Pusceddu Gioco di specchi."Riflessioni" tra Natura e Psiche.

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MARIA PUSCEDDU

GIOCO DI SPECCHI: “RIFLESSIONI” TRA NATURA E PSICHE

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Gioco di specchi: “riflessioni” tra natura e psiche di Maria Pusceddu

Paolo Emilio Persiani Editore piazza San Martino 9/C 40126 Bologna Tel: (+39) 051/9913920

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Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali. Copertina: Con-fine Studio Immagine Curatori del testo: Elena Bolis, Lee-Ann Preti, Antonia Ruspolini Disegni tratti dal libro La trama della vita, di Maria Pusceddu, Casa Editrice Luigi Trevisini, Milano 2006 Stampa: Grafica Metelliana Spa, Cava deʼ Tirreni (SA) Copyright © 2010 by Gruppo Persiani Editore di Paolo Emilio Persiani TUTTI I DIRITTI RISERVATI – Printed in Italy

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INDICE

Presentazione (a cura del dott. Giorgio Cavallari).............................7 Prefazione............................................................................................9 1.

Introduzione all’Ecobiopsicologia.......................................15

2.

Ecobiopsicologia: un inquadramento epistemologico.........25

3.

Il pensiero: considerazioni quantistiche e relativistiche sullo spazio-tempo della mente.....................................................31

4.

Permanenza e trasformazione..............................................51

5.

Forma e simmetria...............................................................62

6.

Caos ordine e vita.................................................................73

7.

Coscienza ed inconscio: una ricerca tra materia, vita e psiche....................................85

8.

La luce: dualità nell’uno.....................................................104

9.

La luce dell’Ombra.............................................................116

10.

Il tempo e la memoria.........................................................122

11.

Universo di emozioni.........................................................131

12.

Cognizione ed emozione....................................................137

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13.

Maschile e femminile: alla ricerca dell’archetipo...............144

14.

Equilibrio riproduttivo e crisi dell’Occidente...................161

15.

Origini biochimiche ed aspetti filogenetici dellʼalimentazione: alla ricerca dell’archetipo biologico delle offerte sacrificali alla divinità...................................................................167

16.

Senescenza e morte: un’interpretazione ecobiopsicologica................................184

17.

Il linguaggio e la sua filogenesi: comunicazione inequivocabile e comunicazione ambigua, ovvero il doppio taglio della parola..................................................................................204

18.

Transfert e controtransfert: un'interazione trasformativa..............................................226

19.

L’aggregazione di individui: filogenesi della società e dello stato con uno sguardo a Platone........................................240

20.

Anima mundi......................................................................269

21.

Eros nella natura e nel mito...............................................277

22.

Evoluzione: un processo alchemico...................................287

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PRESENTAZIONE

Il libro di Maria Pusceddu colpisce, già al primo sguardo che un potenziale lettore rivolge all’indice, per una peculiarità: non è confinabile in una branca specialistica, in quanto il suo contenuto percorre in modo trasversale diversi campi del sapere. Non è nemmeno un testo posto semplicemente a ‘ponte’ fra discipline diverse e distanti, con lo scopo di trovare possibili convergenze fra queste. Non è, infine, solo un’opera rivolta alla creazione di un eclettismo culturale. Maria Pusceddu, una biologa approdata attraverso un complesso cammino alla psicologia ed alla psicoterapia, non si è fermata al già difficile compito di cogliere punti di contatto fra scienze naturali e scienze definibili come ‘umane’, o di individuare prospettive nuove di indagine sul tema del rapporto mente-corpo. L’instancabile desiderio di studiare l’uomo non solo come unità mente-corpo, ma come soggetto che vive in una società e in un ambiente naturale l’ha portata all’incontro con l’Ecobiopsicologia, disciplina della complessità, disciplina per la quale guardare all’uomo, alla società ed alla natura in una triplice prospettiva (cioè psicologica, biologica e ambientale) non è solo una intuizione intellettuale, ma è un metodo rigoroso, costantemente soggetto a verifica, a dibattito, a ricerca di nuove prospettive evolutive. Il testo spazia dalla fisica alla psicologia, dalla biologia all’antropologia e allo studio dei riti, dei miti, delle tradizioni religiose attraverso cui l’uomo ha da sempre cercato di comprendere il senso profondo di se stesso, del mondo, del divenire. Tre concetti fondamentali, però, uniscono in una rete dotata di senso i diversi contenuti. Il primo di questi è l’idea di evoluzione: dal Big Bang all’uomo, dalle forme di vita più primitive fino a Homo sapiens, dalle culture antiche

