quatre évêques. - 2. Prises de position: Des lettres Pastoralis officii à la mort de J.-B. de La Salle. - 3. La tension atteint son paroxysme: De l’Accommodement à la mort de Pierre de Langle.
L
e 8 septembre 1713, la bulle Unigenitus du pape Clément Xi, encore appelée Constitution, condamne 101 propositions contenues dans le livre de Pasquier Quesnel “Réflexions morales sur le Nouveau Testament”. Cette Bulle va profondément diviser le clergé mais elle va également avoir des conséquences au niveau local, notamment dans les diocèses du nord de la France. L’institut des Frères des Écoles chrétiennes, implanté dans cette région depuis 1700, ainsi que son fondateur, Jean-Baptiste de La Salle vont se montrer de fervents défenseurs de la Bulle et du Pape, au grand dam de Pierre de Langle, évêque de Boulogne de 1698 à 1724. 1. Les prémices d’une querelle annoncée: de la Bulle Unigenitus à l’Appel des quatre évêques
En accord avec la décision du Pape, le roi, Louis Xiv fait accepter, de force, la Bulle par une Assemblée de prélats réunie d’octobre 1713 à février 1714. La Sorbonne, de son côté, tergiverse et, le 15 février, le Parlement enregistre les lettres patentes de la veille, relatives à la diffusion de la Bulle. L’opposition ne se fait pas attendre, en février 1714, huit prélats, dont Pierre de Magali Devif, directrice des Archives lasalliennes à Lyon, Fr. Alain Houry, archiviste national et Philippe Moulis, Université de Paris 13, Sorbonne Paris Cité, CRESC (E. A. 2356).
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Langle, en même temps que le cardinal de noailles, rejettent la réception de la nouvelle Constitution.2 Les évêques opposants doivent quitter Paris, ils reçoivent simultanément, le 8 février, des lettres de cachet leur enjoignant de regagner leurs diocèses. À cette date il n’y a pas d’animosité entre Pierre de Langle et les Frères des Écoles chrétiennes. Ces derniers sont présents dans le diocèse, à Boulogne et à Calais. En effet, J.-B. de La Salle, sollicité par le curé M. Ponthon pour faire venir des Frères à Calais, avait rencontré à Paris M. le duc de Béthune, gouverneur de Calais, et avait envoyé deux Frères, en leur demandant de se présenter à l’évêque diocésain. Les Frères, lors de leur arrivée à Calais en 1700, sont très bien reçus par Pierre de Langle “qui n’avait pas alors fait dans le monde le bruit qu’il a fait depuis”.3 il publie même un mandement “qui engageait les habitants de Calais à confier leurs enfants aux Frères”.4 Les deux Frères succèdent à l’ancien maître d’école dans les locaux du collège; à partir de 1705, deux autres tiennent au Courgain une école pour les enfants des matelots et reçoivent pour cela une gratification du trésor Royal.5 M. Lefebvre, prêtre de la doctrine chrétienne, relate dans son ouvrage, publié en 1766, l’installation des Frères des Écoles chrétiennes à Calais: “La jeunesse commune de la ville étant restée jusqu’à ce temps, sans moyen pour prendre l’éducation ordinaire; le Magistrat [de la ville de Calais] pensa à se procurer un certain nombre de personnes qui se sont consacrées à ce soin. Jean-Baptiste de la Salle, prêtre, docteur en théologie et chanoine de Reims, avait institué une Société d’hommes pour l’instruction gratis des enfants du peuple, sous le titre de Frères des Écoles Chrétiennes, & cette institution avait paru si utile, que les plus grandes villes des provinces de la France, s’étaient empressées à les attirer chez elles. Le Corps de ville en demanda cette année [1700] deux & leur assigna pour revenu 24 2 PiERRE goMBERt, Louis-Antoine de Noailles, cardinal-archevêque (1651-1729), thèse de l’École des chartes, 2004, 591 p. ; MARCEL FoSSEyEUX, « Le cardinal de noailles et l’administration du diocèse de Paris (1695-1729) », Revue historique, t. 114, 1913, p. 261-284, et t. 115, 1914, p. 34-54 et MARiE-JoSE MiCHEL, « Clergé et pastorale janséniste à Paris (1669-1730) », Revue d’histoire moderne et contemporaine, avril-juin 1979, p. 177-197. 3 i. B. BLAin, Vie de Monsieur Jean-Baptiste de La Salle, instituteur des Frères des Écoles chrétiennes, Rouen, Jean-Baptiste Machuel, rue Damiette, 1733, Livre ii, chap. 16, p. 382. 4 voir Dossier Calais, historique des Frères à Calais, Archives lasalliennes Lyon. 5 BLAin, op. cit., p. 381 et p. 384 ; gEoRgES RigAULt, Histoire générale de l’Institut des Frères des Écoles chrétiennes, Paris, Plon, 1937, t. i, p. 269-273 ; ALAin DERviLLE et ALBERt vion (sous la dir.), Histoire de Calais, Dunkerque, Éditions des Béffrois, 1985, p. 153 : yvES PoUtEt, Le XVIIe siècle et les origines lasalliennes, 1970, Rennes, imprimeries réunies, t. 2, p. 164 et REnE gREvEt, École, pouvoirs et société (fin XVIIe siècle-1815), Artois, Boulonnais/Pas-de-Calais, Lille, Presses de l’Université de Lille iii, 1991, p. 135.
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mesures de terres, 34 livres à prendre sur les deniers patrimoniaux, & 40 sur l’Hôpital des pauvres”. “Cet établissement fut tellement goûté par le peuple, que l’ont fut obligé d’ajouter un troisième Frère, & ensuite deux autres pour les enfants du Courgain, et un sixième en 1710. Le roi leur accorda 450 livres annuelles à prendre sur les biens confisqués aux Religionnaires, & par la suite seulement 300 qu’il leur faisait payer sur le trésor Royal. M. Ponthon, Président des traites, & depuis Juge de l’Amirauté, oncle de M. le Président Hainault, si célèbre dans la littérature, leur donna aussi annuellement 300 livres. M. Caron, curé de la ville, 100, un autre prêtre qui consacrait ses biens à ces œuvres charitables, 50, & enfin n. Desprez, prêtre, 30 livres aussi annuelles, de sorte qu’avec ce que la ville leur faisait toucher, & la quête qu’ils faisaient sur le poisson, & une petite part qu’on leur accordait pendant la guerre sur les prises, ils eurent honnêtement moyen de subsister”.6
Ces écoles ne recevront la visite de J.-B. de La Salle qu’en août 1716.7 il n’y a pas trace de correspondance entre lui et les Frères de Calais avant l’année 1719. Ceux-ci, comme ceux de Boulogne, s’en tiennent à ce qu’il prescrit dans le Recueil de différents petits traités à l’usage des Frères des Écoles chrétiennes.8 Le subdélégué de l’intendant de Picardie, Abot de la Cocherie, sieur de Bazinghen et nicolas Bénard, supérieur du séminaire lazariste sont à l’origine de la venue des Frères à Boulogne.9 En 1710, quatre Frères y sont reçus par Mgr de Langle, qui “les fit loger dans son séminaire, après les avoir reçus et fait recevoir dans la ville, en attendant qu’on leur eût trouvé une maison de louage”.10 En 1714, J.-B. de La Salle, est présent à grenoble quand la Bulle est publiée par Mgr Ennemond Allemand de Montmartin.11 Ennemi de toute
M. LEFEBvRE, Histoire générale et particulière de la ville de Calais et du Calaisis ou Pays Reconquis, précédée de l’histoire des Morins, ses plus anciens habitans, Paris, Chez g.-F. Debure, 1766, t. 2, p. 696-697. 7 J.-B. de La Salle visita aussi les établissements de Boulogne en 1716, gEoRgES RigAULt, Histoire générale de l’Institut des Frères des Écoles chrétiennes, Paris, Plon, 1937, t. i, p. 295-296. 8 [JEAn-BAPtiStE DE LA SALLE], Recueil de différents petits traités à l’usage des Frères des Écoles chrétiennes, Avignon, chez Joseph-Charles Chastanier, imprimeur & Libraire, proche le Collège des RR. PP. Jésuites, 1711. 9 voir PHiLiPPE MoULiS, «La fondation des Frères des Écoles chrétiennes à Boulogne-surMer au début du Xviiie siècle», Rivista Lasalliana, n°80-4, Rome, 2013, p. 543-548. 10 BLAin, op. cit. Livre iii, chap. 8, p. 70 11 Ennemond Allemand de Montmartin, évêque de grenoble de 1708 à 1719. 6
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polémique, il se contente de lire, aux quatre Frères de la ville, “chacune des 101 propositions, en montra le venin caché ou manifeste, et en fit sentir l’erreur et le danger”. “Plusieurs de ces propositions”, écrit ailleurs le biographe, relatant le même fait.12 Ces variations de Blain n’infirment en rien la parfaite soumission de M. de La Salle aux décisions du Saint-Siège. Quand viendra l’obligation d’en témoigner publiquement, il saura sortir de sa réserve. Dans le Recueil, édité à Avignon en 1711, il demande à ses Frères “une prompte et parfaite obéissance à l’Église”: “Attachez-vous universellement à ce qui est de la foi, fuyez la nouveauté, suivez la tradition de l’Église, ne recevez que ce qu’elle reçoit, condamnez ce qu’elle condamne, approuvez ce qu’elle approuve, soit par les conciles, soit par les souverains pontifes”.13 Chez J.-B. de La Salle, la fermeté doctrinale ne se transforme jamais en attaque des personnes concernées. Le cardinal de noailles, avant même la fulmination de la Bulle, défend la lecture du livre du P. Quesnel: Jean-Baptiste de La Salle “avait tiré ce livre de la bibliothèque et l’avait envoyé à Monsieur le curé de Saint-Sulpice”.14 Face à ces agissements il se montre sceptique et écrit dans une lettre: “Les affaires de Mgr l’archevêque de Paris causent du trouble parmi les évêques. Je ne sais ce qu’on en pense à Rome”.15 En novembre 1715, quand il doit quitter Paris pour s’installer à Saint-yon, faubourg de Rouen, J.-B. de La Salle décide, après un discernement de deux jours, de ne pas faire ses adieux au cardinal de noailles.16 Peut-être a-t-il la volonté de ne pas compromettre les Frères? L’annonce de la mort de Louis Xiv, en septembre 1715, soulage le parti des opposants à la bulle Unigenitus mais déchaîne toutes les passions. Douze prélats demandent des explications au pape Clément Xi pendant que dixhuit autres signent une opposition à la Bulle en raison des obscurités du texte.17 Fin 1716-début 1717, des évêques des deux partis sont réunis à Paris afin de trouver une solution. Le Régent fait élaborer un Corps de doctrine, bientôt accepté, en mars, par noailles et 91 autres prélats mais le 1er mars 1717 quatre évêques, Charles-Joachin Colbert (Montpellier), Pierre de la Broue (Mirepoix), Jean Soanen (Senez) et Pierre de Langle (Boulogne-surMer) déposent en Sorbonne un appel de la bulle Unigenitus au Concile général. L’Église de France est au bord du schisme. Ce premier appel entraîne BLAin, op. cit. Livre iii, chap. 11, p. 106 et Livre iv, chap. 1er, p. 221. [JEAn-BAPtiStE DE LA SALLE], Recueil de différents petits traités… op.cit., De la foi, p. 154. 14 BLAin, op. cit., Livre iv, p. 222. 15 Lettre autographe de Jean-Baptiste de La Salle n° 32 adressée au Frère gabriel Drolin, du 5 décembre 1716 de Saint-yon, faubourg de Rouen, Félix-Paul (FEC), Les Lettres de saint J.-B. de La Salle, édition critique, Paris, Procure générale, 1954, p. 170. 16 BLAin, op. cit., Livre iii, chap. Xiv, p.128 17 MARiE-JoSE MiCHEL, Jansénisme et Paris 1640-1730, Klincksiek, Paris, 2000, p. 198-200. 12 13
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une majorité du clergé parisien et des ecclésiastiques de trente-six diocèses. Au total, seize prélats, puis entre 6500 et 7000 ecclésiastiques, entre 1717 et 1728, sont les appelants de la bulle. Ceux des évêchés du nord sont concentrés principalement dans le diocèse de Boulogne-sur-Mer. La situation des Frères dans le diocèse devient alors délicate car ils n’adhèrent pas à cet Appel. ils partagent massivement la fidélité de leur Fondateur envers le Pape. Selon le biographe Blain, un seul Frère adhère à la doctrine janséniste.18 J.-B. de La Salle, dans des Méditations qui ne seront imprimées qu’après sa mort, met les Frères en garde contre les personnes qui contredisent la doctrine du Christ: “il y en a qui ont peu de respect pour les décisions de l’Église, il y en a quelquefois qui se mêlent de raisonner sur les matières de la Prédestination et de la grâce, sur lesquelles ceux qui ne sont pas savants doivent ne jamais dire un seul mot, parce qu’elles sont au-dessus de leur portée et, si quelqu’un leur en parle, ils n’ont alors autre chose à répondre, sinon en général: Je crois ce que l’Église croit. […]. Laissons aux savants les disputes savantes, laissonsleur le soin de réfuter les hérésies et de confondre les hérétiques; mais, pour nous, ne parlons que de la doctrine commune de Jésus-Christ, et ne prenons pour pratique de suivre en tout ce que l’Église enseigne aux fidèles dans les catéchismes qu’elle approuve, c’est-à-dire dans les catéchismes dressés ou adoptés par les évêques unis au vicaire général de Jésus-Christ, et ne prenons jamais la liberté de dogmatiser, sur les difficultés de la religion”.19
il s’agit là d’un discours pragmatique adressé aux laïcs que sont les Frères, mais qu’en est-il de la position du théologien, docteur de l’Université de Reims? il tranche par rapport à bien des membres de sa famille et du clergé de Reims qui sont “Appelants”, à commencer par son propre frère Jean-Louis, chanoine de Reims et docteur en Sorbonne, qui a suivi la même formation que lui, à Reims et au séminaire de Saint-Sulpice à Paris, mais quelques années plus tard. Quand J.-B. de La Salle se verra amené à s’expliquer publiquement, il le fera sans ambages. Calais en fournit plusieurs occasions. il est à noter que François-Élie Maillefer, neveu du Fondateur, appelant et auteur d’une biographie de son oncle, passe sous silence ces événements.20 Après la mort de J.-B. de La Salle, il quitte l’institut, cherche en pays étranger la “liberté de conscience”, s’embarque à Marseille et périt avec le navire. BLAin, op. cit., Livre iv, p. 228. 19 JEAn-BAPtiStE DE LA SALLE, Méditations 5,1 Pour le Dimanche dans l’octave de noël (1er point). 20 FRAnÇoiS-ELiE MAiLLEFER, Vie de M. Jean-Baptiste de La Salle, prêtre, docteur en théologie, ancien chanoine de l’église cathédrale de Reims, et instituteur des Frères des Écoles chrétiennes, Édition comparée des manuscrits de 1723 et 1740, in Cahier Lasallien 6, Maison Saint-Jean-Baptiste de La Salle, Rome, 1966. voir l’index des noms de lieux, p. 378: aucune allusion à des conflits à Boulogne ni à Calais. 18
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Blain, pourfendeur de Jansénistes, y revient au contraire plusieurs fois. Dans le diocèse de Boulogne, l’arrivée des Frères a été particulièrement soutenue par M. gense à Calais et M. de la Cocherie à Boulogne.21 J.-B. de La Salle a développé des relations étroites avec ces deux notables inébranlables dans leur fidélité romaine et, en mai 1716, il les reçoit comme des amis intimes à Saint-yon.22 Lors de sa visite des maisons des Frères de Calais (été 1716), J.-B. de La Salle est hébergé chez M. gense.23 Dans une lettre en partie conservée,24 il lui réitère son soutien dans sa lutte contre les jansénistes: “J’apprends avec bien de la joie, le zèle que vous avez pour maintenir la religion qui est si troublée présentement dans ce royaume. vous voulez bien, Monsieur, que je m’unisse à vous pour la même fin puisque Dieu m’a fait la grâce de m’y employer jusqu’à présent. Je ne manquerai pas de le prier instamment qu’il donne à votre zèle sa bénédiction et un heureux succès afin qu’il soit comme une barrière contre tout ce que le démon entreprend dans le temps où nous sommes pour ôter la paix à l’Église”.25
La visite de M. de La Salle aux Frères de Calais donne lieu à un épisode caractéristique de son attitude lorsqu’il manifeste son désaccord au curédoyen Pierre Caron. il vaut la peine de le rapporter tout au long, en notant qu’ici, le biographe est aussi hagiographe, comme le montre le titre de la section en question: Courage de Monsieur de La Salle à faire profession ouverte de sa foi, et à se déclarer contre les nouvelles doctrines, lorsqu’il était à propos de le faire: “Entre tous ceux qui s’empressèrent à Calais à témoigner de l’estime et de la vénération au serviteur de Dieu, le doyen se distingua. il le pria d’officier le jour de l’Assomption de la très Sainte vierge, ce que Monsieur de La Salle fit au grand contentement de tous les assistants, mais non pas au sien, car il fut fort scandalisé que le doyen sortît de chaire où il avait monté pour faire son prône, sans avoir dit un seul mot de la solennité du jour. Monsieur de La Salle, après la sainte Messe, marqua trop sur son visage son mécontentement pour que le doyen ne s’en aperçût pas. Le saint prêtre ne lui laissa pas même le temps d’en demander la cause. Son zèle pour les privilèges de la sainte Mère de Dieu lui mit dans la bouche des reproches si touchants que BLAin, op. cit., Livre ii, p. 387 et Livre iii, p. 70. BLAin, op. cit., Livre iv, p. 358. 23 BLAin, op. cit., Livre ii, p. 388. 24 BLAin, op. cit., Livre iv, p. 228. 25 Lettre de Jean-Baptiste de La Salle n° 115 adressée à M. gense, non datée, Félix-Paul (FEC), Les Lettres de saint J.-B. de La Salle, édition critique, Paris, Procure générale, 1954, p. 378. 21 22
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le curé déconcerté promit de prêcher le dimanche suivant sur l’Assomption de la très Sainte vierge, pour réparer le scandale du silence qu’il avait affecté. il tint parole, et expliqua avec netteté les sentiments de l’Église sur ce mystère, au grand étonnement de son auditoire qui n’était pas accoutumé à l’entendre si bien parler de la très Sainte vierge, car il était un de ces critiques qui veulent qu’on parle sobrement de ses prérogatives, et qui par une fausse imitation de l’Apôtre se font gloire de ne prêcher que Jésus-Christ, comme si l’honneur qu’on rend à la Mère ne rejaillissait pas sur le Fils”.26
Pierre de Langle sait que la partie artésienne du diocèse diffère du Boulonnais. Dès juin 1714, il écrivait déjà au cardinal de noailles: “Pour moi, j’ai plus de la moitié de mon diocèse en Artois où les peuples, non plus que les ecclésiastiques, n’ont point d’autre religion que de croire le Pape infaillible, et de respecter comme des oracles toutes les décisions qui viennent de tous les tribunaux romains. De quelle autorité sera donc et quel fruit pourra produire dans ce pays-là, ce qu’un évêque, noté d’erreur et soupçonné d’hérésie, par un tel jugement, dira et fera dorénavant pour l’instruction de ses peuples, s’il n’a pas la liberté de prémunir ses diocésains contre de pareilles imputations?”27
il est donc vital pour lui de quadriller l’espace et d’envoyer dans les paroisses des curés refusant la Bulle. Pour cela l’évêque souhaite contrôler la formation et l’enseignement dispensé dans les collèges et dans les écoles. Ainsi à Boulogne, le collège de l’oratoire et celui de Calais sont sous l’influence directe de l’évêque. Le séminaire des prêtres de la Congrégation de la Mission de Boulogne forme des ecclésiastiques appelants, et les ordinations de prêtres soutenant la cause sont facilitées. La situation est plus délicate avec les maîtres et maîtresses d’écoles. Mgr de Langle ouvre son diocèse aux ecclésiastiques jansénistes en nommant aux bénéfices curiaux les prêtres qui lui sont fidèles. Mais à partir de 1718, la situation des Appelants et de leurs sympathisants se dégrade. 2. Prises de position: Des lettres Pastoralis officii à la mort de J.-B. de La Salle
