Il turismo a tavola. Viaggio nei sapori del Centro Italia.

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TURISMO A TAVOLA IL CENTRO ITALIA SAVERIO PEPE


VIAGGIO NEI SAPORI DEL CENTRO ITALIA Dalle lenticchie di Castelluccio di Norcia ai piatti di Amatrice, territori meravigliosi colpiti dal sisma, dall’olio di Siena alle caciotte marchigiane, dal miele di Lunigiana al farro di Garfagnana, dal peperoncino biologico allo zafferano aquilano, dai vini di Montepulciano alla ricotta romana, dai maccheroncini di Campofilone al lardo di Colonnata. Un viaggio tra i sapori ma anche nelle tradizioni rurali che hanno fatto di questi prodotti un marchio distintivo in tutto il mondo. Una identità agricola storica che oggi, Toscana in testa, è diventata turismo, scienza, tecnologia, marketing e ospitalità. Un turismo che ha come parole chiave genuino, sicuro, di qualità, garantito. Un itinerario tra alcuni di migliori prodotti enogastronomici dell’Italia centrale, tra cui alcuni miei preferiti.


LE LENTICCHIE DI CASTELLUCCIO Piccola, tenera e buonissima, così piccola da non sembra neanche una lenticchia. Così saporita da non sembrare un legume. Così naturale da essere apprezzata anche solo con filo d’olio. L’inconfondibile sapore della lenticchia di Castelluccio nasce in Umbria, ad un'altitudine di 1500 m, nel cuore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Seminata non appena la neve si scioglie, è la protagonista della Festa della Fioritura, che nelle ultime settimane di Giugno regala ai turisti un incredibile spettacolo floreale. Dopo aver aver il riconoscimento europeo IGP, i produttori locali sono impegnati a conservare le genuine tecniche di coltivazione che non prevedono l'utilizzo di concimazioni chimiche. La lenticchia di Castelluccio è unica anche per il suo aspetto policromo che va dal tigrato ai diversi tipi di giallo, sino alle sfumature delicate o intense del marrone. Naturalmente bio Grazie alle condizioni climatiche molto rigide in cui nasce, la lenticchia di Castelluccio è l’unico legume che non ha bisogno di essere trattato per la conservazione perché non è attaccata dagli insetti che si nutrono dei legumi. La lenticchia di Castelluccio ha una straordinaria resistenza alla siccità e al freddo dei lunghi inverni dell’Appennino italiano, caratteristica che porta nel piatto il sapore e la consistenza inimitabili. Questa lenticchia, grazie solo alle strategie della pianta per resistere al clima difficile, non ha bisogno di diserbanti e pesticidi nella coltivazione. Una caratteristica botanica unica al mondo.

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La carne dei poveri Sempre grazie alle caratteristiche di resistenza al clima, questa piccola lenticchia diventa ad essiccazione un concentrato di proteine e sali minerali. E’ stata definita per secoli dalle popolazioni italiane come la carne dei poveri. Le moderne ricerche scientifiche, hanno confermato le importanti qualità nutritive, utili per chi necessita di una dieta ricca di ferro, potassio e fosforo, povera di grassi e molto nutritiva. La buccia particolarmente fine e tenera consente di cuocere direttamente il prodotto, senza che questo venga messo a bagno come accade per gli altri legumi. Questo permette di conservare meglio il sapore e le capacità nutrizionali. Castelluccio Suggestiva frazione del famoso comune di Norcia, si raggiunge tramite una strada panoramica, che offre i migliori paesaggi agricoli italiani di montagna e alta collina. Edificata nel XIII secolo, la sua storia ha origini più antiche, come testimoniano i ritrovamenti di alcuni oggetti appartenenti all’epoca romana che testimoniano la coltivazione della lenticchia da diversi millenni. Alle pendici del Monte Vettore si trova il Piangrande, una vasta pianura dove viene coltivata la lenticchia di Castelluccio e altri legumi. Nei giorni che precedono l'estate, il territorio si colora con tanti fiori dalle differenti tonalità, che creano una serie di sfumature uniche. L’estate è molto breve e con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Ad accentuare le proprietà climatiche, la forma della vallata, derivata da un grande lago montano. Il terreno risulta essere ricco di materiale organico e calcare, che sono alla base del forte sapore di questa lenticchia. Una garanzia europea Essendo un prodotto unico al mondo, per tutelare il consumatore in modo efficace e proteggere il prodotto da eventuali contraffazioni nel

1997 la Comunità Europea ha conferito alla lenticchia di Castelluccio il riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta), risolvendo così il problema della presenza di lenticchie di piccole dimensioni vendute come lenticchia di Castelluccio. Il marchio, presente anche su tutte le confezioni, ha permesso di differenziare al meglio questo prodotto, facendolo diventare un must del biologico e della cucina naturale internazionale. Tecnologia Alla forza della natura, i produttori locali, hanno associato le attrezzature tecnologiche di ultima generazione, per controllare il processo di pulitura e confezionamento dei prodotti. Bilance a pesatura elettronica, selezionatrici ottica, macchina x-ray e metal detector, garantiscono l’assenza di qualsiasi tipo di impurità all’interno della merce confe3


zionata. Ogni volta si verifichi un errore o venga rilevata la presenza di un corpo estraneo all’interno di una partita di merce si ricorre alle procedure previste dal piano di autocontrollo. Questo efficiente sistema protettivo moderno, serve ai produttori per conservare la qualità e le caratteristiche naturali, per servire le più importanti catene di distribuzione. L’export: La superficie coltivata a lenticchie è di circa 250 ettari, con una produzione media annua di circa 2000 quintali. Piccoli numeri ma grande attenzione da parte del mercato anche internazionale. Il sapore deciso e la delicatezza del legume, ha conquistato, grazie anche alle sue caratteristiche ecologiche, i mercati esteri. Nonostante si possa considerare un prodotto di nicchia, l’alta considerazione dei consumatori lo ha portato nello spazio dei prodotti biologici di lusso, dove lusso non si intende l’alto prezzo ma la produzione limitata nelle quantità e nel tempo. Germania, Austria e Svizzera i principali paesi importatori, con la Russia che conquista anno dopo anno sempre maggiori quantità, del piccolo ma importante mercato estero della lenticchia. Packaging naturale: Principalmente juta e cartone per le confezioni che devono garantire l’inalterabilità delle caratteristiche di sapore e naturalezza del prodotto. Commercializzate in confezioni dal peso di 250 gr, 500 gr o un Kg, devono avere una specifica copertura sigillante, per impedire che il contenuto possa venire toccato senza la rottura del sigillo. Sui contenitori, le lenticchie originali, devono essere indicate, in caratteri di stampa delle medesime dimensioni, le diciture "Lenticchia di Castelluccio di Norcia" e "Indicazione Geografica Protetta", oltre al nome del produttore e all’annata di produzione. La ricetta tipica: Nonostante sia un legume molto versatile che si presta sia alle preparazioni semplici, che alle raffinate portate dei grandi

chef, la zuppa tradizionale di lenticchie, resta il modo migliore per gustare il sapore unico di questo prodotto della montagna pulita italiana. Per 4 persone : 400 gr. di lenticchia di Castelluccio di Norcia, 1 litro di acqua, 1 gambo di sedano, 1 spicchio di aglio, sale e pepe.
 Si versano le lenticchie in un tegame, possibilmente di coccio, si aggiunge l’acqua, il sedano e l’aglio. A fiamma bassa si lascia cuocere per 40 minuti circa. Solo a cottura ultimata si aggiunge il sale il pepe macinato. La zuppa viene servita su crostini di pane tostati, aromatizzati con aglio e abbondante olio extra vergine d’oliva. www.lenticchiacastelluccio.it

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IL VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO Il Nobile di Montepulciano: un vino, un luogo. Un vino dal luminoso colore rubino tendente al granata e dal profumo intenso quasi speziato ma etereo e decisamente floreale. In bocca il sapore è deciso, sapido, asciutto, caldo ma equilibrato, persistente e gradevole, con una piacevole e tipica nota finale amarognola. Cosi si presenta al consumatore il Vino Nobile di Montepulciano, un prodotto identitario, di carattere e soprattutto fortemente legato al suo territorio di origine. Il forte legame con una zona di produzione molto circoscritta che comprende il solo territorio comunale di Montepulciano che si estende in 16.500 ettari di cui solo 2.100 circa ricoperti da vigneti. Solo le vigne situate tra i 250 e i 600 metri sul mare possono concorrere alla produzione del Nobile. Vigne che si estendono in questo territorio della provincia di Siena che guarda verso l’Umbria, in un paesaggio da tipico calendario toscano. Vitigni storici I vitigni sono quelli storici del luogo e tra questi prevale il Sangiovese qui denominato prugnolo gentile, presente per almeno il 70%. Il resto è composto dai toscani Colorino, il Mammolo, il Canaiolo ma anche da alcuni vitigni internazionali come il Merlot o il Cabernet Sauvignon. Una volta terminato il lavoro nel vigneto sono le regole di cantina a far diventare straordinario questo vino. Lavorazione ma soprattutto affinamento, con il quale il Nobile acquisisce le sue caratteristiche organolettiche principali. Le operazioni di vinificazione e di invecchiamento devono essere effettuate in cantine situate nel territorio di Montepulciano e l’invecchiamento deve durare almeno due anni, conteggiati a partire dal primo gennaio successivo alla 5


vendemmia. Entro questo periodo il produttore può decidere se far maturare il Nobile per 24 mesi in legno, oppure 18 mesi in legno e i restanti in altri recipienti, oppure almeno 12 in legno, sei in altri recipienti e sei in bottiglia. Per il “Riserva”, l’invecchiamento consiste in tre anni di affinamento in legno e almeno sei mesi in bottiglia. Un vino con grandi fan Il letterato italiano Francesco Redi nel suo poema Bacco in Toscana del XVII secolo, un tour enologico che Bacco e Arianna fanno nella regione, afferma che “Montepulciano di ogni vino è re”. Di questo vino parleranno anche Voltaire nel Candido (1759) dove è descritta una tavola di cibi e bevande prelibate : maccheroni, pernici di Lombardia, uova di storione e vino di Montepulciano. Anche Alessandro Dumas nel suo Conte di Montecristo parla di questo vino che aiuta a superare la solitudine e addirittura due presidenti degli Stati Uniti, Thomas Jefferson (1743-1826) e Martin Van Buren (1782-1862) ne sono stati estimatori entusiasti. Una fascetta, una storia Il Vino Nobile di Montepulciano è stato il primo in Italia a ricevere il più alto riconoscimento qualitativo, ovvero la Docg (Denominazione di origine controllata e garantita). A testimonianza di questo, la prima serie di fascette rilasciate dall’allora Ministero dell’Agricoltura e oggi conservate scrupolosamente nelle sedi del Consorzio del Vino Nobile. La storia della fascetta AA 000001 è molto lunga e parte dal 1969 con la richiesta di riconoscimento da parte del Consorzio. La denominazione fu riconosciuta nel 1980 I numeri del Vino Nobile di Montepulciano Su 16 mila ettari di superficie comunale, a Montepulciano 2.600 ettari sono coperti di viti. Questo vuol dire che il 16% circa del paesaggio