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fino alla tecnologia moderna si snoda un percorso accidentato, complesso, pieno di svolte, di crisi, di accelerazioni e di tragedie, ma che comunque lo si voglia guardare possiede un senso, un senso in parte noto, in parte ancora da scoprire, ma comunque presente. Il secondo è la nozione di trasformazione: leggendo il testo di Maria Pusceddu il vecchio adagio secondo il quale nulla si distrugge e tutto si trasforma cessa di essere un luogo comune, e diventa un processo scientificamente indagabile, psicologicamente motivante, e spiritualmente significativo. Il terzo, infine, è l’amore per la conoscenza, che l’autrice sperimentò, come ci racconta, fin dai primi anni di vita, e che l’accompagnò come gioco (ma terribilmente serio) per tutta l’esistenza. Una filosofia, un amore per Sophia, per la conoscenza, per la scienza, per l’indagine a tutto campo che spinge non solo a studiare, ma a ‘partecipare’, sperimentandoli in prima persona, i processi e le leggi che sottendono l’evoluzione e la trasformazione di ciò che esiste. Leggere il libro vuole dire, per il lettore, iniziare un viaggio. Un viaggio in cui risuona l’ambizione dantesca a ‘non viver come bruti’, e a fare della conoscenza una virtù alimentata da due componenti: una curiosità sempre infantile, e un rigore che è una componente della saggezza. Giorgio Cavallari

Psichiatra e Psicoterapeuta Direttore scientifico della Scuola di Psicoterapia ANEB Analista didatta junghiano del CIPA di Milano Autore di numerose pubblicazioni in ambito psicodinamico

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PREFAZIONE La ricerca scientifica del Novecento ha indagato ogni ambito della natura, dalle profondità del cosmo popolato di corpi immensi ai più minuti costituenti della materia, ha tentato di carpire il segreto dell’origine della vita e dei meandri della psiche umana. Il secondo millennio si è chiuso con un bilancio straordinario nel campo della conoscenza e del metodo, lasciando l’impressione che gli scienziati del 2000 dovessero precisare solo dei dettagli in una cornice epistemologica già definita, per poi occuparsi essenzialmente di tecnologia. Gli eventi da cui sono stati segnati questi primi anni del terzo millennio inducono però a riflessioni amare. La nostra conoscenza non è servita ad alleviare in modo sostanziale le sofferenze umane: viviamo su un pianeta ferito, in buona parte dall’insensata attività dell’uomo, che si ribella attraverso gli sconvolgimenti climatici, siamo un’umanità ferita che esprime attraverso una violenza cieca l’impossibilità di condurre una vita svuotata di senso. Che cosa abbiamo perso per strada nel nostro cammino? Abbiamo perseguito la ricerca nei diversi campi in modo lineare e settoriale, tante linee parallele senza connettivi né fra una disciplina e la ricaduta a vasto raggio delle sue scoperte né, tanto meno, fra discipline. Ciò ha portato non solo alla frammentazione del sapere e all’incapacità di prevedere conseguenze complesse, ma anche alla separazione dell’individuo dal suo mondo nonché alla frammentazione dell’individuo stesso. L’uomo delle odierne società avanzate, orgoglioso del proprio progresso scientifico e tecnologico, manifesta in genere un senso di superiorità nei confronti di culture diverse, siano esse patrimonio di altri popoli contemporanei o di popoli antichi; egli ha spesso la convinzione che il suo sia stato un cammino di lineare progresso

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dall’ignoranza e dalla superstizione alla “verità”, e ritiene inoltre che il proprio sia l’unico modo per accostarsi ad essa. Personalmente, nonostante la mia formazione scientifica rigorosa derivata da una laurea in biologia, non ho mai condiviso questa presunzione. In realtà, se si hanno occhi per vedere, possiamo rinvenire in testi antichi di migliaia di anni affermazioni comprensibili solo alla luce delle conoscenze della scienza moderna, consapevolezze ovviamente raggiunte per altre vie e descritte attraverso il linguaggio immaginifico dell’intuizione o attraverso il mito. Per far comprendere quale sia stato il percorso che mi ha dato gli strumenti e mi ha condotta a formulare le idee che leggerete in questo libro, vorrei raccontare qualcosa di me a chi avrà la pazienza di leggere le pagine seguenti. La mia prima passione fin da piccolissima è stata l’osservazione degli esseri viventi nella loro meravigliosa varietà. Mi piaceva imparare a riconoscerli sui volumi del Brehm, che mio nonno mi lasciava sfogliare, e a chiamarli con i loro nomi, che ancora non riuscivo a pronunciare correttamente, suscitando l’ilarità di tutti. Poi, in prima elementare, l’album di figurine che raccoglieva nella prima pagina gli animali preistorici. Non li avevo mai visti prima e restai affascinata da quegli esseri arcaici che emergevano dal passato. Quando riuscii a completare quella pagina, imparai tutti i loro nomi a memoria e non li ho più scordati. Col procedere degli studi scoprii la passione per la storia antica e per l’archeologia, il fascino dei poemi omerici e della mitologia che accendevano la mia fantasia di preadolescente. Poi gli studi classici: il greco, il latino, la filosofia… e le scienze relegate in un cantuccio come figlie di un Dio minore. Nessuna relazione mai tra i due diversi ambiti disciplinari, quasi non dovessero contaminarsi l’uno con l’altro; mentre io subivo il fascino dei filosofi presocratici per i