Dès la publication de l’Appel des quatre évêques, en 1717, des remous sont à signaler dans plusieurs paroisses du diocèse de Boulogne-sur-Mer. BLAin, op. cit., Livre iv, p. 225. Archives d’État d’Utrecht, collection Port-Royal (citées désormais A.U.P.R.), n°1376 : brouillon d’une lettre de Pierre de Langle au cardinal de noailles, archevêque de Paris, datée de 1714. 26 27
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Pierre de Langle se rend, avec ses collaborateurs, dans les villages et villes les plus hostiles. À partir de 1718, un mouvement de rejet des ecclésiastiques appelants émerge dans plusieurs paroisses, notamment à Calais, et s’amplifie en Artois. Mais les incidents se déroulent essentiellement dans la partie artésienne du diocèse de Boulogne-sur-Mer, et à Boulogne et à Calais. Par les lettres Pastoralis officii du 28 août 1718, affichées et publiées le 8 septembre suivant, et adressées à tous les fidèles, le Pape sépare les récalcitrants de la communion de l’Église. il avertit les chrétiens de ne plus regarder ceux qui ne se soumettent pas à la Constitution comme véritables enfants de l’Église, mais de les considérer au contraire comme des rebelles, des contumaces et des réfractaires. Le Parlement de Paris supprime le bref Pastoralis et les autres parlements font de même. En avril 1719, Pierre de Langle et les trois autres évêques appelants ripostent en publiant un acte d’appel des lettres Pastoralis.28 En 1719, Pierre de Langle réside à Paris. Ayant appris que les Capucins et les Minimes fomentent de nouveaux désordres dans la ville de Calais, le prélat charge son grand vicaire Monnier de se rendre dans cette paroisse afin de procéder à une enquête et rappeler à l’ordre les religieux révoltés. Suite à cet incident, Pierre de Langle refuse tout pouvoir aux Capucins de son diocèse. Le provincial des Capucins écrit une lettre à Mgr de Langle dans laquelle il précise que “ses religieux regardaient le diocèse de Boulogne comme une terre de malédiction” et affirme que l’on peut appeler hérétiques ceux qui ne reçoivent pas la Constitution.29 Les Frères des Écoles chrétiennes s’unissent aux opposants (Minimes, Récollets, Jésuites …) de Pierre de Langle. Dans sa lettre du 28 janvier 1719, qui sera rendue publique, Jean-Baptiste de La Salle exprime clairement son acceptation de la bulle Unigenitus et son soutien sans faille au Saint-Siège.30 Mandement de Mgr l’évêque de Boulogne pour la publication de l’acte par lequel il interjette appel, conjointement avec les MM. les évêques de Mirepoix, de Senez et de Montpellier, au futur concile général, des lettres de N. S. P. le pape Clément XI, adressées à tous les fidèles, publiées à Rome le 8 Septembre 1718; et renouvelle l’appel déjà interjeté de la Constitution Unigenitus, avec un mémoire qui en déduit les motifs, in-4°, VII-IX-228 p. Paris, Babuty, 1719. 29 JEAn-BAPtiStE gAULtiER, Mémoire où l’on détruit les plaintes portées contre le gouvernement de M. l’évêque de Boulogne dans son diocèse. 30 Pour la bonne intelligence de ce qui suit, et afin d’éviter des confusions, signalons, parmi les Appelants de Reims, le propre frère et filleul de Jean-Baptiste de La Salle, Jean-Louis (16641724), chanoine de la cathédrale, que son épitaphe appelle Jean-Baptiste Louis (Cahier Lasallien 27, 73 et note 1 p. 78): quand il est suspendu de ses fonctions, offices et bénéfices, le 9 décembre 1716 (Cahier Lasallien 27, 90), comme dans l’acte du 22 mars 1717 (id., 91), il figure comme Jean-Baptiste Louis de La Salle (id., 93). L’amalgame avec le Fondateur des Frères est donc facile. il y a encore un autre Jean-Baptiste Louis de La Salle (1698-1736), fils de Pierre de La Salle (frère du Fondateur), bénédictin de Saint-Maur, dont l’appel date du 30 septembre 1718 (id., 96). 28
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L’attitude du curé-doyen de Calais Pierre Caron, dont on a parlé plus haut, explique peut-être la vivacité de ton de la lettre de J.-B. de La Salle écrite peu avant sa mort (7 avril), au Frère Directeur de Calais. nous en avons le texte de Blain31 et dans une copie du Xviiie siècle, probablement destinée à figurer dans le dossier relatif à la Bulle d’approbation de l’institut: “Au Frère Directeur. De Rouen, ce 28e Janvier 1719. Je ne crois pas avoir donné lieu à M. le Doyen de Calais de dire que je suis du nombre des appelants, mon très cher Frère. Je n’ai jamais pensé à appeler, non plus qu’à embrasser la doctrine des appelants au futur concile. J’ai trop de respect pour notre Saint Père le Pape et trop de soumission pour les décisions du Saint-Siège pour n’y pas acquiescer. Je veux en cela me conformer à saint Jérôme” [La suite de la lettre cite 3 textes de saint Jérôme (que la copie manuscrite donne aussi en latin) et continue sur le même ton] M. le Doyen ou autre ne doit donc pas être surpris si, me conformant à ce grand saint si éclairé touchant les matières de la religion, il me suffit que celui qui est assis aujourd’hui sur la Chaire de saint Pierre se soit déclaré par une bulle acceptée par presque tous les évêques du monde, et ait condamné les cent et une propositions extraites du livre du Père Quesnel; et si, après une décision si authentique de l’Église, je dis avec saint Augustin que la cause est finie. voilà quel est mon sentiment et ma disposition qui n’a point été autre et que je ne changerai pas”.32
Quelques mois plus tard, Jean-Baptiste de La Salle réaffirme sa soumission à Rome dans le début de son testament, que le Supérieur des Frères leur fera parvenir peu après la mort de leur Fondateur: “Au nom du Père et du Fils et du Saint-Esprit. Ainsi soit-il. Je soussigné, Jean-Baptiste Delasalle, prêtre, étant malade dans une chambre proche de la chapelle de la maison de Saint-yon, fauxbourg SaintSever de la ville de Rouen, voulant faire un testament qui termine toutes les affaires qui me peuvent rester, je recommande premièrement mon âme à Dieu et ensuite tous les Frères de la Société des Écoles Chrétiennes ausquels il m’a uni et leur recommande sur toutes choses d’avoir toujours une entière soumission à l’Église et surtout dans ces tems fâcheux, et pour en donner des marques de ne pas se désunir en rien de l’Église de Rome, se souvenant toujours que j’ai envoié deux Frères à Rome pour demander à Dieu la grâce que leur Société y fut toujours entièrement soumise. Je leur recommande BLAin, op.cit., Livre iv, p. 223. Lettre de Jean-Baptiste de La Salle n° 65 adressée au Directeur de Calais, du 28 janvier 1719 de Rouen, Félix-Paul (FEC), Les Lettres de saint J.-B. de La Salle, édition critique, Paris, Procure générale, 1954, p. 299. Cfr. BLAin, op. cit, Livre iv, p. 223.
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aussi d’avoir une grande dévotion envers notre-Seigneur, d’aimer beaucoup la sainte communion et l’exercice de l’oraison et d’avoir une dévotion particulière envers la très Sainte vierge et envers Saint joseph, patron et protecteur de la Société, et de s’acquitter de leur emploi avec zèle et avec un grand désintéressement, et d’avoir entre eux une union intime et une obéissance aveugle envers leurs supérieurs qui est le fondement et le soutien de toute la perfection dans une communauté…”33
Les Frères subissent les conséquences de leur opposition. Certains de leurs bienfaiteurs, partisans de l’évêque, suppriment ou diminuent leur pension pour le fonctionnement des écoles: à Calais, M. l’abbé Ponthon, curé de notre-Dame, M. l’abbé Pierre Caron, curé-doyen, le prêtre Després et un ecclésiastique inconnu; à Boulogne, la construction de l’école est retardée. À Calais, le curé “voulait tellement dominer sur leur foi qu’ils n’avaient aucune liberté de conscience”.34 Les Frères sont ainsi contraints de changer de paroisses pour pratiquer leur foi à l’écart des Appelants.35 M. Lefebvre fait référence, de manière peu élogieuse, à la conduite Frères des Écoles de Calais: “Mais ces Frères des Écoles Chrétiennes, à qui l’on ne demandait autre chose que du talent & de l’application pour enseigner à lire, à écrire & le catéchisme du diocèse aux enfants, s’étant avisés par une bizarrerie singulière de vouloir décider sur les grandes matières de la Religion qui agitèrent la France après la mort de Louis Xiv, et de condamner ou d’approuver par leurs propres lumières, les sentiments des personnes instruites, s’écartèrent si fort de l’esprit de leur institution, & sortirent avec tant d’imprudence du silence modeste qui leur convenait, que M. Ponthon et les ecclésiastiques qui contribuaient à leur subsistance, crurent devoir se dispenser de leur en administrer plus longtemps les moyens. Cette privation, & celle des trois cents livres qu’on cessa de leur payer au trésor Royal après la mort de Louis ARoZ Léon de Marie, FSC, «Les actes d’état civil de la famille de saint Jean-Baptiste de La Salle, transcription et commentaire accompagnés de quelques documents qui les expliquent et les complètent», tome i, in Cahier Lasallien n° 26, Reims, 1966, p. 286-289. 34 [JEAn-BAPtiStE BLAin], La vie de Monsieur Jean-Baptiste de La Salle, Instituteur des Frères des Écoles Chrétiennes, par M***. Rouen Jean-Baptiste Machuel, rue Damiette, 1733, Abrégé de la vie du Frère Barthelemi, premier Supérieur général de la Société des Frères des Écoles chrétiennes, p. 23. 35 [BLAin], Abrégé de la vie du Frère Barthelemi… op.cit.: «on leur faisait même un crime de se confesser à d’autres qu’à des appelants et d’assister à la sainte messe dans l’église des religieux qui se distinguaient par la profession de la doctrine catholique.» (p. 23). Blain donne encore à ce sujet le témoignage d’un Supérieur du Séminaire parisien de Saint-nicolas-duChardonnet (Livre iii, p. 156) 33
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Xiv, les réduisit à une grande misère, & leur fit longtemps crier famine. ils promirent de se concentrer dans l’unique devoir de leur état, & de s’abstenir de discussions qui surpassaient leur intelligence, pour se borner à des soins plus à leur portée & uniquement nécessaires aux enfants dont on leur confie l’instruction. M. Chauvelin, intendant de la Province, leur fit payer alors par la ville quelques arrérages qu’elle leur devait, ce qui les soutint jusqu’en 1726. Cette année [là] le Magistrat obtint de disposer pour eux une pension de 686 livres à prendre sur les octrois, ce qui leur rendit une honnête aisance; M. grésy, prêtre de la paroisse, leur donna aussi un jardin attenant au cimetière de la ville. ils logeaient déjà près de cet endroit dans une maison qui avait auparavant servi de demeure à quelques prêtres séculiers, dévoués à enseigner aux enfants des bourgeois les premiers éléments de langue latine”.36 Depuis le mois de mai 1717, J.-B. de La Salle n’est plus à la tête de l’institut suite au Chapitre général. Le Frère Barthélemy (Joseph truffet, 1678-1720), devenu Supérieur général, doit prendre position face à la menace janséniste. Quand le curé de Calais, pensant avoir à faire avec un homme facile à rallier à ses vues, entreprend le nouveau Supérieur sur la question de la Bulle, “il s’aperçut bientôt qu’il avait affaire à un bon théologien; ainsi la conversation ne dura pas longtemps.”37 C’est qu’avant de devenir Frère, il avait fait sa philosophie chez les Jésuites de Douai et commencé sa théologie.38
L’évêque de Boulogne, fort mécontent des Frères, écrit au Supérieur général pour se plaindre “de leur étroitesse d’esprit” et menace de “les remplacer par des maîtres plus soumis et plus souples”.39 Ce dernier répond au prélat: “Monseigneur, j’ai reçu la lettre que votre grandeur m’a fait la grâce de m’envoyer, par laquelle elle m’apprend être fort mécontente de nos Frères de Calais et de Boulogne, et avoir donné ordre qu’ils soient interdits de leurs fonctions des écoles, ce qui m’afflige fort ; attendu que j’ai tâché d’exécuter les ordres qu’il lui a plu me donner pour le changement de plusieurs sujets, 36 M. LEFEBvRE, Histoire générale et particulière de la ville de Calais et du Calaisis ou Pays Reconquis, précédée de l’histoire des Morins, ses plus anciens habitans, Paris, Chez g.-F. Debure, 1766, t. 2, p. 697-698. 37 [BLAin], Abrégé de la vie du Frère Barthelemi… op. cit., p. 24. 38 [BLAin], Abrégé de la vie du Frère Barthelemi… op. cit., p. 5. 39 Historique dactylographiée « Les Frères des Écoles chrétiennes à Calais », non daté, Archives lasalliennes Lyon.
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et de leur défendre d’avoir de communication avec le S. n. et de se mêler en aucune manière des affaires de l’Église, qui ne regardent que nos seigneurs les Évêques et Supérieurs ecclésiastiques; ce que M. de La Salle, notre instituteur d’heureuse mémoire, leur a aussi beaucoup recommandé. Cependant nos frères de Calais et de Boulogne m’ont marqué qu’ils n’avaient point fait tout ce dont des esprits prévenus contre eux les accusaient, et que ceux qui avaient dit à Monsieur votre grand-vicaire qu’ils avaient manqué de respect envers votre grandeur et envers plusieurs ecclésiastiques, avaient avancé de véritables calomnies. C’est pourquoi, Monseigneur, je vous supplie très humblement de vouloir bien user encore d’indulgence envers ceux de nos Frères de votre diocèse, qui auraient pu manquer en quelque chose à leur devoir envers votre grandeur. nous tâcherons de faire en sorte qu’ils lui donnent lieu désormais d’être contente de leur conduite. J’ai l’honneur d’être avec une très grande reconnaissance et un très profond respect, Monseigneur, de votre grandeur, le très humble, etc.”40 Constatons que la tension monte progressivement entre les jansénistes et leurs opposants et à partir de 1720 des actes de violences ont lieu dans divers endroits. 3. La tension atteint son paroxysme: De l’Accommodement à la mort de Pierre de Langle
Fin d’année 1720, les actions s’accélèrent. En septembre, les quatre évêques renouvellent leur Appel et rejettent l’accommodement.41 En octobre, Pierre de Langle adresse à ses diocésains un mandement: Pour la publication de l’acte par lequel il renouvelle et confirme, conjointement avec Messeigneurs les évêques de Mirepoix, de Senez et de Montpellier, les appels interjetés au futur concile de la Constitution Unigenitus, et des lettres Pastoralis officii. En novembre, le cardinal de noailles publie son acte d’acceptation de la bulle Unigenitus et des lettres Pastoralis. La soumission du cardinal porte un coup terrible au parti janséniste qui, à partir de cette époque, se désagrège. Le 3 décembre, le Régent et le ministre Dubois obtiennent du Parlement l’enregistrement des lettres patentes et la Déclaration du roi concernant l’accommodement relatif à la constitution Unigenitus qui devient loi du royaume. Un arrêt [BLAin], Abrégé de la vie du Frère Barthelemi… op. cit., p. 33. Acte d’appel de Messeigneurs les évêques de Mirepoix, de Senez, de Montpellier et de Boulogne; par lequel ils renouvellent et confirment les appels par eux interjetés le 1er Mars 1717 de la constitution de N. S. P. le pape Clément XI qui commence par ces mots: Unigenitus Dei Filius et au mois d’Avril 1719 des lettres Pastoralis officii: et protestent de nullité contre tout ce qui aurait été fait ou pourrait l’être, tendant à infirmer les dits appels. 40 41
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du Conseil d’État du 31 décembre 1720 supprime le mandement des quatre évêques appelants et le nouvel acte d’appel qui y est joint.42 Dès mars 1720, de nombreux paroissiens de Calais et surtout de l’Artois rejettent violemment leur évêque et les curés jansénistes. L’accommodement est un déclencheur de violences physiques et officialise la rupture entre les populations et les ecclésiastiques jansénistes. Les Frères des Écoles chrétiennes les rejettent également. Dans une lettre, datée, du 5 mai 1720, au Frère Directeur de Calais, Frère Barthélemy s’oppose vivement aux insinuations du Frère Romuald: “il a fait entendre que je penchais du côté des appelants, ce qui est une fausseté et une injustice. […] Je ne saurais souffrir qu’on me reproche rien sur ce sujet. Mais cependant je ne me crois pas obligé de parler et de crier à tort et à travers et de faire des éclats, comme a voulu faire frère Romuald, en se mêlant de faire un catéchisme sur les matières du temps, etc. ce qui ne peut jamais convenir à aucun frère de notre Société. il faut qu’ils prennent plutôt le parti du silence que d’entrer dans des détails qui sont au-dessus de leur portée”.43
Dans le diocèse, des paroissiens empêchent les nouveaux curés jansénistes de prendre possession de leur cure, leur refusent l’accès à l’église, les empêchent de célébrer la messe et souvent les chassent de la paroisse. Pierre de Langle rentre de Paris à Boulogne-sur-Mer au commencement du mois de juin 1720. il envoie à Calais des missionnaires Lazaristes. Ces derniers sont insultés.44 Des actes de violence physique sont perpétrés à l’encontre de l’évêque de Boulogne-sur-Mer. Le 21 août 1720, Mgr de Langle, âgé de 76 ans, devant effectuer une visite pastorale dans cette même paroisse, est violemment pris à parti par une centaine de femmes et de filles. Pierre de Langle sort miraculeusement indemne de cette embuscade. Les conséquences de cet “attentat” de Quernes, ont pour effet de multiplier les actes d’hostilité envers les prêtres jansénistes. De septembre à décembre 1720, plusieurs curés sont chassés de leurs paroisses. En 1721, les actes de violences physiques continuent. Cette année-là, Pierre de Langle est fatigué et songe à se démettre de son évêché, d’autant plus que les difficultés avec les paroissiens et des ecclésiastiques de Calais et de l’Artois amplifient.45 42 A. D. Pas-de-Calais, 62 J: Arrest du conseil d’Estat du Roy, qui ordonne la suppression de trois mandemens donnez par les Srs evesques de Senez, de Montpellier et de Boulogne, et des actes qui y sont joint, 31 decembre 1720, Paris, 1721, 4 pages. 43 gEoRgES RigAULt, Histoire générale de l’Institut des Frères des Écoles chrétiennes, Paris, Plon, 1937, t. ii, p. 27 44 Histoire du livre des Réflexions morales, t. ii, p. 526. 45 B. n. FRAnCE, Ld41248: Remontrances de la ville de Calais à Monseigneur l’Évesque de Boulogne, 1721, 26 p.