comunale è caratterizzato dalla vite. A coltivare questi vigneti oltre 250 viticoltori che ogni anno producono circa 55 mila ettolitri di Vino Nobile. Ogni anno vengono immesse in media sul mercato, circa 7,6 milioni di bottiglie di Vino Nobile. Per quanto riguarda il mercato il 68% va all’estero, percentuale che aumenta di anno in anno. Se il primo paese di riferimento per l’export resta la Germania (44 %), significativo il costante incremento del mercato statunitense che già 2012 ha assorbito il 17% delle vendite. Il Benelux si attesta al 12 % delle esportazioni, mentre in crescita anche il mercato verso l’oriente che in tutto fa registrare circa il 6% con una esponenziale crescita da parte del Giappone (+30 % dal 2009 al 2012), mercato verso il quale il Consorzio ha rivolto numerose azioni di promozione. Il “Sistema Montepulciano” Al “Sistema Montepulciano”, aderisce anche il Consorzio dei produttori di Vino Nobile. Il progetto ha individuato i punti di forza del territorio, ovvero patrimonio culturale, ambiente, paesaggio e prodotti enologici di qualità e li promuove per far conoscere questo angolo d’Italia a grande vocazione turistica. Il turismo enologico grazie al Nobile, ha fatto registrare un costante aumento di presenze e si può affermare che in una bottiglia di Vino Nobile c’è tutta la cultura di Montepul6


ciano. Tra le varie iniziative che vedono impegnato il Consorzio del Vino Nobile c’è il “Passaporto gastronomico”, dove il turista non è un semplice cliente ma è un ospite. La ristorazione è un elemento fondamentale del turismo. “Zero CO2”: a Montepulciano la bottiglia è “green” Vetro di altissima qualità, etichette sobrie ed eleganti di dimensioni contenute, dove il bianco e il nero predominati, lasciano il maggior spazio possibile all’intenso rubino del vino. All’eleganza tradizionale del packaging, il Consorzio ha unito da anni la scelta ecologica, culminata nel progetto per “azzerare” le emissioni di anidride carbonica derivanti dal ciclo di produzione, partito nel 2014. Al termine dell’iter Montepulciano, con la DOCG Vino Nobile, sarà il primo distretto in Italia a poter certificare l’impatto zero sull’atmosfera della propria produzione vinicola. Il progetto ha come presupposto la riduzione delle emissioni dei gas-serra e la promozione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica e si pone come obiettivo la riduzione o la compensazione delle emissioni di CO2 derivanti dalle tre fasi su cui si articola la produzione della DOCG Vino Nobile (agricola, aziendale e di trasporto). Garante scientifico della complessa ed ambiziosa operazione è la Università G.Marconi di Roma

più quotati, l’anatra cucinata al forno accompagnata dal Nobile di Montepulciano, resta una delle accoppiate di più grande soddisfazione gastronomica. Si accompagna molto bene anche ai formaggi stagionati, piccanti, decisi, saporiti, in quanto il corpo asciutto e caldo del vino, l’anima floreale e l’intenso profumo, esaltano in leggerezza gli aromi dei formaggi più invecchiati. La bottiglia va stappata un ora prima e la temperatura di servizio è tra i 18 e i 20 gradi e viene servito nel calice dei rossi di gran corpo tannici. www.consorziovinonobile.it

Un Nobile a tavola Un vino cosi asciutto ma floreale e intenso allo stesso tempo si abbina soprattutto ai secondi importanti di carni suine e bovine. La cottura alla griglia e il condimento con salse decise, sono la composizione migliore per degustare un vino così strutturato ma gradevole e con un finale amaragnolo. La tradizione culinaria sia locale che internazionale lo considera il più pregiato vino per accompagnare la selvaggina da pelo e da piuma come lepri e fagiani. Secondo gli chef 7


IL RICCO SAPORE DELLA RICOTTA ROMANA Raffinata e intensa DOP. Latte ovino proveniente solo da territori laziali della migliore qualità, aziende certificate e controllate, 0 % di latte congelato, nessun prodotto chimico, nessun grasso aggiunto. Questi gli ingredienti che rendono questa ricotta diverse da tutte le altre ricotte. Bianca con riflessi perlacei, morbida e compatta, chiaramente umida, delicata e granulosa. La ricotta romana conquista il consumatore già con l’aspetto fresco ed invitante. Il profumo intenso e caratteristico rimanda ai pascoli laziali, ricchi di essenze mediterranee e di acque minerali. Il sapore è delicatissimo tendente al dolce. La materia prima, ovvero il siero di latte non è un siero magro ed è ricco di proteine nobili e digeribili. Questo permette di ottenere un prodotto ricco di sapore ma con grandi qualità nutritive, tra cui spicca la ricchezza in calcio. Sono proprio queste capacità nutrizionali, associate alla leggerezza in calorie e al sapore forte e gradevole che continuano a far apprezzare da secoli questo formaggio fresco. Viene definito un formaggio pastoso, la ricotta più fine e saporita delle ricotte italiane. La cremosità e consistenza ne fanno un formaggio versatile, apprezzato sia come pietanza che come ingrediente. Il latte di pecora è una delle principali eccellenze dell’agricoltura italiana e i pascoli ovini sono seguiti con molta cura dagli allevatori, per evitare stress agli animali e preservare il sano ambiente naturale, in quanto questo latte è un prodotto molto delicato. Per preservare le regole rigide che prevedono l’esclusione di anti acidi e altre sostanze è indispensabile per questi produttori conservare al me8


glio sia la natura che il benessere degli animali. Una attenzione che oltre all’interesse del consumatore ha suscitato l’apprezzamento della Comunità Europea con il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta. Da Catone a San Francesco ai giorni nostri L’utilizzo di latte di pecora nella Roma repubblicana aveva tre destinazioni diverse: religiosa-sacrificale, alimentare come bevanda nutriente e curativa e infine gastronomica per la trasformazione in formaggi con l’uso residuo del siero per ottenere appunto la ricotta. Marco Porzio Catone descrive con cura i pascoli, la produzione e quella che si potrebbe definire l’archeologia della ricotta romana, descrivendo come questo formaggio fresco, intenso, morbido e profumato, fosse apprezzato dalla società romana. Il famoso medico Galeno nel libro degli alimenti “Della natura et vertu cibi” parla della oxygala diffusa e amata in Grecia che trova il suo contrapposto romano nella ricotta. La diffusione della ricotta romana si deve a San Francesco d’Assisi il quale, trovandosi nel 1223 nelle campagne tra Umbria e Lazio per la realizzazione di un presepio, insegnò ai pastori l’arte di produrre la ricotta. Numerose pubblicazioni, libri, studi ma anche fiere e sagre celebrano questo prodotto genuino, che grazie alla sua leggerezza ma anche salubrità ed intensità di sapore, si è imposto come prodotto moderno, pur avendo alle spalle, secoli di tradizione e storia. Come la ricotta diventa romana La ricotta ovvero “cotta due volte” è un prodotto diffuso in tutta Italia. Quello che rende "romana" una comune ricotta è la provenienza del latte intero di pecora dal territorio laziale e lo svolgimento di tutte le operazioni di lavorazione e trasformazione nel solo territorio della re-

gione Lazio. Fattori naturali e umani conferiscono le caratteristiche qualitative e organolettiche al prodotto, come il sapore molto dolce del siero da latte, dovuto all'alimentazione delle pecore con le erbe di pascoli naturali caratteristici del territorio. Il foraggio consentito non supera il 10 %, per cui le pecore si nutrono di erbe, fiori, bacche di stagione. Per ottenere la caratteristica di romana è necessario oltre al riconoscimento geografico, l’intervento umano per la qualità. La rottura della cagliata, realizzata dai casari, sulla base di abilità ed esperienza tramandate da secoli nell'intera zona interessata dalla D.O.P. e la transumanza, il trasferimento delle greggi in zone montane per sfuggire alla calura estiva, sono le azioni che rendono unico questo formaggio fresco. Abilità e tecniche che nel Lazio sono un patrimonio antico e che sono oggetto di formazione continua per non disperdere la “romanità” anche del modo di produrre.

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Il suono della fresca dolcezza Per ottenere la ricotta il siero viene scaldato a circa 90°C e mantenuto in delicata agitazione favorendo la coagulazione sotto forma di piccoli fiocchi. Questi vengono delicatamente raccolti e posti in apposite “fuscelle" di forma conica, in modo da separare il siero dalla ricotta. L’estrazione della ricotta non è un’operazione semplice. Richiede capacità e sensibilità. Il casaro deve avere un eccellente orecchio musicale in quanto batte con un bastone la caldaia e in base al suono che produce, valuta con attenzione se è il momento di estrarla o se attendere fino a quando la formazione della ricotta non sia perfetta. Da questo trattamento “musicale” deriva una ricotta che presenta una struttura raffinata, dal colore bianco ed un sapore delicato e dolce, che la distinguono da ogni altro tipo di ricotta. Le terre laziali La regione Lazio è un vasto territorio che contiene città antichissime di storia e cultura. Le campagne dove avvengono i pascoli, sono meno conosciuti, tenuti un pò in disparte dall’ingombrante cultura romana che domina con l’archeologia. Il tipico clima mediterraneo, la vicina presenza delle montagne dell’Appennino, la presenza di acque dall’altissimo valore, ha permesso la costruzione di un panorama agricola di grande effetto. E’ molto comune per i viaggiatori in treno o in autostrada, osservare nelle campagne greggi di pecore che pascolano. Molto caratteristiche le campagne etrusche del Viterbese e quelle della provincia di Frosinone e Rieti, con il fresco clima dell’interno. Le campagne di Latina, sono invece quelle che risentono della vicinanza del mare. Un territorio ampio e complesso che preserva l’habitat delle pecore, per produrre un latte ovino di indiscutibile qualità.

I cinque comandamenti della ricotta Il latte di pecora intero, da cui deriva il siero, deve essere prodotto e raccolto presso aziende agricole del Lazio certificate. L'alimentazione delle pecore è costituita da erbe di pascoli naturali del territorio della regione Lazio. Il caseificio di produzione deve essere situato nella regione Lazio e deve essere certificato.

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Vestire la freschezza: La ricotta non subisce stagionatura, ma viene commercializzata fresca, dopo una salatura manuale di 90 giorni, in cestelli a cono tronco di vimini, di plastica o di metallo con capacità massima di 2 kg, oppure avvolta in carta pergamena o sottovuoto. La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario, la designazione "Ricotta Romana”. Il logo del prodotto è costituito da un quadrato formato da tre linee di colore, come la bandiera italiana, contenente all'interno una testa di ovino stilizzata tra le due lettere "R" maiuscole. La designazione "Ricotta Romana" deve figurare in lingua italiana. Il bianco della ricotta e i colori del marchio, sono gli unici tratti distintivi del packaging, in modo da far risaltare al massimo la territorialità di questo prodotto. Le procedure di produzione vietano l'uso di: latte congelato, prodotti chimici e l'aggiunta di grassi o crema di latte. Contenuto di grassi da un minimo di 17 al massimo pere il 29 % sulla materia secca. Dalle campagne laziali al mondo: Oltre 500.000 litri di latte ovino prodotto nelle campagne laziali per la ricotta romana per una crescita record nei consumi familiari che dal 2005 continua ad aumentare. Con la Ricotta Romana DOP l’Italia è l'unico Paese europeo ad avere una propria specialità del particolare latticino iscritta nel prestigioso registro comunitario delle denominazioni di origine. Il prezzo competitivo ha permesso una eccellente diffusione nei mercati russi, mentre in quelli europei, in particolare Francia e Germania, continua ad essere uno dei formaggi freschi italiani maggiormente apprezzati.

