Il buono e tipico italiano

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Saverio Pepe - www.saveriopepe.eu

Le eccellenze della campagna italiana


Il buono e tipico italiano

Saverio Pepe Dalla lenticchia di Castelluccio alla Menta di Pancalieri, dall’aglio di Voghera alla cipolla Ramata di Montoro, dai fagioli di Sarconi al farro di Garfagnana, dai funghi di Borgotaro alla liquirizia calabrese, dalle patate di montagna al peperoncino bio toscano, dai peperoni di Carmagnola allo scalogno romagnolo, dai risi di Baraggia al vialone nano veronese, dal tartufo umbro allo zaerano aquilano. Il mio personale itinerario nei sapori di eccellenza delle campagne italiane.


Patate di montagna: un sapore ad alta quota

La patata piÚ saporita secondo gli chef? Quella coltivata a oltre 1000 metri d’altezza, nelle montagne calabresi della Sila. Iscritta nell’albo dei prodotti di montagna, ha un segreto vegetale che permette di avere un prodotto dal sapore eccellente.


Il segreto è la buccia, la più consistente ed impermeabile tra le patate coltivate in Europa. Una buccia che è una vera barriera che la natura ha donato a questa patata per difendersi dai grandi sbalzi di temperatura. Questa buccia protettiva, rende la patata meno sensibile agli attacchi batterici, ne concentra gli aromi e gli amidi. La patata della Sila si presenta all’interno con un colore giallo crema ed ha un sapore molto accentuato e gradevole, con sfumature dolci, che sono accentuate dalle cotture come la frittura e quella al forno. Un prodotto che è il simbolo dei sapori delle montagne del Mediterraneo. Amido amido e ancora amido Oltre alla buccia dura e tenace, il sapore di questa particolare patata è data dalla grande quantità di amidi. Questo permette di avere un prodotto saporito e versatile in cucina, che rilascia il suo gusto dolce ed assorbe i condimenti, come l’olio e le spezie. Un prodotto perfetto per le lunghe cotture e per le ricette del sud Italia. Il tempo di cottura più lungo, decisamente al di sopra della media delle altre patate, permette agli amidi di rilasciare ancora meglio la parte dolce ed aromatica. Tutto sapore niente chimica L'utilizzo di acqua di sorgente per l'irrigazione dei campi, le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte che riducono quasi a zero l’attacco dei parassiti, le basse temperature invernali che

consentono di conservare il prodotto senza l'utilizzo di trattamenti chimici anti germoglianti, rappresentano un insieme di caratteristiche che fanno di queste patate di montagna, un tubero dalla dolcezza tutta naturale e un’azione di tutela ecologica ed economica di un territorio aspro e bellissimo, dove l’agricoltura da forma familiare di micro economia è diventata un modo per raccontare al mondo le eccellenze del sud Italia meno conosciuto ed isolato. Una lunga storia di dolcezza Risalgono al XIX secolo le prime testimonianze ufficiali della coltivazione delle patate sull'Altopiano della Sila. La sua produzione rappresenta da sempre un'importante risorsa economica per la zona e per questo le famiglie contadine ne hanno tramandato le tecniche di generazione in generazione per decenni. Oggi, sono ben 1.200 le famiglie coinvolte nella sua coltivazione. La Patata della Sila tutelata dal marchio IGP della Comunità Europea, è prodotta in sei diverse varietà e si presenta di forma tonda oppure ovale, con un calibro tra i 3 e i 7 cm. La patata del Parco La produzione delle patate avviene in un ambiente incontaminato, nel cuore del Parco Nazionale della Sila. Incastonato nel cuore del mare Mediterraneo, con un’altitudine media di circa 1300 m, l'altopiano Silano con i suoi 20.000 ettari di campi coltivati a patate, rappresenta uno dei distretti europei più grandi nella produzione del dolce tubero.

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Situato in un'area della Calabria tra le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone, l'Altopiano della Sila è un autentico paradiso di montagna nel cuore dell'area Mediterranea. La natura è protagonista incontrastata degli scenari della Sila, dominati dall'immensa foresta di faggi e conifere che la ricopre. In questo incredibile scenario si sviluppa la coltivazione delle patate.

In viaggio verso l’Europa Da prodotto di montagna a eccellenza riconosciuta a livello europeo. In pochi decenni questa patata dolce e saporita ha conquistato soprattutto i mercati inglesi e tedeschi. Gli agricoltori producono con metodi di lotta integrata applicando rigide norme per garantire lo standard di qualità e di naturalità della patata. Una struttura tecnica, formata da agronomi di grande esperienza, assiste le aziende nella fase di coltivazione, dalla preparazione del terreno alla raccolta. Le aziende agricole dispongono delle più moderne attrezzature per la produzione, garantendo un elevato standard qualitativo del prodotto. La raccolta avviene nei mesi di settembre e ottobre, momento in cui le temperature sull'altopiano Silano sono già abbastanza basse, periodo ideale per iniziare la fase di conservazione. Un prodotto di montagna con un altissimo livello di tecnologia produttiva e di distribuzione, così la patata della Sila ha conquistato l’Europa.

Packaging minimalista Sacchi e reti a vista per portare le patate in giro per l’Italia e l’Europa. Semplici, riciclabili, resistenti. Ci pensa la spessa buccia a preservare le qualità del prodotto. Il marchio che accompagna le patate della Sila, ricorda in maniera forte la montagna calabrese con le sue vette e suoi altipiani. Un packaging semplice, ridotto al minimo per ricordare che si tratta di un prodotto naturale, che viene da un territorio rurale, dove la tradizione agricola si è unita alla tecnologia per far conoscere il sapore di una patata inimitabile. Patate à la carte Studiata, analizzata, comparata: la patata della Sila non ha concorrenti per quanto riguarda la frittura. La ricchezza di amidi, i profumi piacevoli e invitanti racchiusi nelle fibre, sono esaltati dalla frittura in olio bollente. Numerose le ricette tradizionali che dalla Calabria sono state portate in tutto il mondo, grazie agli emigrati. Pasta, patate e uova, pasta e patate al forno, pasta, patate e zucchine, pasta patate finocchio selvatico e carne, patate aglio, origano, pecorino. Questo il percorso tradizionale calabrese delle ricette ma la grande versatilità e il sapore molto accentuato, hanno reso protagoniste le patate della Sila anche nelle preparazioni di dolci e soprattutto nell’accompagnare le portate di pesce nelle tavole più raffinate. Sono numerosi i ristoranti a cinque stelle, soprattutto in Inghilterra, che hanno un filo diretto con i produttori locali per avere a tavola, un prodotto considerato insostituibile nelle preparazioni di alto livello.

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Contatti: Consorzio di Tutela Patata della Sila IGP Via Forgitelle 28 - Camigliatello Silano 87058 Spezzano della Sila (CS) 0984570568 www.patatadellasilaigp.com

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Lo Zafferano dell’Aquila Un aroma e un colore unico. La capacità di non somigliare a nessuno altro sulla tavola. Quello dell’Aquila contiene oltre 150 sostanze volatili, responsabili del sapore e del profumo. Utilizzato nella cucina iberica e mediorientale, è la chiave di successo di numerosi piatti tradizionali regionali italiani, in particolare per il riso. Uno degli esempi famosi è il risotto alla milanese, il cui colore giallo è dovuto all’uso dello zafferano. Tra le ricette più apprezzate che vedono il suo utilizzo, ci sono le tagliatelle con verdure, gli gnocchi conditi con semplice salsa di pomodoro, il couscous ma anche arrosti ed in particolare pollo e carni di agnello. Di recente creazione e di grande successo internazionale l’utilizzo anche nella cucina di pesce, in particolare per i pesci grassi come il salmone e per le cozze. Un pò spezia, un pò ingrediente, lo zafferano dell’Aquila è il prodotto finito di una lunga lavorazione dal bulbo, ai fiori, agli stimmi, sino a ricavarne la preziosa polvere. Una produzione artigianale, dove le mani sono lo strumento indispensabile per ottenere questa eccellenza. Impossibile descrivere l’aroma dello zafferano. Chimici, cuochi, esperti gastronomi, storici del cibo hanno cercato di scoprire il segreto che fa di quello dell’Aquila, il più apprezzato dagli zafferani ma le opinioni sono diverse e al consumatore interessa solo di avere la garanzia che ogni volta che utilizza questa spezia di montagna, il risultato, eccellente, sarà sempre lo stesso. 6


Lo Zafferano dell’Aquila viene coltivato da quasi un millennio in questo angolo di Abruzzo, in particolare nella “piana di Navelli”, territorio tra i comuni di Civitaretenga e Navelli. La zona dove viene prodotta è un luogo montagnoso che guarda verso l’Adriatico di una aspra bellezza per la quale si possono solo utilizzare superlativi. E’ la spezia coltivata più in alto, in tutta Europa. Le unicità dello zafferano continuano anche nella storia botanica: essendo una pianta sterile che si riproduce attraverso i bulbi, è considerato un fossile vivente, avendo l’identico patrimonio genetico da sempre. A questo prodotto è stato riconosciuta la Denominazione di Origine Protetta da parte dell’Unione Europea. Curiosità L’origine del nome “zafferano” può essere ricondotta al termine latino safranum che, a sua volta, è di derivazione araba e deriva da za’faran che significa semplicemente “giallo”. Si parla dello zafferano dell'Aquila anche nel film Ratatouille, film d’animazione tra i più visti nella storia del cinema dove “L'Aquila saffron” viene definito eccellente, dal protagonista Rémy, un piccolo topo che sogna di diventare chef. La ricchezza in antiossidanti e sostanze minerali come il magnesio e il manganese, fa dello zafferano una sorta di antidepressivo naturale.

E’ in corso una ricerca scientifica riguardo le capacità di inibire il deposito di alcune proteine presenti nel cervello umano quando si è in presenza della malattia di Alzheimer.

Come si presenta Essendo l’aroma, il cuore di questa spezia è il vetro che accoglie al meglio gli stimmi provenienti dalle terre aquilane. Eleganti anche le confezioni in carta pensate per l’esportazione, dove la semplicità dei loghi, richiama la semplicità di queste terre. Alle immagini naif si contrappone l’altissima tecnologia nella produzione di queste confezioni che debbono preservare a lungo aromi e capacità di colorazione. Mai plastica per lo zafferano dell’Aquila venduto, in polvere oppure in fili e filamenti integri. Il packaging tiene conto anche delle esigenze di conservazione asciutta, al riparo dalle fonti di calore e dalla luce del sole. Per questo sia il vetro che la carta sono adattati allo zafferano. Il Consorzio Da una terra di storiche tradizioni culinarie come l’Abruzzo, arriva il Consorzio che tutela lo zafferano dell’Aquila, delimitando in maniera precisa l’area di produzione. Quasi dieci anni di presenza nazionale ed internazionale per promuovere questa spezia che è considerata l’oro vermiglio di queste montagne.

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Grazie allo zafferano queste aree hanno potuto far conoscere i propri prodotti in tutto il mondo, trasformando una economia contadina in una solida storia di successo e di sapore.

Il Convegno e il Libro Nel 2014 si è tenuto il convegno "Zafferano Zaafran, Risorsa Economica, Turistica e Culturale" progetto nati da un’idea del Fotoreporter Luciano D’Angeloe dell’artista figurativo Sandro Visca. E’ stato presentato il volume che racconta la storia di questo territorio e della produzione. Ambiente sociale, tradizione, economia, in un lavoro iconografico e fotografico durato oltre due anni racchiuso in un prezioso volume di 144 pagine. Con-

tatti

Zaffe-

rano Zaafran

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Menta pancalieri: profumo totale

Tra le tante eccellenze italiane spiccano anche le erbe officinali e in particolare la menta piperita. Da Pancalieri, comune famoso per la produzione di erbe officinali alle porte di Torino arriva una varietà particolare di menta che è riconosciuta internazionalmente come la migliore al mondo.


