Rivista lasalliana
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TASSA RISCOSSA TAXE PERÇUE ROMA
2014
Rivista lasalliana
RL
Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.
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Rivista lasalliana ISSN 1826-2155
trimestrale di cultura e formazione pedagogica ATTI DEL SEMINARIO DI STUDIO - 80° DI RIVISTA LASALLIANA
QUALE FUTURO PER L’EDUCAZIONE CRISTIANA?
Camerini Marco Presentazione
Donato Petti La formazione integrale dei docenti e il futuro dell’educazione cristiana Enrico Dal Covolo Quale futuro per l’educazione cristiana? Tra scuola e università Álvaro Rodríguez Echeverría La risposta lasalliana alle sfide del XXI secolo
Dario Antiseri L’educazione di menti aperte quale presidio di una società aperta
Claudio Gentili Le sfide dell’educazione oggi: il ruolo delle partnership pedagogiche Francesco Trisoglio S. Giustino: l'impostazione della prima apologia cristiana Italo Fiorin La grande sfida del dialogo interculturale Anna Maria Pezzella L’avventura educativa cristiana
Roberto Zappalà Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”. Spunti di riflessione in chiave educativa Renato Di Nubila Quale formazione per una leadership per l’apprendimento? Scenari nuovi e competenze nuove Marco Paolantonio 80 anni di “Rivista Lasalliana” (1934-2014)
APRILE - GIUGNO 2014 • ANNO 81 – 2 (322)
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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.
RIVISTA LASALLIANA
Trimestrale di cultura e formazione pedagogica fondato nel 1934 Anno 81 • numero 2 • aprile-giugno 2014 Direttore
DONATO PETTI
Comitato scientifico DARIO ANTISERI (Metodologia delle Scienze Sociali)
GAETANO DAMMACCO (Diritto di libertà religiosa)
CARLO NANNI (Scienze dell’educazione)
FLAVIO FELICE (Dottrine Economiche e Politiche)
STEPHANE OPPES (Filosofia teoretica)
PAOLO ASOLAN (Teologia pastorale)
GABRIELE DI GIOVANNI (Direttore “Sussidi per la catechesi”)
DENIS BIJU-DUVAL (Teologia dell’evangelizzazione)
ITALO FIORIN (Pedagogia speciale)
PASQUALE CAPO (Gestione risorse professionali)
PASQUALE MARIA MAINOLFI (Bioetica)
GILLES BEAUDET (Ricerche lasalliane)
GIORGIO CALABRESE (Scienze dell’alimentazione umana)
LUCIANO CHIAPPETTA (Legislazione scolastica)
MARIO CHIARAPINI (Direttore “Lasalliani in Italia”)
GIUSEPPE COSENTINO (Ordinamenti scolastici)
ENRICO DAL COVOLO (Letteratura cristiana antica)
REMO L. GUIDI (Questioni umanistico-rinascimentali)
ANTONELLO MASIA (Legislazione universitaria)
PHILIPPE MOULIS (Ricerche storiche)
DIEGO MUÑOZ (Ricerche e Studi lasalliani)
RAIMONDO MURANO (Formazione tecnico-professionale)
EDGAR GENUINO NICODEM (Studi lasalliani)
CARMELA PALUMBO (Autonomia scolastica)
MARCO PAOLANTONIO (Studi lasalliani)
MAURIZIO PISCITELLI (Didattica)
MARIO RUSCONI (Management scolastico)
LORENZO TÉBAR BELMONTE (Pedagogia lasalliana)
ENRICO TRISOGLIO (Storia e Letteratura patristica)
ROBERTO ZAPPALÀ (Antropologia filosofica)
Comitato di Redazione
Luca Amati - Marco Camerini - Stefano Capello - Michele Cataluddi - Giovanni Decina - Francesco Decio Antonio Iannaccone - Annalisa Malatesta - Sara Mancinelli - Virginio Mattoccia - Alberto Rizzi - Enrico Sommadossi - Biancamarta Tammaro - Monica Zanchini Di Castiglionchio.
Collaboratori
Edwin Arteaga Tobón, Antonio Augenti, Gilles Beaudet, Bruno Bordignon, Graziella Bussoni, Emilio Butturini, Angelo Piero Cappello, Italo Carugno, Umberto Casale, Giovanni Chimirri, Terry Collins, Robert Comte, Sergio De Carli, Renato Di Nubila, Paulo Dullius, Grazia Fassorra, Paolo Fichera, Italo Fiorin, Matthieu Fontaine, Andrea Forzoni, Emma Franchini, Antonio Gentile, Claudio Gentili, Oreste Gianfrancesco, Pedro Gil, Eugenio Guccione, Edgar Hengemüle, Alain Houry, Léon Lauraire, Lino Lauri, Herman Lombaerts, Anna Lucchiari, Vito Moccia, Patrizia Moretti, Israel Nery, José María Pérez Navarro, Raffaele Norti, Laura Pappone, Marina Pescarmona, Francesco Pesce, A.M. Pezzella, Massimo Pisani, Francesco Pistoia, Bérnard Pitaud, Óscar A. Elizalde Prada, Jaume Pujol, Hilaire Raharilalao, Francis Ricousse, Vincenzo Rosito, Carlo Rubinacci, Filippo Sani, Marica Spalletta, Giuseppe Tacconi, Cesare Trespidi, Joan Carles Vázquez, Ciro Vitiello.
DIREZIONE
Donato Petti - Via dell’Imbrecciato, 181 - 00149 Roma ( 06.552.100.243 - E-mail: donato.petti@tiscali.it
Le riviste in cambio e i libri per recensione vanno inviati alla Direzione
ABBONAMENTI 2014
Italia Ordinario: Sostenitore: Europa Altri Continenti Un fascicolo separato
e 25,00 (e 18,00 - Docenti Lasalliani) e 50,00 e 30,00 $ 50 USA e 06,50
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Il versamento si effettua in una delle seguenti modalità: • mediante c/c postale n° 52041001 allegato, • mediante bonifico bancario: codice Iban IT 27A02008 05020000005215702, intestati a: Provincia Congregazione Fratelli Scuole Cristiane Causale: Abbonamento/Contributo a “Rivista Lasalliana” L’abbonamento ai 4 numeri annui decorre dal 1° gennaio e si intende continuativo, salvo disdetta scritta
AMMINISTRAZIONE
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ATTI SEMINARIO DI STUDIO 80° RIVISTA LASALLIANA
155 Camerini Marco Presentazione
157 Donato Petti
La formazione dei docenti e il futuro dell’educazione cristiana
La situazione delle scuole cattoliche oggi, in Italia, è, a dir poco drammatica. Ogni anno decine di esse, gestite da Congregazioni Religiose o da Diocesi, con tradizioni ultracentenarie, sono costrette a chiudere i battenti; altre, a denti stretti, cercano di reggere…, ma fino a quando? Appaiono immediatamente evidenti alcune cause: la crisi delle vocazioni religiose, la crisi economica, alle quali si aggiunge l’anomalia tutta italiana della mancanza di parità economica tra scuole statali e non statali, a differenza di quanto avviene nelle altre nazioni europee. Di fronte all’eutanasia della scuola cattolica in Italia, l’Autore propone una rinnovata valorizzazione dei laici come testimoni della fede nella scuola. A una condizione irrinunciabile: la loro specifica formazione religiosa e professionale. The training of teachers and the future of Christian education
The situation of Catholic schools in Italy today is, to say the least, dramatic. Every year, dozens of them, whether run by Religious Congregations or Dioceses, are obliged to close their doors after a hundred years or more of tradition. Others grit their teeth and struggle on …, but for how long? Some of the reasons for this are immediately obvious: the crisis in religious vocations, the economic crisis, added to which is the very Italian anomaly of the financial disparity between state schools and private schools, which does not exist in other European countries. In the face of this euthanasia of Catholic schools in Italy, the author proposes a re-evaluation of the force of the lay person’s witness to the faith in a school. It all depends on one essential condition: their specific religious and professional training.
167 Enrico dal Covolo
Quale futuro per l’educazione cristiana? Tra scuola e università
L’Autore, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, individua i fondamenti dell’educazione cristiana nei valori condivisi e vissuti, attraverso una sussidiarietà che significa scambio continuo e
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sempre più allargato, nella libertà di apprendimento e di insegnamento, in quanto la persona umana ha l’obbligo morale di ricercare la verità per libera convinzione interiore, nella creazione di un ambiente educativo comunitario per la formazione delle giovani generazioni protese alla realizzazione della propria vocazione e alla costruzione di un mondo fondato sul dialogo e sulla ricerca della comunione. What future for Christian education? Between school and university
The author, the Rettore Magnifico of the Pontifical University of the Lateran, identifies the fundamentals of Christian education as the shared values enshrined in them, by means of a subsidiarity which involves continuous and ever widening change, through freedom in learning and teaching, to the extent that each human person has the moral obligation to search for the truth through free internal conviction, and by the creation of an educational atmosphere of community for training the younger generations as they move towards the realisation of their own vocation and the construction of a world based on dialogue and the search for communion.
179 Álvaro Rodríguez Echeverría
La risposta lasalliana alle sfide del XXI secolo
Fratel Álvaro, Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, alla vigilia del 45° Capitolo Generale, rinnova ai Lasalliani l’auspicio di poter creare scuole che siano comunità di fraternità, dinanzi all’individualismo e alla massificazione, luoghi che promuovano l’educazione alla giustizia, alla pace, alla solidarietà ed alla tolleranza, nella fedeltà creativa alle intuizioni del Fondatore, Giovanni Battista de La Salle. The Lasallian response to the challenges of the 21st century
Brother Álvaro, Superior General of the Brothers of the Christian Schools, on the eve of the 45th General Chapter, reminds the Lasallians of their mandate to create schools which are communities of fraternity, in the face of individualism and mass movements, and are places which promote education for justice, peace, solidarity and tolerance, through a creative fidelity to the insights of the Founder, John Baptist de La Salle.
187 Dario Antiseri
L’educazione di menti aperte quale presidio di una società aperta
Il primo servizio alla comunità, ai nostri giorni, è diventata la difesa della democrazia, di quella “società aperta” che può venir presidiata unicamente da “menti aperte” – libere, creative, critiche e responsabili, pronte a riconoscere i propri errori e quelli altrui, capaci di non cadere preda dei tanti imbonitori prezzolati. È mutato l’ambiente in cui crescono le menti dei nostri ragazzi – basti pensare ad Internet, un mare di informazioni in cui loro navigano sostanzialmente senza bus-
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sola; o ad una TV con la quale è finita l’epoca dell’esperienza del dialogo, e che Karl R. Popper ha stigmatizzato come “cattiva maestra”. Da qui la consapevolezza dell’Autore che unicamente su di un sistema formativo che educhi alla razionalità potrà trovare fondamento la speranza in una “società libera”. Open-minded education as the safeguard for an open society
Nowadays, the first service to community has become the defence of democracy, of an “open society” which can only be safeguarded by “open minds”– free, creative, critical and responsible, ready to recognise their own mistakes and those of others, able to avoid falling prey to so much sales talk. The atmosphere in which our children are growing up has changed– suffice to mention the Internet, an ocean of information in which they are sailing basically with no compass; or television which has gone beyond the age of experience with dialogue and has become what Karl R. Popper has called “an evil schoolmistress”. This leads the author to the view that only in a system of education that aims at rationality can we find the basis of hope for a “free society”.
197 Claudio Gentili
Le sfide dell’educazione oggi: il ruolo delle partnership pedagogiche
La collaborazione tra scuola e impresa è il percorso obbligato per vincere le sfide del futuro. La sfida educativa principale è l’integrazione della scuola e dell’extrascuola: tra scuola e imprese, tra scuola e territorio, tra scuola e famiglie, tra scuola e istituzioni. È necessario integrare capitale sociale e capitale funzionale per creare un “capitale comunitario”. Sempre maggior rilievo assume l’efficiente organizzazione delle principali funzioni territoriali: formazione, reti infrastrutturali, trasporti, telematica, servizi pubblici, welfare locale. I sistemi relazionali di integrazione formazione-impresa diventano quindi motore di coesione sociale, di osmosi dei saperi.
The challenges of education today: the role of pedagogical partnerships
Collaboration between schools and businesses is the necessary way to meet the challenges of the future. The principal challenge in education is the integration of schools with the world outside, schools with businesses, schools with localities, schools with families, schools with institutions. We need to unify social capital and functional capital so as to create a “community capital”. It is becoming increasingly important to have an efficient organisation of the principal areas of activity: training, networks of infrastructure, transport, telecommunication, public services, local welfare. In this way, the relational systems for integrating training and business become the driving force for social cohesion and the osmosis of knowledge.
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205 Francesco Trisoglio
STUDI - STUDIES
S. Giustino: l’impostazione della prima apologia cristiana
Giustino appoggia l’efficacia della sua petizione su alcuni valori fondamentali, che sono tra loro connessi: la verità, la ragione, la giustizia, il libero arbitrio, non infirmato dalle profezie e non vinto dalla guerra che il demonio scatena. Espone poi le scene centrali della vita cristiana collocandole in un’atmosfera di alta nobiltà e di avvincente tenerezza umana. Si esprime in un’agevole scorrevolezza, che unisce facilità di comprensione e dignità di formulazione; da tutto traspare una convinzione fondata su motivi saldamente rassicuranti. Dinanzi agli imperatori si comporta con un ossequio nobilitato da una virile franchezza. St Justin: establishing the first Christian apologia
For the efficacy of his pleading, Justin relies on a few inter-connected, fundamental values: truth, reason, justice, free will, which are not diluted or overcome by the prophecies and wars unleashed by the Devil. He then sketches the main outlines of Christian life, placing them in a context of high nobility combined with human tenderness. He writes with easy fluency, uniting ease of understanding with a lofty style. All this combines to convey conviction based on very reassuring grounds. Towards the emperors he shows noble deference and manly frankness.
213 Italo Fiorin
La grande sfida del dialogo interculturale
La Congregazione per l’Educazione Cattolica, il 28 ottobre 2013, ha pubblicato il documento: “Educare al dialogo interculturale. Vivere insieme per una civiltà dell’amore”, che affronta, in maniera approfondita, una delle questioni cruciali dell’educazione scolastica oggi: la presenza simultanea di culture diverse, in un mondo globalizzato. Siamo di fronte ad un problema rilevante che pone all’educazione una grande sfida. L’Autore presenta il documento, con l’intento di suscitare e orientare l’educazione al dialogo interculturale nelle scuole e negli istituti educativi cattolici.
The great challenge of intercultural dialogue
On October 28, 2013, the Congregation for Catholic Education published the document “Educating for intercultural dialogue. Living together through civility and love”, which goes deeply into questions which are challenging education in schools today with regard to the simultaneous presence of diverse cultures in a globalized world. We are dealing with a current problem which represents a big challenge for education. The author’s aim in
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writing is to direct education in Catholic schools and other educational establishments towards intercultural dialogue.
221 Anna Maria Pezzella
L’avventura educativa cristiana
L’Autrice affronta l’argomento partendo da un dato incontrovertibile: la complessità dell’essere umano. Nell’agire educativo bisogna tener ben presenti una molteplicità di variabili: la struttura antropologica, psicologica, caratteriale, i rapporti intersoggettivi, il ruolo della cultura di massa, di quella digitale... Solo in questo modo sarà possibile operare scelte ponderate ed utilizzare strategie adeguate per il raggiungimento di una equilibrata formazione della persona. The Christian education venture
The author approaches her subject starting from the incontrovertible fact of the complexity of human beings. In the activity of educating, we must keep clearly in mind a number of variables, anthropological, psychological, characterological, plus interpersonal relations, the role of mass culture and the digital world... Only in this way can we make considered choices and adopt appropriate strategies for the balanced development of persons.
227 Roberto Zappalà
PROPOSTE - PROPOSAL
Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium”. Spunti di riflessione in chiave educativa
L’Autore propone alcuni spunti di riflessione e qualche positiva “provocazione” in chiave educativa, partendo dal testo dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco (e da altri scritti del papa). L’intento è di riflettere insieme sulle linee della nuova evangelizzazione, tracciate dal papa per tutta la Chiesa, nella prospettiva della missione educativa (nell’orizzonte del decennio di impegno sull’educazione promosso dalla Chiesa Cattolica italiana).
The Apostolic Exhortation “Evangelii gaudium”. Initial reflections of an educational nature
The author offers some initial reflections and some positive “provocation” of an educational nature, based on the text of the Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium of Pope Francis (and on other of his writings). The aim is to share reflections on the lines of the new evangelization, outlined by the Pope for the whole Church, with a view to the mission of education (in the context of the decade devoted to education promoted by the Church in Italy).
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247 Renato Di Nubila
Quale formazione per una leadership per l’apprendimento? Scenari nuovi e competenze nuove
C’è un diffuso bisogno di leadership nella scuola per ridare slancio e nuova attenzione all’azione, al significato e al diritto dell’apprendimento. Il buon senso e il generoso impegno di molti dirigenti non sono più sufficienti. È urgente una fase di nuova formazione specifica e mirata che metta i dirigenti in condizione di essere competenti di gestione e di azione didattica guidata. Alcune ipotesi, nell’ottica di una prospettiva nuova di Leadership. What training for leadership through learning? New scenarios and new skills
There is a widespread need for leadership in schools to give new impetus and attention to action, to meaning and to the right to learning. The good sense and generous commitment of many heads are not enough. There is an urgent need for a new type of targeted training which will give the school directors competence in management and guided teaching activity. Here are some suggestions with a view to a possible new kind of leadership.
RICERCHE - RESEARCH 257 Marco Paolantonio
80 anni di Rivista Lasalliana (1934-2014)
L’Autore ripercorre il cammino di Rivista Lasalliana, dalla nascita fino al 2011, illustrando, con dovizia di documentazione, le linee editoriali espresse nei vari periodi storici, oltre a sottolineare i contribuiti dei vari Direttori e degli scrittori lungo gli 80 anni di vita.
80 years of the Rivista Lasalliana (1934-2014)
The author reviews the progress of Rivista Lasalliana from its inception up to 2011, illustrating with a wealth of documentation the editorial opinions expressed in the various periods of its history, underlining the contributions of the different editors and contributors throughout the 80 years of its life.
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RECENSIONI E NOTE - RECENSIONS AND NOTES SEGNALAZIONE LIBRI - SIGNALING BOOKS
Rivista Lasalliana
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80 di cultura e formazione pedagogica
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Studi
Editoriali
(1934-2014)
3 Febbraio 2014 - Ore 16.00
Seminario di studio
QUALE FUTURO PER L'EDUCAZIONE CRISTIANA? Casa Generalizia dei Fratelli delle Scuole Cristiane (Roma, Via Aurelia, 476)
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 155-156
ATTI SEMINARIO DI STUDIO
QUALE FUTURO PER L’EDUCAZIONE CRISTIANA? Presentazione ed interventi del Seminario di studio
per l’80° di Rivista Lasalliana (Roma, 3 Febbraio 2014)
MARCO CAMERINI Docente di lingua e letteratura italiana presso il Liceo Classico dell’Istituto paritario “Villa Flaminia” (Roma) “La vera testimonianza di una rivista è rendere noto lo spirito della sua epoca. L’attualità di questo spirito è per essa più importante della sua stessa unità o chiarezza e perciò una rivista sarebbe condannata all’inessenzialità qualora non si configurasse in essa una vita abbastanza potente da salvare, con il suo assenso, anche ciò che è problematico. Una rivista la cui attualità non abbia pretese storiche, non ha ragione di esistere” (W. Benjamin, annuncio della rivista “Angelus novus”)
Il 3 febbraio, alla presenza di un folto, attento e qualificato pubblico, si è tenuto, nella suggestiva cornice della Casa Generalizia dei Fratelli delle Scuole Cristiane, un convegno per celebrare gli ottanta anni di vita di “Rivista lasalliana”, prestigioso polo di riferimento pedagogico, educativo e bibliografico della cultura e della spiritualità lasalliane e cattoliche.
Dopo il saluto ai convenuti di Fratel Achille Buccella, Visitatore della Provincia Italia, e l’intervento di apertura di Fratel Donato Petti, che da due anni dirige la pubblicazione con la coraggiosa progettualità e l’appassionata fede che ne hanno sempre connotato l’operato nelle molteplici ed importanti cariche da lui ricoperte, il prof. Marco Camerini ha introdotto gli autorevoli relatori, tutti di altissimo profilo spirituale e culturale. S. E. Monsignor Dal Covolo – dal giugno del 2010 Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense e vescovo titolare in Eraclea per volontà di Sua Santità Benedetto XVI, insigne biblista, storico della Chiesa delle origini, studioso di Encicliche fondamentali ed esegeta finissimo della parola divina – si è soffermato ad esaminare le complesse e molteplici sfide cui il modello cri-
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ATTI SEMINARIO DI STUDIO
Marco Camerini
stiano di educazione è oggi chiamato sottolineando, con appassionato rigore ed insieme commossi richiami al personale vissuto di docente, come sia assolutamente indispensabile che la Chiesa e le proprie strutture pedagogiche sappiano privilegiare l’attenzione alla crescita integrale della persona umana, tanto più in un contesto quale quello odierno pericolosamente dominato da un relativismo etico che rischia di sminuire (sino a perderla) la nozione stessa di peccato e di male.
Il prof. Dario Antiseri – filosofo e pedagogista insigne, co-autore di un manuale di filosofia che da anni e in molti paesi europei (fra cui la Russia) costituisce un parametro ineludibile nell’approccio alla storia della filosofia – ha ribadito fondamentali elementi del proprio sistema epistemologico che ne ha fatto il riconosciuto mediatore, in Italia, del “fallibilismo” di Popper: un sistema filosofico è tanto più autorevole e garante di piena autonomia speculativa quanto più ammette i propri limiti, non si erge a “magistrato della verità” (Einstein) ma, anzi, apre la strada ad un “dubbio costruttivo”, prezioso baluardo contro ogni totalitarismo delle coscienze.
Il dott. Claudio Gentili – responsabile Education di Confindustria e già direttore del “Sole 24 ore” – ha prospettato, fornendo autorevole ricchezza di dati, il rischio di un sistema educativo che punti in modo esclusivo all’assunzione di moduli culturali consolidati nella nostra pedagogia (in particolare di estrazione umanistica) e non sappia adeguarsi alle pressanti esigenze del mercato del lavoro e dell’inserimento giovanile nel vivo dei processi produttivi (meccanismi e dinamiche esaminate nel suo fondamentale testo “Umanesimo e istruzione tecnica”).
Dopo l’intervento della dott.ssa Edvige Mastantuono, dirigente del MIUR (che ha sostituito il relatore ufficiale Dott. Luciano Chiappetta, capo Dipartimento per l’istruzione del MIUR, impossibilitato a partecipare per impegni istituzionali e presente con un messaggio di augurio), Fratel Alvaro Rodriguez Echeverria – Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, da anni testimone illuminato ed equilibrato, nel mondo, del carisma lasalliano e generosamente attivo in difesa dei diritti all’istruzione dell’infanzia, particolarmente nelle zone più povere ed emarginate del pianeta – ha messo in luce, nel suo ampio e profondo intervento, come all’interno del magistero pedagogico del de La Salle emergano, chiarissime ed estremamente attuali, le linee guida di un sistema educativo capace di agire in profondità sull’anima e la mente dei giovani, ispirato al messaggio evangelico di accettazione ed offerta di sé al prossimo.
Il seminario si è concluso con un finale intervento di sintesi delle proposte e delle suggestioni emerse da parte del Direttore, Fratel Donato, che ha annunciato l’uscita di un numero monografico della Rivista interamente dedicato agli atti del Convegno.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 157-166
ATTI SEMINARIO DI STUDIO
LA FORMAZIONE INTEGRALE DEI DOCENTI E IL FUTURO DELL’EDUCAZIONE CRISTIANA Donato Petti Direttore di Rivista Lasalliana
SoMMaRio: 1. Premessa. - 2. Le scuole cattoliche in italia. - 3. Verso una nuova primavera dell’educazione cristiana. - 3.1. Dalla situazione di stallo... - 3.2. ...all’attualizzazione dei carismi condivisi da persone consacrate e fedeli laici. - 3.3. La sfida della formazione integrale. - 3.4. L’essere o il non essere dell’educazione cristiana: la condivisione della formazione. - 4. Conclusione.
L
1. Premessa
a mia cordiale gratitudine e quella del Comitato di Redazione di Rivista Lasalliana a S. ecc. Mons. enrico dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, ex-alunno ed affiliato all’istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, al Fratello alvaro R. e., Superiore Generale dei Fratelli, ai proff. Dario antiseri e Claudio Gentili che hanno reso possibile la realizzazione di questo Seminario di studio, nella ricorrenza dell’80° anniversario della Rivista, trimestrale di cultura e formazione pedagogica, che si ispira alla tradizione educativa di Jean Baptiste de La Salle (1651-1719). Un saluto grato a Fratello achille, Visitatore Provinciale e al Consiglio di Provincia per aver calendarizzato questa ricorrenza e un sentito ringraziamento ai Fratelli, ai Direttori e ai Coordinatori educativi e didattici delle istituzioni e dei Centri lasalliani, ai Docenti delle scuole di ogni ordine e grado e agli amici Lasalliani. Un particolare ringraziamento agli amici Valerio e Gustavo Pileri, sponsor della manifestazione, rispettivamente amministratori della Penta team s.r.l., rappresentanti della Zurich assicurazioni di Roma e Grottaferrata. in questo momento il pensiero riconoscente va ai Direttori di Rivista Lasalliana che si sono succeduti in questi 80 anni: dal fondatore Fratel Goffredo Savoré (1934-1939); a Fratel Emiliano Savino (dal 1940 al 1962); a Fratel
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atti SeMinaRio Di StUDio
Donato Petti
Anselmo Balocco (dal 1963 al 1983); a Fratel Secondino Scaglione (dal 1984 al 2006) e Fratel Flavio Pajer, fino al 2011. ottant’anni di impegno incessante e di lavoro encomiabile svolto con autorevolezza, competenza e professionalità, a servizio della cultura, delle scuole e dei centri educativi. Un pensiero affettuoso e deferente a tutti i collaboratori e scrittori di Rivista Lasalliana, maestri di cultura e testimoni dell’educazione. e, se mi permettete, un plauso particolare agli amici che compongono l’attuale “Comitato di Redazione” che, sulla scia del carisma lasalliano, offrono il loro contributo appassionato per la continuazione della Rivista, proiettata verso nuovi traguardi. e grazie al prof. Marco Camerini, del Comitato di redazione, che ha accettato di coordinare questo Seminario di studio. Ma il fare memoria di un passato di cultura e di pedagogia lasalliana ci chiama a un rinnovato senso di responsabilità per l’oggi e per il domani. La storia diventa radice delle sfide presenti e del futuro. all’inizio del nostro Seminario di studio sul tema centrale “Quale futuro per l’educazione cristiana”, al quale gli illustri relatori qui presenti offriranno il loro contributo, desidero rimarcare alcune considerazioni, condivise dal Consiglio di Redazione, e che costituiranno le linee portanti del futuro programma editoriale di Rivista Lasalliana.
2. Le scuole cattoliche in Italia
La situazione delle scuole cattoliche oggi, in italia, è, a dir poco drammatica. ogni anno decine di esse, gestite da Congregazioni Religiose o da Diocesi, con tradizioni ultracentenarie, sono costrette a chiudere i battenti; altre, a denti stretti, cercano di reggere alla crisi…, ma fino a quando? Sorge spontanea la domanda sulle cause di tale dolorosa situazione; appaiono immediatamente evidenti la crisi delle risorse umane, delle risorse economiche, alle quali si aggiunge l’anomalia tutta italiana di una scuola non statale che non ha riconoscimento economico paritario rispetto a quella gestita dallo Stato, a dispetto degli orientamenti e delle risoluzioni del Parlamento europeo e di quanto si verifica nelle altre nazioni europee.
a) La crisi delle vocazioni religiose dedite all’educazione
È noto a tutti il fenomeno della crisi delle vocazioni religiose dedite alla missione educativa e il progressivo invecchiamento delle Religiose e dei Religiosi che hanno dedicato la loro vita alla formazione cristiana della gioventù.
b) La crisi economica a livello nazionale
La persistente crisi economica nazionale ed internazionale aggrava la
La formazione integrale dei docenti e il futuro dell’educazione cristiana
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situazione delle scuole paritarie cattoliche e rende più difficile la loro sussistenza. Le famiglie, anche quelle tradizionalmente più sensibili alla formazione e all’educazione cristiana per il loro figli, sono costrette a fare i conti con i bilanci familiari. c) La mancanza di parità scolastica tra scuole statali e non statali
oggi, in italia, a differenza delle altre nazioni europee, non esiste libertà di scuola, cioè la possibilità di scegliere, a parità di condizioni, una scuola diversa da quella statale. infatti, mentre chi manda un figlio ad una scuola statale riceve un servizio che ha pagato con le imposte, il contribuente che non manda il figlio ad una scuola statale (per i motivi più diversi) paga due volte l’istruzione dei propri figli: la prima volta paga le imposte allo Stato per un servizio che non riceve, la seconda volta sotto forma di retta scolastica da corrispondere alla scuola non statale. il sistema attuale, da un lato consente un lusso che non tutti si possono permettere (pagare due volte l’istruzione dei figli), dall’altro restringe proprio la libertà di scelta dei meno abbienti, che non possono permettersi una scuola diversa da quella statale. tale situazione mostra e accentua con chiarezza anche la precarietà del personale docente che, alla prima occasione, per ragioni di sicurezza economica, lascia l’insegnamento nella scuola cattolica paritaria e passa nelle file dello Stato. ai gestori delle scuole cattoliche non resta che sottostare inerti a questa umiliante condizione di inferiorità, frutto di inciviltà giuridica.
3. Verso una nuova primavera dell’educazione cristiana 3.1. Dalla situazione di stallo...
Le Famiglie religiose impegnate nell’educazione della gioventù vivono da decenni, con evidente preoccupazione, spesso con rassegnazione e pessimismo, il futuro della proprie scuole (…siamo pochi, siamo vecchi…, il Signore ci penserà…). in particolare, di fronte alla massiccia presenza del “personale laico”, affiorano e si consolidano atteggiamenti dichiarati o malcelati di poca fiducia (ma quali laici?! lavorano solo per lo stipendio… qualcuno collabora, ma se manchiamo noi (chi?) essi non sono in grado di andare avanti…). al contrario, il magistero della Chiesa, la lettura dei segni dei tempi, la vita dei Fondatori e Fondatrici delle Famiglie religiose educatrici, la testimonianza credibile di miriadi di Confratelli e Consorelle educatrici ed educatori santi ci esortano a dare risposte profetiche alle attuali sfide educative del nostro tempo. il Papa, la Conferenza episcopale italiana (C.e.i.), le famiglie, gli insegnanti e tutti gli operatori scolastici parlano coralmente di un’emergenza
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educativa (qualcuno parla di “disastro educativo”), che pervade la società odierna, caratterizzata dalla crescente difficoltà a trasmettere alle nuove generazioni, oltre alle conoscenze, soprattutto i valori-base dell’esistenza. D’altro canto, a nulla valgono gli atteggiamenti di sterile pessimismo, causati dalla nostalgia di un passato che non c’è più. Di fronte alle profonde trasformazioni strutturali in atto nella società occidentale, le sfide educative provenienti dalla complessità sociale, culturale e religiosa della società, ad un tempo globale e diversificata, richiedono uno sforzo coraggioso di creatività e profezia per promuovere progetti innovativi, efficaci, e lungimiranti. Pertanto: no! alla cultura dell’eutanasia della scuola cattolica in italia, alla fuga delle Famiglie religiose dalle scuole cattoliche. Sì! al futuro dell’educazione come luogo di crescita umana e cristiana per le nuove generazioni. infatti, “le scuole cattoliche sono contemporaneamente luoghi di evangelizzazione, di educazione integrale, di inculturazione e di apprendimento di un dialogo vitale tra giovani di religioni e di ambienti sociali differenti”.1 L’ecclesialità della scuola cattolica è, dunque, scritta nel cuore stesso della sua identità di istituzione scolastica. essa è vero e proprio soggetto ecclesiale in ragione della sua azione scolastica, in cui si fondano in armonia la fede, la cultura e la vita.2 a nessuno sfuggirà l’osservazione che gli alunni trascorrono mediamente almeno 35-40 ore alla settimana nelle scuole cattoliche, a differenza delle 2/3 ore settimanali nella parrocchia. 3.2. ...all’attualizzazione dei carismi condivisi da persone consacrate e fedeli laici
Uno dei “segni” particolari del nostro tempo è la valorizzazione dei laici come educatori, testimoni della fede nella scuola, della loro piena integrazione nel tessuto connettivo del progetto educativo cristianamente ispirato. Va da sé che tale esigenza non è una soluzione che scaturisce soltanto dalla costatazione e dalla preoccupazione della diminuzione delle vocazioni alla vita consacrata o sacerdotale, ma dal profondo convincimento che l’educazione umana e cristiana costituisce un compito privilegiato per tutti coloro (laici e consacrati) che vogliono impegnare la loro vita all’annuncio evangelico nel mondo giovanile. i laici sono chiamati a divenire sempre più i protagonisti dell’educazione cristiana, soprattutto grazie alla profetica azione di coinvolgimento e di coordinamento che le Famiglie religiose possono favorire, proponendo loro la condivisione dei rispettivi carismi educativi. GioVanni PaoLo ii, esortazione apostolica Ecclesia in Africa, n. 102. SaCRa ConGReGaZione PeR L’eDUCaZione CattoLiCa, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, 1998, n. 11. 1 2
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a 50 anni dal Concilio Vaticano ii, a 25 anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica Christifideles Laici di Giovanni Paolo ii e a 20 dal Catechismo della Chiesa Cattolica è possibile fare il punto sul tema della vocazione e della missione dei laici nella Chiesa. L’essere e l’agire dei credenti laici nella Chiesa e nella società diventano una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificatamente teologica ed ecclesiale. L’ecclesiologia di comunione, idea centrale nei documenti del Concilio Vaticano ii e della Christifideles Laici, costituisce il fondamento della teologia del laicato. a incoraggiare tale prospettiva è stato il Santo Giovanni Paolo ii che nell’esortazione apostolica Vita Consecrata, usa parole ed espressioni inequivocabili: “Uno dei frutti della dottrina della Chiesa come comunione, in questi anni, è stata la presa di coscienza che le sue varie componenti possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni, per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale. Ciò contribuisce a dare un’immagine più articolata e completa della Chiesa stessa, oltre che a rendere più efficace la risposta alle grandi sfide del nostro tempo, grazie all’apporto corale dei diversi doni. Si può dire che è iniziato un nuovo capitolo, ricco di speranze, nella storia delle relazioni tra le persone consacrate e il laicato”. La missione dell’educazione cristiana, dunque, è caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà di vocazioni, di carismi e di responsabilità condivisi. emergono, in definitiva, due punti fermi che interpellano gli operatori dell’educazione cristiana, per una nuova “alleanza educativa” tra persone consacrate e laici credenti:
a) il principio che regola la collaborazione tra Laici e Religiosi è eminentemente evangelico: non sono i Laici che aiutano i Consacrati o i Consacrati che “si servono” del supporto dei Laici solo perché non possono fare diversamente, costretti dalla dura necessità (“purtroppo, non possiamo fare altro...”). L’ecclesiologia di comunione insegna che entrambi, invece, guardano nella stessa direzione ed hanno uno steso orizzonte di evangelizzazione mediante la cultura;
b) i carismi delle Famiglie Religiose non sono esclusivo appannaggio dei Religiosi e delle Religiose: lo Spirito Santo ha donato tali carismi alla Chiesa (e, quindi, anche ai Laici). nell’attuale situazione storica, i Consacrati hanno il compito di conoscere ed approfondire la teologia del laicato, favorendo il processo di comunione con i Laici, dedicando tempo, energie e risorse nell’accompagnarli ad approfondire il senso della loro vita cristiana, nell’ottica del carisma specifico. Si tratta di un’opera di autentica evangelizzazione; La missione educativa condivisa con i laici si fonda, pertanto, sulle diret-
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trici della comunione, della collaborazione e della corresponsabilità. Il futuro lo costruiamo oggi: ecco perché nessuno deve essere escluso e nessuno si deve escludere dall’impegno per generare futuro. 3.3. La sfida della formazione integrale
Per maturare la consapevolezza della propria vocazione cristiana e del compimento della propria missione educativa,3 è del tutto indispensabile, prioritariamente, coinvolgere gli insegnanti laici, alla stregua dei Religiosi e delle Religiose, in un progetto di organica e graduale formazione integrale. Già il Concilio Vaticano ii, nella Dichiarazione “Gravissimum Educationis”, recitava espressamente: “Gli insegnanti devono prepararsi scrupolosamente, per essere forniti della scienza sia profana, sia religiosa, attestata dai relativi titoli di studio, e ampiamente esperti nell’arte pedagogica, aggiornata con le scoperte del progresso contemporaneo”.4 tale processo di formazione, pertanto, deve necessariamente comprendere: a) la formazione professionale e le competenze psico-pedagogico-didattiche, a supporto della qualità culturale dell’insegnamento, della capacità relazionale e della sintesi tra preparazione e motivazioni educative;5
b) la formazione cristiana (biblico-teologico), maturata presso strutture e centri specializzati: i docenti laici delle scuole cattoliche sono abitualmente sensibili alla proposta di un’aggiornamento professionale, non lo sono altrettanto per la formazione dottrinale cristiana, dandola, forse, comunque acquisita una volta per sempre in occasione della preparazione ai sacramenti o durante le lezioni di religione del percorso scolastico. Fatta salva la buona fede delle persone, vorrei evocare una pagina stupenda del Papa emerito Benedetto XVi, nella quale mette a nudo la situazione di secolarismo e di analfabetismo religioso del nostro tempo: “Questa situazione di secolarismo caratterizza soprattutto le società di antica tradizione cristiana ed erode quel tessuto culturale che, fino a un recente passato, era un riferimento unificante, capace di abbracciare l’intera esistenza umana e di scandirne i momenti più significativi, dalla nascita al passaggio alla vita eterna. Purtroppo, è proConCLio VatiCano ii, Apostolicam Actuositatem, n. 28; GioVanni PaoLo ii, Christifideles laici, n. 57. 4 ConCLio VatiCano ii, Gravissimum Educationis, n. 8. 5 ConGReGaZione PeR L’eDUCaZione CattoLiCa, Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivida di persone consacrate e fedeli laici, n. 22 (in seguito citata, E.M.C.) 3
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prio Dio a restare escluso dall’orizzonte di tante persone; e quando non incontra indifferenza, chiusura o rifiuto, il discorso su Dio lo si vuole comunque relegato nell’ambito soggettivo, ridotto a un fatto intimo e privato, marginalizzato dalla coscienza pubblica. Passa da questo abbandono, da questa mancata apertura al trascendente, il cuore della crisi che ferisce l’europa, che è crisi spirituale e morale: l’uomo pretende di avere un’identità compiuta semplicemente in se stesso”.6 Uno degli ostacoli più temibili dell’educazione alla fede è l’ignoranza del contenuto della fede. Si tratta in realtà di una duplice ignoranza: un disconoscimento della persona di Gesù Cristo e un’ignoranza della sublimità dei suoi insegnamenti, del loro valore universale e permanente. Questa ignoranza provoca inoltre nelle nuove generazioni l’incapacità di comprendere la storia e di sentirsi eredi di questa tradizione che ha modellato la vita, la società, l’arte e la cultura europee.7 Se, dunque, il fine dell’educazione cristiana è la formazione integrale dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, cioè lo sviluppo di tutte le loro facoltà (fisiche, psichiche e spirituali), appare del tutto evidente che, nella scuola cristiana, i docenti di tutte le discipline, oltre alla preparazione professionale specifica, siano chiamati a maturare l’assimilazione personale e comunitaria delle verità della fede cristiana (concezione della vita, del mondo, della storia, della cultura) e dei principi della vita spirituale. infatti, la vocazione educativa del laico cristiano si esplicita nella ricerca della duplice sintesi tra cultura e fede e tra fede e vita; inoltre, si attua attraverso l’integrazione dei diversi contenuti del sapere umano, specificato nelle varie discipline, alla luce del messaggio evangelico.8 in definitiva, l’obiettivo specifico degli educatori cristiani è quello di individuare modalità didattiche e linguaggi appropriati per coniugare i valori della fede cristiana con i contenuti delle diverse discipline scolastiche da loro insegnate. oltre, naturalmente, alla testimonianza cristiana nella loro vita. Diversamente che senso avrebbe parlare di “educazione cristiana”?
c) l’adesione al “carisma educativo specifico” delle Famiglie Religiose: ogni scuola cattolica conserva le proprie caratteristiche se chi vi opera cercherà di acquisire e di identificarsi con i carismi educativi che l’ha ispirata;9
BeneDetto XVi, Discorso all’Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana, 24 maggio 2012. BeneDetto XVi, Discorso al gruppo dei Vescovi della Conferenza Episcopale di Francia in visita “Ad limina Apostolorum”, 30 novembre 2012. 8 L.C., nn. 64-66. 9 G.E., n. 8; L.C., n. 66. 6 7
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d) la formazione permanente: esigita dallo straordinario progresso scientifico e tecnico e dalla continua ricerca pedagogico-didattica, essa impegna ogni educatore cristiano circa le attitudini personali, i contenuti delle discipline e le metodologie che utilizza.10
3.4. L’essere o il non essere dell’educazione cristiana: la condivisione della formazione
il futuro dell’educazione cristiana è scritto nel cuore stesso della identità delle scuole cattoliche,11 in quanto “contemporaneamente luoghi di evangelizzazione, di educazione integrale, di inculturazione e di apprendimento di un dialogo vitale tra giovani di religioni e di ambienti sociali differenti”.12 Per questo, dalla sfida della formazione integrale degli educatori laici dipende il futuro delle scuole cattoliche.13 e, d’altro canto: se la Chiesa propone la scuola cattolica come mezzo privilegiato per la formazione integrale degli alunni, come è possibile immaginare l’azione educativa di insegnanti che non abbiano, a loro volta, seguito un percorso adeguato di formazione integrale? tale formazione avrà una ricaduta e un’incidenza positiva sul progetto educativo della scuola, soltanto e soprattutto se il progetto formativo verrà condiviso da tutti i docenti, perché è impegno di tutti programmare il nuovo corso delle scuole cattoliche. La corale condivisione del progetto educativo cristiano costituisce la caratteristica identitaria della comunità educativa della scuola cattolica. infine, una provocazione? Dal momento che gli insegnanti e i dirigenti delle scuole cattoliche sono quasi tutti laici che, a parte le debite eccezioni, hanno la stessa formazione dei colleghi delle scuole statali, perché una famiglia, oltre alle tasse per sostenere la scuola statale, dovrebbe pagare una retta scolastica per la frequenza del proprio figlio presso una scuola cattolica se non riceve niente di più (o quasi) e nulla di diverso (o quasi) rispetto a ciò che offrono le scuole statali? La risposta è incontrovertibile: è urgente assicurare alle scuole orientate cristianamente un corpo docente non solo fornito di idonei titoli di studio ma anche di un’organica e certificata formazione sul piano dottrinale, professionale e del carisma specifico.
L.C., nn. 67- 70; E.M.C., nn. 35-37. SaCRa ConGReGaZione PeR L’eDUCaZione CattoLiCa, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, 1998, n. 11. 12 GioVanni PaoLo ii, esortazione apostolica Ecclesia in Africa, n. 102. 13 L.C., nn. 61 - 66. 10 11
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e come in ogni epoca dinamica, è indispensabile un pizzico di lucida follia da parte di coloro che si sentono chiamati ad offrire il contributo di esperienza, di entusiasmo, di preghiera, di impegno nella missione condivisa. Con la certezza della fede di non essere mai soli, recuperando la capacità di leggere le vicende del mondo alla luce di Dio.
4. Conclusione
Va emergendo una pedagogia di Papa Francesco che, anche nell’incontro con i superiori generali degli istituti Religiosi maschili (USG), il 29 novembre 2013, alla fine della loro 82ª assemblea Generale presso il Salesianum di Roma, viene espressa dall’affermazione che la formazione è più simile a un’opera artigianale che poliziesca, basata sul dialogo e sul confronto e non sul controllo e la punizione. L’essere umano, ripete Papa Bergoglio, è complesso, fatto di grazia e peccato e ogni persona, anche nelle situazioni più difficili, va accolta con atteggiamento di misericordia. tale pedagogia parte dalle domande piuttosto che dalle risposte. anche a proposito dell’educazione religiosa, occorre, in prima battuta, puntare su un atteggiamento di accoglienza che favorisca il contatto e l’incontro, esercitare il discernimento di chi non ha paura di stare in situazioni complesse con “cuore accogliente”, che non significa giustificare qualsiasi scelta ma incontrare le persone dove sono e come sono. Diversamente si corre davvero il rischio di inoculare un “vaccino contro la fede”. Un atteggiamento che sarà tanto più facile quanto più si vive una fede consolidata, pur nelle contraddizioni dell’esistente. Molti sono tentati di annunciare il Vangelo con bastonate inquisitorie e con le condanne. al contrario, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore.14 i pilastri dell’educazione, oggi, sono: “trasmettere conoscenza, trasmettere modi di fare, trasmettere valori. attraverso questi si trasmette la fede. L’educatore deve essere all’altezza delle persone che educa, deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia”. Per questo, conclude Papa Francesco: “il compito educativo è oggi una “missionechiave”. 15 Mons. nunzio Galantino, nuovo Segretario Generale della Cei, non indugia a difendere e promuovere la scuola “a costo di qualsiasi sacrificio perché ne va della salute pubblica e della stessa democrazia”. L’educazione cristiana vuole evitare che la scuola sia aggredita dall’ideologia di chi vuole FRanCeSCo, Omelia nella ricorrenza del Santissimo nome di Gesù, 3 gennaio 2014. Svegliate il mondo!. Un colloquio con Papa Francesco sulla vita religiosa, in La Civiltà Cattolica, 3925, 4 gennaio 2014, p. 16. 14 15
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ridurla ad un sapere funzionale al mercato oppure orientato a una visione prefabbricata della realtà. essa è piuttosto l’esperienza di crescita comunitaria attraverso un serrato confronto critico. Per questo propone di ritessere i fili delle generazioni (docenti e discenti), quello delle agenzie educative (scuola, famiglia, chiesa), quello, infine, delle dinamiche sociali (scuola e lavoro), senza subire, ma rinnovandoci e rimotivandoci. Papa Francesco, il 10 maggio 2014, accoglierà il mondo della scuola in piazza San Pietro. non c’è testimone migliore per assicurare a tutti che la Chiesa intende promuovere l’educazione cristiana per il bene di tutti, a favore di ciascuno.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 167-178
ATTI SEMINARIO DI STUDIO
QUALE FUTURO PER L’EDUCAZIONE CRISTIANA? TRA SCUOLA E UNIVERSITÀ + ENRICO dal COVOLO Rettore Magnifico della Pontificia Università Laterenense
SOMMARIO: 1. Educazione e valori. - 2. La libertà di apprendimento. - 3. L’ambiente educativo di una scuola. - 4. I processi di insegnamento e di apprendimento. - 5. La mia esperienza di docente e di formatore salesiano. - 6. Conclusione.