Buona fresca versatile tutto l’anno: La Ricotta Romana, oltre ad essere consumata come pietanza a sé, trova largo uso come ingrediente di piatti e dolci tradizionali. E’ consumata come fresco antipasto, come ripieno di paste all’uovo speciali soprattutto ravioli e cannelloni, semplicemente accompagnata da miele, cacao o caffè e come ingrediente principale in pasticceria. La cassata siciliana prevede l’utilizzo della ricotta romana, proprio per conservare il sapore pieno e intenso di questo dolce. Una delle ricette tradizionali è la pasta alla ricotta romana che si prepara in maniera molto semplice, facendo cuocere 300 gr di pasta corta per 4 persone. A parte si prepara il condimento con 250 gr di ricotta romana mescolata con un pizzico di cannella, uno di sale e uno di zucchero a velo. Poco prima di scolare la pasta si mescola con tre cucchiai di acqua bollente della pastae si aggiunge abbondante pepe fresco macinato al momento. Si scola la pasta e si condisce con la salsa di ricotta. www.consorzioricottaromana.it 11


L’ORO VERDE DELLE TERRE DI SIENA Un olio perfetto. Sapore fortemente fruttato come nessun altro in Italia e nel bacino del Mediterraneo. Verde chiaro tendente al giallo e un sapore molto gradevole e importante con note amare e piccanti. Questo è l’olio delle Terre di Siena Dop (denominazione origine protetta). Un olio di rare qualità organolettiche, dove la materia prima con cui viene prodotto è di livello altissimo. Molto basso è invece il livello di acidità, al massimo lo 0,5 %. Questo insieme di retrogusto amaro e piccante, il deciso sapore di oliva fresca e matura, la delicatezza della bassa acidità, ne fanno un olio davvero diverso dagli altri. I degustatori di olio professionisti, lo descrivono con una splendida palatabilità, presenza amara significativa e piacevole piccantezza gentile. Come i migliori profumi anche l’Olio delle Terre di Siena ha le sue note finali, che in questo caso sanno di frutta secca, mela verde, carciofo e foglie di pomodoro. Ricercato dagli amanti degli oli intensi, dove l’oliva si sente ancora anche dopo la frangitura. E’ inoltre un olio pregiato in quanto viene rigorosamente prodotto, con olive sane colte direttamente dalla pianta entro il 31 dicembre, eventualmente conservate in appositi locali freschi e ventilati per non più di tre giorni dalla raccolta e trasformate entro le ventiquattro ore dal conferimento nei frantoi. Regole semplici ma rispettate e controllate per poter produrre l’olio più fruttato d’Europa. Un olio così intenso ma delicato allo stesso tempo, dà il massimo della soddisfazione culinaria quando viene usato a crudo, per condire le insalate e le minestre tipiche toscane a base di fagioli, ceci, lenticchie. Ingrediente necessario sulle minestre di verdure e pane e nelle insalate fredde di pasta e nel pinzimonio. Per farlo 12


degustare e per poter apprezzare il sapore corposo e raffinato, il modo migliore resta quella della “bruschetta”, larghe fette di pane bianco, grigliate e strofinate d’aglio fresco, bagnate da abbondante olio. La “bruschetta” alla maniera toscana con l’Olio delle Terre di Siena è la merenda tipica di questo territorio. La versione bio Frantoio, Moraiolo, Leccino, Pendolino, Correggiolo, sono alcune delle varietà coltivate in maniera biologica. La produzione senza sostanze chimiche è oltre un terzo del totale, in quanto il territorio di Siena è uno dei principali distretti biologici in Europa e le coltivazioni intensive biologiche sono una tradizione da mezzo secolo. La raccolta delle olive si esegue a mano con dei pettini e successivamente le olive vengono portate entro le 24 ore in frantoio. Le olive di un cupo colore verde, sono spremute freddo, senza nessun contatto con l’ossigeno, in modo da evitare ogni ossidazione. Dopo la frangitura l'olio viene fatto decantare in serbatoi di acciaio inox. Nella versione biologica, l’acidità è ancora più bassa, non superando lo 0,2%. Il sapore è dunque ancora più delicato e i profumi ancora più intensi. La bassissima acidità ne fanno un pregiato e ricercato ingrediente anche per l’industria erboristica e cosmetica. Le Terre marroni di Siena Il colore delle terre è così unico da aver dato il nome a colori e sfumature di marrone, come appunto il “Terra di Siena”. Un territorio che nell’immaginario è panorami colorati, olivi e cipressi. Sull’olivicoltura e sulla bella vita di campagna senese sono stati creati degli itinerari enogastronomici, naturalistici e culturali, dove poter degustare l’Olio delle Terre di Siena Dop e conoscere i luoghi rurali e storici di questo patrimonio agricolo. Gli itinerari proposti sono un suggeri-

mento per “andar per olio” in terra di Siena trovando tante ragioni di più per amarla. Gli itinerari sono stati contrassegnati con specifici colori, dividendo la terra di Siena in aree che presentano caratteristiche affini dell’olio e particolari interessi storici. Con questi itinerari si potranno conoscere i produttori di olio e scoprire angoli nuovi della 13


terra di Siena, attraverso strade che non sempre sono le più dirette e le più note, ma che conducono a luoghi unici. Itinerario Arancione: Val d’Elsa e colline a nord di Siena. Itinerario Rosa: Ad est, attraverso le crete la Val d'Orcia e la Val di Chiana. Itinerario Verde: Ad ovest la Val di Merse e la Montagnola. Itinerario Giallo: A sud con Montalcino e i contrafforti dell'Amiata sulla Val d'Orcia Le regole di un capolavoro Un olio con un gusto, profumo e aspetto così intenso, ha bisogno di regole ferree per poter conservare la sua alta qualità apprezzata nel mondo. Per il trasporto delle olive al frantoio è vietato l'uso di sacchi o balle al fine di evitare surriscaldamenti o fermentazioni. La trasformazione delle olive deve avvenire entro le 24 ore successive dal conferimento ai frantoi. Le olive devono essere sottoposte a lavaggio prolungato ma delicato con acqua pura alla temperatura ambiente. La conservazione delle olive al frantoio, non supera mai le 72 ore ed avviene in locali ventilati su misura. Per l'estrazione dell'olio si possono utilizzare soltanto processi meccanici affinché l’olio conservi totalmente le caratteristiche originarie dell’oliva. La resa in olio non può essere superiore al 22% in peso delle olive. Un disciplinare tra i più rigidi tra quelli delle produzioni italiane, per un olio di un livello davvero superiore. La geografia di una eccellenza Le varietà principali utilizzate per la produzione id un olio così pregiato sono la Frantoio, Correggiolo, Leccino e Moraiolo. Possono

concorrere altre varietà come Pendolino, Maurino, Olivastra, Morchiaio, Pitursello, Americano, Arancino, Ciliegino, Filare, Gremignolo, Maremmano, Mignolo, Olivo Bufalo, in misura però non superiore al 15%. Il Consorzio si è dotato di severi organismi di controllo esterno, proprio per preservare l’unicità di questo olio. Le olive destinate alla produzione dell’ ”Olio Terre di Siena” devono essere prodotte nei territori collinari della Provincia di Siena vocati alla produzione di olio con le caratteristiche e livello qualitativo previsti dal disciplinare di produzione. Le olive arrivano dalle campagne di Abbadia S.Salvatore, Asciano, Buonconvento, Casole d’Elsa, Castiglion d’Orcia, Cetona, Chianciano, Chiusdino, Chiusi, Colle Val d’Elsa, Montalcino, Montepulciano, Monteriggioni, Monteroni d’Arbia, Monticiano, Murlo, Piancastagnaio, Pienza, Radicofani, Radicondoli, Rapolano Terme, San Casciano dei Bagni, S.Gimignano, S.Giovanni d’Asso, S.Quirico d’Orcia, Sarteano, Siena, Sinalunga, Sovicille, Torrita di Siena, Trequanda, Castelnuovo Berardenga e Poggibonsi. I paesi più suggestivi di questo splendido territorio. 14


In giro per il mondo - L’olio toscano esportato all’estero ha superato i 500milioni di euro in valore. Sulle tavole dei consumatori stranieri finiranno quasi 100.000 quintali di olio tracciato e certificato su un totale di quasi 160.000 quintali confermando un trend in crescita: solo 3 bottiglie di olio certificato su 10 saranno consumate in Italia. Per quanto riguarda l’olio senese Dop, Il 70% è destinato all’estero e finirà in particolare negli Stati Uniti seguito da Germania, Regno Unito, Giappone, Canada, ma anche Cina, Russia e Brasile. La Toscana, prima regione italiana per export di olio, è diventata terra di conquista per multinazionali e grandi gruppi industriali legati al Made in Italy agroalimentare. Numerosi sono proprio gli operatori oleari con 325 molitori e 721 imbottigliatori. In questo panorama economico, il Consorzio è impegnato per far conoscere il suo olio, che nonostante la presenza dei grandi gruppi economici, conserva il contatto diretto con l’agricoltore e il territorio. Una vocazione imprenditoriale genuina di campagna, che è il valore aggiunto tanto apprezzato dagli stranieri che cercano la Toscana autentica anche a tavola. L’immagine saporita della Toscana - Per contrastare i tentativi di imitazione e non disperdere la propria immagine, i produttori dell’Olio di Terre di Siena Dop ha molto investito nel packaging, utilizzando solo vetro di altissima qualità e seguendo con cura il design delle etichette. Nelle confezioni, ogni immagine, colore e scelta grafica, ricorda la bellezza malinconica e rustica delle campagne, in un piacevole stereotipo di oliveti, case di campagna, panorami sconfinati. Uno stereotipo che corrisponde al vero e al quotidiano di queste campagne. Il logo dell'olio extravergine di Oliva Terre di Siena DOP consiste in un contrassegno rappresentato da elemento rettangolare di colore rosso, con cornice dorata, che racchiude un ovale di colore verde, il quale rappresenta un'oliva contenente al suo interno la scritta "DOP". L'ovale verde e' sormontato da una corona a 5

punte e sotto l'ovale c’è la scritta "TERRE DI SIENA”. Un logo semplice ma efficace per contraddistinguere quest’olio fruttato, piccante ed aromatico, dagli altri oli pregiati della tradizione italiana. L’intensità a tavola - Un olio così intenso esalta al massimo il sapore delle verdure crude ed è unico sul pane toscano senza sale. Una ricetta tipica senese, dove invece viene utilizzato in cottura è il Fritto misto. Pezzi di carne di diversi animali , consistenze e sapore sono associate a zucchine, carciofi, melanzane, finocchi. Ogni ingrediente viene fritto singolarmente, partendo dalla carne più dura. Un olio dall’acidità cosi bassa ma dal retrogusto così accentuato, esalta al massimo senza coprire i sapori ma senza nemmeno nascondere il proprio. Per le sue caratteristiche di intensità aromatica, viene utilizzato anche nella preparazione di dolci secchi come biscotti e taralli. In generale i grandi chef utilizzano il Terre di Siena Dop, per le preparazioni più semplici, facendo valere la regola che tanto più semplice è la ricetta, tanto più importante è usare un grande olio, ricco ed equilibrato, armonico e saporito, elegante e raffinato, come il DOP Terre di Siena. www.olioterredisienadop.it 15


I MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE Italia terra di pasta. Tante varietà, tante ricette per una secolare tradizione. Da Campofilone nelle Marche arrivano in tutto il mondo, i maccheroncini all’uovo che hanno avuto il marchio di indicazione geografica protetta, grazie ad un rigidissimo protocollo di produzione. Un sapore eccezionale, inimitabile da una ricetta semplice con ingredienti di straordinaria qualità. Uova da galline allevate a terra senza OGM, farina di semola della migliore qualità, poco sale, tutto rigorosamente da questo territorio agricolo. Niente acqua per la produzione di una pasta all’uovo dalla sfoglia sottilissima, non supera mai i 0,7mm e dal taglio altrettanto sottile: al massimo 1,2mm. Il metodo di produzione segue scrupolosamente la tradizione della pasta di Campofilone, tramandata di generazione in generazione, quando le donne di casa lavoravano e stendevano la sfoglia su ampie lastre di marmo e lasciavano riposare l’impasto in panni di cotone. La cottura è di solo 90 secondi. La semola proteica ad altissimo indice di glutine, garantisce una tenuta eccellente in cottura e la conservazione dell’aroma delle uova. Una pasta profumata e dal piacevole impatti visivo, con il forte giallo che ricorda la naturalezza delle uova. L’impasto e l’essiccazione a bassa temperatura consentono la produzione di una pasta davvero speciale, che somiglia nella forma ad altre paste italiane ma dal sapore unico e inconfondibile. Una produzione così meticolosa e cosi attenta alla qualità delle materie prime, ha determinato un successo internazionale. Il risultato di questa grande attenzione è quella di un sapore antico, di una naturalezza gradevole, versatile in cucina ma esaltata dai sughi ricchi della tradizione marchigiana, assorbiti in maniera notevole per il tipo di lavorazione. Molto apprezzata proprio per l’incredibile capacità di assorbire il condimen16


to, la ricetta con i sughi bianchi di pesce nella quale i maccheroncini cuociono direttamente nel sugo. Se la pasta è uno dei principali tratti distintivi del Made in Italy, i maccheroncini di Campofilone sono diventati nell’immaginario collettivo unoggetto di culto della tradizione culinaria e sono ormai conosciuti e apprezzati in ogni angolo delpianeta. Campofilone è un piccolo paese della provincia di Fermo, le cui colline si protendono rapidamente verso il mare, formando una spiaggia di oltre 2 km. Il territorio comunale occupa una superficie di soli 12 km quadrati con 1600 persone che si dedicano prevalentemente all'agricoltura e alla produzione della pasta all’uovo. Distesa a metà tra campi agricoli e la deliziosa spiaggia adriatica, Campofilone offre il tipico turismo di mare dagli alti standard qualitativi ed ecologici tipico delle Marche. Turismo che viene potenziato dall’eccellente offerta enogastronomica, nella quale spicca quella dei maccheroncini. Brasile, Russia e Cina e Sud-est asiatico, i nuovi clienti di questa pasta ma anche Usa, Australia e Inghilterra. Una pasta che in Italia è considerata una eccellenza di nicchia ma che invece nel mondo è considerato un gioiello gastronomico. Presenti negli store più famosi e nei ristoranti più stellati, sono il piatto di lusso gastronomico di punta di molti ristoranti in particolare a New York e Miami.

che confezioni in latta che celebrano il buon gusto e la gentilezza delle terre marchigiane. I primi documenti certi che parlano di questa pasta denominata anche "capelli d’angelo" risalgono al Concilio di Trento del 1560 in cui vengono citati con la dicitura "così sottile da sciogliersi in bocca”. Sono anche citati in quaderni di cucina di alcune casate nobili marchigiane del 1700. Il poeta Giacomo Leopardi nei suoi 49 piatti che più desiderava, elencava tre modi diversi in cui preferiva i prodotti di pasta all'uovo di Campofilone come promemoria per i suoi cuochi.Tra i tanti riconoscimenti internazionali i maccheroncini di Campofilone ha ricevuto un particolare premio. La Compassion in World Farming, la maggiore organizzazione internazionale per il benessere degli animali di allevamento, ha insignito La Campofilone, la principale azienda di produzione del territorio, del riconoscimento Good Egg Award per l’utilizzo esclusivo di uova da galline allevate a terra. www.associazioneproduttorideimaccheroncinidicampofilone.com

I pastifici che producono i maccheroncini di Campofilone devono utilizzare esclusivamente le etichette approvate dal Consorzio di Tutela. Le confezioni sono generalmente in cartone semplice ma dal design moderno con una finestra che permette di ammirare l’incredibile colore di questa pasta all’uovo. L’assoluto rigidità nei metodi di produzione viene riproposta anche nei metodi di confezionamento: la denominazione “Maccheroncini di Campofilone” deve avere un’altezza minima di 5mm ed è intraducibile. Inoltre è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione. Soprattutto per il mercato estero vengono prodotte an-

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IL FARRO DELLA GARFAGNANA Il farro è un cereale originario della Mesopotamia e dell’Egitto, il più antico fra tutti quelli pervenuti fino ai nostri giorni ed è considerato l’antenato del grano. Saporito, versatile, ricco di profumi, trovò il suo habitat naturale nelle colline dell’Appennino centrale italiano. Con il cambio delle abitudini alimentari e il conseguente abbandono di quei cibi ritenuti "poveri" e soprattutto con l'avvento delle nuove varietà di frumento nudo, ovvero prive di una protezione esterna, il farro fu confinato in territori sempre più ridotti. Utilizzato nelle gustose e tradizionali ricette della Garfagnana, territorio toscano tra le Alpi Apuane, le colline di Lucca e le montagne emiliane, è entrato a pieno titolo nella gastronomia italiana. E' ricco di vitamine e sali minerali, sazia rapidamente e dà energia, nutre e non appesantisce la digestione. Proprio per la sua altissima digeribilità è ritornato ad essere protagonista della tavola, per la maggiore attenzione odierna verso i cibi salutari. E' particolarmente adatto per preparare torte salate, ma in cucina è utilizzato soprattutto come ingrediente di zuppe e minestre. I piatti tipici sono la zuppa di farro e le torte salate. Può essere inoltre utilizzato in cucina per qualsiasi piatto in sostituzione del riso e della pasta. Trasformato in farina viene utilizzato per la preparazione di paste, dolci e biscotti che hanno sempre come caratteristiche principali il sapore pieno e la digeribilità. Importantissimo è il fatto che non richiede trattamenti antiparassitari né concimazioni e per questo è sostanzialmente un prodotto biologico con assenza di elementi inquinanti.

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La Garfagnana è l’unica zona che, per una solida tradizione agricola ed un ambiente naturale protetto, ha continuato a produrre e commercializzare il farro nei secoli, rappresentando in Italia la zona di produzione per eccellenza di questo cereale che gode di un buon apprezzamento per la sua unicità e qualità. Coltivato su terreni che arrivano sino a 1000 metri d’altitudine, la raccolta avviene in estate. La lavorazione avviene ancora con macchinari semplici. L’agricoltura a basso impatto ambientale è tipica di questo territorio che un’ambita meta turistica a basso costo, anche come base per visitare il resto della Toscana. La posizione è strategica, tra mare, montagna e città d’arte, conservando alcune delle più golose tradizioni culinarie toscane. In Garfagnana si coltivano più di 100 ettari per una produzione complessiva superiore a 1200 quintali. Il Disciplinare di Produzione per il Farro della Garfagnana IGP prevede una produzione massima di 25 quintali per ettaro, che si riducono a non più di 15 quintali dopo la lavorazione. I Comuni con le maggiori produzioni sono Piazza al Serchio, San Romano e Giuncugnano dove si concentrano anche le maggiori superfici coltivate. Oggi il farro riveste una notevole importanza per l'economia locale, tenendo conto che contribuisce in modo considerevole alla integrazione del reddito di molte famiglie. Le aziende interessate alla coltivazione del farro sono oggi circa 90. L'ampiezza media è assai limitata, molte aziende coltivano meno di un ettaro, mentre circa il 10% coltiva una superficie superiore ai tre ettari. A seguito di un importante percorso di recupero e di valorizzazione di questa coltura è stata riconosciuta la Indicazione Geografica Protetta. Il farro viene di solito proposto in confezioni trasparenti per mostrare sia la somiglianza al grano ma contemporaneamente la sua specificità. Rustico, contadino, unico, così vuole apparire il farro anche nelle confezioni di paste, biscotti, salati a base di farina di farro. Di solito vengono utilizzati colori scuri, cupi, a ricordo della terra di Garfagnana. Un prodotto biologico per natura e per scelta, la cui naturalità è

ricordata con orgoglio in tutte le confezioni, in quanto si tratta di un caso unico di coltivazione dove la pianta si autodifende grazie alla sua natura botanica. Molto apprezzato nei negozi biologici, in particolare di Germania e Svizzera, negli ultimi anni ha visto aumentare l’esportazione soprattutto verso la Russia. Il farro era coltivato in Italia fin dall’età del bronzo, come testimoniano i ritrovamenti di alcuni semi di farro fra gli indumenti della “mummia

dei ghiacci”, ovvero l’uomo di Similaun. Il “puls” o “farratum” era un piatto tradizionale e di buon augurio, segno di abbondanza e fertilità, offerto agli sposi, e parte sostanziale, insieme al sale, della paga dei centurioni romani. A tutti gli Dei campestri, ma in particolare a Demetra, la Dea della terra, venivano offerti sale e chicchi di farro per propiziare un buon raccolto durante le “idi di marzo”. Anche nella Bibbia (Ezechiele 44-30) si cita con il nome ebreo di “Arisab” il farro. www.farrodellagarfagnana.it

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LA CASCIOTTA D’URBINO La Casciotta d’Urbino era il formaggio preferito dal grande artista Michelangelo, che realizzando il Mosè e la Pietà, non si faceva mancare questo formaggio. Il famoso artista era talmente appassionato di questo prodotto, da comprare diversi pascoli nel territorio di Urbania per non farsi mancare il latte fresco per la produzione. Formaggio definito di grande carattere aromatico, perché conserva il profumo del latte e delle erbe fresche primaverili è molto apprezzato per la sua versatilità in cucina, che lo rende adatto sia alla merenda che ai piatti più raffinati. Una ricetta semplice sempre con gli stessi ingredienti e modalità, che ha permesso alla casciotta di arrivare uguale dai giorni nostri, dal XVI secolo. Formaggio per 3/4 da latte ovino e per il restante vaccino, si presenta in un piacevole mix di dolce ed acido, tipico del latte fresco. Con il nome di caciotta sono presenti in Italia decine di formaggi generalmente morbidi. Di Casciotta, con l’aggiunta della s, esiste solo la varietà marchigiana che si caratterizza per il sapore gustoso e corposo ma sempre leggero, dovuto alla delicata maturazione di solo due settimane a cui viene sottoposto il formaggio. Il controllo dell’alimentazione degli animali per il latte delle casciotte e dell’umidità, è rigoroso e scrupoloso proprio per permettere di essere riconosciuto tra le tante eccellenze dei formaggi italiani. Le forme sono arrotondate, la crosta è sottile e la pasta di colore bianco paglierino. La consistenza molle e friabile allo stesso tempo esalta il gusto pieno e deciso di questo formaggio che continua a conquistare le tavole, per la capacità di essere forte all’olfatto e delicato al palato. La salatura fatta a mano e a secco, sono la conclusione artigianale di questa produzione. 20