Un record di consensi che non ha mai avuto confronti, in quanto diversi studi scientifici e catalogazioni aromatiche e botaniche hanno stabilito che la menta di Pancalieri è la più equilibrata e dall’aroma più gradevole e fresco tra le varietà di menta che si producono. Fine, raffinata, intensa, rinfrescante mai sgradevole o irritante, persistente, lungamente aromatica dall’olfatto sino al gusto, questa varietà definita “Officinalis Sole” è trasformata in gran parte in olio essenziale ad uso alimentare e liquoristico. Una trasformazione che avviene esclusivamente dalla distillazione a corrente di vapore dell'erba verde, in pianta intera non tritata. Un procedimento che permette di conservare il cuore aromatico di questa pianta, che alla quantità preferisce la qualità, per continuare ad essere la menta senza confronti. Servono 10 quintali di menta fresca per ottenere 3 kg di olio essenziale ma bastano davvero poche gocce per rendere unico qualsiasi prodotto. La menta milleusi Dalla cucina, alla cosmesi, dai liquori alla pasticceria, la menta di Pancalieri è il tocco che rende inimitabile una lunga serie di prodotti. Dal cioccolato alla menta, allo sciroppo rinfrescante e terapeutico, dagli estratti da utilizzare come le spezie, dai dolcetti alle caramelle, dagli infusi benefici alle preparazioni con miele e da utilizzare in cucina per dare un tocco di freschezza ai secondi, alle insalate e alla macedonie. Sono tantissimi gli usi dei concentrati di questa incredibile pianta, studiata in maniera precisa per capire il segreto della sua piacevolezza. Un segreto che è tutto botanico ed è fatto di un preciso identikit di oli, di essenze, di mento-

lo e di altre sostanze definite “terpeni”. Da ingrediente che rende unico il prodotto con cui viene mescolato, la menta di Pancalieri è diventata una sorta di aroma tutto fare, spesso usato anche in cucina e sempre più in ambito dolciario, come i gelati alla menta e le preparazioni da bere. Un particolare utilizzo è quello per aromatizzare prodotti come le ciliegie e addirittura i peperoni. Una combinazione insolita e golosa. Come ingrediente principale o come protagonista secondario di liquori di diversa gradazione, si propone con la sua intensità che persiste e si fa notare al primo impatto. Per questo è particolarmente pregiata negli amari e nei liquori più leggeri da aperitivo. Molto apprezzato in questo ambito è il Rampin, liquore al cioccolato e menta. Nei bar più esclusivi e raffinati è possibile trovare lo sciroppo di menta di Pancalieri allo zucchero di canna, base per il Mojito rinforzato e per altri cocktail viene servito anche liscio: un solo cucchiaio con ghiaccio tritato o acqua fredda per ottenere la bevanda più tonica e rinfrescante. Quella vera è trasparente Verde menta è addirittura un colore che viene indicato in pittura, nella moda, nell’arredamento. Lo sciroppo di menta che forse è il prodotto più conosciuto dai consumatori è proposto addiritttura nella versione verde scuro. La menta di Pancalieri, nella sua versione liquida è invece trasparente come l’acqua con riflessi brillanti dovuti agli oli essenziali. Una trasparenza che vuole sottolineare la naturalezza di questo prodotto e anche le capacità salutistiche. Oltre ad essere un ingrediente che si fa notare, l’estratto di menta ha capacità digestive, disinfettanti e calmanti. 10


Secoli di profumi La coltivazione della menta, comunque, risale al XVII secolo in Italia e particolarmente in Piemonte, Già nel 1865, il farmacista di Pancalieri Chiaffredo Gamba coltivava la menta e la distillava in proprio con un alambicco da 100 litri. Una produzione nata dopo l’avvento delle fibre sintetiche che portò alla crisi della coltivazione della canapa. Oggi tra distillerie ed alambicchi, la menta di Pancalieri è diventata il gioiello verde delle produzioni piemontesi di eccellenza, richiesto dalle più importanti aziende dolciarie e liquoristiche del mondo. La storia di questo prodotto si ritrova nelle aziende del territorio, dove è possibile acquistare, degustare e conoscere le fasi della lavorazione, per far conoscere al cliente la menta, dalla coltivazione alla trasformazione in sapore e odore per le tavole e il palato. La terra delle erbe Il 50% della produzione italiana di erbe officinali proviene dai fertili terreni che circondano Pancalieri, piccolo centro agricolo della provincia di Torino. Qui i campi si estendono là dove un tempo scorreva tortuosamente il Po e la terra argillosa è ancora finissima e ricca di silicio, adattissima alla coltivazione delle erbe aromatiche e in particolare della menta piperita. La Menta Piperita viene coltivata in pieno campo presso le aziende agricole di questo territorio, con il comune di Pancalieri che viene definito “Isola d’erba” rappresentando il centro storico di appartenenza di quel prodotto dell'agricoltura locale, conosciuto tutt'oggi come olio essenziale di menta piperita di Pancalieri.

7.000 kg di olio essenziale all’anno, una resa non altissima ma di altissima qualità. Germania, Olanda e sempre di più Giappone, i paesi più interessati a questo particolare prodotto di grandissima qualità. Anche negli Usa e in particolare nei negozi di eccellenze alimentari di Chicago, New York, San Francisco, è possibile trovare lo sciroppo, le essenze, i liquori, i dolci con l’inconfondibile odore e sapore della Menta di Pancalieri. L’eleganza trasparente della menta Vetro, bianco e qualche concessione al tradizionale liberty piemontese. Questo il packaging che caratterizza le confezioni dei prodotti realizzati dalle aziende di Pancalieri che vanno in giro per il mondo. La trasparenza e il minimalismo elegante e raffinato delle confezioni e dei colori serve ad accentuare quella trasparenza dell’estratto di menta che può sembrare insolita, in quanto il consumatore è abituato all’idea di menta di colore verde. In particolare le bottiglie e i prodotti dolciari hanno uno stile retrò che ricorda gli anni 20, gli anni in cui la menta di Pancalieri partì alla conquista del mondo. Contatti: ESSENZIALMENTA Responsabile Mirella Chiattone Via Pinerolo 7 b 10060 Pancalieri (Torino) www.essenzialmenta.it info@essenzialmenta.it

Un odore d’Italia che conquista il mondo 11


La lenticchia di Castelluccio

Piccola, tenera e buonissima Così piccola da non sembra neanche una lenticchia. Così saporita da non sembrare un legume. Così naturale da essere apprezzata anche solo con filo d’olio.


L’inconfondibile sapore della lenticchia di Castelluccio nasce in Umbria, ad un'altitudine di 1500 m, nel cuore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Seminata non appena la neve si scioglie, è la protagonista della Festa della Fioritura, che nelle ultime settimane di Giugno regala ai turisti un incredibile spettacolo floreale. Dopo aver aver il riconoscimento europeo IGP, i produttori locali sono impegnati a conservare le genuine tecniche di coltivazione che non prevedono l'utilizzo di concimazioni chimiche. La lenticchia di Castelluccio è unica anche per il suo aspetto policromo che va dal tigrato ai diversi tipi di giallo, sino alle sfumature delicate o intense del marrone.

teine e sali minerali. E’ stata definita per secoli dalle popolazioni italiane come la carne dei poveri. Le moderne ricerche scientifiche, hanno confermato le importanti qualità nutritive, utili per chi necessita di una dieta ricca di ferro, potassio e fosforo, povera di grassi e molto nutritiva. La buccia particolarmente fine e tenera consente di cuocere direttamente il prodotto, senza che questo venga messo a bagno come accade per gli altri legumi. Questo permette di conservare meglio il sapore e le capacità nutrizionali.

Naturalmente bio

Suggestiva frazione del famoso comune di Norcia, si raggiunge tramite una strada panoramica, che offre i migliori paesaggi agricoli italiani di montagna e alta collina. Edificata nel XIII secolo, la sua storia ha origini più antiche, come testimoniano i ritrovamenti di alcuni oggetti appartenenti all’epoca romana che testimoniano la coltivazione della lenticchia da diversi millenni. Alle pendici del Monte Vettore si trova il Piangrande, una vasta pianura dove viene coltivata la lenticchia di Castelluccio e altri legumi. Nei giorni che precedono l'estate, il territorio si colora con tanti fiori dalle differenti tonalità, che creano una serie di sfumature uniche. L’estate è molto breve e con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Ad accentuare le proprietà climatiche, la forma della vallata, derivata da un grande lago montano. Il terreno risulta essere ricco di materiale organico e calcare, che sono alla base del forte sapore di questa lenticchia.

Grazie alle condizioni climatiche molto rigide in cui nasce, la lenticchia di Castelluccio è l’unico legume che non ha bisogno di essere trattato per la conservazione perché non è attaccata dagli insetti che si nutrono dei legumi. La lenticchia di Castelluccio ha una straordinaria resistenza alla siccità e al freddo dei lunghi inverni dell’Appennino italiano, caratteristica che porta nel piatto il sapore e la consistenza inimitabili. Questa lenticchia, grazie solo alle strategie della pianta per resistere al clima difficile, non ha bisogno di diserbanti e pesticidi nella coltivazione. Una caratteristica botanica unica al mondo.

La carne dei poveri

Castelluccio

Sempre grazie alle caratteristiche di resistenza al clima, questa piccola lenticchia diventa ad essiccazione un concentrato di pro13


L’export Una garanzia europea Essendo un prodotto unico al mondo, per tutelare il consumatore in modo efficace e proteggere il prodotto da eventuali contraffazioni nel 1997 la Comunità Europea ha conferito alla lenticchia di Castelluccio il riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta), risolvendo così il problema della presenza di lenticchie di piccole dimensioni vendute come lenticchia di Castelluccio. Il marchio, presente anche su tutte le confezioni, ha permesso di differenziare al meglio questo prodotto, facendolo diventare un must del biologico e della cucina naturale internazionale.

La superficie coltivata a lenticchie è di circa 250 ettari, con una produzione media annua di circa 2000 quintali. Piccoli numeri ma grande attenzione da parte del mercato anche internazionale. Il sapore deciso e la delicatezza del legume, ha conquistato, grazie anche alle sue caratteristiche ecologiche, i mercati esteri. Nonostante si possa considerare un prodotto di nicchia, l’alta considerazione dei consumatori lo ha portato nello spazio dei prodotti biologici di lusso, dove lusso non si intende l’alto prezzo ma la produzione limitata nelle quantità e nel tempo. Germania, Austria e Svizzera i principali paesi importatori, con la Russia che conquista anno dopo anno sempre maggiori quantità, del piccolo ma importante mercato estero della lenticchia.

Tecnologia Alla forza della natura, i produttori locali, hanno associato le attrezzature tecnologiche di ultima generazione, per controllare il processo di pulitura e confezionamento dei prodotti. Bilance a pesatura elettronica, selezionatrici ottica, macchina x-ray e metal detector, garantiscono l’assenza di qualsiasi tipo di impurità all’interno della merce confezionata. Ogni volta si verifichi un errore o venga rilevata la presenza di un corpo estraneo all’interno di una partita di merce si ricorre alle procedure previste dal piano di autocontrollo. Questo efficiente sistema protettivo moderno, serve ai produttori per conservare la qualità e le caratteristiche naturali, per servire le più importanti catene di distribuzione.

Packaging naturale Principalmente juta e cartone per le confezioni che devono garantire l’inalterabilità delle caratteristiche di sapore e naturalezza del prodotto. Commercializzate in confezioni dal peso di 250 gr, 500 gr o un Kg, devono avere una specifica copertura sigillante, per impedire che il contenuto possa venire toccato senza la rottura del sigillo. Sui contenitori, le lenticchie originali, devono essere indicate, in caratteri di stampa delle medesime dimensioni, le diciture "Lenticchia di Castelluccio di Norcia" e "Indicazione Geografica Protetta", oltre al nome del produttore e all’annata di produzione.

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La ricetta tipica Nonostante sia un legume molto versatile che si presta sia alle preparazioni semplici, che alle raffinate portate dei grandi chef, la zuppa tradizionale di lenticchie, resta il modo migliore per gustare il sapore unico di questo prodotto della montagna pulita italiana. Per 4 persone : 
 400 gr. di lenticchia di Castelluccio di Norcia, 1 litro di acqua, 1 gambo di sedano, 1 spicchio di aglio, sale e pepe.
 Si versano le lenticchie in un tegame, possibilmente di coccio, si aggiunge l’acqua, il sedano e l’aglio. A fiamma bassa si lascia cuocere per 40 minuti circa. Solo a cottura ultimata si aggiunge il sale il pepe macinato. La zuppa viene servita su crostini di pane tostati, aromatizzati con aglio e abbondante olio extra vergine d’oliva. Contatti: Cooperativa Lenticchia di Castelluccio Via del Lavoro snc 06046 Norcia (PG) Tel. e Fax: 0743817073 E-mail: parcosereno@libero.it www.lenticchiacastelluccio.it

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Aglio di Voghiera delicato per natura

Delicato e raffinato, l’Aglio di Voghiera Dop rende speciale ogni piatto da gourmet. Un condimento naturale che dà gusto e profumo a moltissimi piatti della cucina classica e creativa.