Propongo con riconoscenza questa riflessione, nell’ottantesimo anniversario di fondazione della Rivista lasalliana. Dico con riconoscenza, perché per sette anni, tra il 1962 e il 1969, sono stato allievo dei Fratelli delle Scuole Cristiane nell’Istituto Gonzaga di Milano. Il 6 giugno 2012, poi, ho ricevuto dal Superiore Generale la Lettre d’Affiliation all’Istituto, e così posso “beneficiare dei frutti spirituali delle preghiere e delle attività apostoliche di tutti quelli che sono impegnati nella missione lasalliana”.
Partiamo da qui: non è la complessità, né la crisi, che ci fanno paura.1 In età moderna e contemporanea – dalle dichiarazioni illuministiche sulla ragione, fino alla demitizzazione del progresso – ci siamo finalmente persuasi che, in effetti, la realtà è complessa, e che la competenza umana è limitata, fallibile, benché sempre perfettibile. È questa una conquista della ragione: una conquista che arricchisce di plausibilità ulteriore il senso della Rivelazione, mentre impegna la ragione stessa in un cammino inesausto di ricerca.
Cfr. R. BONINO, Educazione e complessità sociale, in Evangelizzazione e educazione, LAS, Roma 2011, pp. 93-118. Questo volume, pubblicato dai Docenti della Sezione di Torino della Facoltà Teologica dell’Università Pontificia Salesiana, rappresenta nel suo complesso il miglior approfondimento del tema che mi è stato chiesto di trattare. Segnalo in particolare il contributo di R. SALA, La presenza della Chiesa nell’ambito educativo: la scuola, ibidem, pp. 153-169. 1
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Sia ben chiaro: è una conquista che non ha nulla da spartire con il relativismo. Relativismo, infatti, non vuol dire che la ragione umana è limitata, bensì che qualunque posizione ha il medesimo valore di un’altra. Così la scelta del relativismo si pone in irrimediabile contrasto con la ricerca autentica della verità. Diversa è la visione della «liquidità», o della «modernità liquida», espressioni adottate con grande fortuna dal sociologo polacco Zygmunt Bauman (vivente, nato a Poznan nel 1925) per indicare che la società odierna è fragile e disunita.2 Non ci sono regole forti; si sono indeboliti le comunità religiose e i partiti politici; tutti i rapporti – e non solo quelli di lavoro – sono precari, anche nella famiglia e nella coppia, mentre l’educazione svanisce, e prevale l’impulso immediato. Una «società liquida e divisa» è l’esito della statizzazione del diritto naturale, per cui i valori vengono sottoposti al voto e alle decisioni della maggioranza.
1. Educazione e valori
Ma i valori non sono disponibili alle decisioni della maggioranza: per questo stesso motivo, essi non sono affatto negoziabili. D’altra parte, senza valori condivisi e vissuti, non esiste una convivenza civile. Le religioni e la famiglia sono all’origine della convivenza civile: le religioni, perché fanno leva sulla coscienza delle persone, con il riferimento al Trascendente; e la famiglia, perché – fondata sull’amore degli sposi, maschio e femmina – porta con sé gli altri valori: dono, fedeltà, sincerità, lealtà, generosità, sacrificio, collaborazione, e così via. E questo non in forma teorica e astratta, ma nell’esistenza concreta e quotidiana. Senza la religione e senza l’amore di chi genera la vita, la convivenza umana non può esistere. Il concetto medesimo di persona è entrato nella cultura occidentale attraverso una religione, il cristianesimo, in riferimento alle «Persone divine», quali «relazioni sussistenti».3
Vedi per esempio Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, Bari 2011. Per un efficace inquadramento critico, cfr. R. SALA, L’umano possibile. Esplorazioni in uscita dalla modernità, LAS, Roma 2012, pp. 49-119. 3 Vedi sul tema le varie pubblicazioni di Andrea Milano, a partire da Alle origini del significato di persona nel cristianesimo antico, Edizioni Dehoniane, Napoli 1984. 2
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Le Persone divine sono tra loro in relazione: lo ha chiarito a sufficienza la bimillenaria riflessione teologica sulla Persona di Gesù Cristo, Uomo e Dio. In Lui vi è una sola Persona, e ci sono due nature: un solo centro responsabile, la Persona, oltre alle nature medesime. E tale Persona è relazione sussistente.4 Allo stesso modo, la persona umana è relazione, è il punto dal quale scaturisce la responsabilità dinanzi ai valori. Lo ha riconosciuto anche Kant, quando affermava che la persona umana è sempre fine, mai mezzo: e ne ha ricavato il conseguente imperativo categorico. La persona è coscienza, interiorità. D’altra parte, la persona umana non crea se stessa, non è la fonte ultima della responsabilità e dei valori. La persona umana è creata a immagine e somiglianza di Dio. Purtroppo, quando – in qualunque modo – si distrugge il rapporto con le Persone divine, l’uomo non riesce più a trovare l’origine ultima della propria responsabilità e dei valori, che lo caratterizzano come persona. Si indeboliscono, fino a spezzarsi, le relazioni con le persone. L’uomo stesso si considera – sempre praticamente: ma, spesso, anche teoricamente – un assoluto, che può disporre della propria responsabilità senza limiti, senza essere più legato ai valori. Senza riferimento al Trascendente, la responsabilità non ha più un punto di riferimento né una sanzione, e la libertà diventa un assoluto senza freno. La persona umana, in quanto relazione, nasce e si sviluppa lungo tutta la vita all’interno di relazioni: l’amore generante è relazione, e prima ancora lo è l’Amore che crea la persona umana. Relazione significa responsabilità, libertà, valori. E la relazione è originariamente educativa, perché è destinata a far crescere le persone che vi sono coinvolte. Poiché nessuno di noi è perfetto e pienamente realizzato, ognuno ha un impegno costitutivo di crescere e di migliorare lungo tutto l’arco della vita; e se la persona umana è relazione, noi cresciamo e ci sviluppiamo all’interno di relazioni umane costruite su valori vissuti. Al termine degli Esercizi Spirituali in Vaticano, il 27 febbraio 2010, Benedetto XVI ha pronunciato una parola conclusiva su questo argomento: «L’uomo», ha detto il Papa, «non è perfetto in sé; l’uomo ha bisogno della relazione, è un essere in relazione. Non è il suo cogito che può cogitare tutta
Si può rileggere, al riguardo, J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 1969 (più volte riedito), soprattutto le pp. 138-141. 4
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la realtà. Ha bisogno dell’ascolto, dell’ascolto dell’altro… Solo così conosce se stesso, solo così diviene se stesso».5 Le relazioni sono necessarie per ogni persona umana: senza di esse non viviamo. La distruzione delle relazioni comporta la perdita dei valori (e viceversa). È solo all’interno di relazioni costruite su valori condivisi e vissuti che avviene la nostra realizzazione, attraverso una sussidiarietà che significa scambio continuo e sempre più allargato, in vista della felicità di ognuno: esiste uno scambio di realtà materiali, come esiste uno scambio di realtà spirituali. Dunque, le relazioni autenticamente umane sono fondate sui valori, e vivono di essi. Questi valori sono garantiti dal diritto (che non è la legge). L’obbligo giuridico «viene a definirsi come giuridico soltanto se ridotto logicamente alla pretesa che gli corrisponde».6 A questo punto – unicamente in questa situazione relazionale, costitutiva della persona umana – diventa un «tu devi». Si può rileggere e meditare in questa prospettiva l’ormai celebre Discorso di Benedetto XVI al Bundestag di Berlino del 22 settembre 2011. Ma già nel suo discorso ai partecipanti al Convegno di studio organizzato dal Pontificio Consiglio per i testi legislativi, in occasione del XXV anniversario della promulgazione del Codice di Diritto Canonico (25 gennaio 2008), il Papa ricordava un’espressione «davvero incisiva del beato Antonio Rosmini: “La persona umana è l’essenza del diritto”». Bisogna riconoscere, in maniera coerente, che qualunque forma di comunità, di associazione o di organizzazione della convivenza è sussidiaria alla persona. La sussidiarietà è costitutiva della convivenza civile, perché permette alle persone di crescere attraverso un apporto reciproco, secondo le proprie competenze. Uscire da questo scambio significa allontanarsi dalla convivenza civile e da ogni realizzazione autentica della persona. In definitiva, tutte le forme di organizzazione della convivenza e della società civile sono in funzione della realizzazione dei diritti personali, e possono avere esiti positivi solo all’interno di un habitat di valori vissuti e sviluppati dalle famiglie e dalle religioni. Il principio di sussidiarietà intende
5 La citazione è tratta dalla quarta di copertina di E. DAL COVOLO, In ascolto dell’altro. “Lezioni” di Dio e della Chiesa sulla vocazione sacerdotale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010. 6 B. LEONI, Il diritto come pretesa, Liberilibri, Macerata 2004, p. 52.
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garantire proprio questo, configurandosi come aiuto e sostegno, affinché non vi sia sovrapposizione né imposizione gerarchica o burocratica né, infine, dispotismo in nome della libertà. Quando, purtroppo, succede che le persone umane sono espropriate dei loro diritti, ne conseguono due situazioni ugualmente insostenibili: le relazioni umane sono distrutte e la convivenza civile è paralizzata. Non c’è bisogno di rispolverare i catechismi della Rivoluzione Francese, per documentare come gli Stati, per mezzo della scuola, abbiano cercato il consenso dei sudditi. Basti ricordare quanto ha affermato con chiarezza Judith Krug nel 1986: «La questione riguarda quali valori vadano insegnati, quelli dei genitori o quelli dello Stato. Si combatte sempre per le menti dei bambini».7 È documentato come moltissimi genitori si siano rifiutati di inviare i propri figli a quel tipo di scuole di Stato. Ciò è avvenuto non solamente in Francia nel 1792; precedentemente era accaduto in Prussia dopo il 1763, quando Federico II aveva imposto la scuola governativa obbligatoria per tutti; ed è accaduto pure nel nostro Risorgimento, benché questi fatti vengano per lo più occultati.
2. La libertà di apprendimento
Se vi sono attività, che devono restare costitutivamente libere, queste sono l’insegnamento e l’apprendimento. La persona umana ha l’obbligo morale di ricercare la verità liberamente, per libera convinzione interiore. La libertà di apprendimento è a fondamento di ogni convivenza civile. Limitarla o manipolarla significa sopprimere i valori. In sintesi, ricordo quanto affermava don Sturzo nel 1947: «La libertà in un paese è una e indivisibile. Non si meraviglino amici e avversari se io ripeto qui quel che in pubblico e in privato vado scrivendo e dicendo a tutti: finché la scuola in Italia non sarà libera, neppure gl’Italiani saranno liberi; essi saranno servi, servi dello Stato, del partito, delle organizzazioni private o pubbliche di ogni specie, perché il cittadino non ha respirato da bambino e da giovanetto e da giovane che l’aria di una scuola non libera, dove l’insegnante (vesta o no la divisa militare come ai tempi fascisti) è anche lui un salariato, servo dello Stato, che deve ubbidire alle leggi che sono annullate dai regolamenti, e ai regolamenti che vengono modificati dalle circolari, e
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Cfr. “Education Week”, 6 novembre 1986.
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alle circolari che sono sospese con lettere di autorità…, mentre pesa su di lui lo spettro della carriera che ad ogni passo è resa incerta da nuovi e improvvisi provvedimenti. La scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in un ambiente adatto, con insegnanti impegnati alla nobile funzione di educatori, non può germogliare nell’atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale».8 In questo modo, don Sturzo ci ha indicato un programma. Approfondiamone alcune dimensioni.
3. L’ambiente educativo di una scuola
Anzitutto l’ambiente educativo della scuola è assicurato dalla presenza di studenti liberi, gioiosi, pieni di giovanile entusiasmo. Il punto di appoggio di simili ambienti sono le relazioni educative. Solamente all’interno di tali relazioni può avvenire la crescita delle persone. Il fondamento di ogni ambiente educativo è costituito dalle relazioni tra i docenti e gli studenti, e degli studenti tra di loro. La relazione docente-studente è educativa quando è finalizzata effettivamente alla realizzazione del giovane. Una relazione tra persone porta sempre allo sviluppo delle persone che interagiscono, quando si svolge all’interno di un habitat di valori che provengono dall’interiorità, dalla coscienza degli attori della relazione. Nel caso specifico di una relazione educativa, nel significato profondo del termine, l’habitat di valori è finalizzato appunto alla realizzazione del giovane. Evidentemente vi è un apporto di realizzazione anche per l’educatore. Tuttavia l’educatore è tale solo nella misura in cui accompagna il giovane nella sua realizzazione. Tale accompagnamento consiste nel discernere e nell’aiutare la vocazione del giovane. Dal punto di vista cristiano si tratta di una vocazione trascendente: è il piano della salvezza di Dio che si compie nel giovane, mentre l’educatore, accompagnando il giovane, realizza se stesso. In definitiva, l’educatore deve aiutare il giovane a scoprire le proprie attitudini, a individuare le sue aspirazioni, in vista della realizzazione di esse. Mai l’educatore deve imporre i propri schemi alla crescita del giovane. Quando il giovane scopre che l’educatore vuole il suo bene, gli corrisponde con impegno e amore, perché constata che l’educatore è al suo fianco per questo.
L. STURZO, Scritti storico-politici (1926-1949), in Opera omnia, terza serie, Edizioni Cinque Lune, Roma 1984, 5, pp. 213-223. 8
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Questa relazione, fondata non su fragili emozioni, ma sull’amore umano e cristiano profondi, è una relazione effettivamente educativa, e sta alla base di un ambiente educativo come la scuola. Don Bosco chiamava «amorevolezza» questa fondamentale relazione educativa. Anche le relazioni tra gli studenti devono essere costruite sul riconoscimento reciproco dei doni di Dio in ognuno di loro, nell’onorare tali doni, nell’amore, nella solidarietà, nell’aiuto reciproco. Bisogna avere il coraggio e l’energia di (far) uscire da comportamenti, che si configurano come espressioni di invidia, di superficialità, di uno scherzo che porta al misconoscimento dell’altro: il giovane educa il giovane. L’organizzazione dell’ambiente deve essere centrata su questa tipologia di relazioni, tenendo presente che quanto si dice dei giovani vale anche per il rapporto tra gli educatori. Essi devono stimarsi, collaborare, riunendosi pure spesso, per far emergere gli aspetti eventualmente negativi e positivi dell’andamento della scuola, per sviluppare questi e superare quelli. La scuola è ambiente educativo quando tutte le attività che si svolgono in essa sono così ordinate. Il docente è un vero educatore quando cerca la realizzazione dei giovani secondo la loro vocazione; ed è educatore cristiano quando li guida a scoprire la vocazione per la quale Dio li ha voluti, come persone in relazione originaria con Lui, che li ha creati.
4. I processi di insegnamento e di apprendimento
Tra i vari ambienti educativi, la scuola ha una missione peculiare: quella di attivare processi di insegnamento e di apprendimento formali, che si inseriscono nella relazione educativa con un obiettivo preciso, la ricerca e la crescita nella verità. La relazione educativa avviene nella situazione didattica. Nello specifico della scuola, l’interazione tra le azioni di insegnamento e di apprendimento è volta alla ricerca della verità per la realizzazione delle persone che apprendono, e – non possiamo tralasciarlo – pure di coloro che insegnano: i maestri devono accompagnare i giovani verso un progetto personale di apprendimento, o – più ancora – verso un progetto di vita globale, all’insegna di un cammino incessante di miglioramento e di crescita, che coinvolge esistenzialmente ancora loro: i maestri. Una relazione educativa, così concepita, qualifica la scuola e contribuisce allo sviluppo dei valori e della convivenza civile, oltre che al progresso dell’umanità. Ma questa relazione educativa deve essere promossa e sviluppata anche sul piano dei rapporti tra gli studenti. La formazione è anzitutto autoformazione. I protagonisti dell’educazione sono i formandi. Bisogna aiutarli a riconoscere i doni di Dio, che operano in loro; bisogna
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impegnarli nella promozione di essi; e occorre alimentare costantemente un clima di religioso stupore, di gratitudine sincera, di rispetto e di aiuto reciproco. Ma lo sviluppo della persona umana avviene sempre attraverso una dimensione conoscitiva e decisionale. Tutto ciò comporta un progressivo apprendimento, libero e responsabile. Se vogliamo descriverlo logicamente, il processo conoscitivo umano parte da bisogni e attese, intuisce un problema, elabora una teoria esplicativa, controlla se questa teoria funziona e giunge finalmente a intervenire sulla realtà: giunge così a rispondere ai bisogni e alle attese in una forma sempre limitata, fallibile e perfettibile. In ogni caso, la conoscenza umana non può essere ridotta a una dimensione teorica, astratta, poiché senza bisogni e attese concrete, anche materiali, non esistono conoscenze, e neppure si agisce. Intervenendo sulla realtà per rispondere alle attese e ai bisogni, la persona umana conosce meglio quello che la sua intelligenza aveva elaborato: giunge a una conoscenza finalmente umana nel significato completo del termine, perché l’uomo non solamente interpreta la situazione nella quale interviene, ma, intervenendo, investe in essa il proprio capitale umano, tutto intero. Fermarsi alla mera dimensione astratta della conoscenza umana – o, viceversa, ridurre le nostre prestazioni a mera applicazione – significa non comprendere appieno il valore conoscitivo e imprenditoriale dell’azione umana. I rinforzi delle conoscenze, la mobilitazione globale di esse, le disposizioni migliori si raggiungono quando si agisce e si comprende fino in fondo il processo completo e il significato pieno di quanto si va facendo. Di conseguenza, i processi di insegnamento e di apprendimento devono trasformarsi in un vero e proprio apprendistato: si comincia dall’apprendistato dei valori, in continuità con l’educazione familiare e religiosa. Una simile visione dei processi di insegnamento e di apprendimento porta lo studente alla ricerca della propria realizzazione, e – contestualmente – della verità di quanto gli viene proposto dal docente. E la proposta del docente dev’essere fondata sull’unica motivazione, che risiede nel valore veritativo di quanto propone, per le motivazioni confermanti che sostengono quanto egli espone. Di fatto, la ricerca della verità supera sia lo studente che il docente.
5. La mia esperienza di docente e di formatore salesiano
Ci siamo intrattenuti finora su quel munus educativum, che la scuola e l’università svolgono per la crescita integrale della persona umana in questa società complessa. Adesso invece desidero esprimere alcune convinzioni che ho maturato
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nella mia esperienza quarantennale di docente e di educatore salesiano, oggi chiamato al ministero episcopale, che è anch’esso un servizio educativo.
5.1. Come docente salesiano ho avuto la gioia e la grazia di incontrare moltissimi giovani. Tra di essi sono tanti coloro che ci autorizzano, con ragionevole speranza, alla possibilità di educare alla vita buona del Vangelo, secondo il titolo suggestivo degli Orientamenti Pastorali dell’Episcopato italiano per gli anni 2010-2020. Tra i moltissimi esempi che potrei citare, vorrei ricordare una delle icone più belle del mondo giovanile contemporaneo, che in occasione della mia partecipazione alla GMG di Madrid ho potuto contemplare di persona. Al di là del successo in termini di numeri, al di là delle diverse valutazioni che delle GMG si danno, alcune entusiastiche, altre più critiche, ci sono dei dati oggettivi: adolescenti e giovani, provenienti da tutto il mondo, accompagnati dai loro educatori, si radunano per ascoltare dei messaggi impegnativi; un pensiero non debole, ma forte, secondo il quale esiste una verità che valga per tutti; per accogliere una visione antropologica ispirata dalla ragione in armonia con la fede del Vangelo: una visione molto impegnativa, che richiede sacrificio e dedizione. Ho incontrato a Madrid in occasione della GMG del 2011, ho incontrato nei lunghi anni di docenza presso l’Università Salesiana, incontro oggi all’Università Lateranense, giovani che hanno ideali alti e nobili da purificare, da liberare, da maturare.
5.2. C’è naturalmente una riflessione complementare. Non poche volte incontro educatori scoraggiati dagli insuccessi. Ci sono infatti fenomeni che fanno pensare: ragazzi sfiduciati e depressi, oppure giovani schiavi di dipendenze nocive, dall’alcool all’erotismo. Vi cito solo alcuni titoli di studi seri e aggiornati della sociologia giovanile, che cercano di ritrarre quello che sta capitando: Perché siamo infelici; L’epoca delle passioni tristi; Fragile e spavaldo, ritratto dell’adolescente di oggi. Un altro titolo eloquente è quello del saggio di Umberto Galimberti: L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani.9 Che cos’è il nichilismo? Non c’è niente per cui valga la pena vivere e U. GALIMBERTI, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 20086. Leggiamo a p. 11: «I giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui. Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare…». 9
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morire, combattere e lavorare, sperare e soffrire. Di qui l’insaziabilità del desiderio e la ricerca di evasioni sempre più depravate, la mancanza di senso spirituale, l’analfabetismo emotivo. Non apro il discorso sulle ricadute dell’uso dei personal media e dei social network, che con la strada sono ormai diventati luoghi dove incontrare i giovani e stabilire con loro una relazione educativa. Così come non lo apro sul bullismo scolastico. Di fronte a questo quadro, che sembra indurci al pessimismo, allo scoraggiamento, all’inazione, Benedetto XVI, nella lettera inviata alla diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione, che ha poi ispirato gli Orientamenti Pastorali dell’Episcopato italiano, ci dice: «Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova, e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale».10
5.3. Questo invito a coltivare la speranza in campo educativo non è ingenuo, pressappochistico, superficiale. Ce lo assicura quel grande genio della pedagogia, San Giovanni Bosco. Egli ha elaborato una metodologia educativa, nota come «sistema preventivo», che invita l’educatore a sviluppare le risorse di ragione e di fede che ogni giovane, anzi ogni uomo, porta con sé.11 Che cosa si intende per ragione nel sistema preventivo di don Bosco? A questa domanda ha dato una risposta penetrante il beato Papa Giovanni Paolo II, spiegando che essa è un’antropologia educativa e una metodologia dell’azione educativa: «Il termine ragione sottolinea, secondo l’autentica visione dell’umanesimo cristiano, il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro, del vivere sociale,
BENEDETTO XVI, Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008. 11 Sull’argomento, vedi P. CHÁVEZ VILLANUEVA, Il servizio salesiano ai giovani nel campo dell’educazione. Lectio magistralis in occasione del conferimento del Dottorato Honoris Causa presso l’Università Cattolica “Giovanni Paolo II” di Lublino, 18 novembre 2011. 10
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ossia di quel vasto quadro di valori che è come il necessario corredo dell’uomo nella sua vita familiare, civile e politica... In sintesi, la ragione, a cui don Bosco crede come dono di Dio e come compito inderogabile dell’educatore, indica i valori del bene, nonché gli obiettivi da perseguire, i mezzi e i modi da usare. La ragione invita i giovani a un rapporto di partecipazione ai valori compresi e condivisi. Egli la definisce anche ragionevolezza per quel necessario spazio di comprensione, di dialogo e di pazienza inalterabile in cui trova attuazione il non facile esercizio della razionalità. L’educatore moderno deve saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti che attraggono i giovani: la pace, la libertà, la giustizia, la comunione e la partecipazione, la promozione della donna, la solidarietà, lo sviluppo, le urgenze ecologiche».12 Benedetto XVI, poi, ha fatto dell’amicizia tra fede e ragione una delle cifre, forse la più importante, del suo Magistero. La «ragione» del «sistema preventivo» di don Bosco, integrata e perfezionata dalla «religione», ricorda proprio il logos di cui il santo Padre spesso parla, un concetto largo e fiducioso della ragione umana: largo perché non è limitato agli spazi della cosiddetta ragione empirico-scientifica, ma è aperto alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano; fiducioso perché, se accoglie le ispirazioni della fede cristiana e la legge sovrana dell’amore, è propulsore di una civiltà che riconosce la dignità della persona umana, l’intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi doveri. Don Bosco, da parte sua, che riscuoteva la simpatia e, spesso, l’appoggio materiale e morale persino degli anticlericali della sua epoca, diceva che lo scopo finale della sua proposta educativa era fare di ogni ragazzo «un buon cristiano e un onesto cittadino». Cioè una persona umana integralmente sviluppata, proprio come auspicano i Vescovi italiani nei loro Orientamenti Pastorali quando, in nome della crescita della persona umana e della sua verità, domandano all’università di operare con coraggio e larghezza di vedute.
5.4. Un altro suggerimento ci viene ancora da don Bosco, dalle sue intuizioini e dalla sua esperienza. Oggi, la società è plurale e complessa. Allora chi vuole fare una cosa non può fare a meno, senza mai perdere la sua ispirazione originaria e la sua identità, di stabilire collaborazioni, ed entrare in rete. Anche qui don Bosco offre un input metodologico. Ha chiesto la colla-
GIOVANNI PAOLO II, Iuvenum Patris. Lettera nel centenario della morte di san Giovanni Bosco 11, 31 gennaio 1988. 12
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borazione di tanti, diversificata, proporzionata al contributo che ognuno poteva dare, ma non è mai stato un battitore libero, un solitario, anche se eroico. Ha creduto moltissimo nelle risorse del laicato, che ha coinvolto, entusiasmato, convocato. Non sempre ha avuto successo, ma non ha mai rinunciato a questo principio. Il titolo di un saggio comparso sul tema dell’emergenza educativa è significativo: Organizziamo la speranza.13 L’organizzazione include anche la raccolta delle risorse, la condivisione, la comunicazione, possibili forme di collaborazione, la nascita sul territorio di vere e proprie «costituenti» educative per sviluppare la metodologia del lavoro in rete. Non è questo un compito in cui le nostre istituzioni scolastiche e accademiche possono risultare propositrici e promotrici?
6. Conclusione
E concludo, ancora una volta con un riferimento personale. Per alcuni anni, i Superiori religiosi mi hanno affidato l’incarico di Postulatore delle cause dei santi della Famiglia Salesiana. Ho avuto così la grazia di poter meglio conoscere quell’universo umano di splendide figure che sono i santi. Tra essi vorrei ricordare un collega, Giorgio La Pira, professore di Diritto romano all’Università di Firenze, dotato di una straordinaria competenza nella sua disciplina, educatore eccellente sempre ricercato dai giovani, con i quali intratteneva un dialogo vivo e attento alle loro esigenze, pronto, quando le circostanze lo richiesero, ad assumere gravi responsabilità civili e politiche, che svolse con quell’incidenza profetica che tutti, amici ed avversari, gli riconobbero. Perché lo ricordo oggi? Perché voglio dire agli educatori che operano nell’ambiente della scuola e dell’università che l’esercizio della professione è la nostra vocazione per diventare santi e per educare allievi santi: purché – proprio come il professor Giorgio La Pira – sappiamo assumere quelle competenze e quelle responsabilità educative, che fanno di un professore un uomo e una donna pensosi e operosi, sempre consacrati al bene.
13
F. MICCICHÉ, Organizziamo la speranza, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2001.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 179-186
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LA RISPOSTA LASALLIANA ALLE SFIDE DEL XXI SECOLO ÁLVARO RODRÍGUEZ ECHEVERRÍA Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane
SOMMARIO: 1. Lottare contro la povertà. - 2. Lavorare per impedire le guerre. - 3. Condividere una spiritualità umanizzatrice e cristocentrica. - 4. Annunciare il Vangelo. - 5. Difendere i diritti del fanciullo. - 6. Aiutare i giovani a dare un senso alla propria vita. - 7. Impegnarsi a favore dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso. - 8. Promuovere un rinnovamento educativo. - 9. Conclusione.
È
sempre segno di vita e di speranza il fatto che Fratelli e Associati nello spirito lasalliano guardino al futuro per poter rispondere insieme alle molteplici sfide educative che ci presenta la gioventù di oggi. Noi nasciamo per i giovani e sono loro che debbono mostrarci il cammino da seguire. Se ci riteniamo loro maestri non dobbiamo dimenticare che conviene essere anche loro discepoli, con il cuore aperto ai loro insegnamenti. Personalmente penso che dobbiamo abbandonare tanti pregiudizi che ci mostrano a volte soltanto il rovescio della medaglia e saper valorizzare innumerevoli aspetti positivi dei giovani. Il nostro lavoro come maestri, accompagnatori, guide e amici dei giovani ha un enorme ed attuale valore. Fratelli e Associati insieme sono chiamati a vivere la missione e la spiritualità lasalliane a partire dalle rispettive identità, rispondendo alle sfide del XXI secolo, nel servizio educativo ai poveri e, cominciando da questi, alle necessità di tutti i giovani. In un mondo globalizzato e in una Chiesa che ha optato con il Vaticano II per una Chiesa “Popolo di Dio”, cioè di tutti i battezzati, dalle nostre rispettive vocazioni dobbiamo sentirci chiamati ad unire le forze per la costruzione del Regno e per la Missione che Dio ha posto nelle nostre mani. Fratelli e Lasalliani laici dobbiamo camminare uniti per tener testa alle sfide della missione nella Chiesa di oggi. Il Battesimo è il sacramento essenziale del popolo di Dio che plasma ognuno secondo il modello della Trinità, par-
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tendo dalla sua vocazione specifica: immagine del Padre e della gratuità del suo amore, immagine del Figlio, nella sua missione affinché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10), immagine dello Spirito Santo che stabilisce legami di amore e di amicizia permettendoci di rendere migliore il prossimo e di lasciarci modellare a nostra volta. Questo dialogo di comunione, arricchito e reso più forte dalla fede, ci deve portare tutti ad ascoltare, incontrare ed accogliere, discernere, di modo che le riflessioni, i programmi e le decisioni possano essere condivisi e nello stesso tempo ognuno si senta come qualcosa di irripetibile, necessario, con una missione complementare ed una corresponsabilità affettiva ed effettiva. In questo modo potremo avere la capacità di vedere innanzitutto ciò che c’è di positivo nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo al meglio come dono di Dio: Un ‘dono per me’, oltre che ad essere un dono per il fratello che lo ha ricevuto direttamente.1 In realtà è più ciò che ci unisce di ciò che ci separa: per questo, come ci ricordava il nostro amato Giovanni Paolo II nella Christifideles Laici: “i fedeli laici, insieme ai sacerdoti, religiosi e suore, costituiscono l’unico popolo di Dio e Corpo di Cristo”.2 Affrontare insieme le sfide educative del XXI secolo, che i giovani specialmente i poveri, il mondo e la Chiesa ci presentano oggi, richiede la nostra attenzione, in particolare alle otto seguenti priorità sulle quali mi sembra dobbiamo incentrare i nostri sforzi nella missione che realizziamo e nell’associazione che vogliamo vivere.
1. Lottare contro la povertà
Dobbiamo unire i nostri sforzi per rispondere con creatività alle nuove forme di degrado dell’uomo, alle nuove povertà, alle richieste che ci fa il mondo degli esclusi. Una presenza solidale ci deve stimolare ad una inventiva feconda di iniziative proprie ed in collaborazione con quelle altrui. Nel 2000, i dirigenti di tutto il mondo, nella Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, promisero di lavorare insieme per raggiungere obiettivi concreti che avrebbero permesso lo sviluppo e ridotto la povertà al più tardi nell’anno 2015. Il primo obiettivo di sviluppo del millennio è quello di sradicare la povertà estrema e la fame. Finora, tuttavia, nonostante le promesse, molto poco è stato fatto. La situazione attuale continua ad essere tragica, anche se molte volte non ne abbiamo la piena coscienza. In realtà 800 milioni di persone pati-
1 2
GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica “Novo Millennio ineunte”, n. 43. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica, n. 28.
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scono la fame e 18.000 bimbi muoiono ogni giorno di fame o a causa delle malattie provocate dalla fame. In altre parole, ogni cinque secondi muore un bambino. Oggi, 300 milioni di bambini soffrono di fame cronica. La nostra associazione nella missione lasalliana ci deve portare a rispondere direttamente alle necessità di questi bambini, sollecitando i fanciulli ed i giovani che dispongono di maggiori possibilità a dare una risposta solidale.
2. Lavorare per impedire le guerre
Le guerre che si oppongono al volere di Dio e creano problemi ancora maggiori. Sappiamo che la guerra non è la soluzione e che dobbiamo essere costruttori di pace. L’esortazione apostolica Vita Consecrata afferma che noi Religiosi, e penso che valga anche per i Laici lasalliani, dobbiamo essere nella Chiesa testimoni di un dialogo sempre possibile, soprattutto là dove il mondo di oggi è diviso dall’odio etnico o da follie omicide.3 Jorge Debravo un poeta del mio paese diceva: Non ti offro la pace, fratello uomo, perché la pace non è una medaglia: la pace è una terra ridotta in schiavitù e dobbiamo andare a liberarla… basta lanciarci nell’amore.
Le guerre del ventesimo secolo sono state le più terribili nella storia dell’umanità. Esse sono state la causa diretta o indiretta di quasi 187 milioni di morti. Oggi si calcola che l’80-90% dei feriti gravi per azioni di guerra siano civili. Guerre di alta o bassa violenza sono state presenti lungo questo secolo e disgraziatamente continuano ad essere in atto anche nel nostro secolo XXI appena iniziato. Sappiamo purtroppo che dopo la caduta del Muro di Berlino la pace non si è imposta. Le azioni di guerra hanno assunto nuove sfaccettature: divisioni nazionali, etniche, culturali e religiose. In Ruanda, Croazia, Bosnia, Kosovo, Armenia, Azerbaigian e Palestina le differenze etniche e culturali hanno riacceso rancori ancestrali ed oggi costatiamo situazioni similari in Congo o in Siria. Promuovere il dialogo interculturale e interreligioso, far tacere gli attriti stridenti e offensivi diviene una necessità vitale per la pace ed il bene del-
3
GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata, n. 51.
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l’umanità. Se non si segue questa prospettiva interculturale e interreligiosa corriamo il rischio di promuovere e consacrare la globalizzazione della violenza legittimata. È necessario tracciare sentieri di dialogo, mutuo riconoscimento e rispetto reciproco, soprattutto di vincoli di solidarietà e di misericordia tra le diverse religioni storiche. José Saramago ha scritto all’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001: Dovremo sempre morire per qualcosa, però non si contano più gli esseri umani morti nei peggiori modi che gli umani abbiano potuto inventare. Uno di questi, il più criminale, assurdo, quello che più offende la semplice ragione, è quello che dagli albori del tempo e della civiltà, ordina di uccidere in nome di Dio.4 In molti Paesi non ci sono guerre ma la xenofobia ed i comportamenti anti emigranti sono cresciuti pericolosamente ed oggi siamo più consapevoli dei nuovi martiri e della persecuzione che molti cristiani soffrono nel mondo. Fratelli e Laici dobbiamo lavorare insieme attraverso l’educazione cristiana per la costruzione di un mondo senza frontiere, dove tutti si sentano a casa; dove non ci siano discriminazioni etniche, culturali o religiose; dove si viva uno spirito di rispetto, di dialogo e di tolleranza; dove si lavori per la pace nella giustizia; dove si sappia accettare la differenza; dove i bimbi possano sognare un mondo migliore.
3. Condividere una spiritualità umanizzatrice e cristocentrica
Il Concilio Vaticano II ha insistito su questo tema affermando: “Nasce un nuovo umanesimo, in cui l’uomo viene definito principalmente per la sua responsabilità riguardo ai suoi fratelli dinanzi alla storia”. Parla inoltre dei cristiani come “creatori di una nuova umanità”. Uno degli aspetti che più inquietano ed affliggono gli uomini e le donne di oggi è la mancanza di umanità. I limiti toccati dalla violenza e dal terrorismo, dalla fame e dalla discriminazione, hanno raggiunto livelli allarmanti. Ciò rende evidente la necessità di umanizzazione come in poche epoche precedenti. Per rispondere a questo imperativo, si moltiplicano le ONG, i gruppi che, a prescindere dalla confessione religiosa, si sentono spinti a rispondere ai problemi delle persone bisognose nelle situazioni di maggior rischio. Il grido lacerante di un mondo più giusto e più umano non può lasciarci cristiani o lasalliani indifferenti e dobbiamo essere creativi nelle nostre risposte. Il nostro Fondatore, Giovanni Battista de La Salle, ci invita, d’altra parte,
4
“O fator Deus”, Folha de São Paulo, 19 settembre 2001.
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a conformarci a Cristo nel nostro ministero di educatori cristiani. Si tratta di uniformità ad un livello sempre più profondo di identificazione e non soltanto di copiare un modello esteriore. La conformità a Cristo deve portarci ad essere sacramento di Cristo per i nostri discepoli: Gesù vuole che i vostri discepoli vi considerino come lui stesso e che accolgano i vostri insegnamenti come se fosse lui a darli; essi debbono essere persuasi che è la verità di Cristo quella che parla attraverso la vostra bocca.5
4. Annunciare il Vangelo
Un Vangelo vissuto che si converte in Vangelo condiviso, considerando i cambiamenti che viviamo nel mondo di oggi. Siamo chiamati ad evangelizzare la nostra realtà rimanendo molto sensibili ai problemi con cui oggi abbiamo a che fare; tra essi possiamo segnalare: il secolarismo e la mancanza di valori, la globalizzazione ed i suoi effetti escludenti, la inculturazione ed un nuovo modo di incarnare il Vangelo, i diritti umani, specialmente quelli della donna e del fanciullo. Per questo oggi più che mai l’evangelizzazione si rivela come un imperativo essenziale. Evangelizzare costituisce, infatti, la sorte e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più rispondente.6 Evangelizzare, in ultima analisi, non è altro che aprirci al mistero di Dio ed al mistero umano. Lo scoprire un Dio che cerca l’uomo incondizionatamente e in modo gratuito e scoprire l’essere umano eterno cercatore, mai soddisfatto, aperto sempre a nuove avventure che rispondono alle sue insaziabili aspirazioni e desideri, segnato da una profonda nostalgia dinanzi alle esperienze quotidiane della solitudine, dell’abbandono, dell’alienazione, dello sradicamento, della noia, della massificazione, della frustrazione, del rifiuto… Il centro di tutta l’Evangelizzazione è il duplice comandamento dell’amore: verso Dio e verso il prossimo. Per questo, tutta l’evangelizzazione si deve tradurre sostanzialmente in passione per Dio e passione per l’umanità.
5. Difendere i diritti del fanciullo
Questa dovrebbe essere una caratteristica di ogni lasalliano. Ci sono situazioni dinanzi alle quali non possiamo rimanere indifferenti: bambini
5 J. B. DE LA SALLE, Opere, Città Nuova, Roma 1999, vol. II, Meditazioni per il tempo di ritiro (MTR), 195, II. 6 PAOLO VI, Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, n. 14.
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soldato o vittime della guerra, bambini sequestrati, bambini lavoratori, violentati, bambini senza possibilità di educazione… Sia nelle società del Nord come in quelle del Sud, i bimbi costituiscono l’anello più debole e fragile. È molto triste conoscere che dall’inizio della guerra in Siria sono morti più di 7000 bambini, come recita un dossier delle Nazioni Unite. È molto triste sapere che oggi nel mondo esistono circa 300.000 bambini soldato, secondo un dossier di Amnesty International, utilizzati come macchine da guerra, portatori, spie, messaggeri, gorilla, schiavi sessuali, cercamine… È importante conoscere e far conoscere questa realtà, pregare per questi bambini e, secondo le nostre possibilità, collaborare con le associazioni che lottano contro questa piaga che umilia l’umanità. Ricordo con ammirazione l’opera lasalliana di Mannar, Sri Lanka, dove i Fratelli hanno un’opera in favore dei fanciulli che furono arruolati durante la guerra da poco terminata. Rispondere come lasalliani alle necessità dei più deboli è stata una delle proposte che ci ha fatto l’Assemblea Internazionale della Missione Educativa Lasalliana, del maggio 2013.
6. Aiutare i giovani a dare un senso alla propria vita
Di conseguenza, non possiamo accontentarci di offrire dei servizi, per quanto questi siano importanti. Questo sarà possibile soltanto se noi ci poniamo un orientamento nella nostra vita, che coincide con il fine della nostra associazione: porre i mezzi della nostra salvezza integrale, corpo ed anima, nel servizio educativo di tutti i giovani. Oggi più che mai sono vere quelle illuminate parole del Vaticano II: A ragione possiamo pensare che la sorte futura dell’umanità si trova in mano di coloro che siano capaci di trasmettere alle generazioni future, ragioni valide per vivere e per sperare.7 Ita Ford, religiosa di Maryknoll, che ha lavorato tra i profughi della guerra di El Salvador nel 1980, poco prima di essere assassinata scrisse alla nipote di diciassette anni negli Stati Uniti: Spero che arrivi ad incontrare ciò che dia senso profondo alla tua vita. Qualcosa per cui valga la pena vivere - qualche volta anche morire -, qualcosa che ti sproni, che ti entusiasmi, che ti faccia andare avanti. Non posso dirti quello che può essere. Questo tocca a te scoprirlo, sceglierlo, amarlo.8
Costituzione pastorale “Gaudium et spes”, n. 31. DEAN BRACKLEY, Una vocazione per la mia tribù: solidarietà, ST, Revista de Teología Pastoral, luglio-agosto 2003. 7 8
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7. Impegnarsi a favore dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso
Un dialogo che ci permetta di camminare insieme per la costruzione di un mondo più umano, coscienti che, al di là delle tradizioni, storia, cultura, aspirazioni, tutti siamo figli e figlie dello stesso Creatore, formiamo parte della stessa famiglia e siamo chiamati a partecipare alla costruzione del regno di Dio, in cui tutti ci riconosceremo come fratelli e sorelle. Mi sembra che le radici più profonde del dialogo interreligioso, per noi cristiani, si trovano nel Vangelo e nell’insegnamento, nella libertà e nell’esempio di Gesù. Per Lui il comandamento principale è amare Dio ed il prossimo. Per Lui alla fine della vita saremo giudicati sull’amore: Avevo fame e mi avete dato da mangiare, sete… (Mt. 25). Il dialogo, al di là delle differenze religiose, ci deve portare a costruire un mondo in cui tutti possano essere e sentirsi figli e figlie di Dio, fratelli e sorelle tra di loro, con un’attenzione tutta particolare per i poveri e coloro che soffrono. In una parola, chiamati a costruire insieme il Regno di Dio, avendo come fondamento l’accoglienza, il perdono, l’umiltà, la vicinanza, la tenerezza, la solidarietà, la compassione e la misericordia. Il dialogo interreligioso ci apre alle enormi opportunità che gli uni e gli altri insieme possiamo affrontare. Per esempio: promuovere e favorire tale dialogo ed il dialogo tra le culture, evitando ciò che è stato definito lo shock delle civiltà; impegnarci per la pace e la non violenza; creare reti di solidarietà e lavorare per un ordine internazionale più giusto e per quelli che ne restano esclusi; difendere la vita umana e quella dell’ambiente; essere sostenitori di valori trascendenti ed etici.
8. Promuovere un rinnovamento educativo
Un rinnovamento educativo deve andare oltre la pura amministrazione o il rinforzo dell’inglese e della matematica. Deve dare forza al senso, tipicamente lasalliano, di comunità e fraternità, dinanzi all’individualismo ed alla massificazione; impegnare nella lotta contro la povertà; promuovere un’educazione alla giustizia, alla pace, alla solidarietà ed alla tolleranza e, finalmente, permeare la formazione di persone libere e giuste. Il rinnovamento pedagogico ci deve portar ad esercitare un duplice colpo d’occhio. L’uno verso il passato per domandarci quale sia stata l’intuizione originale che ha fatto nascere il nostro Istituto e l’altro verso il presente, che si apre ad un futuro incerto, per vedere come nel mondo d’oggi diamo corpo a questa intuizione che è stata il nostro nucleo generatore. Giovanni Battista de La Salle non desiderò altro che fornire mezzi per la salvezza, una salvezza integrale che comprende le varie dimensioni dell’uo-
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Álvaro Rodríguez Echeverría
mo, alla portata dei giovani, soprattutto di quelli che si trovavano più lontani da essa. Questa è stata la motivazione fondamentale che ha animato il nostro Istituto, con i suoi alti e bassi, lungo questi tre secoli di storia umana. Per questo, ogni presenza autenticamente lasalliana deve vivere una triplice motivazione: essere attenta alla realtà, lasciarsi commuovere dinanzi alle necessità che ci presenta il mondo giovanile e cercare con creatività vie di rinnovamento. In secondo luogo è necessario situarci nel momento storico che oggi viviamo, un tempo particolarmente significativo che sperimentiamo non tanto come un’epoca di cambio, bensì come un cambio di epoca. La situazione mondiale è caratterizzata da un numero considerevole di tendenze ed avvenimenti. Il programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD) ci parla di come la povertà porta sempre più la faccia di un bimbo o di una bimba, di come aumentano gli indici di ripetenti e di coloro che abbandonano gli studi nelle scuole primarie di molti Paesi, di come la disoccupazione giovanile si converte in moneta corrente. Questo si traduce nel fatto che una grande parte della popolazione giovanile rimane esclusa dal sistema educativo e dal mondo del lavoro. Sappiamo che questa realtà raggiunge quasi il 40% dei giovani italiani.
9. Conclusione
Come Istituto internazionale e come Famiglia Lasalliana siamo chiamati a non rinchiuderci nel nostro piccolo orizzonte, bensì a sentirci parte di un organismo che ci apre il cuore al mondo intero. La Regola dei Fratelli delle Scuole Cristiane ci presenta, senza giri di parole, questo obiettivo che supera ogni tipo di frontiera, sia di tempo che di spazio: “Questo Istituto, attento soprattutto alle necessità educative dei poveri che aspirano ad essere consapevoli della loro dignità di uomini e di figli di Dio e cercano di farla avvalere, crea, rinnova e diversifica le sue opere, secondo le necessità del Regno di Dio”.9 Questa è la sfida che oggi raccogliamo, quella che dà significato alla nostra missione e che stimola la nostra creatività evangelica.