Semplici regole conservate uguali per secoli, hanno permesso a questo formaggio da tavola di diventare un pregiato protagonista della migliore cucina italiana. Il territorio dal quale nasce questo formaggio è riconosciuto come bene mondiale dall’Unesco ed è un susseguirsi di colline verdi e fertile che dall’Appennino vanno verso il mare Adriatico. Capitale del biologico italiano, Urbino è città di grande cultura e di millenaria tradizione agricola. Vini, formaggio e pasta il meglio della sua apprezzata produzione. La casciotta fresca è la base dei numerosi formaggi di fossa stagionati, produzione tipiche di questo territorio. Un area geografica da sempre a vocazione agricola, dove il micro clima si mantiene regolare grazie alla sua conformazione. Ad un inverno sempre rigido e nevoso, segue una primavera asciutta e fresca, così da permettere la crescita spontanea dell’erbette fresche che danno il caratteristico sapore al latte ovino. La casciotta è strettamente legata all’economia di questo territorio che è una delle principali mete per turismo rurale in Europa. Il consorzio di produttori locali dedica a questo prelibato formaggio fresco un festival che si tiene tutti gli anni a maggio, che apre l’alta stagione del turismo enogastronomico nelle Marche. Una produzione che a seconda degli anni varia dalle 200 alle 300 tonnellate e che sino ai primi anni del 2000, era oltre il 90 % assorbito dal mercato italiano. L’esportazione sta crescendo tutti gli anni, soprattutto verso i paesi dell’Est, facendo della Casciotta d’Urbino uno dei formaggi più esportati verso la Russia, dopo il parmigiano e il pecorino. Presente anche e sempre in crescita anche sui mercati tedeschi, svizzeri ed austriaci, grazie anche al legame culturale ormai decennale, con l’agriturismo e le produzioni biologiche marchigiane. Un formaggio che si presenta in maniera semplice per lasciare protagonista il profumo e il sapore di questa particolare formaggio. Le forme sono avvolte in paraffina per impedirne la disidratazione e si presentano in pezzature dagli 800 ai 1200 grammi. Mantenere il grado di umidità ottimale e soprattutto costante è fondamentale per un formaggio

che ha nella parte aromatica, la sua più importante caratteristica. Il marchio ha sempre il volto di Michelangelo raffigurato con uno sfondo di arazzi medievali, per ricordare al consumatore, la storia e il territorio che questo formaggio porta a tavola. La Casciotta d’Urbino è un formaggio da tavola dal caratteristico sapore dolce acido, per tradizione viene consumata con pane bianco senza sale, accompagnata a fave, salumi, lardo, prosciutto. Può essere usata nella preparazione di tutti i piatti a base di uova o prosciutto, per insaporire la polenta abbrustolita, o consumata come piatto unico, accompagnata da verdure fresche. Mangiata a fine pasto, va tagliata a fettine molto sottili, posta sul piatto di portata e abbinata a confetture, marmellate, miele o fichi caramellati. Tipicamente italiano è l’abbinamento con le pere. I vini consigliati per l'abbinamento sono Rosso Piceno, Sangiovese dei Colli Pesaresi, Torgiano Rosso e Vino Nobile di Montepulciano. www.casciottadiurbino.it 21


IL LARDO DI COLONNATA Lardo di prima qualità, speziato e messo a stagionare nelle vasche di marmo strofinate d’aglio. Questa la ricetta semplice che permette la realizzazione di un prodotto eccellente che conquista il palato, partendo dalla vista e dall’olfatto. Una semplicità che però è precisione tecnica ed artigianale che proviene dall’utilizzo forzato delle conoscenze e dei materiali del territorio. Questo prodotto ha un sapore fresco, salato e dolce insieme, l’aspetto è bianco ed invitante, morbido ma sodo, con delle venature rosa che ricordano la naturalezza dell’alimento. Il profumo è gradevole e stimola l’appetito. Una storia secolare che ha portato il Lardo di Colonnata sulle tavole italiane e di tutto il mondo e che oggi è stato riscoperto dai grandi chef per l’inimitabile sapore e profumo e per la leggerezza di questo grasso animale al palato e nella realizzazione di ricette di lusso. La materia prima è il grasso che si trova sotto la cute del maiale. Gli ingredienti obbligatori per la lavorazione e la stagionatura del prodotto sono il sale marino naturale, pepe nero macinato, rosmarino freschissimo, aglio a grossi pezzi. L’aglio è anche utilizzato per strofinare le vasche prima della lavorazione e stagionatura. Una procedura rigorosa e controllata che è affiancata dalla scelta libera di ogni azienda di utilizzare in aggiunta anche altre erbe che debbono però essere assolutamente del territorio circostante. Così ogni azienda ha la sua variazione di profumo, potendo utilizzare anche cannella, anice stellato, coriandolo, noce moscata e chiodi di garofano. Il risultato è però sempre lo stesso: un prodotto invitante, facile da affettare, saporito, naturale e goloso. Le vasche di marmo che fanno da frigorifero naturale sono prodotte nelle cave bianchissime che sono 22


presenti nel territorio delle Alpi Apuane. Un angolo di Toscana, che sfiora le montagne di Liguria ed Emilia Romagna. Un paesaggio imbiancato tutti i giorni dell’anno, dalle presenze di questi grandi miniere a cielo aperto, da dove lo scintillante marmo che parte per tutto il mondo, rende questi luoghi un ambito set fotografico. In questo paesaggio, un pò fiaba e un pò industria c’è Colonnata, suggestivo borgo che guarda verso il mare ma protetto dalle montagne toscane. Un mix climatico che insieme alla qualità del marmo fanno il successo del Lardo di Colonnata. C’è infatti molto della chimica e della meteorologia di questo territorio nella storia gastronomica di questo prodotto. Il tasso di umidità, la precisione nello scegliere vasche di 2 cm, la cura degli ingredienti sono protagonisti. Originale ed unico il Lardo di Colonnata è il saporito biglietto di visita e il gustoso benvenuto in una terra ospitale e di grande suggestione. Poche decine le aziende locali, 1600 quintali di produzione, di cui oltre 300 vanno all’esportazione verso Francia, Germania, Inghilterra e Russia. Un prodotto che viene spesso imitato ma che non riesce mai a raggiungere la qualità garantita dal marchio, un rombo verde con un grosso maiale e le Alpi Apuane stilizzate. Un marchio che è gestito da un rigoroso Consorzio di produttori che controlla che siano esclusi sostanze liofilizzate, aromi sia naturali che artificiali, conservanti, additivi. La stagionatura che dura dai 6 mesi ai 10, l'umidità naturale delle grotte e la porosità delle pareti di marmo delle conche stabiliscono le condizioni naturali per la maturazione. Le analisi batteriologiche che hanno dimostrato che il metodo "antico" è straordinariamente efficace e non richiede trattamento chimico o conservanti artificiali. Il lardo di Colonnata IGP che si presenta bianco quasi rosato con la parte superiore ricoperta di sale marino di colore grigio-nero a causa delle spezie di cui è imbevuto. Lo spessore dei pezzi che varia dai 4 a 6 cm, come tradizione. Queste sono le rego-

le che costringono il packaging ad adeguarsi a presentare il prodotto in maniera fantasiosa. Viene distribuito sia nelle pratiche confezioni sottovuoto da 400 gr a 1 kg che nelle graziose conche di marmo di diverse misure a partire da 12 cm sino al mezzo metro di larghezza. Molte belle e richieste le confezioni con tagliere di marmo. Gustoso consumato crudo, anche nella cottura leggera mantiene il suo aroma, donando un marcato profumo senza appesantire il risultato finale. Consumato a fettine sul pane toscano è la sua destinazione naturale ma da poco si è fatta strada l’apprezzato utilizzo sulla pizza al posto dell’olio extra vergine. Una volta cotta la pizza, sia con il pomodoro che senza, si pongono sottili strisce di Lardo di Colonnata, sulle superficie calda appena sfornata e si serve immediatamente. Il risultato è straordinario sapore e di grande effetto scenico. Eccellente con le pizze a base di verdure fresche.

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INTERVISTA A MARCO SANTUCCI Il lardo di Colonnata ha una lunga e antica storia di sapore e tradizione artigianale, Se Lei dovesse definire il lardo di Colonnata a un consumatore straniero che non lo ha mai assaggiato come lo descriverebbe? Il lardo di colonnata IGP non è semplicemente, come alcuni potrebbero pensare, un grasso da cucinare. Il microclima, l’ambiente, le conche di marmo bianco dei “canaloni” valorizzano questo prodotto elevandolo da semplice grasso a vero e proprio salume da gustare e da abbinare a innumerevoli ricette o da mangiare con del semplice pane. Il lardo “millesimé” sta suscitando grande interesse e curiosità nel mondo della gastronomia e degli chef titolati. Come nasce questa idea? L’idea nasce dalla ricerca di un prodotto qualitativamente superiore, fatto di materie prime eccellenti selezionate personalmente da me. A che punto è il progetto del lardo millesimé e a quale fetta di mercato pensate di rivolgere il prodotto? Il nostro prodotto è rivolto ad un pubblico e ad un target di alto livello che conosce ed apprezza un alimento ricco di proprietà organolettiche, e soprattutto a cucine e chef che ne sappiano trarre il meglio e che gli rendano giustizia. Con questo escludo la grande distribuzione, infatti il progetto e riservato ad una linea di ristorazione, la distribuzione sarà selezionata. Oltre alle differenze di sapore e maturazione quali sono le principali differenze tra lardo Igp standard e quello millesimato ?

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L’ ulteriore stagionatura prolungata conferisce al prodotto caratteristiche aggiunte: il nostro millesimato spicca in morbidezza e delicatezza, qualità apprezzabili da chiunque. Gli aromi della salamoia penetrano lasciando una traccia maggiore, sensibilmente piacevole. Da un punto di vista dell’esportazione, il lardo di Colonnata su quali mercati esteri è più richiesto? L’Italia è sicuramente il mercato più importante e la cucina italiana ha già molte ricette a base di lardo o con il lardo come ingrediente fondamentale. Anche mercati come quello francese sono molto importanti per un prodotto come un lardo riserva, poiché la raffinata cucina francese riesce ad esaltarne il gusto e le sua semplicità, allo stesso tempo mercati nordici riuscirebbero a saper apprezzare il nostro prodotto. Ci racconta la Sua storia di norcino? Come è nata questa passione artigianale? Nel lontano 1955 mio padre aprì la sua attività di macelleria e di norcino, anni di esperienza nel commercio all’ingrosso e al dettaglio e la perfetta conoscenza delle materie prime come manzo e suino, mi sono state trasmesse proprio da lui. Nel 1981 ho aperto un mio negozio di macelleria e lavorazione carni suine. Nel 2007 ho aperto il laboratorio di via Alberto Maffiori a Colonnata dedicandomi anche alla produzione di un prodotto della tradizione dei nostri luoghi cercando di valorizzarne al meglio la storia e le sue caratteristiche. A oggi la nostra Larderia ha ottenuto dei riconoscimenti ed è apprezzata da sempre più persone e esperti del settore gastronomico. Colonnata, lardo, turismo enogastronomico. Facciamo il punto della situazione? Colonnata è un piccolo borgo di grandi lavoratori abituati alle fatiche legate all’estrazione del famoso marmo di Carrara nelle cave vicine, il lardo nasce come alimento adatto a sfamare e a dare energia ai nostri cavato25


ri. Questo prodotto aveva due grandi qualità adatte a diventare un alimento così importante per la dieta “cararina”: un grande potere calorico e la possibilità di essere conservato a lungo. Quasi per caso si scopri che il lardo se fatto stagionare in una salamoia acquistava anche grandi proprietà organolettiche. Ma ora il lardo non è più un semplice companatico ma diventa protagonista di piatti della tradizione e delle cucine più raffinate, trovo molto importante che la gente scopra o riscopra un prodotto ricco di storia e tradizione e ritengo che il borgo di Colonnata debba attirare in più modi possibili il maggior numero consumatori per far apprezzare sempre più la tradizione e la semplicità che caratterizzano questo prodotto. La sagra del lardo che si tiene in estate è un evento molto seguito. Qual’è il suo futuro ? La sagra del lardo di Colonnata è una occasione veramente importante per far conoscere al mondo intero un prodotto unico, di nicchia, speciale. Ritengo, però, che non sia sfruttata al meglio e che non riesca veramente a valorizzare la nostra tradizione. Un prodotto eccezionale come il nostro deve essere il protagonista della festa, tutto deve essere incentrato sul questo prodotto, ogni cosa proposta deve avere come elemento chiave il lardo. Marco Santucci come preferisce mangiare il lardo, qual’è la sua ricetta preferita? A mio parere il Lardo di Colonnata IGP è buono in ogni modo, ma se proprio dovessi scegliere una ricetta in particolare ritengo che l’abbinamento “mare monti” di gamberoni grigliati e lardo di colonnata IGP sono un accoppiata perfetta da gustare come antipasto o come sostanzioso secondo.