Rinomato per il suo gusto dolce, non pungente ma con retrogusto fresco, è la sintesi naturale di enzimi, vitamine, flavonoidi e sali minerali che insieme creano un’anima aromatica e genetica inimitabile. E’ proprio questa caratteristica di unicità di sapore che ha fatto conquistare a questo prodotto della provincia di Ferrara, la Dop (denominazione origine protetta). Il colore bianco davvero luminoso e il bulbo di grandi, sono i primi aspetti che il consumatore nota, oltre alla forma perfettamente rotondeggiante, composta da bulbilli uniti in maniera precisa. Oltre al colore bianchissimo, al sapore piacevole, alla forma compatta, deve il suo successo alla capacità di conservarsi a lungo, senza deteriorarsi. Per mantenerne intatta la delicatezza, gli spicchi si possono lasciare interi o “in camicia” ovvero con la buccia. L’aroma intenso si sprigiona meglio tramite schiacciamento nel mortaio o tritato con coltello. Il suo sapore gentile e mai fastidioso, si accompagna a un tipico aroma, caratterizzato dall’abbondante presenza di allicina, potente battericida che si sviluppa al momento dello schiacciamento o del taglio degli spicchi. Conservare il sapore e il profumo Dotato di grande conservabilità, l’aglio di Voghiera Dop si mantiene inalterato per lunghi periodi. I bulbi vanno appesi in un luogo fresco, asciutto e ben ventilato. In alternativa, gli spicchi si possono sbucciare e poi congelare. Il suo sapore gentile e mai troppo acre si accompagna a un tipico aroma, caratterizzato dalla gradevolezza su ogni piatto. Queste caratteristiche lo rendono molto digeribile e apprezzato anche da chi non ama l’aglio tradizionale. Sia l’essicazione, che il congelamento non fanno diminuire il sapore e il profumo. Per queste caratteristiche, pur essendo

un tipico prodotto regionale, ben si presta all’esportazione e alla trasformazione. La terra dell’aglio Sapore simbolo della secolare tradizione agricola e culinaria romagnola, l’Aglio di Voghiera Dop è legato fortemente al territorio d’origine. Coltivato dal Medioevo nella fertile Pianura Padana Ferrarese, ecosistema dalle condizioni climatiche specifiche, da sempre adatta alla produzione di aglio. Fin dall’epoca degli Estensi, signori di Ferrara dal XIII al XVI secolo, l’area dell’antica Voghenza, oggi Voghiera, era stata destinata alla coltivazione di piante da orto, erbe aromatiche e soprattutto aglio. Dopo la fine della dominazione estense, i contadini e i grandi proprietari terrieri di queste campagne, un tempo situate lungo il corso del fiume Po, hanno portato avanti la coltivazione dell’aglio che si è mantenuta fino ai nostri giorni. Grazie al suolo leggero, con sabbie di origini fluviali, argilloso e limoso, che favorisce l’equilibrio tra sapore e aroma, le caratteristiche organolettiche dell’Aglio di Voghiera Dop sono insuperabili e lo distinguono, fin dal primo assaggio, da ogni altro tipo di aglio. Le caratteristiche di produzione sono legate alla componente argillosa di questi terreni, che favorisce il drenaggio sotterraneo delle acque, oltre al clima della zona. La produzione è limitata al solo territorio dei comuni di Voghiera, Masi Torello, Portomaggiore, Argenta e Ferrara. Dalla coltivazione alla raccolta L’aglio non nasce dai semi prodotti dal suggestivo fiore ma tramite l’interramento dei bulbilli migliori, scelti con cura. Ogni anno, infatti, tra settembre e novembre, i migliori bulbilli di Aglio di 17


Voghiera Dop della coltura precedente sono selezionati manualmente e piantati. Solo quelli più sani e compatti sono utilizzati. Questa cura nella scelta ha permesso nei secoli di conservare un prodotto di eccellenza e di grande impatto sul gusto. Prima di essere seminati, sono scaldati intorni ai 30° per dieci ore, in modo da eliminare l’umidità. Occorrono da 600 a 1300 kg di bulbilli per ogni ettaro di terreno. La maturazione avviene tra i primi giorni di giugno e gli ultimi di luglio, quando si effettua la raccolta. Bulbi e steli, tradizionalmente lavorati a mano, sono fatti essiccare e in seguito confezionati in vari formati. Il clima particolare delle campagne di Voghiera, unito alle competenze dei produttori e alla cultura artigianale, permettono al consumatore di assaporare in tavola un prodotto unico. I numeri dell’aglio Sono 36 le aziende che producono questo aglio pregiato, raggiungendo ogni anno, quasi 10.000 tonnellate di Aglio di Voghiera DOP, per un fatturato di circa un milione di euro. Una produzione di nicchia ma molto seguita dagli amanti dei sapori italiani di qualità. Il 90 % della produzione è assorbita dal mercato locale e nazionale. Il restante va soprattutto in Germania e Inghilterra, dove è richiesto dai ristoranti più famosi e prestigiosi. Il consorzio produttori è molto attivo con fiere, manifestazioni, eventi, soprattutto in estate per la promozione di questo aglio, approfittando della numerosa presenza di turisti stranieri, sul lungo mare Adriatico e il delta del fiume Po’, a soli 40 km dalla cittadina. Fresco, semisecco, secco

L'aglio di Voghiera Dop è commercializzato nelle categorie Extra (calibro minimo 45 mm) e Prima (calibro minimo 40 mm). È venduto fresco entro cinque giorni dalla raccolta, semisecco tra il 6° e il 10° giorno o secco dall'11° giorno in poi. Essiccato in modo assolutamente naturale, quando è fresco ha lo stelo ancora verde. Quando diventa semisecco, lo stelo diventa bianco, per diventare infine completamente secco. L’Aglio di Voghiera Dop è disponibile in trecce da 500 g a 2 kg, in retino da 100 g a 500 g e in sacco da 1 kg a 5 kg. Le conserve Oltre all’aglio al naturale da preparare in cucina per ogni tipo di preparazione ma soprattutto con pasta e pesce, l’aglio di Voghiera è commercializzato anche conservato sott’olio. Una prelibatezza che accompagna in particolare gli antipasti di mare. È venduto anche in crema, dove il sapore e l’aroma sono intensi e piacevoli da utilizzare su verdure cotte, patate o carne. Da qualche anno è venduto anche con l’aggiunta di cren piccante, un’accoppiata molto aromatica e molto dolce insieme, eccellente soprattutto sulla carne bollita. La bruschetta italiana Il modo migliore per gustare questo aglio dal sapore unico è la tipica bruschetta della tradizione culinaria italiana. Si utilizza pane casereccio non morbido, ancora meglio se cotto al forno e senza additivi. Il pane va tostato in forno per dieci minuti a fiamma media. Poi si sfrega l’aglio Dop di Voghiera tagliato a metà, uno per ogni fetta. Si bagna con poche gocce d’olio extra vergine d’oliva e qualche foglia di timo o altra erba aromatica a piacere. Si ri18


mette in forno caldo sotto il grill per altri tre minuti e si servono calde. Prima di metterle in forno si può anche cospargere le fette di parmigiano grattugiato, oppure dopo averle passate in forno per la seconda volta, si può servire la bruschetta con pomodori freschi e basilico.

Contatti: Consorzio produttori Aglio di Voghiera 
 Sede operativa e vendita: Borgo Le AIE
 Via Provinciale, 15 - 44019 Gualdo di Voghiera (FE)
 Telefono e Fax: 0532.328046 
 www.agliodivoghiera.it 
 info@agliodivoghiera.it

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Il prezioso vialone nano veronese: l’oro bianco dei risi italiani

Bianco, perlaceo al centro, profumato e saporito. Tra le tante varietà di riso che vengono prodotte in Italia, il vialone nano veronese si presenta con chicchi di media grandezza e tondeggianti. Il successo di questo riso è dovuto alla capacità di rilasciare quasi interamente le grandi capacità di amido. Questo permette al riso di mantenersi compatto anche nelle cotture prolungate e di dare alla preparazioni culinarie un aroma intenso e persistente ma molto delicato.


La mantecatura che si ottiene con questo riso è di eccellente qualità e delicatezza. Sapore, aroma e versatilità fanno di questo chicco un ricercato ingrediente base. E’ considerato uno dei migliori risi della tradizione italiana tanto da ottenere il marchio di indicazione geografica protetta (IGP). Per i veneti, questo riso è un prodotto speciale tanto che il modo di cottura regionale risulta unico e si chiama "all'onda": il riso viene cotto in pochissimo liquido, in modo che il chicco acquisti il gusto dagli altri ingredienti. Questo prodotto arriva al consumatore dopo un processo di lavorazione molto semplice. I chicchi di riso grezzo vengono privati degli involucri esterni e poi sbiancati solo per sfregamento. La tecnologia moderna facilita e perfeziona il lavoro dell'uomo, ma il prodotto arriva sulla tavola dei buongustai senza aver subito interventi chimici, né manipolazioni. La denominazione di origine protetta "Vialone Nano Veronese" è riservata al riso ottenuto solo da coltivazioni della specie japonica vialone nano. È stato ottenuto nel 1937 presso la Stazione Sperimentale di Risicoltura di Vercelli incrociando la varietà Vialone e Nano. Ha però trovato nei territori ricchi di limo e sabbia della provincia di Verona il suo habitat naturale. Un territorio che si estende intorno a Isola della Scala, grande comune agricola della provincia di Verona, nel cuore verde del Veneto. Un insieme di comune attraversati da acque e ricchi di sorgenti che durante i 155 giorni del ciclo del riso, inondano i terreni agricoli. Una produzione che caratterizza il panorama urbano di questi comuni riuniti nel Consorzio di tutela del riso. Una malinconia del paesaggio celebrata da pittori e poeti che si contrappone alla intensa attività umana in campo agricolo. La bassa Veronese così è denomi-

nato questo territorio che degrada dalle colline ricche di vigneti alle pianure con i campi di riso. I paesi di questo territorio sono orgogliosi di questo riso che hanno fatto diventare una eccellenza e una ricchezza. “Oltre il 15% di export” con queste parole Gabriele Ferron, chef e titolare della riseria Ferron di Isola della Scala, ha raccontato la sua esperienza e la sua capacità di fare impresa. “Siamo un'antica riseria, nata addirittura nel 1650. Oggi dopo 25 anni il nostro Vialone Nano Veronese IGP è conosciuto, apprezzato ed esportato in Giappone, Cina, Australia, Usa, Nuova Zelanda e Canada”. Gabriele Ferron esporta un “riso di eccellenza” per chef, ristoranti e gourmand di tutto il mondo. Oltre all’orgoglio del principale produttore di questa varietà di riso, sono i numeri che descrivono il successo di questo prodotto. Le tonnellate di vialone nano veronese Igp prodotte ogni anno sono circa 450. Con il suo 1% sull’intera produzione italiana che fattura circa 1 miliardo di euro all’anno, questo riso ha trovato nella certificazione rigorosa e scrupolosa, la forza di mantenersi al top del gradimento internazionale, con una esportazione senza pari rispetto agli altri risi. Viene venduto in confezione da 1, 2 o 5 kg e la sigla Igp garantisce che tutto il prodotto è stato prodotto solo con azione meccanica e non chimica. La conservazione e la vendita è sempre in cartonati speciali o tessuti specifici per garantire un ambiente il più possibile asciutto. Come nel carattere della gente di questa pianura intensamente coltivata, anche le confezioni sono semplici, minimaliste, per far risaltare il prodotto e soprattutto il marchio che indica che solo da questo territorio viene prodotto. Poca at21


tenzione dunque a grafica e colori, moltissima alla qualità delle confezioni per garantirne il successo in cucina. Il riso vialone nano cuoce in circa 15 minuti. Le sue caratteristiche sono simili al pregiato riso Carnaroli ed è una squisita varietà particolarmente indicato per la preparazione di risotti e minestre in brodo, oltre che per le crocchette di riso ed i celebri arancini, polpette di riso con salsa di carne, oppure formaggio e vegetali, tradizionali cibi della cucina di strada italiana. Una ricetta tradizionale è il Risotto all’Isolana, ricetta tipica di Isola della Scala. Viene preparato con carne magra di vitello e lombata di maiale. Per insaporire il tutto si utilizzano rosmarino, sale, pepe, cannella e tanto Parmigiano Reggiano grattugiato. Nei risotti viene utilizzato in cottura l’Amarone della Valpolicella, un eccellente vino rosso veronese. Contatti: Consorzio di Tutela della I.G.P. Riso Nano Vialone Veronese 0457300089 www.risovialonenanoveronese.it info@risovialonenanoveronese.it Riseria Ferron 0457301022 www.risoferron.com latorre@risoferron.com 22


Tartufo: Bianco o nero, basta che sia umbro

Il tartufo è un tubero che con il suo odore e leggende ha conquistato il mondo partendo dai boschi piĂš straordinari delle montagne italiane. Raro, pregiato ma molto versatile in cucina, aggiunge raďŹƒnatezza, gusto e decisione ai piatti. Una forza elegante per il palato esigente ma anche per gli amanti dei sapori di campagna


Una doppia faccia, nobile e contadina, che attira l’attenzione come una calamita di sapore. La parola tartufo a tavola evoca subito la parola saporito. L’Italia è terra di tartufi, dove i produttori locali di tutte le regioni, difendono senza arretrare di un passo, il presunto primo posto, del proprio tubero, nella classifica del sapore e del pregio alimentare. Una guerra alimentare a colpi di bilancino, grattugia, ricette tipiche e conta delle esportazioni e dei devoti del tartufo, provenienti soprattutto da Nord America e Medio Oriente. In Umbria, cuore verde del centro Italia ed in particolare nella provincia di Perugia, terra di preistorica tradizione del tartufo la lotta si sposta sul colore. Bianco o nero ? La contesa è apertissima e non trova soluzione per la gioia degli amanti del sapore. In questo territorio, cuore verde dell’Italia e intriso della misticità povera di San Francesco, questo prodotto di lusso, vede unite le comunità locali e gli imprenditori per far conoscere il tartufo bianco o nero che sia in tutto il mondo. Quello bianco matura fra settembre e dicembre, nei boschi incantati di nocciolo, pioppo, salice e tiglio. Con l’appellativo di bianco quello che arriva sulle tavole è un tubero di colore giallo ocra che profuma intensamente con sentori d'aglio e di formaggio grana. Ideale da consumare a crudo, su insalate, pasta e in generale primi piatti e per impreziosire, ortaggi e legumi cotti. Quello nero sprigiona il massimo del suo fascino organolettico sulla fiamma e viene utilizzato in cotture comunque delicate. Con il suo colore cupo, le venature lucide e le macchie ferruginose, il tartufo nero viene considerato il fratello povero del più pregiato tartufo bianco. Sapori forti, intensi, che regalano agli amanti della cucina non banale, una emozione di gusto ma anche di storia italiana. Storia d’Italia quella del tartufo ma anche eccellenza umbra che porta con se

l’odore del lusso e del sapore ma anche l’odore della storia. La leggenda lo vede nascere dal fulmine scagliato contro una quercia da Giove. Il tartufo umbro, attraversa in silenzio e sospetto il medioevo, dove veniva visto come cibo da streghe per poi rifiorire nel suo meritato apprezzamento durante il Rinascimento, quando la ricerca dei tartufi con i cani, divenne un elegante gioco di corte. A far conoscere i tartufi umbri, ci penseranno poi alcuni personaggi celebri, tra cui il Conte Cavour che pur venendo dal Piemonte, altro distretto di produzione del tubero, utilizzava questi perugini per le sue astuzie diplomatiche con il Vaticano. Gioacchino Rossini, lo definì il Mozart dei funghi mentre Lord Byron lo teneva sulla scrivania, affinché il suo intenso aroma stimolasse la creatività. Profumo intenso di Umbria Norcia, Scheggino, Cascia, Pietralunga, Citerna, Gubbio, Città di Castello e Valtopina, sono i paesi che brillano della luce dei tartufi. Proprio per il suo valore prezioso che non è solo quello economico, i grandi chef considerano il tartufo umbro, come un gioiello che non può mancare nelle grandi occasioni culinarie, come un gioiello non può mancare negli eventi più importanti, per completare il look. Questi paesi della provincia di Perugia, tutto l’anno sono legati alla produzione del tartufo, che ha i suoi momenti di gloria anche d’estate con lo scorzone, un tartufo anch’esso molto apprezzato. A far conoscere i tartufi della provincia di Perugia, la Camera di Commercio con il progetto imprenditoriale Tipicamente Umbria. Una terra stretta tra i due mari italiani, non più Lazio, non ancora Toscana, orgogliosa di questo suo tubero. 24