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quali filosofia e fondamenti della natura erano inscindibili. Ricordo che a scuola questi filosofi venivano liquidati in poche lezioni; tutto ciò che a distanza di tempo se ne poteva ricordare era che Democrito aveva intuito la composizione della materia, fatta di atomi, ma che aveva sbagliato dicendo che l’atomo è indivisibile, oppure che Eraclito, al di là del πάντα ῥεῖ (tutto scorre), diceva cose così difficili da comprendere da essere soprannominato “l’oscuro”. Al termine del liceo tutti si aspettavano che proseguissi gli studi in ambito letterario; ma il mio interesse per il mondo della natura, mai sopito, si fece sentire prepotentemente. Gli studi classici mi avevano fornito strumenti sufficienti per coltivare anche in seguito per mio conto gli interessi umanistici, ma solo uno studio sistematico e rigoroso mi avrebbe permesso d’indagare i segreti della materia e della vita. Così, sbalordendo tutti, mi iscrissi alla facoltà di Scienze biologiche. «Perché non Medicina!» – mi dissero – perché non mi bastava una visione limitata al funzionamento del corpo umano: volevo esplorare un orizzonte vasto, scoprire una storia, la più affascinante delle storie. Mi resi conto presto che per me la cosa più importante, al di là dei meccanismi, era cogliere il senso più vasto di quanto andavo studiando; ciò paradossalmente mi portava ad approfondire sempre di più i meccanismi stessi per scoprire, oltre ai “come”, i “perché”. Questo modo di procedere incalzante mi portò a superare i limiti delle discipline curricolari; così negli anni cercai di andare oltre la chimica e mi interessai di particelle subnucleari, di fisica moderna e di cosmologia, pur nei limiti imposti dalla mia carenza negli strumenti matematici per i quali, tra l’altro, non ho mai nutrito interesse. Ancora una volta sentivo l’importanza dei nessi tra le cose, dei significati sottesi, delle analogie e corrispondenze: microcosmo e macrocosmo inscindibili, impossibile comprendere l’uno senza l’altro. La mia ricerca mi ha portata ad individuare da un lato analogie tra i

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diversi piani di espressione dell’essere, dall’altro le invarianti che tendono ad unificare i fenomeni in poche leggi fondamentali. Facendo questo, per mia natura ero portata a travalicare i limiti del mondo fisico-biologico per espandere questi processi verso aspetti psicologici e sociali. Il mio allora era un interesse scientificospeculativo, non relato ad aspetti applicativi di tipo terapeutico. Più tardi vi fu l’incontro con Jung attraverso la lettura de L’uomo e i suoi simboli. Penso di aver colto allora subliminalmente la profonda affinità di quell’impostazione, che lo portò a formulare il concetto di inconscio collettivo, con gli studi sulla filogenesi degli organismi; percepii nell’ansia della sua ricerca delle strutture fondanti la psiche umana, gli archetipi, la mia stessa ansia di arrivare alle radici dei fenomeni naturali, di cui il mondo fenomenico (noi compresi) è la variegata esplicitazione. Così, già adulta, mi iscrissi alla facoltà di Psicologia. Ricordo che una sera un tale, con l’evidente intento di mettermi in difficoltà, mi chiese perché una biologa si fosse messa a studiare psicologia. “Perché voglio continuare a studiare l’evoluzione” - replicai immediatamente. Questo gli bastò. Una risposta così rapida ad una domanda, che in quei termini non mi ero mai posta, non era certo frutto di un ragionamento, era salita alle mie labbra come un vortice istantaneo da profondità ove la ragione non ha accesso; per questo l’ho percepita come una verità così profonda da far ammutolire senza replica il mio interlocutore. La psicologia analitica junghiana, attraverso lo studio scientifico dei miti, attribuiva valore a quel patrimonio dell’umanità in genere liquidato come “storie”; in qualche modo riuniva i due mondi che avevano acceso le mie passioni giovanili. Inoltre apriva alla dimensione della sofferenza umana attribuendole significati e prospettando in un percorso psicoterapeutico, oltre ad una possibile risoluzione della sofferenza stessa, un cammino evolutivo psicologico e spirituale.