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LAUDEMIO IL MEGLIO DELL’OLIO TOSCANO Nel Medioevo il “laudemio” era il fiore del raccolto, la parte destinata alla tavola dei nobili. Oggi il marchio Laudemio è il simbolo sulle tavole degli intenditori di tutto il mondo della grande arte olearia di Toscana e dei suoi capolavori. Storia, tradizione, genuinità, rispetto del territorio e dell'ambiente sono le regole dell'intero processo produttivo di Laudemio, dalla naturale coltivazione degli oliveti alla raccolta selezionata del frutto, nel suo perfetto stato di maturazione. Dopo la raccolta l’oliva si appresta a trasformarsi in quello che è chiamato l’oro verde di Toscana, attraverso l'estrazione rigorosamente a freddo, fino all'imbottigliamento e all'accurata conservazione del prodotto. Le aziende che producono le olive per questo prezioso olio, affidano il loro prodotto a specifici organismi di controllo e due severissime commissioni di degustazione, che provvedono alla selezione finale: solo l'olio extravergine migliore dei migliori produttori, un olio perfettamente genuino, integro e dalla straordinaria personalità, potrà avere il marchio Laudemio. Ecco perché ogni goccia di Laudemio è l'espressione unica e inimitabile del frutto, del luogo, del tempo e della mano del singolo produttore da cui ha preso vita. Le colline che sovrastano la valle di Firenze e dell’Arno, sono il luogo ideale per la coltivazione biologica, in quanto l’altitudine preserva le olive dagli attacchi delle mosche. Nel comune di Reggello a quasi 400 metri si estende per oltre 300 ettari la fattoria I Bonsi, incastonata in un territorio collinare e montano tra le città di Firenze ed Arezzo. Qui viene prodotto un olio certificato biologico della Tenuta I Bonsi, che si caratterizza per il colore verde intenso, un aroma potente e deciso 27


con profumi vegetali di erbe fresche, gusto raffinato che ricorda il carciofo fresco, sino ad arrivare al piccante e amaro sapore e profumo di oliva matura. L’olio di questa fattoria partecipa come protagonista alla produzione del Laudemio. Presso la tenuta che è anche un raffinato agriturismo in tipico sapore toscano è possibile vedere le antiche cantine, nonché degustare i prodotti dell’azienda tra cui un miele straordinario, sempre biologico. Le altre aziende che seguono la rigida procedura di coltivazione e trasformazione delle olive, sono sparse tra le famose colline di San Gimignano, sino alla provincia di Arezzo. La gran parte delle aziende sono però concentrate in quella corona verde, che da Firenze porta verso le montagne dell’Appennino, attraversando comuni come Fiesole, Bagno a Ripoli e Pontassieve.

tappi, che devono permettere all’olio di respirare ma allo stesso tempo di conservarsi perfettamente in profumo e sapore. Eccellente a crudo su pane, legumi e carne, è anche l’ingrediente prezioso di un tipico dolce toscano, il castagnaccio. Ingredienti per 6 persone: 1/2 kg di farina di castagne, 250 ml di acqua naturale, 50 gr di pinoli, 6 noci, un ciuffetto di rosmarino, sale, olio Laudemio. Disporre la farina con circa la metà delle noci e dei pinoli in una ciotola e aggiungere l’acqua e un pizzico di sale, mescolando con cura. Ungere un tegame con Laudemio in abbondanza e versare l’impasto di farina di castagne, noci e pinoli. Aggiungere l’altra metà delle noci e dei pinoli e il rosmarino. Spruzzare nuovamente con Laudemio e infornare. Cuocere in forno per circa mezz’ora a 160°. Si può mangiare caldo o freddo. www.laudemio.it

Forte della tradizione dell’export del vino, questo territorio non ha avuto difficoltà a far crescere anche l’export di olio. Il Laudemio e in generale gli oli biologici della Toscana, aumentano la loro fascia di mercato anno per anno. Riservato ad un settore di consumatori attenti alla qualità e allo stile, si è imposto in Germania e negli Usa come olio prezioso e di assoluta sicurezza. Un marchio che nonostante la concorrenza degli altri paesi mediterranei, ha permesso agli oli di Toscana a vincere in tutte le classifiche per l’esportazione di prodotti alimentari di lusso. Presente in tutte le ricette dell'alta gastronomia, potente, prezioso, prelibato, naturalmente ricco di intensi sapori e di fragranti sostanze aromatiche, il Laudemio è racchiuso in uno scrigno di vetro dal design austero ed elegante che ne esalta i luminosi riflessi. Laudemio è l'autentica concentrazione dei profumi e dei sapori delle colline di Toscana. Per queste sue caratteristiche di unicità, anche il packaging è stato costruito per far risaltare il legame con il Made in Toscana. Bottiglie da 500 ml, etichette con una base di gigli fiorentini, vetro lavorato e decorato, disegni di tipici paesaggi e monumenti toscani. Una grande attenzione è dedicata anche ai 28


LA VIA TOSCANA DEL PEPERONCINO BIOLOGICO L’Italia è una delle principali produttrici di peperoncino al mondo, grazie alla capacità di numerose aziende di selezionare le varietà più adatte ad una lunga conservazione. Il peperoncino italiano si caratterizza per una minore piccantezza ma un imbattibile supremazia per il profumo e il sapore. Un mix delicato ed aromatico, in cui la forza non va a nascondere la gradevolezza della spezia. Il peperoncino più piccante si trova in Calabria e soprattutto nella zona ionica. Via che si risale l’Italia la piccantezza si va addolcendo sino ad arrivare in Toscana, dove troviamo una delle più importanti produzioni biologiche al mondo, la Peperita, azienda agricola che si trova nel cuore della Toscana nelle vicinanze di Bolgheri, nel comune di Bibbona in provincia di Livorno. Opera in una delle zone pianeggianti dell'Alta Maremma a pochi minuti dalla costa del mare Tirreno, dove gode di un clima temperato caldo per un lungo periodo dell' anno. In questo territorio l’agricoltura biologica ha avuto una grande crescita con una fitta rete di imprenditori che hanno sviluppato anche il fenomeno dell’agriturismo, così da far degustare i propri prodotti, ortofrutta, vini ed oli in particolare, ai loro ospiti. La Peperita sviluppa la sua pregiata produzione su 6 ettari, di cui una parte all'interno del podere "I Doccioni". La coltivazione con metodo biologico e biodinamico, ha il riconoscimento certificato dalla CCPB e dalla DEMETER che sono al top delle agenzie di certificazione in Europa. Una certificazione voluta fortemente da 29


Rita Salvadori, famosa artista italiana che si divide tra i suoi dipinti esposti in diverse gallerie d’arte e l’amore della terra e delle produzioni biologiche. L’azienda L’azienda di Rita Salvadori, oltre ai campi di peperoncino, produce ortaggi, olio d’oliva e frutta. Tutti i prodotti sono preparati nel laboratorio di trasformazione all'interno di un casale tipicamente toscano restaurato con spirito tradizionale con materiali e tecniche di bioarchitettura. La produzione di peperoncino è stata una solitaria ma vincente avventura agricola, che ha seguito una produzione di olio extra vergine d’oliva di elevatissima qualità da tre generazioni. Tutto è cominciato proprio con la produzione di olio extra vergine di oliva toscano aromatizzato al peperoncino che ha fatto conoscere al mercato internazionale questo peperoncino biologico, coltivato tra mare e collina.

Come si presenta Tutte le produzioni, risentono della vena artistica della conduttrice, con un packaging che presenta in maniera elegante e raffinata sia la semplice polvere di peperoncino che i prodotti come il paté, il cioccolato e la confettura. Confezioni che si fanno ricordare per la forma, la grafica e ovviamente per il contenuto, garantito sempre senza zuccheri, conservanti, aromi. Se l’olio aromatizzato al peperoncino continua ad essere il prodotto più apprezzato, i tritati freschi sono la novità che stanno conquistando il mercato tradizionale. Un prodotto che conserva un maggiore fascino e sapore nell’uso in cucina rispetto al tradizionale peperoncino tritato. L’azienda nel suo ricco catalogo anche online, non ha dimenticato di rendere molto variegato il grado di piccantezza delle sue produzioni. www.peperita.it

La storia Tutto è iniziato con 600 piante di peperoncino piantate. Dopo la raccolta e trasformazione fu chiara l’assoluta necessità di produrre in proprio gli ingredienti da utilizzare per i prodotti Peperita. L'evoluzione fu inevitabile: sono oltre 25.000 le piante coltivate con metodo biologico/biodinamico attualmente nel campo e derivano per il 90% da semi della stessa coltivazione. La restante parte riguarda piante utilizzate per la creazione di nuovi prodotti o per la valutazione di cultivar particolari o che provengono da regali di amici del peperoncino che quando girano il mondo si ricordano di Rita Salvadori.