Museo del tartufo Il Museo del Tartufo si trova nel cuore di Scheggino,un paesino di 488 abitanti, famoso nel mondo grazie al tartufo. Un borgo incantato, simbolo di una Italia lenta e saporita, il classico paese presepe, dove il tartufo è economia ma anche amore per la terra e la tradizione culinaria. Il fiume Nera attraversa il centro storico del paese, ricordando al visitatore quanto vale la natura in queste terre. Il museo del tartufo, situato nella sede della prima azienda che inizio ad esportarlo, è una esperienza che racconta le vicende della famiglia Urbani, i più importanti tartufai dell’Umbria. Dalle foto in bianco e nero si conosce come procedeva la ricerca, lavorazione, conservazione e diffusione del prezioso tubero. I cavatori di un tempo, i volti delle donne operaie, le prime donne a lavorare fuori casa, tante storie che raccontano sapori ed economia. Come le fatture scritte a mano, telegrammi e lettere ricevute dagli Stati Uniti, dove parte della famiglia Urbani si era trasferita per diffondere la cultura del tartufo.

e farina al tartufo, corredano la ricca offerta di questo tubero. per gli chef e i gastronomi di tutto il mondo.

Contatti Tipicamente Umbria - commercioestero@pg.legalmail.camcom.it Museo del tartufo - info@urbanitartufi.it

Come si presenta E’ il vetro, il contenitore tipico che accompagna il tartufo e soprattutto i prodotti a base di tartufo in giro per il mondo. Importante per gli amanti di questi sapori, lo specifico tagliatartufo, rigorosamente in acciaio, per trattare con delicatezza ma anche con decisione il prezioso tubero. La delicatezza del tubero che viene conservato al fresco e gelosamente attaccato alla terra che lo ricopriva, viene esaltata dalle confezioni rustiche in cartone che avvolgono l’amico vetro e che proteggono il tartufo dalla luce. Salse, olio al tartufo, creme, composte, pasta, fonduta, burro 25


Lo scalogno di Romagna

Lo scalogno, che sembra ma non è un aglio né una cipolla, è un piccolo bulbo dal colore bianco violaceo, avvolto da una pellicola esterna di diverso colore, dal ramato al rossastro. Il più famoso è lo Scalogno di Romagna, che in cucina è capace di donare ai cibi un sapore che ne esalta il gusto.


Vengono usate anche le foglie, raccolte ancora verdi e tagliate finemente, ottime per insaporire le insalate. I bulbi freschi ripuliti dalla loro pellicola esterna si tagliano a fettine per aromatizzare le pietanze, conferendo un sapore leggermente piccante. Inoltre con i bulbi, sempre finemente tagliati, cubetti di prosciutto e pomodoro fresco si prepara un gustoso ragù. Lo scalogno è ottimo anche come contorno delle pietanze nelle versioni sottolio e sottaceto. Parente saporito e profumato della cipolla, anche lo scalogno si caratterizza per una potente azione disintossicante, che va ad agire direttamente sulla diuresi, favorendo l’eliminazione delle tossine soprattutto attraverso i reni. La zona di produzione si estende a numerosi comuni nella provincia di Ravenna (Brisighella, Casola, Valsenio, Castelbolognese, Faenza, Riolo Terme, Solarolo), di Forlì (Modigliana, Tredozio) e di Bologna (Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Castel del Rio, Castel Guelfo, Dozza, Fontanelice, Imola, Mordano). Sulle confezioni di Scalogno di Romagna viene applicato un cartellino che riporta in alto la scritta a forma di arco 'Scalogno di Romagna' recante al suo interno il marchio comunitario giallo-blu stellato identificativo delle Igp. Sotto si trova l'immagine stilizzata del prodotto con uno scorcio della cittadina di Riolo Terme. Molto famosa e saporita la salsa di scalogno, realizzata con scalogno fresco, olio extra vergine d’oliva, aceto e vino bianco secco. Questa salsa è utilizzata per accompagnare le carni di ogni tipo in particolare se cotte al forno. Altra ricetta tipica che vede lo scalogno protagonista, sono i tagliolini verdi fatti con spinaci o bietole, accompagnata da un sugo bianco senza pomodoro, scalogno stufato in acqua e condito con il burro.

Storia dello scalogno Da sempre coltivato in Romagna, nel 1997 ha anche ottenuto il riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta). Il nome deriva dal nome dell'antico porto di Ascalona, situato nella parte meridionale dell'odierno Israele poco a nord di Gaza, da cui lo scalogno arrivò in Europa portato dai crociati. Questa località era famosa per i bulbi, considerati medicamentosi prima che saporiti, tanto che l’intero territorio circostante era dedicato a questa coltivazione. Il Boccaccio lo ricorda nelle sue novelle ed anche Dioscoride descrive lo scalogno il “bulbo Ascalonites” mentre Ovidio trattando dei tonici per i soldati, lo descrive come stimolante della forza e del coraggio. Lo scalogno fu apprezzato e coltivato nel giardino di Carlo Magno ed il suo uso andò diffondendosi durante il secolo XII in Francia.

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La costa dei sapori

Carciofo spinoso, pomodoro cuore di bue, asparago violetto e zucchina trombetta. Un poker di sapori vegetali provenienti dalla costa occidentale della Liguria. 4 ortaggi che conquistano le tavole italiane e del mondo, con sapori davvero unici.


E’ la differenza di sapore, rispetto alle altre varietà, che fa di questi prodotti la loro fortuna commerciale. Apprezzati soprattutto da chi cerca un gusto naturale e la salute a tavola, i cosiddetti 4 di Albenga, seguono un rigido protocollo di coltivazione, proprio per conservare l’identità di aromi, colori e sapori. Il violetto da mangiare crudo Il più conosciuto è il carciofo spinoso, dalla caratteristica forma a cono e le foglie esterne verde scuro con le intense sfumature violacee e le spine gialle. Poco fibroso e dal sapore delicato, viene consumato crudo e in conserva sott’olio o al naturale. Il gambo è davvero squisito ed è considerato una prelibatezza. Le foglie più interne hanno un sapore dolcissimo e si prestano bene anche alla surgelazione. Da millenni in Liguria come pianta spontanea , fu selezionato dagli agronomi arabi che gli diedero il nome di “alkharshûf ” Il tenero cuore di bue Un altra prelibatezza di questo territorio è il pomodoro detto cuore di bue, dalla strana forma irregolare. Il suo successo si deve al perfetto equilibrio di acidità e dolcezza, tanto da essere considerato il migliore pomodoro da usare per le salse, sia fredde che calde. La polpa tende al rosa ed è povera di semi e di succo, per cui è un ingrediente che da eleganza e ricchezza alle comuni insalate. Chiamato anche pera ligure, viene spesso presentato come strano antipasto, proprio per la sua forma particolare. Un prodotto tutto italiano che ha conquistato le tavole più raffinate per la delicatezza. E’ considerato il parente nobile dei più comuni po-

modori italiani e viene proposto quasi sempre condito con gli oli della riviera di ponente ligure. Il prezioso asparago Un ortaggio dal colore viola cupo che si può davvero definire unico non solo per il delicato e intenso sapore ma proprio per le sue caratteristiche botaniche. Un patrimonio genetico purissimo grazie ai suoi 40 cromosomi, il doppio di tutte le varietà presenti al mondo. Questo garantisce che non può incrociarsi con altre varietà, conservando da sempre lo stesso sapore e lo stesso colore. Tenerissimo ma non fragile, dalle grandi forme regolari, si presta alle cene eleganti, dove l’effetto scenico va insieme al sapore. Carnoso e profumato viene cotto a fiamma bassa, per preservare sia lo splendido colore viola che il sapore. Un proverbio ligure dice che l’asparago viola ha 100 virtù e ne perde una all’ora. Questo per sottolineare la ricchezza di proprietà salutari e il bisogno di consumare il prodotto più fresco possibile. Una freschezza che i coltivatori liguri, possono garantire grazie alla secolare tradizione commerciale, oggi supportata dalle più moderne infrastrutture commerciali. L’asparago violetto è considerato il re degli asparagi, il più buono e il più salutare degli asparagi commercializzati. Un vero record di colore, sapore e salute. Una zucchina a forma di trombetta Una microzucchina dalla forma curvata, dall’intenso profumo e dal sapore dolcissimo. Un gusto così delicato e una polpa così tenera da poter essere mangiata cruda. Introdotta in Liguria dalle Americhe, viene commercializzata con i fiori gialli eleganti e sodi che vengono consumati come eccellente prelibatezza. Cresce 29


in maniera rampicante e anche questa è una produzione che si trova solo in questo territorio. Grazie alla bellezza della forma e dei fiori, nonché al sapore davvero unico, ha conquistato le tavole più raffinate. Tradizionale è il consumo dei fiori fritti in pastella, una golosità tipicamente italiana. Paradiso occidentale Una concentrazione di prodotti ricchi di sapore e dalle forme particolari in un territorio relativamente piccolo ha suscitato anche l’interesse degli scienziati. Le terre sabbiose, strappate al mare, il vento costante tutto l’anno, il microclima riparato e fortemente condizionato dal mare, hanno creato le condizioni ideali per una agricoltura di eccellenza. Una antica tradizione agricola, una moderna capacità imprenditoriale e un grande investimento nella ricerca, hanno permesso a questo territorio, famoso soprattutto per le vacanze estive, di far conoscere una agricoltura locale ma dal carattere internazionale. Albenga e la sua piana, sono diventati nel mondo, sinonimo di alimenti dal grande valore e che sono il simbolo, con i colori e le forme insolite, della grande varietà della bellezza del territorio italiano. Un paradiso di sapori, affacciato sul Mediterraneo, ricco di certificazioni Dop, Doc e Igp. Freschi e pronti in tavola Una produzione non intensiva ma di grande qualità che segue due direzioni: il fresco e il conservato. Nel caso del fresco, il packaging è ridotto al minimo ed è funzionale alla presentazione delle forme particolari e degli intensi colori dei 4 di Albenga. I prodotti sono dunque commercializzati poveri di etichette e di confezioni, con però un richiamo continuo, alla provenienza e alla salubri-

tà dei prodotti. Una ricca campagna informativa presenta questi prodotti liguri, come campioni di vitamine e sali minerali e come ortaggi che si trovano, così saporiti, solo in questo territorio. Intorno a questa ricchezza di sapore, colore, forme e salute è nato un mercato di prodotti confezionati e anche surgelati, come conserve, salse, composte, dove il vetro domina per permettere ai colori viola, verde scuro, rosa, di ricordare al consumatore la varietà dei colori del territorio ligure. Dalla Liguria al mondo Il prodotto fresco arriva soprattutto nella vicina Francia, ma anche in Svizzera e Germania. In grande espansione il mercato dei paesi scandinavi, grazie all’attenzione verso i prodotti salutari italiani. Le linee di prodotti conservati, in particolare i carciofi e gli asparagi vengono venduti soprattutto in Francia. Sono circa 100.000 i quintali di carciofi prodotti ogni anno, mentre per gli altri tre la produzione varia moltissimo da stagione a stagione, anche perché l’utilizzo di prodotti chimici è ridotto al minimo. Ortaggi e vino matrimonio perfetto Ricercati nelle tavole più raffinate, i 4 di Albenga vengono proposti con i preziosi vini locali, proprio per non perdere nulla dei sapori e dei profumi e anzi per esaltare al massimo il gusto. Sempre da questo territorio arrivano il Rossese di Dolceacqua, uno dei vini più antichi d’Italia, il Riviera Ligure di Ponente e l’Ormeasco di Pornassio. Tre vini che accompagnano al meglio i sapori di questi preziosi ortaggi.