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La mia duplice formazione, biologica e psicologica, e questi particolari interessi hanno quindi determinato il corso ulteriore dei miei studi da un lato verso la psicologia analitica junghiana, nel cui ambito feci anche la mia analisi personale, e dall’altro verso la psicosomatica. Nel corso di quest’ultima specializzazione presso una scuola in cui i due aspetti erano fortemente relati, avvenne l’incontro con il dottor Diego Frigoli e l’Ecobiopsicologia, un approccio assolutamente sintonico con la mia storia personale e culturale. Questo è stato per me un evento fondamentale, che mi ha permesso di trovare un nome nel quale situare la mia pluriennale ricerca: avevo trovato casa! Negli anni a seguire, fino ad oggi, ho portato il mio specifico contributo nell’approfondimento dei temi che coinvolgono le scienze naturali e nella ricerca delle analogie fondanti che uniscono i diversi livelli dell’essere. Mi sono occupata della ricostruzione filogenetica delle strutture corporee fino a cogliere il valore di archetipo, attribuibile alla funzione, precedente nel tempo la strutturazione degli organi che ne rappresentano le immagini archetipiche. Ho cercato di saldare alla visione dell’inconscio collettivo prospettata da Jung, rivolta soprattutto all’aspetto psichico e che allude soltanto all’aspetto della materia senza approfondirlo, una parte ancora più profonda che sa, oltre che la storia dell’uomo e della sua coscienza, la storia che ha condotto fino all’uomo andando a ritroso fino agli albori della vita, alla polvere di stelle, alle origini dell’universo. Solo in quest’ottica è possibile comprendere come la profonda intuizione di uomini antichi possa comunicare all’uomo moderno aperture su orizzonti immensi, i cui confini vanno dalla comparsa della materia in uno spazio-tempo neonato al travaglio della mente umana, tesa alla ricerca di armonia con le proprie radici. Da queste riflessioni emerge un punto a mio avviso molto importante: per capire è necessario analizzare, per sapere non è necessario.

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La conoscenza scientifica attuale ci dà oggi la misura della profondità del pensiero antico, che fu in grado di toccare la verità per altra via; ma essa rappresenta probabilmente la strada più idonea tramite la quale l’uomo di oggi può entrare in contatto con i segreti dell’universo, e proprio in questo sta l’emozionante avventura del moderno ricercatore. Tuttavia, se non cogliesse la risonanza che ogni evento della natura ha dentro di lui, se si perdesse tra formule e provette, fra macchine e calcoli, fra tecniche e statistiche senza cogliere il senso globale del suo operato, egli non potrebbe mai entrare in sintonia con l’oggetto della sua ricerca, non potrebbe mai cogliere “l’armonia nascosta” di cui parlava Eraclito.

Bibliografia: 1) A. E. Brehm, La vita degli animali, UTET, Torino 1926 2) C. G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, Casini, Firenze 1967

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1. INTRODUZIONE ALL’ECOBIOPSICOLOGIA L’Ecobiopsicologia nasce come un approccio psicosomatico integrato alle vicissitudini umane. Essa si basa su tre solidi pilastri: la psicologia del profondo in tutte le sue accezioni più importanti ma con particolare riferimento alla psicologia analitica di Jung, le scienze della Natura con particolare attenzione agli aspetti filogenetici ed ontogenetici, le teorie della complessità come chiavi di lettura di una realtà multidimensionale, quale è l’Uomo inserito nel suo ambiente fisico e sociale. • La psicoanalisi, pur partendo dagli studi sull’isteria, quindi da una “conversione” di conflitti psichici in sintomi corporei, ha sempre lasciato al margine l’indagine sui legami tra psiche e soma, limitandosi a registrare come tale “il misterioso salto dalla mente al corpo”. Le numerose scuole di Psicosomatica hanno posto prevalentemente l’attenzione sul risultato che eventi stressanti hanno sulla risposta fisiologica dell’organismo e sugli effetti che il protrarsi di tali sollecitazioni hanno sugli organi. In questo ambito si collocano da un lato gli studi sulla personalità di soggetti considerati a rischio di certe patologie e dall’altro le moderne ricerche sulle correlazioni psico-neuro-immuno-endocrine (PNEI). Vediamo quindi come queste correnti di pensiero abbiano dato origine ad approcci alla sofferenza umana che, pur essendo ciascuno di per sé importantissimo e pur rivolgendo il loro interesse allo stesso oggetto, proprio come correnti diverse di uno stesso oceano, non si sono mai miscelate, limitandosi a sfiorarsi solo marginalmente. L’Ecobiopsicologia tende invece a superare queste divisioni ricercando tra corpo e psiche le analogie fondanti l’unitarietà dell’individuo, caratterizzandosi pertanto come una visione olistica. Così come Jung ricercò nei miti di tanti popoli le tappe evolutive