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vers 1720, on assiste aussi à la structuration d’un nouveau réseau antijanséniste. Ce réseau est basé dans le diocèse de Saint-omer, et est coordonné par l’évêque de Soissons, l’archevêque de Reims et le cardinal de Fleury. L’une des chevilles ouvrières de ce réseau dans le diocèse est Pierre Cousin, prêtre de la paroisse Saint-Denis de la ville de Saint-omer qui collabore étroitement avec deux ecclésiastiques du diocèse boulonnais, grésy, sacristain de la paroisse notre-Dame de Calais, et Morette, chapelain de la cathédrale de Boulogne-sur-Mer.46 Ce lien avec Rome perdure durant la période étudiée avec l’envoi d’informations mais également d’ouvrages ou d’imprimés.47 En 1721, le P. Pierre grésy de Calais écrit à l’évêque de Soissons au sujet des Frères: “Quoi que je n’aie pas l’honneur de vous être connu, permettez-moi, s’il vous plaît, de dire à votre grandeur que j’ai eu écho d’avoir part avec elle aux paroles dures et aigres de monseigneur de Boulogne, dans la lettre qu’il écrivait, il y a environ deux ans, au supérieur général des frères des Écoles charitables pour leur défendre de ne me plus voir, ce qui m’est bien glorieux. on n’est pas de ses amis quand on est contraire à ses sentiments ou qu’on le traverse dans ses desseins. […] Quand j’ai quelques bonnes nouvelles ou pièces curieuses, je suis tantôt aux capucins puis aux minimes, chez les frères et les sœurs des Écoles Chrétiennes. Je vais voir messieurs les magistrats et autres personnes notables et leur en fais part pour nous confirmer réciproquement en la foi catholique contre les nouveautés qui ne tendent qu’à la détruire. À Dieu soit la gloire, mon exemple et les soins que j’ai pris avec la grâce de Dieu aient un peu contribué à préserver de la séduction toutes nos dévotes et plusieurs bonnes gens qui sont si fermés à confesser notre seigneur qu’on peut les comparer aux chrétiens de la primitive Église, allant avec un grand zèle à confesse sur les autres diocèses”.48
En 1721, plusieurs prélats opposants adressent au nouveau pape innocent Xiii une lettre.49 En mars 1722, le pape envoie un bref au roi et au Régent afin d’obtenir la soumission des opposants à la Constitution. En avril 1722, un arrêt du Conseil d’État déclare la lettre des sept évêques contraire aux déclarations de 1717 et de 1720 et ordonne qu’il sera procédé extraordinaireB. M. SEnS, collection Languet de gergy, Xiii, pièce 153m. B. M. SEnS, collection Languet de gergy, Xviii, pièce 112m, copie de la lettre de monsieur Cousin, prêtre de Saint-omer, au sieur grésy, de Calais, datée du 20 juillet 1723. 48 B. M. SEnS, collection Languet de gergy, tome Xiii,-153m. 49 B. n. FRAnCE, Ld4 1183: Lettre à N. S. Pere le pape Innocent XIII […] par l’ancien évêque de tournai, les évêques de Pamiers, Senez, Montpellier, Boulogne, Auxerre, Mâcon, 9 juin 1721, 91 pages. 46 47
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ment suivant les règles canoniques et les lois du royaume contre ceux qui l’ont composée, ou imprimée, ou débitée. À Boulogne au printemps 1722, l’évêque agacé par la position ferme des Frères à l’encontre de la doctrine janséniste, va tout mettre en œuvre pour les chasser de cette ville. Dès le 4 avril 1722, l’offensive est ouverte, Mgr de Langle interdit aux Frères d’enseigner publiquement et fait venir de Paris, les Frères tambonneau, plus en accord avec ses convictions, pour remplacer les Frères des Écoles chrétiennes. L’évêque publie un manifeste le 26 avril présentant les raisons de son comportement. Le 25 mai 1722, M. de la vrillière, ministre d’État et protecteur des Frères envoie l’ordre, par lettre de cachet, de rétablir les Frères des Écoles chrétiennes dans leur fonction d’instituteur.50 Ceux-ci reprennent leur fonction sans toutefois obtenir le droit de catéchiser les enfants, laissé aux soins des représentants de l’évêque.51 En 1723, l’assemblée provinciale de Reims, avec l’appui de la Cour, cherche à obtenir la déposition de Pierre de Langle. Une nouvelle vague de violence éclate en 1723 en Artois. Le 6 septembre, il écrivait à propos des Frères de Calais: “J’ai fait ma visite à Calais, avec tout le succès que je pouvais souhaiter, et je n’y ai trouvé aucune résistance, que de la part des maîtres des écoles ignorantins, et des sœurs maîtresses du père Baré. tout le reste, grands et petits, la noblesse et les magistrats, et les principaux parmi le peuple, m’ont rendu tous les devoirs et m’ont traité avec toute l’honnêteté possible”.52
Le 12 septembre, le prélat écrit à M. Baudoin une longue lettre dans laquelle il décrit l’attitude des Frères de Boulogne et de Calais: “Pour ce que vous dites être bien répandu dans la ville de Reims, au sujet des frères maîtres d’école de l’institution de feu M. de La Salle, et dont on désire d’être instruit, vous saurez qu’il n’est point vrai que j’aie défendu aux confesseurs de Calais d’entendre ces frères en confession. C’est tout le contraire, je me plains de ce qu’ils refusent de se confesser aux confesseurs approuvés de la ville de Calais, non seulement, mais aussi de tous les lieux circonvoisins et même de tout le diocèse, et de ce qu’ils refusent aussi de recevoir la communion, même pascale, des mains du pasteur de la paroisse et des autres prêtres établis pour cela dans cette paroisse. voilà deux Pâques de suite qu’ils vont faire leurs Pâques dans le diocèse de Saint-omer; qu’ils Louis Phélypeaux, marquis de La vrillière (1672-1725). Des détails plus précis se trouvent dans le livre de l’abbé E. vAn DRivAL, Histoire des évêques de Boulogne, 1852, partie iii consacrée à Pierre de Langle, p. 169-174. 52 A.U.P.R., n°2814: lettre de Pierre de Langle à Jean-Baptiste Le Sesne de Ménilles d’Étemare, datée du 6 septembre 1723. 50 51
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s’y confessent à des religieux, qui ne sont point approuvés pour mon diocèse, et à qui M. de Saint-omer a fait même défense d’entendre les confessions de mes diocésains, et ensuite vont communier dans les mains de ces prêtres étrangers. il est vrai pourtant qu’ils allaient, avant ces temps-là, se confesser à un prêtre de la paroisse, que j’appris confesser la plus grande partie de la ville de Calais, sans que ses approbations eussent été renouvelées, après le temps pour lequel elles avaient été accordées; je fis sur cet avis donner ordre à cet ecclésiastique de me représenter ses pouvoirs, et que jusque-là, il s’abstiendrait d’entendre les confessions. Depuis, il ne s’est point présenté devant moi; et il n’a plus confessé, mais il n’a point eu de défense particulière d’entendre les confessions de ces frères; ce sont aujourd’hui comme des forcenés, à qui l’abus qu’ils ont des sacrements a fait tourner la tête, et qui sont maintenant presque les seuls, avec les sœurs maîtresses, qui s’élèvent contre l’autorité épiscopale et la soumission qui est due aux pasteurs légitimes. tout a plié dans ma visite de Calais sous cette autorité, je n’ai trouvé aucune résistance dans les corps de la ville; tous m’ont rendu les devoirs ordinaires, et se sont soumis, sans aucune contradiction, à tout ce que j’ai voulu ordonner pour le bien spirituel et temporel de l’Église. Les commandants et les officiers de l’état major, le corps de ville, le maire à la tête, tous les officiers de justice, depuis le président jusqu’au greffier, sont venus me rendre leurs hommages de la meilleur grâce du monde, et se sont rendus exactement chez moi, lorsque je les ai appelés pour traiter des affaires de l’Église, de la fabrique, et de l’hôpital. il n’y a pas eu la moindre contestation, et nous nous sommes quittés les meilleurs amis du monde en apparence. La plupart de ceux qui avaient abandonné la paroisse par entêtement et par fanatisme, m’ont promis qu’ils y retourneraient régulièrement, et il y a de l’apparence qu’ils le feront. Je n’ai trouvé de la résistance que dans les maîtres et les maîtresses d’école, qui m’ont soutenu en face qu’ils ne pouvaient recevoir les sacrements de ceux qui étaient contraires au Pape, tels que sont les appelants, qui sont excommuniés par les lettres pastoralis officii et qu’ils n’iront point à la paroisse que je ne leur rende pour confesseur celui à qui ils allaient à confesse avant que je lui eusse ôté ses pouvoirs; ils m’ont dit qu’il y allait de leur conscience et de leur salut éternel, qu’ils n’avaient rien de plus cher ; qu’en m’obéissant ils se perdraient, et qu’étant unis au Pape, ils étaient en état de se sauver. Quelque chose que j’aie pu leur dire, ils ne sont point sortis de ce principe. Ce qu’il y a de pis en tout ceci, c’est que par leurs écoles, ils entrainent et flouent leurs enfants dans ces étranges maximes, et par les enfants, ils entrainent les pères et les mères du menu peuple; et c’est ce qui fait, aujourd’hui, le plus grand mal. ils ont empêché autant d’enfants qu’ils ont pu d’aller aux catéchismes, qu’on faisait dans la paroisse pour les prépa-
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rer à recevoir la confirmation; et les ont menacés de les chasser de leur école, s’ils se faisaient confirmer par moi. ils le nient cependant, mais M. le commandant leur a soutenu que cela était vrai, et que des enfants et de leurs parents s’en étaient venus plaindre à lui. Ce qu’il y a de constant, c’est que quoi qu’il s’en soit présenté beaucoup plus que nous n’en espérions, il y en a eu deux tiers moins qu’il n’y en aurait dû avoir. vous pouvez, Monsieur, rendre compte de tout ceci à vos messieurs les chanoines qui s’intéressent pour ces frères. Qu’ils en pensent ce qu’ils jugeront à propos, mais je me prépare à faire une ordonnance de visite, où ils seront traités comme ils le méritent et les frères et les sœurs”.53
En 1724, le différend entre le prélat et les Frères n’est pas dissipé. Pierre de Langle refuse à ceux de Boulogne qu’ils perçoivent leur rente. Après la mort du prélat et l’arrivée d’un nouvel évêque antijanséniste dans le diocèse, les troubles, dont les Frères ont souffert, semblent terminés. il n’est plus question de conflits dans ces deux villes et le successeur du Frère Bathélemy, Frère timothée (guillaume Samson-Bazin, 1682-1752), élu en 1720 n’a, semble-t-il, pas eu à interférer dans ces questions. Aucune source n’en fait d’ailleurs mention. La position de l’institut des Frères des Écoles chrétiennes et notamment celles de ces dirigeants a toujours été la même face à la question janséniste. J-B de La Salle n’intervient pas directement dans les discussions, mais dans ses écrits (sa lettre au curé-doyen de Calais et le début de son testament), il prend position très nettement, à ces deux reprises, sur sa soumission aux décisions du Pape. il s’agit d’éclairer avant tout les Frères mais surtout de préparer la reconnaissance officielle de l’institut.
A.U.P.R., n°1250: lettre de Pierre de Langle, à M. Baudouin, chanoine de Reims, datée du 12 septembre 1723. 53
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LA BOLLA “UNIGENITUS” E L’ISTITUTO DEI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE NEL NORD DELLA FRANCIA*
L’8 settembre 1713, la Bolla “Unigenitus” del papa Clemente Xi, allora chiamata Costituzione, condannava 101 proposizioni contenute nel libro di Pasquier Quesnel “Riflessioni Morali sul nuovo testamento”. La Bolla causò una profonda divisione nel clero, ma ebbe anche conseguenze a livello locale, specialmente nelle diocesi del nord della Francia. L’istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che era presente con le sue scuole in quella regione fin dal 1700, volle mostrarsi, come il Fondatore, fervente difensore della Bolla e del Papa nei confronti del vescovo Pierre de Langle, vescovo di Boulogne dal 1698 al 1724. nel 1714 giovanni Battista de La Salle era presente a grenoble quando la Bolla fu pubblicata da Mons. Ennemond Allemand de Montmartin. nemico di ogni polemica, egli si accontentò di leggere ai quattro Fratelli di quella città, “ognuna delle 101 proposizioni e mostrando di ognuna il veleno nascosto o evidente e ne fece capire l’errore e il danno spirituale”. “Molte di quelle proposizioni”, scriveva altrove il biografo. Queste varianti di Blain non infirmano in nulla la perfetta sottomissione del de La Salle alle decisioni della Santa Sede. L’annuncio della morte di Luigi Xiv, avvenuta nel settembre del 1715, conforta il partito degli oppositori alla Bolla ma scatena tante polemiche. il 1° marzo 1717 quattro vescovi, Charles-Joachin Colbert (Montpelleier), Pierre de la Broue (Mirepoix), Jean Soanen (Senez) e Pierre de Langle (Boulogne sur Mer), depositano un appello contro la Bolla Unigenitus al Consiglio generale dell’Università della Sorbona. La Chiesa di Francia era arrivata ai confini dello scisma. Quel primo appello raccolse il consenso della maggior parte del clero parigino e degli ecclesiastici di trentasei diocesi: un totale di 16 prelati e 6500/7000 ecclesiastici di 36 diocesi tra il 1717 e il 1728 sono gli oppositori alla bolla. Quelli delle diocesi del nord sono concentrati principalmente nella diocesi di Boulogne sur Mer. La posizione dei Fratelli nella diocesi divenne allora delicata perché non si alleavano agli oppositori. Essi condividevano compatti la fedeltà del loro Fondatore al Papa. nella diocesi di Boulogne la venuta dei Fratelli era stata particolarmente caldeggiata da M. gense a Calais e da M de la Cocherie a Boulogne. giovanni Battista de La Salle aveva sviluppato strette relazioni con quei due personaggi saldamente legati al Pontefice Romano e nel maggio del 1716 li ricevette come amici intimi a * traduzione dalla lingua francese di italo Carugno.
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Saint-yon. in occasione della visita alle istituzioni dei Fratelli a Calais (estate 1716) il de La Salle fu ospitato da M. gense. in una lettera, in parte conservata, il gense gli rinnova il suo appoggio nella lotta contro il giansenismo. nella pubblicazione dell’Appello dei quattro vescovi nel 1717 alcuni ripensamenti affiorano in diverse parrocchie della diocesi di Boulogne. Pierre de Langle si trasferisce con i suoi collaboratori nei villaggi e nelle città più ostili. A partire dal 1718, un movimento di rigetto degli ecclesiastici appellanti vien notato in diverse parrocchie, specialmente a Calais. Ma incidenti si verificarono specialmente nella regione artesiana delle diocesi di Boulogne e di Calais. Con il Breve Pastoralis Officii del 28 agosto 1718, affisso e pubblicato l’8 settembre seguente e indirizzato tutti i fedeli, il Papa allontanava i recalcitranti dalla comunione con la Chiesa. E avvertiva i cristiani di non tener in considerazione quelli che non si sottomettevano alla Costituzione come dei veri bambini della Chiesa, ma di considerarli al contrario come dei ribelli, dei contumaci e dei refrattari. il Parlamento di Parigi soppresse il Breve Pastoralis Officii e gli altri parlamenti fecero la stessa cosa. nell’aprile del 1719 Pierre de Langle e gli altri tre vescovi rispondono pubblicando un appello contro il Breve pontificio. i Fratelli delle Scuole Cristiane si uniscono agli oppositori (Padri Minimi, gesuiti…) di Pietro de Langle. nella sua lettera del 28 gennaio 1719, che sarà resa pubblica, giovanni Battista de La Salle esprime con chiarezza la sua adesione alla Bolla Unigenitus e il suo appoggio incondizionato alla Santa Sede. i Fratelli subiscono le conseguenze della loro opposizione. Alcuni dei loro benefattori, partigiani del vescovo, aboliscono o dimezzano il loro contributo per il funzionamento delle scuole lasalliane. Dopo il mese di maggio 1717, e cioè dopo il Capitolo generale, il de La Salle non è più alla guida dell’istituto. Fratel Barthelemy (Joseph truffet, 1678-1720) eletto Superior generale, dovette prendere posizione di fronte alle minacce dei giansenisti. il vescovo di Boulogne, scontento dei Fratelli, scrive al Superior generale lamentando “la loro grettezza di spirito” e minacciando di “sostituirli con maestri più sottomessi e più flessibili”. Alla fine del 1720 le vicende precipitano. nel settembre i quattro vescovi rinnovano il loro appello e rifiutano ogni “combine” già dal precedente marzo molti parrocchiani di Calais e soprattutto dell’Artois avevano rifiutato violentemente il loro vescovo e i parroci giansenisti. L’accordo è un susseguirsi di violenze fisiche e ufficializza la rottura tra la gente e gli ecclesiastici giansenisti. i Fratelli li rigettano anche essi. nel 1721 diversi prelati oppositori indirizzano al nuovo papa innocen-
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zo Xiii una lettera. nel marzo 1722 il Papa invia un “breve” al Re e al Reggente per ottenere la sottomissione degli oppositori alla Costituzione. nell’aprile 1722 una sentenza del Consiglio di Stato dichiara la lettera dei sette vescovi contraria alle dichiarazioni del 1717 e del 1720 e ordina che si proceda straordinariamente seguendo le leggi canoniche e le leggi del regno contro quelli che l’hanno redatto, stampato e divulgato. A Boulogne nella primavera del 1722 il vescovo infastidito dalla ferma posizione dei Fratelli contro la dottrina dei giansenisti, si prepara a cacciarli dalla città. Dal 4 aprile 1722, ormai l’offensiva diventa palese: Monsignor de Langle proibisce ai Fratelli di insegnare pubblicamente e fa venire da Parigi i Fratelli tambonneau, più vicini alle sue convinzioni, per sostituire i Fratelli delle Scuole Cristiane. il vescovo pubblica un manifesto il 26 aprile facendo conoscere i motivi del suo comportamento. il 25 maggio 1722, M. de la vrillière, Ministro di Stato e protettore dei Fratelli invia l’ordine, con lettera sigillata, di richiamare i Fratelli nelle loro funzioni di istitutori. Costoro ripresero il loro lavoro senza però riottenere l’autorizzazione a fare catechismo ai ragazzi, compito affidato ai rappresentanti del vescovo. nel 1723 l’assemblea provinciale di Reims, con l’appoggio della corte, cerca di ottenere la deposizione di Pierre de Langle. Una nuova ondata di violenza si abbatte nel 1723 nell’Artois. il 12 settembre il prelato scrive a M. Baudoin una lunga lettera nella quale relaziona sul comportamento dei Fratelli di Boulogne sur Mer e di Calais. nel 1724 la vertenza tra il prelato e i Fratelli non è ancora finita. Pierre de Langle rifiuta a quelli di Boulogne la rendita fissata e sospesa. Dopo la morte del prelato e l’arrivo del nuovo vescovo antigiansenista nella diocesi, le angherie che i Fratelli avevano sofferto sembrano finite. non si parla più di conflitti nelle due città e il successore di Fratel Barthélemy, il Fratel timoteo (guglielmo Samson-Bazin, 1682-1752) eletto nel 1720 non dovette più intervenire, sembra, su queste vicende. nessun documento, infatti, ne parla.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 1, 111-126
ESPERIENZE E TESTIMONI
FRÈRE AGATHON, SUPÉRIEUR GÉNERAL DE 1777 A 1798. L’EXPÉRIENCE D’UN SIÈCLE DE PÉDAGOGIE LASALLIENNE: FIDÉLITÉ ET ADAPTATION FRAnCis RiCousse Directeur des archives des Frères des Écoles Chrétiennes à Rome.
soMMAiRe: i. - Préparation: engagements et maturations. - ii - Fidélité en des temps agités: l’œuvre du Frère Agathon. - 1. L’œuvre administrative. - 2. L’œuvre scolaire. - 3. L’œuvre pédagogique. - 4. Les écrits pédagogiques.