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Contatti: Cooperativa Ortofrutticola Albenga Via Massaretti 30, Albenga (SV) Telefono 018250374 - fax 018250312 www.ortofrutticola.it Consorzio Riviera di Ponente Via Valle d'Aosta, 10 - Albenga (SV) www.rivieradeifioriedellepalme.it info@rivieradeifioriedellepalme.it

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La via toscana del peperoncino biologico A Bibbona, nel cuore agricolo della Toscana, Piperita è l’azienda bio del peperoncino Il peperoncino più piccante si trova in Calabria e soprattutto nella zona ionica. Via che si risale l’Italia la piccantezza si va addolcendo sino ad arrivare in Toscana, dove troviamo una delle più importanti produzioni biologiche al mondo, la Peperita, azienda agricola che si trova nel cuore della Toscana nelle vicinanze di Bolgheri, nel comune di Bibbona in provincia di Livorno. Opera in una delle zone pianeggianti dell'Alta Maremma a pochi minuti dalla costa del mare Tirreno, dove gode di un clima temperato caldo per un lungo periodo dell' anno. In questo territorio l’agricoltura biologica ha avuto una grande crescita con una fitta rete di imprenditori che hanno sviluppato anche il fenomeno dell’agriturismo, così da far degustare i propri prodotti, ortofrutta, vini ed oli in particolare, ai loro ospiti. La Peperita sviluppa la sua pregiata produzione su 6 ettari, di cui una parte all'interno del podere "I Doccioni".

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La coltivazione con metodo biologico e biodinamico, ha il riconoscimento certificato dalla CCPB e dalla DEMETER che sono al top delle agenzie di certificazione in Europa. Una certificazione voluta fortemente da Rita Salvadori, famosa artista italiana che si divide tra i suoi dipinti esposti in diverse gallerie d’arte e l’amore della terra e delle produzioni biologiche. L’azienda L’azienda di Rita Salvadori, oltre ai campi di peperoncino, produce ortaggi, olio d’oliva e frutta. Tutti i prodotti sono preparati nel laboratorio di trasformazione all'interno di un casale tipicamente toscano restaurato con spirito tradizionale con materiali e tecniche di bioarchitettura. La produzione di peperoncino è stata una solitaria ma vincente avventura agricola, che ha seguito una produzione di olio extra vergine d’oliva di elevatissima qualità da tre generazioni. Tutto è cominciato proprio con la produzione di olio extra vergine di oliva toscano aromatizzato al peperoncino che ha fatto conoscere al mercato internazionale questo peperoncino biologico, coltivato tra mare e collina. La storia Tutto è iniziato con 600 piante di peperoncino piantate. Dopo la raccolta e trasformazione fu chiara l’assoluta necessità di produrre in proprio gli ingredienti da utilizzare per i rpdotti Peperita. L'evoluzione fu inevitabile: sono oltre 25.000 le piante coltivate con metodo biologico/biodinamico attualmente nel campo e derivano per il 90% da semi della stessa coltivazione. La restante parte riguarda piante utilizzate per la creazione di nuovi prodotti o per la valutazione di cultivar particolari o che provengono da re-

gali di amici del peperoncino che quando girano il mondo si ricordano di Rita Salvadori. Come si presenta Tutte le produzioni, risentono della vena artistica della conduttrice, con un packaging che presenta in maniera elegante e raffinata sia la semplice polvere di peperoncino che i prodotti come il paté, il cioccolato e la confettura. Confezioni che si fanno ricordare per la forma, la grafica e ovviamente per il contenuto, garantito sempre senza zuccheri, conservanti, aromi. Se l’olio aromatizzato al peperoncino continua ad essere il prodotto più apprezzato, i tritati freschi sono la novità che stanno conquistando il mercato tradizionale. Un prodotto che conserva un maggiore fascino e sapore nell’uso in cucina rispetto al tradizionale peperoncino tritato. L’azienda nel suo ricco catalogo anche online, non ha dimenticato di rendere molto variegato il grado di piccantezza delle sue produzioni. Info: info@peperita.it Ricorda L’Italia è una delle principali produttrici di peperoncino al mondo, grazie alla capacità di numerose aziende di selezionare le varietà più adatte ad una lunga conservazione. Il peperoncino italiano si caratterizza per una minore piccantezza ma un imbattibile supremazia per il profumo e il sapore. Un mix delicato ed aromatico, in cui la forza non va a nascondere la gradevolezza della spezia.

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La Cipolla ramata di Montoro

Non tutte le cipolle sono uguali e qualcuna si fa notare per il sapore, il profumo e anche l’aspetto invitante. E’ il caso della cipolla ramata di Montoro, territorio tra le provincie di Salerno ed Avellino, che attrae subito l’occhio per i luminosi riflessi ramati della buccia


La forma a globo nasconde un ortaggio internamente serratissimo, con sfumature color viola. Dal sapore dolce e unico, sprigiona un profumo intenso. L’aroma caratteristico, delicato e persistente, il sapore netto ma che ben si adatta ai vari utilizzi e condimenti, la fa apprezzare sia cruda che nelle più svariate proposte culinarie. Una cipolla talmente particolare da essere richiesta dai migliori chef italiani. Il suo successo è dovuto alla caratteristica di essere saporita e bella e allo stesso tempo non avere quelle caratteristiche di eccesso che a volte allontana il consumatore. Originaria della zona di Montoro, grosso comune agricolo della Campania, da qualche anno la coltivazione di questo pregiato bulbo si è diffusa anche in altri comuni della provincia di Avellino e Salerno situati in prossimità dei Monti Picentini. Un territorio fortemente soleggiato durante l’estate ma che in primavera e autunno gode di abbondanti piogge. La produzione ha da poco superato i 40.000 quintali annui, numeri non giganteschi ma seguiti con ansia dai rivenditori, in particolare da quelli che riforniscono i ristoranti rinomati. L’export è seguito con molta cura dagli imprenditori locali, che sanno di avere a disposizione un prodotto unico, pur appartenendo alla categoria dei cibi umili da cucina. Le bucce dure e resistenti, sono la migliore forma di conservazione di questa cipolla, la cui produzione è il frutto di un lungo anno di coltivazione. L’intensità del colore rame e la caratteristica legatura a forma di treccia, la rendono un prodotto che spesso fa da oggetto di arredamento delle cucine italiane. Oltre che al naturale, viene commercializzata sotto forma di composte, confetture,

sughi pronti, conservazione sotto brandy, grigliata e sott’olio. Il packaging è semplice, preferisce il vetro per esaltare al massimo le caratteristiche della cipolla e unire eleganza e sapore contadino della autentica cucina italiana. In cucina deve il suo successo alla fibra tenace e particolarmente resistente che si conserva in tutta la sua fragranza. Tra le varie confetture molto apprezzata è quella realizzata con mele, noci e coriandolo. Una confettura che richiama sia la cucina tedesca che quella indiana, che è diventata un prodotto culto molto richiesto. Intervista a Nicola Barbato Presidente del Comitato promotore della Cipolla Ramata di Montoro. Presidente qual’è la sua storia personale di agricoltore? Da dove inizia il suo percorso come imprenditore agricolo? La mia storia di imprenditore inizia nell’azienda di famiglia con mio padre e miei nonni. Già mio padre allora aveva incominciato a trasformare la realtà imprenditoriale dell’azienda gestita da mio nonno che vendeva i prodotti solo al mercato locale. Mio padre comincio’ a frequentare i mercati del nord Italia facendo così conoscere questo ortaggio della nostra biodiversità che fu subito apprezzato. Purtroppo appena diplomato persi mio padre a 49 anni, e da qui inizia la mia storia personale. Ho continuato a far crescere l’azienda acquistando altri terreni, costruire nuovi impianti dove poter stoccare la cipolla ramata. Se ne dovesse fare un identikit come la descriverebbe?

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E’ una cipolla dolce, profumata, sprigiona una intensa e caratteristica aromaticità con un delicato e persistente gusto dal sapore inconfondibile. Cipolla ramata di Montoro e agricoltura biologica. Un matrimonio possibile ?

Le candele (tipo di pasta) alla genovese, preparata con cipolla ramata di Montoro. Un sugo bianco senza pomodoro preparato con carne di maiale e vitello, strutto, verdure, spezie, vino e tanta cipolla.

Oggi l’agricoltura biologica può rappresentare sbocco per nuovi mercati e noi ci stiamo muovendo in questa direzione. Infatti sui nostri terreni produciamo solo la cipolla ramata di Montoro e usiamo la forza del sole per i terreni da giugno ad agosto nei mesi piu caldi proprio perché questo sistema non ci fa usare diserbanti chimici durante la coltivazione. Diamo un pò di numeri? Oggi dopo 2 anni grazie alle azioni del Comitato promotore cui rappresento e dopo la registrazione del marchio collettivo geografico, all’ufficio italiano brevetti, abbiamo triplicato la produzione, quindi siamo passati a oltre 40.000 q.li. Sono coinvolte ad oggi circa 40 imprese familiari, 3 aziende, 2 cooperative agricole e 1 organizzazione di produttori. Quale al momento la situazione produttiva? Versi quali mercati vi rivolgete? Il successo maggiore l’abbiamo ottenuto sul mercato nazionale e nella GDO ma la maggiore richiesta per il mercato estero ci viene dalla Germania. La sua ricetta preferita con la cipolla ramata di Montoro?

Contatti: Cipolla Ramata di Montoro www.cipollaramatadimontoro.it 0039+3473694056 info@cipollaramatadimontoro.it prodottigaia@yahoo.it 36


I dolci fagioli di Sarconi

Una produzione piccola ma molto pregiata quella dei fagioli di Sarconi nel cuore della Lucania, famosi per il sapore dolce e la particolare digeribilità e morbidezza. Caratteristiche che suscitano la curiosità e l’interesse di chef, ricercatori e amanti dei sapori


Una qualità alta e specifica premiata dal 1996 con il marchio europeo di Indicazione Geografica Protetta. Un fagiolo dal sapore così zuccherino e sapido allo stesso tempo da essere considerato quasi un legume a sé. L’ambiente della zona di produzione "Fagioli di Sarconi" è tipicamente montano-mediterraneo. La cultura agricola secolare di questi territori è quella della conservazione della natura, utilizzando letame e metodi di conservazione ecologici per la produzione di questi fagioli. I Fagioli di Sarconi hanno una forma ovale o tondeggiante mentre il colore varia dal giallo pallido al bianco, ad altri colori, comunque sempre con un tipico aspetto ceroso o con striature scure e macchie di vari colori. Oltre che per il sapore intenso e dolce allo stesso tempo, sono amati perché non richiedono lunghe cotture, grazie ad una buccia sottile e alla ricchezza in amidi. Appetibili, digeribili, rapidamente cucinati, teneri, i fagioli di Sarconi, rispettano un rigido protocollo di produzione, dalla scelta del seme, al territorio, al metodi di coltivazione e conservazione, per offrire al mercato un prodotto assolutamente fedele al marchio e alla tradizione antica di queste terre. Lucania terra del sapore La zona di origine dei Fagioli di Sarconi comprende 11 comuni dell'Alta Valle dell'Agri in Basilicata: Sarconi, Grumento, Moliterno, Marsico Nuovo, Marsicovetere, Montemurro, Paterno, San Martino d'Agri, Viggiano, Tramutola e Spinoso, tutti ricadenti nel cuore del Parco Nazionale dell'Appennino Lucano. Un territorio dall’altissimo valore naturalistico, un sud Italia, diverso dagli stereotipi, con campi fertili che si estendono sopra i 600 m,

con estati fresche e l'abbondanza d’acqua, Caratteristiche che combinate con le tradizionali tecniche di coltivazione, consentono di ottenere un prodotto inconfondibile. I lucani si sentono popolo e sono orgogliosi di custodire nelle loro tradizioni alcuni dei prodotti più saporiti d’Europa, come i vini, i legumi, la frutta e i prodotti caseari. Il segreto è l’acqua e il freddo l segreto del sapore di questi fagioli è tutto nell'acqua. Numerose ricerche hanno dimostrato come la qualità delle acque, da queste zone arrivano alcune tra le più famose acque minerali d’Italia, è alla base dell’identità botanica dei fagioli di Sarconi. La freschezza e la composizione minerale delle acque di irrigazione, permettono di mantenere nei semi un alto contenuto di zuccheri semplici, conferendo un tipico sapore dolce. Inoltre, le basse temperature estive notturne, allungano i tempi necessari agli zuccheri per la loro trasformazione in amido. La concentrazione degli zuccheri e la loro lentezza nel trasformarsi in amidi è il segreto della chimica naturale che permette a questi legumi di diventare un concentrato tenero e dolce di sapore di fagiolo.

Le varietà

Fagiolo Cannellino rosso Ecotipo di cannellino nano dal seme cilindrico, allungato, di colore pallido con grosse macchie rosso violacee a volte nere e non

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uniformi. In cucina è consigliato per un piatto unico con la pasta o da solo come contorno. Fagiolo Cannellino bianco Ecotipo di cannellino nano dal seme cilindrico, allungato e affusolato di colore bianco con piccole macchie scure. In cucina è consigliato per preparare contorni, insalate e piatti freddi ma anche con la pasta. Fagiolo Ciuoto (Regina) Ecotipo di borlotto nano con seme tondo-ovoidale, non molto grosso. E' la varietà più antica ed è considerato l’eccellenza dei Borlotti di qualità superiore. E’ adatto agli usi più svariati tra cui pasta e fagioli, zuppe di legumi, in insalata con cipolle di Tropea.