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della psiche umana e trasse da questi studi la teoria degli archetipi, funzioni dell’inconscio strutturanti la psiche stessa, così noi cerchiamo nella filogenesi degli organi e degli organismi il senso profondo del loro esistere fino a giungere all’archetipo biologico che si è manifestato attraverso di essi. Il valore del simbolo, così mirabilmente proposto da Jung attraverso un’intera vita spesa a sondare gli abissi della psiche, è per noi rintracciabile anche nel corpo. Il corpo rappresenta una parte fondamentale della nostra realtà, non “pensata” ma vissuta. Il nostro corpo funziona perfettamente senza l’intervento della nostra coscienza; rappresenta quindi un inconscio concretizzato. Come l’inconscio psichico, anche quello somatico può parlarci per simboli che vanno colti ed interpretati quando s’impongono alla nostra attenzione attraverso la disfunzione. Dato che i messaggi che vengono dal profondo non possono essere contraddittori, dovremo attenderci che ad un problema corporeo corrisponda un problema psichico legato ad esso da un’analogia.

Fig. 1: Metafora dello spettro elettromagnetico. La banda del visibile rappresenta l'Io, cioè il dominio della coscienza, l'infrarosso rappresenta l'inconscio somatico e l'ultravioletto l'inconscio psichico. Il Sé psicosomatico comprende tutti gli aspetti descritti.

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3. IL PENSIERO: CONSIDERAZIONI QUANTISTICHE E RELATIVISTICHE SULLO SPAZIO-TEMPO DELLA MENTE

La psiche, un fenomeno della natura Il pensiero è sempre stato oggetto privilegiato della speculazione filosofica; c’è quindi ben poco che in quest’ambito non sia già stato ampiamente detto. Vorrei invece tentare di aprire una riflessione sul pensiero inquadrato nell’ambito delle Scienze della Natura. La psiche umana, così complessa ed in parte insondabile, costituisce una proprietà emergente rispetto a ciò che l’ha filogeneticamente preceduta, quindi contiene sedimentato nel suo profondo tutto il cammino che la Natura ha percorso per arrivare fin qui. Proprio indagando i processi fondamentali che sottendono la realtà materiale potremo intravedere le leggi basilari che non possono essere disattese. Esse a mio avviso, usando correttamente l’analogia, possono essere ritenute valide a qualsiasi livello di analisi della realtà; assumono così il valore di archetipo strutturante ogni livello dell’esistenza. La Natura va quindi indagata e compresa perché è “maestra” di tutto ciò che dal suo grembo è emerso, noi compresi. La filosofia occidentale e la visione del mondo che ne è scaturita hanno creato una grave frattura tra le scienze umane e le scienze naturali, dimenticando quanto l’Uomo appartenga alla Natura stessa; di questa dicotomia stiamo ancora pagando il prezzo. Bisogna tornare indietro fino ai filosofi presocratici1 per ritrovare l’ispirata ricerca di verità fondamentali per il pensiero umano nelle profondità della Natura. Abbiamo perso a tal punto nei secoli questa 1 I filosofi presocratici sono vissuti intorno al VI e V secolo a.C.; essi sono

considerati i fondatori della cultura filosofica e scientifica della Grecia e dell’intero Occidente. Tra questi ricordiamo: Talete, Pitagora, gli Eleati, Eraclito, Empedocle, Democrito, Anassimandro, i Sofisti.