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J. B. DE LA SALLE, Opere, Città Nuova, Roma 1999, vol. I, Regola, 11.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 187-196
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L’EDUCAZIONE DI MENTI APERTE QUALE PRESIDIO DI UNA SOCIETÀ APERTA DARIO ANTISERI
Professore di Metodologia delle Scienze Sociali SOMMARIO: 1. Il compito della scuola. - 2. La ricerca pura e la ricerca applicata. - 3. Il mito della cultura scientifica e della cultura classica. - 4. Le pratiche didattiche alle prese con problemi. - 5. I problemi e gli esercizi. - 6. La didattica della storia: storiografia ideologica e storiografia scientifica. - 7. La didattica della letteratura e dell’arte come conoscenza. - 8. La didattica della storia della filosofia. - 9. Unico è il metodo, diverse sono le metodiche. - 10. Il compito degli insegnanti: educare alla razionalità.
«L
1. Il compito della scuola
a scuola – ha scritto Albert Einstein – ha sempre costituito il mezzo più importante per tramandare i valori della tradizione da una generazione all’altra. Ciò è vero oggi più che nel passato poiché la famiglia è stata sminuita come portatrice della tradizione e dell’educazione dal moderno sviluppo della vita economica. La continuità e la salvezza della società umana dipendono perciò dalla scuola in misura ancora maggiore che nel passato». Di conseguenza, «la scuola dovrebbe sviluppare nei giovani quelle qualità e quelle capacità che rappresentano un valore per il benessere della comunità. Ma ciò non significa che l’individualità debba essere distrutta e che l’individuo debba diventare un semplice strumento della comunità, come un’ape o una formica. Una comunità di individui tutti uguali, senza originalità e senza mete personali sarebbe una povera comunità senza possibilità di sviluppo. Al contrario, l’obiettivo deve essere l’educazione di individui che agiscano e pensino indipendentemente, i quali, tuttavia, vedono nel servizio alla comunità il loro più alto problema di vita».1 E qui va subito detto che il primo 1
A. EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, trad. it., Einaudi, Torino, 1965, p. 79 ss.
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servizio alla comunità, ai nostri giorni, è diventata la difesa della democrazia, di quella “società aperta” che può venir presidiata unicamente da “menti aperte”, libere, creative, critiche e responsabili, pronte a riconoscere i propri errori e quelli altrui, capaci di non cadere preda dei tanti imbonitori prezzolati, di non venire ingannate in un’epoca, per dirla con Irving Lee, di menzogna organizzata. È mutato l’ambiente in cui crescono le menti dei nostri ragazzi – basti pensare ad Internet, un mare di informazioni in cui loro navigano sostanzialmente senza bussola; o ad una TV con la quale, come precisato da Hans-Georg Gadamer, «è finita l’epoca dell’esperienza del dialogo», e che Karl R. Popper ha stigmatizzato come “cattiva maestra”. Da qui la consapevolezza che unicamente su di un sistema formativo che educhi alla razionalità potrà trovare fondamento la speranza in una “società libera” e, insieme – o, meglio, proprio perché libera – in grado di sviluppare quella “ricerca pura” o di base, alle cui conseguenti innovazioni tecnologiche si lega indissolubilmente una economia fiorente e competitiva. La “new economy” è “economia della conoscenza”.
2. La ricerca pura e la ricerca applicata
È fuor di dubbio vero che non si può essere ricchi e stupidi per più di una generazione. Dunque: ricerca applicata. Ma ecco John Dewey: «Non ci si guadagna molto a tenere il proprio pensiero legato al palo dell’uso con una catena troppo corta». E allora, prima della ricerca applicata, ricerca pura e finanziamenti pubblici e privati per la ricerca pura o di base – e questo per la semplice ed evidente ragione che, come fatto presente dal filosofo tedesco Hans Albert, «nulla vi è di più pratico di una buona teoria». Quindi, ricerca applicata e, prima ancora, ricerca pura. Ma, è questa la tesi di fondo delle pagine che seguono: prima ancora della ricerca pura, la massima attenzione agli studi umanistici, alla storia, all’arte, alla filosofia. E ciò per la ragione che proprio agli studi umanistici sono legate «le capacità intellettuali di riflessione e di pensiero critico [che] sono fondamentali per mantenere vive e ben salde le democrazie». Questo scrive Martha Nussbaum nel suo recente e davvero prezioso lavoro Non per profitto. Perché le democrazie “hanno bisogno” della cultura umanistica.2 E di fronte alla tendenza degli Stati moderni di eliminare, o comunque mettere all’ultimo posto, gli studi umanistici, sempre la Nussbaum ammonisce che, «quando ciò avviene, le stesse attività economiche ne risentono, perchè una sana cultura economica ha bisogno di creatività e di pensiero critico, come autorevoli economisti hanno sottolineato».3 M. NUSSBAUM, Non per profitto. Perché le democrazie “hanno bisogno” della cultura umanistica, trad. it., il Mulino, Bologna, 2011, p. 28. 3 Op. cit., p. 55. 2
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3. Il mito della cultura scientifica e della cultura classica
Il mito delle due culture, quella scientifica e quella umanistica, con il connesso pregiudizio di un diverso metodo di indagine per i due ambiti, si è rovesciato sulla scuola alimentando, in un crescendo pericoloso, la falsa e nefasta credenza che solo le scienze naturali, la matematica e oggi l’informatica siano discipline degne di una scuola seria e che, di conseguenza, gli studi umanistici, privi del crisma della scientificità, costituirebbero unicamente una specie di inutile ornamento. Ebbene, questa è una concezione semplicemente falsa, oltre che dannosa. Falsa in quanto gli sviluppi della riflessione epistemologica e della teoria ermeneutica hanno mostrato a chiare lettere che la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito essa venga praticata (in fisica e in storiografia, in filologia e in biologia, in psicologia e in economia, e così via) procede con il medesimo metodo: si affronta un qualche problema; si propone una qualche ipotesi o congettura o interpretazione come tentativo di soluzione; si sottopone questa ipotesi al più rigoroso controllo sulle sue conseguenze; e, se i controlli mostrano uno scontro tra queste conseguenze e i “fatti”, l’ipotesi proposta va scartata in quanto smentita, vale a dire “falsificata”; da qui, nuovi tentativi di soluzione e nuovi controlli. Unico il metodo della ricerca scientifica, diverse – di volta in volta – le metodiche, cioè le tecniche di prova, vale a dire gli “apparati” teorici e tecnici di controllo, per esempio, di una teoria fisica, di una teoria economica, di una ipotesi filologica o di una congettura storiografica. In breve: scienziato il fisico, scienziato lo storico; scienziato il biologo, scienziato il filologo. E gli uni e gli altri sono ricercatori scientifici perché nella soluzione dei loro differenti specifici problemi procedono con lo stesso metodo, sottoponendo ai più severi controlli teorie formulate in modo da poter scontrarsi con i “fatti” dell’ambito indagato. È la falsificabilità, infatti, il criterio di demarcazione tra teorie scientifiche e teorie non-scientifiche. Quello delle due culture è un mito, una falsa storia.
4. Le pratiche didattiche alle prese con problemi
È esattamente da simile prospettiva di metodo unificato che scaturisce una vera cascata di considerazioni di non indifferente rilevanza per effettive pratiche didattiche tese alla formazione di menti critiche. Così è per la differenza, tanto spesso trascurata, tra problemi ed esercizi; per la natura delle discipline, il significato del lavoro interdisciplinare e la cura di quelle malattie che sono il dogmatismo, il nozionismo e il ricerchismo. D’altra parte, se accanto all’ora di italiano, di inglese o di matematica non c’è un’ora di creatività, se questa è la situazione, se cioè la creatività non può essere insegnata, essa però può venir tuttavia stimolata puntando, per esempio, su una didattica per problemi (e non per esercizi) e sulla eliminazione della paura di commettere
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errori. Ed è qui che si inserisce il grande tema dello sfruttamento didattico dell’errore. L’errore nella scienza, nella vita e nella scuola è inevitabile e quel che veramente conta è insegnare ad apprendere dai nostri errori e da quelli altrui. Educazione alla razionalità è educazione a far tesoro degli errori nostri e di quelli degli altri. Razionale, infatti, non è, per dirla come Karl. R. Popper, un uomo che voglia avere ragione, ma è piuttosto un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui. In simile orizzonte, proprio alla luce dei risultati della riflessione epistemologico-ermeneutica contemporanea, ben si comprende la portata formativa di antiche – e purtroppo o sottovalutate o non sempre apprezzate appieno – pratiche didattiche come il tema argomentativo, le versioni di greco e di latino (e, in ogni caso, le traduzioni da una lingua ad un’altra) e i riassunti. Temi argomentativi, versioni e riassunti sono autentico lavoro di ricerca perchè sono tentativi di soluzione di problemi. Insomma, laddove l’insegnamento delle scienze si è tante volte risolto o ancora, benché sempre meno, si risolve in una stanca e non formativa didattica per esercizi, il tema argomentativo (cioè il tema concepito e preparato come un problema da risolvere), la traduzione di un brano di latino o di greco, il riassunto di un testo sono tutte pratiche didattiche alle prese con problemi. E la sorprendente conclusione di tali considerazioni è che in alcuni (o tanti?) Licei scientifici la sola attività di ricerca si è ridotta alle poche versioni di latino e in alcuni (o tanti?) Licei classici alle versioni di greco, oltre a quelle di latino. Temi argomentativi, versioni di greco e di latino e riassunti: pratiche didattiche antiche – antiche e mai vecchie, perchè formative. E oggi più urgenti che mai, se si pone mente al fatto che, come risulta dalle indagini OCSE-PISA (2011), i nostri ragazzi sono sotto la media europea nella comprensione di un testo.
5. I problemi e gli esercizi
Il problema va risolto; l’esercizio va eseguito. Il problema è il primum movens della ricerca – ricerca di soluzioni e, quindi, di proposte alternative da discutere, da mettere a prova al fine di trovare in esse eventuali errori che andranno eliminati tramite la creazione di teorie migliori. Il problema, per essere ancora più chiari, è una domanda per la quale chi se la pone non ha ancora una risposta – risposta che va trovata sul sentiero delle congetture e delle confutazioni, dei controlli e della scoperta e dell’eliminazione degli errori; una risposta, insomma, che va cercata sulla strada di serrate discussioni, di un dialogo teso verso teorie sempre più potenti dal punto di vista esplicativo e previsivo. Un esercizio, invece, è una domanda per la quale chi se la pone ha già a disposizione la soluzione, magari appresa a memoria senza motivazione alcuna – né teorica né pratica. L’esercizio va, appunto, eseguito; e tale lavoro implica che non si deve discutere, che non c’è alcun bisogno
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della fantasia creatrice di ipotesi, che non vadano commessi errori. Il problema scatena la ricerca; l’esercizio la blocca. Ma ecco l’inevitabile domanda: e dove sono mai i problemi nell’insegnamento delle scienze? Risposta: essi, in linea generale, sono in fondo al testo di fisica, di chimica, o di biologia; in fondo ai manuali di geometria e di algebra..., stampati in corpo minore quale banco di prova dell’aver appreso teorie già trovate e provate e, nel manuale, ridotte a formule da applicare. D’accordo: ma si tratta davvero di problemi o di esercizi? Si tratta ovviamente di esercizi mascherati da problemi. Certo, in momenti precisi del lavoro scolastico, gli esercizi vanno eseguiti – ed eseguiti quale controllo del possesso di una teoria da parte dell’allievo; ma, intanto, l’aver scambiato i problemi con gli esercizi resta una evidente spia di una didattica che trasforma quella che è l’attività più antidogmatica della mente umana, cioè la ricerca scientifica, nel supporto di un diffuso e pernicioso dogmatismo scientista: la scienza darebbe verità certe, indiscutibili, quelle verità riportate nei manuali e che dovrebbero venir semplicemente memorizzate. Un indirizzo, questo, che in anni recenti si è cercato, giustamente, di correggere con riflessioni epistemologiche connesse all’introduzione di significative iniezioni, nell’insegnamento di argomenti scientifici, di storia della scienza – una storia che mostra come quella che oggi è reputata “superstizione” era la “verità” di ieri e che lo sviluppo della scienza è frutto di fantasie ardite e di controlli severi, in un lavoro comunque collaborativo, dove soluzioni via via migliori fioriscono sul “tesoro degli errori”.
6. La didattica della storia: storiografia ideologica e storiografia scientifica
Attenuata, ma mai spenta è la polemica sui testi di storia accusati di faziosità ideologica. E che di questi testi ne siano esistiti e ne esistano – sia nell’interpretazione di non pochi eventi o di interi periodi storici quando non di tutta la storia umana e sia nell’occultamento di fatti e azioni in contrasto con la “verità manifesta”, e pertanto supposta indiscutibile, dell’ideologia abbracciata dall’autore – è una realtà. Ma è una falsità che la storiografia non possa essere che ideologica. È una falsità perché se è vero che esiste una vasta storiografia ideologica, è anche vero che esiste una storiografia scientifica. E chiara è la demarcazione tra l’una e l’altra. La prima, quella ideologica, copre fatti, eventi ed azioni con teorie non falsificabili, vale a dire con filosofie o teologie della storia; la seconda, quella scientifica, offre spiegazioni coperte da teorie falsificabili (di economia, sociologia, psicologia, ecc.) e non ancora falsificate. Su questa problematica decisivo è l’aiuto che la riflessione epistemologico-ermeneutica può apportare ad una analisi in grado di individuare nel mare magnum degli scritti storici (ed anche il giornale di oggi fa storia dei fatti di ieri) ciò che è scientifico da ciò che scientifi-
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co non è, ma che, per esempio, svolge funzioni morali o, più spesso, politiche. Quindi, nessuna condanna della storiografia ideologica. La cosa importante è sapere quale gioco si stia giocando e non cadere vittime di “crampi mentali”, direbbe Wittgenstein, confondendo il “giuoco-di-lingua” ideologico con il “giuoco-di-lingua” della scienza. Un’operazione, questa, resa, appunto, possibile in base ai risultati ottenuti da epistemologi come C. G. Hempel, K. R. Popper, E. Nagel o R. B. Braithwaite e da storici, tanto per fare soltanto qualche nome, come L. Febvre, M. Bloch o il nostro G. Salvemini. Dunque: quando lo storico fa scienza, e non storiografia ideologica, lavora con lo stesso metodo del fisico o del biologo, fa cioè ricerca scientifica. Ora, però, e la domanda non può venir accantonata, che cosa succede nel nostro sistema formativo per quel che riguarda l’insegnamento della storia? Succede, in linea generale e anche tenendo conto dei vari espedienti didattici tesi ad arricchire tale insegnamento, che l’apprendimento della storia – se si escludono lodevoli esperienze nella Scuola elementare e ricerche per tesi di laurea in storia all’Università – succede, appunto, che l’apprendimento della storia si riduce nel mandare a memoria, per magari ben presto dimenticarle, pagine e pagine di testi da ripetere all’esame. Faticosi sforzi di memoria senza un barlume di ricerca, senza la scintilla di un problema – e, quindi, senza la minima consapevolezza delle difficoltà e delle incertezze che il lavoro degli storici comporta, e degli errori commessi e poi corretti dagli stessi storici. Da qui la necessità di compiere, ai diversi livelli di scuola, ricerche di storiografia locale. Tali ricerche, oltre che emotivamente coinvolgenti, risultano eminentemente formative per la ragione che educano al sano principio del dubbio, perché insegnano a dubitare di idee su fatti, eventi e “monumenta” che, trasmesse e ripetute, passano per verità scontate; perché insegnano a sospettare della carta stampata o delle “verità” proclamate da politici e loro “clarinetti”. Non aveva torto Marcel Proust a dire che «gli interessi “inventano” evidenze».
7. La didattica della letteratura e dell’arte come conoscenza
L’urgenza della storiografia locale si sposta, del tutto naturalmente, quasi per forza d’inerzia, sulla storia dell’arte, sulla necessaria conoscenza di quell’immenso e splendido patrimonio artistico che fa del nostro Paese il più grande museo del mondo. La storia dell’arte dovrebbe essere materia insegnata, a partire perlomeno dalla Scuola Media, in tutti i nostri indirizzi scolastici. La storia dell’arte non è un ornamento per anime belle e sfaccendate. E – a parte il fatto che un bene culturale potrebbe, in mano ad una politica intelligente, venir facilmente trasformato in un bene economico “eterno” – senza storia dell’arte ci sarebbe preclusa gran parte della conoscenza dell’uomo. Così E. Cassirer: «L’arte e la storia sono gli strumenti più validi per una indagine sull’uomo. Senza queste due fonti di informazione, che cosa si potrebbe conosce-
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re sull’uomo?».4 In ogni caso, se le produzioni artistiche sono fonte di conoscenze – per esempio, sulle consuetudini morali, sulle credenze religiose, su istituzioni sociali, sui modi di vestire, ecc. – qui, nel delimitato progetto di questo mio lavoro, viene scelta, anche perché didatticamente feconda, una teoria estetica: quella che concepisce l’arte e, in special modo, la letteratura come conoscenza essa stessa. E a questo proposito il richiamo a Nelson Goodman e alla sua teoria relativa al carattere fondamentalmente cognitivo delle produzioni artistiche risulta più che evidente.5 Goodman non si inginocchia davanti alla scienza, come se soltanto le scienze e, in particolare modo, la fisica fossero in grado di offrire conoscenza. La “dispotica dicotomia” tra “scientificocognitivo” e “artistico-emotivo” è, a suo avviso, un errore bell’e buono: «Le arti devono essere prese in considerazione non meno seriamente delle scienze in quanto modalità di scoperta, di creazione, di ampliamento della conoscenza nel senso largo di progresso nel comprendere». Un solo esempio: si potrebbe pensare che descrizioni di personaggi inesistenti non dicano niente sul mondo, così come sarebbe il caso di don Chisciotte; solo che, fa presente Goodman, chiedersi se una persona è un don Chisciotte o un don Giovanni e, potremmo aggiungere, un don Abbondio è «una domanda vera e propria, quanto chiedersi se una persona è paranoica o schizofrenica». E, qua giunti, si fa, allora, chiaro l’approccio che, nell’orizzonte di siffatta teoria dell’arte e della letteratura, indirizzerà, nella maniera più consistente pur se non esclusiva, la didattica della storia dell’arte e delle letterature, dove, per esempio, si porranno domande come queste: che cosa so di più o di diverso da quanto sapessi prima sull’uomo e sulla storia delle sue idee dopo una ben preparata visita al Museo egizio di Torino?; quale è il messaggio di fondo dell’Antigone di Sofocle?; e I promessi sposi quanti e quali tipi di umanità ci pongono sotto gli occhi?; e non sapremmo tanto meno sull’uomo senza quello che ci hanno donato Dante e Shakespeare, Tolstoj, Dostoevskij e Thomas Mann? E se è nel giusto Italo Calvino a sostenere che «le favole sono vere», si dà anche che verità sui vivi troviamo nei tanti racconti sul mondo dei morti o sui mondi della Luna. Noam Chomsky: «Si imparerà sempre di più sulla vita dell’uomo e sulla sua personalità dai racconti che non dalla psicologia scientifica».
8. La didattica della storia della filosofia
Le idee – ha affermato Albert Einstein – sono la cosa più reale che esista al mondo. E non c’è alcun dubbio che, tra queste cose più reali, le più imporCfr. E. CASSIRER, Saggio sull’uomo, trad. it., Armando, Roma, 1968. Cfr. N. GOODMAN, Vedere e costruire il mondo, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 2008 e Il linguaggio dell’arte, trad. it., il Saggiatore, Milano, 1976. 4 5
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tanti per le singole persone come per la storia dei diversi gruppi umani sono le idee filosofiche: su Dio o la non esistenza di Dio, sulla natura umana, su questo o quello o nessun senso della storia umana, sulla validità o meno di questa o quella tavola dei valori, sull’organizzazione delle regole della convivenza, e così via. Quelle filosofiche sono, insomma, idee della massima rilevanza, solo che si pensi che la Terra è inzuppata di sangue versato, non in nome di idee e teoremi scientifici, ma esattamente in nome di idee non scientifiche, cioè di visioni del mondo religiose o filosofiche. E, dunque, come pensare e articolare una didattica della Storia della filosofia all’interno di un progetto pedagogico teso alla formazione di menti critiche? Ebbene, in coerenza con la concezione fallibilista, viene assunta l’idea che le teorie filosofiche, pur non essendo fattualmente falsificabili al pari delle teorie scientifiche, non per questo sono irrazionali. Se le teorie scientifiche sono razionali in quanto controllabili sui “fatti”, le teorie filosofiche – e filosofiche in quanto non controllabili sui “fatti”, giacché, se lo fossero, sarebbero scientifiche e non filosofiche – sono razionali se e quando risultano criticabili. E sono criticabili allorché sono suscettibili di entrare in urto con pezzi di Mondo 3 (un risultato matematico, un teorema logico, una teoria scientifica, un’idea metafisica, ecc.) all’epoca ben consolidato e al quale all’epoca non si sia ragionevolmente disposti a rinunciare. Questa della criticabilità delle teorie filosofiche come criterio di demarcazione tra teorie filosofiche razionali e teorie filosofiche razionalmente indecidibili è una proposta sviluppata all’interno del razionalismo critico (K. R. Popper, J. Watkins, J. Agassi e, soprattutto, W. Bartley). Ed è una proposta che, se da una parte ci dice che essere razionali equivale ad essere critici, per cui la falsificabilità delle teorie scientifiche è un caso della più ampia razionalità, dall’altra si trasforma in un fecondo strumento euristico con significative ricadute pedagogico-didattiche. Difatti, alla luce di tali presupposti, lasciando per il momento da parte quel professionista che è lo storico delle idee filosofiche, lo studente sarà stimolato ad individuare in un testo di filosofia (libro, saggio o articolo) il problema che il filosofo ha affrontato, la teoria risolutiva che costui avrà proposto, le prove da lui addotte a supporto di tale teoria e, insieme, le critiche che, a suo parere, scalzerebbero le teorie all’epoca alternative. Lo studente si abituerà così a scorgere, dentro ad una storia di idee che prima facie potrebbero apparirgli come una disarticolata e magari insensata filastrocca di opinioni, la meravigliosa lotta ingaggiata dalle menti più eccelse dell’umanità con problemi indubbiamente non di rado difficili ma altrettanto indubbiamente “troppo umani” per non venir affrontati con passione e il massimo impegno. Senza una seria consapevolezza dei problemi filosofici e della storia dei tentativi avanzati per risolverli si è più poveri, e anche “meno cittadini”, e sicuramente “meno cittadini del mondo”.
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9. Unico è il metodo, diverse sono le metodiche
Fu agli inizi degli anni Settanta che mi resi conto che il metodo per trial and error teorizzato da Popper e il circolo ermeneutico teorizzato da Gadamer fossero la stessa cosa, che cioè unico fosse il metodo della ricerca scientifica: nelle scienze naturali e in quelle storico-sociali, come in tutte le discipline umanistiche. Allora questa idea parve “sorprendente” e non pochi di coloro che se ne interessarono la respinsero, a volte con “sdegno”. Ai nostri giorni, la situazione è mutata e l’dea che tutta la ricerca scientifica si realizzi con lo stesso metodo, mentre diverse sono le metodiche, vale a dire le tecniche di prova, è una idea che, nell’ambito degli studi metodologici, non viene messa sostanzialmente in discussione. Ebbene, è stato proprio alla luce di simile prospettiva che, già quaranta anni fa, cominciai ad interessarmi delle questioni pedagogiche e dei problemi didattici. In innumerevoli incontri, in congressi e convegni e corsi di aggiornamento ho avuto l’occasione di discutere delle conseguenze didattiche della prospettiva epistemologico-ermeneutica con insegnanti dei vari ordini di scuola, un po’ in tutta Italia. Quarant’anni di lavoro impegnativo non sono pochi, e davvero molti, moltissimi, sono i docenti con i quali ho avuto la fortuna di dialogare.6 E se il consenso da parte loro ad alcune mie proposte sia teoriche che operative mi ha spinto a proseguire nella direzio-
6 Parallelamente a questi numerosissimi incontri e dibattiti, mentre da una parte ho cercato di approfondire tematiche di natura teoretica (ricordo qui soltanto: Teoria unificata del metodo, Liviana, 1980 e successive edizioni presso UTET Libreria; Trattato di metodologia delle scienze sociali, UTET Libreria, 1995; con G. REALE, Quale ragione?, Cortina Editore, 2001; con H. ALBERT, Epistemologia, ermeneutica e scienze sociali, Luiss Edizioni, 2002), dall’altra ho cercato di contribuire alla discussione sui problemi della scuola: con articoli su riviste pedagogiche («Scuola italiana moderna»; «Cultura e scuola»; «Didattica delle scienze»; «Didattica della matematica e delle scienze integrate»; «Tuttoscuola») con la partecipazione, in qualità di membro della Commissione ministeriale, alla formulazione dei Programmi della scuola elementare (1985); con la nomina a presidente di due faticosissimi Concorsi direttivi (1977; 1984); e soprattutto con pubblicazioni quali: Epistemologia e didattica della storia (Armando, 1974); Il mestiere del filosofo. Didattica della filosofia (Armando, 1976); Epistemologia contemporanea e didattica delle scienze (Armando, 1977); Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base (La Scuola, 1983); con L. MASON, L’insegnamento della storia (SEI, 1987); Introduzione alla metodologia della ricerca (SEI, 1986; Rubbettino, 2007); con contributi e volumi collettivi come: Gaetano Salvemini, metodologo delle scienze sociali (Rubbettino, 1996); Conoscere per tracce. Epistemologia e storiografia, a cura di E. Di Nuoscio e M. Gervasoni (Unicopli, 2005); con voci sull’Encicolopedia Pedagogica (La Scuola); con vari saggi inseriti nei due volumi dal titolo Ragioni della razionalità (Rubbettino, 2004). Nel 2011, sono tornato su temi di filosofia dell’educazione e di didattica, sempre a partire dalla teoria unificata del metodo, in: Contro Rothbard. Elogio dell’ermeneutica (Rubbettino) e nel capitolo Più filologia nel mondo di Google, nel volume scritto insieme a S. TAGLIAGAMBE e P. MANINCHEDDA dal titolo La libertà, le letture, il potere (Rubbettino).
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ne del lavoro intrapreso, debbo confessare con tutta sincerità che molto ho imparato dalle loro critiche e dai motivi di dissenso di volta in volta fattimi presenti – tutto ciò nella reciproca consapevolezza che, per dirla con Alfred N. Whitehead, un contrasto tra idee non è un dramma, ma una opportunità.
10. Il compito degli insegnanti: educare alla razionalità
Se torno ad insistere su pratiche didattiche viste alla luce della prospettiva epistemologico-ermeneutica è perché sono sempre più del parere che si tratti di una prospettiva che può aiutare la nostra scuola nella sua lotta contro tutte quelle realtà che, da più parti e con mezzi sempre più potenti, tendono ad anestetizzare la fantasia creatrice e le capacità critiche dei nostri ragazzi. Si tratta di una lotta a difesa di una educazione alla razionalità. E nel ribadire il valore di una didattica epistemologicamente orientata non c’è nessun’altra pretesa che quella di offrire, ove ce ne fosse ancora bisogno, un utile orizzonte teorico a quello splendido lavoro che gli insegnanti già fanno. È questo, da parte mia, un modo di seguitare a stare dalla parte loro. Stare dalla loro parte, specialmente in anni come quelli che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, nei quali la nostra scuola, non sempre adeguatamente apprezzata e sostenuta dalle stesse famiglie, ha subito una serie di ferite da parte di una politica dissennata. Goethe ha ancora ragione: «Nulla è più funesto dell’ignoranza attiva». E se all’ignoranza si aggiungono arroganza e irresponsabilità, la tragedia è assicurata. Per tutto ciò schierarsi dalla parte della funzione sociale e dell’impegno formativo degli insegnanti vuole essere un segno di speranza nel futuro di una comunità più libera, più operosa, più inclusiva ed accogliente.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 197-204
ATTI SEMINARIO DI STUDIO
LE SFIDE DELL’EDUCAZIONE OGGI: IL RUOLO DELLE PARTNERSHIP PEDAGOGICHE CLAUDIO GENTILI Responsabile Education di Confindustria
SOMMARIO: 1. Il futuro del lavoro e le competenze collegate. - 2. Deficit di competenze: la questione mismatch. - 3. L’importanza dell’esperienza sul campo/pratica. - 4. La “filiera intelligente” tra industria e formazione. - 5. Apprendistato come parte del percorso di formazione e non come “primo contratto di lavoro”. - 6. Un nuovo approccio educativo orientato all’occupazione. - 7. Il ruolo cruciale della libertà di scelta educativa. - 8. Le sfide davanti a noi.
L
1. Il futuro del lavoro e le competenze collegate
o scenario globale ci sta dicendo che è in corso una vera e propria gara della conoscenza, una pacifica “Risiko del sapere” che sarà determinante per il futuro delle imprese italiane ed europee. La strategia Europa 2020 punta ad una crescita intelligente: essa scommette su investimenti più efficaci in un’istruzione sostenibile e inclusiva e, soprattutto, in innovazione. L’innovazione nasce quando c’è forte interazione tra idee, invenzioni, prototipi tecnologici e domanda di mercato. Ma alla base, c’è un forte investimento in ricerca che molti Paesi del mondo stanno portando avanti. Per tornare a crescere l’Italia deve valorizzare le sue grandi risorse industriali e tecnologiche. Il manifatturiero oggi è profondamente cambiato e può crescere solo se si collega in modo più efficace all’export, ai servizi, alla green economy, alla digitalizzazione. Ma soprattutto per tornare a crescere il nostro Paese deve riscoprire la sua capacità di innovazione formativa. Oggi politica industriale significa politica formativa: è necessario pertanto un approccio strategico nuovo. C’è un corto-circuito che va risolto al più presto per evitare di disperdere i talenti dei nostri giovani. Oggi tutte le chiusure e i campanilismi sono asset negativi per il nostro Paese. Non possiamo permetterci azioni isolate. Lo scambio
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Claudio Gentili
di esperienze tra industria e sistema educativo è fondamentale nella società della conoscenza.
2. Deficit di competenze: la questione mismatch
Partiamo da un dato: il 41% di disoccupazione giovanile che l’Istat ha rilevato a inizio 2014. Come si affronta la disoccupazione? Al di là degli allarmismi da cui non derivano azioni concrete, per iniziare a combattere la disoccupazione è necessario affrontare la questione mismatch. Il mismatch, paradosso tutto italiano di giovani che non trovano lavoro e di imprese che non trovano giovani figure professionali, attesta l’incapacità del nostro sistema formativo di rispondere ai fabbisogni produttivi di imprese sempre più orientate all’innovazione e al rinnovamento competitivo. L’ultimo Rapporto Excelsior 2013 attesta una carenza di circa 47mila figure professionali che sono soprattutto laureati in materie tecnico-scientifiche e diplomati in percorsi tecnici e professionali, figure fondamentali per le imprese in difficoltà, specialmente le piccole e medie, ed in particolare le PMI che hanno alti volumi di esportazione e continua necessità di un capitale umano altamente competente. Non a caso tra i diplomati sono introvabili i disegnatori tecnici, gli sviluppatori di software, i tecnici dell’agro-alimentare ed in particolare gli addetti alla green economy, settore che sta mostrando forti livelli di crescita ormai da qualche anno. Ma mancano all’appello anche lavoratori tipici del mercato interno con settori che stanno lottando strenuamente per uscire da questa difficile crisi (è il caso degli edili e dei turistico-alberghieri). È evidente un deficit di orientamento scolastico e universitario che penalizza giovani e famiglie più di quanto si possa pensare. Oggi scuola e università creano spesso disoccupati e scoraggiano l’impegno nella formazione: non è un caso quel 1,3 milioni di NEET che pone il nostro Paese tra i primi in Europa per giovani che non studiano, non lavorano, non cercano. Su questo problema bisognerà utilizzare con saggezza la Garanzia Giovani e investire la dote di 1,5 miliardi di Euro nel prossimo con interventi mirati e non a pioggia. Non basta dare ai giovani un’opportunità formativa o lavorativa. Serve creare e diffondere modelli virtuosi che possano garantire lungimiranza agli interventi urgenti che stanno per essere messi in campo.
3. L’importanza dell’esperienza sul campo/pratica
Il mismatch è, come detto, un fenomeno paradossale quanto significativo per il nostro Paese. Esso comunque non è un destino incontrovertibile e ci sono delle soluzioni e dei modelli positivi che provengono soprattutto
Le sfide dell'educazione oggi: il ruolo delle partnership pedagogiche
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dall’esperienza delle imprese nei territori. Esperienza di cui ancora troppo poco si parla. Il concetto di fondo è la collaborazione tra mondo produttivo e mondo educativo. I dati, infatti, ci dicono che la distanza tra domanda delle imprese e offerta formativa si riduce notevolmente nelle regioni dove sono diffuse e sistematiche le collaborazioni scuola e impresa, in particolare tra gli istituti tecnici e le aziende manifatturiere (molto interessante è il caso del Veneto e del polo calzaturiero). Come best practice in questo senso si può citare il Progetto “Club dei 15 istituti dell’innovazione manifatturiera” che riunisce le Associazioni Industriali delle 15 province con il più alto tasso di industrializzazione manifatturiera (Ancona, Belluno, Bergamo, Biella, Brescia, Como, Lecco, Modena, Novara, Prato, Pordenone, Reggio Emilia, Treviso, Varese, Vicenza, cui si sono aggiunte successivamente Mantova e Monza), e che hanno identificato, nei rispettivi territori, 15 istituti tecnici con cui collaborare e valorizzare le collaborazioni scuola-impresa in territori virtuosi. In questi territori il mismatch è molto ridotto, come confermato dallo stesso Rapporto Unioncamere. Questa circostanza si verifica perché le imprese incontrano i diplomandi e non i diplomati, conoscono cioè gli studenti prima che possano concludere gli studi. In questo modo da un lato il giovane si orienta verso quelli che sono gli sbocchi pratici dell’impresa, dall’altro lato l’impresa comincia a fare un check di quelli che sono i potenziali candidati ad un’assunzione. Questo processo di riduzione del mismatch si sta ad esempio già realizzando nei percorsi di formazione post-secondaria che sono gli ITS. Anche qui: si tratta di percorsi di formazione tecnica avanzata molto richiesti dalle imprese. È in altre parole una delle nuove frontiere per recuperare le collaborazioni e le sinergie che per decenni hanno caratterizzato le “scuole tecniche” e le imprese industriali del nostro Paese. Una frontiera che andrà studiata per dare ai neo-diplomati un canale di formazione che porti più rapidamente al lavoro. Il successo occupazionale degli ITS (6 diplomati su 10 è assunto appena concluso il percorso formativo) è molto ampio anche perché è forte la partecipazione delle imprese sia nelle Fondazioni che nella realizzazione dei tirocini. Non a caso gli stessi docenti degli ITS si sono formati in una cultura industriale: il 35% di loro viene dal mondo imprenditoriale. Il 22% sono liberi professionisti con forte esperienza.
4. La “filiera intelligente” tra industria e formazione
Serve puntare sulle convergenze tra tutti i protagonisti (attuali e futuri) dell’attività economica e formativa dei territori. Serve definire e valorizzare
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le vocazioni produttive quanto le vocazioni formative. È qui l’idea di “filiera intelligente”. Oggi un territorio non può produrre “tutto e male”, ma fare rete con altri territori per creare valore aggiunto e specializzarsi in determinati settori: i settori più innovativi saranno quelli maggiormente in grado di competere nel mondo. Allo stesso modo una scuola e un’università non può insegnare “tutto e male”, specialmente quando ha il compito di sviluppare le potenzialità produttive e occupazionali di un territorio. Per tornare a competere è prioritario, dunque, impostare una nuova dinamica tra produttività e territorio, dinamica nella quale non rientrano soltanto la produzione industriale, ma anche la “produttività” dei processi formativi e sociali che in una società della conoscenza come la nostra non possono più essere trascurati. Produzione e formazione non devono più restare delle monadi separate. Di conseguenza come la scuola non può chiudersi al lavoro e all’impresa, l’impresa non può chiudersi alla scuola. Questa esigenza si sta diffondendo sempre di più tra gli imprenditori italiani che comprendono sempre di più l’importanza di giovani ben formati, come direbbe Morin di teste “ben fatte”, per poter far crescere la loro impresa e mantenerla competitiva nel difficile contesto globale. Le teste “ben fatte” e non quelle “ben piene” hanno fatto grande il nostro Paese nel mondo. Così oggi senza un capitale umano altamente formato l’impresa riduce notevolmente la sua capacità di resistenza alla crisi e di reazione alla competizione.
5. Apprendistato come parte del percorso di formazione e non come “primo contratto di lavoro”
I territori, dunque, offrono delle soluzioni pratiche di notevole interesse che possono rappresentare modelli per l’intero Paese. Ma a livello nazionale abbiamo già uno strumento da utilizzare subito: l’apprendistato. Con l’ultimo decreto “Carrozza”, denominato “L’istruzione riparte”, le strategie di diffusione dell’apprendistato si sono ampliate. È fondamentale soprattutto investire sull’apprendistato di I livello, per l’acquisizione di una qualifica professionale e, per gli studenti universitari, l’apprendistato di III livello. L’errore di fondo è fossilizzarsi troppo sulle questioni contrattuali dell’apprendistato e trascurare gli aspetti formativi di questo strumento. L’apprendistato è soprattutto un percorso formativo, prima che un contratto. È la lezione tedesca che ancora non riusciamo ad imparare.
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È vero: il contratto di apprendistato così com’è oggi comporta oneri che disincentivano le imprese, soprattutto le piccole e medie, che più che trasmettere il proprio know-how sono spesso chiamate all’espletamento di procedure burocratiche di rendicontazione della formazione che rallentano l’attività in azienda e spesso non consentono all’apprendista di entrare nel vivo della vita d’impresa. Non bisogna fare dell’apprendista una sorta di “specie protetta” e bisogna che i contratti rispondano soprattutto alle sue esigenze formative.
6. Un nuovo approccio educativo orientato all’occupazione
La scuola è davanti ad un aut-aut: può essere un ascensore sociale o aggravare le differenze che disintegrano la coesione sociale. È il momento in cui tutti coloro che hanno a cuore l’educazione dei più giovani si impegnino concretamente per garantire alle nuove generazioni la possibilità di esprimere il proprio potenziale nel mercato del lavoro. I problemi occupazionali di cui si è discusso dunque non nascono oggi. Essi affondano le radici in una impostazione culturale del nostro sistema educativo che, dal ’68 in poi, ha diffuso nel Paese un mito egualitario che ci ha fatto dimenticare quanto sia importante coltivare i talenti delle nuove generazioni, stimolando e riconoscendo il merito, per permettere ai nostri giovani di crescere “in casa”, nel senso di Italia e non di casa dei genitori, e promuovere lo sviluppo di un Paese che ha forte bisogno di innovazione e creatività. Peraltro, non bisogna dimenticarlo, siamo in piena crisi demografica. I nostri giovani saranno sempre di meno e più si capisce che vanno formati all’eccellenza, più si riuscirà a mantenere una efficienza produttiva e una qualità della vita degne di un grande Paese come l’Italia. Per invertire la tendenza bisogna dare fiducia ai giovani, accompagnandoli nelle scelte, mettendosi in ascolto e interagendo con loro: basta andare ad incontrarli per capire molto velocemente quanta sia l’energia che possono sprigionare. Un’energia di cui il Paese ha bisogno per uscire dalla sua ridondanza e che deve essere ben orientata. Bisogna ammettere che oggi l’Italia non è un Paese per giovani, sia per questioni quantitative che culturali. Le questioni culturali: nonostante tutti ne parlino infatti, nessuno parla con le nuove generazioni. Nessuno ascolta, con la pazienza dei padri e dei maestri, capace di perdonare le ingenuità e di apprezzare l’entusiasmo tipico della giovane età.
Pochi si interrogano su come creare un ambiente protetto che non sia una gabbia ma un trampolino di lancio per chi rappresenta il nostro futuro. Molti continuano addirittura a negare il dilagante apartheid giovanile, relegando
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la questione ai commenti dei soliti, pochi, e immancabili esperti del settore. Eppure la bassa crescita formativa dei nostri ragazzi è in simbiosi totale con la bassa crescita economica del Paese. L’altra questione è che i nostri giovani sono pochi, come ho detto prima. La bassa natalità è una sconfitta per la civiltà occidentale, che già nella storia ha condannato grandi imperi e prospere nazioni. A questo aggiungiamo che i giovani che ci sono, per quanto capaci, non riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro e la frittata è fatta. Possiamo dire che negli ultimi 20 anni abbiamo assistito ad un dimezzamento del nostro capitale umano. Solo nella scuola ci sono ben 2 milioni di giovani in meno rispetto a 20 anni fa. Bisogna riconoscere che siamo il paese occidentale più protettivo verso i figli. Siamo una delle società in cui il sostegno della famiglia ai figli è più forte e dove la permanenza dei figli nelle mura della casa in cui sono nati è più lunga (più di 7 milioni di giovani tra 18-34 anni vive ancora in casa dei genitori.) Grande importanza avrà il tipo di orientamento che si svolgerà nelle scuole: per far ripartire il Paese, oggi e subito, la scuola deve erogare cultura adeguata ad una società industriale ed evoluta, mettendo i giovani in condizione di affrontare le sfide derivanti dalle nuove tecnologie, dalla competizione globale e dal continuo cambiamento. Oltre ai tradizionali “saperi”, tra i quali particolare rilievo dovranno avere le materie scientifiche, la scuola dovrà fornire ai giovani, offrendo competenze concrete: - solide conoscenze logico-matematiche; - proprietà di linguaggio e capacità di comunicazione; - padronanza dell’inglese; - utilizzo disinvolto degli strumenti informatici; - capacità di analisi e di sintesi; - attitudine al “problem solving”.
7. Il ruolo cruciale della libertà di scelta educativa
Le incrostazioni ideologiche e culturali del nostro Paese, oltre ad aver separato il lavoro dallo studio, hanno innalzato ad idolo la scuola statale mettendo fuori gioco, o comunque considerando in chiave inferiore, tutto quell’humus formativo che proviene dalle scuole paritarie a cui è stata riconosciuta piena legittimità con la Legge 62/2000. Le scuole paritarie in Italia pagano il mito dell’omologazione a tutti i costi. Anche per la scuola si è creduto infatti che l’uguaglianza fosse perseguibile attraverso l’uniformità. Molte volte si è creduto di creare uguaglianza soffocando il pluralismo scolastico e la libertà educativa delle famiglie in
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diverse occasioni si è dimenticato che scuola pubblica non significa solo scuola statale. Oggi, tuttavia, il moloch della scuola statale autoreferenziale e incomunicante si è per forza di cose indebolito. Ed è qui che la scuola paritaria, ma in generale il principio che la sottende, la libertà di scelta educativa, possono contribuire fattivamente a diffondere un nuovo modello di scuola che risponda al pluralismo della modernità e sappia conciliare identità culturale con la necessaria spinta all’innovazione. La libertà di scelta educativa può fornire al Paese quegli spunti per progettare una nuova scuola. Per farlo bisogna orientare i nuovi processi educativi a questi principi: a) interiorizzazione delle regole della democrazia e del pluralismo; b) capacita di concepire un progetto di vita fondato su una identità culturale e professionale; c) capacità di iniziativa, di relazione e di comunicazione. La società della conoscenza ci chiede di abbandonare definitivamente la strada del nozionismo. Una nuova didattica per competenze si fa necessaria per lo sviluppo integrale dello studente. In questo ambito la scuola paritaria, in particolare quella cattolica, possono dare degli spunti di miglioramento all’intero sistema educativo. Non dimentichiamo che la scuola cattolica è stata la prima a riconoscere, nella modernità, il valore educativo dell’unione sapiente tra mani e ingegno. Ci si è dimenticati troppo presto l’esempio di don Bosco, che nel 1846, ben prima dell’Unità d’Italia, riuscì a formare una piccola scuola dei mestieri, togliendo orfani e ragazzi “difficili” dalla strada, insegnando loro a studiare, lavorare, pregare e stare con gli altri. La “Tettoia Pinardi” che ne nacque, fu la prima scuola di formazione professionale del Paese.
8. Le sfide davanti a noi
La sfida educativa davanti a noi è l’integrazione della scuola e dell’extrascuola che necessita di una nuova fase di partnership pedagogiche: tra scuola e imprese, tra scuola e territorio, tra scuola e famiglie, tra scuola e istituzioni. È necessario integrare capitale sociale e capitale funzionale per creare un “capitale comunitario” che nutra costantemente le vocazioni imprenditoriali dei distretti e metta in relazione, fin da subito, le nuove generazioni con le imprese. Sempre maggior rilievo assume l’efficiente organizzazione delle principali funzioni territoriali: formazione, reti infrastrutturali, trasporti, telematica, servizi pubblici, welfare locale. I sistemi relazionali di integrazione formazione-impresa diventano quindi motore di coesione sociale, di osmosi dei saperi, di compensazione tra
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ATTI SEMINARIO DI STUDIO
Claudio Gentili
interessi che normalmente non sono in relazione tra loro e non si conoscono. Non bastano aggregazioni puramente operative, ma filiere intelligenti in grado di coinvolgere in una vision di sviluppo l’intero territorio. La collaborazione tra scuola e impresa è il percorso obbligato per vincere le sfide del futuro. Un sistema educativo che funziona male rappresenta una diseconomia esterna per le imprese. Nei prossimi anni andranno in pensione i periti meccanici, informatici, chimici, tessili che hanno accompagnato lo sviluppo tecnologico delle piccole e medie imprese e che in molti casi non potranno essere sostituiti da tecnici altrettanto competenti. Bisogna agire subito, perché non è in ballo soltanto la competitività delle imprese, ma il funzionamento dell’intero sistema Paese. Lo sforzo in atto va nella giusta direzione e potrà avere successo con il coinvolgimento e l’impegno dei soggetti economici a orientare il modello formativo.
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 205-212
STUDI
S. GIUSTINO: L'IMPOSTAZIONE DELLA PRIMA APOLOGIA CRISTIANA FRANCESCO TRISOGLIO Professore emerito di Storia e Letteratura Patristica (Università di Torino)
SOMMARIO: 1. L'opera. - 2. La verità. - 3. La ragione. - 4. La giustizia. - 5. Il libero arbitrio. 6. Le profezie. - 7. I demoni. - 8. La vita cristiana. - 9. Lo stile.