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LO ZAFFERANO DELL’AQUILA Un aroma e un colore unico. La capacità di non somigliare a nessuno altro sulla tavola. Quello dell’Aquila contiene oltre 150 sostanze volatili, responsabili del sapore e del profumo. Utilizzato nella cucina iberica e mediorientale, è la chiave di successo di numerosi piatti tradizionali regionali italiani, in particolare per il riso. Uno degli esempi famosi è il risotto alla milanese, il cui colore giallo è dovuto all’uso dello zafferano. Tra le ricette più apprezzate che vedono il suo utilizzo, ci sono le tagliatelle con verdure, gli gnocchi conditi con semplice salsa di pomodoro, il couscous ma anche arrosti ed in particolare pollo e carni di agnello. Di recente creazione e di grande successo internazionale l’utilizzo anche nella cucina di pesce, in particolare per i pesci grassi come il salmone e per le cozze. Un pò spezia, un pò ingrediente, lo zafferano dell’Aquila è il prodotto finito di una lunga lavorazione dal bulbo, ai fiori, agli stimmi, sino a ricavarne la preziosa polvere. Una produzione artigianale, dove le mani sono lo strumento indispensabile per ottenere questa eccellenza. Impossibile descrivere l’aroma dello zafferano. Chimici, cuochi, esperti gastronomi, storici del cibo hanno cercato di scoprire il segreto che fa di quello dell’Aquila, il più apprezzato dagli zafferani ma le opinioni sono diverse e al consumatore interessa solo di avere la garanzia che ogni volta che utilizza questa spezia di montagna, il risultato, eccellente, sarà sempre lo stesso. Lo Zafferano dell’Aquila viene coltivato da quasi un millennio in questo angolo di Abruzzo, in particolare nella “piana di Navelli”, territorio tra i comuni di Civitaretenga e Navelli. La zona dove viene prodotta è un luogo montagnoso che guarda verso l’Adriatico di una aspra bellezza per la quale si possono solo utilizzare superlativi. E’ la spezia coltivata più in alto, in tutta Europa. Le unicità dello zafferano continuano anche nella sto31


ria botanica: essendo una pianta sterile che si riproduce attraverso i bulbi, è considerato un fossile vivente, avendo l’identico patrimonio genetico da sempre. A questo prodotto è stato riconosciuta la Denominazione di Origine Protetta da parte dell’Unione Europea. L’origine del nome “zafferano” può essere ricondotta al termine latino safranum che, a sua volta, è di derivazione araba e deriva da za’faran che significa semplicemente “giallo”. Si parla dello zafferano dell'Aquila anche nel film Ratatouille, film d’animazione tra i più visti nella storia del cinema dove “L'Aquila saffron” viene definito eccellente, dal protagonista Rémy, un piccolo topo che sogna di diventare chef.La ricchezza in antiossidanti e sostanze minerali come il magnesio e il manganese, fa dello zafferano una sorta di antidepressivo naturale. E’ in corso una ricerca scientifica riguardo le capacità di inibire il deposito di alcune proteine presenti nel cervello umano quando si è in presenza della malattia di Alzheimer. Come si presenta Essendo l’aroma, il cuore di questa spezia è il vetro che accoglie al meglio gli stimmi provenienti dalle terre aquilane. Eleganti anche le confezioni in carta pensate per l’esportazione, dove la semplicità dei loghi, richiama la semplicità di queste terre. Alle immagini naif si contrappone l’altissima tecnologia nella produzione di queste confezioni che debbono preservare a lungo aromi e capacità di colorazione. Mai plastica per lo zafferano dell’Aquila venduto, in polvere oppure in fili e filamenti integri. Il packaging tiene conto anche delle esigenze di conservazione asciutta, al riparo dalle fonti di calore e dalla luce del sole. Per questo sia il vetro che la carta sono adattati allo zafferano. Il Consorzio Da una terra di storiche tradizioni culinarie come l’Abruzzo, arriva il Consorzio che tutela lo zafferano dell’Aquila, delimitando in maniera

precisa l’area di produzione. Quasi dieci anni di presenza nazionale ed internazionale per promuovere questa spezia che è considerata l’oro vermiglio di queste montagne. Grazie allo zafferano queste aree hanno potuto far conoscere i propri prodotti in tutto il mondo, trasformando una economia contadina in una solida storia di successo e di sapore. www. zafferanodop.it 32


SPAGHETTI ALL’AMATRICIANA E NON SOLO Spaghetti e subito viene in mente sapore d’Italia. La pasta più famosa del mondo con le sue mille versioni gustose ha anche qualche campione. Come nel caso degli spaghetti all’amatriciana, un concentrato di sapori autentici italiani. Pasta, pomodoro, carne di maiale, olio, vino, formaggio pecorino. I gusti più schietti delle tavole contadine che conquistano il mondo. Dal cuore goloso dell’Appennino in provincia di Rieti, una ricetta che racconta con toni decisi e schietti le eccellenze rustiche del territorio: gli spaghetti, il guanciale di maiale, il vino bianco secco, il peperoncino, il pecorino e ovviamente il pomodoro che arriva da tutta la regione. La tradizione degli spaghetti è legata alla presenza dei pastifici tra i più antichi in Italia che grazie alla ricchezza d’acqua del territorio, producevano pasta per la vicina capitale Roma. Il guanciale di maiale, anima saporita del piatto è il grasso della guancia, considerato il più prelibato in quanto percorso da piccoli muscoli, che lo rendono più leggero ma anche più profumato. Il vino bianco secco tradizionalmente utilizzato è quello dei colli della Sabina a marchio doc, sempre della provincia di Rieti. I puristi della ricetta, considerano insostituibile questo vino paglierino, molto asciutto ma assolutamente armonico. Il pecorino è quello chiarissimo dei Monti della Laga nel centro Italia, che circondano Amatrice in un abbraccio panoramico e geografico, che difende questo altipiano da inquinamento e turismo di massa. Latte ovino misto a capra ma al massimo sino al 30 %, dalla consistenza grassa e dal sapore salato e piccante. Il peperoncino di questo territorio è quello di una tradizione secolare che da Colombo in poi, ha visto questi paesi di montagna, utilizzarlo come conservante al po33


sto del più costoso sale. La tipicità e la garanzia di qualità di questi prodotti è preservata con una gelosia e con un senso del bene comune, che ha visto i produttori locali, accettare con entusiasmo i controlli per le certificazioni. Le altre eccellenze di Amatrice sono la Marotta, la mortadella a grana finissima di sola carne suina con lardello centrale. Una volta preparata, viene incastrata in due stecche di nocciolo, per tenerlo schiacciata. Farro di varietà tra le più antiche del Mediterraneo e mele dal persistente profumo prodotte anche biologicamente sono gli altri prodotti apprezzati. La produzione biologica in questo territorio si è consolidata negli ultimi 20 anni, grazie al mancato avvento dell’agricoltura intensiva. Negli ultimi anni la produzione di miele millefiori di montagna si è aggiunta dolcemente al paniere di sapori del territorio. Un miele anche in questo caso unico, per le venature brune di colore, sapore e odore, dovute alle incursioni delle api nei castagneti. Prodotti che nel km zero tutto italiano, trovano la benzina per arrivare in tutto il mondo.

Come si presenta Spaghetti, bucatini, salsa di pomodoro, vino. Tutto quello che arriva da questo territorio si presenta in maniera semplice e sincera perché è il prodotto che vuole essere protagonista assoluto. Alla semplicità fa da contrasto il richiamo forte e orgoglioso, nelle etichette e nelle presentazioni ad Amatrice e all’Italia. Un localismo continuamente evocato anche nelle confezioni di pasta prodotta in Lazio, dove i simboli della regione sono molto evidenziati. Chi compra un prodotto proveniente da Amatrice, oltre al sapore vede nella confezione che viene da quel mondo contadino e piacevolmente isolato delle montagne del centro Italia. www.saporiterreamatriciane.it

Un territorio ricco di sapore Alle porte del Parco Nazionale del Gran Sasso, arrampicata su un altopiano a quasi 1000 metri, c’è Amatrice il borgo che ha esportato gli spaghetti all’amatriciana in tutto il mondo Gli spaghetti all’Amatriciana in versione rossa con il pomodoro o bianca è la malcelata scusa per presentare anche le eccellenze di questo territorio che pur essendo isolato, grazie alla posizione sulla antica Via Salaria, alla vicinanza con Roma e con il polo turistico invernale del Gran Sasso, approfitta del suo contesto, per produrre eccellenze, senza contaminazioni, culturali ed ambientali. Una ricetta che è considerata un tesoro nazionale, tanto che agli ingredienti degli spaghetti all'amatriciana è stato dedicato un francobollo, policromo e dentellato, emesso dalla Repubblica Italiana, del valore di 0,60 €. 34


BIANCO O NERO, BASTA CHE SIA UMBRO Il tartufo è un tubero che con il suo odore, le leggende, la storia ha conquistato il mondo partendo dai boschi più straordinari delle montagne italiane. Raro, pregiato ma molto versatile in cucina, aggiunge raffinatezza, gusto e decisione ai piatti. Una forza elegante per il palato esigente ma anche per gli amanti dei sapori di campagna. Una doppia faccia, nobile e contadina, che attira l’attenzione come una calamita di sapore. La parola tartufo a tavola evoca subito la parola saporito. L’Italia è terra di tartufi, dove i produttori locali di tutte le regioni, difendono senza arretrare di un passo, il presunto primo posto, del proprio tubero, nella classifica del sapore e del pregio alimentare. Una guerra alimentare a colpi di bilancino, grattugia, ricette tipiche e conta delle esportazioni e dei devoti del tartufo, provenienti soprattutto da Nord America e Medio Oriente. In Umbria, cuore verde del centro Italia ed in particolare nella provincia di Perugia, terra di preistorica tradizione del tartufo la lotta si sposta sul colore. Bianco o nero ? La contesa è apertissima e non trova soluzione per la gioia degli amanti del sapore. In questo territorio, cuore verde dell’Italia e intriso della misticità povera di San Francesco, questo prodotto di lusso, vede unite le comunità locali e gli imprenditori per far conoscere il tartufo bianco o nero che sia in tutto il mondo. Quello bianco matura fra settembre e dicembre, nei boschi incantati di nocciolo, pioppo, salice e tiglio. Con l’appellativo di bianco quello che arriva sulle tavole è un tubero di colore giallo ocra che profuma intensamente con sentori d'aglio e di formaggio grana. Ideale da consumare a crudo, su insalate, pasta e in generale primi piatti e per impreziosire, ortaggi e legumi cotti. Quello nero sprigiona il massimo del suo fascino organolettico sulla fiamma e viene utilizzato in cotture comunque deli35


cate. Con il suo colore cupo, le venature lucide e le macchie ferruginose, il tartufo nero viene considerato il fratello povero del più pregiato tartufo bianco. Sapori forti, intensi, che regalano agli amanti della cucina non banale, una emozione di gusto ma anche di storia italiana. Storia d’Italia quella del tartufo ma anche eccellenza umbra che porta con se l’odore del lusso e del sapore ma anche l’odore della storia. La leggenda lo vede nascere dal fulmine scagliato contro una quercia da Giove. Il tartufo umbro, attraversa in silenzio e sospetto il medioevo, dove veniva visto come cibo da streghe per poi rifiorire nel suo meritato apprezzamento durante il Rinascimento, quando la ricerca dei tartufi con i cani, divenne un elegante gioco di corte. A far conoscere i tartufi umbri, ci penseranno poi alcuni personaggi celebri, tra cui il Conte Cavour che pur venendo dal Piemonte, altro distretto di produzione del tubero, utilizzava questi perugini per le sue astuzie diplomatiche con il Vaticano. Gioacchino Rossini, lo definì il Mozart dei funghi mentre Lord Byron lo teneva sulla scrivania, affinché il suo intenso aroma stimolasse la creatività. Profumo intenso di Umbria Norcia, Scheggino, Cascia, Pietralunga, Citerna, Gubbio, Città di Castello e Valtopina, sono i paesi che brillano della luce dei tartufi. Proprio per il suo valore prezioso che non è solo quello economico, i grandi chef considerano il tartufo umbro, come un gioiello che non può mancare nelle grandi occasioni culinarie, come un gioiello non può mancare negli eventi più importanti, per completare il look. Questi paesi della provincia di Perugia, tutto l’anno sono legati alla produzione del tartufo, che ha i suoi momenti di gloria anche d’estate con lo scorzone, un tartufo anch’esso molto apprezzato. A far conoscere i tartufi della provincia di Perugia, la Camera di Commercio con il progetto imprenditoriale Tipicamente Umbria. Una terra stretta tra i due mari italiani, non più Lazio, non ancora Toscana, orgogliosa di questo suo tubero.