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sensibilità che il grande Eraclito è comprensibile solo oggi alla luce della fisica moderna (se qualcuno si prendesse la briga di rileggerlo in quest'ottica), tanto è vero che fu definito “l’oscuro”. La visione orientale pare molto più vicina alla realtà fisica di quanto non lo sia la visione occidentale. Sembra un paradosso ma noi, con tanti secoli di scienza alle spalle, siamo arrivati solo nel Novecento ad intravedere la natura nascosta della materia ed i suoi veri rapporti con l’energia, grazie a uomini geniali come A. Einstein, N. Bohr, M. Planck, W. Heisenberg, W. Pauli, ecc.; non sarà un caso che, mentre la comunità scientifica dei medici li guardava con sospetto, Freud intrattenesse una corrispondenza con Einstein e Jung con Pauli. Evidentemente chi esplorava in modo rivoluzionario le profondità della materia e chi faceva lo stesso incredibile viaggio nelle profondità della psiche umana erano in grado d'intendersi e di confrontarsi sul mistero della nostra esistenza. Il pensiero rappresenta senz’altro l’acquisizione più recente della filogenesi, caratteristica dell’Uomo. Ciò che colpisce è il fatto che proprio il frutto più maturo dell’evoluzione della materia sia qualcosa d’immateriale. Dobbiamo però tener presente che la materia stessa è nata da una particolare condensazione dell’energia, quindi dall’immateriale. Dalla sua prima formazione negli attimi successivi al Big Bang la materia ha avuto una lunga storia nel corso della quale si è “organizzata” in livelli di complessità via via crescente, ciascuno caratterizzato da proprietà emergenti rispetto ai livelli precedenti; si è giunti così alla specie umana e alla sua capacità di generare pensiero. È come se l’energia, per potersi esprimere in una nuova forma (energia psichica), avesse avuto bisogno di attraversare l’avventura evolutiva della materia. Proprio noi studiosi di Ecobiopsicologia, che ci occupiamo dell’interazione mente-corpo, o meglio di psicosoma, sappiamo bene

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quanto “peso” abbiano gli immateriali eventi psichici e come la “conversione” in aspetti somatici sia frequente. Teniamo presente a questo scopo la metafora dello spettro elettromagnetico, da noi spesso usata mutuandola da Jung, in cui la banda del visibile rappresenta l’Io, l’infrarosso rappresenta il corpo e l'ultravioletto la psiche (vedi fig. 1, pag. 16). Possiamo anche intendere l'infrarosso riferito alla materia, l'ultravioletto all'energia ed il visibile all’Uomo, che rappresenta il punto d’unione tra le due, così come nella filosofia cinese l’Uomo rappresenta l’intermediario tra Cielo e Terra. Vale allora la pena di approfondire alcuni aspetti della Fisica contemporanea, addentrandoci alle radici del rapporto materia/energia, per gettare un ponte analogico tra due realtà solo in apparenza diverse. Einstein: la nuova fisica È importante innanzitutto ricordare come siano mutate nel corso del XX secolo le concezioni di materia ed energia, di spazio e di tempo. Nella Fisica meccanicistica newtoniana, vigente fino alla fine dell’Ottocento, lo spazio con le sue tre dimensioni ed il tempo erano categorie assolute, cornici entro le quali si svolgevano le vicissitudini del reale; essi erano considerati indipendenti dalla presenza o meno della materia che li “abitava” ed inoltre indipendenti tra loro; la materia e l’energia erano considerate entità distinte e la seconda veniva definita “un attributo” della prima. La visione illuminata di A. Einstein, poi supportata da numerose evidenze sperimentali e formalizzata matematicamente, ha operato una rivoluzione totale. La teoria della Relatività si basa su quattro punti fondamentali: 1) La materia e l’energia sono convertibili l’una nell’altra e quindi aspetti di un continuum (E=mc2).

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2) Lo spazio e il tempo non sono valori assoluti ma cambiano, contraendosi o dilatandosi, in relazione al sistema di riferimento; per esempio, un orologio posto su un razzo molto veloce e sincronizzato al momento della partenza con un orologio che resta a terra, al suo ritorno segnerà un’ora diversa da questo: il tempo si dilata con la velocità e lo spazio si contrae. 3) I tre assi delle direzioni spaziali (percorribili ciascuno in entrambi i sensi, sia in avanti che indietro) e l’asse temporale (percorribile in un solo senso, cioè in avanti) non sono indipendenti tra loro; la realtà si muove quindi in uno spazio-tempo quadridimensionale. 4) Lo spazio e il tempo non sono entità assolute entro cui si muove la materia, bensì vengono creati dalla presenza della materia stessa. Secondo la Relatività generale lo spazio-tempo non è piano, ma curvo; viene descritto come un tappeto elastico creato dagli oggetti che lo incurvano tanto più quanto maggiore è la loro massa. Corpi con masse molto grandi, soprattutto se si contraggono in volumi piccoli acquistando altissima densità (densità = massa/volume), possono incurvare lo spazio-tempo a tal punto che questo può richiudersi su se stesso, escludendo quell'oggetto da qualsiasi rapporto con lo spazio-tempo in cui si trovava precedentemente: è ciò che in astrofisica chiamiamo buco nero. Se lo spazio non è piano ma curvo, allora anche la geometria euclidea, così come la meccanica newtoniana, non è più idonea a descrivere la realtà, ma sono necessarie altre geometrie non euclidee. Esaminiamo un po' più da vicino le evidenze sperimentali che hanno portato a rivoluzionare il rapporto tra materia ed energia. Le scoperte relative alla struttura dell’atomo (Rutherford 1911) hanno dimostrato che la sua massa è praticamente tutta concentrata in uno spazio piccolissimo rispetto al volume totale dell’atomo stesso: il nucleo che contiene i nucleoni (protoni e neutroni), cioè le particelle subatomiche pesanti. Tutto il restante volume dell’atomo è uno spazio praticamente vuoto, solcato dagli elettroni (particelle