L
I - Préparation: engagements et maturations
orsque le Chapitre Général de 1777, acceptant la démission du Frère Florence, désigne le Frère Agathon pour occuper la charge de cinquième successeur de st Jean-Baptiste de La salle à la tête de la congrégation, celui-ci à 46 ans, l’âge de la maturité. Les qualités humaines et spirituelles qui lui sont alors reconnues se sont nourries de trente années d’engagements variés, depuis son entrée au noviciat de saint-Yon en 1847, à seize ans et demi. il est utile de parcourir ce curriculum vitae riche d’expériences diverses propres à affermir sa personnalité et à élargir le champ de ses compétences.1 Le temps du noviciat ayant permis de déceler une intelligence claire et ouverte, un bref passage au scolasticat établi dans la même maison lui permet de se former au-delà des programmes ordinaires reconnus alors suffisants pour tenir des petites écoles. L’enseignement qu’il eut à donner par la suite indique qu’il avait pu pénétrer assez loin dans la connaissance des mathématiques et des sciences. son premier poste fut la ville de Brest, le port français ouvert sur le nouveau Monde, lieu d’intense activité faite de commerce, de préparatifs miliArchives centrales, Maison généralice Frères des Écoles chrétiennes, Rome. CD 255. Toutes les notes suivantes se rapportent au même fonds d’archives. 1
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Francis Ricousse
taires, d’esprit d’aventure. Les Frères se prêtent aux besoins locaux et entrent dans un mouvement de diffusion générale des études maritimes. Le Frère Agathon y fut un de ceux qui, ne se contentant plus de former de bons écrivains de la marine, tâche confiée aux Frères, vont s’initier aux sciences de la navigation. Tandis que son compagnon enseignait l’art d’écrire aux apprentis de la Marine, lui-même leur donnait les leçons d’arithmétique, de géométrie et d’hydrographie, laissant la réputation d’un excellent professeur. Cette réputation du Frère Agathon lui vaut, malgré sa jeunesse, d’être appelé bientôt à saint-Yon, avec l’obédience de Directeur des pensionnaires libres, charge qui entraîne son élection comme député au Chapitre Général de 1761. sa qualité de Directeur d’une communauté de plus de sept Frères le rend en effet éligible. L’époque est en pleine ébullition: les principes les plus divers pullulent en matière d’éducation, dont certains, comme la tolérance, tendent à saper les valeurs et les références de l’humble congrégation qui enseigne aux enfants pauvres. Pendant ce temps le Frère Agathon fait œuvre utile en cumulant, avec la direction des pensionnaires libres, le rôle de professeur de mathématiques et de comptabilité. De cet enseignement sortira le Traité d’arithmétique édité à Rouen en 1787. Au cours de cette période, les qualités de négociateur de Frère Agathon, faites de tact et d’habileté, trouvent une occasion de se manifester dans la mission dont il est chargé à Beauvais où des Frères sont demandés avec insistance. Mais voici le Frère Agathon à nouveau envoyé vers une ville portuaire, Vannes, en Basse-Bretagne où il a à diriger une communauté de six Frères. La bonne renommée rapidement acquise de cette maison fondée vingt ans plus tôt lui est venue de son aptitude à organiser pour les élèves les plus avancés des cours de mathématiques et d’hydrographie, et à ne pas craindre de conduire ces élèves sur un navire pour y recevoir des leçons pratiques de pilotage. un rapport administratif de 1788 indiquera: «Leur école d’hydrographie rend, à plus de dix lieues à la ronde, les plus grands services à la marine; il en sort journellement de très grands sujets, et il ne serait guère possible de trouver des écoles mieux réglées et mieux tenues que celles de ces Frères». Appelé une deuxième fois à siéger au Chapitre Général de 1767, ce jeune Capitulant d’une maturité rare fut repéré par Frère Florence, nouveau supérieur: sans tarder le Frère Agathon recevait l’obédience de directeur de l’importante communauté d’Angers. Les Frères y avaient la charge d’éduquer des élèves libres et des pensionnaires de force, et ceci dans une maison unique et très mal située, hors des murs de la ville, espace étroit, insalubre et d’accès difficile où l’hygiène et le bon ordre laissaient à désirer. L’activité que le Frère Agathon va immédiatement déployer aboutira, après quelques
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années de démarches avec beaucoup de péripéties et d’oppositions, à l’acquisition par l’institut et à l’aménagement du magnifique pensionnat de la Rossignolerie, au cœur de la ville: il serait, à la veille de la Révolution, un établissement de premier plan. Cette nouvelle expérience couronnée de succès attire de plus en plus sur le Frère Agathon l’attention des supérieurs qui l’appellent à Paris où se trouve alors la Maison-Mère: il lui est demandé d’étudier l’organisation administrative de l’institut et tout particulièrement la comptabilité générale. il occupe cette charge quand il est élu pour prendre part au Chapitre convoqué en 1777. Le Frère Agathon, qui a alors 46 ans, y arrive avec une somme d’expériences et de succès qu’il doit à ses qualités humaines et intellectuelles ainsi qu’à son esprit religieux qui ne l’écarte pas d’une attitude d’humilité, de persévérance, d’égalité d’humeur, de tact, de courtoisie. Aussi le choix des capitulants pour succéder à Frère Florence se fera-t-il sans difficulté.
II - Fidélité en des temps agités: l’œuvre du Frère Agathon 1. L’œuvre administrative
La circulaire de convocation du Chapitre, le 20 mai 1777, annonçait l’objectif «d’établir solidement l’unité de pensée sur l’étendue des devoirs que nous imposent les vœux».2 De fait, à l’approche de son premier centenaire, l’institut reste uni: sa ligne d’inspiration et d’action demeure celle de M. de La salle et de ses premiers disciples. Les Frères continuent à trouver leurs références essentielles dans la Règle des origines, dans la Conduite des écoles, dans les méditations du Fondateur. L’action du nouveau supérieur va consister à les y affermir, notamment par des circulaires d’importances et de contenus divers, destinées soit aux Frères Directeurs, soit à l’ensemble des Frères. Après avoir fait part au Pape de sa nomination et des résultats du Chapitre, Frère Agathon va engager son action en homme de vision claire et globale, désireux de communiquer son propre dynamisme, proche des personnes et entièrement engagé, avec toute la vigueur nécessaire. Des délibérations de l’Assemblée capitulaire ressortaient 91 arrêtés que le nouveau supérieur a la charge de publier. Pour cela il va innover en faisant imprimer un fascicule destiné à atteindre plus facilement l’ensemble des communautés. D’autres circulaires suivront, elles aussi imprimées, tandis que Frère Agathon va se fixer un programme de visites des maisons de l’institut, ce qui est pour les Frères une innovation. Ces circulaires comme les lettres personnelles qui ont été conservées expriment clairement sa constante préoccupation qui est de maintenir la 2
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qualité de vie des Frères dans le comportement communautaire, dans la vie spirituelle comme dans l’exercice de l’emploi, et par là la fidélité à l’engagement pris. D’où l’importance qu’il souligne de l’acte d’admission au noviciat et aux vœux: «Les Frères qui possèdent le plus l’esprit de leur état en feront toujours l’appui, l’honneur et la gloire. Notre attitude doit donc être de ne plus nous associer par les liens des vœux que ceux que nous reconnaissons mériter nos suffrages par les qualités de cœur et d’esprit, par les talents propres aux emplois qu’ils devront exercer ou au moins par leur aptitude à les acquérir».3 Les Frères Directeurs se voient souvent rappeler leurs devoirs vis-à-vis des Frères de leur communauté: «Ils sont l’âme de la régularité qui est sans vigueur s’ils ne l’animent pas par la pratique de toutes les vertus religieuses… la parole a peu de force si elle ne s’appuie pas sur les œuvres». Quant aux Frères, ils ont d’abord à développer «l’amour de leurs Frères, la simplicité dans l’obéissance et la ferveur de l’esprit».4 Le projet de transfert de la maison-mère à Melun, engagé par son prédécesseur, va se concrétiser dès le début du nouveau généralat. La nouvelle installation demandera d’importants aménagements pour lesquels le Frère Agathon saura mettre en valeur les compétences de Frères qualifiés. L’obtention de lettres patentes pour toutes les écoles, qui donnent reconnaissance de la personnalité civile, connaît bien des lenteurs, en particulier pour leur enregistrement par les divers Parlements. Le tact et la persévérance du Frère Agathon permirent d’atteindre de nombreux résultats. Quant aux conditions de la vie quotidienne des écoles et communautés, Frère Agathon voudra s’en rendre compte par lui-même au moyen d’un plan de visites, en vue d’agir localement pour obtenir des ressources conformes aux besoins. il n’est pas douteux que celui qui avait laissé à Brest, à saint-Yon, à Vannes, à Angers la réputation d’un excellent éducateur et enseignant, ne se soit intéressé à des auteurs qui traitent alors de manière renouvelée ces questions de formation de la jeunesse, tels que Locke, Fénelon, Rollin. et on peut observer que le Frère Agathon a su s’en inspirer en ce qu’elles avaient d’utile et de pratique pour la formation pédagogique des jeunes Frères, tout en restant fidèle aux méthodes et à la pédagogie lasalliennes dont la finalité demeure d’abord apostolique, ce qui n’exclut pas un souci d’efficacité. Mais les notes qu’il a laissées, les centres d’études qu’il a créés et organisés, les Conseils aux Formateurs, la refonte de la Conduite des Écoles5 et surtout les Douze Vertus d’un Bon Maître6 montrent le prix qu’il attachait à la formation CD 260. CD 260. 5 CD 255. 6 CD 256. 3 4
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professionnelle des Frères. en ces années bouleversées où se développent de manière sensible les germes qui nourriront bientôt une terrible révolution, on peut se demander comment il a pu mener de front tant de travaux et allier à une vie très active celle d’un écrivain particulièrement abondant et solide.
2. L’œuvre scolaire
2.1. Les écoles gratuites
C’est par un souci d’efficacité et de rendement maximum que le Frère Agathon s’est occupé avec un soin égal des écoles gratuites et des pensionnats. Cet objectif de qualité explique le nombre limité d’ouvertures de nouvelles écoles, six seulement de 1777 à 1787. il veut pour les Frères un bienêtre satisfaisant et des conditions favorables à leurs fonctions et il réclame pour cela des ressources suffisantes et régulières. et il ne veut engager de nouvelles ouvertures que s’il dispose de maîtres suffisamment préparés. Mais quand une école qui se développe a besoin d’être renforcée en personnel, le Frère supérieur accueille volontiers les sollicitations. Tout en demeurant ferme défenseur de la gratuité des écoles paroissiales, il parvient à améliorer leur situation matérielle et rendre ainsi possible leur prospérité toujours croissante.
2.2. Les pensionnats
Après le pensionnat de saint-Yon, nécessaire aux charges économiques de la formation des jeunes Frères et du soin des anciens, d’autres ont été ouverts, douze au cours du XViiie siècle, pour lesquels des Frères se sont formés dans des disciplines qui ouvrent à des domaines nouveaux où des jeunes pourront s’engager professionnellement. Le Frère Agathon n’en augmentera le nombre que d’un seul, à Charlemagne près de Carcassonne, avec d’ambitieux projets que la Révolution ne permettra pas de réaliser. Quand des établissements de ce type, sans l’étude des lettres classiques mais avec une faveur et un développement particuliers pour les disciplines propres aux arts et métiers, se développeront à nouveau au siècle suivant, ce sera pour donner naissance à l’enseignement secondaire moderne et à l’enseignement technique. Alors que l’esprit du temps nourrit des oppositions de plus en plus fortes et injustes à l’égard des Frères et de leur modèle éducatif, le Frère Agathon apparaît comme l’homme providentiel pour tenir le gouvernail et comme le modèle à suivre: après avoir su profiter d’une première formation plus poussée que la moyenne, après avoir développé des aptitudes dans des fonctions diverses, professeur, préfet de discipline, directeur, visiteur, il se montre particulièrement apte à diriger, conseiller, favoriser la culture reli-
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gieuse, intellectuelle et pédagogique des Frères. il sut réorganiser les pensionnats en leur donnant un règlement uniforme tout en sachant adapter les programmes d’études aux différentes régions. À la vue des résultats obtenus en deux décennies par l’action persévérant et clairvoyante du Frère Agathon, dans un climat politique et social particulièrement défavorable, on pense à ce qui aurait pu être réalisé en des temps plus apaisés.
3. L’œuvre pédagogique 3.1. Les scolasticats
Le seul scolasticat qui existait alors, rassemblant un choix de Frères professeurs, était celui annexé au pensionnat de saint-Yon. D’importants travaux y seront rapidement réalisés par le nouveau supérieur afin d’y améliorer le bon ordre et l’hygiène. Cela n’arrête pas le zèle du Frère Agathon qui veut améliorer partout la formation des jeunes Frères: ce seront les scolasticats de Marseille, Paris, Melun. on y trouve les spécialités les plus variées. À Marseille par exemple, on s’occupe bien sûr d’écriture, d’arithmétique, d’orthographe, de catéchisme, de grammaire, mais aussi de pédagogie, de direction et d’administration. Dans une brochure sur Les Sciences, les Lettres et les Arts à Marseille en 1789, on relève: «Des élèves de tous les points de l’Europe et même de l’Amérique affluent dans ce pensionnat renommé; les familles apprécient l’enseignement donné dans cet établissement dont la magnifique bibliothèque donne une idée de la force des études et de la science des professeurs».7 Des titres d’ouvrages mentionnés dans le livre des comptes en donnent une idée: Le Traité de la Sphère, Onze Volumes de la Physique de Nollet, Traité de Perspective, L’Anatomie en sept cahiers, Application de l’Algèbre à la Géométrie, Observations critiques sur la Physique de Newton, Traité de Trigonométrie rectiligne et sphérique, Éléments de Calcul intégral de Bougainville, le Calcul différentiel de Desdier, Traité analytique des Sections coniques, Éléments de l’Architecture navale, etc.8 Le Frères Agathon ouvrit un peu plus tard les scolasticats de Maréville et d’Angers où des Frères se distinguèrent par leur science et leurs talents pédagogiques: mathématiciens, dessinateurs à la plume. Des publications s’ensuivirent, telles que: Traité de mathématiques élémentaires, traité de navigation (F. Guillaume de Jésus), dictionnaire pratique de la langue française (F. Généreux). et on sait que le Frère Charles Borromée fut un remarquable professeur de géométrie, d’arpentage et de levée des plans.9 Mais la Révolution ferait sombrer les espoirs les plus fondés. CK 562. CK 452. 9 CK 562. 7 8
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4. Les écrits pédagogiques
De nombreux écrits pédagogiques de la main de Frères Agathon ont été conservés, soit à l’état d’ébauche, soit sous une forme définitive. Les plus anciens ne sont que des préceptes pédagogiques extraits des œuvres de J.B. de La salle. C’est lui-même qui les avait groupés de la manière suivante: 1° Fautes très graves qu’il faut éviter à l’école 2° Avis de M. de La salle pour se bien former à l’exercice de l’école 3° Défauts qu’il faut éviter en faisant le catéchisme 4° Les vertus qu’il faut pratiquer 5° Avis pour faire utilement le catéchisme 6° extraits des usages des Frères des Écoles chrétiennes 7° Passages qui doivent souvent servir aux Frères des Écoles chrétiennes un autre manuscrit se présente comme une petite somme de tout ce qu’un enfant bien élevé doit savoir et pratiquer pour faire figure d’honnête homme et de chrétien convaincu dans la société. si ces feuillets ne présentent rien d’original, ils révèlent chez leur auteur le désir de se perfectionner en profitant des données de l’expérience.