S.
1. L’opera
Giustino, al di là della figura piuttosto evanescente di Aristide, è il primo apologista cristiano, insigne perché consacrò la sua opera e il suo genere letterario sigillandoli con il sangue. Rivolse un appello all’imperatore Antonino Pio (e in un subordine d’ossequio al Cesare Marco Aurelio), perché sospendessero le persecuzioni contro i cristiani e dall’imperatore Antonino Pio fu perseguitato a morte. Il suo appello fu uno scacco completo, ma dalla morte fece sorgere un’ammirazione che gli procurò una vita e una gloria immortali. Nacque a Flavia Neapolis, l’attuale Nablus, in Palestina; Ch. Munier1 propone come verosimile che provenisse da coloni di origine greca e latina,2 installati nella ‘città nuova’ da Vespasiano subito dopo la guerra del 66-70 (p. 14). Beneficiò di un’accurata formazione culturale ispirata all’eclettismo filosofico allora dominante. Si recò a Roma in data imprecisata e il suo martirio sarebbe avvenuto nel 165. Giustino, Apologia per i cristiani, introduzione, testo critico, note di Ch. Munier, traduzione italiana di M. B. Artioli; Sources Chrétiennes, Edizione italiana, Edizione San Clemente, Studio domenicano, Bologna 2011. - S. Munier ha corredato l’opera con un’introduzione e con un apparato di note, dove l’informazione e la documentazione sono condotte al limite estremo; la precisione e la sicurezza sono inappuntabili e gli appoggi bibliografici di un’assoluta completezza. 2 Il suo nome latino farebbe propendere per un’origine latina. 1
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STUDI
Francesco Trisoglio
Tra i suoi vari scritti ci sono pervenuti il Dialogo con Trifone, dotto ebreo di Roma, e le due Apologie; sono entrambi saggi apologetici, il primo diretto ad un privato e ad una concezione religiosa, le seconde ufficialmente all’imperatore ma intenzionalmente a tutto il pubblico. Le due Apologie sono in realtà una sola; alla prima, iniziale, più ampia e fondamentale, Giustino aggiunse appunti, sul tipo di appendice, aggregati successivamente come aggiornamento. È una petizione indirizzata all’imperatore perché facesse cessare le vessazioni contro il culto cristiano, ha quindi un’impostazione giuridica, con la quale si giustifica il proprio buon diritto appoggiandosi su motivi giuridici e su esigenze razionali. A testimonianza dell’impunibilità dei cristiani Giustino ne presenta la dottrina e il tenore di vita. L’opera segue un suo filo di sviluppo concettuale coerente, privo di digressioni e di compiacimenti letterari. Per la data di composizione Munier propende per il 153 (p. 35). Giustino non segue modelli letterari. Aveva interessi preminenti rispetto all’adeguarsi a norme di scuola; si preoccupava assai più che di illustri patrocinii letterari di illustrare la fede con le sue conseguenze escatologiche e di tutelare la vita dei credenti. Chiede la libertà civile in nome di valori e di agenti insiti nella coscienza ed insopprimibili per la sanità morale della persona e per il buon ordine sociale. Non li elenca sistematicamente in serie, li infonde in tutte le sue argomentazioni come principi vitali per ogni argomentazione.
2. La verità
La Verità, se è scopo primario per ogni filosofo autentico, è, antecedentemente, requisito basilare per la dignità e la sanità intellettuale di ogni uomo; la verità è la garanzia che permette i rapporti sociali ed è la condizione che assicura la genuinità della fede proteggendola dalle fiabe e dalle esaltazioni emotive. Giustino mette subito in guardia: è stolto onorare le usanze prima della verità e i governanti che preferiscono l’opinione pubblica alla verità hanno un potere analogo a quello dei briganti nel deserto (I,12,6); egli si prefigge di chiedere giustizia e verità e di superare l’ignoranza persuadendo chi ama la verità (I,12,11). Il cristianesimo è proprio l’ambiente della verità per eccellenza e Giustino proclama con vigore che esso è la sola dottrina vera e che verace ne è la predicazione che ne fa egli stesso (I,23,1) e lo poteva affermare con conoscenza di causa dopo il suo deludente periplo attraverso a tutti i sistemi filosofici disponibili. Per i cristiani la verità della loro fede è un assoluto; infatti quando vengono interrogati, anche se potrebbero salvarsi negando, non vogliono vivere grazie ad una menzogna, poiché aspirano a vivere con Dio (I,8,1-2). La verità è la norma presentata ai persecutori ed è la norma che sta dinanzi alla coscienza, per cui Giustino dichiara di esporre gli insegnamenti di Cristo secondo verità (I,14,4) e un aspetto specifico della verità secondo la fede è che per gli empi esista un castigo eterno (I,18,2). La
S. Giustino: l'impostazione della prima apologia cristiana
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verità Giustino la scorge come esigenza del pensiero in tutti gli uomini, pertanto Platone la perseguì attingendo da Mosè il racconto sulla creazione (I, 59-60). Giustino non preconizza però soltanto la verità dogmatica, garantisce anche quella storica, per cui cerca di assicurarla sulla realtà degli avvenimenti citandone i documenti probativi. Dei miracoli che Cristo avrebbe compiuti secondo l’annunzio delle profezie stabilisce l’autenticità con la constatazione di quanti li videro (I,30). Quanto alla predizione di Michea che Cristo sarebbe nato a Betlemme, invita a controllarne l’attuazione nei registri di Quirinio, procuratore della Giudea (I,34,2), e rinvia, di nuovo, a quei registri, specificando che Cristo nacque 150 anni fa (I,46,1); per attestare la realtà dei miracoli operati da Cristo rinvia agli Atti redatti sotto Ponzio Pilato (I,48,3); sono documenti palestinesi che egli, come palestinese, potrebbe anche avere compulsati direttamente.
3. La ragione
La ragione è la facoltà che percepisce la verità e alla quale la verità si rivolge. Alla ragione Giustino fa subito appello fin dall’inizio del suo discorso (I,2,1); è un agente che supera le divergenze di razza e di cultura; è un anteriore e un assoluto; non si tratta soltanto della dignità tipica dell’uomo, perché dell’uomo è la natura costitutiva; essa afferma un diritto essenziale dei perseguitati, come segna un corrispettivo dovere dei potenziali persecutori. Giustino non ignora però che la ragione può venire pervertita da preconcetti e da passioni anguste ed allora la depura specificando che deve essere assennata (I,2,1) e torna a precisare che deve essere vera (I,3,1; 5,3; 43,6) e retta (II.2,2; 7 (8),7; 9,4); non gli sfugge che anche la malvagità ragiona nel concepire e nell’attuare i suoi progetti e che spesso si esplica in una sottile perfidia. La ragione caratterizza l’uomo ma l’uomo la deve caratterizzare dirigendola, perché essa, se è nobile, è anche pervertibile; su di essa deve intervenire la coscienza che la tuteli dall’errore e la illumini; la ragione deve pertanto essere veritiera e decidere dopo un solerte esame (I,5,3). È infatti contrario alla ragione il credere che simulacri foggiati dagli uomini siano dei (I,9,1-2). La ragione, presso i Greci logos, si sublima da facoltà umana a Persona divina, che condanna la perversione dei demoni (I,5,3-4); pertanto chi ha senno evita di scegliere quello che il Logos sconsiglia (I,12,8); i cristiani venerano Cristo secondo ragione, in nome dei grandi insegnamenti che ha loro rivolti (I,13,3). La ragione ha con Cristo-Logos una facilità di confluenza tale che quasi lo anticipa e lo sostituisce; infatti quelli che vissero prima della sua venuta e con la ragione umana cercarono di esaminare la realtà delle cose furono portati davanti ai tribunali in qualità di empi, come lo sono i cristiani, (II,10,4) e meritarono la salvezza, perché quanti vissero secondo il Logos sono cristiani, anche se furono considerati atei, come
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STUDI
Francesco Trisoglio
avvenne a Socrate e a molti altri giusti (I,46,3). Cristo è infatti il Logos, al quale tutto il genere umano ha partecipato (I,46,2).
4. La giustizia
La giustizia è richiesta dalla partecipazione al Logos, perché la ragione (logos) vera non ammette l’ingiustizia (I,3,1). Naturalmente, data la situazione, la pratica della giustizia Giustino la solleva dalle relazioni sociali ordinarie al livello dei provvedimenti degli imperatori. Rammenta quindi loro, sulla linea del diritto, che è ingiusta un’accusa generica di empietà rivolta a tutti i cristiani in complesso, se non si indaga prima sulle azioni per vedere chi realmente essi sono (I,4,6-7); Giustino lo richiede perciò agli imperatori, che della giustizia sono, per ufficio, i custodi (I,2,2); chiede loro giustizia e verità (I,12,11), significativamente associando i due termini, e le chiede nel loro stesso interesse (II,15,5), in quanto la giustizia prima di essere un dovere è una condizione della sanità dello spirito; rivolge infatti loro un assioma che suona come una legge implacabile che opera al disopra delle contingenze storiche come una misteriosa entità trascendente: badino a non attirarsi una punizione se puniscono ingiustamente coloro che non sono stati convinti di colpa (I,4,2). Pianta immediatamente, subito all’inizio, davanti agli occhi dell’imperatore l’immagine dell’ideale umano che assume la grandezza dell’eroismo: l’amico della verità deve scegliere di dire e di fare ciò che è giusto, anche se gli si minaccia la morte (I,2,1). E di compiere questa scelta l’uomo è per natura capace in quanto creato col potere di autodeterminarsi.
5. Il libero arbitrio
Il libero arbitrio nell’uomo è dote nativa. Giustino contempla la natura umana con un senso di raccolta ammirazione: Dio all’inizio creò l’uomo intelligente, capace di scegliere la verità, di compiere il bene, così che nessuno può addurre giustificazioni (delle sue colpe) davanti a Dio, perché gli uomini sono stati creati razionali e capaci di contemplare la realtà delle cose (I,28,3). Il libero arbitrio è quindi un dono e una capacità e come tale implica una responsabilità; esso apre un campo alla conquista, fa l’uomo arbitro del proprio destino: per Giustino è infatti destino che coloro che hanno scelto il bene ne ricevano ricompense e, analogamente, castighi quelli che hanno scelto il male (I,43,7). Dio ha infatti creato l’uomo, a differenza dagli alberi e dagli animali, capace di libere scelte (I,43,8) ed è un anticipo di quella presenza del libero arbitrio che ribadirà ben presto (I,44,1 e 10). Tuttavia le profezie suscitano, di per se stesse, l’idea di una necessità negli eventi futuri che avrebbe comportato un obbligo di agire predeterminato estraneo alle decisioni perso-
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nali; i posteri sarebbero rimasti vincolati dall’infallibilità delle predizioni, ma Giustino esclude ogni necessità, spiegando che si tratta semplicemente di un interessamento di Dio per gli interessi umani, di una testimonianza della sua prescienza e di un ammonimento ad evitare i castighi (I,44,11); ancora in chiusa rammenta, come ammonimento che rimanga, che gli uomini hanno la capacità di conoscere il bene e il male, ovviamente nella loro proiezione operativa (II,14,2). E, nella prospettiva del fuoco eterno, Giustino afferma che del libero arbitrio sono dotati tanto gli angeli quanto gli uomini (II,6 (7), 5), osservando che la natura degli esseri generati è idonea ad accogliere sia il vizio che la virtù e che il suo pregio consiste proprio nella capacità di volgersi da una parte o dall’altra (II,6 (7), 6). Il libero arbitrio potrebbe sembrare un coefficiente del capriccio momentaneo, mentre è l’imbocco di un bivio eterno.
6. Le profezie
Le profezie nonostante la loro apparenza predeterminante non intralciano però il libero arbitrio, poiché sono semplici sguardi gettati sul futuro che constatano non prefissano, alla stessa guisa dei nostri sguardi su scene contemporanee. Giustino precisa che le proclamazioni di punizioni e di ricompense future, lungi dall’impedire la libertà la confermano, in quanto è ovvio che esse avvengono sulla base delle scelte operate da ciascuno (I,43,2-3); mostra l’assenza di ogni determinismo fatalistico lo stesso frequente trasferirsi degli uomini dal bene al male e l’esistenza tanto della virtù quanto del vizio (I,43,4-6). Giustino cita abbondantemente le profezie e ne spiega carattere compositivo: lo Spirito parla talora di eventi futuri come già realizzati; non si tratta di confusione di tempi ma del fatto che, siccome conosce con certezza ciò che avverrà, lo espone come già avvenuto (I,42,1-2); il vedere fuori dai tempi cronologici induce lo Spirito a vanificare i tempi grammaticali; la sua è solo una visione anticipata di comportamenti autonomi. Le profezie implicano l’oscurità che è propria del futuro e lo fanno con un linguaggio che interpreta l’oscurità degli eventi; va però evitato di aggiungere all’oscurità insita quella addebitata, dovuta all’imperizia del lettore, per cui, precorrendo Ticonio e Adriano l’Esegeta, Giustino specifica, in un esempio succinto, le regole della retta ermeneutica (I,36,1-3). Oltre alle false letture delle profezie, Giustino mette in guardia contro le false profezie e ne porta, di nuovo, un esempio: alcuni mitologi avendo saputo che Cristo sarebbe venuto e avrebbe punito col fuoco gli uomini empi, immaginarono che egli fosse figlio di Giove (I,54,2) e ancora: Mosè predisse che il Messia avrebbe legato il suo asinello a una vite e i demoni dissero che Dioniso fosse figlio di Giove e inventore della vite (I,54,5-6). Giustino deplora e irride le parodie mitologiche, ma al mito guarda con apertura di mente, traendone, all’occorrenza, supporti alle verità cristiane, così pensa che sul fuoco della geenna abbiano concordato anche la
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Sibilla e Istaspe,3 che hanno parlato di una fine dell’universo nel fuoco (I,19,8; 20,1). Piuttosto che disdegnare certi miti e superstizioni pagane, egli se li ricupera come elementi propedeutici di verità cristiane (I,21,1-4); nell’errore è disposto a scoprire un germe primordiale di verità; interpreta queste fantasie come vaghe aspirazioni a quelle realtà che il cristianesimo avrebbe presentate nella loro effettiva verità; nella stravaganza della forma è propenso a percepire un anelito. A pervertire queste aspirazioni intervennero i demoni.
7. I demoni
Furono i demoni a introdurre l’errore; i pagani meritano pertanto compassione e comprensione, perché le loro aberrazioni teologiche furono loro insinuate dai demoni (I,25,3); anche all’interno dell’ambito cristiano le deviazioni sono opera loro, infatti anche gli eretici furono da loro suscitati (I,26,1); dietro l’immoralità e l’errore Giustino scorge sempre l’azione di Satana. Il suo livore non si limita però al pervertimento intellettuale, arriva alla soppressione fisica, poiché scatena le persecuzioni, per le quali i demoni sono ben attrezzati in quanto hanno giudici a loro sottomessi, che li venerano; hanno dei magistrati che essi hanno invasati e così ci procurano la morte (II,1,2). È un’interpretazione storica che ritrae un’atmosfera cupa, ma Giustino non vi si ferma e dalla genericità scende alla drammaticità della propria persona: anch’io mi aspetto di cadere sotto le insidie dei servitori dei demoni grazie alle mene dello pseudofilosofo Crescente (II,8 (3), 1-2): c’è davvero da ammirare l’alacre fiducia ed il sostanziale ottimismo che traspirano dall’opera di un uomo che visse in un clima di morte incombente. La supplica che Giustino rivolse all’imperatore non è quindi mossa soltanto da un’esigenza di giustizia valida in se stessa e dalla sua sensibilità per il prossimo, è anche espressione di una trepidazione personale; quando parla di martiri vi si sente incluso; vede il demonio davvero principe di questo mondo; infatti i demoni hanno stabilito leggi conformi alla loro perfidia e di esse si compiacciono quelli che si sono resi simili a loro, tuttavia la retta ragione dimostra che non tutte le opinioni e tutti i decreti sono buoni (II,9,4). I demoni sono potenti e prepotenti, ma l’uomo è ben attrezzato per far loro fronte; la ragione è il grande antagonista dei demoni, i quali, contro coloro che la seguono, hanno sempre cercato di suscitare odio (II,7 (8), 2). Giustino riassume: i demoni lottano unicamente per allontanare gli uomini da Dio e da Cristo (I,58,3). Si disegnano due fronti implacabilmente contrapposti; i fedeli sono accanitamente combattuti, ma non sono destinati alla sconfitta. Alla rabbia del demonio rispondono con la serena pacatezza della loro vita di fede. Istaspe è una figura storica a contorni mitici; aderì e sostenne Zaratustra. Siamo nel VI secolo a. C.. 3
S. Giustino: l'impostazione della prima apologia cristiana
8. La vita cristiana
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La vita cristiana Giustino la presenta con la calma sicurezza di potersi appoggiare sulla retta ragione; è il paganesimo che, ad istigazione dei demoni, pratica un culto che è contro la ragione (I,12,5); il cristianesimo è in perfetta conformità con le esigenze della natura umana: non dipendeva da noi il nascere, ma dipende da noi il compiere quello che è gradito a Dio scegliendolo grazie alle facoltà razionali che Dio ci ha date (I,10,4); questa sicurezza infonde a Giustino una grande serenità interiore. Dichiara che, siccome noi non collochiamo le nostre speranze nel presente, non ci preoccupiamo di quelli che ci uccidono, tanto dobbiamo, in ogni caso, morire (I,11,2). La risurrezione, così ostica ai pagani, gli si presenta in una luce di meraviglia, dalla quale traspare una tranquillizzante credibilità (I,19,1-5). Tutta la dottrina cristiana gli si mostra in una corroborante evidenza di persuasività; l’accetta e vi si appoggia. Proclama che il battesimo ci esime dall’essere figli della necessità e dell’ignoranza, ci fa invece figli di elezione e di scienza, per ottenere la remissione dei peccati (I,61,10): apre una visione di tranquillità rassicurante; quel fondo di inquietudine morale che spingeva i pagani a cercare nei misteri una rassicurazione illusoria, egli la trova genuina nella fede. Presenta quindi con tersa immediatezza il rito dell’Eucaristia battesimale in una dolce adesione dell’anima; ne emana un fascino che oltrepassa, in se stesso, qualsiasi dimostrazione discorsiva della purezza e finezza della religiosità cristiana (I,65). In contrapposizione colloca l’arida Eucaristia di Mitra (I,66,4). La contraffazione pagana evidenzia le genuinità cristiana. E candore di partecipazione c’è anche nella nobile spiritualità dell’assemblea domenicale (I,67): è un’esposizione nella quale la precisione del resoconto è espressione della partecipazione intima; è un quadro che avvince; i particolari sono scanditi perché animati di vitalità. Di questa scena Giustino fa esplicitamente un argomento per la clemenza dell’imperatore (I,68,1). Dal raccoglimento assorto di questa visione Giustino passa all’ufficialità del rescritto di Adriano, che raffrenava ogni corrività di persecuzione; Giustino specifica però, con fierezza, che non lo cita perché è imperiale ma perché è giusto (I,68,3); sale dal relativo all’assoluto. In nome dell’indiscutibilità interpretativa del testo riporta accanto alla versione greca l’originale latino (I,68,6-10). E in nome della verità storica sulla vita cristiana riferisce anche un resoconto sui martiri che furono condannati sotto Urbico (II,2,1-20); è una scena complessa narrata ancora in un candore di tersa purezza; la realtà si trasfigura ancora in un clima di superiore nobiltà; il successivo aggregarsi dei protagonisti sembra quasi testimoniare che, nonostante le persecuzioni, il cristianesimo avanza; la fede ha una forza di conquista che sorpassa tutte le opposizioni. Al cristianesimo l’uomo viene sospinto da una forza endogena: le facoltà razionali che Dio ci ha date ci inducono al bene e ci portano alla fede
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(I,10,4); così c’è una logica interna alle cose che tutela il cristianesimo: per i suoi falsi accusatori è già pena sufficiente la loro cattiveria e ignoranza del bene (I,7,5); la persecuzione ingiusta si ritorce in ingiustizia sugli stessi persecutori (I,3,1); Giustino chiede giustizia agli imperatori nel loro stesso interesse, in quanto sono anch’essi uomini della nostra stessa natura (II,1,1). A convalidare la teoricità del ragionamento Giustino introduce la sua concreta esperienza personale: quando ancora si compiaceva di Platone, sentendo accusare i cristiani e vedendoli impavidi di fronte alla morte, pensava che fosse impossibile che tali individui fossero dei viziosi (II,12,1), si premura però subito di garantire la nobile purezza di quell’intrepidezza ; non era masochismo, era superiorità, infatti accettare la morte non è desiderare la morte (II,3 (4), 1). Il fondamento della risolutezza con la quale i cristiani sopportano le persecuzioni non è esaltazione emotiva, è salda convinzione razionale che Dio è giusto e tutto vede (II,12,6). Giustino è mosso da una larga e salda fiducia: tutto quello che i pagani hanno detto bene appartiene a noi cristiani, poiché noi adoriamo il Logos, nato da Dio e diventato uomo per noi, per condividere le nostre infermità, così noi guariremo (II,13,4).
9. Lo stile
Il tono di Giustino è quello calmo, di chi parla con una sicurezza esente da perplessità; non calca la voce, perché la verità gli appare in evidenza e a riscontrare questa evidenza invita gli interlocutori. Ragiona in tranquilla chiarezza, esimendosi da sottigliezze; è saldo nella sua concretezza; ha una dialettica stringente, sfida ma con pacatezza: se noi affermiamo cose simili a quelle dei filosofi che voi onorate e talune ancora più grandi e più divine, perché siamo ingiustamente odiati da tutti? (I,20,3). Parla in uno stile dignitosamente scorrevole; è limpido senza essere pedestre; ha una sua distinzione che gli proviene più dall’anima che dalla scuola; argomenta fondandosi su un’ampia cultura; è sempre immediatamente accessibile; la sua logica non si impiglia in intrichi; il pensiero fila in una linearità senza contorsioni. Non scandisce il suo discorso in commi che sanno di imposizione, è espositivo ad insegnamento e a dimostrazione, ha la distensione della conversazione. Non indugia in similitudini, non mira all’eleganza letteraria, non cerca quadri pittoreschi; lo interessa solo la verità. Nonostante la sua brevità, l’apologia si apre su un panorama grandioso. È categorico: chi nega la provvidenza di Dio, dovrà confessare che Dio non esiste oppure che si compiace del male (I,28,4); è sospinto da un programma magnanimo che egli pone a sigillo della sua opera: noi preghiamo perché tutti gli uomini, dovunque siano, vengano trovati meritevoli di conoscere la verità (II,15,4) ed è soprattutto animato da un’aspirazione che tutto lo riassume: io prego e combatto esclusivamente per essere trovato cristiano (II,13,2).
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 213-219
LA GRANDE SFIDA DEL DIALOGO INTERCULTURALE Presentazione del documento ‘Educare al dialogo interculturale’
ITALO FIORIN Presidente del corso di laurea in scienze della formazione primaria, LUMSA, Roma SOMMARIO: 1. La sfida. - 2. Il dialogo interculturale. - 3. I fondamenti. - 4. Il contributo dell’educazione cattolica. - 5. Responsabilità e impegni della scuola cattolica.
N
el mese di dicembre 2013, a cura della Congregazione per l’Educazione cattolica, è stato presentato il documento: “Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore”. Si tratta di un documento che affronta, in maniera approfondita, una delle questioni cruciali dell’educazione scolastica oggi. Viviamo, infatti, in una società caratterizzata dalla presenza simultanea di culture diverse, in un mondo per il quale l’espressione ‘villaggio globale’ sembra sempre più appropriata. La multiculturalità non è una emergenza, perché non siamo di fronte ad un fenomeno sorto repentinamente e destinato ad esaurirsi in un tempo breve. La composizione multiculturale della società è un dato stabile, consolidato. Se non siamo di fronte ad una emergenza, dobbiamo, però, riconoscere che siamo di fronte ad un problema rilevante che pone all’educazione una grande sfida. Scopo del documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica è dare il proprio contributo per affrontare questa sfida, con l’intento di “suscitare e orientare l’educazione al dialogo interculturale nelle scuole e negli istituti educativi cattolici”.1 La problematicità è data dalla non facile convivenza di culture diverse, che sfocia, talvolta, in forme conflittuali, che derivano dalla percezione che ‘l’altro’ rappresenti una minaccia, incombente sui propri modi di vita, sulle abitudini più radicate, perfino sui valori più profondi. L’educazione è chiamata in causa, perché le si chiede di offrire un apporto essenziale alla formazione di ‘nuovi’ cittadini, capaci non solo di convivere nella diversità, ma di costruire insieme un mondo migliore, anche grazie al peculiare contributo
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore, Città del Vaticano, 2013, p. 6. 1
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che ciascuna cultura può apportare. Da problema a sfida, da sfida a risorsa, questo è l’itinerario sul quale l’educazione è impegnata. Il documento della Congregazione si sviluppa in cinque punti fondamentali, che possono essere riportati ai seguenti cinque interrogativi: Perché la caratterizzazione multiculturale delle nostre società pone all’educazione una sfida radicale? Come affrontare questa sfida? Quali sono i pilastri sui quali costruire la prospettiva interculturale? Quale contributo può dare l’educazione cattolica al dialogo interculturale? Quali sono le responsabilità e gli impegni delle scuole cattoliche per alimentare questo dialogo?
1. La sfida
La presenza di una pluralità di culture non è un dato recente, ma è il risultato del continuo mescolamento delle popolazioni nel corso del tempo, nella varietà delle interazioni ambientali, storiche, sociali, che ha fatto emergere, all’interno dell’unica ‘famiglia umana’, identità diverse. Non è, nemmeno, una novità che vi siano tensioni, conflittualità, difficoltà nelle relazioni, conflitti. Tuttavia il fenomeno della globalizzazione, come attualmente si manifesta, introduce nuovi elementi di problematicità, da un lato attraverso forme di massificazione e omologazione distruttive delle identità culturali; dall’altro – e anche come forma di reazione a quella che è stata definita una ‘occidentalizzazione del mondo’- alimentando ripiegamenti localistici e fondamentalismi. In questo contesto come si colloca la religione? Il documento evidenzia come nel pensiero della Chiesa il concetto di cultura è qualcosa di più ampio del concetto di religione. La religione, infatti, non vive in una dimensione propria, a lato delle vicende umane, ma si ‘incultura’ ed è dall’interno di una cultura che offre il proprio apporto per una più ricca realizzazione delle persone. Perché questo possa accadere è necessario che la religione sia incarnata nella vita della società e non relegata in una sfera privata, cosa che priverebbe la cultura di ogni espressione religiosa, e la religione di ogni radicamento nella vita dell’uomo. La avanzante secolarizzazione spinge verso questa deriva, così che il risultato inevitabile è la perdita delle domande di senso che la religione pone e che rappresenta forse il contributo più grande posto dentro ogni cultura. Nel laicismo, esito della secolarizzazione; nel materialismo, esito della massificazione; nel fondamentalismo, esito del ripiegamento difensivo e dell’indisponibilità al confronto, si perde la possibilità di quel dialogo profondo che la religione alimenta. Eppure il dialogo è possibile, ed è l’unica strada praticabile. È possibile
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il dialogo inteso come “confronto tra la fede e le diverse forme di ateismo e concezioni umanistiche non religiose”,2 quando il suo scopo è la ricerca di ciò che favorisce lo sviluppo integrale della persona. Ancora di più, è possibile il dialogo interreligioso, inteso non come un compromesso al ribasso, ma come colloquio, come rapporto costruttivo con chi è di altra religione, come approfondimento di reciproca conoscenza, come testimonianza reciproca, come rispetto, come “ricerca del patrimonio dei valori etici comuni presenti nelle diverse tradizioni religiose”3 in vista del bene comune. Il documento, cita papa Francesco che descrive come deve essere una scuola cattolica: “un luogo di dialogo e di sereno confronto, per promuovere atteggiamenti di rispetto, ascolto, amicizia e spirito di collaborazione”.4 Proporre la strada del dialogo come valore da testimoniare e come metodo per affrontare la sfida della multiculturalità, innervare questo dialogo con la ricchezza che la propria concezione religiosa offre, ecco il compito dell’educazione cattolica, specialmente il compito affidato alle scuole e agli istituti di educazione superiore che, definendosi ‘cattolici’ affermano il loro riferimento alla concezione cristiana della realtà.
2. Il dialogo interculturale
La scelta della via del dialogo rappresenta l’unica possibilità che consente di trasformare la problematicità del pluralismo culturale in risorsa per lo sviluppo di una civiltà umanamente più ricca. Altri approcci si rivelano inadeguati. È inadeguato l’approccio relativista, che parte dal riconoscimento delle differenze e si fonda sul valore della tolleranza, senza che vi sia la ricerca di una comprensione reciproca, anzi in una dimensione di indifferenza e di indisponibilità a farsi provocare dalle idee, dai valori, ma anche dai bisogni e dalle sofferenze di chi è ‘altro’. È, allo stesso modo, inadeguato l’approccio assimilazionista, per certi aspetti opposto al precedente. Qui non ritroviamo indifferenza, ma, al contrario, interesse ad assimilare l’altro alla propria cultura, accettandolo in forma condizionata, solo se aderisce ai nostri valori, ai nostri riferimenti culturali, ai nostri modi di vivere. L’altro viene accettato a condizione che smetta di essere ‘altro’, cioè rinunci alla propria identità. La strada del dialogo interculturale appare l’unica praticabile. Il dialogo è possibile se c’è interesse per l’altro, non indifferenza; il dialogo è autentico Ivi, p. 10. Ivi, p. 14. 4 Ivi, p. 14. 2 3
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se c’è disponibilità a lasciarsi cambiare dall’altro, non a strumentalizzarlo. La condizione che permette lo sviluppo di un dialogo autentico è un radicamento autentico nella propria cultura, una identità forte e serena, dinamica ed aperta.
3. I fondamenti
La dimensione interculturale fa parte del patrimonio del cristianesimo, si manifesta nella storia come dialogo con il mondo, nella prospettiva non solo di riconoscere e valorizzare le differenze, ma di contribuire alla costruzione di una civiltà fondata sull’amore. Il documento tratteggia in termini essenziali i fondamenti teologici, antropologici e pedagogici dell’intercultura. Sul piano teologico il richiamo è alla natura trinitaria di Dio, molteplicità nell’unità e all’originaria missionarietà della Chiesa, inviata a parlare a tutti gli uomini. Tutti apparteniamo all’unica famiglia umana, e questa base comune fonda la possibilità di comunicare reciprocamente. Sul piano antropologico si constata come le culture vivono e si trasformano attraverso l’incontro con le altre culture. Più del passato, oggi, con la globalizzazione, è forte la percezione dell’interdipendenza che ci lega agli altri. Il fondamento antropologico dell’intercultura è dato dal riconoscimento della natura relazionale della persona umana, che non può vivere senza gli altri. Il rischio è quello dello smarrimento e della solitudine, del sentirsi ‘stranieri’, se si perde il senso della propria appartenenza culturale; l’opportunità è offerta dall’apporto delle diverse prospettive, dal contributo che ogni cultura può offrire per riportare al centro la persona, il suo valore. Infine, la relazionalità diventa “paradigma pedagogico fondamentale, mezzo e fine per lo sviluppo dell’identità stessa della persona”.5
4. Il contributo dell’educazione cattolica
Se la dimensione interculturale appartiene alla persona e contribuisce al suo pieno sviluppo, non è però un dono naturale che si possiede senza una libera decisione e un personale impegno. C’è bisogno di una educazione che accompagni la persona a sviluppare tale dimensione lungo il corso della sua vita. La comunità cristiana, nella molteplicità dei soggetti che la costituiscono, è chiamata a sviluppare una pedagogia di comunione, che per prima cosa si manifesta attraverso la testimonianza e la credibilità degli educatori, impegnati nel dialogo con gli educandi. In questa opera educativa grande è la 5
Ivi, p. 25.
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responsabilità della scuola. Lo è perché, più che altrove, è nella scuola che gli studenti incontrano, nella concretezza delle relazioni interpersonali, le altre culture. Lo è perché la scuola ha il compito di contribuire alla formazione dell’identità attraverso la trasmissione del patrimonio culturale della comunità di appartenenza, ma ha anche la responsabilità di fornire gli strumenti per conoscere e apprezzare le altre culture, promuovendo il dialogo, la cooperazione, la ricerca dei valori comuni. La passione per l’altro e il desiderio di una unità che è più forte delle cose che dividono non vengono meno nemmeno nelle realtà nelle quali, per ragioni politiche o culturali, non vi è spazio per una educazione cattolica esplicita, tanto meno per la presenza di scuole cattoliche. Anche in questi contesti ‘di frontiera’ la fede spinge all’incontro con tutti, attraverso la testimonianza e, dove giustizia e verità vengono violate, al più alto dono di sé, come atto di amore per lo sviluppo del mondo.
5. Responsabilità e impegni della scuola cattolica
Le scuole e gli istituti educativi cattolici sono diffusi in tutto il mondo. In molti Paesi sono frequentate da una maggioranza di alunni che non sono cattolici, di diverse appartenenze religiose. Anche nei Paesi dove la tradizione del cristianesimo è più antica, le scuole cattoliche sono frequentate da studenti di nazionalità, culture, religioni diverse o privi di alcun riferimento religioso. Inoltre, la secolarizzazione ha ormai intaccato in modo profondo la cultura diffusa. Pur nella grande varietà dei contesti, la scuola cattolica si trova nella necessità di riapprofondire le ragioni della propria presenza e del proprio modo di operare. Nei Paesi dove la presenza delle scuole e delle istituzioni cattoliche è più consolidata, non bisogna sottovalutare il rischio dell’affievolimento dei motivi originali che hanno dato loro vita, che può tradursi in un conformismo acritico alle attese di una società i cui valori sono improntati all’individualismo, alla competizione, al consumismo. Anche in queste realtà la scuola cattolica è missionaria, una missionarietà che deve esprimersi prima nella forma della testimonianza, ma anche nell’impegno a definire un progetto educativo ed un curricolo didattico coerenti con i valori affermati e testimoniati. Il documento considera le scuole cattoliche come comunità professionali ed educative, luoghi dove l’apprendimento si sviluppi in un clima di dialogo, di partecipazione, di rispetto, di collaborazione, nel quale anche le famiglie degli alunni siano coinvolte. In una comunità così delineata, non vi è spazio per la separazione tra scuola e vita, tra apprendimento scolastico e esperienza. La proposta educativa che nasce dal riferimento al Vangelo chiede di
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risignificare tutti gli ambiti dell’esperienza scolastica, dalle relazioni tra le persone, all’organizzazione della scuola, ai contenuti dell’insegnamento: “Il progetto educativo della scuola cattolica prevede che studio e vita s’incontrino e si fondano armonicamente tra loro, così che gli studenti possano compiere un’esperienza formativa qualificata, alimentata dalla ricerca scientifica nelle diverse articolazioni del sapere e, al tempo stesso, resa sapienziale dalla vita nutrita dal Vangelo”.6 Perfettamente inserita dentro l’orizzonte della ‘Lifelong Learning’, la scuola cattolica sollecita ad andare oltre quella che viene chiamata la ‘società della conoscenza’ nella direzione della ‘società della sapienza’. Un buon curricolo è quello che sa intrecciare lo studio con l’incontro di testimonianze autorevoli, che sa ripensare la propria organizzazione interna alla luce dei valori della comunità, che sa creare ponti con la realtà sociale e culturale di appartenenza, che sa cogliere nella composizione multiculturale delle classi una grande occasione per ripensare i contenuti dell’insegnamento. Il curricolo deve sapersi misurare con i grandi problemi del nostro tempo, non eludendo la drammaticità di molte situazioni (ineguaglianza economica e sociale, povertà, ingiustizia, negazione dei diritti e della libertà …). Non si tratta solo di aiutare gli studenti a conoscere la realtà, ma a prendere posizione, cominciando da se stessi. Il ripensamento del curricolo è favorito dal pluralismo delle culture, perché la globalizzazione e la multiculturalità hanno consentito di varcare distanze spaziali e culturali un tempo incolmabili, così che, oggi, lo ‘straniero’ è diventato ‘prossimo’. All’interno del quadro delle discipline va inserito anche l’insegnamento della religione cattolica, che ha finalità diverse dalla catechesi. Come insegnamento scolastico, concorre con le altre discipline alla costruzione di una visione integrale della persona umana, portatore com’è di una concezione antropologica aperta alla dimensione del trascendente. Sul piano disciplinare, si colloca insieme agli altri insegnamenti del curricolo contribuendo allo sviluppo del dialogo interdisciplinare. Vengono così tracciate le linee guida del progetto educativo: - cura della identità cattolica della scuola; - costruzione, attraverso il dialogo, di un orizzonte comune tra posizioni diverse; - apertura alla comprensione della mondialità; - formazione di persone con una identità forte, capaci di dialogare e di riconoscere l’uguale dignità dell’altro; - formazione di persone capaci di riflettere sui propri comportamenti e di ripensarli; 6
Ivi, p. 33.
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- rispetto e comprensione dei valori delle altre culture e religioni; - educazione alla partecipazione e alla responsabilità. La responsabilità affidata alla scuola cattolica per la costruzione di un autentico dialogo interculturale è grande. Insegnanti, dirigenti, personale sono investiti di un compito che richiede elevata competenza, dedizione, testimonianza di vita. È importante garantire tutto il sostegno possibile a chi è impegnato in questa vera e propria missione. Per questa ragione il documento definisce ‘cruciale’ la formazione e vi dedica ampio spazio. Per quanto riguarda la promozione e lo sviluppo della competenza interculturale si indicano due direzioni: la costruzione della comunità educante; la prospettiva di una didattica finalizzata a promuovere l’unità tra i saperi, superando la frammentazione secondo una più ampia prospettiva di senso. Insegnanti e dirigenti sono membri di una scuola sempre più multiculturale, e a loro spetta il compito di porre in relazione esperienze e visioni diverse, di mediare, di ricomporre, di valorizzare. Si richiedono competenze nuove. Ai dirigenti si chiede di essere dei leader educativi, di respingere la tentazione di considerare la scuola un’azienda o un’impresa, per dedicarsi alla cura della costruzione di una comunità nella quale si diffonda la “cultura del dialogo, dell’incontro, del reciproco riconoscimento fra diverse culture, promuovendo dentro e fuori la scuola tutte le collaborazioni possibili e utili a realizzare l’intercultura”.7 Ai docenti si chiede di superare una concezione burocratica o tecnica del ruolo, e di essere una comunità autentica capace di sperimentare rapporti personali e professionali non superficiali, fondati sulla condivisione della comune preoccupazione educativa. La scuola, a cui molto si chiede, non va lasciata sola. La scuola cattolica è un soggetto ecclesiale, e tutta la comunità cristiana è chiamata a sostenerla come bene prezioso. Il documento, riconoscendo la fatica e le difficoltà che le scuole cattoliche sperimentano, si chiude con le parole di Papa Francesco: “Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa presenta! Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere, per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita, mettendosi al loro fianco”.8
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Ivi, p.41. Ivi, p. 42.
LA SALLE BIOGRAFIE DI GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE FRÈRE BERNARD Vita di Giovanni Battista de La Salle trad. it. e presentazione di Bruno Bordone, Vercelli 2007, pp. 153 L’autore ha vissuto in comunità con il La Salle ed ha attinto dalla viva voce dei primi Fratelli le testimonianze che trasmette. Più che biografo è un testimone che offre con limpidità il La Salle nella sua veste di fondatore di una comunità di uomini affascinati da un giovane prete e votati a tenere insieme e in associazione le scuole gratuite.
FRANÇOIS-ELIE MAILLEFER Vita di Giovanni Battista de La Salle trad. it. e presentazione di Bruno Bordone, Vercelli 2007, pp. 301 Nipote del La Salle, l’autore scrisse su incarico della famiglia La Salle. Suo scopo è delineare il volto dello zio in tutta la sua autenticità attingendo a fonti sicure e trattandole con competenza. Con esemplare incisività presenta il giovane Jean-Baptiste alla ricerca della sua vocazione, teso a realizzare il piano di Dio tra l’affetto dei suoi figli spirituali e le resistenze di quanti non capivano il valore profetico delle sue scelte.
ELIO D’AURORA Monsieur de La Salle – una fedeltà che vive Editrice A&C, Torino 1984, pp. 275 La vita del La Salle si svolge nell’irriducibile realismo di una società dibattuta da crisi di coscienza, statolatria, ambizioni del potere, sete di ricchezze, necessità di rigenerarsi. La Salle non colloca la sua pedagogia nelle belle lettere, ma nelle arti e nei mestieri, presagendo il travaglio di un rivolgimento politico e sociale che l’Europa stava covando. Nella Francia del Re Sole, tra guerre miserie e pestilenze, ad onta dello splendore del Grand Siècle, La Salle rovesciò le concezioni pedagogiche di una società che nutriva solo disprezzo o falsa pietà per i ceti popolari. D’Aurora mette tutto questo in risalto con una brillante e documentata biografia.
MICHEL FIÉVET Giovanni Battista de La Salle maestro di educatori trad. it. di Serafino Barbaglia, Città nuova, Roma 1997, pp. 190 L’autore è un professore, sposato, che ha collaborato a lungo con i Fratelli scoprendo poco a poco il loro Fondatore. Affascinato dalla personalità del La Salle ne ha approfondito il profilo come santo e come pedagogista, tanto da riuscire a svelare agli stessi Fratelli aspetti inesplorati della fisionomia del loro Padre e Fondatore. •••
Per informazioni e ordinazioni: Viale del Vignola, 56 - 00196 Roma tel. 06.322.94.503 - E-mail: gabriele.pomatto@gmail.com tel. 06.322.94.235 - E-mail: fedoardo@pcn.net
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L’AVVENTURA EDUCATIVA CRISTIANA
ANNA MARIA PEZZELLA Docente di Filosofia dell’educazione (Pontificia Università Lateranense) SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Un’avventura in compagnia. - 3. Un arduo compito. - 4. La comunità responsabile. - 5. L’avventura autentica.
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1. Introduzione
ducare è un processo lungo e articolato perché la persona umana è un’unità composita in cui corporeità, psiche, intelligenza, volontà, affettività interagendo producono una molteplicità di variabili che, ai fini di un’adeguata formazione, vanno monitorate, orientate, problematizzate. A ciò si aggiunge che la persona non è una monade, ma cresce e si forma, insieme con gli altri, all’interno di un mondo storico, che ha una propria cultura, un bagaglio di tradizioni, di idee, di usi e costumi che vengono assimilati ed entrano a far parte della personalità di ognuno. Proprio per la molteplicità delle dimensioni, educare risulta un mestiere difficile, ma lo diviene ancor di più se lo si fa in una prospettiva cristiana, in quanto per poter educare persone che si formino sul modello di Cristo si ha necessità di educatori già formati su tale esempio, c’è bisogno di uomini e donne autentiche che sappiano indirizzare coloro che si affidano. Infatti, scrive Edith Stein, «(…) non approderemo mai al possesso di una conoscenza piena, né per quanto concerne noi stessi, né per quanto riguarda gli altri, e quindi non saremo mai in grado di poter porre mano alla nostra o all’altrui educazione con sicurezza infallibile. Sicuri lo siamo soltanto se ci rimettiamo incondizionatamente nelle mani di Colui che, solo, sa ciò che di noi dovrà essere e, solo, ha la potestà di condurci a tale meta – a condizione che abbiamo buona volontà».1
2. Un’avventura in compagnia
Un’avventura è contrassegnata dalla possibilità, dall’incognito, è un viaggio di cui si intravede la meta, ma non sempre si è sicuri di raggiunger1
E. STEIN, La vita come totalità, Città Nuova, Roma 1994, p. 36.
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la. La meta, nel caso della formazione, è la realizzazione piena di sé, dei propri talenti, delle proprie capacità. Questa è la prova più difficile, perché far divenire habitus quanto è ancora nella forma della possibilità è un processo complesso, perché deve generare un cambiamento che, pur non essendo sostanziale, implica un realizzare quanto è presente in nuce in ognuno. In tale avventura non si può procedere da soli, ci deve essere sempre un aiutante che ha già percorso la strada della formazione e ne conosce le insidie. E ciò perché l’essere umano, a differenza di molti animali, «viene al mondo in una situazione di indigenza»,2 per cui non avendo una struttura tale che gli consenta di mettere in pratica, sin dal primo momento, comportamenti che gli garantiscano la sopravvivenza ha bisogno di chi si prenda cura di lui. Necessita di essere nutrito, accudito, protetto e, in quanto dotato di intelligenza, si interroga sul senso della propria vita, per cui ha bisogno di persone responsabili che lo sostengano nei momenti difficili e lo aiutino a trovare le risposte alle sue domande. Educare, come emerge dall’etimologia del termine, exducere, edere, educere, vuol dire accompagnare qualcuno nel cammino di crescita, nutrirlo, aiutarlo a trovare la propria via, il proprio modo di stare al mondo. «Che l’opera educativa – scrive Edith Stein - debba essere in primo luogo esercitata sugli altri è insito nell’ordine del mondo, che fece il primo uomo perfetto nell’essere suo, ma per le generazioni seguenti designò che venissero cresciute ed educate da coloro che erano già maturi».3 E proprio perché il ruolo dell’adulto guida è fondamentale, per una corretto ed equilibrato processo formativo, bisogna muovere da una breve riflessione sui formatori e non per tornare ad un magistrocentrismo, di cui nessuno sente la mancanza, ma per sottolineare il ruolo determinante dell’educatore nella formazione. Un ruolo a cui in questi ultimi decenni si è abdicato e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Essere un educatore: madre, padre, insegnante, sacerdote, animatore etc. è un compito difficile, costa molta fatica, per cui spesso lo si lascia agli altri o lo si esegue con molta superficialità, dimenticando che si ha a che fare con persone che hanno bisogno di essere guidate, ascoltate, motivate, che necessitano di educatori responsabili, pronti a supportarli. Se ciò non accade, si può stare ben certi che sul loro cammino incontreranno una miriade di cattivi maestri che li irretiranno facendo leva sui loro bisogni e sui loro desideri. Per questo motivo è importante che ognuno senta su di sé la responsabilità del ruolo che ricopre: in qualità di genitori, ad esempio, è necessario guidare ed indirizzare attentamente, con equilibrio e serenità e nel rispetto R. GUARDINI, Etica, a cura di M. Nicoletti e S. Zucal, La Morcelliana, Brescia 2001, p. 882. Ivi, p. 213.