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Le particelle virtuali portatrici di forza gravitazionale e forza elettromagnetica (gravitone e fotone) hanno massa praticamente nulla; pertanto hanno un tempo di vita sufficientemente lungo per percorrere grandi distanze, tanto da poter essere percepite nel macrocosmo e quindi da noi. Le particelle portatrici di forza forte e di forza debole (mesoni π e bosoni W e Z), avendo massa grande, hanno un tempo d'esistenza brevissimo che si consuma nel raggio di un nucleo atomico; per questo motivo non ci accorgiamo direttamente della loro esistenza, ma su di esse poggia la stabilità della materia che crea il nostro mondo e noi stessi. La scoperta delle particelle virtuali impone una rivisitazione del concetto fisico di vuoto. Noi riteniamo banalmente che lo spazio tra i corpi sia vuoto; in realtà il vuoto non esiste perché, tramite “l’energia in prestito”, è sempre possibile la materializzazione e successiva rapida scomparsa di coppie particella-antiparticella, che rendono quel “vuoto” estremamente popolato. Per esempio, la carica di un elettrone reale (e-) che interagisce con un’altra particella carica reale non è mai quella “vera”, ma risulta indebolita perché schermata da coppie virtuali elettrone-positrone (e- - e+) tanto più numerose quanto maggiore è lo spazio fra le particelle reali interagenti. Questa è la ragione per cui la forza elettromagnetica decresce con la distanza. La nuova fisica e la mente La Fisica moderna quindi ci apre scenari prima impensabili, perché occultati nel mondo normalmente accessibile ai nostri apparati percettivi. La materia ordinaria infatti, data la sua “lentezza”, risente tanto marginalmente degli aspetti relativistici che possono essere trascurati; inoltre, data la consistenza delle masse in gioco possono essere trascurati gli aspetti quantistici. Le “vibrazioni pesanti” della

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materia di cui siamo fatti ci vincolano al determinismo e ad una visione pre-einsteiniana dello spazio-tempo. Il pensiero invece può eludere questi vincoli. Può, attraverso l’intuizione, accedere a mondi sensorialmente preclusi, può attraverso il sogno o l’immaginazione vivere scenari virtuali, in cui vengono trascesi i vincoli spazio-temporali, il principio di causalità e di non contraddizione e che possono suscitare emozioni reali; può, attraverso stati alterati di coscienza, attingere ad energie non altrimenti disponibili e farle agire per un tempo compatibile con la loro esistenza sul proprio psicosoma. Abbiamo detto in precedenza che l’energia primordiale, per potersi esprimere come energia psichica, ha dovuto attendere che l’evoluzione della materia generasse una struttura abbastanza complessa per essere atta allo scopo. Possiamo a giusto titolo vedere il pensiero come una proprietà emergente del sistema nervoso. Il sistema nervoso infatti nasce filogeneticamente non per pensare, bensì da un lato per coordinare adeguatamente strutture interne di organismi pluricellulari che diventavano via via più complessi, dall’altro per allargare il livello di percezione dell’ambiente circostante e rispondere più rapidamente alle sue sollecitazioni. Tutto ciò allo scopo di acquisire in modo efficace quote d’energia crescenti per mantenere il proprio ordine interno e sperimentare nuove e più efficienti soluzioni ai problemi della sopravvivenza. Così si è mossa l’evoluzione degli organismi eterotrofi, costretti a procacciarsi molecole organiche per il loro metabolismo. Gli animali più primitivi (Spugne), ancora privi di sistema nervoso, erano fissi al substrato come le piante, impossibilitati a muoversi nello spazio. I primi animali con sistema nervoso a rete, privo di centralizzazione (Meduse), fluttuavano in balia delle acque, muovendosi in uno spazio di cui non erano padroni poiché il loro moto era privo di qualsiasi direzionalità.