Fagiolo Tabacchino Fagiolo nano dal seme tondo-ovoidale e dal tipico colore tabacco, da cui il nome. Fagiolo da sempre molto coltivato, con altissimo contenuto di fibra e molto digeribile, studiato per le sue capacità salutari sul metabolismo. In cucina dà il meglio di sé nelle zuppe, da solo come contorno o accompagnato alle verdure. Fagiolo Verdolino Ecotipo di fagiolo nano dal seme tondo--ovoidale dal colore inconfondibile verde chiaro. Molto apprezzato per la delicatezza del gusto e per la buccia particolarmente tenera. Si consiglia di impiegarlo con pasta o riso e nelle zuppe.

Fagiolo Nasello rosso

Sapore e digeribilità

Fagiolo Cannellino nano con seme allungato e con la punta schiacciata o affusolata, a fondo bianco con macchia irregolare rosso-vinacea. In cucina è utilizzabile per contorni, antipasti. Molto buona l’accoppiata con il riso.

I ricercatori venezuelani dell’Università di Bogotà, hanno studiato i fagioli di Sarconi per trovare la caratteristica botanica che li rende più digeribili, eliminando l’effetto flatulenza che tradizionalmente provoca il legume. L’effetto è dovuto a tre zuccheri a catena corta presenti nella buccia del fagiolo che nemmeno la flora intestinale riesce ad attaccare. Tre batteri generatori di enzimi 'mangiazuccheri' sono ora in grado di ridimensionare la presenza di questi zuccheri. I fagioli Igp di Sarconi, hanno una percentuale molto bassa di questi zuccheri, che insieme alla tenerezza della buccia, in particolare nella varietà del Tondino bianco, ne fanno un cibo assolutamente leggero e salutare per l’apparato digerente.

Fagiolo Tondino bianco Fagiolo nano dal seme tondo-ovoidale, non molto grosso, di uno splendido colore bianco uniforme. Una delle migliori varietà sia per produzione che per le caratteristiche organolettiche. Di rapida cottura, con buccia tenerissima e inesistente dopo la cottura è ottimo con le cozze e con pasta corta.

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I numeri dei fagioli In un anno, 500.000 confezioni e poco più di 1000 quintali la produzione media dei fagioli di Sarconi. Una produzione piccola ma che suscita molto interesse per quanto riguarda il mercato di esportazione delle eccellenze italiane. Inghilterra, Germania e Svizzera i paesi, dove maggiormente i fagioli di Sarconi arrivano, anche se il fenomeno è solo all’inizio. Conosciuti fuori dai confini italiani, grazie alle comunità di immigrati lucani, sparsi per tutta Europa, questi fagioli sono conosciuti nei ristoranti più quotati come i fagioli della montagna del sud Italia. La facile conservazione, la naturalezza del prodotto e il forte legame con la cucina e le ricette della tradizione del Sud Italia, li hanno fatto diventare un cibo tipico italiano, molto quotato ed apprezzato. Il marchio Igp Il fagiolo di Sarconi si trova confezionato in confezioni di polipropilene in atmosfera modificata da 500 grammi o in sacchetti di cotone sempre da 500 grammi. Allo stato fresco sono commercializzati in cassette di legno, dove è apposto il logo, dalla capacità massima di 15 kg. Allo stato di granella secca devono essere invece commercializzati con lo stesso logo in confezioni (di tessuto, cartacee o plastificate) di 250 o 500 g. Il logo, a forma di ovale con fondo verde chiaro, contiene la scritta "Fagioli di Sarconi" sotto cui è raffigurato un antico acquedotto con campi arati dai quali si snodano due corsi di acqua stilizzati a forma di coccarda, di colore blu cobalto, entro cui è inserita la dicitura "I.G.P.". Le scritte "FAGIOLI DI SARCONI" e "I.G.P.", ottenute con il carattere tipografico "Palatino" sono di colore nero. In questo logo

sono racchiusi tutti i simboli della campagna lucana ed è per questo che per i produttori locali, tutti provenienti da famiglie presenti qui da millenni, seguono con cura la corretta etichettatura e organizzano numerose manifestazioni per far conoscere i fagioli ma anche questo logo. L’italiana pasta e fagioli Un ricetta tipica italiana è quella della pasta e fagioli. Utilizzando i pregiati fagioli di Sarconi, in particolare la varietà Tabacchino e Tondino, si prepara un primo che è un concentrato di sapore e salute. Per 4 persone si mettono a bagno per 12 ore 250 g fagioli secchi che poi verranno cotti in abbondante acqua salata per 40 minuti. Si prepara un brodo vegetale, tritando finemente 1 costa di sedano, 1 scalogno, e 2 pomodori secchi. Si fa rosolare per pochissimo il trito in abbandonate olio extra vergine d’oliva e si aggiungono 4 cucchiai di pomodori pelati, Si lascia cuocere per 3 minuti e infine si aggiunge abbondante acqua tiepida, sale a piacere e i fagioli precedentemente cucinato. A fiamma bassissima si lascia bollire per 15 minuti, mentre a parte si cucinano 100 g di pasta corta, che viene poi aggiunta al brodo. Si lascia amalgamare il tutto per alcuni minuti e si serve caldissima, spolverando con pepe. Contatti : Consozio tutela fagioli di Sarconi 0975 66280 / 339 3154052 www.fagiolidisarconi.it E-mail: info@fagiolidisarconi.it

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Il farro della Garfagnana

Il farro è un cereale originario della Mesopotamia e dell’Egitto, il più antico fra tutti quelli pervenuti fino ai nostri giorni ed è considerato l’antenato del grano. Saporito, versatile, ricco di profumi, trovò il suo habitat naturale nelle colline dell’Appennino centrale italiano.


Con il cambio delle abitudini alimentari e il conseguente abbandono di quei cibi ritenuti "poveri" e soprattutto con l'avvento delle nuove varietà di frumento nudo, ovvero prive di una protezione esterna, il farro fu confinato in territori sempre più ridotti. Utilizzato nelle gustose e tradizionali ricette della Garfagnana, territorio toscano tra le Alpi Apuane, le colline di Lucca e le montagne emiliane, è entrato a pieno titolo nella gastronomia italiana. E' ricco di vitamine e sali minerali, sazia rapidamente e dà energia, nutre e non appesantisce la digestione. Proprio per la sua altissima digeribilità è ritornato ad essere protagonista della tavola, per la maggiore attenzione odierna verso i cibi salutari. E' particolarmente adatto per preparare torte salate, ma in cucina è utilizzato soprattutto come ingrediente di zuppe e minestre. I piatti tipici sono la zuppa di farro e le torte salate. Può essere inoltre utilizzato in cucina per qualsiasi piatto in sostituzione del riso e della pasta. Trasformato in farina viene utilizzato per la preparazione di paste, dolci e biscotti che hanno sempre come caratteristiche principali il sapore pieno e la digeribilità. Importantissimo è il fatto che non richiede trattamenti antiparassitari né concimazioni e per questo è sostanzialmente un prodotto biologico con assenza di elementi inquinanti. La Garfagnana è l’unica zona che, per una solida tradizione agricola ed un ambiente naturale protetto, ha continuato a produrre e commercializzare il farro nei secoli, rappresentando in Italia la zona di produzione per eccellenza di questo cereale che gode di un buon apprezzamento per la sua unicità e qualità. Coltivato su terreni che arrivano sino a 1000 metri d’altitudine, la raccolta avviene in estate. La lavorazione avviene ancora con macchinari

semplici. L’agricoltura a basso impatto ambientale è tipica di questo territorio che un’ambita meta turistica a basso costo, anche come base per visitare il resto della Toscana. La posizione è strategica, tra mare, montagna e città d’arte, conservando alcune delle più golose tradizioni culinarie toscane. In Garfagnana si coltivano più di 100 ettari per una produzione complessiva superiore a 1200 quintali. Il Disciplinare di Produzione per il Farro della Garfagnana IGP prevede una produzione massima di 25 quintali per ettaro, che si riducono a non più di 15 quintali dopo la lavorazione. I Comuni con le maggiori produzioni sono Piazza al Serchio, San Romano e Giuncugnano dove si concentrano anche le maggiori superfici coltivate. Oggi il farro riveste una notevole importanza per l'economia locale, tenendo conto che contribuisce in modo considerevole alla integrazione del reddito di molte famiglie. Le aziende interessate alla coltivazione del farro sono oggi circa 90. L'ampiezza media è assai limitata, molte aziende coltivano meno di un ettaro, mentre circa il 10% coltiva una superficie superiore ai tre ettari. A seguito di un importante percorso di recupero e di valorizzazione di questa coltura è stata riconosciuta la Indicazione Geografica Protetta. Il farro viene di solito proposto in confezioni trasparenti per mostrare sia la somiglianza al grano ma contemporaneamente la sua specificità. Rustico, contadino, unico, così vuole apparire il farro anche nelle confezioni di paste, biscotti, salati a base di farina di farro. Di solito vengono utilizzati colori scuri, cupi, a ricordo della terra di Garfagnana. Un prodotto biologico per natura e per scelta, la cui naturalità è ricordata con orgoglio in tutte le confezioni, in quanto si tratta di un caso unico di coltivazione dove la 42


pianta si autodifende grazie alla sua natura botanica. Molto apprezzato nei negozi biologici, in particolare di Germania e Svizzera, negli ultimi anni ha visto aumentare l’esportazione soprattutto verso la Russia. Il farro era coltivato in Italia fin dall’età del bronzo, come testimoniano i ritrovamenti di alcuni semi di farro fra gli indumenti della “mummia dei ghiacci”, ovvero l’uomo di Similaun. Il “puls” o “farratum” era un piatto tradizionale e di buon augurio, segno di abbondanza e fertilità, offerto agli sposi, e parte sostanziale, insieme al sale, della paga dei centurioni romani. A tutti gli Dei campestri, ma in particolare a Demetra, la Dea della terra, venivano offerti sale e chicchi di farro per propiziare un buon raccolto durante le “idi di marzo”. Anche nella Bibbia (Ezechiele 44-30) si cita con il nome ebreo di “Arisab” il farro. Contatti: Consorzio di Tutela Farro della Garfagnana www.farrodellagarfagnana.it Consorzio Produttori Farro della Garfagnana Garfagnana Coop Sillicagnana Loc. Staiolo Tel . 0583613154 - Fax. 0583613154 E-mail : garfagnanacoop@tiscalinet.it

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Liquirizia di Calabria: Dolcezza in nero Radici essiccate giallo ocra dal profumo dolce e fruttato. Succo puro scuro tendente al nero, dal sapore intenso, unico e persistente. E’ la liquirizia di Calabria neanche minimamente paragonabile al resto del mercato fatto di caramelle, sapori artificiali, surrogati. La radice fresca di liquirizia che cresce in tutto il Mediterraneo, solo qui ha trovato il migliore mix di terreno calcareo ed argilloso, per ottenere la varietà “glabra” dalla quale si ottiene quella che viene considerata la migliore liquirizia al mondo. Cresce spontanea in questi territori ma la coltivazione e la raccolta seguono rigidi protocolli per conservarne le caratteristiche. Le radici vengono poi tagliate o tritate per le diverse esigenze. Il meglio della liquirizia viene con la bollitura delle radici una volta sminuzzate. Grandi caldaie dove la lenta e prolungata preparazione permette di ottenere una pasta densa e scura che viene poi trasformata in chicchi e forme nere di varie dimensioni. Una gioia per il palato, un concentrato di proprietà salutari, un piacevole passatempo senza zucchero nella versione purissima calabrese, ormai da 3 secoli. Profumo di Calabria Soprattutto Rossano ma anche Corigliano e Castrovillari e tanti altri comuni della provincia di Cosenza. In questi comuni calabresi, tra le montagne e l’incanto del mar Jonio, cresce la liquirizia più apprezzata al mondo. Ter44


ritori a vocazione agricola e turistica, hanno avuto il dono di avere una varietà di liquirizia che altrove non dà gli stessi risultati in termini di sapore e profumo. Il consorzio che è stato creato per la tutela di questa produzione ha ottenuto dalla Comunità Europea, il riconoscimento della Denominazione di vorigine protetta. Un riconoscimento che ha premiato secoli di coltivazione e produzione sempre uguali, senza contaminazioni per conservare una purezza senza cedimenti. Il risultato, soprattuto per aziende come la storica Amarelli è stato straordinario. Oggi la liquirizia di Calabria Dop è riconosciuta come sapore autentico di Calabria ed è sottoposta a controlli nella coltivazione e preparazione per restare sempre uguale e sempre unica. I matrimoni della liquirizia Avendo a disposizione un prodotto puro e controllato, è stato possibile creare delle linee dove succo di liquirizia purissimo si potesse unire ad essenze altrettante pure, come quelle di anice, finocchio, menta, quasi sempre senza zucchero per potenziare il piacere dolce e digestivo. Un altro matrimonio ben riuscito è quello tra radice di liquirizia e tabagisti. La radice calabrese è ricchissima di glicirizzina la sostanza che inganna l’organismo rispetto alla nicotina, avendo insieme azione rilassante e tonificante. Il piacere di avere in bocca una radice dall’intenso sapore, aiuta i fumatori a fumare di meno. Il vestito bello della liquirizia Talmente belle le confezioni che contengono i pezzetti di succo di liquirizia da aver creato un vero e proprio mercato del collezionismo. La latta dipinta con soggetti in stile liberty, naturalistico o

artistico, dove rosso e nero predominano insieme all’oro hanno conquistato i mercati specializzati. Dal Kadewe di Berlino ai Whole Foods di New York, le scatolette che risuonano del dolce contenuto di liquirizia sono nelle tasche di tutti i clienti del mondo. Anche le confezioni in carta generalmente più chiare e dallo stile più retrò, sono molto apprezzate. Liquirizia nel mondo I clienti si suddividono in diverse categorie: settore dolciario, liquoristico, erboristico e farmaceutico. In tutti i casi la liquirizia calabrese arriva prima per apprezzamento in termini di qualità e purezza. Francia, Olanda e Inghilterra e sempre più Usa, i principali mercati di esportazione. La quota di mercato all’estero è in continua crescita in particolare attraverso l’inserimento dei prodotti nei negozi più esclusivi del Food Made in Italy. Anche in questo caso la Amarelli di Rossano è leader del mercato, tanto che all’estero i tocchetti neri vengono conosciuti con il nome dell’azienda piuttosto che della liquirizia. Altra azienda in prima linea, soprattutto per il biologico e per la certificazione di purezza è la NatureMed di Cosenza. In Italia vengono lavorate quasi 30 mila tonnellate di radici di liquirizia calabresi e quasi l’80 % dei prodotti finiti vanno all’estero. Un dolce successo del Made in Italy. Buona, versatile e salutare Grandi quantità di liquirizia vanno anche verso il mercato della salute, per le proprietà digestive, antinausea e toniche per chi soffre di pressione sanguigna bassa. Per le sue capacità coprenti dei sapori sgradevoli, viene utilizzata per correggere il sapore di far45


maci. Gli intensi aromi che non hanno somiglianze nel mondo vegetale, la rendono ingrediente fondamentale di liquori, in particolari quelli ad alta gradazione alcolica. In erboristeria in particolare, la liquirizia di Calabria è protagonista di salute e sicurezza, visti i rigidi controlli nella coltivazione e nella lavorazione.