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delle singolarità, i figli; in qualità di docenti, invece, non bisogna solo mirare alla formazione delle competenze, al sapere e al saper fare, ma alla formazione complessiva della persona, che è cosa ben più complessa, perché se non si fa questo si rischia di rendere la formazione scolastica un che di neutro e ciò è pericoloso, in quanto, come sottolinea E. Mounier: «la pratica della neutralità (…) prepara all’indifferenza o al gioco, non all’impegno responsabile e alla fede vivente, che sono il respiro stesso della persona».4 Bisogna, invece, come sostiene Maritain, formare un uomo e con ciò preparare un cittadino. E questo perché: «A differenza di colui che intende semplicemente fargli acquisire conoscenze o competenze, il vero educatore sente di avere a che fare sempre e comunque con tutta la persona. Con tutta la persona, quindi, sia nella sua fattualità, nel presente, nel momento in cui l’allievo ti sta di fronte, sia nella sua potenzialità, vale a dire ciò che l’allievo potrebbe diventare».5 Educare è, perciò, una condizione propria dell’essere umano: «Gli esseri umani in statu viae- scrive Edith Stein - sono allievi e sono educatori».6
3. Un arduo compito
Un compagno di viaggio si sceglie perché si ha fiducia in lui, si sa che in qualsiasi momento ed in ogni situazione non verrà mai meno. Ma per costruire una relazione educativa c’è bisogno di tempo, pazienza e di tanta attenzione. In primo luogo bisogna incontrare l’altra persona, guardarla negli occhi, perché l’incontro dello sguardo fa nascere la relazione personale, senza la quale non è possibile parlare di rapporto educativo. «Nello sguardo restituito – scrive R. Guardini - il volto si apre e nasce allora quel rapporto in cui gli occhi si guardano negli occhi».7 In questa relazione fondamentale è l’atteggiamento dell’educatore che deve accogliere il giovane, accettarlo in maniera incondizionata, per quello che è e per come è. Deve partecipare alla sua vita, valorizzarlo, stimarlo, non giudicarlo; deve essere obiettivo, avere uno sguardo attento, non farsi prendere da rancori. Non solo, ma deve anche essere disposto a stare in silenzio, perché l’intesa sarà possibile solo se si lascerà al giovane «la possibilità di pensare, giudicare, agire con la propria testa – e poi di fare il contrario di quanto è giusto oppure io desidererei. E se sono un davvero educatore, devo
E. MOUNIER, Il pensiero pedagogico. Un’antologia, Las, Roma 2008, p. 58. M. BUBER, Discorsi sull’educazione, tr. it. di A. Aluffi Pentini, Armando Editore, Roma 2009, p. 83. 6 E. STEIN, La vita come totalità, tr. it. di T. Franzosi, Città Nuova Editrice, Roma 1994, p. 212 7 R. GUARDINI, Scritti filosofici, vol. 2, Fabbri Editore, Milano 1964, p. 89. 4 5
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perfino aiutarlo a far così –perché esattamente questo significa educare, anche se richiede molto tempo e spesso è pesante (...)».8 L’educatore deve avere un atteggiamento empatico che gli consentirà di cogliere il vissuto dell’educando. Empatia vuol dire rendersi conto di quanto sta vivendo l’altro, ma con la consapevolezza che non si può comprendere fino in fondo l’intensità e la qualità del vissuto dell’altro, il quale resterà sempre un assolutamente altro che va rispettato nella sua singolarità e peculiarità. L’educatore, infatti, non deve proiettare i propri desideri sull’educando, ma deve capirlo, non per adeguarsi a lui, ma per procedere oltre, per accompagnarlo, indirizzarlo verso mete rispondenti alle sue più proprie possibilità, a quanto possiede nel nucleo, in quella parte più propria e profonda di ogni essere umano. L’educatore deve essere discreto, stare in punta di piedi, far tacere se stesso per sentire l’altro. Saper tacere significa non intrappolare la persona nei filtri del proprio modo di vedere e di sentire, altrimenti non si potrà creare un legame, non si capirà chi si ha di fronte, quali sono i desideri, le aspettative, le potenzialità, etc.. Perciò, l’educatore deve poter operare una sorta di epoché, un cambio di atteggiamento che consente di comprendere l’altro nella sua autenticità. Spesso, infatti, i pregiudizi personali non fanno incontrare l’altra persona, perché quando si crede già di aver compreso tutto dell’altro l’incontro è impossibile. E questo è alla base dell’insegnamento cristiano: Gesù non ha mai dato spazio a pregiudizi sociali, culturali e ciò gli ha permesso di incontrare gli uomini e le donne, di guardarli per quello che erano e di comprendere il bene che ognuno portava in sé e che aveva solo bisogno di essere ridestato da uno sguardo caritatevole. Sospendere il giudizio per accogliere la verità dell’altro è anche un modo per mettersi continuamente in discussione, ma non per questo tutto il bagaglio di esperienza personale è inutilizzabile o non ha senso. L’epoché, infatti, non deve essere per l’educatore un procedere definitivo, ma una condizione per entrare in sintonia con l’educando. Successivamente, poi, i propri giudizi e i propri vissuti potranno essere ripresi e messi in rapporto con l’esperienza del giovane.9 L’assenza di pregiudizi è la chiave di volta per la comprensione e l’accoglienza dell’altro. Solo se si ha questo atteggiamento si capiscono i bisogni educativi, le potenzialità, i desideri, e da qui si potrà costruire un percorso formativo, adeguato alle esigenze dell’altro. In questo l’educatore cattolico ha una grande responsabilità, perché deve avere un sacro rispetto di fronte 8 9
R. GUARDINI, Etica, cit., p. 898. P. BERTOLINI, L’esistere pedagogico, La Nuova Italia, Milano 2002, p. 129.
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ai giovani che gli vengono affidati. Essi sono creati da Dio e portano in sé un destino divino. Ogni intervento arbitrario sarebbe un’intrusione, pertanto se si è consapevoli di ciò, si mirerà a risvegliare la fede e solo così l’educatore sarà in grado di assolvere ad una corretta prassi educativa mediante la quale il giovane verrà disegnato dalle mani di Dio e avrà il destino da lui donato. Infatti, scrive la Stein: «Formare degli esseri umani autentici significa formarli ad immagine di Cristo». E ciò riuscirà tanto più facilmente all’educatore quanto più egli stesso si sarà conformato all’imitazione di Cristo. E si può ben star certi che seguendo tale modello non si perderà la propria più intima individualità, perché chi pone la propria vita nelle mani di Dio diverrà certamente ciò che Dio ha predisposto per lui.
4. La comunità responsabile
La relazione educativa si radica all’interno della comunità che è fondamentale per la riuscita di un progetto educativo. Essa ha l’onere di prendersi cura di coloro che vi appartengono e soprattutto di quanti sono in via di formazione, perché più i suoi membri sono preparati, consapevoli, pienamente realizzati, tanto più essa crescerà, progredirà, si svilupperà. Non è un caso, che la Stein negli anni Trenta sottolinei che se la persona cerca di realizzare tutte le sue capacità, ma il suo tentativo fallisce: «(…) nonostante lo sforzo interiore, per impedimenti esterni, ciò, allora, è un danno per il mondo spirituale oggettivo al quale sfugge qualcosa per il cui tramite poteva essere arricchito».10 Una comunità deve essere lungimirante, non essere schiacciata sul presente e sui problemi che l’attanagliano. Non deve perdere la prospettiva, la speranza, che per un credente è importante in quanto alla base vi è la fede che è, appunto, «fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono».11 Eppure lo si è dimenticato se si continua a parlare di emergenza educativa. Una comunità si deve far carico della formazione dei propri giovani altrimenti sarà destinata al fallimento. E se ciò accadrà la responsabilità sarà, sì, della comunità, ma la comunità si dà nel vissuto di ognuno, e vive in quanto ognuno si impegna ed offre il proprio apporto affinché esista e sia sviluppata. Le responsabilità di una comunità, infatti, risiede sempre nei singoli, perché non esiste un io comunitario o colpe della comunità, perché laddove tutti sono colpevoli non lo è più nessuno. Non ci possiamo sottrarre come 10 E. STEIN, Potenza e Atto, Città Nuova Editrice, tr. it. di A. Caputo, a cura di A. Ales Bello, Roma 2003, p. 215. 11 Ebrei 11, 1-2.8-19.
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afferma A. Heller dal fatto che: «Siamo responsabili per tutti gli uomini e le donne che (…) ci guardano, che ci interpellano, in breve di tutti coloro con cui entriamo o potremmo entrare in una relazione morale rilevante».12 Allora bisogna imparare ad aver cura degli altri e soprattutto di quanti necessitano del sostegno dell’adulto durante la crescita. Se si elimina l’elemento della cura nei propri confronti e nei confronti degli altri e del mondo, di ciò che definiamo umano resta ben poco. E il valore del prendersi cura dell’altro è importantissimo, perché è ciò che ci contraddistingue come esseri umani. Infatti, esso non è solo connotato dalla necessità di trasmettere dei comportamenti dettati dall’istinto di sopravvivenza, ma «(…) è l’elemento che trasforma l’essere –l’uno-accanto –all’altro (…) in un con-essere, rendendo possibile una relazione che conserva la dignità dell’esistenza umana».13 Non solo, ma la comunità cristiana non può non prendersi cura della formazione dei giovani, perché: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di lui, cioè entrando a far parte della comunità dei redenti, dei membri del corpo mistico di Cristo. Abbiamo così, nel mistero della redenzione, una testimonianza pienamente valida del fatto che la comunità è necessaria per pervenire alla salvezza».14
5. L’avventura autentica
Non è possibile pensare ad un’azione educativa senza finalità. E fine dell’educazione è formare il cristiano autentico. In tale processo, come ci fa notare ancora E. Stein, c’è una duplice finalità. Una, più naturale, implica la realizzazione della natura umana, cioè di quelle potenzialità che consentono il raggiungimento dell’ equilibrio con se stessi, col mondo e soprattutto con il prossimo; ed un altro, che è quello soprannaturale, della vita eterna. Queste due finalità non sono tra di loro separate ma procedono di pari passo ed entrambe richiedono che «l’uomo venga plasmato dal Cristo stesso».15 Ciò comporta il cammino verso la perfezione in quanto essere immagine di Dio vuol dire essere perfetti: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»16, ci dice l’evangelista Matteo. Una prova ardua, ma proprio per questo un’avventura autentica!
A. HELLER, La bellezza della persona buona, Edizioni Diabasi, Reggio Emilia 2009, p. 100. V. IORI, Filosofia dell’educazione, Guerini Studio, Milano 2000, p. 186. 14 E. STEIN, La vita come totalità. Scritti sull’educazione religiosa, Città Nuova, Roma 1994, p. 51. 15 Ivi, p. 231. 16 Mt. 5,48. 12 13
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 227-246
PROPOSTE
ESORTAZIONE APOSTOLICA “EVANGELII GAUDIUM”. SPUNTI DI RIFLESSIONE IN CHIAVE EDUCATIVA ROBERTO ZAPPALÀ Dirigente scolastico - Istituto “Gonzaga” - Milano
SOMMARIO: 1. Il tema della gioia. - 2. Una «responsabilità immensa». - 3. Uscire in missione, per quale annuncio? - 4. Due frontiere dell’evangelizzazione e dell’educazione. - 4.1. La questione dei poveri. - 4.2. La questione del bene comune e della pace sociale. - 5. Protagonisti di una nuova educazione.
V
orrei proporre qualche spunto di riflessione e qualche positiva “provocazione” in chiave educativa, partendo dal testo dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco (e da altri scritti del 1 papa ). L’intento è di riflettere insieme sulle linee della nuova evangelizzazione, tracciate dal papa per tutta la Chiesa, nella prospettiva che ci coinvolge più direttamente: quella della missione educativa (nell’orizzonte del decennio di impegno sull’educazione promosso dalla Chiesa italiana). Credo che questa chiave di lettura (l’evangelizzazione nella prospettiva dell’educazione cristiana) sia lecita e anche necessaria, perché il fulcro dell’Evangelii Gaudium (d’ora in poi EG) è «sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale» e la missione dell’educazione cristiana è evangelizzare. Non a caso – ricevendo in udienza i membri della plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica, lo scorso 13 febbraio, nella Sala Clementina – papa Francesco ha detto: «L’educazione cattolica è una delle sfide più importanti della Chiesa, impegnata oggi a realizzare la nuova evangelizzazione in un contesto storico e culturale in costante trasformazione». Mi riferirò in particolare a due volumi che contengono alcuni scritti dell’allora cardinale Bergoglio, raccolti e ripubblicati dopo la sua elezione al pontificato: J. M. BERGOGLIO, El verdadero poder es el servicio, Buenos Aires, Editorial Claretiana, 2007, tr. it. È l’amore che apre gli occhi, Milano, RCS Libri, 2013; J. M. BERGOGLIO, El Jesuita, S. Rubini e F. Ambrogetti (edd.), Ediciones B Argentina S.A., 2010, tr. it., Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta, Milano, RCS, 2013. 1
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PROPOSTE
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1. Il tema della gioia
Come sappiamo, il testo dell’EG raccoglie il contributo del Sinodo (svoltosi in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012) sul tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede e, fin dalle prime parole, viene indicata la gioia come tratto fondamentale della nuova evangelizzazione: «In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni» (EG, 1). Una gioia, che nasce «non da una decisione etica o da una grande idea, ma dall’incontro con una Persona [Gesù], che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» (EG, 7). È proprio questa gioia, così profonda, pervasiva e dirompente che spinge alla missione, «perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?» (EG, 8). Una missione che, come diceva l’allora cardinale Bergoglio, diventa anche «una vocazione: costruire la gioia, l’uno per l’altro».2 Ovviamente, questo non significa sottovalutare le difficoltà e i momenti difficili della vita. Il Papa non è ingenuo e ha spiegato più volte con chiarezza che la gioia non è semplicemente allegria: «è di più, è un’altra cosa. (…) L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità. (…) La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. È come un’unzione dello Spirito». In definitiva, si radica «nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre. (…) Il gioioso, la gioiosa, è un uomo, è una donna, sicuro, sicura che Gesù è con noi».3 Per questo, mantiene «una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie» (EG, 6). Questa gioia è fondamentale anche per noi, come educatori cristiani chiamati-mandati a fronteggiare l’emergenza educativa o, come ormai si riconosce da più parti, il “disastro educativo” che si sta realizzando nel nostro tempo. Ed è proprio in rapporto a questo “disastro educativo” che, nel colloquio che ha concesso all’Unione dei Superiori Generali degli Istituti Religiosi Maschili (alla fine della loro Assemblea Generale, 27-29 novembre 2013), papa Francesco ha detto: «Il compito educativo oggi è una missione chiave, chiave, chiave!».4 Questa affermazione è già sufficiente a farci comprendere che l’impulso dato dal Papa alla Chiesa affinché “esca” in missione vale anche per noi eduJ. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Te Deum (2006), 182. Papa Francesco, omelia alla messa del mattino nella cappella della Domus Sanctae Marthae (10 maggio 2013). 4 A. SPADARO, Svegliate il mondo. Colloquio di papa Francesco con i Superiori Generali, in La Civiltà Cattolica, 2014, I, (4 gennaio 2014), 16. 2 3
Esortazione apostolica “evangelii gaudium”. Spunti di riflessione in chiave educativa
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catori cristiani. Di fronte al “disastro educativo”, non possiamo permetterci di essere pessimisti e lamentosi: «dobbiamo invece lanciare messaggi positivi: vivere noi per primi e farci testimoni e costruttori di un nuovo modo di essere uomini e donne. Ma questo non succederà se perseveriamo nello scetticismo: bisogna convincersi che le cose non solo “si possono” cambiare, ma che la rivoluzione di cui ci facciamo portatori è una imprescindibile necessità».5 Dunque, dobbiamo sentire ancora più forte «questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (EG, 20). E che cosa vuol dire, per noi educatori cristiani, uscire? In una lettera scritta alcuni anni fa agli educatori, il cardinale Bergoglio scriveva: «Cari educatori, in più di un’occasione abbiamo discusso su quando le cose sono cambiate, da chi ha avuto inizio tale cambiamento, da chi il degrado dell’educazione, (…), ecc. Possiamo analizzare tutto ciò fino allo sfinimento, dibattere, esprimere opinioni e così via. Ma ciò che non si può mettere in discussione è che voi vi confrontate quotidianamente con ragazzi e ragazze in carne e ossa, (…) infinitamente soli, bisognosi, spaventati, con piena fiducia in voi, sebbene a volte la dimostrino con aria indifferente, disprezzo o rabbia; attenti a cogliere se qualcuno offre loro qualcosa di diverso o gli sbatte di nuovo la porta in faccia. Una responsabilità immensa…».6 Uscire per noi significa, anzittutto, accorgerci che le «periferie» di cui parla il Papa non dobbiamo neanche andare a cercarle: ci entrano direttamente nelle classi! Proviamo a interrogarci: siamo consapevoli che per alcuni dei nostri ragazzi probabilmente noi siamo, oggi, l’unica possibilità di incontrare Gesù? Siamo consapevoli che «grazie al nostro cammino stiamo collaborando alla venuta del Regno per tutti, anche per coloro che non sono in grado di riconoscerlo nei segni ecclesiali»?7 Siamo consapevoli di essere un avamposto (forse sottovalutato) della pastorale giovanile? E siamo consapevoli anche del fatto che «la pastorale giovanile, così come eravamo abituati a svilupparla», non funziona più; e che, per la medesima ragione, «le proposte educative non producono i frutti sperati» (EG, 105)? Siamo, allora, disposti ad «abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così” [per] ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle [nostre] comunità»? (EG, 33). Essere consapevoli di questo significa, anzittutto, chiedere a Dio che la nostra vista e il nostro cuore non si abituino mai «ai volti di tanti bambini
J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2007), 82. J. M. BERGOGLIO, Scegliere la vita. Proposte per tempi difficili, Milano 2013, 122-123. 7 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2007), 80. 5 6
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PROPOSTE
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che non conoscono Gesù, dei giovani che vagano per la vita senza trovarvi un senso»; che «il nostro sguardo (…) si commuova e si soffermi sul prossimo perché il nostro cammino possa essere strumento di salvezza e redenzione».8 Nell’EG al n. 49 il Papa scrive: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita». E questa inquietudine del cuore è anche la nostra prima responsabilità come educatori cristiani.
2. Una «responsabilità immensa»
Ora, come far fronte a questa «responsabilità immensa»? Credo che una possibile risposta sia rintracciabile al n. 24 dell’EG: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano». Proviamo allora a confrontarci, come evangelizzatori-educatori, con il profilo del soggetto che evangelizza, così come delineato nell’affermazione del Papa che abbiamo appena letto.
«Una comunità di discepoli missionari»
Anzitutto, papa Francesco dice chiaramente che il soggetto evangelizzatore non è mai un individuo isolato, ma sempre e solo una comunità. La missione evangelizzatrice suppone la comunità e, reciprocamente, la ragion d’essere della comunità ecclesiale (e anche le comunità educative delle nostre scuole cattoliche lo sono) è lo slancio apostolico, la «comunione missionaria» (EG, 23). In definitiva, non c’è missione senza comunione, né comunione senza missione. Del resto, il Papa non fa che richiamare quanto Gesù stesso ha detto: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35); «siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). Per questo, quand’era a Buenos Aires, il cardinale Bergolio raccomandava ai catechisti: «siate servitori quasi ossessivi della comunione».9 Di qui discende, l’importanza: – della costruzione della comunità educativa nelle nostre scuole: forse è il primo fronte di impegno, perché l’efficacia educativa e missionaria delle nostre istituzioni è in ragione diretta della loro forma comunitaria; – della formazione dei dirigenti. Formazione all’assunzione dell’autorità,
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J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2005), 363. J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2005), 373.
Esortazione apostolica “evangelii gaudium”. Spunti di riflessione in chiave educativa
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intesa proprio come capacità di far crescere la comunità educativa come comunità missionaria.
«…che prendono l’iniziativa»
La motivazione è, a ben vedere, paradossale: il cristiano si muove per primo proprio perché sa che, in fondo, non è mai davvero “primo”. La sua iniziativa nell’amare gli altri muove, infatti, dalla consapevolezza che – per dirla con papa Francesco – «il Signore sempre ci primerea»,10 cioè «ci precede sempre, ci aspetta» proprio là dove ci manda.11 In definitiva, il cristiano prende l’iniziativa perché sa che va a portare «proprio ciò di cui gli altri hanno bisogno, anche se non lo riconoscono (…)»; egli sa che «il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno» (EG, 265). Egli sa «che esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L’entusiasmo nell’annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa».12 Questo ci aiuta anche a capire che «prendere l’iniziativa» non significa semplicemente andare incontro a quelli che già vengono verso di noi. Significa soprattutto che «dobbiamo andare a cercare» quelli che si tengono ai margini, che non verrebbero e, forse, non verranno mai spontaneamente verso di noi.13
«…che si coinvolgono»
Parlare di coinvolgimento significa parlare di una relazione che non può ridursi a mera interazione “tecnica” (fosse anche – se mai possibile – “tecnica” pastorale). E questo è vero anche nel nostro ambito educativo: «il docente non è un tecnico; anzi racchiude in sé molte caratteristiche di un padre o di una madre».14 Un’affermazione che riecheggia le parole a noi familiari di san Jean-Baptiste de La Salle: «Cercate di nutrire sentimenti di carità e di tenerezza per i fanciulli poveri che vengono a voi. (…) Se usate con loro la fermezza di un padre, per ritrarli o allontanarli dal male, dovete anche usare PAPA FRANCESCO, Discorso alla Veglia di Pentecoste con i Movimenti, le Nuove Comunità, le Associazioni e le Aggregazioni Laicali (piazza San Pietro, 18 maggio 2013). 11 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia della veglia pasquale (2000), 378. 12 GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Redemptoris missio, 1990, 45. 13 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2000), 339. 14 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Seminario per i rettori (2006), 32. 10
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PROPOSTE
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la tenerezza di una madre per affezionarli a voi, onde possiate fare loro tutto il bene che dipende da voi e (…) portarli a Dio».15 Coinvolgersi significa incontrare: ora, «l’educazione è incontro educativo» e «il vero incontro educativo» ha una duplice valenza sia per l’educatore che per l’educando. L’educatore, infatti, agisce come «colui che “tira fuori ciò che sta dentro” e, al tempo stesso, [come] colui che esercita l’autorità, nel senso etimologico del termine, ovvero “nutre e fa crescere” (auctoritas, dal verbo augere)».16 Dall’altra parte, l’educando realizza «due dimensioni dell’incontro o, per meglio dire, due incontri: quello con la propria interiorità e quello con l’educatore-autorità, il quale apre la strada che porta all’incontro interiore».17 Se le cose stanno così, è chiaro che «per poter realizzare l’incontro educativo i docenti hanno bisogno, più che di tecniche, di affidarsi ai propri affetti. Di amare il proprio lavoro e i propri alunni».18
«…che accompagnano»
In termini un po’ provocatori, mi verrebbe da dire che il senso dell’evangelizzazione e dell’educazione cristiana come accompagnamento trova una bellissima sintesi in Dante: «E poi che la sua mano a la mia puose / con lieto volto, ond’io mi confortai, / mi mise dentro a le segrete cose» (Divina Commedia, Inferno, canto III). L’educazione cristiana come evangelizzazione è, anzittutto, una mano che prende l’altra per accompagnare nel cammino. La presa di questa mano è espressione di un «lieto volto» che conforta, che invita ad affidarsi a un gioioso accompagnamento in un viaggio che introduce «a le segrete cose», al Mistero. «Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”» (EG, 24) e accompagnare significa attuare «una “pedagogia della presenza” in cui l’ascolto e la prossimità non siano solo lo stile, ma anche l’essenza del messaggio di cui fate latori».19 Accompagnare significa «far sì che il prossimo creda nel Vangelo offrendo a modello la vostra vita, cioè mostrando agli altri ciò che fate, come vi comportate, cosa dite, i sentimenti che provate, il modo con cui amate. Siete chiamati ad “accompagnare” il prossimo affinché creda nella Buona Novella di nostro Signore».20 15 J. B. DE LA SALLE, Méditation n. 101.3, in Opere complete di J.-B. de La Salle, a cura di S. Barabaglia, Roma, Città Nuova, 1999, vol. 2, 437. 16 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Seminario per i rettori (2006), 27-28. 17 Ibidem. 18 Ibidem. 19 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Lettera ai catechisti nell’agosto 2003, 357. 20 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2000), 337.
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Il medesimo tema torna nell’EG al n. 169, intitolato L’accompagnamento personale dei processi di crescita, dove si legge che «sacerdoti, religiosi e laici (…) tutti imparino (…) questa “arte dell’accompagnamento”, (…) il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana».
«…che fruttificano e festeggiano»
Quando parliamo di frutti (nell’evangelizzazione e nell’educazione) dobbiamo stare attenti a non equivocare. Credo che sia il Vangelo stesso a suggerirci l’atteggiamento corretto da assumere. Da una parte, infatti, come Gesù, dobbiamo ardere di zelo apostolico, per la salvezza degli uomini: «Fuoco sono venuto a portare sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Dall’altra parte, dobbiamo anche avere l’atteggiamento del seminatore, il quale – come ricorda l’EG al n. 22 – ha «fiducia che il seme, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cf Mc 4,26-29)» e, per questo, non cade «nella tentazione (…) di voler curiosare ogni giorno il campo seminato».21 Del resto, come dice san Paolo: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga, è qualche cosa, ma Dio che fa crescere» (1Cor 3,6-7). Per questo, la comunità evangelizzatrice deve «pianificare a lungo termine, pur continuando a intervenire attivamente nel presente».22 Essa cammina e opera libera dalla pretesa dell’esito, valorizza quel che cresce e si rallegra (cioè, festeggia) per i «frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti» (EG, 24).
3. Uscire in missione, per quale annuncio?
Per rispondere a questa domanda è di grande importanza l’indicazione centrale che papa Francesco offre alla Chiesa, attraverso tutto il suo magistero e, in modo particolare, proprio con l’EG. Il contenuto dell’annuncio non può che essere il «cuore del Vangelo», dove «risplende (…) la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (EG, 36). E questa bellezza consiste nella scoperta che «esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna».23 Questo è il
J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2005), 369. J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2006), 47. 23 PAPA FRANCESCO, Messaggio per la Quaresima 2014. 21 22
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kerygma, «l’annuncio di Cristo, che provoca stupore, porta alla contemplazione e a credere».24 Proprio in rapporto a questa «bellezza dell’amore salvifico di Dio» che «provoca stupore, porta alla contemplazione e a credere», il Papa insiste sulla bellezza dell’annuncio stesso, parlando espressamente – nel Capitolo III, punto IV dell’EG, dedicato a L’annuncio del Vangelo – di una «via pulchritudinis». Del resto, «annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove» (EG, 167). Dobbiamo, dunque, stare sempre attenti a non cadere nell’«ignobile riduzionismo»25 che confonde l’annuncio evangelico con la presentazione di un apparato dottrinale. Non possiamo presentare il cristianesimo come una sorta di “distributore automatico” di risposte preconfezionate per un dato repertorio di questioni e casistiche: «ciò che annunciamo non è un messaggio freddo o un semplice corpus dottrinale. Annunciamo prima di tutto una persona: (…) Cristo è risorto ed è vivo in mezzo a noi».26 E «dobbiamo farlo con gioia… anche a rischio di sembrare un po’ matti. (…) Quanti giovani, non riuscendo a dare un senso alla propria vita, sprecano i propri anni migliori stordendosi con le droghe e il frastuono, solo perché nessuno ha detto loro che esiste qualcosa di più grande?».27 La traduzione educativa di questa indicazione, il Papa l’ha offerta nell’incontro di fine novembre con i Superiori Generali, quando ha detto loro: «L’educatore deve essere all’altezza delle persone che educa, deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia». E che cosa significa per noi educatori cristiani «essere all’altezza delle persone» che educhiamo? Detto altrimenti: che cosa i ragazzi hanno diritto di aspettarsi (forse di esigere) da noi educatori cristiani? Ovvero, quando Dio ci manda questi ragazzi da educare, cosa si aspetta che diamo loro? Un valido spunto di risposta ci viene dall’affermazione con la quale san Jean-Baptiste de La Salle apre una sua meditazione: «Il Signore non vuole soltanto che gli uomini pervengano alla conoscenza della verità, ma anche che siano salvi. Non lo vorrebbe realmente se non offrisse loro i mezzi e non scegliesse per i giovani degli insegnanti che cooperino all’attuazione di tale
J. M. BERGOGLIO, Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta, cit., 84. Ibidem. 26 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2005), 369-370. 27 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2000), 339. 24 25
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disegno».28 L’affermazione è inequivocabile: non basta che gli uomini pervengano alla conoscenza della verità, fosse anche la verità cristiana; dunque, non possiamo limitarci a far conoscere la retta dottrina ai nostri ragazzi, attraverso un accurato e diligente insegnamento. I nostri ragazzi, che Lui stesso ci ha affidato, il Signore vuole «che siano salvi»! Il nostro compito educativo ha, dunque, un «carattere pasquale».29 In definitiva, essere all’altezza dei bambini e dei ragazzi che dobbiamo educare significa avere a cuore ciascuno di loro come persona; aver a cuore il loro destino (che non si perdano e camminino verso la loro pienezza). Significa far sentire a ciascuno che «Dio porta nel cuore la vita di ogni suo figlio»;30 che abbiamo un Padre che aspetta di vederci tornare, guardando dal terrazzo di casa (cf. Lc 15,11-32). E possiamo far tutto questo solo se Dio è realmente presente e operante in ciascuno di noi (ricordiamo il monito di papa Francesco a essere mediatori e non intermediari, pastori e non amministratori…) e nella nostra comunità educativa, chiamata a essere una «teofania del noi».31 Questa è l’unica vera “offerta formativa” dell’educazione cristiana, l’unica risposta adeguata alla domanda che sta dietro le convulsioni esistenziali del nostro tempo: «più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente» (EG, 89). Se prestiamo adeguata attenzione, «nella società in cui viviamo è facile cogliere, dietro le molteplici richieste della nostra gente, una ricerca dell’assoluto che, in alcuni momenti, si trasforma nel grido doloroso di un’umanità ferita: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). (…) E per questo hanno bisogno della mediazione dei credenti (…) a cui chiedono non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro “vedere”».32 Emerge qui un altro aspetto fondamentale: per poter intercettare questa richiesta e per potervi rispondere in modo coerente, dobbiamo saper ascoltare le persone che ci interpellano e avere il coraggio di rispondere con «quelle modalità, che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate particolarmente attraenti per gli altri» (EG, 167). La capacità di ascolto, nell’evangelizzazione, è fondamentale e non tanto per ragioni strategiche, quanto per ragioni teologiche e spirituali. Non dimentichiamo che, quando chiesero a Gesù quale fosse il primo comanda-
J. B. DE LA SALLE, Méditations pour le temps de la retraite, n. 1.3, in Opere, cit., vol. 2, 752. J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2007), 63. 30 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Lettera Per la scuola, 1995, n. 2. 31 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2005), 367. 32 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2001), 344. 28 29
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mento, Egli rispose citando lo «Shemà Israèl» (Dt 6,4): «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo». E subito aggiunse: «Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi» (Mc 12,31). Per questo, «abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire» (EG, 171). Abbiamo bisogno di «ascoltare per imparare ad amare, ascoltare per poter entrare in dialogo e rispondere. (…) Nell’ascolto si consuma una sorta di martirio, un sacrificio di se stessi in cui si ricrea il gesto sacro dell’Esodo: togliti i sandali, procedi con cautela, non spingere. Taci, questa è una terra sacra, c’è qualcuno che ha qualcosa da dire: saper ascoltare è una grazia immensa!».33 Dobbiamo, allora, saper «mettere in atto la diaconia dell’ascolto e la pastorale dell’incontro».34
4. Due frontiere dell’evangelizzazione e dell’educazione
Tutto il testo dell’EG (in piena coerenza con le linee di fondo del pontificato e del magistero di papa Francesco) mira a dare rilievo alla carica “rivoluzionaria” del messaggio evangelico, anche in senso culturale. È essenziale, infatti, che l’annuncio evangelico, con tutta la sua carica innovativa e rivoluzionaria, raggiunga e trasformi anche la cultura, perché – come ricordava Giovanni Paolo II – «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».35 Questo richiamo alla dimensione rivoluzionaria del Vangelo deve far riflettere anche noi, come educatori cristiani impegnati, con tutta la Chiesa, nella nuova evangelizzazione. Proviamo a chiederci: siamo “rivoluzionari” in senso evangelico, oppure – nelle nostre istituzioni educative – cerchiamo di far bene scuola, aggiungendoci solo qualche preghiera e qualche devota pratica liturgica e di pietà? Che “genere” di cristianesimo passa nelle nostre scuole: perbenista e borghese? Un cristianesimo che vezzeggia le anime, o le scuote? Un cristianesimo che – per usare espressioni tipiche di papa Francesco – «pettina» le anime e «mette loro i bigodini»,36 o che le conduce a orizzonti culturali e spirituali alti e impegnativi? E che “genere” di cultura evangelica trasmettiamo ai nostri ragazzi: insegniamo il catechismo, la sana e retta dottrina, a comportarsi bene in società e basta? In questo senso, la scuo-
J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Lettera ai catechisti (2006), 379. J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2001), 346. 35 Discorso ai partecipanti al Congresso Nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale (16 gennaio 1982). 36 J. M. BERGOGLIO, El Jesuita, S. Rubini e F. Ambrogetti (edd.), 2010, Ediciones B Argentina S.A., tr. it., Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta, Milano, RCS, 2013, 72. 33 34
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la cattolica (al pari della Chiesa) non può essere una “scuola babysitter”, che «cura il bambino per farlo addormentare»:37 non possiamo star paghi di aver insegnato ai ragazzi determinati contenuti culturali e dottrinali, di aver inculcato in loro il rispetto delle regole, di averli abituati a stare al loro posto buoni e tranquilli. Nemmeno può bastarci aver portato i ragazzi a pensare: «“Noi siamo cristiani: abbiamo ricevuto il battesimo, abbiamo fatto la cresima, la prima comunione… e così la carta d’identità è a posto. E adesso, dormiamo tranquilli: siamo cristiani”. Ma dov’è la forza dello Spirito che ti porta avanti?».38 Nel testo dell’EG, il Papa evidenzia due frontiere, rispetto alle quali deve esprimersi la rivoluzionarietà dell’annuncio evangelico: la questione della povertà (L’inclusione sociale dei poveri, nn. 186-216) e la questione del bene comune (Il bene comune e la pace sociale, nn. 217-237). Dalle riflessioni del Papa su queste due frontiere possiamo trarre qualche spunto per orientare l’educazione cristiana.
4.1. La questione dei poveri
È senz’altro una questione di giustizia sociale, economica, politica, etc. Ma è, più radicalmente, una questione educativa e culturale, perché occorre formare una mentalità che renda «docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (EG, 187). Ci rendiamo ormai conto che non è più sufficiente fare appello alla solidarietà, perché non è scontato che se ne colgano significato e valore. Lo ribadisce anche il Papa: «La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni» (GV, 188). Ora, questa «nuova mentalità» va coltivata, suscitata. Appunto, educata e formata tanto a livello programmatico, cioè realizzando azioni mirate al servizio ai poveri, anche programmando percorsi culturali specifici orientati al servizio ed esperienze di concreto servizio ai poveri che stanno alla periferia della nostra società); quanto a livello paradigmatico, cioè vivendo le attività abituali educative e scolastiche in chiave di attenzione alle povertà, partendo dai poveri che stanno quotidianamente con noi e che dobbiamo, anzitutto, imparare a riconoscere. A questo riguardo, siamo invitati a riconoscere che, nelle nostre realtà 37 Dall’omelia di papa Francesco alla messa del mattino del 17 aprile 2013, presso la Domus Sanctae Marthae. 38 Ibidem.
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educative, spesso frequentate da persone che vivono in una condizione economica agiata, abbiamo spesso a che fare con poveri reali. Forse ci farà bene ricordare che la beata Madre Teresa giudicava la povertà spirituale dell’Occidente di gran lunga peggiore della povertà materiale dell’India. E si riferiva alla povertà di persone che mancano di amore, che si voltano reciprocamente le spalle, che non sono soddisfatte di quello che hanno, che non sanno soffrire, che si abbandonano alla disperazione. Una povertà – aggiungeva madre Teresa – spesso più difficile da soccorrere e da sanare, rispetto a quella materiale. Nel messaggio per la Quaresima 2014, papa Francesco ha parlato della «miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore» e ha spiegato che «la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza». Penso, allora, a quanti nostri studenti e famiglie, pur non avendo particolari necessità economiche, vivono in una condizione non solo di povertà, ma di reale miseria morale o spirituale. E ripenso anche a quello che disse Giovanni Paolo II a Milano, il 21 maggio 1983, incontrando al Teatro alla Scala gli uomini del mondo culturale e artistico: «le opere di misericordia spirituale forse sono oggi, nel contesto di una società consumistica, ancor più necessarie [di quelle corporali]. Oggi c’è dubbio, c’è tristezza, c’è purtroppo assai diffusa una crisi morale. Oggi c’è bisogno di confortare, di illuminare, di aiutare. Oggi c’è bisogno di (…) costruire l’uomo». All’interno delle nostre realtà educative ci sono, poi, altre “povertà” che dobbiamo saper riconoscere e soccorrere. Se ci guardiamo attorno con cuore e mente aperti, possiamo riconoscere che anche le nostre classi, le nostre sale docenti, le nostre comunità e associazioni hanno le loro “periferie”. Sono le “periferie” fatte da qualche compagno o compagna o collega o collaboratore che è in difficoltà, o è più lento o meno disinvolto nel gioco, nello studio, nel lavoro, nell’affrontare le differenti situazioni. O magari che non porta la stessa felpa firmata, o certe scarpe di marca, o non frequenta certi locali in voga… O, più semplicemente, non la pensa come me. E per questo, in un modo o nell’altro, viene trattato diversamente, lasciato da parte, scartato. È proprio a partire da qui che dobbiamo affinare la nostra attenzione alla povertà, avendo il coraggio di rovesciare il solito modo di fare, di superare la paura di essere magari derisi da qualcuno, ispirando i rapporti tra noi sempre all’inclusione, all’accoglienza e mai all’esclusione.
4.2. La questione del bene comune e della pace sociale
Al n. 221 dell’EG il Papa indica quattro principi che possono efficacemente orientare la costruzione del bene comune e della pace sociale. Questi stessi principi possono darci spunti interessanti per orientare anche il nostro impegno educativo.
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Il tempo è superiore allo spazio (n. 222-225)
Questo principio fa riferimento a una dinamica fondamentale nella crescita delle persone (come singoli e come popolo): la «tensione bipolare tra la pienezza e il limite» (GV, 222), cioè la tensione tra l’aspirazione bruciante a conseguire la propria pienezza e la necessità di “fare i conti” con la nostra situazione contingente (i limiti, i condizionamenti, etc.). Non è difficile riconoscere che questo è uno snodo fondamentale dell’azione educativa, perché educare significa proprio aiutare il giovane a sciogliere la contrapposizione tra queste polarità, imparando a gestire costruttivamente, per sé e per gli altri, la dialettica tra pienezza e limite. In questo percorso di maturazione è determinante, come sottolinea il Papa, scegliere se vivere questa tensione dando più peso alla dimensione dello spazio o a quella del tempo. In sintesi, «dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli» (EG, 223). All’opposto, dare priorità al tempo significa «occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi» e, quindi, «lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati». In tal modo, si privilegiano «le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici» (EG, 223). Il Papa, poi, osserva: «A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo» (EG, 224). Credo che dobbiamo essere soprattutto noi educatori a sentire e vivere questa preoccupazione.
L’unità prevale sul conflitto (226-230)
È un principio fondamentale «per costruire l’amicizia sociale» (EG, 228). Ma, a sua volta, la capacità di costruire l’amicizia sociale passa attraverso l’educazione alla gestione dei conflitti, perché i conflitti sono un elemento fondamentale della crescita della persona e della costruzione della comunità umana (famiglia, società, etc.). Ora, riconoscere che l’unità è superiore al conflitto porta a gestire il conflitto muovendo dalla consapevolezza e dalla ferma convinzione che le differenze sono importanti, ma devono comporsi in armonia. «La diversità – scrive papa Francesco al n. 230 dell’EG – è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una “diversità riconciliata”». E sul modo di costruire e ricostruire ogni volta questa “diversità riconciliata”, c’è una
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bella indicazione del cardinale Carlo Maria Martini che conviene ascoltare: «spesso noi riteniamo che sia possibile ottenere una pacificazione solo con l’insistenza rigorosa sulla verità degli eventi; ma c’è pure un modo implicito di riprendere i fatti trasformandoli nel loro esatto contrario e chiudere così un contenzioso».39 Per papa Francesco è proprio questo il giusto atteggiamento: «accettare di sopportare il conflitto, (…) risolverlo e trasformarlo in (…) una pluriforme unità che genera nuova vita» (EG, 227-228). E questo, concretamente, significa «scommettere sulle persone passando sopra le cose e le contingenze».40 È in questa prospettiva che vanno cercati gli orientamenti educativi per affrontare alcune questioni culturali fondamentali per i giovani del nostro tempo: quella dell’individualismo competitivo e libertario, quella dell’identità-differenza, quella della libertà troppo spesso intesa e vissuta come libertà-da o libertà-di. Rispetto a questi snodi educativi, il principio dell’unità che prevale sul conflitto aiuta a formare: – l’unità della persona: «il primo ambito in cui siamo chiamati a conquistare questa pacificazione nelle differenze è la propria interiorità, la propria vita, sempre minacciata dalla dispersione dialettica. Con cuori spezzati in mille frammenti sarà difficile costruire un’autentica pace sociale» (EG, 229)
– l’unità tra le persone. Se, infatti, l’identità della persona è un’«identità personale e condivisa o, per meglio dire, personale “in quanto” condivisa»,41 allora cambia il modo di educare alla gestione della libertà. La massima tradizionalmente e universalmente accettata che pone la libertà dell’altro come limite alla mia libertà va, in questa prospettiva, decisamente superata: «La massima “La tua libertà finisce dove comincia quella degli altri” si traduce in: “Se gli altri non ci fossero, tu saresti più libero”. È l’esaltazione dell’individuo “contro” i suoi simili, l’eredità di Caino: se è suo non è mio, e se è mio non può essere suo».42 D’altra parte, è pur necessario chiedersi: in questa costruzione individualistica della libertà, «perché dovrei desiderare di essere libero se poi alla fine mi ritrovo solo? (…) La libertà, da questo punto di vista, non “finisce”, bensì “inizia” dove comincia quella degli altri».43
C. M. MARTINI, Le tenebre e la luce. Il dramma della fede di fronte a Gesù, Casale Monferrato, Piemme, 2007, 64. 40 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia, festa di san Gaetano (2007), 199. 41 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2006), 42. 42 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2007), 75. 43 Ibidem. 39
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In definitiva, «dobbiamo accogliere il diverso e testimoniare che è possibile essere “se stessi” senza “eliminare” l’altro. E lottare, nelle classi e in tutti i luoghi in cui operiamo in qualità di insegnanti, contro ogni pratica di aprioristica esclusione dell’altro, sia essa dovuta a motivi sociali, economici, politici, religiosi, culturali o personali».44
La realtà è più importante dell’idea (231-233)
Anche qui il Papa parte da una tensione bipolare di forte valenza educativa, quella «tra l’idea e la realtà» e osserva: «La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma» (EG, 231). Per questo il Papa mette in guardia da «diverse forme di occultamento della realtà» che si riscontrano nella mentalità e nella cultura del nostro tempo, ma che possono trovare posto anche nelle nostre istituzioni educative. Ne richiamo alcune:
– «i purismi angelicati». Talvolta, ci si scandalizza della povertà dell’uomo e ci si rifugia in utopismi che denunciano l’incapacità di mettere in tensione costruttiva il “dover-essere” dell’uomo con il suo “essere”. Può sembrare paradossale, ma in questo modo la centralità della persona (reale) viene negata in nome di un astratto valore (ideale) della persona. A questo riguardo, l’allora cardinale Bergoglio acutamente osservava: «le persone sono il valore più alto, al di sopra del quale non esiste alcun regno ideale di valori. Perciò chi non è fedele alle persone, in fondo, pur millantando di servire un “ideale”, è fedele solo a se stesso, poiché si impegna a perseguire esclusivamente i suoi ideali».45
– «i nominalismi dichiarazionisti». Esprimono la pretesa di chi, ad esempio, di fronte alla crisi valoriale del nostro tempo vorrebbe risolvere tutto con la semplice ripresa e (ri)proclamazione dei “valori perduti”, senza rendersi conto che ciò corrisponderebbe soltanto a una dichiarazione nominalistica di contenuti, dei quali la gente non comprende più significato e rilevanza (il valore, appunto). Senza contare, poi, che tale dichiarazione o proclamazione farebbe naufragare il nome dei valori nel mare magnum dei nomi e dei valori che la nostra società complessa proclama e diffonde indiscriminatamente.
J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2006), 57. J. M. BERGOGLIO, Mente abierta, corazón creyente, Buenos Aires, Editorial Claretiana, 2012; tr. it. Aprite la mente al vostro cuore, Milano, RCS Libri, 2013, 166. 44
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– «i progetti più formali che reali». Un altro modo di occultare la realtà è quello di voler pianificare tutto scrupolosamente e puntualmente, nella presunzione di poter preordinare l’esito e garantire l’efficacia della nostra azione. Espressione compiuta di questo occultamento della realtà è il funzionalismo che, «più che con la realtà del cammino, si entusiasma con “la tabella di marcia del cammino”. (…) Costituisce una sorta di “teologia della prosperità” nell’aspetto organizzativo della Pastorale».46 Qualcosa del genere può accadere anche nelle nostre istituzioni educative, quando più che preoccuparci di promuovere la «pastorale dell’incontro» ci preoccupiamo di mettere in agenda «l’incontro di pastorale».