4.1. La Conduite des Écoles
Le Chapitre de 1777 avait demandé que soit réimprimée la Conduite des Écoles. Le Frère Agathon voulut qu’elle prît en compte les nouvelles données de l’expérience. il sollicita pour cela les observations de toutes les compétences puis il rédigea lui-même un projet d’une nouvelle Conduite des Écoles. Les archives de l’institut ont conservé trois avant-projets rédigés par des auteurs inconnus différents.10 Le premier de ces avant-projets présente en 120 pages et 11 chapitres un exposé clair et didactique précédé d’un chapitre sur «Ce qu’un Frère doit penser de son état». un autre texte de 353 pages, le plus volumineux, et s’inspirant nettement de Rollin, ne suit pas le plan de la Conduite de J.B. de La salle mais contient beaucoup d’observations judicieuses et consacre vingt-quatre pages à la formation des nouveaux maîtres. un autre projet, vraisemblablement inspiré des précédents, est de la main du Frère Agathon. un alinéa de la préface nous apprend la déception causée au Frère supérieur par la rareté des notes envoyées: «Les Frères n’ayant point envoyé les observations et les avis qui leur avaient été demandés pour aider à la confection du travail, ne pourraient justement se plaindre s’il n’était point entièrement conforme à leurs désirs, qu’ils n’ont pas jugé à propos de faire connaî10
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tre». Puis il indique en note: «Excepté cinq ou six Frères, les autres n’ont rien fourni».11 L’auteur prend pour base de son travail, la Conduite de 1720, mais en lui faisant subir des modifications importantes. Les deux cents pages de textes sont divisées en 226 articles. outre l’écriture, le ton de la préface et un certificat transcrit à la fin du volume par le Frère Agathon permettent d’affirmer que ce travail est bien l’œuvre personnelle du supérieur. Cette réédition prévoit deux parties de plus que celle de 1720, œuvre du Fondateur : une première sur la formation des jeunes maîtres et une quatrième sur le gouvernement des pensionnats. L’auteur s’explique ensuite sur le choix de ce plan qui lui paraît plus logique. La première partie, très importante et qui remonte aux origines mêmes de la congrégation, est le recueil des préceptes et usages qu’on a constamment conseillés et suivis dans l’institut. si on ne l’a pas imprimé plus tôt, précise le Frère supérieur, c’est que, étant à l’usage des formateurs et inspecteurs, le petit nombre de ces derniers avait fait que les exemplaires répandus par écrit suffisaient aux besoins. Mais des erreurs introduites par des copistes pouvant être cause de changements et de différences, une version imprimée évitera cet inconvénient. L’ancien directeur de pensionnat à saint-Yon et à Angers prend plaisir à s’attarder sur la quatrième partie: «Du gouvernement des pensionnats». il semble plaider en faveur de l’internat «qui offre au maître plus de moyens de rendre l’élève véritablement chrétien, honnête homme, droit, juste, d’un commerce sûr». il facilite au maître l’étude, la connaissance des élèves, l’exercice d’une connaissance plus continuelle et l’emploi de sanctions plus efficaces. Ces moyens favorisent l’idéal que se propose le parfait éducateur qui est: «Se faire aimer, craindre, respecter et rechercher».12 sans nuire à l’esprit de famille qu’une correspondance suivie doit entretenir, l’internat dirigé par des religieux soucieux d’être de leur temps met l’enfant à l’abri des distractions et des divertissements dangereux du monde, si nuisibles au travail intellectuel et à la vertu, et il assure aux maîtres une influence plus durable. une lecture de la préface permet de comprendre l’ordre nouveau des matières adopté par le supérieur. Ainsi peut-on admettre que le traité sur la formation des maîtres, qui n’avait jamais été imprimé, occupe la première place dans le projet de refonte. Quant aux deux parties inspirées de celles de la Conduite de 1720, les modifications adoptées dans le nouveau plan peuvent se comprendre. une étude de ces différences exigerait un tableau comparatif détaillé. 11
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Le manuscrit du Frère Agathon laisse vingt-huit pages blanches qu’il devait logiquement compléter par les chapitres sur la prière, la messe, la sortie de l’école. Quant à la quatrième partie «Pour les pensions», elle est une innovation du Frère Agathon et mérite une étude plus détaillée. Le chapitre premier expose à la fois le genre d’instruction et d’éducation donné aux pensionnaires: «Le but principal des maîtres de pension est de bien instruire leurs élèves de la religion chrétienne et catholique, de les former à la piété, à la vertu et à la bonne conduite, de leur inspirer par leurs instructions continuelles, d’en prendre, d’en conserver l’esprit, les habitudes. Ils leur enseigneront en outre les règles de la politesse et de la civilité qui sont d’usage parmi les honnêtes gens; à bien lire tant les manuscrits que les imprimés; la belle écriture, le calcul général et celui des changes étrangers; la tenue des livres de comptes, la théorie du commerce, l’orthographe, la grammaire française, le dessin, les éléments de mathématiques, de la géographie, de l’hydrographie et de l’histoire. Les maîtres s’appliqueront encore à former l’esprit, le caractère et le jugement, autant qu’ils leur trouveront d’aptitudes et que la durée de leur séjour dans les pensions le leur permettront».13 Le chapitre ii traite du préfet, de «celui qui est dans le pensionnat le premier moteur, l’âme toujours présente et agissante». C’est à lui de recevoir les pensionnaires que l’on présente, à les examiner, à les placer où ils doivent être. ses pouvoirs étendus ne le dispensent pas des rapports de dépendance qu’il doit avoir avec le Frère Directeur de la maison, ni des relations cordiales qu’il ne doit cesser d’entretenir avec ses collaborateurs. Le chapitre iii insiste sur l’union que les Frères doivent avoir avec le préfet et leurs collègues. il indique ensuite la limite d’âge pour recevoir les enfants, entre huit et quinze ans. Plus jeunes, ils demanderaient trop de petits soins ; plus âgés, ils se soumettraient plus difficilement à la discipline de l’internat. suivent divers conseils et prescriptions qui n’ont rien perdu de leur valeur pédagogique. un siècle d’expérience des méthodes lasalliennes est condensé dans cette quatrième partie. La plupart des directives qu’elle présente se retrouvent de manière développée dans le vade-mecum du religieux éducateur : Les Douze Vertus d’un Bon Maître. Cette Conduite est demeurée inachevée; elle s’arrête au chapitre Vii qui ne donne qu’une partie du Règlement des pensionnaires.14 Travail incomplet resté à l’état d’ébauche, il est difficile de dire ce qu’en eût été la rédaction définitive. il est probable que, pour des raisons de logique et d’opportunité, il eût modifié sensiblement l’édition de 1720. 13 14
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4.2. Les Douze Vertus d’un Bon Maître15
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en 1785, Le Frère Agathon publiait à Melun son œuvre pédagogique principale: Les Douze Vertus d’un bon Maître, exposé dans lequel il conserve aux vertus l’ordre dans lequel J.B. de La salle les a placées à la fin de la Conduite des Écoles. Dans l’avertissement, l’auteur prévient qu’il a composé ce traité d’après les principes et les maximes de M. de La salle et les auteurs les plus estimés. il cite fréquemment la sainte Écriture et les Pères de l’Église. il s’est aussi inspiré des œuvres pédagogiques de son temps, surtout du Traité des Études de Rollin. Cependant, cette œuvre est essentiellement le fruit de son expérience personnelle. Le plan de ces études est simple: «Nous développons le vrai caractère de chaque vertu, les traits particuliers qui lui conviennent et ceux qui lui sont contraires». Ces douze vertus sont: la gravité, le silence, l’humilité, la prudence, la sagesse, la patience, la retenue, la douceur, le zèle, la vigilance, la piété, la générosité. La gravité n’est pas pour lui synonyme de fierté, de rudesse; elle n’exclut pas la bonté qu’elle préserve de la familiarité. Par cette vertu, le maître «annonce dans tout son extérieur, une retenue et une décence qui sont le fruit de la maturité de son esprit, de sa piété, de sa sagesse, mais surtout, il a soin de conserver la tranquillité par l’égalité d’âme et d’humeur». Le silence «fait qu’un maître se tait quand il ne doit pas parler et parle quand il ne doit pas se taire». il assure par ce double devoir l’ordre, l’attention, le progrès des élèves, tout en ménageant la santé du maître. on peut se demander «si la leçon continuellement interrompue par des signes ne perdrait pas de sa vie et, si le maître habitué à parler le moins possible donnera toutes les explications que réclament les intelligences faibles, et s’il se reprendra quand il n’aura pas été compris». L’auteur a prévu l’objection; aussi recommande-t-il au maître «d’éviter de dire mal ce qu’il doit dire, pour n’en avoir pas prévu le sujet, la nécessité, le temps convenable, les circonstances, le bien et le mal qui pourraient en résulter, ou bien en l’exprimant sans force, sans précision, sans justesse, hésitant pour chercher bien des termes, sans savoir ce qu’il dit, étant diffus et sans méthode». Le maître compétent qui connaît ses élèves et prépare consciencieusement ses leçons gagne beaucoup de temps et se fait comprendre plus vite de tous ses élèves qui, habitués au silence, sont plus attentifs. La méthode socratique préconisée par le fondateur pour la révision des leçons sert de contrôle, s’il y a lieu, pour une mise au point. La troisième vertu est l’humilité qu’il ne faut pas confondre avec la timidité. Cette vertu exerce sur les enfants une véritable séduction : elle inspire
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l’estime, la cordialité, l’amitié; d’instinct leur nature simple et droite a horreur de la suffisance, de la fierté, de la vaine gloire, de l’ambition, de l’égoïsme, de la préciosité, de la trop grande confiance en soi. en développant la quatrième vertu: la prudence, l’auteur fait appel à toutes les facultés du maître: à sa docilité, à son adresse, à sa prévoyance, à sa circonspection; c’est le langage du simple bon sens. Le maître qui la cultiverait intégralement éviterait beaucoup de fautes et exercerait une influence profonde. Puis viennent la sagesse qui soutient dans «des choix éclairés et dispose tout avec poids et mesure»; la patience, si nécessaire à l’éducateur qu’elle préserve de la précipitation, du découragement, des saillies d’humeur et de leurs conséquences; la retenue, chapitre qui fourmille d’observations pleines de finesse et de conseils très pratiques. La septième vertu, la douceur, occupe presque le tiers du volume. elle a suggéré au Frère supérieur des développements d’une très grande richesse psychologique et d’une vérité toujours actuelle. La pédagogie contemporaine, si portée à l’indulgence et au développement de l’initiative de l’enfant, n’a rien trouvé de plus digne et de plus respectueux de la personnalité de l’élève. Le Frère Agathon ne craint pas d’énoncer comme un axiome de l’éducation que l’amour s’achète par l’amour, que le maître doit prendre pour ses écoliers des sentiments de père. «Il fera donc appel à la louange, avec mesure et à propos, car de tous les motifs propres à toucher une âme raisonnable, il n’y en aura pas de plus puissant que l’honneur et la honte». il condamne les maîtres qui pèchent par dureté, qui commandent ce qui est au-dessus de la portée des élèves, qui punissent avec excès de sévérité, qui commandent avec hauteur ou quand les enfants sont mal disposés et incapables de profiter de la répression, qui ne distinguent pas la gravité des fautes, qui n’écoutent pas les excuses des écoliers et refusent toujours de pardonner, même des fautes dues à la légèreté, à l’oubli, etc. L’étude de la douceur lui fournit l’occasion de définir l’autorité: «L’ascendant qui inspire le respect et la soumission», et les moyens de l’établir. Le paragraphe sur l’autorité trouve son complément naturel dans celui de la correction qui exige trois conditions pour être salutaire à celui qui la reçoit; elle doit être volontaire, respectueuse et silencieuse. on peut penser que ce chapitre qui s’achève par l’énumération des défauts contraires à la douceur témoigne d’une connaissance parfaite du cœur de l’enfant. Viennent ensuite le zèle qui procure la gloire de Dieu avec une grande affection; la vigilance «qui prévient le mal au lieu de le punir et n’est ni inquiète, ni méfiante, ni embarrassée». Cette étude se termine par deux vertus qui semblent naturelles à l’éducateur religieux: la piété et la générosité, deux vertus
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sans cesse stimulées par deux idées fortes: la gloire de Dieu et le salut de ses élèves. Ce petit livre reste un trésor pour l’éducateur chrétien. L’analyse succincte qui précède permet d’en soupçonner les richesses. D’où la vingtaine de rééditions au XiXème siècle seulement, ainsi qu’un grand nombre de traductions qui se poursuivent jusqu’à nos jours. Les maîtres laïques l’ont même parfois adopté, comme en Belgique, sous le titre L’Instituteur parfait ou les Douze Vertus d’un Bon Maître (Liège, 1829 et 1842). un Grand Maître de l’université française déclarait «que, pour se faire une haute réputation, il ne demanderait d’autre titre que celui d’auteur des Douze Vertus d’un Bon Maître». Quant à M. Ferdinand Buisson, homme politique français peu suspect de cléricalisme, il cite dans son Dictionnaire de Pédagogie cette parole d’un membre de l’université: «Ce volume est peut-être ce qui a été écrit et pensé de plus sage et de plus touchant depuis l’Imitation de Jésus Christ. Les observations les plus fines y sont présentées dans un style dont la simplicité fait ressortir le mérite».
4.3. Observations sur les répétitions publiques
en 1786 paraissait une circulaire sous le titre: «Observations du Frère Agathon, supérieur général des Frères des Écoles Chrétiennes, sur les répétitions publiques qui se font à la fin de l’année scolastique dans différentes maisons de la congrégation».16 Ces répétitions étaient de véritables examens récapitulatifs et publics du travail de toute l’année scolaire. Le supérieur convient qu’elles n’auraient rien eu «que de louable et de conforme à l’esprit de l’Institut, si l’on était resté dans de justes bornes». Avec une recherche très poussée d’arguments, le Frère Agathon démontre que ces répétitions où se fait la distribution des prix empêchent le maître de remplir les principaux devoirs de son état en l’obligeant à donner plus de soins aux élèves les plus doués ou les plus aimés, au détriment des autres, sans compter qu’elles peuvent compromettre la santé des maîtres et l’intégralité de leurs exercices religieux. et par ailleurs, ces examens publics auxquels se mêlent harangues, débits et chansons en vue d’intéresser l’auditoire, ont le grand tort de favoriser bien plus la culture de la mémoire que celle de l’intelligence. L’auteur admet qu’un examen récapitulatif permet d’attribuer les prix fondés, mais à la condition que tous les élèves aient la même préparation et participent aux examens écrits qui déterminent les plus méritants, dans
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chaque branche de l’enseignement. C’est avec ces derniers que devrait avoir lieu la récapitulation publique. Quant aux prix de sagesse, de piété, de diligence et d’assiduité, un scrutin d’élèves en désignerait les titulaires. Dans ces conditions, les répétitions garderaient leur rôle éducatif, et sans préjudice pour les élèves ni pour les maîtres.
4.4. Autres œuvres
outre ces œuvres essentiellement pédagogiques, les archives de l’institut conservent encore un coutumier pour l’infirmerie d’Angers écrit de la main de Frère Agathon. Deux lettres de Frère Frumence signalent un livre d’arithmétique de Frère Agathon. il s’agit, selon les Annales, du Traité d’Arithmétique à l’usage des Pensionnats et des Écoliers des Frères des Écoles chrétiennes,17 œuvre de Frère Maur revue par les Frères Albéric et Agathon. Le cours du Frère Agathon professé à saint-Yon sur la Tenue des Livres de Comptes en Parties simple et double n’est pas parvenu jusqu’à nous. De cette époque, les archives de l’institut conservent aussi les œuvres manuscrites suivantes: en 1779, un Traité d’Arithmétique concernant le Négoce et la Finance, 670 pages en très belle cursive et daté de saint-Yon;18 la même année Frère Primael compose un Catéchisme nouveau pour servir d’instruction aux catéchistes et aux personnes préposées à enseigner les vérités de notre sainte religion, 642 pages, en deux tomes; en 1782, Frère olivier, de saint-Yon, écrit un Abrégé des Éléments de la Rhétorique de 190 pages;19 en 1783, de saint-Yon encore sort un Abrégé des principes de la grammaire française à l’usage des Écoles chrétiennes;20 en 1788, le pensionnat de Marseille est autorisé à imprimer une Géométrie; en 1789, Frère Primael écrit un Catéchisme selon la Méthode des Frères des Frères des Écoles chrétiennes;21 enfin, daté de 1790, un cours de commerce et de comptabilité intitulé Mémorial ou Brouillard à Parties doubles.22 Alors qu’apparaissent de plus en plus inquiétants les signes avant-coureurs de la Révolution, toutes ces œuvres témoignent de la grande activité intellectuelle et pédagogique de ce corps d’environ 900 religieux-éducateurs répartis en une centaine d’établissements scolaires de diverses importances. CH 452. CH 452. 19 CH 451. 20 CH 451. 21 CH 450. 22 CH 453. 17 18
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Sources d’archives et bibliographie
Archives centrales Maison généralice des Frères des Écoles Chrétiennes, Rome: CD 255, CD 256, CD 260.
1883. Annales de l’institut des Frères des Écoles Chrétiennes, Tome ii, chapitre XVii à XXXiii. 1937. Bulletin des Écoles Chrétiennes. La vie d’un grand Supérieur général des Frères des Écoles Chrétiennes, le Très Honoré Frère Agathon (série d’articles). 1938. Georges Rigault. Histoire générale des Frères des Écoles Chrétiennes, Tome ii, Quatrième partie: L’être en pleine force. Les réalisations du frère Agathon. 1958. F. Frédebert-Marie. Un grand Supérieur, Le Très Honoré Frère Agathon. 240 pages 1997. Frère Henri Bédel. Initiation à l’histoire de l’Institut des Frères des Écoles Chrétiennes. Études lasalliennes 6, XViiie siècle 1726/1804, C. Consolidation (1777-1790) 2000. Frère Bruno Alpago. L’Institut au service des pauvres. Études lasalliennes 7, Chapitre 2, La Fin de l’ancien régime.
Frere Agathon, superieur General de 1777 a 1798
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FRATEL AGATONE SUPERIORE GENERALE DAL 1777 AL 1798. L’ESPERIENZA DI UN SECOLO DI PEDAGOGIA LASALLIANA: FEDELTÀ E ADEGUAMENTO* eletto nel Capitolo Generale del 1777, Fratel Agatone, che allora aveva 46 anni, sarebbe stato, grazie alla sua attività multiforme e determinata, il superior Generale più importante del XViii secolo se la Rivoluzione Francese non fosse venuta a nullificare quanto aveva cominciato a fare. Ben esperto nel campo educativo come anche in quello amministrativo, non tardò ad attuare innovazioni per fare della sua congregazione di maestri di scuola un corpo scelto, rinforzando contemporaneamente le qualità religiose dei suoi membri. Percorriamo soltanto i campi in cui intervenne come superiore. 1. Opera amministrativa
Fratel Agatone fa stampare le circolari che gli permettono di alimentare alle stessi sorgenti le comunità della Congregazione, rinviando continuamente agli scritti del Fondatore: la Regola, le Meditazioni, la Guida delle scuole… La sua abbondante corrispondenza e le sue visite programmate gli permettono di stimolare lo zelo delle comunità alla fedeltà, alle ispirazioni e al necessario e perenne adeguamento. 2. Opera scolastica
Le scuole gratuite. Con il sostegno dell’efficacia e del massimo rendimento Fratel Agatone si occupa con pari cura delle scuole gratuite e dei pensionati. egli vuole per i Fratelli un benessere soddisfacente e condizioni favorevoli al loro ministero. non si impegna in nuove istituzioni se non dispone di maestri sufficientemente preparati. Ma quando una scuola che si sviluppa ha bisogno di essere rinforzata nel personale, egli accoglie con piacere la richiesta. Pur continuando a difendere la gratuità delle scuole parrocchiali, si preoccupa di migliorarne la posizione materiale e rende possibile la loro floridezza sempre crescente. I pensionati. Dopo quello di saint-Yon, necessario per il carico economico derivante dalla formazione dei Fratelli e dall’assistenza dei Fratelli anziani, ne furono aperti altri dodici nel XViii secolo, per i quali i Fratelli si formarono nelle discipline che avviano alle nuove attività in cui i giovani potranno impegnarsi professionalmente. Allorché lo spirito del tempo fomentò opposizioni sempre più violente e ingiuste contro i Fratelli e i loro sistemi educativi, Fratel Agatone apparve come l’uomo della Provvidenza per tenerne ben ferma la conduzione e il modello da seguire: dopo aver tratto profitto anche lui da una prima formazione più avanzata che statica, dopo aver sviluppato attitudini nelle diverse mansioni da lui esercitate come insegnante, prefetto di disciplina, *
Traduzione dalla lingua francese di italo Carugno.
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esPeRienze e TesTiMoni
Francis Ricousse
direttore e visitatore, si mostrò particolarmente pronto a dirigere, consigliare, favorire la cultura religiosa, intellettuale e pedagogica dei Fratelli. seppe riorganizzare i pensionati consigliando per essi un regolamento uniforme, pur adattando i programmi di studio secondo le regioni. 3. Opera pedagogica
il solo scolasticato esistente allora, che riuniva una scelta di valenti professori, era quello annesso al pensionato di saint-Yon. importanti lavori vi saranno presto realizzati dal nuovo superiore per migliorarne l’ordine e l’igiene. Questo non frenò lo zelo di Fratel Agatone, che volle migliorare ovunque la formazione dei giovani Fratelli con lo scolasticato di Marsiglia, Parigi, Melun. si riscontrarono in essi le più varie specialità. A Marsiglia, per es., vi si insegnava certamente la scrittura, l’aritmetica, la ortografia, il catechismo e la grammatica, ma anche pedagogia, direzione e amministrazione. Fratel Agatone aprì poco dopo lo scolasticato di Maréville e di Anger, in cui i Fratelli si distinsero per la loro cultura scientifica e i loro talenti pedagogici in matematica e nel disegno a penna. seguirono anche delle pubblicazioni, come il Trattato di matematica elementare, il Trattato sulla navigazione (Fr. Guillaume de Jésus), il Dizionario Pratico della lingua francese (F.Généreux). Tutti ben sanno che Fratel Carlo Borromeo fu un eccellente professore di geometria, agrimensura e altro. Ma la Rivoluzione farà andare a fondo anche le più fondate speranze. il Capitolo Generale del 1777 aveva caldeggiato la ristampa della Guida delle scuole. Fratel Agatone volle che essa tenesse conto anche delle novità suggerite dall’esperienza. e per questo sollecitò suggerimenti su ogni competenza e poi studiò di persona il progetto di una nuova Guida delle Scuole. Gli archivi dell’istituto hanno conservato tre abbozzi di progetti preparati da autori ignoti. nel 1785 Fratel Agatone pubblicò a Melun la sua principale opera pedagogica: Le Dodici Virtù di un buon Maestro, dove conserva per le virtù lo stesso ordine con il quale il Fondatore le aveva catalogate alla fine della Guida delle scuole. nella prefazione l’autore chiarisce che lui ha composto quel trattato secondo i principi e le massime del sig. de La salle e gli autori più accreditati. e cita con frequenza la scrittura e i Padri della Chiesa. si è anche ispirato alle opere pedagogiche del suo tempo, come il Trattato degli Studi di Rollin. nel 1786 fu scritta una circolare dal titolo “Osservazioni di Fratel Agaton, Superior Generale dei Fratelli delle Scuole cristiane, sulle ripetizioni pubbliche che si fanno alla fine dell’anno scolastico nella varie case della congregazione”. Queste ripetizioni erano dei veri esami pubblici del lavoro di tutto l’anno scolastico. il superiore precisa che avrebbero avuto “il plauso dell’Istituto, se fossero rimasti nei giusti limiti.” Quando apparvero sempre più inquietanti i segni premonitori della Rivoluzione, tutte le istituzioni del La salle testimoniarono la grande attività intellettuale e pedagogica di questo corpo di circa 900 religiosi educatori sparsi in un centinaio di strutture scolastiche di varia importanza.
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RECENSIONI E NOTE
CHIONNA A. - ELIA G., SANtELLI BECCEGAtO L., (a cura di), I giovani e l’educazione. Saggi di pedagogia, Guerini Studio, Milano 2012, pp. 268. e 23,50.