Museo della liquirizia : www.museodellaliquirizia.it

Il Museo della liquirizia Un museo unico al mondo, come unico è il sapore della liquirizia calabrese. Talmente particolare da essere celebrato con un francobollo delle Poste Italiane e premiato con il “Guggenheim Il Sole 24 ore”. Mezzi di trasporto, mobilia, abiti, documenti familiari e d'impresa ottocenteschi, attrezzi agricoli e oggetti d'uso quotidiano, iconografia storica e strumenti tradizionali relativi alla produzione della liquirizia, ricostruzione di un ufficio di spedizione e di un punto vendita ottocenteschi. Tutto questo in uno scenario storico di un palazzo di grande impatto, con l’esposizione all’aperto, il Museum Cafè e il Licorice shop, dove acquistare ogni tipo di liquirizia e di prodotti speciali alla liquirizia. Contatti: Consorzio di Tutela della liquirizia di Calabria Dop Corso Luigi Fera 79 Cosenza Recapito presso Assessorato Regione Calabria 0961853143 Amarelli Sas Contrada Amarelli - Strada Statale 106 87067 Rossano (CS) www.amarelli.it Tel: 0983/511219 Fax : 0983/ 510512 46


Un fungo di qualitĂ superiore

Il porcino di Borgotaro: Quattro specie di Boletus, una delle varietĂ di fungo porcino piĂš buone, hanno fatto la fortuna del territorio che comprende i territori dei Comuni di Albareto e Borgo Val di Taro in Provincia di Parma e Pontremoli in Provincia di Massa-Carrara.


Il porcino di Borgotaro è considerato superiore per qualità organolettiche, olfattive ed aromatiche, rispetto ad altri provenienti da diverse zone sia italiane che estere. Garantito dal marchio Igp, ha un odore pulito non piccante e senza inflessioni, di fieno, liquirizia, legno fresco. Un mix aromatico davvero particolare che unito al sapore pieno, rotondo gustoso, ha fatto di questi funghi, un prodotto molto apprezzato dagli chef internazionali.

Un prodotto unico

Viene commercializzato sano, con gambo e cappella sprovvisti di terriccio, foglie o altri corpi estranei. Presenta una superficie liscia, non disidratata, grazie anche all’umidità controllata che deve essere inferiore al 90% del peso totale. Molto apprezzata anche dai mercati esteri è il fungo essiccato, ingrediente di preparazioni di alta cucina.

Il fungo è assai diverso dalle altre produzioni tipiche perché rientra tra gli ortofrutticoli ma non è coltivato nel senso classico del termine. Viene spesso utilizzata l’espressione “prodotto spontaneo aiutato dall’uomo”, volendo intendere che il fungo non viene coltivato come l’uva o allevato come gli animali, ma la sua nascita è in stretta relazione con fenomeni climatici e microclimatici che possono essere condizionati in parte dall’uomo. I produttori di fungo di Borgotaro, programmano continuamente interventi sul bosco, per mantenere la qualità preziosa. Se è evidente che non si possa influire su pioggia o vento, tuttavia si può operare a livello ecologico per l’umidità, temperatura terreno, evaporazione del suolo, per conservare il sapore e l’aroma di questi porcini.

Un bosco tra Emilia e Toscana

La conservazione

Borgo Val di Taro e le sue valli sono famose per il suo fungo. Da anni infatti la ricchezza principale dei boschi appenninici in Provincia di Parma, nello spartiacque tra l’Emilia, la Liguria e la Toscana, non è più la legna da ardere ma sono piuttosto i prodotti del sottobosco. In particolare i funghi porcini di Borgotaro sono conosciuti ovunque, addirittura da fine Ottocento quando molti montanari emigrarono in America e Inghilterra, esportando e facendo conoscere questo prodotto. Nonostante quest’antica notorietà, il Fungo di Borgotaro è un marchio molto giovane: il riconoscimento I.G.P. è stato ottenuto nel 1993. Nel 2014 la Commissione europea ha accolto la richiesta di modifiche alle regole di produzione per estendere l’area a Indicazione Geografica Protetta e per poter marchiare il fungo essiccato.

Tenuto conto della scarsa conservabilità del fungo fresco, la tradizione vuole che il prodotto venga conservato tramite essiccazione,trasformazione in sott’olio o anche surgelazione. I sistemi di essiccazione sono quello naturale al sole o su stufa a legna. Il fungo congelato o surgelato ha gli stessi requisiti previsti per il fungo fresco, per cui la resa dal punto di vista del sapore e del profumo è identica e di grande soddisfazione. I cercatori e la promozione La fama del Fungo di Borgotaro non è solo a livello culinario ma è anche legata alla passione di migliaia di cercatori provenienti da ogni parte d’Italia che frequentano i boschi di questo splendido territorio. Per far fronte ad un’invasione indiscriminata dei bo48


schi sono state create delle riserve per la raccolta dei funghi, per cui occorre rispettare alcune fondamentali regole, come i giorni di chiusura e il massimo raccolto consentito. Anche queste regole hanno permesso di preservare la qualità superiore di questo fungo. La mancanza di grandi quantità di prodotto con il marchio di garanzia ne fa un prodotto di nicchia molto rinomato. I numeri dei funghi Essendo un prodotto estremamente influenzabile dalle condizioni meteorologiche ed ambientali, la produzione può variare moltissimo. Negli ultimi periodi la produzione si è attestata tra le 4 e le 7 tonnellate annue. Di anno in anno aumenta sempre di più la percentuale destinata alle conserve sott’olio, mentre è iniziata da poco l’esportazione del prodotto secco, in particolare verso il Nord Europa. La filiera e il packaging I funghi raccolti devono essere consegnati al confezionatore al massimo nella giornata successiva a quella di raccolta e confezionati all'interno di contenitori di legno a sponde basse su un unico strato, con chiusura della confezione tramite retina sigillata in modo da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo e apposizione sul contenitore della fascetta con le diciture "Fungo di Borgotaro”. In ogni cassetta vanno al massimo 4 kg di funghi. Per il prodotto essiccato e in particolare quello sotto olio, il vetro di prima qualità è il contenitore più utilizzato per mostrare al meglio la bellezza. Il marchio dei produttori è sempre in grande vista, per facilitare il consumatore nella scelta di un prodotto di eccellenza, che però ha tanti prodotti simili.

La strada del fungo di Borgotaro Il Fungo Porcino di Borgotaro è l’attore principale di una Strada che si snoda principalmente nell'alta Val Taro, congiungendosi a nord-est con la Val Baganza e la Strada del Prosciutto e dei Vini dei Colli. Il territorio è ricco dei più affascinanti scenari dell'intero crinale appenninico. E' armoniosamente composto dai rilievi che risalgono dai numerosi corsi d'acqua per giungere alle vette dei confini liguri e toscani. E' una terra ricca di storia, contrassegnata da castelli, borghi medioevali e antichi luoghi di culto. In questo territorio si possono scoprire alcune delle eccellenze più apprezzate come i vini, le castagne, il miele, la carne biologica, le mostarde e anche il parmigiano reggiano. E’ anche una conosciuta terra di vacanze che si anima d'estate con le sagre enogastronomiche e ridà appuntamento al turista in autunno per i menù a base di Fungo Porcino di Borgotaro, accompagnato dalla gustosa tradizione gastronomica della montagna parmense. Ricette Dall’antipasto al secondo, sono tanti gli chef famosi che utilizzano il Porcino di Borgotaro a ‘tutto pasto’, con squisite varianti dei temi cari alla tradizione della montagna italiana. Sott’olio, in padella, alla piastra, crudo in fette sottilissime con scaglie di Parmigiano-Reggiano. Particolarmente apprezzato l’utilizzo nel sugo delle tipiche tagliatelle, con i tortelli e con i gnocchi di patate. La versione sott’olio viene utilizzata negli antipasti più ricchi, grazie anche all’utilizzo di oli particolarmente leggeri e a bassa acidità, scegliendo i migliori funghi freschi.

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Peperoni di Carmagnola: i più buoni d’Italia

Rosso acceso o giallo intenso con lievi sfumature verdi, dolce profumato e a volte delicatamente piccante. Questi i colori e i sapori del peperone di Carmagnola, l’eccellenza dell’agricoltura piemontese. Oltre per il gusto e le inconsuete forme, colpiscono per la consistenza e la sensazione di freschezza.


Un mix di sapore, colore, croccantezza che è esaltato dai forti aromi che si sprigionano dalla buccia. Sull’aroma del peperone di Carmagnola sono stati fatti diversi studi scientifici, che hanno dimostrato come le fibre tenere ricche di essenze e la tanta vitamina C e potassio, costituiscono il segreto botanico di tanto profumo. Per preservare l’unicità di questo prodotto è stato introdotto, nell’ambito della coltivazione, l’utilizzo di insetti predatori dei parassiti delle piante, per combatterli con metodi biologici, senza far uso di antiparassitari e salvaguardando l’integrità e la naturalezza del prodotto. ll Peperone di Carmagnola viene coltivato in una delle aree più fertili del Piemonte, tra Torino e Cuneo. I territori pianeggianti e il clima continentale, con estati molto calde con poca pioggia, risulta particolarmente favorevole alla coltivazione del peperone di qualità e per conservare questi record di odore, sapore e durezza. I Quattro tipi Il croccante quadrato - peperone locale per eccellenza è il Quadrato di Carmagnola in passato denominato “bragheis” in piemontese. Si distingue per la sua forma cubica e la polpa molto spessa, dolcissima e croccante. E’ molto apprezzato consumato crudo, in pinzimonio. La sua forma quadrata è resa ancora più particolare dalle punte e dal dal giallo così luminoso da sembrare artificiale o il rosso cupo e lucido. E’ venduto con un peso minimo di 250 grammi. E’ proprio la dolcezza e l’incredibile croccantezza che ha reso il quadrato di Carmagnola, il più apprezzato dei peperoni italiani all’estero.

La trottola saporita - Il peperone “Trottola” ha una forma conica, tozza a ricordare appunto il gioco tanto amato dai bambini. Anche in questo caso la la polpa si fa notare per la fresca durezza e per il gusto leggermente piccante. La buccia pur essendo spessa si stacca molto facilmente dalla polpa. Questa caratteristica, insieme all’aromaticità molto accentuata, lo rende particolarmente indicato alla cottura al forno e alla griglia. Sempre per l’intenso profumo e per il piacevole e delicato gusto piccante, è molto apprezzato per la conservazione sotto aceto o in antipasti. Anche questo tipo di peperone è molto grande, superando i 300 grammi alla vendita. Il delicato Tomaticot - Si presenta come un peperone rotondo e schiacciato ai poli, con una polpa profumata e stavolta tenera. Il gusto è delicatissimo, adatto per le preparazioni più raffinate e in particolare per essere cucinato ripieno al forno. Una tipica preparazione piemontese che sta facendosi conoscere anche all’estero è quella dei Tumaticot sotto aceto, utilizzati come contorno a piatti di carne e selvaggina. Questo prezioso peperone è leggero anche nel peso, partendo da 150 grammi per pezzo. Il celebrato Corno di Bue - Per gli abitanti di Carmagnola è il più buono, di sicuro il più scenografico per l’intensità dei colori e per la forma conica allungata. Il Corno di Carmagnola è quasi zuccherino ed ha polpa spessa, consistente e carnosa, che masticata, espelle i profumi direttamente in bocca. Dolcezza e profumo che fanno di questo peperone, il protagonista delle varie feste che si tengono durante l’estate. È ottimo crudo o con la bagna cauda, la tipica salsa a base d’aglio della tradizione piemontese. Viene preparato tradizionalmente anche arrostito in forno o scottato alla 51


fiamma, perché la pelle si asporta facilmente. Anche il dolcissimo corno di bue si attesta tra i peperoni più leggeri, con i 200 grammi in sù per pezzo. Unicamente a Carmagnola Nella tradizione agricola italiana vi sono numerosi peperoni molto apprezzati dai consumatori, però solo quello di Carmagnola è celebrato con fiere, feste, seminari, ricerche scientifiche. Il territorio agricolo di questo territorio non è però solo sinonimo di peperone, vi si trovano infatti altre eccellenze gastronomiche come il coniglio grigio, il porro lungo dolce, il salame di Giora, il formaggio del Fengh e il liquore distillato Arquebuse. Il peperone è soprannominato dagli abitanti “Sua Maestà” a prendersi gioco della antica tradizione monarchica del Piemonte, da sempre legato alla famiglia dei Savoia. Un altro aneddoto è legato al fatto che nonostante il commercio internazionale di questi peperoni, molti contadini li vendono ancora oggi lungo le strade di campagna fuori Torino. Questa tradizione è nata negli anni 60 quando i coltivatori per protesta contro le politiche agricole, scaricarono quintali di peperoni sulla strada statale e tantissimi automobilisti che passavano per la strada si fermavano per raccoglierli e portarseli a casa. Un contadino disse ad un automobilista che non doveva prenderli e questo rispose che era ben disposto a pagare. Da quel momento i coltivatori decisero di allestire bancarelle sulla strada per vendere i peperoni ai numerosi lavoratori che tuttora vanno a lavorare a verso Torino.