– «gli eticismi senza bontà». Si può occultare la realtà anche riempiendosi di precetti e rinchiudendosi «nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)» (EG, 49). In ogni caso, ci si difende dalla realtà e dall’assumerla così com’è per illuminarla con la luce del Vangelo, preferendo guardarla dall’esterno (o dall’alto) attraverso gli schemi dei precetti e delle prescrizioni. In questo modo, però, la realtà non viene mai veramente incontrata, accolta e trasformata. Senonché, “la realtà” sono le persone che attendono di incontrare la pienezza della vita evangelica attraverso l’incontro con evangelizzatori capaci di accoglienza e di amore (e non solo di recitare un decalogo). Per questo Papa Francesco afferma: «confesso che ho il terrore dei moralisti senza bontà. (…) La persona che si traveste da persona etica, in fondo, non ha bontà».47
– «gli intellettualismi senza saggezza». È l’approdo di chi sostituisce all’incontro con la realtà il repertorio di una dottrina ben definita e la casistica: fin qui si può, fin qui non si può… senza aver l’intelligenza di trovare, di guardare il disegno complessivo delle cose. Per le persone che assumono questo atteggiamento vale, a mio giudizio, quello che Paolo VI diceva a proposito degli educatori che si limitano ad analizzare fenomenologicamente la realtà, in modo asettico e distaccato: non formano persone, ma addestrano gregari.48
PAPA FRANCESCO, Incontro con i vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) in occasione della riunione generale di coordinamento (Centro Studi di Sumaré), Rio de Janeiro, 28 luglio 2013). 47 J. M. BERGOGLIO, Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta, cit., 158-159. 48 PAOLO VI, Discorso nel Quarantesimo del Movimento Aspiranti della Gioventù Cattolica, 21 marzo 1964. 46
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Il tutto è superiore alla parte (234-237)
Anche qui il Papa evoca una tensione di forte rilievo: quella tra globalizzazione e localizzazione, con il rischio, da una parte, di una globalizzazione che induce i cittadini a vivere «in un universalismo astratto e globalizzante, passeggeri mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo, che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati» (EG, 234); e, dall’altra, di una localizzazione che riduce una comunità a «un museo folkloristico di eremiti localisti, (…) incapaci (…) di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini» (EG, 234). Anche a questa tensione tra globalizzazione e localizzazione sta sottesa una sfida educativa che occorre saper rilevare. Spesso, i nostri ragazzi sono vittime degli estremi opposti: da una parte, appaiono globalizzati nei comportamenti (pensiamo a Internet, alla moda, al linguaggio, ai Social Network, etc.); dall’altra, sembrano sempre più ripiegati nel loro interesse individuale, privato, locale… perfettamente in linea con tutta una serie di messaggi che invitano a coltivare l’«autoaffermazione inospitale dell’io» (P. Florenskij), senza limiti. Basta pensare ad alcuni slogan pubblicitari molto diffusi: «Tutto intorno a te» (Vodafone); «Tu senza confini» (TIM); «Perché io valgo…» (L’Oréal). L’indicazione che il Papa fornisce per risolvere questa tensione tra globalizzazione e localizzazione è molto stimolante anche in senso educativo: «Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. Allo stesso modo, una persona che (…) non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo» (EG, 235). E questo lavoro di formazione si realizza proprio dentro una comunità pluriforme, il cui «modello non è la sfera, dove (…) non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (EG, 236).
5. Protagonisti di una nuova educazione
Se prendiamo sul serio queste indicazioni, non possiamo non sentirci spronati ad «assumerci il rischio di essere protagonisti di una nuova educazione frutto dell’incontro con Dio».49 E credo che questa «nuova educazione frutto dell’incontro con Dio» debba avere alcune caratteristiche:
– più “coralità”, cioè un più ampio respiro comunitario. E comunità significa «che pellegriniamo insieme» e che dobbiamo aver il coraggio di «affida49
J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2007), 83.
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re il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze» (EG, 244); significa che dobbiamo saper «imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (EG, 246);
– più vitalità spirituale, come indicato nell’EG al capitolo V – Evangelizzatori con spirito. Anche alle nostre istituzioni e comunità educative occorrono «evangelizzatori con spirito», secondo i significati declinati dal Papa: anzittutto, «evangelizzatori che pregano e lavorano. (…) Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza (…) il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne» (EG, 262). Per questo, nell’udienza alla plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica (del 13 febbraio scorso), papa Francesco ha sorprendentemente sottolineato «la necessità dei ritiri e degli esercizi spirituali per gli educatori». Inoltre, «evangelizzatori con Spirito vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo. (…) Lo Spirito Santo infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente» (EG, 259). E, infine, c’è un altro significato che traspare da tutto il testo dell’EG e che rafforza l’esigenza di una maggiore articolazione comunitaria dell’impegno educativo. «Evangelizzatori con Spirito» significa anche evangelizzatori che vivono «la spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità».50 Per questo, il Papa chiede a tutti i cristiani «specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate» (EG, 99).
– più coraggio culturale. La dinamica di questo coraggio culturale può essere sintetizzata nell’efficace espressione di sant’Ambrogio: «Nova semper quaerere et parta custodire» (De Paradiso, 25). Certamente, nel campo dell’educazione cristiana c’è tutto un patrimonio da custodire e tramandare, ma c’è anche molto da innovare, con impegno e coraggio. Per questo, dobbiamo fare «una profonda riflessione all’interno delle nostre comunità e delle nostre aule, con l’obiettivo di convertire la mente e il cuore per superare la dittatura imperante del consumismo, dell’immagine e dell’irresponsabilità».
50
GIOVANNI PAOLO II, lett. ap. Novo millennio ineunte, 2001, n. 43.
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Così da «trasformare le nostre scuole in luoghi in cui si possa ripensare alle nostre abitudini di consumo, in cui si individuino, di concerto con le famiglie delle nostre comunità educative, nuovi e più sani modi di alimentarci, di festeggiare, di scegliere gli oggetti che accompagneranno la nostra esistenza».51 E, per fare questo, dobbiamo tenere alto il senso del nostro impegno educativo, «motivato dalla speranza di creare un’umanità nuova»,52 e dare «il nostro piccolo contributo (come docenti, come genitori o cittadini) per costruire la “civiltà dell’amore”, prendendo in prestito la bellissima espressione di Paolo VI».53 Dobbiamo, dunque, avere il coraggio di superare il modo di fare scuola basato sulla trasmissione di contenuti disciplinari, su un rapporto meramente tecnico-didattico, sulla competitività esasperata. Insistendo su questa strada, infatti, va a finire «che ci si concentra troppo sull’uomo o sulla donna di successo che l’alunno dovrebbe diventare, dimenticandosi della persona che si ha effettivamente davanti. Di conseguenza vengono coltivate menti eccellenti che sanno molto, ma cuori rachitici che sentono poco (o sentono solo ciò che fa loro più comodo)».54
– più coraggio apostolico. Dobbiamo sempre ricordare che «l’istruzione deve comprendere il fondamentale e il fondamento».55 Pertanto, mentre insegniamo i fondamentali della cultura, non possiamo tralasciare di annunciare il Fondamento, che è Gesù. Del resto, papa Francesco ribadisce che «la prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere?» (EG, 264). «AmarLo e farLo amare», diceva Santa Teresa del Bambin Gesù: questo è il senso della vita e dell’educazione cristiana, oltreché il movente dell’evangelizzatore e dell’educatore cristiano.56 Accettare di essere «protagonisti di una nuova educazione frutto dell’incontro con Dio»,57 significa intraprendere un percorso, come si diceva, “rivoluzionario” e non facile. In questo percorso, come educatori cristiani dobbiamo trovare, proprio nell’incontro con Dio, «la forza di non lasciarci persua-
J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2007), 73. Idem, 67. 53 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2006), 48. 54 Idem, 33. 55 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Discorso all’associazione cristiane degli imprenditori (1999), 24. 56 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Lettera ai catechisti (2002), 349. 57 J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Messaggio alle comunità educative (2007), 83. 51
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dere dai profeti del “non funzionerà”, e di non farci sopraffare dalla disillusione (…) per dare ascolto solo alle critiche e alle paure».58 Anzi, deve crescere in noi la consapevolezza che l’impegno educativo per la salvezza dei ragazzi cui siamo mandati è una missione così grande che «se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita» (EG, 274). Una consapevolezza che, in definitiva, orienta in modo radicalmente diverso anche la nostra preoccupazione educativa: «Molto spesso ci chiediamo con una certa preoccupazione: che mondo lasceremo ai nostri figli? Forse però sarebbe meglio domandarci: che figli daremo a questo mondo?».59
J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Omelia ai catechisti (2007), 386. J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, cit., Discorso all’associazione cristiane degli imprenditori (1999), 26. 58 59
Rivista Lasalliana 81 (2014) 2, 247-255
QUALE FORMAZIONE PER UNA LEADERSHIP PER L’APPRENDIMENTO? SCENARI NUOVI E COMPETENZE NUOVE RENATO DI NUBILA Docente di Metodologia della Formazione e di Comportamento organizzativo (Università di Padova)
SOMMARIO: 1. Il bisogno di leaders nella crisi della scuola. - 2. L’evoluzione dell’area della leadership… fino alla Educational Leadership. - 3. La formazione del leader. Alcune ipotesi e prospettive.
“P
1. Il bisogno di leaders nella crisi della scuola
er guidare…uno deve saper seguire!” diceva il saggio Lao Tzu. Com’è più vero oggi, pensando alla vecchia figura del preside, affrancata dalla preoccupazione del profitto e dell’apprendimento, perché impegnata a fare da “custode della norma”. Ieri ci si aspettava che un bravo capo d’istituto eseguisse gli ordini e facesse appunto rispettare le norme, provvedesse ai vari rifornimenti, gestisse bene il bilancio, garantisse la sicurezza degli accessi e degli impianti, assicurasse che i trasporti e i vari servizi funzionassero regolarmente. Anche oggi un dirigente è chiamato a fare tutto questo, ma i tempi e la crisi della scuola gli richiedono molto di più. Questo “di più” è la cifra che caratterizzerebbe il ruolo della nuova Dirigenza. I tempi e le trasformazioni hanno prodotto sicuramente il loro effetto per richiedere un ruolo dirigenziale più maturo e responsabile di una gestione più lungimirante, attenta ai processi educativi e non solo ai “prodotti” finali, convinta che il diritto allo studio delle persone oggi è diritto all’apprendimento. Potremmo dire che anche a scuola e nelle istituzioni formali, guadagna maggiore spazio il convincimento proposto dal paradigma della modernità del “prendersi cura”, più che solo del “curare”. Ma non basta, vorremo adottare per il nostro tema un’espressione molto significativa del linguaggio giuridico tedesco: “Il diritto …di sentirsi in dovere di…” , di riconoscere - nel nostro caso - che ogni persona “è educabile”, di assicurare ad ogni persona la possibilità di apprendere come capacità di “impossessarsi” di sapere, di conoscenze, di competenze e di saperle spendere. Vale a dire che per la figura del dirigente scolastico si aprono compiti non facili, se abbinati ad altri compiti di gestione, di relazioni, di organizzazioni, di controllo e di valutazione che richiedono capacità di discernimento, di delega, di decisione. Siamo davanti ad un
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profilo professionale complesso. Molte le variabili in gioco – da quelle educative, a quelle relazionali, a quelle organizzative, alle specificità di ogni persona – che spesso hanno spinto il dirigente scolastico a trovare le giustificazioni di un’azione poco incisiva sul piano educativo, come deresponsabilizzata e “neutra”, rispetto agli specifici compiti degli insegnanti. La contemporaneità, nelle sue forme complesse, avverte il bisogno di guide che sappiano indicare la direzione, guardare ai problemi nei loro intrecci, ma che sappiano anche seguire, prendersi cura di aspetti prioritari, caratterizzanti la vita educativa; ha bisogno di leader, non di eroi, ma di uomini in grado ogni giorno di segnare un passo avanti nelle relazioni personali, nella acquisizione di conoscenze e di promozione umana. La crisi sta lasciando i segni dei suoi effetti negativi anche sui sistemi scolastici. Tutti i paesi stanno chiedendosi come affrontare l’emergere di nuove esigenze e di obiettivi più impegnativi. La scuola ne risente profondamente, alle prese com’è con nuove richieste: quelle dei genitori che pretendono una più alta qualità dell’istruzione, del mercato che chiede lavoratori sempre più qualificati, dei rapidi progressi della tecnologia e le stesse esigenze delle persone che vogliono sapere di più, anche quando si illudono di sapere già tutto. Gli stessi attori della scuola vivono un’inquietudine da turbolenza. È l’io-global ed il cittadino-global che passa da facili deliri di onnipotenza a momenti di solitudine e di angosciante incertezza. L’aveva, in qualche modo, già previsto Thomas Kuhn nel descrivere i nuovi paradigmi delle rivoluzioni scientifiche: nel passaggio da razionalità tecnica a riflessività personale e professionale; da training a learning, da società verticistica costruita sull’ubbidienza a persone chiamate ad assumersi le proprie responsabilità.1 Sono questi solo alcuni dei segnali di tante veloci trasformazioni che investono i sistemi educativi di tutti i Paesi, anche di quelli che sembrerebbero meno “colpiti” dalla crisi che, invece, presenta tutta la sua ambiguità fatta di danni sociali ed economici, ma anche di interessanti “opportunità emancipatorie”. È il caso della Cina, ad esempio, alle prese con il ripensamento della riforma Cheng (2003) che già aveva elaborato un modello di gestione del cambiamento, prevedendo diversi stadi (dell’efficacia interna; dell’efficacia esterna; dell’efficacia del futuro), a partire dal territorio di Hong-Kong. Lo stesso Cheng nella seconda fase avverte come urgente una nuova formazione dei dirigenti scolastici e pone, per la terza fase, una domanda molto impegnativa: “…la qualità di oggi… è in grado di produrre effetti abbastanza duraturi da mettere le nuove generazioni in condizione di fronteggiare le sfide del nuovo millennio?”.2 Interrogativo che interessa i sistemi TH. KUHN, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1979. CHENG Y.C., Cultural Factors in Educational Effectiveness: a framework for comparative research, School Leadership & Administration, 20 (2), pp. 207-225, 2000. 1 2
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educativi di tutto il mondo, nella ricerca di una risposta che non può più essere costruita senza spostarsi dal vecchio paradigma di scuola centrata su se stessa a quello che lo stesso Cheng definisce “il paradigma della triplice dimensione”: la globalizzazione, la localizzazione, l’individualizzazione, entro cui occorre situare i processi di apprendimento e di insegnamento.3 In questo contesto, le scuole avvertono l’urgenza di una diversa leadership, come priorità assoluta e come forma di guida all’apprendimento. Viene spontaneo, allora, chiedersi se l’attuale dirigenza scolastica sia in grado di soddisfare questa esigenza. Con molto realismo e con la doverosa onestà professionale possiamo dire che la scuola italiana oggi può contare su numerosi capi d’istituto in grado di generoso impegno verso l’innovazione di una scuola dell’insegnamento/apprendimento. La questione seria è di verificare se ci siano le competenze necessarie per affrontare questo generoso impegno di molti. Forse, allora, si pone anche in Italia una riflessione più radicale: “ripensare la dirigenza” nella sua formazione di base e nei suoi aspetti caratterizzanti un’azione molto mirata all’apprendimento, come l’obiettivo prioritario della scuola del nuovo millennio. In un recente rapporto di ricerca, a questo proposito, viene così affermato: “Non c’è apprendimento senza un’adeguata leadership” e che il ruolo dei capi d’istituto nel miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento è assolutamente cruciale. I capi d’istituto devono innanzitutto rappresentare una guida nei confronti dell’apprendimento degli studenti. Devono conoscere i contenuti dei curricoli e le tecniche pedagogiche. Devono lavorare con gli insegnanti per rafforzarne le competenze. Devono raccogliere, analizzare e utilizzare i dati in modo da favorire l’eccellenza. Devono saper convogliare l’impegno di tutti (studenti, insegnanti, genitori, servizi sociali e sanitari, gruppi giovanili, imprese locali e associazioni) verso il comune obiettivo di innalzare il rendimento degli studenti. E devono avere conoscenze e competenze di leadership per esercitare con autonomia e autorevolezza queste strategie”.4 Il profilo che ne scaturisce è molto impegnativo e non è pensabile che ci sia oggi un corpo di dirigenti in grado di affrontare tutti questi compiti. Mancano infatti le competenze specifiche e la stessa preparazione di dirigenti non è stata sufficiente a prevedere questa esigenza. Ci vuole il coraggio di riprendere il percorso di una nuova formazione.
2. L’evoluzione dell’area della leadership… fino alla Educational Leadership
L’evoluzione del concetto di leadership è sotto gli occhi di tutti. Il mondo aziendale, per molti aspetti, l’ha anticipato, alle prese tutti i giorni con pro3 4
G.BARZANÒ, Leadership per l’educazione, Armando ed., Roma 2008, p. 65. Rapporto IEL, Institute for Educational Leadership, 2007, p. 6.
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cessi veloci di innovazione e di gestione. Lo stesso concetto di management è andato, nel tempo, maturando e assorbendo il meglio della portata umanizzante della leadership. Le distanze fra le due concezioni si sono accorciate, fino a rendersi complementari senza contrapporre gli aspetti di gestione con quelli di relazione, la pratica amministrativa, come parte di un processo che concorre al buon funzionamento e alla qualità dei risultati di una organizzazione, con la capacità di direzione e di guida. È interessante sapere che nel mondo anglosassone le differenze semantiche si siano attenuate e spesso entrate in combinazione. “Nella letteratura internazionale - osserva T.Bush – non ci sono prove di differenze sostanziali tra questi concetti: è semplicemente una questione di tradizioni e pratiche nazionali”.5 Ma c’è ancora, in quel mondo, chi ha continuato a vedere i manager come “coloro che fanno le cose bene”, come chi impiega più competenze tecniche e i leader come “coloro che fanno le cose giuste”,6 impegnando scelte e valori. Questa evoluzione non poteva non interessare la scuola e gli stessi processi educativi, tanto che oggi si fa meno fatica a parlare di leadership e management educativi. Proprio da questo accostamento si è giunti a parlare di combinazione tra un management impegnato a fornire ordine e coerenza alle organizzazioni e la leadership protesa a produrre cambiamento e trasformazione umanizzanti. Se torniamo a riferirci al mondo anglosassone, vale la pena rilevare che nei vari Paesi di quell’area, quando ci si riferisce alla scuola, si usa una triplice tipologia terminologica: administration, management e leadership, pur costatando che le varie funzioni costituiscono un campo unico, con forte interazione. Si può dunque fare uso di Management e di Leadership, con l’accortezza di evitare quel tanto di managerialismo che provocò forte rifiuto negli anni ’90 in molti ambienti dell’istruzione. Oggi i modelli di leadership sono tanti e a noi interessa costatare che anche gli ambienti educativi abbiano saputo indicare alcune linee di indirizzo che vorrebbero interpretare il senso più autentico dell’autonomia scolastica. Si parla – come bene fa notare G. Barzanò nel testo già citato – di Leadership come “guida pedagogica”, come “trasformazione”, come direzione “morale”, “partecipativa”, “manageriale” e persino di leadership “contingente”.7 Tutte espressioni che poi sono state riassunte nella espressione “Leadership educativa” o meglio in “Leadership T. BUSH, Crisis or Crossroads?,The Discipline of Educational Management in the Late 1990, Educational Management & Administration, 27 (3), pp. 239-252, 1999. 6 W. BENNIS, B. NANUS, Strategies for Taking Charge, New York, Harper and Row, 1985. 7 G. BARZANÒ, op. cit., p. 35-38. 8 P. HALLINGER, Culture and Leadership: developing and international perspective of educational administration, UCEA Rewiew, 36/2, pp. 1-13,1995 e Leading Educational Change: reflections on the practice of instructional and trasformational leadership, in Cambridge Journal of Education, 33 (3), pp. 329-351, 2003. 5
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per l’educazione”. In quest’ultima formulazione, vari esperti hanno voluto includere i significati impegnativi di: “missione della scuola, gestione del programma di istruzione, promozione di un clima di apprendimento”.8 Altri, invece, hanno preferito caratterizzare la nuova leadership in termini decisamente “trasformazionali”, fino a concepire questa tipologia di leadership “come processo profondo che trasforma le persone e fa evolvere i loro interessi e le loro motivazioni; il tutto, in un graduale processo di negoziazione con gli insegnanti. Non sono mancate, però, alcune critiche da parte di coloro che vedrebbero in questo approccio una sorta di silenziosa azione persuasiva sugli insegnanti e sugli altri soggetti della vita scolastica. Ma forse il punto di sintesi operato dalla ricerca più aggiornata è stato proprio la mediazione tra i due approcci sulla concezione di leadership per l’apprendimento,9 come interfaccia della leadership distribuita, quale buona pratica di espansione su tutta l’organizzazione fino a raggiungere la grande condivisione dei suoi attori, in momenti di forte interazione e di intelligente interdipendenza tra leader, collaboratori, studenti. Da Mac Beath, infatti, accogliamo alcuni passaggi importanti della leadership per l’apprendimento: “- tutti i componenti della comunità educativa sono attori che apprendono: gli studenti, i dirigenti, gli insegnanti, la scuola e il sistema stesso; - l’apprendimento si sviluppa attraverso un intreccio di processi emotivi, sociali e cognitivi; - l’efficacia dell’apprendimento dipende in modo rilevante dal contesto e dai diversi modi con cui ognuno apprende; - la capacità di leadership scaturisce da esperienze di apprendimento; - le opportunità di esercitare la leadership sviluppano apprendimento”.10 Come si nota, elementi già diffusi nella teorie didattiche in uso, dal costruttivismo, all’Experiential Learning, si fanno confluire in una visione di leadership per l’apprendimento, chiedendo al dirigente di formarsi , fino ad arrivare a far proprie le “traiettorie” di una didattica vissuta, per molto tempo affidata solo alla responsabilità degli insegnanti. Tutto sommato, la concezione di apprendimento come processo morfogenetico viene rinforzata e consegnata alla responsabilità di più attori. Potremmo a questo punto ipotizzare una leadership distribuita che invoca non più solo un Leader, ma tanti leader situati in contesti e in livelli diversi della pratica apprenditiva: l’insegnante leader come allestitore di situazioni, lo studente leader di sé come decisore di apprendimento, il genitore leader, come guida che sa seguire nel contesto familiare “l’ardua impresa” dell’apprendere. P. EARLEY, Leaders or Followers? Governing bodies and their Role In School Leadership, Educational Management & Administration, 31/4, pp. 353-267, 2003. J. MACBEATH, Leadership as a subversive activity, Journal of Education Administration, 45/3, pp. 242-264, 2007. 10 J. MAC BEATH, op. cit., pp. 248. 9
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3. La formazione del leader. Alcune ipotesi e prospettive
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Può essere significativo, per il nostro tema, riportare quanto affermato pochi mesi fa dal presidente dell’Associazione Italiana per la formazione manageriale, Vladimir Nanut: “Fare emergere dei leader in Italia è molto più difficile che altrove, perché una leadership effettiva richiede una forte componente di qualità delle persone e quindi una selezione, mentre questo Paese ha un cultura più di relazione e di clientelismo…siamo orientati alla conservazione e al mantenimento delle posizioni di rendita: esattamente il contrario della leadership, che è capacità di affrontare le nuove sfide e andare verso il cambiamento”.11 Una dichiarazione impegnativa, ma esplicativa della complessità del problema della formazione. Eppure esso va affrontato con determinazione, cogliendo gli elementi che questa crisi sociale, economica ed anche educativa sta facendo emergere. Sicuramente le organizzazioni hanno fame di bravi leader. D’altra parte, è comune convincimento oggi che leader si diventa. La formazione e la consapevolezza di ognuno fanno il resto per tutti, nessuno escluso, quelli che hanno o credono di avere carisma e qualità, ma anche quelli più riservati e introversi. Si può sempre imparare a gestire se stessi, le persone e i gruppi e a comunicare con essi in modo efficace. Quanto alla scuola e ai suoi dirigenti occorre fare il punto sulla situazione presente, per comprenderne le potenzialità e i limiti, a cominciare dall’autonomia scolastica, nata incompiuta ed incompleta, tale da rischiare l’effetto negativo proprio sugli apprendimenti degli studenti. Si porrebbe quindi come urgente qualche intervento correttivo o aggiuntivo, per dare all’autonomia l’efficacia che tutti vorremmo: si tratta di far evolvere in modo coerente ed equilibrato autonomia e accountability; come pure portare a compimento il progetto di autonomia attraverso il riconoscimento di maggiori poteri decisionali alle scuole, nella gestione delle risorse in modo coerente con gli obiettivi fissati. Nominalmente era previsto nell’incoraggiare nuovi modelli organizzativi della didattica; nei fatti non è stato possibile, dati i grossi vincoli di una gestione delle risorse, rimasta fuori da ogni controllo della scuola. La formazione ed il reclutamento del personale della scuola è uno di questi capitoli. Tema a cui dà forte rilievo l’ultimo documento dell’ANP “Le proposte sulla scuola per la XVII legislatura”, con una particolare sottolineatura dell’aspetto del reclutamento dei dirigenti, partendo dalle criticità sulle quali intervenire: eccessivo numero di candidati; insufficiente chiarezza circa le proprie motivazioni; scarsa efficacia del periodo di prova per valutare l’effettiva idoneità al ruolo. In altri documenti già L’ANP aveva presentato alcune proposte formative più organiche.12 Oggi avvertiamo che molte organizzazio11
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V. NANUT, Corriere della Sera del 13.04.2012. Inserto ANP su n. 7-8-9/2012 di AeD, p. 4 e p. 8.
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ni hanno superato la stagione dei cosiddetti “pacchetti formativi”, già confezionati e pensati fuori dal contesto dei bisogni effettivi, anche se ispirati alle grandi linee dello sviluppo teorico. Così è avvenuto in passato, così avviene ancora in molti Master sulla dirigenza. Il nuovo volto della formazione oggi invece è impegnato a costruire percorsi più impegnativi, sulla scia della “formazione on demand”. Non è facile, specialmente nella scuola, ma un varco innovativo va aperto, aiutando anche la scuola – come si fa con le altre organizzazioni – a interrogarsi sui propri fabbisogni, con un’analisi accurata e coinvolgente i soggetti disponibili a formarsi. In altri termini, la nuova formazione sta attingendo, pur se con la gradualità necessaria, alla parte migliore del costruttivismo sociale e preferisce “co-costruire” progetti e programmi con i soggetti e le stesse organizzazioni interessate. Una volta definita la logica dell’approccio teorico da applicare, il secondo passo potrebbe essere quello di definire le macro aree formative più coerenti con il ruolo innovativo di un leader per l’apprendimento e per la gestione della complessità di un istituto nei suoi aspetti giuridici, amministrativi, organizzativi, relazionali. Nel definire queste macro aree vanno tenuti presenti alcuni aspetti primari del ruolo del leader: a) la visione e la direzione, nella chiarezza della meta da raggiungere, come dire lo scopo dell’attività che si svolge; una visione intesa come immagine che si ha del futuro; obiettivi su cui dovrebbe concentrarsi la propria organizzazione; b) l’attuazione, durante la quale saper dare potere a tutti gli attori della scuola, supportando e incoraggiando ognuno a vivere secondo la visione e gli obiettivi da raggiungere. Si tratterebbe di una “guida al servizio degli altri”. Per esemplificare, piace ricordare una metafora usata spesso da un autorevole esperto di leadership, come Wayne Dyer: esistono due tipi di persone, le anatre e le aquile. Le anatre assumono sempre atteggiamenti da vittime impotenti e schiamazzano tutto il giorno; le aquile prendono l’iniziativa e volano alto… lasciando spazio agli altri, e guidandoli a “fare le cose giuste”. Fatte quindi alcune premesse, si potrebbero individuare le macro-aree della formazione di un dirigente. Solo per fare qualche esempio, eccone alcune: • il contesto socio-economico dei sistemi educativi; • l’ordinamento giuridico e i rapporti di lavoro; • la gestione strategica della scuola: tempi, spazi, relazioni, funzioni, organismi collegiali facilitanti l’apprendimento; • i nuovi modelli organizzativi delle didattiche e gli approcci teorici della complessità dell’apprendimento; • le diversità generazionali e le capacità apprenditive di questi giovani:
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potenzialità, limiti e nuovi disturbi. Il fenomeno e le cause degli abbandoni e della dispersione; • il comportamento organizzativo: la leadership educativa, la comunicazione organizzativa (le relazioni interne/esterne) e la pedagogia delle risorse umane; • lo sviluppo dell’offerta formativa e la gestione delle reti; una nuova cultura dell’orientamento “come processo e modo d’essere dell’apprendimento” per dare senso alla fatica dell’apprendere; • l’etica professionale, la responsabilità sociale e l’Accountability; • aree laboratoriali di riflessione professionale sulle esperienze acquisite e sui possibili percorsi da costruire per il proprio contesto scolastico, con l’uso di alcune tecniche di management.
Il tutto, nella logica che tiene conto che molti di questi aspetti - dal punto di vista cognitivo - sono già alla portata di molti insegnanti e dirigenti. Manca forse l’habitus formativo, cioè quell’esercizio intenzionale e fattuale per trasformare le conoscenze in comportamenti. Lo esige la vera natura della nuova formazione che rimane sempre un processo morfogenetico. Una simile impostazione, ovviamente, presuppone formatori professionalmente maturi e competenti nel trasformare le migliori impostazioni teoriche e teoretiche in risultati comportamentali significativi ai fini della figura del leader per l’apprendimento. Ecco perché vorremmo suggerire modalità operative quanto più miste, fatte di lavoro d’aula e d’“oltre l’aula”, persino di forme di outdoor, di giornate vissute in scuole di management aziendale o a contatto con modelli organizzativi diversi, sempre in una cornice di riflessività professionale che consolida l’approccio teorico/pratico della formazione. Così potrebbe accadere ricorrendo a forme nuove di coinvolgimento nell’azione formativa. Proprio come è avvenuto, ad esempio, in un master residenziale, con la messa in opera di un “Teatro per la formazione”: brevi vissuti e spaccati di vita scolastica costruiti, rappresentati, analizzati, discussi… ricostruiti e riproposti in termini di modello innovativo da trasferire a scuola. “Quelle giornate…sono state il nostro vero Master!”: la conclusione di quei futuri aspiranti alla dirigenza. Così avviene nelle Leadership Academy delle esperienze austriache. Non possiamo nasconderci il fatto che azioni formative più organiche e meglio rispondenti agli obiettivi di una dirigenza diversa esigano molte risorse. Intanto sarebbe sufficiente che ci fossero programmi formativi di base – con modelli diversi – per quanti pensassero di prepararsi ad una seria e rigorosa selezione; solo dopo, le politiche scolastiche potrebbero dedicarsi, in
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modo tutto particolare, ai soggetti selezionati, per una accurata serie di attenzioni con: • richiami formativi nell’anno di prova e dopo, • azioni di sostegno alla qualità dei risultati e allo sviluppo professionale, • aiuto per alleggerire lo stress della gestione quotidiana, • formazione di staff di bravi collaboratori con uso intelligente della delega, per ripensare le modalità del governo della scuola, • valorizzazione dell’autonomia, della capacità di decisione del dirigente e della responsabilità incentrata sul miglioramento dell’apprendimento e sul successo formativo, • la valutazione sistematica dei Dirigenti con un sistema premiante e di incentivi in casi di successo.
Potrebbe sembrare tutto interessante, occorre renderlo possibile. Proprio per questo occorrerebbe ricominciare dai dirigenti, ripensando e rilanciando il loro ruolo di leader nella scuola. Basterebbe crederci di più. Ma la conclusione vorremmo affidarla alla realistica osservazione di un vero maestro di Leadership, dei nostri giorni, come Ph. Kotler: “esistono tre tipi di leader: quelli che si sorprendono dei fatti che accadono; quelli che aspettano che i fatti accadano; quelli che fanno accadere i fatti che interessano”.13
Bibliografia essenziale
ARTINI A., I leader educativi, Milano, Franco Angeli 2004. BARZANÒ G., Leadership per l’educazione, Roma, Armando Ed. 2008. FALANGA M. (a cura di), La leadership educativa nella scuola dell’autonomia, Milano, Franco Angeli 2002. HARKINS PH., Swift Ph, In cerca di Leadership, Milano, Franco Angeli 2013. QUAGLINO G.P. (a cura di), Leadership, Milano, R. Cortina 1999. GHISLIERI C., Avere Leadership, Milano, R. Cortina 2004. SCURATI C., La leadership educativa nella scuola: ipotesi e discussioni, in F. Susi (a cura di), Il leader educativo, Roma, Armando 2000. SERPIERI R., La leadership senza gerarchia, Napoli, Liguori 2002. TRENTIN G., Oltre il potere. Discorsi sulla leadership, Milano, Franco Angeli 1997.
13
Cfr. La rivista Dirigenti scuola, La Scuola, Brescia, 2013.
LA SALLE BIOGRAFIE DI GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE CHARLES LAPIERRE, FSC Giovanni Battista de La Salle - cammina alla mia presenza Città Nuova, Roma 2006, pp. 234 L’autore ricostruisce l’itinerario del La Salle nel realizzare la vita che Dio gli ha chiesto “camminando alla sua presenza” e risponde a quanti desiderano conoscerlo come pedagogista e istitutore di grande attualità, ma anche a genitori ed educatori, che vedono in lui un modello da incarnare e un ideale da trasmettere ai giovani.
TERESIO BOSCO, SDB Giovanni Battista de La Salle – la forza di donare la vita Elledici, Leumann (To) 2004, pp. 44 Tratteggia la figura e l’opera del La Salle, pioniere dell’educazione in un tempo decisamente diverso dalla nostra epoca, specie in ambito scolastico ed educativo. La lettura del breve ritratto rende attuale la passione che il santo ebbe per la gioventù dell’epoca. E che i Fratelli delle scuole cristiane continuano a vivere oggi.
MANUEL OLIVÉ, FSC Giovanni Battista de La Salle – una vita per i giovani Istituto Gonzaga, Milano s.d., pp. 96 Biografia agile, incisiva, essenziale. Ricca di illustrazioni, è quanto mai adatta anche ai preadolescenti per iniziare un percorso di conoscenza di un santo educatore che per dedicarsi alla promozione dei ragazzi più poveri ha lasciato il ceto dei benestanti coinvolgendo nell’avventura altri giovani generosi per istituire le scuole gratuite.
LEO C. BURKHARD, FSC Un birichino di Parigi trad. it. di Camillo Coffano, Editrice A.&C., Milano 1961, pp. 160 Una storia romanzata alla gloria del pioniere e santo protettore delle scuole popolari. Tutte le vicende richiamano dei fatti storici. Al fine di garantire l’unità del racconto, l’autore ha ideato il personaggio del narratore attribuendogli dei fatti accaduti a molti. È lui – questo birichino di Parigi trascinato nella scia dell’eroe – che vi parla.
Giovanni Battista de La Salle Fondatore dei FSC e Patrono degli educatori fumetto di G. Signori e F. Pescador – Prov. Italia FSC, Roma 2008, pp. 207 I disegni, il testo e la sceneggiatura del fumetto, mentre non impediscono l’accostamento degli adulti alla vicenda storica e all’opera del La Salle, favoriscono invece un interessante e attento approccio all’opera del santo anche ai più piccini. ••• Per informazioni e ordinazioni: Viale del Vignola, 56 - 00196 Roma tel. 06.322.94.503 - E-mail: gabriele.pomatto@gmail.com tel. 06.322.94.235 - E-mail: fedoardo@pcn.net
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SOMMARIO: 1. Dal ‘Messaggero’ alla ‘Rivista’. - 2. Fr. Goffredo (Luigi Savoré) - 1934-1939: la ricerca storico-filologica. - 3. Il soccorso economico dell’‘Almanacco lasalliano’. - 4. Fr. Emiliano (Giuseppe Savino) - 1940-1962: pedagogia lasalliana e ascetica. - 5. Fratel Anselmo A. Balocco (1963-1983): catechesi, bibliografia lasalliana, apertura alla collaborazione. - 6. Fr. Secondino Scaglione (1984-2005): lasallianità a tutto tondo. - 7. Fr. Flavio Pajer (2007-2011): l’urgenza di un radicale rinnovamento.
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ei primi ottant’anni di attività apostolica (1829-1910) la Provincia piemontese1 si dedicò quasi unicamente all’insegnamento primario, caratteristica fondante e più conosciuta, ma non certo unica fin dalle 2 origini, della Congregazione lasalliana. L’insegnamento elementare di base si estese man mano a corsi professionali, in tempestiva risposta alle esigenze della società, in forme e con proposte originali e innovatrici.3 Un’editoria scolastica, metodologicamente valida, diede inoltre impulso specialmente alla didattica delle materie scientifiche.4
Le due Province lasalliane di Roma e di Torino costituiscono la Regione Italia dal 2002. In estrema sintesi: ‘Egli [il de La Salle] lasciava come creazione del suo genio una scuola normale a servizio de’ suoi discepoli, quattro scuole normali laiche, tre scuole annesse alle scuole normali, trentatre scuole primarie, una scuola domenicale con corsi speciali per lo studio del commercio e dell’industria, due scuole per l’insegnamento tecnico, due collegi convitti per l’insegnamento primario superiore, un convitto di emendazione per i giovani discoli’. G. ALLIEVO, ‘Opuscoli Pedagogici editi ed inediti, Tipografia Collegio degli Artigianelli, Torino 1909, p. 376. 3 Cfr. H. BÉDEL, Due secoli di insegnamento tecnico professionale in Italia, in Rivista lasalliana, 2010, 1, pp. 73-120. 4 Si avvaleva dell’eccellente qualità di studi raggiunta a tutti i livelli dai Lasalliani in Francia. Anche negli atenei italiani erano noti e apprezzati i loro trattati di matematica e geometria. Ad es., nella prefazione al volume Lezioni di geometria descrittiva di F. Enriques (Zanichelli edi1 2
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I responsabili della Provincia dovettero invece capitolare di fronte agli sbarramenti posti dall’autorità scolastica statale, quando, rispondendo alle richieste delle famiglie, tentarono di ampliare il servizio educativo, inserendo nei programmi gli studi classici.5 È solo a cominciare dal primo decennio del Novecento che le istituzioni lasalliane delle Province italiane poterono completare la loro offerta formativa. Sono gli anni in cui ai Fratelli delle Scuole Cristiane fu data la possibilità di accedere agli studi umanistici.6 Sarà proprio quest’apertura che darà origine nella Provincia piemontese, per merito di un nutrito gruppo di Fratelli capaci di mettere a frutto apporti culturali, ermeneutica, esegesi e filologia che caratterizzano gli studi classici, a due originali creazioni editoriali che valorizzarono tradizione e valenze educative tipicamente ‘di famiglia’, sia pure con finalità, tematiche e destinatari differenti: ’Rivista lasalliana’ 7 e ‘Sussidi per la riflessione e la catechesi’.
1. Dal ‘Messaggero’ alla ‘Rivista’
Il movimento di studi e di pubblicazioni, che trovò poi nella Rivista la sua collocazione più adeguata, era già iniziato nella Provincia piemontese con Il Messaggero delle Scuole Cristiane, pubblicato a Torino nel febbraio del 1931.8 Si presentava come ‘Bollettino dei Fratelli delle Scuole Cristiane della Pro-
tore, Bologna 1925) si legge: ‘Fra gli esercizi proposti in queste lezioni, molti, ed in ispecie i più eleganti, furon tolti dalla raccolta ‘Exercices de Géometrie descriptive par F. G. M. ed. Mame (Tour)’. La sigla del nome dell’autore è quella del Superiore generale Fr. Gabriel Marie (Edmond Brunhes), 1838-1916. Non solo la diffusione del sistema metrico decimale, ma anche l’insegnamento della lingua secondo il ‘metodo Girard’ vennero affidati ai Lasalliani dai responsabili delle scuole nello Stato sabaudo (Vedi F. COMETTO, Contributo alla storia della scuola in Piemonte e in specie a quella risorgimentale. Pubblicazioni scolastiche e didattiche dei Fratelli della provincia religiosa di Torino nei primi cento anni del loro arrivo in Piemonte (1829-30 - 1928-29), in Rivista lasalliana, 1962, 1). 5 Fu una della cause che portarono nel 1863 alla chiusura del Collegio-convitto “S. Primitivo” di Torino e di quello di Parma nel 1863 . Fu invece per disposizione dei Superiori della Congregazione che il Collegio S. Giuseppe di Torino dovette chiudere il liceo classico nel 1900. 6 Nel 1914 l’Assistente Fr. Candido Chiorra e il Visitatore Fr. Leandro Lenti ottennero dal Superiore generale Fr. Imier di concedere ai Fratelli della Provincia piemontese la possibilità di accedere agli studi classici. Dal 1923 l’accesso alle facoltà umanistiche fu concesso a tutti i Fratelli che avessero emesso la ‘professione perpetua’. 7 La cronistoria della Rivista è suddivisa in capitoli che corrispondono alla durata in carica dei suoi direttori. Sono, infatti, le loro ‘linee editoriali’ a caratterizzarne i segmenti di vita della pubblicazione: 1934 - 1939: Fratel Goffredo (Luigi Savorè); 1940 – 1962: Fratel Emiliano (Giuseppe Savino); 1963 – 1983: Fratel Anselmo Annibale Balocco; 1984 – 2005: Fratel Secondino Scaglione; 2007 – 2011: Fratel Flavio Pajer. 8 Era stato preceduto da un ‘Numero di saggio’ nel novembre precedente. Ideatore e direttore responsabile era il prof. Giovanni Garberoglio (Fr. Teodoreto).
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vincia religiosa di Torino’, e si proponeva di essere ‘una rassegna del grande bene operato, in silenzio e in umiltà, dai Fratelli delle S.C. nel campo immenso e fecondo dell’educazione giovanile’.9 Era indirizzato ai Fratelli, in attesa di poter essere diffuso anche tra gli allievi e gli ex-allievi. In fascicoli bimestrali di 32-36 pagine in 8°, recava articoli e notizie d’indole varia: formazione morale e pedagogica, noterelle storiche, cronache dei principali avvenimenti delle istituzioni della Provincia piemontese e della Congregazione. Fin dal primo numero (marzo 1931) fu particolarmente apprezzato, per la novità del tema e il rigore della documentazione, il breve saggio di Fr. Dante Fossati: ’Precursori di S.G.B. de La Salle: il P. Nicola Barrè’.10 Nei numeri successivi, quando la redazione fu affidata a Fr. Aquilino Cacciabue, comparvero, a firma dei Fratelli Isidoro di Maria, Goffredo, Giocondo, Dante, Cecilio, altri articoli intesi a illustrare caratteristiche della spiritualità e della pedagogia lasalliane che, per impegno e spessore culturale, si imposero sulla modestia e la precarietà delle notizie di cronaca. L’ultimo numero del Messaggero è dell’aprile 1933. La linea editoriale appare ormai chiaramente orientata verso lo studio dei meriti educativi del La Salle e delle realizzazioni della famiglia religiosa da lui fondata. Nella rubrica ‘Nella scia dei nostri Maggiori’ Fr. Goffredo Savorè, abituale collaboratore del bollettino, propone anzi una scelta di campo, che anticipa quella che Le notizie sono tratte dall’articolo Il contributo di Fr. Emiliano agli studi lasalliani della Provincia religiosa di Torino, di Fr. Dante Fossati, in Rivista Lasalliana 1963, 1. 10 Il saggio era frutto di ricerche condotte presso gli archivi della Casa generalizia delle Suore del S. Bambino Gesù di St-Maur a Parigi e in quelli delle Suore della Provvidenza di MesnilEsnard, presso Rouen. Era la concreta dimostrazione del rigore storico-esegetico che caratterizzava il lavoro. Sul Messaggero comparvero con lo stesso titolo e dello stesso autore, una prima (1931, I, 2, 43-52) e una seconda (1931, I, 3, 82-88) Nota biografica; e inoltre Una condanna del Parlamento di Parigi contro S. G.B. de La Salle (1931, I, 4, 109-113); A proposito di gratuità d’insegnamento (1931, I, 5, 129-141); Contributi allo studio del metodo didattico dei Fratelli delle Scuole Cristiane (1932, II, 1, 6-10); La scoperta più importante di un documento lasalliano (1932, II, 1, 35-40); Concetto della simultaneità lasalliana (1932, II, 3, 73-81); La riforma del Maestro nell’Ideale e nell’Opera di S. G.B. de La Salle (1933, III, 1, 10-17). Temi in parte ripresi, con l’aggiunta d’altri studi, su Rivista Lasalliana: Il tirocinio scolastico secondo la ‘Règle du Formateur’ di S. Giovanni Battista de La Salle (1934, 1, 28-43); Le Scuole Normali per Maestri laici secondo S. Giovanni Battista de La Salle (1934, 2, 189-193); Il sistema correttivo nella pedagogia lasalliana (1934, 3, 407-428); La ‘Conduite des Écoles Chrétiennes’, Charta della scuola primaria lasalliana (1934, 4, 634-660); Le ‘Règles de la Bienséance’ di S. G.B. de La Salle (1935, II, 2, 218-238); Il canto nella scuola primaria di S. G.B. de La Salle (1935, III, 1, 20-42); Un eccezionale successo editoriale: I ‘Devoirs d’un chrétien’ di S. G.B. de La Salle (1935, III, 233-256); Nota bibliografica sul Padre Nicola Barré (1936, IV, 40-54); Le preghiere delle Scuole Cristiane di S. G.B. de La Salle (1936, V, 1-2, 106-123); Il libro delle ‘Istruzioni e preghiere per la Santa Messa, per la Confessione e per la Comunione’ di S. G.B. de La Salle (1937, VI, 1, 55-72); Il metodo catechistico di S. G.B. de La Salle (1937, VII, 1, 40-60); Sul Metodo Didattico delle scuole primarie di S. Giovanni Battista De La Salle (1939, X, 1, 46-67). 9
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di lì a qualche mese porterà alla fondazione della Rivista Lasalliana, con l’articolo ‘Sguardo generale sulle nostre S. Regole dalla loro formazione attraverso i Capitoli Generali’.