Questo Laboratorio Pedagogico (La. Pe.) è stato promosso nel 2006 da un gruppo di pedagogisti di varie università italiane; fa proprio uno stile di ricerca di natura “laboratoriale”, per rispondere soprattutto all’urgenza di riaffermare con forza lo stretto nesso esistente tra attenzione alla crescita della singola persona e costruzione della società in senso comunitario. La pubblicazione qui presentata muove da alcune questioni fondamentali e previe, come la stessa delimitazione temporale dell’età della giovinezza, confrontando le molteplici e diverse interpretazioni del problema. I confini di quest’età della vita coincidono con il periodo di passaggio dalla dipendenza familiare all’indipendenza personale; dall’impegno scolastico subito, a quello prescelto; dalla mancanza alla produzione di reddito; dall’isolamento affettivo alla costruzione di legami; dal ribaltamento valoriale alla organizzazione delle scelte di valore (L. Pati). A ciascun passaggio si collegano precisi compiti educativi, tenendo conto che il processo di conquista dell’autonomia che impegna i giovani si differenzia da soggetto a soggetto, anche conformemente all’influsso esercitato da molteplici fattori esogeni ed endogeni. Essi risultano d’al-
tro canto esposti, nella società attuale, alle derive educative dell’adultismo e dell’infantilismo. Occorre quindi «ridare ai giovani spazi, occasioni, possibilità di protagonismo, affinchè siano sollecitati dalla concretezza delle situazioni all’assunzione di responsabilità personali e sociali». Educare i giovani significa anche ripensare il modo di essere adulti, validando l’efficacia della propria generatività sociale, prendendo consapevolezza dei processi di apprendimento attivati. Gli adulti provengono da un mondo diverso da quello nel quale attualmente vivono i giovani. Lavoro, famiglia, tempo libero, cittadinanza attiva sono temi che i giovani stanno riscrivendo attraverso le loro esperienze, le loro pratiche, le loro vite. tale scissione, segnata dalla perdita di valori comuni e condivisi, la conseguenziale contestazione e negazione dell’autorità educativa, hanno reso ardua la formazione della personalità giovanile. D’altro canto, il rapporto intergenerazionale «sta transitando dentro un contesto di pensabilità riflessiva che, al di là di paradigmi trasmissivi, consenta di valorizzare le esperienze delle persone» (L. Fabbri), per muovere verso pratiche di cooperazione interpretativa. Si pone pertanto al centro dell’attenzione educativa il “senso di responsabilità” (A. Chionna), attraverso l’apprendimento di aspetti e principi di valore presenti nel vissuto della propria espe-
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rienza, aspetti di relazione con gli altri, di promozione dell’autonomia personale, coniugata ad un ruolo attivamente partecipativo anche nella dimensione della cittadinanza, europea e mondiale. Come approfondito nell’elaborazione teorica del principio di responsabilità fatta da H. Jonas, la famiglia è identificata quale prototipo di responsabilità. La precarietà della prospettiva lavorativa, invece, infragilisce la progettualità dei giovani, tende a minarne la stabilità e la durata nel tempo dei rapporti elettivi (A. Bellingreri). I giovani si percepiscono innanzitutto come immersi nel presente, a causa anche di una caduta della speranza e di una tendenziale perdita della memoria. Essi risultano oggi esposti a un’ideologia post-modernista, che asserisce pur in veste critica un orizzonte capitalista, che confonde desiderio e godimento. La pedagogia ha pertanto il compito di restituire al desiderare la corretta trascendenza, in quanto domanda di senso e di pienezza, dunque in quanto autentico desiderio “d’essere”. Pur nella consapevolezza delle problematiche, delle criticità, non bisognerebbe lasciarsi andare al pessimismo e al negativismo, riconoscendo il valore delle risorse che dialetticamente e in modo autogeno i giovani reperiscono per rispondere alle istanze di vita. «Piuttosto che psicologico ed esistenziale, il disagio dei giovani è culturale» (B. Rossi); disagio che può tradursi in assenza di memoria storica, in carenza di coscienza e appiattimento superficiale sul presente, in mancanza di progettualità, quindi in incapacità di vivere da protagonista la temporalità che viene data come opportunità per la realizzazione di sé. Di fronte a tale disagio è proposta un’impresa formativa che ambisca «a fare di ogni essere umano un
lettore e un custode della memoria del passato», un attore del presente in virtù di scelte ed esperienze umanamente significative, un progettista costruttore del futuro, consentendogli di organizzare la giornata secondo un alto livello di strutturazione e di viverla con impegno. Il progetto conferisce unitarietà e coerenza alla vita, riempie di senso anche lo spazio, il mondo che il giovane abita, altrimenti spaesato, nel vuoto; limita la contrapposizione del qui all’altrove, la cesura tra simile e diverso, amico e nemico, ancor più nel più importante spazio giovanile del nuovo millennio, la rete internet, uno spazio virtuale dove ogni “altrove” diventa “qui” e viceversa, dove la vita assume parallele connotazioni, dove tutto è consumato in un presente senza passato e futuro, l’educazione viene a poter essere quello spazio dove l’incontro restituisce al giovane una reale prospettiva progettuale, favorendo una sua riappropriazione del futuro. Anche in questo senso risulta importante una considerazione sulla formazione universitaria, in merito alla quale l’Italia manifesta un numero di laureati inferiore alla media OCSE, ma dal punto di vista educativo risulta un compito fondamentale per l’assunzione di un habitus mentale da parte del giovane che si prepara a diventare ricercatore o professionista, scegliendo in modo consapevole un impegno e una specializzazione (D. Simeone). La capacità di assumere scelte significative è espressa in modo ancora più esplicito dalle attività di “volontariato” (G. Elia), dove l’uomo, il giovane, si educa al dono, non solo quindi come atto all’origine dell’impegno gratuito, ma attraverso la pratica. «Il volontariato rappresenta un canale attraverso cui molti giovani hanno un primo contatto
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Michele Cataluddi
con la società e le istituzioni, l’occasione per prendere consapevolezza, per cogliere le realtà più dure, per cogliere le contraddizioni interne al nostro sistema sociale», ma anche in senso pienamente positivo per allargare la cultura della solidarietà. tale impegno può derivare primariamente da un processo di trasmissione famigliare, ma più in generale vede al centro l’importanza dell’educazione. Essa deve oggi «offrire simultaneamente le mappe del mondo complesso in perenne agitazione e la bussola che consente agli individui di trovarvi la propria rotta». Persona e società non hanno futuro, se non ristabiliscono un corretto rapporto con l’ambiente di vita, in senso ecologico. Educare alla custodia del creato (P.Malvasi) è tra le urgenze odierne, come rafforzare i valori dell’alimentazione, della salute, della stessa sopravvivenza della società. Bisogna in tal senso diventare consumatori socialmente responsabili, attraverso l’acquisizione delle nozioni di legalità, fiducia, cooperazione. «Scuola e famiglia, realtà imprenditoriali e associative si misurano oggi in vario modo con la necessità di sviluppare conoscenze competitive per imparare a vivere, in un “ambiente conteso”, la cittadinanza su scala planetaria». La capacità di generare innovazione «non è la mera risultante dell’influsso di strutture organizzative sull’esercizio di funzioni, ma scaturisce da un’intenzionale tensione educativa che promuove il valore dell’immaginazione e del riconoscimento delle identità, del cambiamento rivolto ad accrescere i benefici per la comunità civile, della sussidiarietà». tale ampio sguardo sulla vita esige il suo centro originario e fondativo, ha bisogno di una spiritualità (D. Silvestri), non più in riferimento esclusivo alla
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religione, ma a un più vasto movimento di ricerca di senso, che porta a una definizione della spiritualità quale questione identitaria al centro della vita stessa, nella sua dimensione interiore, e del ben-essere, inteso come indiscussa meta educativa. A tale spiritualità è riconosciuta la forma di uno spirito incarnato, quale centro pulsante della vita, che nella sua capacità di conferire senso alla vita stessa trova e ricerca la trascendenza, «chiamati alla fatica di mettersi continuamente al mondo». A una società «spinta alla competitività, dove l’immediato, l’effimero vince sul duraturo, l’immagine sulla sostanza, il superficiale sul profondo e dove il mercato sembra dominare su tutto, sappiamo – come educatori – offrire altre visioni d’insieme, altri orizzonti culturali sufficientemente solidi e credibili? Sappiamo sostenere e, soprattutto, testimoniare la dignità di una vita, nelle sue diverse età, fondata sulla progettualità, sulla speranza, capace di realizzare esperienze di fiducia e collaborazione, attenta al rispetto delle esigenze di tutti?» (L. Santelli Beccegato). L’educazione non insegna a superare la giovinezza, ma a rimanere sempre giovani, nel senso di un’apertura viva, creativa e interrogativa di fronte al mondo e alla vita stessa. Michele Cataluddi
PREZIOSI E., Il Vittorioso. Storia di un settimanale per ragazzi 1937-1966, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 346. e 29,00 (Francesco Pistoia).
L’Italia del Vittorioso di Giorgio Vecchio (AVE,2011), l’Associazione “Amici de Il Vittorioso” con bollettini di collegamento e siti, incontri fra “nostalgici” in
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RECENSIONI E NOtE
tante parti d’Italia. E ora Ernesto Preziosi con Il Vittorioso. Storia di un settimanale per ragazzi 1937-1966 traccia un profilo del giornale e della sua vita trentennale documentandone evoluzione, successi, accoglienza, influenza. Non solo: il libro di Preziosi, attivo presso l’Università Cattolica, docente all’Università di Urbino, da poco parlamentare della Repubblica, storico del movimento cattolico tra i più appassionati, è uno spaccato di storia contemporanea, di storia del cattolicesimo, di storia dell’educazione, di storia dell’editoria, di storia dell’immaginario novecentesco. Un lavoro serio, impostato con rigore e metodo: una fatica immane, frutto di un animo generoso ricco di amore per la Chiesa e per la città, ricco di sensibilità pedagogica e tutto proteso a illustrare un “modello che ha formato tanti e ha dato frutti” (p.205): ”vero giornale educativo da presentarsi come tale ai genitori, agli insegnanti, alla più vasta opinione pubblica”, inteso “allo sviluppo integrale e unitario del ragazzo in tutto l’ambito della vita umana sensibile, spirituale, intellettuale e morale, individuale, domestica e sociale” (p.212). Il settimanale nasce dal cuore della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC), dal cuore del Movimento Aspiranti, si nutre del pensiero cristiano e di una spiritualità fervida e attiva. Vuole contribuire a fare del ragazzo un ragazzo “forte, lieto, leale e generoso”. Una ”delle principali imprese culturali dei cattolici italiani del Novecento. Cultura nel senso proprio e nobile del termine”. Così scrive Marco tarquinio, direttore di “Avvenire”, nella Prefazione a L’Italia del “Vittorioso”. E aggiunge: ”Univa, non divideva. Convocava, non separava. Aveva la pretesa, e la genialità, di parlare a tutti. Proprio quello che, ne sono convinto, siamo chiamati a fare
oggi. Insieme, ma con i nostri diversi talenti, con gli strumenti che abbiamo già e con quelli che sapremo darci”. La nascita del periodico è preceduta da un dibattito che investe pedagogia, psicologia, costume, situazione sociale. E il dibattito accompagna lo sviluppo del “Vittorioso”. Mons. Federico Sargolini ricorda che “Il Vittorioso” “non è una seconda edizione de ‘L’Aspirante’; non contiene prediche o racconti edificanti”. E, riportando il pensiero di un “insigne religioso della Compagnia di Gesù”, aggiunge: non si renda Il Vittorioso “troppo… educativo. Occorre per fare veramente del bene e molto, che il carattere educativo si mantenga, direi, latente: sia come una pioggerella fine fine, che ha il vantaggio di imbevere molto più profondamente e quasi insensibilmente il terreno” (p.134). Robusto e articolato il discorso sul “fumetto”, sul linguaggio del fumetto, sul suo carattere. Indagini scientifiche (come quella promossa dal prof. Quadrio, direttore dell’Istituto di Filmologia dell’Università Cattolica) rivelano, nei primi anni sessanta, che “la lettura dei fumetti è un fenomeno di così ampia estensione da ‘costituire una tipica caratteristica della nostra società’“(p.283). Ricordare quanti - educatori, sociologi, semiologi, artisti, scrittori - partecipano al dibattito significa aiutarne la comprensione. Non tutti sono favorevoli: si pensi a Luigi Santucci, autore di saggi, compilati in anni diversi e raccolti in La letteratura infantile, che “esprime una critica radicale” e lamenta il fiorire di pubblicazioni destinate all’infanzia, frutto di speculazione dilagante e per niente preoccupate dal punto di vista pedagogico (p.253). Santucci “è preoccupato che la diffusione del fumetto porti o contribuisca a portare a una sorta di morte della parola” (p.254). Landolfi, sulla scia di
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Francesco Pistoia
Hugo Pratt, parla di letteratura disegnata e propone ed esegue la riduzione di non pochi classici. Preziosi segnala l’attenzione che ai fumetti riserva, in altro ambito culturale, Elio Vittorini. Il settimanale punta sul fumetto, ”sceglie però di non utilizzare fumetti stranieri” (con qualche deroga: Il Crociato Nero): un antiamericanismo che si differenzia da quello del regime (p.300). È una scuola di disegnatori e di autori,tra i quali: Jacovitti, Craveri, Caesar, Zeccara..., Sciotti, tosi, Peroni, Cassone, Volpi… Caratelli, Quintavalle (vedere in Appendice l’indice degli Autori del “Vittorioso” dal 1937 al 1966). Il settimanale tratta argomenti la cui conoscenza è utile all’educazione dei ragazzi: attualità, società, scuola, lettura, storia, politica, chiesa, sport… Libro di storia, il lavoro di Preziosi: e dunque il “Vittorioso” è colto in un contesto ampio: riferimenti a Il Pioniere e all’associazione di stampo marxista che lo crea e lo sostiene e lo diffonde; a Topolino, al Corriere dei piccoli, al Giornalino, all’Intrepido… e poi a L’Uomo mascherato, a Mandrake, a Diabolik… a Linus, che nasce nel 1965, mensile che “presenta fumetti di alta qualità artistica, accompagnati da interventi e note critiche” (p.281). Si distingue dai periodici del Regime. “È un unicum in cui la confezione del prodotto editoriale si avvale di continue sollecitazioni che sorgono da una pedagogia sperimentata sul campo” (p.131). Un fenomeno nuovo: ”una stampa per ragazzi diffusa dagli stessi ragazzi”, apostoli della “buona stampa” (p.121). Redattori non dimentichi del “monito del filosofo pagano: maxima debetur puero reverentia” e dell’invettiva “del mite Messia contro coloro che scandalizzano i piccoli” (132): così si risponde a oppositori e detrattori. Il Vittorioso conclude la sua avventura
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nel 1966. Nel 1963 nasce, sulle ceneri di S. Antonio e i fanciulli, inserto del Messaggero di S. Antonio” dal 1922, il Messaggero dei ragazzi: i suoi 50 anni sono celebrati con una magnifica mostra alla Basilica del Santo in Padova e con altre utili iniziative (si pensi al sito “meraweb.it). Un altro giornale per ragazzi, che ha svolto e continua a svolgere un ruolo importante sul piano dell’educazione, dell’educazione alla lettura, del dialogo (si pensi alla “Posta di fra Simplicio”), della cultura: con i suoi articoli, con le pagine dedicate all’attualità e al costume, con i racconti, i fumetti, i giochi. tutto ispirato da valori non effimeri: famiglia, amicizia, solidarietà, pace, bellezza… Un mondo di valori di cui il mondo ha bisogno. Direttore attuale: Riccardo Giacon. Il ricco Indice dei nomi, che riempie le ultime pagine del libro di Preziosi, aiuta il lettore più esigente a leggere tale libro con la sensibilità e l’intelligenza dello storico: comincia con Giovanni Acquaderni, termina con Guglielmo Zucconi, passando attraverso Armida Barelli, Piero Bargellini, Gino Bartali, Luigi Bertelli (Vampa), Gian Luigi Bonelli, Carlo Carretto, Benedetto Croce, Umberto Eco, Vittorio De Sica, Giuseppe Fanciulli, Zaccaria Negroni, Luigi Gedda… Scrittori, illustratori, figure del cattolicesimo, politici di tutte le tendenze. Un omaggio alla fantasia e all’avventura e all’infanzia si trasforma in un invito alla lettura attenta di pensieri parole immagini e gesti di cui uomini e donne si nutrono e che dunque la storiografia - specie quella dedita alla storia della spiritualità - non ignora e non può ignorare. Francesco Pistoia
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MARtINE BROCHARD, I miracoli esistono solo per quelli che ci credono, La Fontana di Siloe, 2013, pagg. 108, e 12,00.