Museo del tartufo Il Museo del Tartufo si trova nel cuore di Scheggino,un paesino di 488 abitanti, famoso nel mondo grazie al tartufo. Un borgo incantato, simbolo di una Italia lenta e saporita, il classico paese presepe, dove il tartufo è economia ma anche amore per la terra e la tradizione culinaria. Il fiume Nera attraversa il centro storico del paese, ricordando al visitatore quanto vale la natura in queste terre. Il museo del tartufo, situato nella sede della prima azienda che inizio ad esportarlo, è una esperienza che racconta le vicende della famiglia Urbani, i più importanti tartufai dell’Umbria. Dalle foto in bianco e nero si conosce come procedeva la ricerca, lavorazione, conservazione e diffusione del prezioso tubero. I cavatori di un tempo, i volti delle donne operaie, le prime donne a lavorare fuori casa, tante storie che raccontano sapori ed economia. Come le fatture scritte a mano, telegrammi e lettere ricevute dagli Stati Uniti, dove parte della famiglia Urbani si era trasferita per diffondere la cultura del tartufo. Come si presenta E’ il vetro, il contenitore tipico che accompagna il tartufo e soprattutto i prodotti a base di tartufo in giro per il mondo. Importante per gli amanti di questi sapori, lo specifico tagliatartufo, rigorosamente in acciaio, per trattare con delicatezza ma anche con decisione il prezioso tubero. La delicatezza del tubero che viene conservato al fresco e gelosamente attaccato alla terra che lo ricopriva, viene esaltata dalle confezioni rustiche in cartone che avvolgono l’amico vetro e che proteggono il tartufo dalla luce. Salse, olio al tartufo, creme, composte, pasta, fonduta, burro e farina al tartufo, corredano la ricca offerta di questo tubero. per gli chef e i gastronomi di tutto il mondo. Museo del tartufo www.urbanitartufi.it

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MIELE DI LUNIGIANA IL SAPORE PERFETTO Sono considerati i più saporiti e puri mieli italiani. Acacia e castagno dalla Lunigiana, il territorio montano in Toscana al confine con Liguria ed Emilia, sono due eccellenze di qualità, che portano gli esperti a definirli mieli perfetti. Un territorio omogeneo che permette una produzione costante, uniforme, ecologica. Un ambiente naturale intatto, non compromesso da industrializzazione e da inquinamenti forzati, che garantisce un prodotto finale completamente sano. La presenza secolare spontanea di alberi di Castagno ed Acacia, garantiscono produzioni competitive per le caratteristiche organolettiche e con fioriture tali da consentire sicure produzioni monoflorali. L’Istituto di Entomologia Agraria di Perugia, che è considerato esperto mondiale per le produzioni di mieli, considera il miele della Lunigiana un "unicum" per sapore, qualità, aroma e soprattutto quantità di sostanze benefiche di cui il miele è ricco. La Lunigiana Il territorio interessato alla produzione del "Miele della Lunigiana" si estende per circa 100.000 ettari della provincia di Massa-Carrara, con borghi e paesi rurali di grande suggestione e ricchezza culinaria e gastronomica. La specializzazione del miele in Lunigiana non ha eguali in Europa, essendo utilizzato abitualmente da millenni nelle attività di tutti i giorni come ingrediente nelle ricette e alternativa ai medicinali e cosmetici. Il territorio è vocato per l' apicoltura per l'assenza quasi assoluta di sostanze inquinanti, 37


per la favorevole successione di fioriture e per la presenza di essenze vegetali pregiate. Il paesaggio della Lunigiana è tipicamente montano ma la vicinanza al mare, ha determinato uno specifico microclima. Un susseguirsi di campagne di alta collina e di boschi, che coprono quasi due terzi del territorio. Denominazione Origine Protetta La produzione di miele millefiori di montagna, tradizionale in questa zona di Toscana, ha lasciato sempre più spazio negli ultimi decenni, alle produzioni pregiate di Acacia e Castagno, proprio per le caratteristiche di alta qualità. Una produzione così specializzata da avere il riconoscimento del marchio Dop, grazie anche alla differenza di composizione, rispetto agli altri mieli italiani, di uguale varietà. Il marchio, insieme al marketing turistico, legato all’assenza di inquinamento, ha permesso uno sviluppo del mercato, sino ad arrivare all’estero. Un miele di cui gli apicoltori vanno fieri, perché le analisi chimiche hanno dimostrato la superiorità del loro prodotto. Una qualità che ha permesso la nascita di una vera e propria industria della trasformazione del miele, con dolci tipici, conserve, liquori. Purissima Acacia di Lunigiana Il miele di acacia della Lunigiana si mantiene a lungo liquido e limpido e si presenta quindi in questo stato durante tutto il periodo di commercializzazione. Il colore è chiarissimo, dal giallo paglierino sino all’incolore. L'odore è leggero, poco persistente e volatile e dunque particolarmente adatto per il consumo in cucina. L’Acacia di Lunigiana ha un marcato profumo fruttato, confettato, incredibilmente uguale a quello dei fiori freschi. Il sapore è decisamente dolce, con una piacevole e leggerissima acidità, senza alcun retrogusto di amarezza. Un miele molto delicato dalla consistenza sempre viscosa, grazie al basso contenuto di acqua che non supera mai il 18 %.

L'acacia, introdotta in Europa dal Nord America nel XVII secolo, compare in Italia circa 200 anni fa, dove si è diffusa non solo a scopi ornamentali, ma anche forestali divenendo spontanea in tutto il territorio e tendendo a comportarsi come infestante. Attualmente la provincia di Massa-Carrara è fra quelle in Italia a più alta concentrazione di boschi di acacia. Le api vi bottinano grandi quantità di nettare durante la fioritura, breve ma molto intensa, che avviene in primavera. L’intenso sapore del castagno Il miele di castagno è considerato il miele più salutare in assoluto e quello di Lunigiana il più ricco di sostanze attive come ferro, vitami38


ne, aminoacidi ed altri sali minerali. Anche questo miele si mantiene per lungo tempo allo stato liquido, presentando a volte una leggera cristallizzazione. Il colore è di un suggestivo ambra scuro con tonalità rossastra. L'odore è forte e penetrante, il sapore persistente con componente amara più o meno accentuata e retro gusto dai caratteri simili a quelli dell’odore. Al contrario dell’acacia il miele di castagno di Lunigiana è ricco di polline, caratteristica che lo rende particolarmente saporito e di elevata qualità. Utilizzato nei dolci e come rimedio di cura, è una prelibatezza che ha conquistato gli amanti dei cibi naturali e salutari. Il miele di castagno di Lunigiana è il simbolo della purezza di questa produzione per l’intensità del colore, del sapore e dell’aroma. Un miele bello anche da vedere. Le api frequentano il castagno durante il periodo di fioritura che avviene nei mesi di giugno-luglio. Una fioritura, breve ma intensa, che frutta alle api grandi quantità di nettare. I numeri delle api La Lunigiana è un ambiente vocato per l'apicoltura perchè la scarsa presenza dell’uomo ed il limitatissimo sviluppo industriale hanno preservato le componenti naturali. L'apicoltura è quindi capillarmente diffusa nel territorio con caratteristiche di purezza particolarmente accentuate, che vengono inoltre esaltate da procedimenti di estrazione, lavorazione e confezionamento tradizionali. La purezza degli aromi e la conformità agli standard di assaggio sono caratteristiche costanti da lungo tempo, come testimoniano i numerosi premi e riconoscimenti ottenuti con regolarità nelle manifestazioni più prestigiose a carattere internazionale. 60 apicoltori, quasi 4000 arnie, 15 imprese di trasformazione e confezionamento, per una produzione che varia dalle 100 alle 200 tonnellate annue, con una differenza che può essere molto accentuata da un anno ad un

altro, per via della naturalità dell’intera filiera, che risente positivamente o negativamente delle condizioni climatiche. Dalla Lunigiana alle tavole europee Fino a qualche anno fa la produzione si manteneva in un perfetto equilibrio 50 a 50. Metà andava al consumo locale, essendo il miele consumato in grandi quantità dagli abitanti della Lunigiana e un altra metà andava in tutta Italia, soprattutto nella grande distribuzione. I riconoscimenti internazionali e lo sviluppo del turismo verde rurale, hanno permesso da qualche anno ai mieli di Lunigiana di arrivare anche al mercato estero. E’ soprattutto la Germania, con i suoi negozi di alimentazione naturale ad assorbire l’esportazione. In particolare il miele di Castagno di Lunigiana La semplice dolcezza del packaging 39


Il marchio e niente altro praticamente. Il miele di Lunigiana viaggia nei mercati nazionali ed esteri solo con la forza del colore dell’acacia e del castagno, che brilla nei vasetti di vetro trasparente da 500 gr, che è la confezione tipica. Le etichette hanno sempre colore chiaro, nelle diverse tonalità del giallo, quasi a volersi confondere con il contenuto. Sempre in vista la certificazione di origine protetta, per garantire al consumatore, un prodotto davvero di qualità superiore. Un’immagine che può sembrare quasi umile ma che vuole trasmettere la naturalità e la forza della semplicità di un prodotto così buono e prezioso. Honey Spritz Creato da Simone Corsini dell’Istituto Minuto di Marina di Massa, questo cocktail è la dimostrazione che un prodotto rurale può diventare ingrediente principale di un drink alla moda. Ingredienti: 3,0 cl. Vodka, 1,5 cl. Orange stock, 2,5 cl. Aperol, 3,0 cl. Schweppes Tonica, 5 Gocce di angostura, 2 Tea spoon di Miele di Castagno Lunigiana D.O.P. Strumento Boston Shaker.Bicchiere da medium drink. Schiacciare il Boston Shaker. Aggiungere Vodka, Orange stock, Aperol, angostura e miele e shakerare energicamente. Servire, completare con la tonica Schweppes e decorare con guarnizione di agrumi e chiodi di garofano. Ricette tradizionali con Miele di Lunigiana Dop Pecorino grigliato e Miele della Lunigiana DOP Per questa preparazione serve Miele di Castagno e Pecorino Toscano semistagionato. Le fette di pecorino (alte 1 cm) vanno grigliate da

ambedue le parti e servite calde coperte ognuna da un cucchiaino di miele bollente. Biscotti integrali al Miele della Lunigiana DOP Per prepararli serve farina integrale di frumento, Miele di Acacia e di Castagno, olio extravergine di oliva, un pizzico di vanillina e un po’ di lievito per i dolci. Gli ingredienti vanno accuratamente impastati nella dose 3 cucchiai di miele e 2 di olio ogni 200 grammi di farina. Infine si aggiunge il lievito e la vanillina. Con un matterello si stende la sfoglia spessa un paio di millimetri. Si lascia riposare la pasta per mezz’ora e si ritagliano i biscotti aiutandosi con un bicchierino. Si cuociono in forno caldo a 180°C per 15 minuti.

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Saverio Pepe Racconto luoghi e sapori, racconto tradizioni e nuove frontiere forse non più nuove. Spiego e imparo di turismo “minore”: per gli Uffizi hanno già scritto in tanti, io vi parlo delle piccole Isole Frisone o della strade delle ciliegie e del vino in Friuli. Mi interessa il cibo come arte, il viaggio che ha il sapore della storia, la natura che si sente a suo agio nella contemporaneità, un pò come me. Ho una formazione di operatore della comunicazione multimediale, guida turistica, operatore erboristico e di terapie naturali. Le mie parole chiave sono turismo naturalistico, enologico, gastronomico, museale e termale, alimentazione naturale, tradizioni culinarie, eccellenze locali, terapie dolci, medicine alternative, agricoltura biologica, trasporti, ambiente, cosmesi naturale, animali, treni. Ho database tematici, contatti diffusi, un potente Mac, una scrivania di 3 metri, un versatile Lumia 1520, un Ipad della prima generazione, una eccellente Reflex, un appetito irrefrenabile non solo per il cibo ma anche per tutto quello che non conosco o che mi emoziona.

www.saveriopepe.eu

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