Dal Perù alle rive del Pò

Pianta esotica giunta in Europa dal Perù alla prima metà del secolo XVI, il peperone venne introdotto nella provincia di Torino solo all’inizio del novecento. La Reale Accademia di Agricoltura Piemontese, selezionò i peperoni più dolci, saporiti e croccanti presso la Colonia Agricola di Rivoli. Gli scienziati agronomi del tempo, per anni cercarono il terreno adatto per esaltare e conservare queste caratteristiche uniche, finché il botanico Domenico Ferrero trovò nella fascia alluvionale tra la sponda destra del Po e l’altopiano di Poirino, la situazione agricola migliore. Nel contempo la coltivazione della canapa veniva ad estinguersi, con l’avvento di cotone e tessuti sintetici, lasciando così spazio alla coltivazione del peperone. Al perfetto terreno, il clima della zona si è unito, facendo sviluppare in pochi anni, un mercato nazionale e internazionale di gustosi peperoni, diversi da tutti gli altri. Carmagnola sinonimo di qualità. Oggi questo ortaggio di altissima qualità è tutelata dal Consorzio di produttori, dopo che la coltivazione del peperone nel Carmagnolese ha assunto col tempo un carattere quasi industriale. Commercializzato in tutta Italia ed esportato all'estero, il tipico Peperone di Carmagnola è il vanto dell'economia agricola locale. Sagre, concorsi, visite guidate dei buyer stranieri, hanno reso questo peperone una celebrità e l’immagine nel mondo dell’agricoltura piemontese a basso impatto ambientale e di qualità. 52


I peperoni in numeri L’esportazione verso i paesi esteri è recente, sviluppata in seguito al crescere d’importanza delle manifestazioni e dei mercati che celebrano il prodotto. Svizzera, Francia, Germania, Olanda, Belgio ed Inghilterra i principali importatori, in particolare del quadrato e del corno di bue. La produzione varia intorno alle 3.000 tonnellate annue su 300 ettari circa.

Sapori dalla cucina italiana Puvrun bagnà’nt'l'oli - Peperoni bagnati nell’olio

Numeri non giganteschi ma che permettono comunque a questa eccellenza di farsi conoscere anche all’estero. Di anno in anno cresce la quantità di peperoni destinati all’industria conserviera, perché nei mercati nordici, il peperone sotto aceto o conservato cotto al naturale è particolarmente apprezzato. Circa la metà dei peperoni prodotti, finiscono in scatola o sotto vetro.

E questo il metodo più classico dei contadini di consumare i peperoni crudi, esaltandone la dolcezza e la croccantezza. Dopo averlo lavato e asciugato, con un coltello si taglia a spicchi, si tolgono i semi e le coste bianche, si tagliano a pezzi più piccoli mettendoli in una scodella dove vanno cosparsi di sale e abbondantemente bagnati di olio d'oliva extravergine, preferendo i delicati oli liguri. Si aggiungono filetti d'acciuga tagliati a pezzi e aglio tritato sottile e si serve in tavola.

Packaging senza packaging

Peperoni conservati in agrodolce

Cassette di legno e niente altro se non il marchio di indicazione geografica di produzione. A presentare al pubblico i peperoni di Carmagnola, ci pensano i colori accesi e i profumi intensi. La scelta di non commercializzare i peperoni freschi con particolari attrezzature proviene dall’analisi fatta dai produttori del consorzio che vogliono presentare i peperoni in maniera più “nuda” possibile.

Questa la ricetta tipica che viene proposta, in grandi numeri e quantità, anche con la produzione conserviera. Pulire dai semi e dalle coste bianche 3 kg. di peperoni. Mettere in una pentola 100 gr di zucchero, 2 bicchieri di olio extra vergine, 1 cucchiaio colmo di sale, alcune foglie di alloro, 1 litro di aceto bianco e vino bianco mescolati. Portare a bollore il tutto, quindi immergere i peperoni a spicchi e continuare la cottura per 4 minuti circa, poi chiuderli ancora caldi con il loro liquido di cottura in barattoli ermetici.

Per distinguere le tipologie di peperoni, essendo sicuri di acquistarne uno prodotto a Carmagnola è stata disegnata una nuova cassetta, di colore verde, in modo da valorizzare quelle varietà meno produttive ma ricercate dai consumatori di prodotti tipici d’eccellenza.

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Consorzio Peperone Carmagnola Piazza Mazzini, 1 10022 Carmagnola (TO) Tel. 011 9724220 www.ortocarmagnola.it

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Il riso Baraggia dalle acque del Monte Rosa

Un riso di qualitĂ superiore. Coltivato nel Biellese e Vercellese, da oltre un secolo è riconosciuto per essere eccezionalmente consistente e poco colloso alla cottura. Il sapore delicato, l’intenso profumo, uniti a queste caratteristiche ne hanno decretato il grande successo internazionale


Coltivato con le acque del Monte Rosa che irrigano le risaie e trasformano il paesaggio agricolo e ottenuto mediante l’elaborazione del riso grezzo si diversifica in diverse varietà, studiate e perfezionate dai risicoltori locali. Gli imprenditori locali hanno investito moltissimo in tecnologia e ricerca, per conservare la naturalezza tradizionale di questo prodotto e le caratteristiche di sapore e profumo. Un riso versatile in cucina che porta in tavola la storia di un territorio, dove acqua e venti provenienti dalle vicine Alpi sono gli ingredienti che permettono di ottenere un riso di altissima qualità. Una qualità superiore riconosciuta anche dalla Comunità Europea con la “Denominazione di origine protetta” sin dal 1992. Il Risa Baraggia biellese e vercellese, è un riso che ha fatto del legame con il territorio e con il rispetto di produzione tradizionale, la pubblicità migliore. La migliore pubblicità per questo riso resta l’apprezzamento di chef e consumatori, per l’incredibile tenuta del chicco, l’aspetto sodo che conservano al meglio aromi e profumi delle diverse varietà. Un riso bello da vedere oltre che difficile da imitare. La qualità dei 28 comuni Sotto il profilo morfologico le piante del riso coltivate in Baraggia, nei 28 comuni tra Biella e Vercelli, sono meno sviluppate rispetto a quello che la medesima varietà manifesta in altre aree di coltivazione ma le frequenti inversioni termiche, favorite dall'ingresso dei venti che discendono dai monti, rendono più rapida la formazione delle cariossidi, ottenendo una maturazione perfetta. La Baraggia piemontese è l’area pedemontana che dalle Prealpi, sotto il massiccio del monte Rosa, si sviluppa verso la pianura. Il

termine Baraggia ha origini agricole e da sempre è stato usato per indicare i terreni poco fertili. Nel 2006 il Comitato Scientifico della Comunità Europea, si è espressa in modo particolarmente positivo nei confronti di questo riso, constatando l’eccezionale specificità della zona di produzione con riferimento alle geologia, clima e storia. Una qualità così elevata da essere utilizzata come strumento di paragone. La compatezza dei tessuti, la superiore traslucidità, una minore dimensione in volume, peso e lunghezza, sono quello che i consumatori riconoscono come qualità Baraggia. Le Varietà del Baraggia La varietà Arborio ha i chicchi più grandi tra le varietà italiane ed è ottima per la preparazione dei risotti. Buona tenuta di cottura e resa gastronomica caratterizzano invece la varietà Baldo, perfetta per qualsiasi tipo di preparazione, in particolare dolci. La varietà più adatta per tante preparazioni tradizionali della cucina italiana (dolci di riso, timballi, crocchette) è la Balilla, con chicchi piccoli e tondeggianti e soprattutto una grande capacità di assorbimento. Particolarmente adatta alla preparazione di insalate e risotti è la varietà Carnaroli, mentre la S. Andrea è particolarmente indicata per minestre, riso al sugo, sformati. La varietà Loto, molto apprezzata anche all’estero, consistente e che non scuoce facilmente risulta adatta per contorni e risotti mentre la Gladio, di ottima collosità è considerato il riso perfetto per contorni e insalate.

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I numeri del Riso Baraggia Oltre 25.000 ettari di superficie coltivata a riso, per una produzione di circa 100.000 tonnellate all’anno di cui 60.000 diventano Dop, per un valore commerciale di oltre 210 milioni di €. Le aziende agricole operanti nell’area sono complessivamente 470, con una dimensione media di poco superiore ai 50 ettari, dislocate sul territorio dei 28 comuni. Una tradizione del riso che vede coinvolte circa 2000 persone con 20 aziende di trasformazione. Numeri che vanno anche verso l’estero con un’esportazione soprattutto verso l’Europa del Nord, dove le varietà del Riso Baraggia, sono particolarmente apprezzate. Un logo per il riso superiore Il prodotto D.O.P. «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese», per essere ammesso al consumo deve riportare sulla confezione la denominazione precisa della varietà agraria coltivata nel territorio e non quella di altra simile, anche se concesso dalle norme vigenti. Regole dure e precise per preservare una qualità ottenuta con dif-

sign, dove tutto viene affidato al logo che e' la rappresentazione di tre grani di riso raffinato. Sullo sfondo bianco interno del Logo, campeggia l'immagine stilizzata del massiccio del Monte Rosa dai cui ghiacciai discendono le acque che alimentano l'irrigazione delle risaie. Risotto alla vercellese Sono infinite le ricette di risotti che si possono preparare, ma una tipica del territorio è il Risotto alla Vercellese, detto anche “Panissa”. Si utilizzano i fagioli borlotti rossi, cotti a lungo con olio extravergine di oliva, sale e alloro. A parte si prepara il risotto facendo soffriggere un battuto di cipolla in un misto di olio e lardo, aggiungendo dei pomodori pelati e il riso (Arborio o Carnaroli). Si aggiungono infine i fagioli portando il tutto a fine cottura, rimescolando solo una volta ed aggiungendo eventualmente del brodo. Si consiglia di abbinare questo piatto con un bicchiere di vino Barbera rosso. Contatti:

ficoltà. Le confezioni di D.O.P. «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese», vanno dai 250 gr ai 25 kg e devono essere presentati in sacchi, sacchetti di stoffa o di materiale plastico igienicamente idoneo a contenere prodotti alimentari. Le denominazioni che devono comparire in caratteri di stampa sulle confezioni sono il con-

Consorzio di tutela Dop

trassegno (D.O.P.) della Comunità europea il Logo della D.O.P. « Riso di Baraggia Biellese e Vercellese», che deve figurare sulla confezione in caratteri chiaramente distinguibili per dimensioni e colore. Confezioni semplici, senza concessioni alla moda o al de-

Tel. 0161 28 38 11 • Fax 0161 25 74 25

“Riso di Baraggia Biellese e Vercellese” Via Fratelli Bandiera n°16 - 13100 Vercelli

www.risobaraggia.com info@risobaraggia.com 57


Saverio Pepe Racconto luoghi e sapori, racconto tradizioni e nuove frontiere forse non più nuove. Spiego e imparo di turismo “minore”: per gli Uffizi hanno già scritto in tanti, io vi parlo delle piccole Isole Frisone o della strade delle ciliegie e del vino in Friuli. Mi interessa il cibo come arte, il viaggio che ha il sapore della storia, la natura che si sente a suo agio nella contemporaneità, un pò come me. Ho una formazione di operatore della comunicazione multimediale, guida turistica, operatore erboristico e di terapie naturali. Le mie parole chiave sono turismo naturalistico, enologico, gastronomico, museale e termale, alimentazione naturale, tradizioni culinarie, eccellenze locali, terapie dolci, medicine alternative, agricoltura biologica, trasporti, ambiente, cosmesi naturale, animali, treni. Ho database tematici, contatti diffusi, un potente Mac, una scrivania di 3 metri, un versatile Lumia 1520, un Ipad della prima generazione, una eccellente Reflex, un appetito irrefrenabile non solo per il cibo ma anche per tutto quello che con conosco o che mi emoziona.

www.saveriopepe.eu

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