2 . Fr. Goffredo (Luigi Savoré) - 1934-1939: la ricerca storico-filologica
Durante le vacanze pasquali del 1933, su proposta di Fr. Aquilino, Fr. Goffredo, insegnante di lettere al Collegio S. Giuseppe, riceve dall’Assistente per l’Italia Fr. Candido Chiorra, l’incarico di assumere la direzione del Messaggero. Convinto di dover modificare a fondo i contenuti della pubblicazione, Fr. Goffredo accetta l’incarico solo dopo aver chiesto il parere di persone competenti e aver sollecitato, con due viaggi a Parigi (Athis-Mons) valutazioni e consigli dei superiori maggiori; intende infatti costituire, al servizio di una innovativa linea editoriale, una redazione stabile, sull’esempio della Civiltà cattolica. Ottiene la promessa di essere esonerato dall’insegnamento (anche se ciò avverrà solo nel 1938, quando gli sarà affidata la direzione del Collegio), ma deve rinunciare al progetto di poter contare su di un gruppo selezionato e permanente di collaboratori. Ne trova però in Collegio di preparati e disponibili.11 La prima riunione redazionale si tiene il 22 novembre 193312 altre seguiranno il 30 novembre, il 7, il 12 e il 26 dicembre allo scopo di definire aspetti di notevole importanza, quali: i temi da ammettere e quelli da privilegiare, il titolo, la periodicità, il comitato di redazione. La linea editoriale risulta, dopo un’ampia discussione, quella abbozzata da Fr. Dante Fossati: ‘La Rivista curerà lo studio e la valorizzazione delle tradizioni storiche e dei metodi didattici e organizzativi del nostro Istituto; ma accetterà in pari tempo ogni e qualsiasi articolo atto ad elevare lo spirito religioso e la coltura dei nostri Fratelli’. In via transitoria ed in dimensioni ridotte verranno mantenute ed esposte, alcune delle rubriche ‘informative’ del Messaggero.13 Non riscuote unanime favore il titolo di Rivista lasalliana,14 con cui però sarà data alle stampe nel marzo del 1934. Sede legale: il Collegio S. GiusepI Fratelli Isidoro, Emiliano, Efisio, Dante, Giocondino, Flavio, Bernardino, Arrigo, Urbano. È la versione ‘semplificata’ che Fr. Emiliano riporta su Rivista Lasalliana, giugno-settembre 1953, p. 160. 13 Vedi la nota 19 alle rubriche Cronaca e Varietà. Un ulteriore chiarimento è offerto alla nota 41. 14 Proposto da Fr. Emiliano; altri, presi in considerazione: Città di Dio (Fr. Goffredo), Scuola o Schola (Fr. Dante), Vita lasalliana (Fr. Isidoro), La rivista (Fr. Arrigo), Studium, Paedagogium, … Assumerà nel 1948 il sottotitolo di trimestrale di informazione e di formazione pedagogica e dal 1963 di trimestrale di formazione e di cultura pedagogica. 11
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pe, via S. Francesco da Paola 23; Casa Editrice l’A&C; direttore responsabile Luigi Savorè (Fr. Goffredo); sette i componenti della redazione.15 A parziale integrazione della sintesi citata, Fr. Emiliano espone nei termini seguenti il progetto editoriale definitivo, elaborato nella seduta del 7 dicembre:16 ’Tenuto presente lo scopo della Rivista, che vuol essere formativo, religioso, pedagogico, in seno e a profitto esclusivo dei Fratelli,17 considerato che tal fine vuol essere raggiunto per mezzo di una sempre più chiara conoscenza della vita, dell’ opera e della dottrina del S. Fondatore, dell’insegnamento della Chiesa, specialmente nel campo ascetico, per mezzo inoltre di una più adeguata conoscenza del principio, del fattore, del mezzo educativo, con criterio di sana modernità che valga a salvare dall’empirismo consuetudinario; considerato infine che la Rivista nasce in seno al Distretto di Torino, si propone che essa Rivista debba interessarsi de’ seguenti argomenti’.18 Il primo numero esce (con la data di marzo) ai primi di aprile per i tipi di Lorenzo Rattero di Torino.19 ‘Tempo di edificare’, l’editoriale-‘manifesto’ di Fr. Leone di Maria, direttore del Collegio, Fr. Giocondo (vicedirettore), Fr. Clemenzio (ispettore), Fr. Aquilino (direttore della Comunità di S. Pelagia), Fr. Isidoro (ex-direttore dello Scolasticato di Gruglisco e insegnante al S. Giuseppe), Fr. Aurelio (vice-preside dell’Istituto La Salle di Torino) e Fr. Dante (vice-preside del Collegio). Fu rimandato a data da destinarsi lo studio della proposta di Fr. Goffredo (12 dicembre), che avrebbe voluto estendere alla Provincia romana, insieme con la collaborazione, la co-redazione della Rivista; cosa che di fatto avvenne l’anno dopo, quando il consiglio di redazione si arricchì della collaborazione dei Fratelli Ireneo, Nazario, Remo, Severino, Sigismondo e Ugolino. 16 Rivista Lasalliana, giugno-settembre 1953, p. 163. 17 È l’indirizzo seguito, quasi senza eccezioni, nei vent’anni di direzione di Fr. Emiliano. Sarà il successore, Fr. Anselmo Balocco, a cooptare collaboratori ‘esterni’. 18 - Articoli: a) S. Giovanni Battista de La Salle: contributi a una maggior conoscenza della biografia, dell’opera pedagogica, dell’ambiente storico, del pensiero ascetico, delle sue costituzioni e in genere degli scritti di lui; b) L’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, storia, tradizione, pedagogia, opere; c) Articoli d’indole religioso-formativo-ascetica; d) Articoli schiettamente pedagogici: pedagogia generale, pedagogia speciale, applicata, con riguardo alla scuola primaria e secondaria; e) Articoli di varia pedagogia e anche di filosofia, con più diretto interesse formativo agli scopi della coltura lasalliana e della formazione pedagogica; f) Articoli di psicologia e anche di filosofia, purché con prevalente valore formativo agli scopi della coltura personale dei Fratelli e della Scuola; g) Articoli d’indole letteraria, scientifica, da tutti i campi, il cui interesse agli effetti della formazione sia evidente. - Cronaca: a) Regolarmente la cronaca del Distretto di Torino; b) Eventualmente può essere fatto posto a quella del Distretto di Roma; c) Cronaca di avvenimenti di grande importanza e rilievo dell’Istituto, senza tuttavia ripetere semplicemente il Bullettin de l’Institut. - Varietà: a) Recensioni di opere pedagogiche ed ascetiche; b) Eventualmente, ‘rivista delle riviste’, nell’interesse religioso pedagogico; c) Notizie sulla scuola, sulla legislazione scolastica, sugli avvenimenti, congressi, ecc.; d) All’uopo, servizio di consulenza, sempre sugli argomenti d’interesse della Rivista. 19 ‘169 pagine dignitosissime, in carta uso-mano, con copertina in cartoncino d’un bel cenere caldo.’ Fr. Emiliano, La Rivista Lasalliana dal 1934 a oggi, numero del giugno-settembre 1953, p. 166. 15
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Fr. Goffredo, suscita perplessità e scetticismo. Pare impossibile che l’impresa possa riuscire o almeno aver vita lunga. ‘Cosa daremo dopo tanta promessa? Come continuare anche semplicemente con l’enorme numero di pagine con cui è uscito questo primo numero?’, si chiede l’Assistente per l’Italia Fr. Francesco di Maria. Perplessità condivisa: in fondo tutti, a cominciare dai collaboratori diretti,20 sono stati colti alla sprovvista. Due degli otto articoli sono d’argomento esplicitamente lasalliano:21 Il ‘Tirocinio’ secondo S. G. B. S., di Fr. Dante Fossati e Contributo all’esegesi storica delle nostre Regole, di Fr. Goffredo. Il primo suscita vivo interesse e riscuote consensi,22 perché si avvale di una documentazione pressoché inesplorata,23 sottoposta a un’esegesi convincente; l’altro ‘portò non poco turbamento: parve d’intravvedervi un programma temerario, se non proprio rivoluzionario... Al Fr. Goffredo fu imposto di non continuare la rubrica appena iniziata ‘per una esegesi storica delle nostre Regole’.24 ‘Scaramucce e battaglie’,25 che, unite agli apprezzamenti, servirono a chiarire ulteriormente idee ed indirizzi. L’impegno, infatti, non venne meno, nonostante l’inevitabile difficoltà di reperire e coordinare collaboratori e tipologie di collaborazione. Nell’intento di proseguire in quest’azione di ricerca, Fr. Goffredo offerse nell’editoriaFr. Dante aveva dovuto attingere alla sua tesi e agli articoli già scritti per il Messaggero; Fr. Goffredo era ricorso agli appunti del suo Secondo Noviziato; Fr. Isidoro diede il testo di una conferenza tenuta ai maestri di Susa; i Fratelli Giocondo, Emiliano e Clemenzio avevano ridotto a ‘lezioni’ lavori preparati per altri scopi (Fr. Emiliano, pp. 167-168). 21 Gli altri sono: Fratel Felice, di Fr. Goffredo, in memoria del Visitatore, recentemente scomparso; L’insegnamento religioso, di Fr. Isidoro; Coltiviamo la mistica, di Fr. Alessio; Entificazione dei reali, di Fr. Giocondo; Saggio sul Petrarca, di Fr. Emiliano; L’analisi microchimica dei minerali, di Fr. Clemenzio. 22 La Rivista – anche a motivo di un’esplicita scelta (Vedi nota 17) – ebbe sempre una modesta cerchia di abbonati e di lettori. Altro ostacolo determinante alla conoscenza adeguata dei contributi offerti deriva dal fatto che – a parte rare eccezioni di articoli scritti da autori stranieri e pubblicati nella loro lingua – è redatta in lingua italiana, assai meno conosciuta e diffusa di quelle francese, inglese e spagnola adottate nei documenti ufficiali dell’Istituto e negli studi lasalliani. 23 Frutto, come già si è detto, di un biennale lavoro di ricerca soprattutto nella Biblioteca Nazionale di Parigi. 24 A pag. 6 dell’articolo Trigesimo anno (Rivista Lasalliana, 1963,1), di Fr. Leone di Maria aggiunge: ‘E io ricordo che toccò a me, già trasferito a Roma - a me che proprio, in quel caso, non c’entravo per nulla - arginare le minacce di soppressione della Rivista, che si era permessa qualche critica a un volume del Rigault. Forse i tempi non erano maturi, per ammettere che una Rivista di cultura, recensendo un’opera sia pure di famiglia, non facesse un ditirambo in lode dell’Autore, ma esaminasse spassionatamente il lavoro, notandone i meriti e lamentando qualche immancabile deficienza’. 25 Così Fr. Leone di Maria (Trigesimo anno, p. 6) sintetizza questo periodo d’avvio della Rivista. Negli articoli pubblicati da quel momento, Fr. Goffredo evitò con cura gli argomenti d’indole storico-filologica riguardanti l’Istituto. 20
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le Questa nostra fatica (Rivista Lasalliana, giugno 1935) il suo modo di intendere la continuità dell’azione educativa lasalliana pur nella varietà di indirizzi e di scelte determinate o imposte dalle vicende storiche.26 Già nel maggio 1935, l’autorevole intervento del Superiore generale Fr. Junien-Victor27 riconosceva che, a proposito dei timori di una vita effimera della pubblicazione, ‘le temps s’est chargé de la réponse. Cinq numeros de la ‘Rivista Lasalliana’ ont déjà paru. Loin d’accuser le moindre fléchissement, chacun d’eux a présenté un progrès sur le précedent’.28 Rilevava poi che ‘Comme vous l’aviez promis, l’étude filiale de la Pédagogie du saint Fondateur et l’exposé des heureuses initiatives des nos Frères, en matière d’enseignement et de méthodolgie, constituent vos thêmes principaux.29 Toutefois, vous avez su vous garder de tout exclusivisme dans le choix des sujets. Aux articles qui intéressent l’Institut et justifient le titre adapté, vous avez joint des etudes pédagogiques plus génerales,30 des recherches psycologiques,31 des exposés philosophiques,32 qui dénotent, chez vos collaborateurs, une culture dévéloppée et sont très propres à éxciter, dans vos lecteurs plus jeunes, la louable désir d’étendre eux-mêmes leurs connaissances’.
‘La scuola elementare è nostra, più nostra di qualsiasi altro concorrente – e ve ne sono –; ci staremo sempre con amore e con passione. […] È nostra la scuola moderna a indirizzo scientifico; con essa i Fratelli si sono messi in primo piano tra gli operai della Chiesa di Dio. […] Non basta; soli, abbiamo avuto il coraggio di persistere nella nostra forma nuovissima, quando tutti la misconoscevano; e anche qui il genio del santo fondatore che scandalizza il mondo col vietare ai suoi discepoli il dominio delle lettere classiche è il vincitore solitario che aspetta ancora la sua corona. I Fratelli che anche a questo dominio ora sono pervenuti sono dei conquistatori pazienti che dopo la grande fatica indossano finalmente i loro abiti di festa, mentre riguardano quelli di altri logori e tarlati dal tempo’. 27 Vedi Rivista Lasalliana, giugno 1935, lettera spedita il 24 maggio da Lembecq-les-Hal a Fr. Goffredo. 28 ‘Se il secondo numero, troppo a ridosso del primo, dovette essere rimpolpato con un largo ‘referendum sulla pratica della riflessione’, e con una traduzione, apprestata per la classe, della ‘Prima olintiaca’ di Demostene, dello stesso Fr. Goffredo, […] seguirono a settembre e a dicembre altri due fascicoli di sempre più sicuro ed ampio respiro. Il volume che raccolse la prima annata segnò complessivamente ottocentoquarantasei pagine’. (Fr. Emiliano, p. 168). Accogliendo un suggerimento di Fr. Albertino Berruti, dal 1935 fino al 1962 ogni annata della Rivista fu divisa in volumi di due fascicoli ciascuno. Ciò complicò il riferimento univoco ad annata e numero. 29 Fr. Isidoro, La dottrina ascetica di S. Giovanni Battista de La Salle in ordine alla formazione pedagogica dei suoi maestri, Rivista Lasalliana, 1934, 2; 1935, 1, … 30 Fr. Isidoro, L’insegnamento religioso anima e fondamento della cultura civile, Rivista Lasalliana,1934, 1; Istruzione educativa, Rivista Lasalliana, 1935, 1, 4 (seguiranno altri 5 articoli); Fr. Dante, Le scuole normali per Maestri laici secondo S. G.B. de La Salle, Rivista Lasalliana, 1934, 2; La ‘Conduite des Écoles Chrétiennes’, Rivista Lasalliana, 1934, 4. 31 Fr. Emiliano, La psicologia religiosa di Euripide, 1934, 4; Fr. Dante, Il sistema correttivo nella pedagogia lasalliana, 1934, 3. 32 Fr. Giocondo, Entificazione dei reali, Rivista Lasalliana, 1934,1; L’essere nel pensiero comune e nel pensiero filosofico, Rivista Lasalliana, 1934, 2. 26
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Si complimentava, infine, dei risultati ottenuti ‘par la fusion de votre Revue avec sa soeur du District voisin’.33 Anni dopo, in sede di bilancio trentennale,34 Fr. Leone poteva confermare le annotazioni di Fr. Junien-Victor, aggiungendo una postilla: ’Alla Rivista Lasalliana spetta il merito grandissimo e riconosciuto d’aver dato l’avvio ai moderni studi lasalliani. Presto, difatti, il suo richiamo venne sentito, non solo dai Fratelli dei Distretti d’Italia, ma di altri Distretti ancora. Le frequenti citazioni della nostra Rivista nella monumentale Storia dell’Istituto composta da Georges Rigault hanno contribuito a far sì che oggi siano relativamente numerosi i Fratelli avviati, da varie parti e in diversi idiomi, a severi studi di lasallianità’.
3. Il soccorso economico dell’‘Almanacco lasalliano’
‘Pur mostrando di apprezzare la Rivista, e dandone lusinghieri giudizi, certo sinceri, le Comunità sottoscrissero un esiguo numero di abbonamenti. Alcune copie parevano sufficienti, per la Biblioteca, per l’Archivio, per la Comunità, e per gli omaggi, limitati per lo più al signor cappellano e a qualche ex-alunno’.35 Nacque così l’idea di affiancare alla Rivista una pubblicazione annuale illustrata, di forte tiratura, capace di sopperire o almeno di ridurre il disavanzo. In forma piacevole e con ricca documentazione anche fotografica avrebbe dovuto proporre agli alunni e alle loro famiglie, ad amici ed estimatori attualità, storia, prospettive e caratteristiche dell’azione educativa lasalliana in Italia e nel mondo. L’Almanacco lasalliano apparve ai primi del 1935.36 Si trattava di un voluminoso fascicolo di grande formato, accurato sotto l’aspetto tipografico, ricco di documentazione iconografica, vario e vivace nella presentazione di istituzioni, di iniziative, di scorci storici riguardanti periodi e personaggi delle due Province lasalliane d’Italia e dell’intera Congregazione. L’iniziativa ebbe un buon successo di diffusione, e, anche se non portò lo sperato vantaggio economico, si pensò che valesse la pena di assicurarle vita
33 Si tratta di una collaborazione con la lasalliana rivista belga Revue de Pédagogie (nata nel 1932); pregevoli i contributi di Jules Herment (Fr. Émile) Per una psicologia dell’esistenza - Alle sorgenti della dottrina spirituale di S. G.B. de La Salle e di G. Ozana Teleologia pedagogica. 34 Trigesimo anno, Rivista Lasalliana, 1963, 1, p. 4. 35 Fr. Emiliano, p. 169. 36 Proprio quell’anno era ‘risorto’ a cura della Provincia romana il Messaggero, con il formato e le rubriche dell’omonimo predecessore ‘piemontese’. Da quell’anno la Rivista Lasalliana non ospiterà più le cronache delle Comunità, né le rubriche di varia attualità. Nel dicembre del 1939 venne poi dall’Assistente Fr. Francesco la precisazione, che fu anche disposizione, riguardante ambiti e compiti della Rivista e del Messaggero (Vedi nota 40).
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e periodicità di un annuario dal 1935 al 1941, anno in cui Fr. Goffredo, aveva già lasciato anche la direzione della Rivista.37
4. Fr. Emiliano (Giuseppe Savino) - 1940-1962: pedagogia lasalliana e ascetica38
Con il fascicolo del giugno 1939 scompare dal sommario della Rivista la firma che vi era apparsa con più frequenza, quella di Fr. Goffredo;39 nominato direttore del Collegio S. Giuseppe di Torino, dovette dire addio ai suoi studi e alla direzione della Rivista Lasalliana. Nel dicembre di quell’anno, l’Assistente per l’Italia Fr. Francesco di Maria annunciava che la direzione era affidata a Fr. Emiliano,40 i cui articoli per la Rivista avevano fino a quel punto rispecchiato le sue preferenze letterarie.41 Il primo contributo del nuovo direttore agli studi sul Fondatore è del giugno 1937, quarto anno della Rivista. Svolge il tema ‘Il concetto generale dell’educazione lasalliana’42 cui seguirà nell’ottobre successivo, ‘Elementi mistici della dottrina pedagogica delle ’Meditazioni per il ritiro’ di S. G.B. de La Salle.’ Fr. Emiliano, p. 186: nell’Indice degli argomenti trattati dal marzo 1934 al dicembre 1940 dà conto di 14 volumi, con più di 5000 pagine complessive ed oltre 500 titoli. Un elenco dettagliato degli articoli su temi lasalliani pubblicati dalla Rivista si trova in Rivista Lasalliana, 4: 75° anno. 38 Anche in questo campo Rivista Lasalliana precedette gli studi, poi condotti con criteri ‘professionali’ in particolare nei Cahiers lasalliens che dal 1959 vengono pubblicati dalla Casa generalizia di Roma. 39 Limitandoci ai soli articoli: Contributo all’esegesi storica delle Nostre Regole (1934, 1), La ‘Riflessione’ secondo il de La Salle (1934, 3), Gratuità e insegnamento medio nell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane (1934, 4), I Fratelli in prigione (1936, 3), Tripudio lasalliano (1937, 4), Fioretti lasalliani (19437, 4), Iniziazione lasalliana (1937, 4), Studi lasalliani (1937, 4), L’Istituto dei Fratelli e la Chiesa romana (1938, 1 e 2; 1939, 1). 40 Fra l’altro, la lettera precisava: ‘La Rivista Lasalliana della Provincia di Torino diviene oggi definitivamente la Rivista ufficiale delle nostre due Province italiane, con direzione a Torino, e Consiglio di redazione composto di rappresentanze scelte dai due centri medesimi.[…] Un provvido rimaneggiamento della Rivista esclude d’ora innanzi dalla sua forma la cronaca delle nostre Comunità. Dette relazioni […] forniranno invece materia per una nuova comune pubblicazione periodica il Messaggero lasalliano, con direzione a Roma, avente lo scopo auspicabilissimo di una sistematica penetrazione dell’opera nostra nel seno delle famiglie’. 41 Saggi sul Petrarca (1934, 1 e 2, 1935, 3, 1936, 1), su Euripide (1934, 3 e 4) e opere di narrativa: Sotto i santi segni e il romanzo Argilla viva. Quest’ultima opera, di 474 pagine, costituì l’intero volume I del 1940, perché la prefettura di Torino aveva sospeso per cinque mesi la pubblicazione della Rivista, avendo rilevato nell’editoriale del giugno 1940 una netta presa di posizione contro la guerra. La concitata vicenda è raccontata da Fr. Emiliano alle pp. 181-185. 42 Un’annotazione della redazione faceva notare che nell’esegesi condotta sui testi presi in considerazione, l’autore esponeva, dichiarandolo, idee e valutazioni del tutto personali. È 37
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Già in questo articolo si fa strada l’aspetto che Fr. Emiliano tratterà con più frequenza, affiancando, e quasi sostituendo in ordine d’importanza, la ricerca sulla spiritualità a quella storico-filologica sui meriti e le realizzazioni del Fondatore nel campo della pedagogia. ‘Il problema del lasallianesimo, come dottrina dell’educazione, sta nei suoi principi fondamentali di spiritualità religiosa e nelle sue strutture ascetico-pedagogiche, in cui si conforma, in ordine alla scuola, la vita e l’opera di un corpo insegnante, in cui l’individuo è potenziato al massimo dei propri valori religiosi e umani dalle affinità latenti nella stessa Congregazione in cui tutto è rivolto ad una funzione pedagogica permeata di disciplina e di consapevolezza, ed in continuo svolgimento delle sue capacità attraverso un’esperienza plurisecolare’.43 Nel periodo 1937-1962 la collaborazione di Fr. Emiliano a Rivista Lasalliana è sicuramente fra tutte la più ricca per ampiezza, numero e varietà di argomenti. A parte rapidi articoli commemorativi per giornali, numerosi specie in corrispondenza con le celebrazioni del terzo centenario della nascita di S. G.B. de La Salle,44 ha dettato espressamente per Rivista Lasalliana o, almeno, consegnato ad essa per la prima stampa tutti i suoi studi in materia lasalliana,45 quasi tutti di mole notevole: I discepoli di S. G.B. de La Salle nella società del secolo XVII 46 ha uno sviluppo di 80 pagine; raggiunse la novantina Il Card. P. de Bérulle e l’Oratorio in Francia.47 Dottrine e apporti sociali nell’opera di S. G.B. de La Salle, uscì in sette puntate e fu raccolto in un volumetto di 130 pagine; La S.S. Eucarestia negli scritti pedagogico-ascetici di S. G.B. de La Salle contò una settantina di pagine; una cinquantina svilupparono i Presupposti ad un concetto individualizzatore nella spiritualità lasalliana. Cinque puntate furono dedicate alle Regole della buona creanza…’ e undici al lungo studio questa la ‘cifra’ che caratterizzerà tutta la collaborazione di Fr. Emiliano. Fr. Leone di Maria (Rivista Lasalliana, 1963, 1, p. 13), annotava: ’Fortunatamente con la sua ammirata disponibilità e versatilità d’ingegno, con la sua eccezionale capacità d’assimilazione, d’intuizione, di sintesi, non gli occorse molto tempo per sentirsi pronto a trattare quegli argomenti lasalliani che prima d’allora non avevano sollecitato la sua particolare attenzione’. E Fr. Dante (Rivista Lasalliana, 1963, 1, p. 49) chiosava. ’Nell’approfondimento della ricca tematica lasalliana egli porta con sé tutta la dovizia e le contraddizioni della sua personalità d’artista prima che di pensatore, di sentimentale emotivo creatore di favole prima che di solitario tenace indagatore’. 43 In Rivista Lasalliana, giugno 1953. Una posizione intermedia era già stata ampiamente illustrata da Fr. Isidoro di Maria, in La dottrina ascetica di S. G.B. de La Salle in ordine alla formazione pedagogica dei suoi maestri. In sette articoli su Rivista Lasalliana (1934-1937). 44 Giugno-settembre 1951. 45 Vedi Rivista Lasalliana, 2009, 4, 75° anno, pp. 574-575. Vi sono elencati 40 titoli. 46 Composto a commento e compendio della storia dell’Istituto di G. Rigault. 47 Alle quali vanno aggiunte la quarantina di La spiritualità berulliana, testo di una conferenza tenuta alla Pontificia Università Gregoriana nel corso di lezioni sulla spiritualità cattolica promosso dall’Università del S. Cuore.
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rimasto incompiuto sugli Aspetti ascetico-pedagogici della ‘Spiegazione del metodo d’orazione’ di S. G.B. de La Salle’. A questi temi si riferiscono le collaborazioni di maggior impegno offerte a Rivista Lasalliana da altre riviste lasalliane in lingua francese.48 Nel 1944, su richiesta dell’Editrice La Scuola, compone il volumetto S. Giovanni Battista de La Salle – profilo, per la collezione I maestri del pensiero e dell’educazione.49 I vent’anni della direzione della Rivista riservarono a Fr. Emiliano, provato nella salute, poche soddisfazioni, molte fatiche e parecchie traversie.50 Attribuiva a sé la colpa di non saper sollecitare ed attrarre i collaboratori; e praticamente trovò più facile sobbarcarsi la fatica dello scrivere anziché quella di elemosinare, con scarsa fortuna, gli scritti altrui. La somma di queste difficoltà lo indusse a tentare di scrollarsi di dosso almeno un paio di volte il peso della direzione.51 Siccome la collaborazione con la Provincia romana non aveva raggiunto gli esiti sperati, nel 1951 – anno delle celebrazioni nel tre centenario della nascita del Fondatore52 – si pensò di ricostruirla su basi diverse, creando sezioni specifiche in corrispondenza a competenze riconosciute e condivise.53 Si affacciò anche l’idea di costituire ‘archivi’ – ossia raccolte di studi e di 48 Tradotti in italiano, sono in particolare gli articoli di Fr. Jules Herment (Fr. Émile): La dottrina ascetica della liberazione spirituale e il metodo d’orazione laasalliano (Rivista Lasalliana, 1948, 4), Intorno a una pregnante espressione dell’ascetica lasalliana: lo spirito di martirio (Rivista Lasalliana, 1949, 1), Introduzione alla lettura di san G.B. de La Salle (Rivista Lasalliana, 1949, 4). 49 Con l’autorizzazione degli editori, il trattatello fu stampato nel fascicolo di giugno del 1944 su Rivista Lasalliana. ‘Per il sicuro dominio della materia anche nei più vasti confini ambientali, per l’esatto equilibrio di giudizio ed il preciso senso delle proporzioni il volumetto di Fr. Emiliano, pur nella modestia delle intenzioni e nella sua brevità, riassume quanto di più compiuto e sicuro si possa dire sull’opera di S. G.B. de La Salle’ (Fr. Dante Fossati, Rivista Lasalliana, 1963, 1, p. 51). 50 La guerra causò gravi danni alla tipografia e alla sede dell’Editrice A&C. Nel novembre del 1942 un incendio causato da un bombardamento distrusse le riserve di carta e i fascicoli già pronti per la spedizione. 51 La prima nel 1945, quando Fr. Goffredo venne esonerato dalla responsabilità della direzione del Collegio, ma non poté accettare a causa dello stato di salute; la seconda nel 1950, quando a dirigere il Collegio fu chiamato Fr. Dante Fossati, che non giudicò possibile addossarsi anche la direzione della Rivista. 52 Rivista Lasalliana dedicò quasi per intero i nn. 1950, 4 e 1951, 1-3 a studi e rivisitazioni della più che bicentenaria storia dell’Istituto e pubblicò la Vita di S. Giovanni Battista de La Salle, scritta da Fr. Isidoro Molinari: 708 pagine in 8°, con numerose illustrazioni fuori testo; una delle rare eccezioni nella politica editoriale della Rivista, di norma limitata alla pubblicazione di estratti. 53 I problemi della scuola e dell’educazione furono affidati ai Fratelli Dante Fossati e Mansueto Guarnacci; i temi della catechesi a Fr. Anselmo Balocco e Tito Carosi; i vari aspetti dell’educazione psicopedagogica ai Fratelli Beniamino Bonetto e Siro Ferranti. La sezione concernente la materia lasalliana e di formazione ascetico-professionale fu lasciata al direttore della Rivista.
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sperimentazioni – di pedagogia, metodologia, spiritualità che, accanto a tradizione e prassi lasalliane, registrassero e offrissero informazione utili a chi operava nel mondo della scuola. Ormai da almeno un decennio la ‘materia’ trattata in ogni fascicolo della Rivista riguardava dieci settori ben definiti,54 fra i quali ripresero a figurare con frequenza temi di catechesi e di pedagogia.55
5. Fratel Anselmo A. Balocco (1963-1983): catechesi, bibliografia lasalliana, apertura alla collaborazione.
Rivista Lasalliana, 1963, 1 pubblicò in apertura l’11ª puntata del trattato di Fr. Emiliano Aspetti ascetico- pedagogici della ‘Explication de la méthode d’oraison’ di Giovanni Battista De La Salle. Lo scritto, postumo, fungeva da introduzione ai cinque articoli che illustravano la poliedrica attività dello scomparso.56 L’ultimo di essi - Fratel Emiliano evocatore di immagini - portava la firma del nuovo direttore, Fr. Anselmo Annibale Balocco. Anche la sua fatica sarebbe durata vent’anni, con inevitabili differenze di conduzione rispetto alla precedente, dovute anche ad un ‘curriculum’ professionale assai diverso.57 La linea programmatica non venne esplicitata in editoriali, ma coerentemente perseguita nell’accettare e sollecitare contributi e collaboratori: – ebbero rilievo metodologia e didattica, in particolare quelle catechisti-
Studi lasalliani, studi di formazione religiosa, ascetica e mistica, catechetica, filosofia e pedagogia, metodologia e didattica, letteratura lasalliana, documenti cronachistici, testi lasalliani, recensioni di edizioni dell’Istituto FSC e di opere attinenti. (Vedi Fr. Leone di Maria, p. 14). 55 Ad es.: Fr. Leone di Maria, Lineamenti di catechesi lasalliana (Rivista Lasaliana, 1954, 3), Fr. Emiliano, Le regole della buona creanza e dell’urbanità cristiana (5 articoli tra il 1956 e il 1957), Fr. Giovannino Verri, Le Petites Écoles e i tempi del La Salle (Rivista Lasalliana, 1956, 4 e 1957, 1). Come già ricordato, un elenco dettagliato di autori e titoli si trova in Rivista Lasaliana, 2008, 4, 75° anno. 56 Direzione, Gli scritti di Fr. Emiliano; Fr. Dante Fossati, Il contributo di Fr. Emiliano agli studi lasalliani della Provincia Religiosa di Torino; Fr. Armando Riccardi, Fratel Emiliano religioso-educatore; prof. Mario Sancipriano, Il pensiero filosofico-pedagogico di Fratel Emiliano; Fr. Anselmo A. Balocco, Fratel Emiliano evocatore di immagini. 57 Poligrafo Fr. Emiliano, ma attivamente radicato in una sola istituzione, il Collegio S. Giuseppe di Torino; poligrafo Fr. Anselmo, che, però, dopo vent’anni di insegnamento nei licei dell’Istituto Gonzaga, fu ispettore ministeriale per l’insegnamento della religione nelle scuole statali, vice-praeses del Pontificio Istituto ‘Jesus Magister’, consultore vaticano per la catechesi, professore di teologia in vari atenei ecclesiastici romani, conferenziere in centinaia di località disseminate per l’Italia, autore di trattati sulla catechesi e di testi di religione, per tre anni incaricato di presentare le ’20 lezioni integrative’ alla tv di Stato. 54
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che (aperte alla dimensione biblico-ecclesiologica soprattutto per merito di Fr. Anselmo,58 di Fr. Leone di Maria,59 di Fr. Enrico Trisoglio60); – la collaborazione, fino allora riservata a Fratelli si aperse all’esterno, accogliendo il contributo di esperti e ricercatori nei settori che caratterizzano la Rivista;61 – gli studi sulla storia della Congregazione e della Provincia ebbero, insieme con la prosecuzione di quelli d’indole esegetico-filologica, il contributo di rassegne bibliografiche62 di grande utilità per studi e ricerche; – si apersero con frequenza spazi per la pubblicazione, parziale o integrale, di tesi universitarie scritte da Fratelli su temi letterari, storici, lasalliani;63 – si offerse un puntuale commento dei programmi ministeriali, con particolare riguardo a quelli dell’insegnamento della religione; – ebbero ampio spazio le relazioni sui convegni nazionali64 e internazionali riguardanti temi educativi; – fu documentata l’attività di un’innovativa istituzione internazionale di pedagogia religiosa65 e quella di Fratelli cui furono affidati per oltre trent’anni incarichi di rilevanza nazionale;66 Avviando i giovani studenti alla lettura di San Paolo (1962, 2); Strutture ritmiche nei Vangeli (1962, 4); Avviando alla lettura dei Salmi (1963, 3); Echi biblici nella Divina Commedia (1965, 3); Avviando alla lettura di San Pietro (1966, 3); Centralità dei discorsi nel libro degli Atti degli Apostoli (1968, 3); Sintesi bibliche della storia della salvezza (1968, 4); Introducendo alla lettura del quarto Vangelo (1969, 4); Acculturazione e contestualizzazione del messaggio cristiano (1979, 3); La famiglia nella Bibbia (A.T.) (1980, 1); Famiglie cristiane emergenti nel N.T. (1980, 3). 59 Notevole la serie di articoli dedicati al Commento familiare del Decreto Perfectae caritatis per le istituzioni lasalliane: in Rivista lasalliana 1968, 3, 189-229; 1968, 4, 285-318; 1969, 2, 88-112. 60 Apostrofi, parenesi e preghiere in Filone d’Alessandria, Rivista Lasalliana, 1964, 4 e 1965, 1; S. Gregorio di Nazianzo in un quarantennio di studi (1925-1975), Rivista Lasalliana, 1973, 1. 61 Vedi, ad es., nel 1981 i contributi di C. Lombardi, B. Bellerate, M. Lena, S. Riva, G. Vico, S. Gallego, P. Marey: Rivista Lasalliana, 75°, 2008, 1, pp. 513-514. 62 Un decennio di Rivista Lasalliana (1958-1967), Rivista Lasalliana, 1969,1, Un ventennio di studi lasalliani 1934-1973, Rivista Lasalliana, 1975, 4. 63 Vedi Rivista Lasalliana, 75°, 2008, 4, alle pp. 508-512. 64 ‘La Scuola cattolica oggi’, Convegno di studi promosso dalla Provincia romana FSC, Rivista Lasalliana, 1974,2; Convegno su ‘Formazione personalizzata ed educazione nella scuola cattolica d’oggi, Rivista Lasalliana, 1975, 1; Tavola rotonda’ Contenuti e metodologie della scuola cattolica’, 1975,1; C. Perucci, Linee pedagogico - organizzative di una scuola cattolica, Rivista Lasalliana, 1974, 2. 65 Fr. Leone di M., Il primo decennio del Pontificio Istituto ‘Jesus Magister’, Rivista Lasalliana, 1967, 3; Fr. Anselmo, L’Institut Pontifical Romain’Jesus Magister’, in Bulletin des Frères des É.C., (1968, 48, 7-17). 66 Fr. Anselmo, I due Ispettori Nazionali per l’insegnamento religioso nelle scuole statali, Rivista Lasalliana, 1974, 4. Com’è noto si tratta di Fr. Alessandro Alessandrini dal 1921 al 1943; Fr. Leone di Maria dal 1943 al 1952. Anche Fr. Anselmo ebbe tale incarico ministeriale, sia pure limitatamente all’Italia centrale e per la scuola dell’obbligo, dal 1957 al 1970, quando incombenza e titolo furono aboliti. 58
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– fu creato il Centro studi sull’Educazione Religiosa ‘Fr. Leone di Maria’.67 Rimase tuttavia irrisolta la fondamentale questione della diffusione della Rivista, non solo in campo nazionale.68 Sono di Fr. Anselmo dodici dei più corposi articoli d’argomento lasalliano pubblicati sulla rivista nel ventennio in cui ne ebbe la direzione.69 Se per Fr. Emiliano tema di particolare interesse era stato il rapporto tra pedagogia e ascesi del Fondatore, per Fr. Anselmo, la già accennata predilezione per i temi biblico-ecclesiologici si appuntò sul trattato i Doveri d’un buon cristiano,70 - Les Devoirs d’un Chrétien envers Dieu et les moyens de bien s’en acquitter – l’opera catechistica del de La Salle di maggior impegno sia per l’evidente cura nell’impostare la didattica e nell’esporre i contenuti sia per la completezza della trattazione dottrinale. Ebbero una sottolineatura anche le pagine della ‘civilité, - Règles del bien-sèance et de la civilité Chrétienne - ossia della ‘buona creanza’ (un galateo in chiave di etica cristiana) che avrebbe dovuto regolare i rapporti fondati sul rispetto reciproco e sulla reciproca educazione ai valori umani, fondati su quelli religiosi, innanzitutto fra gli educatori e poi quelli con gli educandi.71
6) Fr. Secondino Scaglione (1984-2005): lasallianità a tutto tondo
Senza dubbio, Fr. Secondino occupa un posto di assoluto primato tra chi, con l’azione e la penna, sollecitando la collaborazione di sicuri conoscitori dei temi proposti e trattati, ha diffuso con Rivista Lasalliana storia, pedagogia e spiritualità del de La Salle. Suoi sono i 73 articoli, densi e documentati esemplarmente, che la Rivista ha pubblicato a partire dal 1958.72 Il successore, Fr.
Vedi l’ampia nota redazionale in Rivista Lasalliana, 1971, 1. Vedi nota 73. 69 cui peraltro vanno aggiunte le numerosissime pagine scritte per la rivista ‘Sussidi per la riflessione e la catechesi’. 70 Il ‘Tridentino’ nei Devoirs del de La Salle (1966, 1, 7-45); La Bibbia nei Devoirs d’un Chrétien (1966, 4, 243-270); La voce dei Padri della Chiesa nei Devoirs d’un Chrétien (1966, 2, 79-119); Il Decalogo nel Devoirs d’un Chrétien (1967, 2, 105-122); Le due redazioni dei Devoirs d’un Chrétien (1970, 3, 163-177); Tonalità socio-religiose emergenti nei Devoirs (1978, 2, 71-88). 71 La Bien-séance del de La Salle e i suoi destinatari (1970, 4, 357-380) - Il garbo come virtù nel La Salle (1981, 2, 123-136) - Genitori animati dal de La Salle (1981, 3, 175-185) - Il de La Salle nell’alveo del realismo pedagogico (1982, 3, 139-151) - Il de La Salle a tu per tu (1990, 2, 105117) - Vocati al ministero educativo (1991, 2, 79-94). - VEDI Jean Pungier, La Civilité de JeanBaptiste de La Salle, in Cahiers lasalliennes, n. 58, Rome, Maison s. J.-B. de La Salle 1996. 72 Bibliografia lasalliana 1935-1957, Rivista Lasalliana, 1958, 2 – Formule ascetiche lasalliane parallele alla Subida al monte Carmelo, di San Giovanni della Croce, Rivista Lasalliana, 1958, 3. I titoli dell’intero contributo si trovano alle pp. 575-577 di Rivista Lasalliana, 75°, 2008,1. Tre numeri della Rivista (1-3, 2006) raccolgono in 735 fittissime pagine gli scritti per Rivista Lasalliana di Fr. Secondino. 67 68
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Flavio Pajer, ne riassume con efficacia le caratteristiche, annotando con dispiaciuta evidenza che ‘l’unico dettaglio – ma di rilevanza decisiva – che penalizza non solo questa pregevole messe di studi lasalliani, ma in genere l’intera produzione della rivista, è il fatto di essere scritta in una lingua, quella italiana, divenuta assolutamente minoritaria nella comunità lasalliana attuale. L’eredità lasciataci da Fr. Secondino Scaglione è delle più temibili. I suoi anni di direzione, dal primo del 1984 all’ultimo del 2005, ci hanno consegnato una rivista dal profilo alto, esigente. Stando anche solo in ambito di studi lasalliani, non c’è quasi numero della rivista in cui Fr. Secondino non abbia firmato un suo contributo di ricerca storica o bibliografica, di commento critico o di applicazione pedagogica. La sua produzione ‘lasallianistica’, i cui esordi risalivano alla fine degli anni Cinquanta, si era intensificata e qualificata nell’ultimo ventennio, spaziando dall’indagine filologica delle fonti lasalliane alla stesura di profili biografici di contemporanei ed epigoni del La Salle, dalla recensione di pubblicazioni lasalliane edite nelle diverse lingue alla analisi comparata di concezioni educative ed ascetiche affini alla visione lasalliana, fino alla spigolatura del quelle ‘cose minime’ d’attualità che andava annotando, con coscienziosa puntigliosità notarile, nella rubrica d’appendice ‘Segnalazioni lasalliane’. Senza contare le diverse raccolte antologiche di scritti spirituali e pedagogici lasalliani pubblicati presso altre editrici a beneficio di un pubblico crescente di affezionati ‘extra moenia’. Buona parte dei suoi migliori articoli usciti su Rivista lasalliana hanno varcato i confini nazionali e sono citati in studi specialistici in altre lingue. La sua Bibliographia internationalis lasalliana, ad esempio, è un unicum mondiale’.73 Nell’editoriale Oltre il cinquantennio. Impegno per il futuro,74 Fr. Secondino osservava, con qualche concessione all’ovvietà: ’Pur nella fedeltà alle istituzioni alle origini, la rivista deve accentuare il suo incarnarsi in una realtà che va mutando linguaggio e proponendo prospettive di una cultura nuova, anche nella scuola e nel campo educativo, condizionata da un processo tecnologico in atto’. Poi traduceva in prospettiva il modo di rispondere: ’In questo senso, la rivista intende ampliare la cerchia dei lettori inserendosi nel mondo dei docenti, degli operatori scolastici, degli educatori, dei ricercatori di pedagogia, dando una lettura dell’evento lasalliano nella sua dottrina pedagogica adatta alle istanze del mondo d’oggi. […] È necessario quindi avvalersi di interventi qualificati che non siano né lontani, né avulsi dal vissuto: - Le diversificate esperienze pedagogiche ed educative,75 Il confronto della realtà in cui oggi l’educatore si trova esposto, con la dottrina e il F. Pajer annoterà (Rivista Lasalliana, 1, p. 6): La lingua italiana è parlata da una quota di Lasalliani che non raggiunge l’1,5 per cento, mentre – a essere ottimisti – può essere letta forse da un altro 3 per cento fuori d’Italia.’ 74 Rivista Lasalliana, 1984, 3. 75 ‘elaborate e sperimentate a diversi livelli nel mondo lasalliano e in altre realtà scolastiche ed educative’. 73
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pensiero del de La Salle; - La creatività che si sta determinando nelle esperienze educative’.76 La collaborazione auspicata si avvalse di numerosi Fratelli,77 pedagogisti e cultori di storia,78 relatori e partecipanti a congressi pedagogici (Rimini, 1983),79 simposî e gruppi di studio.80 Altro contributo qualificato e qualificante: la pubblicazione, affidata a editrici specializzate e ampiamente recensite sulla Rivista dal direttore (che ne era autore o curatore), di antologie tematiche tratte dagli scritti del Fondatore.81 L’ultima testimonianza della devozione professionale di Fr. Secondino al lasallianesimo è l’articolo, uscito postumo (Rivista Lasalliana, 2005, 4): Il metodo lasalliano nella scuola popolare primaria alle origini. Rivista Lasalliana, 2006, 1-3 raccoglie in un volume di oltre 700 pagine il suo quarantennale apporto. Tra il 2005 e il 2007 la Rivista uscì a cura di un comitato di redazione.
7) Fr. Flavio Pajer (2007-2011): l’urgenza di un radicale rinnovamento82
Specialista di catechetica e in particolare, a partire dagli anni ’80, di pedagogia scolastica della religione,83 Fr Flavio accetta la direzione della Rivista
76 ‘anche più concrete e sofferte e che richiede una strutturazione a livello teorico, per facilitare il ripensamento delle impostazioni programmatiche, inserendolo nel quadro della cultura pedagogica di oggi’. 77 Tra parentesi il numero dei contributi, Vedi Rivista Lasalliana, 2008,4: M. Presciuttini (12) PG. Fornaresio (11), G. Di Giovanni (7), M. Chiarapini (2), R.L. Guidi 6), E. Costa (3). 78 Op. cit.: A. Barella ( 8 i temi svolti sulla Rivista, oltre alla collaborazione qualificata in simposî e convegni di studio) a R. Boetto, G. Brugnoni, R. Zappalà, A. Ferraris, J. Arvier, E. Hengemule, M.A. Perrone, R. Fisichella, E. D’Aurora (16). 79 Identità della comunità educante lasalliana, Rivista Lasalliana, 1983, 3-4. 80 Identità della scuola lasalliana oggi, Rivista Lasalliana, 1987, 2 – Guida pedagogica lasalliana, Rivista Lasalliana, 1995, 4 – Progetto educativo della scuola lasalliana, Rivista Lasalliana, 1999, 1 – San G.B. de La Salle tra memoria e pedagogia, Rivista Lasalliana, 2000, 1 – La Salle maestro di garbo e di cortesia, Rivista Lasalliana, 2001, 3 – Trecento anni a Roma: Fratel Gabriel Drolin e il suo tempo, Rivista Lasalliana, 2001, 4. 81 Come Cristo. St. Jean-Baptiste de La Salle. Cammino spirituale dell’educatore cristiano, Rivista Lasalliana, 1974, 3 – Educatori come Cristo. Teologia dell’educazione e orientamento pedagogico in S. G.B. de La Salle, Rivista Lasalliana, 1977, 2 – Confronti con Cristo, Rivista Lasalliana, 1977, 1 – Confronti con Cristo. Testi per i giovani di S. G.B. de La Salle, Rivista Lasalliana, 1977, 2 – Invito alla preghiera. Introduzione e scelta dei testi, 1980, 2 – G.B. de La Salle: un silenzio che parla, 1985, 2. 82 Nel gennaio del 2007, dopo 73 anni di ‘sede torinese’, direzione e redazione della Rivista furono trasferite a Roma, in via Aurelia 476. 83 Per anni direttore della rivista RES dell’editrice Queriniana, autore di testi di religione per la scuola secondaria inferiore e superiore; relatore in congressi internazionali; collaboratore
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esponendo però le ragioni di un rinnovamento che ritiene necessario e profondo. Ecco alcune considerazioni espresse nel primo editoriale (2007, 1). • Un passato glorioso
Il nostro periodico non teme di esibire la sua età, anzi ne è fiero: fin dalla copertina annuncia di essere entrato nel suo 74simo anno di vita. È indubbiamente un traguardo di tutto rispetto, vista la ‘mortalità’ che normalmente infierisce su questo genere di testate. Il nostro sarebbe forse un caso residuo di ’accanimento editoriale’?84 • Le ragioni di una longevità
Se la longeva Rivista lasalliana è ancora sulla breccia lo deve, si sa, alla singolare continuità – culturale e professionale, oltre che istituzionale – di una comunità di educatori per vocazione. • Un ‘dettaglio’ di decisiva rilevanza
L’unico dettaglio – ma di rilevanza decisiva – che penalizza tutta questa pregevole messe di studi lasalliani, e in genere l’intera produzione della rivista, è il fatto di essere scritta in una lingua, quella italiana.85
• Interrogativi e ipotesi
Un interrogativo allora è d’obbligo: vale la pena di continuare a pubblicare Rivista lasalliana esclusivamente in italiano? – In prima ipotesi, la risposta può essere affermativa, se si tratta di destinare la rivista ai soli operatori delle istituzioni lasalliane italiane, o più largamente alla scuola paritaria di ispirazione cattolica o anche a qualche frangia della pedagogia scolastica pubblica italiana (la rivista arriva di fatto anche in una buona trentina di Biblioteche universitarie statali, specie nelle facoltà di scienze della formazione). con riviste catechistiche di lingua francese, spagnola, tedesca, inglese; fondatore e redattore della newsletter elettronica European Religious Education ERE news, Rassegna trimestrale di documenti e informazioni sulla gestione del religioso nello spazio educativo. 84 L’età media delle riviste pedagogiche e scolastiche, affini a Rivista lasalliana, che attualmente si pubblicano in Italia - se ne contano a decine - è nettamente più bassa. In gran parte sono nate nel secondo dopoguerra e in prevalenza negli ultimi tre decenni. Segno che anche e soprattutto in ambito pedagogico-educativo cambiano le stagioni culturali, passano le mode, evolvono le teorie e le istituzioni, per cui la pubblicistica del ramo mal resiste all’usura del tempo e nuove testate subentrano alle veterane per rispondere alle nuove sfide con tematiche e linguaggi attualizzati. 85 Vedi nota 73.