Martine Brochard è un noto personaggio del mondo dello spettacolo e della letteratura per ragazzi. Nata a Parigi nel 1946, ma trasferitasi presto in Italia, ha studiato prima danza classica, poi quella moderna esibendosi in molte tournée in tutta Europa. Fin da giovanissima ha pure lavorato per la televisione, il teatro e il cinema dove ha debuttato in Baci rubati (1968) di François truffaut, interpretando quindi, soprattutto per il pubblico italiano, molti film e fiction anche del genere osé. Ha inoltre pubblicato due raccolte di racconti per ragazzi: La gallina blu e altri racconti e Zaffiretto il vampiretto e altri racconti, edite da Mursia. Intervistata per la Radio Vaticana dall’attore e regista Rosario tronnolone nel giugno 2013, la Brochard ha raccontato la sua straordinaria avventura di fede da quando nel 2003, all’apice della sua carriera, scopre di essere malata di leucemia. L’intervista è come la sintesi di quanto esposto più compiutamente nel presente libro autobiografico che rappresenta un’autentica, “miracolosa” rottura con il passato con il quale, in una fede ritrovata, la Brochard sembra non avere ormai più nulla a che fare. Quasi idea-guida nell’interpretazione dell’intera vicenda, la Brochard riporta in prima pagina una frase dell’anarchico-spiritualista-eclettico attore e regista cileno Alejandro Jodorowsky: “Una goccia del sangue di Cristo nel tuo cuore dissolve tutti gli altri sentimenti”, idea certo assai meglio espressa nell’inno Adoro te devote a proposito del sangue di Cristo: “… cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere ...” (… del quale una sola
goccia può salvare il mondo intero da ogni peccato). È alla santa Eucaristia infatti che la scrittrice farà sempre più riferimento nel corso della narrazione come ad una essenziale àncora di salvezza in mezzo alle tempeste spirituali provocate dalla malattia. Vivendo in un mondo di artisti, non c’è molto da meravigliarsi se proprio in apertura del libro essa abbia voluto citare un “collega” non proprio ortodosso come lei apparirà invece, pagina dopo pagina, con molta evidenza. Il titolo del libro non deve dunque trarre in inganno. Non si parla assolutamente di miracoli nel senso comune del termine. Il grande miracolo sotteso a tutta la narrazione autobiografica riguarderà proprio se stessa e apparirà chiaro solo al termine della lettura. Quello che meraviglia è che questo si verifichi proprio in una persona appartenente a un mondo di per sé e sovente assai frivolo e leggero. Anche il marito infatti era attore e così il figlio attore e regista cinematografico e tanti amici che le stettero vicino nei momenti più brutti della malattia. Il padre invece era soprattutto un letterato ed autore di poesie cui la scrittrice farà frequenti riferimenti nel corso della narrazione. Questa, dopo brevi cenni all’ambiente familiare, agli anni della formazione e delle prime esperienze artistico-professionali, prende soprattutto il via dal momento della scoperta della malattia. È qui che incomincia ad affiorare dall’animo di Martine tutto un bagaglio di convinzioni religiose che si erano radicate un po’ alla volta in lei fin dagli anni dell’infanzia ma che solo ora, dopo un periodo di normale assopimento quando tutto sorride nella vita, sembrano risvegliarsi come d’incanto. tutto questo è ben anticipato in tre introduzioni al libro ad opera di due
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Raffaele Norti
sacerdoti e di un’amica. tutti concordi nel riconoscere in Martine “una invitta capacità d’amare”, una sposa e madre di fede in cui parallelamente alla manifestazione della malattia “esplode l’amore di Dio e del prossimo” nelle due dimensioni verticale ed orizzontale. Frutto di una “volontà indomita”, da Martine promana “una luce interiore” che ha la sua origine nell’incontro ritrovato ed alimentato con Gesù Eucaristia. Nell’offerta fiduciosa di se stessa a Dio essa trova una forza che diventa pure positivamente contagiosa per le persone che le vivono accanto. Ma le sofferenze di Martine sembravano non avere limiti anche al di là della sua malattia. Prima la prematura scomparsa di sua madre a soli 48 anni da cui la sofferta decisione, per tentare di “dimenticare” gli affetti e le raccomandazioni materne, di abbandonare non solo la danza classica per darsi a quella più moderna, ma di allontanarsi addirittura da Parigi, dove tutto le parlava dei primi affetti familiari, trovando nella lontana e famosa Piazza di Spagna a Roma una sua prima dimora in Italia. In seguito, già preoccupatissima per la malattia che la obbligava a incessanti cure da un ospedale all’altro, ecco scoppiare “la bomba” della malattia improvvisa del marito che la costringerà a capovolgere i compiti. Adesso sarà lei, gravemente ammalata, a doversi prendere cura del marito che accompagnerà con coraggio ed amorevolezza, in un periodo di tempo relativamente breve, alla fine esemplarmente “cristiana” dei suoi giorni. Chi aiuterà molto Martine a superare felicemente le prove della malattia e a trovare pure un potente sostegno morale saranno due categorie di “professionisti” che, pur nei diversi compiti, accomuna sullo stesso piano: medici e sacer-
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doti, distinguendo decisamente fra quelli che “amano” e quelli che “non amano”. Dovendo sovente ricorrere a loro per tante sue necessità materiali e spirituali, Martine riconosce, ringraziando Dio, di essersi sempre imbattuta in persone eccellenti sia come professionisti, ma ancor più per umanità. Afferma infatti chiaramente che ci sono dottori e anche sacerdoti che fanno egregiamente il loro lavoro, ma quasi d’ufficio, come semplici impiegati, senza entrare in un rapporto personale e profondo con i malati, mentre altri sanno dare a questi la sensazione di sentirsi veramente amati, riuscendo così a stabilire una collaborazione reciproca con grande vantaggio nella cura del corpo come in quella dello spirito. In particolare Martine avrà un ricordo riconoscente per un dottore della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, dove per le cure chemioterapiche sarà quasi di casa, che di fronte alle sue perplessità le disse un giorno: “I miracoli esistono solo per quelli che ci credono”, frase che le si scolpì a tal punto nel cuore da volerla mettere come titolo al suo libro. Nel raccontare i tanti momenti bui della vita di malata, oltre a una grande fede la sosterrà un’altra dimensione della sua personalità: quella di letterata autrice di favole per ragazzi. La naturale inclinazione a evadere dalla realtà per rifugiarsi in un altro mondo dove tutto appare bello e fantastico la guiderà a considerare la vita stessa quasi come una fiaba o un sogno da cui sempre, anche quando essi si presentano paurosi, è possibile risvegliarsi per ritrovare una realtà più dolce e accogliente. L’autobiografia appare così come un alternarsi di episodi della vita della scrittrice con composizioni poetiche o in
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prosa, a volte integralmente riportate, sia di suo padre come di lei stessa o del marito commediografo. Per esempio nella poesia Obsession, scritta dal padre un anno dopo la morte della moglie: Je te revois dans une nuage… di cui la figlia a propria consolazione si appropria. E ancora in Regrets in cui lamenta, come nel caso della madre, la prematura scomparsa del marito. A sottolineare il fortissimo legame col marito, uomo di fede con cui visse un felice matrimonio trentennale e che la metterà anche a contatto con sacerdoti artisti e illuminati come il gesuita Padre Valentino Davanzati, Martine riporta pure ampi stralci di commedie del marito rappresentate con successo in tutta Italia: L’amante di Lady Chatterley, Caravaggio, Charles (de Foucauld) del divino amore… di cui recita spesso la preghiera Mon Père, je m’abandonne à toi, ogni volta che a Parigi visita una cappella a lui dedicata nella chiesa di Sant’Agostino vicino alla Madeleine. In mezzo a tante traversie, Martine riesce anche a conservare il buon umore e a fare persino dell’autoironia come quando una volta, appena uscita da una seduta alla Casa Sollievo della Sofferenza, inciampa su un marciapiede sconnesso fratturandosi un femore. Subito rientrata per l’inatteso intervento nello stesso ospedale, confessa che non sapeva se ridere o piangere di fronte a questa nuova disavventura. troverà conforto ai piedi dell’urna con le spoglie di San Pio di Pietrelcina dove si soffermerà più volte in preghiera e meditazione. E una risposta dal Cielo Martine si convinse di averla più volte ricevuta, quasi a premio per la sua affannosa ricerca dell’Assoluto, trovandovi molta consolazione. Per lei, e solo per lei, si trattava di piccoli ma autentici miracoli, come quando un improvviso raggio di sole la
illumina mentre sulla tomba del marito, sotto un cielo plumbeo, chiede a Dio dove egli si trovi. E appena due giorni dopo, quasi impossibile a credersi, ecco su un angolo della medesima tomba un nido d’uccello con tre piccole uova, per la scrittrice segno inequivocabile che la vita, la vera vita, continua oltre la morte. Infine quando, angosciata per le sorti del marito, contempla una Madonnina incastonata sulla facciata della chiesa di San Giovanni Battista al suo paese di Morlupo (Roma) chiedendole di aiutarla, ha la netta sensazione che essa si giri verso di lei guardandola e facendola scoppiare in un pianto liberatorio. Da quanto finora esposto risulta ormai evidente che in parallelo allo sviluppo della malattia la dimensione spirituale della vita di Martine andava via via rinvigorendosi perché illuminata sulle grandi realtà esistenziali dalla grazia, alimentata dalla frequenza assidua dei sacramenti, e pure da interessi per alcuni grandi testimoni della fede come San Francesco, Charles de Foucauld, Madre teresa, San Pio da Pietrelcina o anche di altre sponde come Martin Luther King, Victor Hugo… Il figlio della scrittrice era ben consapevole del travaglio interiore della madre, ne era intimamente toccato ed ammirato per la pace crescente che essa lasciava trasparire in chiunque l’avvicinasse, fino ad uscire un giorno in una spontanea esclamazione: “Sono fiero di essere tuo figlio!”, testimonianza questa che riscalderà tanto il cuore alla madre. Nel raccontare le sue peripezie la scrittrice usa sempre toni semplici che coinvolgono il lettore. Il discorso sulle drammatiche vicende personali è alternato, come detto, da poesie del padre, da stralci delle commedie del marito e da alcune fiabe di sua composizione utili a sottolineare i particolari stati
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d’animo attraversati nelle diverse, difficili esperienze. Un lettore attento non potrà non interrogarsi sulle a volte incomprensibili realtà della vita, trovando forse la chiave per saperle affrontare e superare nel migliore dei modi. È questo il miracolo accessibile a tutti o meglio solo a chi sa porsi nella vita, comunque sia la situazione di partenza, in un atteggiamento di fede. Raffaele Norti
AA.VV. (sous la direction de Michela Marzano), Dictionnaire de la violence, Presses Universitaires de France, 2011, pp. 1568. e 39,00.
L’esordio non lascia spazio a fraintendimenti : «se c’è un tema che oggi stimola il dibattito pubblico, sia in filosofia che in altre scienze umane e sociali, è la violenza. Lo scopo di questo dizionario consiste nel fornire tutti gli strumenti necessari per identificare le radici storiche, le manifestazioni a noi contemporanee ed i significati profondi della violenza.” Coordinati da Michela Marzano, professoressa di Filosofia all’Università di Parigi/Descartes, autrice di numerosi studi sociologici, etici e psicologici in lingua francese ed italiana, duecento autori, fra i quali si annoverano filosofi, sociologi, giuristi, psicanalisti, storici, teologi ed antropologi, si cimentano nell’analisi di trecento differenti temi, disegnando una poderosa cartografia di concetti strutturali, degli uomini di pensiero e dell’arte, dei riferimenti ed attività riguardanti la violenza presente nel cuore della natura umana e del nostro tempo. La sintesi iniziale prosegue indicando le questioni di fondo che premono particolarmente all’opera: “E’ possibile identi-
ficare lo specifico della violenza umana? In che misura la natura umana è un elemento pertinente, quando si vuole riflettere sulla violenza? Sarà mai possibile sradicare in futuro la violenza dalla società o dovremo accettare questa ambivalenza intrinseca agli esseri umani, sottoposti a pulsioni contraddittorie, al punto da rendere loro impossibile d’essere stabilmente e totalmente buoni o stabilmente e totalmente cattivi?” E soggiunge: “Parlare della violenza impone di affrontare i temi della relazione e dell’esistenza, spingere l’analisi su pratiche sociali complesse che vanno dall’apartheid alla tortura, dall’automutilazione alla violenza sessuale, dal colonialismo al terrorismo, affrontare gli ambiti della sessualità e dell’inconscio, i motivi soggiacenti alle azioni ed all’incesto, il tema del lavoro come quello della morte. Tutti questi temi, così differenti fra loro, sono affrontati in quest’opera in modo da costituire un’analisi globale e totalmente nuova dell’oggetto “violenza”. Ma per il fatto che l’essere umano è in continua evoluzione ed è sospinto, provocato, determinato in modo rilevante dalle mille necessità tipiche di una società in fibrillazione, le pulsioni che inevitabilmente generano il ricorso ad atti di violenza si acutizzano e divengono veri e propri sistemi di comportamento, facenti riferimento a grammatiche e sintassi mentali individuali e sociali di difficile e cangiante interpretazione. “La violenza è ovunque – commenta Michela Marzano nell’“avant-propos” – accompagna la nostra esistenza ed è parte integrante dei linguaggi con cui si esprime il nostro essere al mondo. Nello stesso tempo, le sue concettualizzazioni rimangono assai rapsodiche e l’oggetto “violenza” è sempre di più coniugato da linguaggi estremamente differenti”. In questo preciso senso, il “Dictionnaire de la violence” si prefigge un gigantesco itinerario enciclopedico, di sicura
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ed aggiornatissima consistenza scientifica, a disposizione di studiosi, educatori e ricercatori, sociologi ed antropologi, politici, tecnici del diritto e dell’economia, operatori di pace e di relazioni ad ogni livello. Un’opera significativa, utile, incoraggiante e preziosa, nata dalla collaborazione di eminenti studiosi ed esperti, sotto la prestigiosa direzione della nostra Dott.ssa Marzano, attuale Direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali della Sorbona, collaboratrice di “Repubblica” ed eletta nel 2013 deputato del Parlamento Italiano. A quando una buona ed utilissima traduzione italiana? Franco Savoldi
1 Nasce a Sursee, in Svizzera nel 1928. Consegue la Maturità a Lucerna e si iscrive al Pontificium Collegium Germanicum et Hungaricum di Roma. Studia filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana fino all’ordinazione sacerdotale (1954), concludendo il dottorato in teologia all’Institut Catholique di Parigi nel 1957. Professore Ordinario di teologia fondamentale e poi di teologia dogmatica ed ecumenica a tubinga, fonda l’Istituto per la Ricerca ecumenica. tra il 1962 ed il 1965 è consulente teologico al Concilio Vaticano II°. Attualmente è presidente della Fondazione Ethos Mondiale, che promuove a livello internazionale il consenso tra le religioni in base di un nucleo etico comune. Fra i suoi principali scritti figurano: La giustificazione, 1957; la Chiesa, 1967; Essere cristiani, 1976; Infallibile? Una domanda. (1970); Dio esiste?, 1978; Vita eterna?, 1982; Cristianesimo e religioni universali, 1984; Progetto per un’etica mondiale, 1990; Ebraismo, 1991; Cristianesimo, 1994; Islam, 2004; La mia battaglia per la libertà, 2002; Ricerca delle tracce. Le religioni universali in cammino, 2003; Perché un’etica mondiale? Religione ed etica in tempi di globalizzazione, 2004; l’inizio di tutte le cose, 2005; Scontro di civiltà ed etica globale. Globalizzazione, religioni, valori universali e pace, 2005; La donna nel cristianesimo, 2005; L’intellettuale nell’Islam, 2005; Il dialogo obbligato. Interviste e scrit-
HANS KÜNG, Tornare a Gesù, Rizzoli, 2013, pp. 247. e 21,00.
Ogni qual volta Hans Küng appare in libreria con un nuovo studio, suscita da molti anni, fortunatamente, una salutare fibrillazione: chi lo detesta evita di contaminare le proprie ortodosse convinzioni e scuote la testa; chi lo rispetta e segue con regolarità da molti anni, leggendo con intento critico positivo le sue argomentazioni ne trae ogni volta grandi ammaestramenti. Gli estensori di questa recensione appartengono al secondo gruppo citato e perciò, con piacere, invitano alla lettura di questo nuovo volume, forse il testamento spirituale di quest’inestimabile e paziente teologo contemporaneo.1 Contestare ad Hans Küng la statura, la dignità e passione di teologo e filosofo cristiano appare oggi sempre di più un errore di arrogante miopia culturale, ancora comunque perpetrata e raccomandata da chi vorrebbe una Chiesa inossidabile, arroccata e perciò sempre più incomprensibile al mondo. Contro di lui e molti altri pensatori, manipolanti su Islam, Occidente e sul nuovo papato, 2006; Con Cristo e con Marx. Cristianesimo e liberazione degli ultimi, 2007; La dignità della morte. Tesi sull’eutanasia, 2007; Dalla nascita del mondo alla morte di Gesù, 2009; Morir con dignidad, 2010; Ciò che credo, 2011; Onestà, 2011; Salviamo la Chiesa, 2012; Musica e religione, rist. 2012; Tornare a Gesù, 2013. Il 18 dicembre 1979, la Congregazione per la dottrina della fede, sotto il Prefetto Card. Šeper, gli negò l’autorizzazione all’insegnamento della teologia cattolica, irrevocata per tutta la prefettura del Card. Ratzinger (1981-2005), del Card. Levada (2005-2012) e del Card. Müller (dal 2 luglio 2012), ma ciò non riuscì fortunatamente a interrompere l’impegno culturale di Küng, dal 1996 professore emerito di tubinga, fedele al proprio impegno sacerdotale e vigile, profetico interprete del difficile rapporto della Chiesa con la modernità.
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Franco Savoldi
done ampiamente e disinvoltamente il pensiero, è stato detto di tutto in nome di una spasmodica difesa dell’ortodossia che, ossessionata da un canto dalla fedeltà al “depositum fidei”, e dall’altro da paventati, onnipresenti e spesso artificiosi rischi di escalation connessi al rinnovamento, ha agito mortificando, ostacolando, diffidando e infine apertamente perseguitando il coraggio della ricerca delle molte teologie e cristologie contemporanee.2 Küng scelse, come è riportato in quarto di copertina di una sua singolare opera autobiografica,3 di lottare per la libertà e ricusare comodi e vantaggiosi adeguamenti, di difendere la verità delle cose contro ogni forma di compromesso. Grazie a Dio, che probabilmente sorride delle nostre complicazioni ideologiche, i tempi sembrano rasserenarsi e lo spazio per la ricerca teologica sembra dilatarsi e accreditarsi più facilmente. tutti i lettori di attualità ricordano la meraviglia suscitata da Benedetto XVI iniziando la pubblicazione dei propri scritti su Gesù, con l’auspicio e l’invito, tanto più autorevole e gradito quanto umile e non cattedratico, che i suoi scritti potessero suscitare integrazioni ed ulteriori approfondimenti. Il Papa che, parlando di Gesù Cristo, appariva necessariamente munito del presupposto aprioristico dell’infallibilità, in sostanza diceva: “Io ho incontrato questo Gesù e ve lo presento così come onestamente mi sembra di averlo capito”. tale apertura al dialogo non poteva andare al di là di una certa misura, ovviamente, se si pensa che l’estensore dei testi era nientemeno che il più recente Prefetto della Cfr. p. 290. HANS KÜNG, La mia battaglia per la libertà. Memorie, Diabasis, 2008. 2 3
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Congregazione per la dottrina della fede. E infatti, nonostante interessanti primizie esegetiche disseminate nei testi, la persona di Gesù viene presentata in modo scrupolosamente dogmatico. Il Papa, pur possedendo una solidissima cultura dottrinale ed altissima perspicacia argomentativa sa di non poter uscire per ora da questi orizzonti. Forse per questo, sollecita critiche e pareri da parte di chiunque voglia dialogare con lui su Gesù Cristo. Al Pontefice spetta fare una proposta, ad altri, secondo le indicazioni misteriose dello Spirito Santo, il compito di parlare nuove lingue. Küng risponde a questa richiesta, con maggiore libertà, senza scegliere di commentare o integrare Ratzinger perché le due letture teologiche non si ispirano al medesimo metodo e sarebbe inutile, forse dannoso cercare di integrarle. L’oggetto ed il metodo della ricerca.
Hans Küng fa la stessa offerta di Ratzinger: “Ecco che cosa so e chi è per me Gesù, il Cristo ucciso dagli uomini e risuscitato da Dio, il vivente, la rivelazione di Dio, Parola, Immagine e Figlio di Dio.”4 Siamo di fronte a due campioni dell’interpretazione cristiana, due letture differenti, due esperienze di indubitabile e consumata competenza: la sfida va accettata e portata fino in fondo per coglierne tutta la forza e la ricchezza. Senza mezzi termini, Hans Küng, ricordando come il collega Ratzinger, negli anni di tubinga, “nella sua “Intro-
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Cfr. p. 288. Cfr. pp. 10-11.
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duzione al cristianesimo” aveva offerto un’immagine polemica e caricaturale della moderna ricerca storica su Gesù, mentre io accettai senza esitazioni di misurarmi con l’esegesi storico-critica e concepii “Essere cristiani” attenendomi strettamente ai risultati accertati dallo studio critico del Nuovo Testamento”, crea immediatamente una distanza cautelativa aggiungendo: “Nonostante le belle parole nei confronti del metodo storico-critico, Ratzinger ne ha invece ignorato i risultati scomodi per la dogmatica, nascondendoli abilmente sotto citazioni dei Padri della Chiesa e della Liturgia”. La contrapposizione metodologica ed esegetica si accentua ancora di più nelle parole: “(Ratzinger, con) la sua immagine “dall’alto” di Gesù, trae decisamente ispirazione dal dogma dei concili ellenistici del IV e V secolo e dalla teologia di Agostino e Bonaventura. Egli interpreta – non senza circoli viziosi – i Vangeli sinottici partendo dal Vangelo di Giovanni e quest’ultimo a sua volta nel senso del Concilio di Nicea (325) che io invece, giudico rispetto al Nuovo Testamento. In questo modo egli (Ratzinger) presenta un’immagine di Gesù fortemente divinizzata mentre io elaboro il Gesù storico e il suo drammatico conflitto di fondo con la gerarchia e la devozione farisaica. Con tutte le conseguenze.”5 La sfida è lanciata, il lettore è avvertito che non si tratterà di una distensiva passeggiata o di mere integrazioni, ma di una lettura di Gesù completamente differente: “Chi cerca nel Nuovo testamento il Cristo del dogma, legga Ratzinger; chi cerca il Gesù della storia e dell’annuncio protocristiano, legga Küng. È questo il Gesù che, oggi come allora, sconcerta gli uomini,
stimola a prendere posizione, colui del quale non ci si può limitare a prendere atto.”6 Questa è la prospettiva secondo cui Küng narra Gesù il Cristo di Dio, da riscoprire nella storia e nell’annuncio protocristiano, anche a costo di sconcertanti affermazioni prodotte dagli studi esegetici più avanzati. Entrando nell’opera specifica.
Con una dotta, meticolosa parte introduttiva che occupa per 110 pagine i primi due capitoli, il lettore è direttamente chiamato a due riflessioni di base: chi fu realmente, storicamente Gesù di Nazaret, personaggio che, nonostante ogni avversità ed il fallimento umano “resta pur sempre per innumerevoli uomini la figura più affascinante – sotto molti punti di vista inconsueta e incomprensibile – della lunga storia dell’umanità? Speranza per rivoluzionari ed evoluzionisti, Egli seduce intellettuali ed anti-intellettuali. Stimolo per i capaci e gli incapaci, Egli è per i teologi, ma anche per atei, un invito sempre nuovo alla riflessione. Per le Chiese è occasione di una costante verifica critica: ne rappresentano la tomba o una testimonianza vivente? Ed è poi un irradiarsi ecumenico al di là di tutte le Chiese, fin dentro il giudaismo e le altre religioni”.7 Gesù di Nazaret non è un mito, ma una persona storica ben determinata e documentata,8 anche se permangono taluni elementi incerti sul luogo preciso di origine, l’anno preciso della nascita e, di conseguenza, l’anno preciso della sua morte.9 Un nuovo capitolo, il secondo, è dedicato all’illustrazione del contesto Cfr. p. 27. Cfr. pp. 36-43. 9 Cfr. p. 34-35. 7
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Cfr. p. 12.