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– Invece la risposta si fa assai più problematica quando si trattasse di chiedere e ricevere udienza anche da un target di lettori non italiani.86 • L’interrogativo prioritario
L’interrogativo prioritario che almeno di tanto in tanto una rivista deve porsi, riguarda piuttosto la sua identità, l’attualità della sua vocazione originaria, il senso e il valore del messaggio che ambisce diffondere.87[…] Quello della rincorsa a tutti i costi della cosiddetta ‘identità lasalliana’ potrebbe rivelarsi un falso problema, se questa ambizione consistesse nell’appagarsi narcisisticamente di un patrimonio di tradizioni e di regole, senza la fatica di doverle confrontare e mediare continuamente con una realtà sempre nuova e plurale.
I cinque anni della direzione di Fr. Flavio tentano di dar risposta a interrogativi e progetti. Tre i settori destinati a far da contenitore ai contributi: Ricerche e studi, Professione docente, Lasalliana, nei quali confluiscono, in numero davvero cospicuo, articoli e saggi pubblicati nella lingua degli autori: 28 in spagnolo, 19 in francese, 13 in inglese. La qualità del ‘prodotto’ è affidata, oltre che alla collaborazione di Fratelli italiani88 (tra i più assidui Fr. Francesco Trisoglio e Marco Paolantonio) e stranieri (tra cui fr Herman Lombaerts del Belgio, Luis Diumenge, Lorenzo Tebar e José Maria Valladolid della Spagna), all’apporto di competenti cultori delle scienze dell’educazione (tra altri: Butturini, Dani e Tacconi dell’università di Verona, Giorda dell’università di Torino, Alessandrini e Pisanu dell’Istituto superiore Progetto Uomo …).
86 perché il pubblico lasalliano suscettibile di interessarsi ai temi della nostra rivista - in particolare ai contributi scientifici di natura lasallianistica - è oggi appunto per la stragrande maggioranza di altra lingua. 87 La qualifica della nostra rivista – ‘trimestrale di cultura e formazione pedagogica’, adottato come sottotitolo fin dal 1986 - può certo aiutare a circoscrivere l’ambito intenzionale dei nostri interventi. Ciò non toglie che tale etichetta possa fungere di fatto da comodo contenitore onnicomprensivo, per cui la rivista ospita indistintamente articoli di specialisti sul La Salle e sulla storia della sua istituzione, articoli di autori lasalliani che scrivono su -o a partire da- progetti ed esperienze maturati in ambiente lasalliano, e infine contributi di autori, lasalliani e non, che possono esprimersi sulla più vasta gamma di temi culturali, politici, educativi, didattici attinenti specialmente il mondo scolastico e parascolastico. La componibilità di tanti diversi apporti dovrebbe essere garantita dal filo rosso dello specifico lasalliano. 88 Il 4° fascicolo d’ogni annata riporta un accurato indice dei contributi per autore. Nel contempo il direttore, manifestamente parco nell’occupare spazi sulla rivista soprassedendo persino ai consueti editoriali di rito, continuava a pubblicare regolarmente saggi e articoli su periodici specializzati, sia italiani che stranieri, in continuità e coerenza con gli impegni professionali precedentemente assunti con diversi enti e organismi anche esterni alla congregazione (università, editrici, incarichi europei …).
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Supporto alla qualità è anche un notevole sforzo editoriale: le pagine comprese tra Rivista Lasalliana, 2007, 1 e Rivista Lasalliana, 2011, 4 sono 4000, superiori di numero a quelle dell’intero decennio precedente. 䊳 Il quaderno 2008,4 ha celebrato i 75 anni di studi lasalliani, una ricerca che continua.89
Nell’ottobre 2008 Fr. Flavio, considerata la vistosa permanente sproporzione tra energie investite e l’esiguità numerica del pubblico destinatario della rivista, proponeva ai responsabili istituzionali della Provincia Italia e a quelli della Regione Europa-Mediterraneo di vagliare una doppia ipotesi al fine di dare un futuro plausibile alla rivista: e precisamente che Rivista Lasalliana potesse diventare, con tutte le modifiche strutturali e amministrative del caso, o la rivista di studi pedagogici della RELEM di recente creazione,90 oppure l’organo scientifico internazionale del neonato Service de recherches et ressources lasalliennes (la cui direzione era appena stata affidata a Fr. Mario Presciuttini, che sarebbe purtroppo mancato dopo pochi mesi). La duplice proposta non ebbe seguito in nessuna delle due alternative.91
Gli indici compilati in quel fascicolo non abbracciano la totalità degli articoli, ma solo le sezioni di contributi più strettamente attinenti la biografia, la personalità, gli scritti, le fondazioni del La Salle e le relative successive interpretazioni. Ne è risultato un corpo di 453 apporti, fatti rientrare sotto il titolo generale di Saggi e articoli riguardanti Jean-Baptiste del La Salle. La percentuale di sviluppo della pubblicistica nei 75 anni di Rivista Lasalliana risulta cosi sommariamente ripartita: indagini storiche: 22% - ermeneutica dottrinale: 20% - esegesi spirituale: 21:% - teoria e prassi educativa: 32% - parenesi e celebrazioni: 5%. A semplice titolo statistico si elencano i contributi di maggior significato – per originalità, quantità e documentazione – pubblicati da Rivista Lasalliana nei tre quarti di secolo presi in considerazione: Balocco A. Anselmo (20), Barella Alda (9), D’Aurora Elio (16), Di Giovanni Gabriele (6), Fornaresio Piergiovanni (10), Fossati Dante (13), Guidi R.L. (6), Herment Jules (15), Molinari Francesco (16), Napione Teresio (11), Presciuttini Mario (17), Re Giuseppe (9), Savino Giuseppe (63), Savoré Luigi (12), Sborchia Luciano (5), Scaglione Secondino (73). 90 È una delle quattro macro regioni in cui sono stati raggruppati i Paesi dei mondo in cui i Fratelli operano; la RELEM (= Regione delle istituzioni europee e mediterranee) comprende Germania, Austria, Belgio, Spagna, Francia, Inghilterra, Grecia, Ungheria, Irlanda, Israele, Italia, Giordania, Libano, Malta, Olanda, Palestina, Polonia, Portogallo, Romania, Scozia, Slovacchia, Svizzera, Turchia. 91 È quanto ci è dato inferire, poiché alla formale proposta scritta del direttore della rivista, non ha fatto seguito alcuna formale giustificazione del rifiuto da parte dei responsabili. Come si è accennato, direzione e redazione furono trasferite a Roma nel 2007, ma la conduzione di Fr. Flavio Pajer conclude logicamente il periodo che è stato esposto sotto il titolo: La Provincia piemontese nel Novecento. Riscoperta e diffusione della cultura lasalliana: Rivista lasalliana e Sussidi per la riflessione e il catechismo. 89
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JEAN-BAPTISTE DE LA SALLE
OPERE COMPLETE in 6 volumi, rilegati con sovracoperta, 22 x 15 cm. Prima edizione italiana a cura di SERAFINO BARBAGLIA
1. Scritti Spirituali / 1 Raccolta di vari Trattati brevi – Regole – Scritti personali. Presentazione di A. HOURY – Introduzione di M. SAUVAGE e M.-A. HERMANS, pp. 544.
2. Scritti Spirituali / 2 Meditazioni – Spiegazione del metodo di orazione. Presentazione di J. JOHNSTON, pp. 1194.
3. Scritti Pedagogici Guida delle Scuole cristiane – Regole di buona creanza e di cortesia cristiana. Edizione italiana a cura di R. C. MEOLI, pp. 480.
4. Scritti Catechistici I doveri del cristiano verso Dio. Traduzione e note a cura di G. DI GIOVANNI e I. CARUGNO, pp. 862.
5. Istruzioni e Preghiere Istruzioni e preghiere – Esercizi di pietà – Canti spirituali, Traduzione e note a cura di S. BARBAGLIA e I. CARUGNO. Presentazione di Á. RODRIGUEZ ECHEVERRÍA, pp. 470.
6. Le Lettere Traduzione e note a cura di S. BARBAGLIA. Introduzione di R. L. GUIDI, pp. 560. CITTÀ NUOVA EDITRICE Via degli Scipioni, 265 – 00192 Roma tel. 063216212 – comm.editrice@cittanuova.it Per informazioni e ordinazioni: Viale del Vignola, 56 - 00196 Roma tel. 06.322.94.503 - E-mail: gabriele.pomatto@gmail.com tel. 06.322.94.235 - E-mail: fedoardo@pcn.net
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RECENSIONI E NOTE
ALES BELLO- G. BASTI- A.M. PEZZELLA, L’avventura educativa. Antropologia, Pedagogia, Scienze, Lateran University Press, Roma 2013.
La vita conduce le persone dove vuole, è imprevedibile, per cui può essere definita come una vera e propria avventura. Ma nonostante l’imprevedibilità delle situazioni e delle nostre azioni, è possibile mantenere il timone dell’esistenza orientato in una direzione precisa. E proprio per imparare a mantenere la giusta rotta è necessario l’intervento educativo che insegna a superare, indenne, i marosi esistenziali. È questo Leitmotiv del testo, L’avventura educativa, che affronta l’argomento partendo da un dato incontrovertibile: la complessità dell’essere umano. Nell’agire educativo bisogna tener ben presenti una molteplicità di variabili: la struttura antropologica, psicologica, caratteriale, i rapporti intersoggettivi, il ruolo della cultura di massa, di quella digitale etc.. Solo in questo modo sarà possibile operare scelte ponderate ed utilizzare strategie adeguate per il raggiungimento di una equilibrata formazione della persona. Il testo si divide in tre sezioni. Nella prima, Antropologia e pedagogia, si muove dall’aspetto antropologico (A. Ales Bello) per poi affrontare sotto il profilo filosofico e pedagogico questioni quali l’approccio empatico, la relazione e la comunità (A. M. Pezzella), l’importanza dell’incontro (M. D’Ambra), il ruolo del-
l’educatore (M. Ubbiali) e del linguaggio (P. Manganaro). Nella seconda parte, invece, Pedagogia e scienze, viene approfondita la relazione esistente tra apprendimento e strutture nervose (B. Gallo), per poi esaminare da un punto di vista psicologico- sociologico le istanze educative in società complesse (P. Aroldi) e dare testimonianza di come sia possibile recuperare umanamente e socialmente persone con vite difficili (A. De Luca). Nella terza sezione, infine, Pedagogia e Integrazione, si mostra come possa muoversi concretamente la Chiesa, attraverso le famiglie, per affrontare le sfide della società contemporanea (G. Basti) e quanto l’empatia se utilizzata come stile d’insegnamento possa portare all’incontro con l’altro, anche se diversamente abile (E. Lazzaro). Di fondo, nel testo, c’è una corposa dose di speranza, senza la quale il discorso educativo non avrebbe alcun senso. Ciò emerge anche nell’intervento introduttivo di E. dal Covolo che movendo dalle difficolta dell’educazione oggi, attraverso le riflessioni di Benedetto XVI e l’attività di Don Bosco richiama alle competenze ed alle responsabilità educative tutti coloro che lavorano in ambito formativo, e in modo particolare i docenti universitari, affinché siano operosi e consacrati al bene. Il testo è diretto principalmente a docenti ed a studenti, ma data la molteplicità dei piani affrontati e le tematiche
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RECENSIONI E NOTE
di stringente attualità si rivolge anche a sacerdoti, ad operatori pastorali, sociali e a tutti coloro che sentono di dover impegnarsi per rispondere in modo adeguato e responsabile all’emergenza educativa della nostra età.
Donato Petti
FRANCIS CARD. ARINZE, Il ruolo distintivo del laico, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pp.145. e 10,00.
Per tutti coloro che sono nella Chiesa, è importante che abbiano una buona comprensione dell’apostolato specifico dei laici. Il Concilio Vaticano II ha molto contribuito in questa direzione, soprattutto nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e il Decreto sull’apostolato dei Laici Apostolicam actuositatem. Papa Paolo VI affrontò l’argomento nella sua Esortazione a seguito del Sinodo sull’Evangelizzazione del 1974, l’Evangelii nuntiandi. Giovanni Paolo II, dopo il Sinodo dei vescovi del 1987 sul tema “La vocazione e la missione dei Fedeli Laici nella Chiesa e nel mondo”, ha pubblicato nel 1988 l’Esortazione Apostolica Christifideles Laici. Questi tre documenti forniscono l’orientamento principale per i nostri tempi sul ruolo dei laici nella Chiesa e nel mondo. Il Papa emerito Benedetto XVI, con profondi e argomentati interventi, torna sul tema diverse volte. Il libro del Card. Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, si concentra su ciò che è distintivo nell’apostolato dei laici. Per fornire un quadro preliminare, viene fatta una breve riflessione sulla chiamata all’apostolato di ogni battezzato, sulla natura
dell’apostolato dei laici e sulle varie forme in cui il ruolo dei laici può essere espresso. Il messaggio centrale di questo libro si trova nel quinto capitolo: il ruolo specifico dei laici. Al fine di riflettere più profondamente sul ruolo dei laici, vengono precisati i motivi che rendono urgente l’iniziativa laica, insieme a ciò che si è concretamente raggiunto in alcuni Paesi. L’Autore esamina i recenti movimenti ecclesiali, le comunità e gli istituti considerando la loro crescente importanza nella Chiesa e nel mondo di oggi. Il clima in cui sono sorti è in gran parte influenzato dal Concilio Vaticano II, insieme ad alcuni dei suoi concetti dinamici, ad esempio la Chiesa intesa come famiglia di Dio, come comunione espressa nella missione e come una sorta di sacramento di intima unione con Dio e di unità del genere umano. Il Concilio, pertanto, ha sottolineato il luogo delle diversità e delle complementarietà nella Chiesa, che non ha bisogno di minacciare l’unità, e della necessità di partecipazione e di corresponsabilità nell’apostolato cui ognuno nella Chiesa è chiamato. Ci sono, tuttavia, ragioni per cui alcuni membri del clero e anche dei fedeli laici sono in dubbio circa l’utilità di avere laici che assumano un ruolo distintivo. Su queste ragioni occorre discutere in modo approfondito. L’Autore dedica l’ultimo capitolo (XII) al tema della “formazione dei laici”, rifacendosi alle linee espresse nella Christifideles laici. Ogni cristiano ha bisogno di formazione; ma tale formazione diventa più urgente per i leader dei vari gruppi o associazioni laicali. “Formare coloro che, a loro volta, dovranno essere impegnati nella formazione dei fedeli laici costituisce un’esigenza primaria per assicurare
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la formazione generale e capillare di tutti i fedeli laici” (Christifideles laici, 63). Il Cardinale Arinze svolge l’argomento del “ruolo distintivo dei laici”, particolarmente urgente ai nostri giorni, con un taglio chiaro e sistematico, che aiuta anche a far luce su concetti non sempre ben recepiti, che partono da una costatazione di base: ogni battezzato è chiamato all’apostolato e la natura dell’apostolato si esprime in varie forme. Il libro riveste una particolare importanza perché offre un’idea chiara dei diversi ruoli nella Chiesa e formula una sana e dinamica teologia dei laici e della loro spiritualità.
Donato Petti
M. RECALCATI, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012, pp. 643. e 39,00.
Il volume di Recalcati, filosofo e psicanalista milanese, costituisce la prima parte di un lavoro dedicato all’opera dello psicanalista francese Jacques Lacan. In questo primo volume il lettore potrà seguire lo sviluppo del pensiero di Lacan sul soggetto e ripercorrere i suoi temi più conosciuti: il narcisismo, lo stadio dello specchio, il simbolico, le leggi strutturali del linguaggio, il desiderio, il godimento, il fantasma, la pulsione di morte e la contingenza dell’incontro d’amore. Il secondo volume, che uscirà nel 2014, svilupperà invece le strutture della clinica psicoanalitica, analizzando le figure psicopatologiche di cui Lacan si è occupato direttamente a dimostrare tutta la ricchezza della sua esperienza professionale come psichiatra, ma
soprattutto come psicanalista che vuole “ritornare a Freud”. Il testo di Recalcati vuole offrire una via propedeutica alla riflessione di uno studioso notoriamente ritenuto ostico, spesso illeggibile. Lo fa come sempre utilizzando un linguaggio chiaro, capace di rendere accessibile i concetti anche ai non specialisti. A Recalcati interessa sviluppare il Lacan pensatore della vita umana, del soggetto dell’inconscio, attraverso le due dimensioni dell’Io e del desiderio. Il testo di Recalcati ci presenta un Lacan che insiste sulla differenza irriducibile che scinde l’Io dal soggetto. Infatti, l’insegnamento di Lacan si sviluppa sulla ripresa della lezione freudiana del soggetto dell’inconscio che, pur immanente al soggetto, ne costituisce una trascendenza interna. La distinzione tra Io e soggetto permette a Lacan di riprendere un modo decisivo la sovversione freudiana del soggetto: l’Io non è più padrone nemmeno in casa propria. In questo modo Freud, secondo Recalcati, operava un decentramento fondamentale dell’Io, il quale non detiene nessuna padronanza, ma appare subordinato all’esperienza dell’inconscio che s’impone con i suoi bizzarri messaggeri (lapsus, sintomi, atti mancati, dimenticanze, sogni) nella vita quotidiana della ragione. Con Lacan l’inconscio freudiano non è l’oscurità inaccessibile della psiche, o irrazionalità pura e pulsione selvaggia, ma è esso stesso ragione che ci interroga, suggerisce, genera inciampi e mette in discussione il nostro Io. Lo psicoanalista francese riconosce nell’inconscio freudiano un sapere che attraversa la strada della coscienza, ma che la stessa coscienza ignora, o respinge e rifiuta perché implica un sapere “troppo sconveniente” per il soggetto. In questa prospettiva la ragione è chiamata ad
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allargare i propri confini e a renderli più flessibili e accoglienti. In tal senso l’incontro con l’esperienza dell’inconscio implica l’abbandono della padronanza del proprio io. Lacan recupera in modo originale la lezione di Freud sul narcisismo evidenziando come l’Io sia un’immagine alienata di sé (stadio dello specchio e le aporie del riconoscimento speculare). Così l’Io per Lacan non è il nucleo sostanziale del soggetto, ma piuttosto “la malattia mentale dell’uomo”, la degradazione alienata del soggetto. Con Lacan l’Io non è il fondamento ultimo del soggetto, ma è un oggetto costituito da una molteplicità di identificazioni immaginarie. L’alterità di queste costituzioni immaginarie definisce la stoffa dell’Io. È quello che Lacan ci propone con la metafora famosa dell’Io-cipolla. Da questa prospettiva lacaniana l’esperienza analitica, sostiene Recalcati, non si configura come un rafforzamento muscolare dell’Io o un suo raddrizzamento ortopedico, ma come un’esperienza al limite della depersonalizzazione? Con Lacan l’esperienza dell’analisi assume così la forma di un incontro imprevisto e spaesante con un soggetto che pur essendo immanente soggetto della coscienza, lo oltrepassa dall’interno. Quindi l’opzione lacaniana in analisi non mira a neutralizzare l’inconscio rafforzando l’Io, ma a far incontrare il soggetto con il suo inconscio senza nessuna pretesa di governo o manipolazione. Si profila all’orizzonte un’eccedenza che mi costituisce (soggetto dell’inconscio), che risulta irriducibile all’identità che io penso di essere. Come dice Lacan: “Io non sono là dove penso”. In questa direzione per Recalcati l’esperienza dell’analisi ci rivela, con una profondità unica ed un’intelli-
genza insuperabile, tutto il dramma dell’umano all’opera. Proprio su questo punto il lavoro di Recalcati scommette oggi ancora su una clinica fondata sulle funzioni dell’inconscio nel suo emergere e nel suo uso. Il campo inaugurato da Freud e ripreso in modo originale da Lacan permette di lanciare una sfida ai modi postmoderni di trattare il sintomo. Infatti oggi si tratta il sintomo come disturbo, come devianza dal modello. Le cure allora si fanno risposta sempre più specialistica e i sintomi nel discorso attuale vengono sempre più respinti sul versante del corpo biologico, della neuropsichiatria, del cognitivismo, del genetismo, elaborazioni che avanzano una pretesa di scientificità tendendo a precludere la dimensione del soggetto. Si profila il rischio di poter considerare il sintomo come qualcosa di maneggiabile e controllabile, risucchiato in processi di normalizzazione senza la necessità di mettere in atto gli interrogativi più inquietanti, senza che insomma il soggetto debba sapere troppo del disordine che da qualche parte ci sarà stato… L’opera di Recalcati non vuole difendere semplicemente l’esistenza dell’inconscio, ma quella dell’inconscio come indice del carattere irriducibile e drammatico del soggetto. In tal senso ci offre un approfondimento del dramma dell’umano attraverso la figura lacaniana del desiderio. Infatti secondo Lacan ciò che l’uomo desidera, che non è semplicemente ciò di cui ha bisogno, non è riconducibile alla semplice presenza-assenza di un oggetto, poiché il soggetto sa che desidera ma non sa che cosa desidera, soprattutto perché il suo desiderio non è nell’ordine della cosa e del possesso (dunque del godimento) che quest’ultima sollecita. Ecco perché la scena aperta dal desiderio è sempre occu-
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pata da un dramma: che cosa desideri? Di fronte ad un simile interrogativo si resta senza parole, e, se non ci si inganna (con il godimento delle cose), non si sa mai bene cosa rispondere. Pertanto, secondo Recalcati, il paradosso del desiderio umano deve essere ricondotto all’evidenza che mostra come esso, pur sostando su infiniti oggetti, sia in verità senza un proprio oggetto, segno di una mancanza rispetto al cui riempimento il soggetto non ha alcun sapere. Lo “sconcerto” del soggetto di cui parla Lacan è da ricondurre allo spaesamento, allo spiazzamento a cui il desiderio lo costringe sollecitando verso un luogo, un al di là, all’interno del quale egli, il soggetto, non riesce più a risolvere la totalità di se stesso (la propria verità) nel puro dominio (possesso e sapere) sugli oggetti. In sostanza il desiderio decentra il soggetto marcandolo con una mancanza che in verità non potrà mai trovare compimento e pace. Così per Lacan il soggetto è un “apparato lacunare” e l’oggetto un “fallito”. In tal senso, il complesso lavoro di Recalcati su Lacan, a mio avviso, ci provoca positivamente, sulla strutturale e drammatica mancanza che abita il soggetto: non si decifra, per quanto possibile, l’enigma dell’umano se non ci si misura con il passaggio che dal bisogno conduce al desiderio. Pertanto, la comprensione del modo d’essere dell’uomo esige una ratio che sappia misurare con il massimo rigore la mancanza specifica del desiderio umano. In gioco c’è l’interpretazione della mancanza umana: se essa in definitiva sia una condizione totalmente negativa, o non piuttosto una condizione negativa ma strutturata come direzione di legame verso un’ulteriore condizione di senso. Alberto Rizzi
PORCARELLI A., IRC e nuove indicazioni nazionali. Un’interpretazione delle competenze nella scuola secondaria di secondo grado, SEI 2013, pp. 180.
A seguito del processo di evoluzione della scuola italiana negli ultimi quindici anni, durante i quali sono state introdotte numerose riforme, rispetto a cui anche l’IRC si è dovuta ripensare, l’autore avverte l’esigenza di fare il punto e di proporre una guida per orientarsi e operare nella didattica dell’IRC. Per animare la scuola di oggi, gli insegnanti di religione hanno leve potenti, le più importanti delle quali rimangono la loro credibilità di persone e il potenziale straordinario racchiuso nella disciplina, soprattutto in senso pedagogico. L’intera storia della scuola potrebbe essere riassunta come quella del rincorrersi della prospettiva di aderenza ai vissuti delle persone, alle domande sociali (educazione), e della specificità cognitiva (istruzione). Nell’ambito normativo, il modello educativo appare solo nelle proposte più avanzate, mentre quello istruttivista rimane quello di base, anche se dalla stessa legge si evince che in Italia la missione della scuola è definita «nei termini di un sistema formativo chiamato a educare attraverso l’istruzione». L’intento dell’autore è di valorizzare attraverso l’IRC tale prospettiva educativa, a partire da una visione della scuola rivolta all’essere della persona umana, molto sviluppata nell’ambito dei pedagogisti d’ispirazione cristiana e alimentata da una consapevolezza storicamente più diffusa del potere umanizzante della cultura. Parafrasando Giuseppe Lombardo Radice, l’educazione è l’atto della comunione di maestro e alunno. La Legge n.186 del 18-7-2003 ha rico-
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nosciuto agli insegnanti di religione lo status di insegnanti di ruolo, per quanti hanno superato il previsto concorso. L’IRC «si connota come disciplina tesa alla ricerca di una risposta precisa alla domanda di senso che contrassegna la vita dell’uomo […]. Si tratta di riprendere in mano la lettura cristiana cattolica della realtà, millenaria, il cui paradigma antropologico ed etico ha determinato per secoli la cultura e lo sviluppo civile del mondo occidentale, e farla diventare strumento per la ricerca di sé, la lettura della realtà, l’attribuzione di senso a un personale progetto di vita». L’autore approfondisce il valore formativo dell’Irc, in cui si collegano la dimensione culturale e quella esistenziale, definendo alcuni nodi concettuali, a partire dall’intima struttura culturaledialogica della disciplina, distinguendo un’area identitaria, che da un approccio sapienziale propone la confessionalità come valore aggiunto, e un’area dell’alterità, che da un’apertura antropologica propone una vocazione interculturale, per approdare ad un’apertura alla dimensione esistenziale della vita e ritornare alla cultura. Il valore aggiunto della confessionalità «non è diminutivo della dignità del sapere o della presenza e competenza educativa ma, al contrario, ne è l’intensificazione». Per essere veri educatori non bisogna essere neutrali, non avere convinzioni; rispettare colui che deve essere educato non vuol dire nascondergli una scelta libera e una decisione per la verità, ma offrirgliela come una possibilità. Nel capitolo secondo l’autore si sofferma sul modo d’intendere la “competenza”, termine che «ha fatto irruzione nel mondo della scuola in questi ultimi quindici anni, prima come istanza espressa in termini ottativi, poi come costrutto con-
cettuale e progettuale con cui misurarsi, infine come punto di riferimento vincolante per la valutazione degli apprendimenti». L’interpretazione di tale valore ha corrisposto a diversi modelli teorici, alcuni di carattere funzionalista, altri personalista. A seguito di indicazioni sovranazionali ed europee, in Italia un’ispirazione chiaramente personalista ha animato la “sintassi pedagogica” della Riforma Moratti. Nella legislatura successiva Fioroni avrebbe “smontato” tale impianto pedagogico, transitando nel complesso verso un modello cognitivista. Esso ha comportato una necessità di certificazione delle competenze, su richiesta dello studente, che induce «la tentazione di orientarsi verso modelli certificativi semplificati e, pertanto, standardizzati, con una deriva verso un processo di “sostanzializzazione” delle competenze», enfatizzata da alcuni provvedimenti del successore ministro Gelmini. L’Irc, collocandosi nel quadro delle finalità della scuola, raccoglie la sfida della promozione e certificazione delle competenze, preferendo un approccio evidentemente personalista, a uno cognitivista che sembra peraltro lasciargli poco spazio. L’autore offre nel terzo capitolo alcune suggestioni operative, organizzate secondo le macroaree di competenza che si trovano nelle Indicazioni per l’Irc elaborate dalla CEI, concentrandosi su ipotesi di lavoro per la definizione di obiettivi formativi e compiti in situazione su temi molto interessanti e attuali, come il dialogo interreligioso. Il cristianesimo e la Bibbia hanno influenzato tutte le culture a livello mondiale; oggi più che mai, nella cultura globalizzata e nell’interconnessione con altre tradizioni e sistemi di significato, si apre la possibilità di un dialogo serio. Nello stesso testo biblico
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si trovano confronti della cultura ebraica con molte altre, a diversi livelli di coinvolgimento o anche di frequente scontro. Gesù trasmetterà una più forte apertura, nei confronti degli altri popoli vicini, fino all’umanità tutta. Nel corso dei secoli questo rapporto tra popoli è stato al centro delle questioni dell’inculturazione: non bisogna confondere i missionari con i conquistadores. Anche vari documenti della Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, hanno dato impulso peculiare al dialogo interreligioso, a partire dalla Costituzione Gaudium et spes e dalla Dichiarazione Nostra aetate, fino ai documenti del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, come Dialogo e annuncio (1991) e l’enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris missio (1990). Altro campo di importante attualità è la Bioetica e per affrontare i suoi temi l’autore propone anche in questo caso un approccio improntato al confronto e al dialogo, per esempio tra un modello interpretativo laico e un modello personalista, per giungere allo studio dei documenti del Magistero e ad una finestra aperta sulla dimensione operativa della Chiesa in ambito pastorale nei confronti delle persone in difficoltà attinenti le problematiche trattate. Nelle attività proposte, particolare rilievo è dato proprio al confronto con la realtà e l’identità della Chiesa, in chiave storica e attuale, intorno al ruolo centrale del Concilio Vaticano II; anche attraverso una lettura mediatica, che stimoli un confronto critico con i mezzi e i modi della comunicazione di massa, sapendosi d’altro canto avvalere degli odierni strumenti tecnologici. Nella formazione delle competenze, costante è il ricorso ai documenti della Chiesa, cogliendo gli elementi di continuità del discorso pastorale in essi presenti e quel-
li costitutivi del messaggio cristiano, in aperto confronto con la cultura e i costumi contemporanei. La valutazione delle competenze, entro i confini del modello personalista adottato, dovrà intercettare anche la dimensione soggettiva (autovalutazione e analisi autoriflessiva), realizzando una sorta di triangolazione con quella oggettiva (prove autentiche e compiti in situazione) e quella intersoggettiva (mediante l’osservazione compiuta da un soggetto competente). E’ importante, alla fine del percorso, aiutare il ragazzo a trovare la piena consapevolezza del cammino svolto, delle conoscenze raggiunte, non attraverso solo una certificazione burocratica, ma una condivisione “personalizzata”, che lo accompagni a vedere nelle sfide superate e negli obiettivi raggiunti delle tracce da proseguire verso il suo futuro. Michele Cataluddi
PARISI A.-CAPPELLANO M., Lessico sturziano, Rubbettino, 2013, pp. 1096. e 65,00.
Nell’attuale “buio” morale e culturale in cui è caduta l’Italia, un volume di ben 1.096 pagine getta una “luce” di buona cultura politica ed economica di cui il Paese ha un gran bisogno per risorgere. Si tratta del libro ‘Lessico Sturziano’, edito da Rubbettino, curato da Antonio Parisi e Massimo Cappellano, e scritto da 90 esperti del pensiero di don Luigi Sturzo. Vengono spiegate e commentate 220 voci del “vocabolario” del grande sacerdote siciliano (1871-1959), la cui vita fu tutta rivolta al buon “nutrimento” dell’uomo con l’utilizzo dell’ottima “farina” del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa.
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Ma un uomo nato nel lontano 1871 può ancora offrire ricette valide al mondo moderno? La risposta è semplice: quando le radici sono buone e l’albero è ben curato, i frutti non possono che essere sani e copiosi, purché se ne piantino tanti di questi alberi….. “Non è farina del mio sacco: devo tutto al Vangelo e alla Rerum Novarum”. Nella sua profonda umiltà don Sturzo, Vice Sindaco di Caltagirone dal 1905 al 1920, di solito rispondeva così a chi gli faceva i complimenti per il buon lavoro svolto al servizio del bene comune, tanto da essere nominato nel 1915 Vice Presidente dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), carica che mantenne per 9 anni prima di essere costretto dal fascismo a un lungo esilio (1924-1946). Il 20 gennaio 1901, a circa 10 anni dalla promulgazione della Rerum Novarum, egli scriveva che “ancora oggi, per somma vergogna, molti cattolici non conoscono quel prezioso documento”, da lui definito la ‘Magna Carta’ dei democratici cristiani. E il 15 maggio 1902, nel commemorare l’11° anniversario dell’Enciclica di Leone XIII, don Sturzo diede una profonda chiave di lettura dei mali, che da sempre affliggevano (e tuttora affliggono) il mondo: “Non è meraviglia se la società oggi non è plasmata da nessuno dei partiti, che dispiegano la bandiera della giustizia sociale; la giustizia, nella sua essenza, manca. Manca, perché manca l’amore del prossimo; e questo amore non c’è, non ci può essere, perché manca l’amore di Dio; e l’amore di Dio non c’è, né ci può essere, perché della religione se n’è voluto fare un rapporto solamente privato e di coscienza, e non sociale; la religione è stata esclusa dalla società. La religione è un principio sintetico, che abbraccia tutti gli elementi di vita terrena per vivificarli del soffio della moralità, per ordinarli a un fine superiore, per elevarli con il carattere della soprannaturalità.”
È pertanto evidente che il suo principale obiettivo fu quello di moralizzare la vita pubblica e di portare Dio nella politica, cristianizzandola, come ben ricordato dal Vescovo di Acireale, Mons. Antonino Raspanti, nella prefazione del Lessico Sturziano: “La politica ha bisogno di essere redenta, come ogni altro ambito umano: questo è l’insegnamento pastorale di don Luigi. La fecondità del suo ministero sacerdotale si misura proprio su questo singolare terreno, nel quale i cristiani sono chiamati. Senza redenzione sociale non si può costruire la civiltà dell’amore. Ma la missione profetica di don Sturzo si coglie appieno in questa semplice azione del ministro di Dio: portare Dio nella politica. Non però per legittimare parti e partiti, non per benedire leader e strategie, ma per costruire il Regno di Dio, che è Amore. Non c’è salvezza nella politica, la salvezza è in Cristo Gesù. Ma la politica, cristianamente ispirata, può contribuire a creare condizioni di giustizia sociale, di libertà, di equità, di solidarietà: il bene comune. In questo senso – scriveva il sacerdote di Caltagirone – la politica fa parte dell’ordine morale, perché cercare il bene comune con mezzi adatti è certamente uno scopo morale. (…) Moralizzare la vita pubblica e portare Dio nella politica sono due ambiti d’impegno che dovrebbero oggi, prioritariamente, per i cristiani, contraddistinguere un rinnovato impegno di servizio per l’uomo.” E Mons. Raspanti conclude così la sua bella prefazione al libro: “Lungi dal rappresentare un compendio dogmatico o ideologico, il Lessico Sturziano si propone di offrire a una nuova generazione di studiosi e cultori, una prima forma di storicizzazione del pensiero di don Luigi Sturzo. Si dirà: con i limiti stessi della storicizzazione! E per fortuna! Perché è così che sarà possibile rilanciare la ricerca su don Luigi Sturzo, ben al di là di ogni approccio ideologico, unitamente all’intera storia del
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movimento democratico cristiano europeo.” Sarebbe qui troppo lungo commentare anche solo una decina delle 220 voci curate dai 90 autori, fra i quali mi piace ricordare – per la lunga amicizia e la profonda stima che mi lega a loro – Concetta Argiolas, Umberto Chiaramonte, Flavio Felice, Eugenio Guccione, Francesco Malgeri, Gianfranco Morra, Massimo Naro, Antonio Parisi, Michele Pennisi, Alfio Spampinato, Gaspare Sturzo e Marco Vitale. Ma per i lettori della Rivista lasalliana ritengo sia interessante riportare i seguenti due brani della voce “Scuola” scritti dal Prof. Umberto Chiaramonte: “Per Sturzo la libertà d’insegnamento fu il ‘leitmotiv’ della sua battaglia per la scuola italiana, sia statale che privata, in quanto costituisce il luogo deputato alla formazione dei cittadini alla socialità e alla democrazia. La centralità della scuola emerge da un suo scritto: “A coloro che non comprendono la necessità di dare libertà piena e sicura alla scuola occorre ripetere: l’Italia lungo un secolo ha perduto tutte le sue battaglie per la libertà, perché non ha avuto la libertà scolastica”. “In sostanza, Sturzo ritenne che nell’ignoranza e nell’analfabetismo si dovevano trovare le cause prime del fallimento della democrazia e dello sviluppo socio-economico anche come fatto culturale. Ai laicisti, che si opponevano al diritto degli insegnanti-preti e religiosi, quand’anche fossero in possesso dei titoli professionali e culturali, ricordò che ciò costituiva una violenza contro il diritto alla libertà, contraddicendo le loro dichiarazioni sulla libertà come fondamento di ogni Stato democratico, dimostrando così che a muovere le loro rivendicazioni era il vecchio anticlericalismo. Per Sturzo quelle battaglie non erano riuscite a migliorare e riformare il sistema scolastico nazionale.”
Ed ecco il secondo brano: “Sturzo sostenne la parità di diritti e doveri tra scuola statale e privata, senza privilegi, al punto da criticare la posizione del ministro della pubblica istruzione (il cattolico Guido Gonella), il quale, su un eventuale sostegno finanziario alle scuole private, aveva proposto che “lo stato, pur non avendo alcun dovere, avrebbe avuto la facoltà di contribuire a scuole private per il loro migliore sviluppo”. Per Sturzo questo ‘escamotage’ contraddiceva con il principio della certezza del diritto e lasciava all’arbitrio del ministro e dei suoi burocrati la decisione di sovvenzionare scuole e iniziative private quando e come avrebbero voluto. Additando gli imprenditori americani ad esempio, valutò come negativo il comportamento degli omologhi italiani, che non si erano mai impegnati a fondare e sussidiare scuole; per questa ragione criticò anche lo Stato per non aver saputo detrarre dal netto tassabile annuale le donazioni e i lasciti agli Istituti scolastici e di ricerca.” Ovviamente molto di più si può leggere sull’argomento nel Lessico Sturziano, un’opera davvero…monumentale, che merita di essere diffusa innanzitutto nel mondo scolastico e universitario, oltre che nelle molte scuole di formazione politica. Dopo tanti errori ed omissioni, che non sarebbero stati compiuti, se si fosse utilizzata la buona “farina” del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa, è tempo che una nuova generazione di cattolici impegnati in politica – seguendo anche l’invito di Benedetto XVI e di Papa Francesco – ne apprezzino finalmente il valore e, come il Servo di Dio don Luigi Sturzo, lo utilizzino al servizio esclusivo del bene comune. Giovanni Palladino
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LETTERE PASTORALI DI FRATEL ÁLVARO RODRÌGUEZ ECHEVERRÌA Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane
01. Il volto del Fratello oggi (Dicembre 2000).
02. Essere Fratelli in comunità: nostra prima associazione (Dicembre 2001). 03. Associati al Dio vivente. La nostra vita di preghiera (Dicembre 2002). 04. La vocazione del Fratello oggi (Aprile 2003).
05. Associati al Dio dei poveri. La nostra vita consacrata alla luce del 4° voto (Dicembre 2003). 06. Associati al Dio del Regno e al Regno di Dio. Ministri e servitori della Parola (Dicembre 2004).
07. Associati per cercare insieme Dio, seguire Gesù Cristo e lavorare per il Regno. La nostra vita religiosa (Dicembre 2005). 08. Associati al Dio della storia. Il nostro itinerario formativo (Dicembre 2006).
09. Consacrati da Dio Trinità come comunità di Fratelli, per rendere visibile il suo amore gratuito e solidale (Dicembre 2007).
10. Essere segni vivi della presenza del Regno, in comunità di Fratelli consacrati da Dio Trinità (Dicembre 2008).
11. Consacrati da Dio Trinità come comunità di Fratelli. Messaggeri e apostoli inviati dalla Chiesa per rendere presente il Regno di Dio (Dicembre 2009).
12. Consacrati da Dio Trinità come comunità profetica di Fratelli appassionati di Dio e dei poveri (Dicembre 2010).
13. Consacrati da Dio Trinità, come comunità di Fratelli che sottopongono al giudizio di Dio il loro ministero (Dicembre 2011).
14. Consacrati da Dio Trinità, come comunità di Fratelli che sono ringiovaniti dalla speranza del Regno (Dicembre 2012).
15. Consacrati da Dio Trinità, come comunità di Fratelli chiamati ad essere testimoni di Gesù amore (Dicembre 2013).
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SEGNALAZIONE LIBRI ALTAREJOS F. - RODRIGUEZ SEDANO A. - FONTRODONA F. J., Sfide educative della globalizzazione. Verso una società solidale, Aracne, 2014, pp. 204. e 14,00. AMORTH G., Il diavolo. Un’inchiesta contemporanea, Piemme, 2014, pp. 111. e 12,00. BARTHOLOMEOS I, La via del dialogo e della pace, Qiqajon Edizioni, 2014, pp. 146. e 15,00. CREA G., Psicologia, spiritualità e benessere vocazionale, Edizioni Messaggero, 2014, pp. 288. e 19,00. DAL COVOLO E., La luce della fede - Conversazione con Susanna Lemma, Lateran University Press, 2014, pp. 160. e 14,40. DE CONCILIIS E., Che cosa significa insegnare?, Cronopio, 2014, pp. 172. e 12,00. DE VITIIS P., La Teologia politica come problema ermeneutico, Morcelliana Edizioni, 2014, pp. 208. e 18,50. FALDETTA G. - LABATE S., Il dono. Valore di legame e valori umani - Un dialogo interdisciplinare, Di Girolamo, 2014, pp. 200. e 20,00. FILLIOZAT I. - DUBOIS A., Le ho provate tutte! Come superare capricci e pianti e godersi il meglio del proprio bambino, Piemme, 2014, pp. 189. e 15.00. FIORIN I., Insegnare ed apprendere. Orientamenti per una buona didattica, La Scuola, 2014, pp. 256. e 16,50. FRANCESCO (JORGE MARIO BERGOGLIO), La mia scuola, La scuola, 2014, pp. 96. e 9,50. FRANCESCO (JORGE MARIO BERGOGLIO), Lo sguardo semplice e profondo dell’amore, Biblioteca Universale Rizzoli, 2014, pp. 220. e 12,00. FRANCHINI S.G., Roncalli padre e pastore - Il Patriarca Roncalli e il suo cancelliere don Sergio Sambin, Marcianum Press, 2014, pp. 72. e 9,00. FUCILI P., La santità è sempre giovane. Giovanni Paolo II e il cammino delle GMG, Elledici, 2014, pp. 112. e 7,50. GARZELLA M., Scuola bene comune. Processi partecipativi nella comunità scolastica, ZonaFranca, 2014, pp. 119. e 15,00. GIESECKE H., La fine dell’educazione. Individuo famiglia società, Anicia, 2014, pp. 112. e 16,15. GIOVANNI XXIII, Il giornale dell’anima. Cammino di santità, San Paolo Edizioni, 2014, pp.192. e 9,90. GNERRE C., Il catechismo del pallone, Mimep-Docete, 2014, pp. 124. e 9,00. GOPNIK A., Il bambino filosofo. Come i bambini ci insegnano a dire la verità, amare e capire il senso della vita, Bollati Boringhieri, 2014, pp. 298. e 13,50.
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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.
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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui istituite. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.
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Rivista lasalliana ISSN 1826-2155
trimestrale di cultura e formazione pedagogica ATTI DEL SEMINARIO DI STUDIO - 80° DI RIVISTA LASALLIANA
QUALE FUTURO PER L’EDUCAZIONE CRISTIANA?
Camerini Marco Presentazione
Donato Petti La formazione integrale dei docenti e il futuro dell’educazione cristiana Enrico Dal Covolo Quale futuro per l’educazione cristiana? Tra scuola e università Álvaro Rodríguez Echeverría La risposta lasalliana alle sfide del XXI secolo
Dario Antiseri L’educazione di menti aperte quale presidio di una società aperta
Claudio Gentili Le sfide dell’educazione oggi: il ruolo delle partnership pedagogiche Francesco Trisoglio S. Giustino: l'impostazione della prima apologia cristiana Italo Fiorin La grande sfida del dialogo interculturale Anna Maria Pezzella L’avventura educativa cristiana
Roberto Zappalà Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”. Spunti di riflessione in chiave educativa Renato Di Nubila Quale formazione per una leadership per l’apprendimento? Scenari nuovi e competenze nuove Marco Paolantonio 80 anni di “Rivista Lasalliana” (1934-2014)
APRILE - GIUGNO 2014 • ANNO 81 – 2 (322)