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sociale in cui Gesù nacque, visse, insegnò, si espresse, annunciò il Regno di Dio pur all’interno di un orizzonte apocalittico, e fu ucciso. Con i tre capitoli successivi il discorso teologico si impone in modo più evidente, costituendo per il lettore una successione di considerazioni a dir poco affascinanti ed inarrestabili. Qual è il nucleo centrale di Gesù? Per che cosa si impegnò? Che cosa volle veramente? Come interpretare i miracoli narrati dai Vangeli? Come percepire la lotta di Gesù contro la falsità, le sovrastrutture politico-religiose, il legalismo salvifico farisaico, il settarismo, l’emarginazione dei deboli e l’indifferenza verso Dio? Se questi sono i temi definibili sinteticamente: “la causa di Dio”, ve ne sono altri che costituiscono “la causa dell’uomo”: il valore e senso della coscienza, il rispetto della legge, delle tradizioni e delle istituzioni, l’importanza della legge, l’amore per i nemici, il perdono, il servizio, la rinuncia, il sostegno degli svantaggiati, la vita di grazia e la giustificazione dei peccatori, l’avvento del Regno di Dio. Gesù, pietra di scandalo, assimila nella causa di Dio la causa dell’uomo10 corrodendo le basi di tutta intera la teologia e l’ideologia della gerarchia dominante.11 Per questo dovrà pagare, secondo la medesima logica del suo annuncio e del suo comportamento, quella supponente presunzione che lo caratterizza agli occhi degli Scribi e Farisei come maestro di falsità, profeta di menzogne, fanatico ed eretico e quindi pericoloso perturbatore dell’ordine pubblico, sobillatore,
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Cfr p. 201. Cfr. p. 211.
seduttore del popolo.12 Una volta tolto di mezzo, si sarebbe potuto sperare finalmente in un nuovo ordine sociale, devoto alle tradizioni antiche, protetto solidamente dalla Legge. “Sì! – ringhia il Grande Sacerdote al Sinedrio sottomesso – va eliminato!” Conveniva toglierlo di mezzo anche ricorrendo ad ingiusta sentenza, poiché, tutto sommato, era meglio che un solo uomo morisse, piuttosto che un popolo fosse trascinato in avventure dall’esito imprevedibile. Il meccanismo psicosociale del capro espiatorio imponeva ormai che la morte di Gesù di Nazaret fosse ritenuta paradossalmente “la soluzione più utile al bene comune”. E poi, quella irritante autonomia di giudizio, quei continui rimproveri alla classe dirigente, quel dubbio sistematico sulla intangibilità della Legge ed il rischio reale di un proselitismo eversivo giustificava una reazione esemplare. Gioacchino Belli avrebbe sintetizzato con: “Se l’è vorsuta lui: dunque su danno.” Così avvenne, concretamente, realmente, storicamente. Fu la fine catastrofica di un maestro di falsità, abbandonato dagli uomini e da Dio; fu la svalutazione totale della sua condotta e del suo annuncio, un completo fallimento.13 Ma come è stato possibile che proprio da questa morte, sigillo indubitabile all’annullamento di tutto e irrimediabile desolazione che nelle parole dei discepoli di Emmaus risuona con quel: “Noi speravamo…”, si sia generato un movimento storico e religioso di dimensioni universali chiamato cristianesimo? Come si è costituita la fede nella risurrezione? Come interpretare questo “ridesta-
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Cfr. pp. 212-213. Cfr. p. 255.
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re”, “levarsi dal sonno”, questo “risuscitamento” che costituisce il centro della fede cristiana, al punto da indurre molti a dare la vita per non recedere da quel: ”Gesù è il Signore!” che riempie da duemila anni il loro cuore? Küng avverte il lettore: ”Siamo giunti al punto più problematico del nostro discorso su Gesù di Nazaret. Chi finora ci ha seguito e compreso, qui potrebbe arenarsi. Perché questo è anche il punto più problematico della nostra personale esistenza”.14 Küng offre naturalmente delle interpretazioni interessanti sull’argomento, esempio di libertà e sensibilità verso le acquisizioni ed i linguaggi più attuali dell’esegesi, ma più che altro insiste sul fatto che la vera risposta a questi interrogativi non debba essere ricercata nella costruzione dogmatica, quanto nel cammino storico della fede di milioni di persone che ieri, oggi ed in futuro si pongono responsabilmente la domanda: “Che cosa significa o non significa seguire Cristo?, “Che senso dare o non dare all’impegno dell’imitazione della croce di Cristo? Come far parlare il Crocifisso davanti al mistero della sofferenza ed il Risorto davanti alla realtà mortificante della morte?”.15 Ed ancora: Come fare in modo che il “Solus Christus!”, luce che illumina il mondo, via, verità e vita, non sia tuttavia una luce accecante al punto da impedire di cogliere la sua presenza anche nelle molte altre piccole o grandi luci che si accendono nelle religioni, nelle speranze e nelle culture più differenti?16 Come consentire e valorizzare l’opera incessante del Risorto e dello Spirito per suscitare nuove motivazioni, nuove Cfr. p. 253. Cfr. pp. 299-307. 16 Cfr. p. 318. 14 15
disposizioni, nuove azioni, nuovi orizzonti17 che consentano alla fede nel Cristo Gesù di donare pace con Dio e con noi stessi, pur senza scavalcare i problemi del mondo e di rendere “l’uomo veramente umano, in quanto lo persuade ad aprirsi radicalmente all’altro, a chi ha bisogno di lui, al “prossimo”?.18 “tornare a Gesù”: un libro importante, necessario, vigorosamente e pienamente onesto di un teologo che probabilmente, raccontando Gesù come Ratzinger, ma in modo totalmente differente, suggella con questo scritto il proprio testamento teologico e spirituale. Buona lettura. F. Savoldi - G. Guarisco
JIJÉ, Don Bosco, Nona Arte, Milano 2013, pp. 112. e 16,90.
La vita di don Bosco (1815-1888) dalla nascita alla morte. Un’avventura. Una grande avventura. Biografia di un eroe della Provvidenza. Genitori poveri,ma ricchi di fede. Un contesto disagiato,ma illuminato dal messaggio evangelico. Situazioni difficili da gestire: movimenti risorgimentali, anticlericali, attraversati da pesanti interferenze massoniche. Aggregazioni massoniche attraversate da vibrazioni “mafiose”. Contro don Bosco si organizzano attentati, insidie, violenze: sino a commissionare l’omicidio. Don Bosco tira diritto. Sostenuto dalla fiducia nella Provvidenza procede nella sua opera missionaria intesa a predicare la pace, a sostenere poveri ed emarginati, a togliere i ragazzi dalla strada e da possibili atti delinquenziali. Un progetto orga-
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Cfr. p. 322. Cfr. p. 324.
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Francesco Pistoia
nico di evangelizzazione e di riscatto, che richiama tanti momenti della sua gioventù, fatta di stenti, di lavoro, di studi e di letture: un patrimonio di esperienze al servizio del prossimo. Educa i giovani e scrive per loro: vuole che siano buoni cristiani e buoni cittadini e lavoratori impegnati e onesti. Un combattente instancabile, pronto al dialogo con uomini che vanno sempre amati anche se in errore e con istituzioni che vanno sempre rispettate. Un educatore dall’azione efficace, uno scrittore di opere semplici e significative. Ha molti nemici, che sono i nemici di Dio, della religione, della Chiesa, ma riscuote consenso, stima, ammirazione. E nel giugno 1929 verrà proclamato beato (e canonizzato solennemente il primo di aprile del 1934). È il don Bosco di Joseph Gillain (1914-1980), conosciuto come Jijé, artista geniale, tra i grandi autori della letteratura disegnata, protagonista della scuola franco-belga. Il racconto appare prima a puntate sulle pagine di “Spirou” dall’aprile 1941. Ripensato, rielaborato, anche in seguito a un viaggio dell’Autore in Italia nei luoghi del Fondatore dei Salesiani, per il settimanale “Le Moustique”. La biografia, ora resa disponibile per la prima volta in Italiano (anche in formato digitale) dalle benemerite Edizioni ReNoir, risale all’edizione definitiva: a distanza di 70 anni conserva freschezza di immagine e di linguaggio. Non un’opera di devozione, un’opera d’arte ispirata da intensa spiritualità cristiana. 106 tavole di straordinaria incisività, dall’impatto efficace sul piano educativo, accompagnate da testi essenziali lineari e chiari. Sotto la sua matita, si legge nella Nota di Premessa, Don Bosco diviene “un moderno eroe, popolare e cristiano”: don Bosco “innovatore, ottimista e decisamente antiborghese, è
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dotato – proprio come i valorosi personaggi dei fumetti – di una plasticità che gli consente di adattarsi ai cambiamenti storici, e talvolta anticiparli, senza rinunciare a una sana parte di follia”. Va segnalata l’Introduzione di Roberto Alessandrini, che racconta la storia del volume, il successo e l’accoglienza (traduzione negli Stati Uniti e in Vietnam). Ne spiega lo stile. Un discorso inteso a far rivivere, anche attraverso opportune note esplicative, momenti di storia della “nona arte” e tratti delle intime implicazioni pedagogiche, religiose, estetiche. Il racconto va bene per la scuola secondaria di primo grado e anche per il primo biennio. Per i docenti di religione, ma soprattutto per i docenti di italiano e per i docenti di storia, che potranno evidenziare valenza estetica e di-mensione sociale dell’impegno di don Bosco. Francesco Pistoia
J.M. COEtZEE, Gesù e Don Chisciotte, Einaudi, 2013, pp. 249. e 20,00.
Dopo i bellissimi “Vergogna” e “Aspettando i barbari”, cui sono seguite prove, forse, meno significative, lo scrittore sud-africano J. M. Coetzee (Nobel 2003), uno dei più interessanti autori dell’ultimo ventennio, si impone nuovamente all’attenzione di pubblico e critica con un romanzo unico e sorprendente, destinato a far riflettere, probabilmente discutere (è un bene), sicuramente a lasciare un segno. Ne “L’infanzia di Gesù” (Einaudi, 2013) un bambino di nome David ed un uomo, Simòn, che per l’intera vicenda sconterà il dramma di non essere suo padre ma di amarlo come tale, approdano in un “non luogo” – dove nessuno ha memoria del
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proprio passato, prospettiva di futuro e, alla fine, nemmeno consapevolezza del presente, che solo alcuni tentano di decifrare – per cercare la Madre del piccolo che, al momento opportuno, saprà riconoscerlo. Unica concessione alla decifrabilità geografica di uno spazio che rimanda a Beckett più che all’amato Kafka e, comunque, ad Orwell e al McCarthy de “La strada” (questo anche per il rapporto padre/figlio), l’identità spagnola del linguaggio, della toponomastica e del fondamentale riferimento letterario che percorre l’intero libro: ancora lui, Don Chisciotte, modernissimo anti-eroe, enigmatica, indimenticata presenza della “Scena perduta” di Yehoshua, mito caro a tanta narrativa contemporanea. Precisiamo subito che David è Gesù tanto quanto Leopold Bloom è Ulisse: riconoscere nello svolgersi della trama epifanie/anticipazioni della vita del Salvatore è possibile, certo complesso (alcuni riferimenti, peraltro, alle nozze di Cana, alla Resurrezione, al miracolo del paralitico, al viaggio verso Betlemme sono molto chiari) come riconoscere nel testo joyciano le tappe del viaggio di Odisseo. Probabilmente superfluo, ed è questo il punto. Anche (credere di) intravedere nei maestri del piccolo David i Dottori della Legge – e nella scuola il tempio, con le sue ipocrisie ed i suoi divieti – nell’ambiguo, fascinoso Daga Satana e nella splendida figura di Simòn, che vive di amore e abnegazione, S. Giuseppe (straordinario e vincente, non solo narratologicamente, su Inés-Maria… aperto il dibattito!), non aggiunge fascino e suggestione all’Infanzia di Gesù che costituisce, al di là di tutto, un profondo e radicale atto di fiducia nel domani, affidato al più bel ritratto di adolescente dopo l’indimenticabile Oskar di “Molto forte, incredibilmente vicino”. David che chiede sempre “cos’è?” e risponde alle
domande con “perché?”, David che vuole donare il suo respiro a chi muore, accoglie l’amicizia degli emarginati e crede che la pioggia sia il sospiro del cielo, non accetta i maestri e fugge da scuola ma conosce il segreto dei numeri e delle parole, David che – dolcissimo e insieme irriducibile sino all’irascibilità – ama Don Chisciotte, Cristo incompreso e deriso (e qui lo scrittore rielabora felicemente la discussa ipotesi critica di Miguel de Unamuno sul cavaliere errante “incarnazione ultima del volto di Gesù”1), bene, questo David è fra noi, con il suo messaggio scomodo e le sue richieste ineludibili. Solo chi saprà ritrovare il senso della vita, sembra volerci comunicare, a costo – o forse solo a patto – di inventarne una nuova, per sé e per gli altri, potrà dire di conoscersi e avere realmente vissuto. Non potevamo attenderci augurio migliore per questo nostro incerto 2014. Marco Camerini
Semi. La nuova collana di narrativa per adolescenti.
Fanno molto pensare i dati comunicati alcuni mesi fa da una monumentale ricerca avviata dall’università americana del Massachusset, e pubblicati dalla rivista Plos One. I ricercatori hanno rilevato che per tutto il Ventesimo secolo, la letteratura ha trasmesso una mole impressionante di messaggi negativi. tanto negativi che si è verificata una drastica e progressiva diminuzione delle parole legate ai sentimenti. Rilevano i ricercatori che l’unico stato d’animo che resiste e che domina nella letteratuMIGUEL DE UNAMUNO, Vita di Don Chisciotte e Sancho Panza, Mondadori, Milano, 2006.
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10 RIV LASALLIANA N 1-2014 D4087_13 pp 127_144_10 RIV LASALLIANA N 1-2014 D4087_13 pp 127_144 25/03/14 09.03 Pagina 143
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ra è la paura e questo è un dato comune ai romanzi, ai racconti e ai films. È inquietante perché l’estremizzazione dei sentimenti comporta un affievolimento della sensibilità. Se dalla letteratura poi passiamo ai media che affollano le nostre giornate di notizie ripetute ossessivamente di quanto di peggio accade nel mondo e solo di quelle, ci rendiamo conto che l’immagine che le varie società offrono di sé, è decisamente avvilente. Questo è terribile per gli adulti, ma lo è molto di più per i ragazzi nel delicato momento in cui sono impegnati a costruire la propria vita. Se non immettiamo anche messaggi positivi, nei quali le classiche virtù morali possano guidare le loro scelte, cos’avremo fatto per loro? Chi si occupa di educazione sa bene che a volte il rinforzo positivo consente di conseguire risultati di molto superiori a quelli che si possono ottenere con i castighi o con le punizioni. Se pensiamo alle tragedie, l’ultima di Lampedusa non è stata la sola di quest’estate, quante volte l’atteggiamento immediato e solidale dei primi soccorritori “per caso” è passato nelle immagini che la televisione ha offerto? Non fa storia, si dice, non fa notizia, la “gente” vuole vedere altro e così i nostri notiziari sono diventati una sorta di bollettino di guerra. Questo non significa offrire ai giovani una immagine zuccherosa e irreale della società. Il crimine, il male esistono sempre, ma quello che le persone di buona volontà devono fare è cercare di coltivare in se stessi e negli altri i semi buoni che ciascuno ha dentro di sé. Diversamente dalle emozioni, infatti, i sentimenti vanno coltivati e fatti crescere attraverso l’esemplificazione e la testimonianza. È vero, nella nostra società ci sono molte cose che non vanno, ci sono per-
sone che trasgrediscono le regole e ogni codice morale, ma ci sono anche tantissime brave persone che vivono con onestà e rispetto per tutti, che attraverso l’esempio della loro vita, trasmettono ai figli un messaggio fondamentale: con la tenacia, la pazienza, la buona volontà, studiando e preparandosi con cura, possiamo affrontare al meglio le difficoltà che la vita ci pone dinanzi. Il problema è che tutti i media non rafforzano affatto il loro impegno. Noi riteniamo che solo attraverso un riequilibrio dei messaggi che si trasmettono, i giovani possano ritrovare la fiducia in se stessi e la speranza nel futuro senza le quali la vita diventa una condanna. Vorremmo trasmettere un sentimento positivo di questo tipo: la vita, la società si possono migliorare se si migliora l’uomo. Siamo perciò partiti da queste considerazioni e abbiamo coinvolto accanto alla Casa Editrice Armando tradizionalmente impegnata in tematiche educative, l’Assessorato alla Cultura di Formello, un paese a nord di Roma, davvero molto particolare per l’attenzione che pone alle medesime tematiche. La collana SEMI che viene inaugurata con un racconto ambientato a Formello, non accoglie racconti di un genere particolare, ma storie che si dipanano dai primordi dell’umanità alle incongruenze dei giorni nostri, con sensibilità e ironia, offrendo qualche ora di svago e qualche spunto di riflessione. Ma soprattutto offre racconti nei quali i semi buoni, opportunamente coltivati, offrono la possibilità ai protagonisti di dimostrare che attraverso l’esercizio costante della lealtà, dell’onestà e del rispetto si riesca sempre ad instaurare una serie di relazioni e scambi di ottima qualità. Anna Lucchiari
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SEGNALAZIONE LIBRI
CAStEGNARO A.-DAL PIAZ G. - BIEMMI E., Fuori dal recinto. Giovani, fede, chiesa: uno sguardo diverso, Ancora, 2013, pp. 208. e 17,00. CAStELLI F., Cento finestre su Dio. Suggestioni letterarie da Dante a Ionesco, Ancora, 2013, pp. 112. e 13,50. CHIONNA A. - ELIA G., SANtELLI BECCEGAtO L., (a cura di), I giovani e l’educazione. Saggi di pedagogia, Guerini Studio, Milano 2012, pp. 268. e 23,50. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CAttOLICA, Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pp. 86. e 4,00. FIORIN I., Pensare la scuola, Editoriale tuttoscuola e Multidea, 2013, pp. 174. e 9,90. FIORIN I., Il cantiere della didattica, Editoriale tuttoscuola e Multidea, 2013, pp. 174. e 9,90. FRIGOttO P.P. (a cura di), Il decalogo, la donna e Dante, Paoline Edizioni, 2013, pp. 160. e 12,50. GASPARI A., Un ciclone di nome Francesco, Zenit Books - Innovative Media, 2013, pp. 90. e 9,83. LAURI L., Competenze. Programmazione didattica e valutazione, Etas, 2013, pp. 152. e 12.00. MAZZI DON A., MAZZA C., FREZZA E., BALLARINI G., Educatori senza frontiere. Diari di esperienze erranti, Erickson, 2013, pp. 162. e 14,00. NORIEGA J., Enigmi del piacere. Cibo, desiderio e sessualità, EDB, 2014, pp. 280. e 26,00. PALAGI E., I segnali del disagio. Guida per adulti ai problemi dei ragazzi, EDB, 2014, pp. 168. e 15,00. PERCIVALDI E., Fu vero editto? Costantino e il cristianesimo, tra storia e leggenda, Ancora, 2012, pp. 96. e 12,00. PERROttA E.- DEMURtAS C., Sviluppare l’intelligenza per la scuola primaria, Erickson, 2014, pp. 256. e 19,00. POSSENtI V., La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau, 2013, pp. 219. e 23,00. PREZIOSI E., Il Vittorioso. Storia di un settimanale per ragazzi 1937-1966, Il Mulino, Bologna, 2012, pp. 346. e 29,00. RAtZINGER J., Opera Omnia, vol. 12: “Annunciatori della Parola e Servitori della vostra gioia”, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pp. 990. e 55,00. RUSCONI G., L’impegno. Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno, Rubbettino, 2013, pp. 144. e 12,00. SERMONtI G., La cintura di Perseo. Dal mito della Grande Madre all’alfabeto galattico, Edizioni Lindau, pp. 216. e 22,00. StÜCKE U., Allenare la concentrazione. Giochi e attività per la prima e seconda classe della scuola primaria, Erickson, 2014, pp. 153. e 22,00.
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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.
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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.
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Rivista lasalliana ISSN 1826-2155
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trimestrale di cultura e formazione pedagogica Donato Petti La sfida della crisi di fede nel nostro tempo
Francesco Trisoglio L’allegoria nella lettura del Vangelo: la prassi di S. Cromazio d’Aquileia Paulo Dullius Identità e identità narrativa
Dario Antiseri Un criterio per distinguere la storiografia scientifica da quella ideologica Grazia Fassorra Autonomia e curricolo
Carlo Rubinacci Il curricolo nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo dell’istruzione Mario Chiarapini I Fratelli delle Scuole Cristiane e la Shoah
M. Devif, A. Houry, Ph. Moulis La Bolla "Unigenitus" e l’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane Francis Ricousse Fratel Agatone: l’esperienza di un secolo di pedagogia lasalliana GENNAIO - MARZO 2014 • ANNO 81 – 1 (321)