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Il sistema nervoso acquisì una sua primitiva centralizzazione con la comparsa di animali a simmetria bilaterale (Vermi): avere una distinzione tra una testa e una coda significava poter scegliere una direzione in cui muoversi nello spazio. Per questi animali striscianti la possibilità era limitata alle due sole dimensioni del piano (lunghezza e larghezza); per gli animali con zampe, e ancor più con la stazione eretta, si ottenne la padronanza della terza direzione spaziale (altezza). Da quel momento in poi l’evoluzione si è mossa in direzione di una sempre maggior complessità ed efficienza del sistema nervoso atto a coordinare una sempre migliore dotazione dell’apparato locomotore; ciò significava una sempre maggiore padronanza del proprio spazio vitale. Parallelamente alla miglior efficienza motoria si sviluppava ovviamente un sofisticato sistema sensoriale, che apriva sempre più ad una percezione raffinata del proprio mondo: non era sufficiente muoversi, bisognava sapere come muoversi. Questo termine evoca in noi già il sapore di una coscienza, intesa come una seppur primitiva valutazione delle situazioni. Sapersi muovere significa non solo sapere come farlo, ma anche quando farlo: ecco che la psiche animale acquisisce la capacità di confrontarsi non solo con il concetto di spazio, ma anche con quello di tempo. A mio avviso il proto-pensiero, così come noi lo intendiamo, compare proprio con l’accesso alla categoria temporale. In particolare ciò avvenne quando l’animale, sfuggendo al vincolo dello stimolo-risposta immediato, poté reagire ad una situazione in base ad un’esperienza passata (memoria). Ciò avveniva sul piano anatomico con l'aumentare del numero dei neuroni implicati in un circuito e con il complicarsi delle sinapsi, nonché delle modulazioni a cui andavano soggette; sul piano biochimico, oltre ai neuromediatori classici delle risposte senso-motorie, si verificava il

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coinvolgimento di numerosi mediatori peptidici, capaci di coordinare più circuiti in cui un evento potesse essere trasformato in un’esperienza arricchita di tonalità emotive, tale da restare impressa e recuperabile. Più tardi comparve una limitata capacità di proiettarsi in un futuro, anche se molto ravvicinato: il primo embrione del progetto. Probabilmente il pensiero dei primi Ominidi fu solo un ampliamento e un’articolazione maggiore di questi aspetti. L’accesso a strati di memoria sempre più ampi creò via via un patrimonio d’esperienza a cui attingere; la capacità di estendere nel tempo a venire un progetto aprì gli spazi alla capacità immaginativa. Poi la capacità di astrazione, la nascita del simbolo, in grado di legare un aspetto materiale ad un significato immateriale più vasto. È questo che ci ha fatto Uomini. Il progressivo complicarsi delle strutture anatomiche, alla base delle quali sta un complicarsi esponenzialmente maggiore delle relazioni cellulari e delle reti biochimiche che le sostengono, pur essendone il substrato materiale non è sufficiente a spiegare il pensiero. Ecco perché lo definisco proprietà emergente, cioè un qualcosa che trascende la somma delle condizioni, pur imprescindibili, che ne stanno alla base. Nel caso della nascita del pensiero, a mio avviso, si verifica un vero “salto quantico” rispetto ad altri livelli di complessità precedenti (es. dagli atomi alle molecole, dagli organismi unicellulari ai pluricellulari, ecc.): quelli rappresentavano un diverso complicarsi delle costruzioni che tuttavia restavano sempre sul piano della materia; qui invece una realtà materiale estremamente complessa genera qualcosa d'immateriale Sembra quasi un evento cosmico al contrario: nel Big Bang l’energia si concretizzò in materia e questa si espresse in tutti i modi possibili fino a generare il cervello umano; ora questa materia altamente

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organizzata libera una nuova forma di energia, l’energia psichica appunto, che può sbizzarrirsi nel creare tutti gli oggetti possibili (pensieri, sogni, emozioni), dai più semplici ai più complessi, e tutti sul piano immateriale. Siamo di fronte ad una vibrazione diversa, sottile, che può sottrarsi ai vincoli che la materia impone e che può accedere a dimensioni “relativistiche” e “quantistiche” precluse alla nostra dimensione corporea. Già nel proto-pensiero possiamo cogliere significative analogie: per esempio, le associazioni spazio-temporali di eventi che sottendono gli aspetti di memoria prevedono connessioni, relazioni tra accadimenti analoghe a quelle che nel mondo materiale sono generate dalle particelle portatrici di forza. Anche nella psiche più evoluta la “e-vocazione” di un ricordo è un “chiamare fuori” un qualcosa che connette un “ieri” ad un “ora” e che esiste per il tempo dell’evocazione stessa, tempo in cui genera effetti concreti: nostalgia, dolore, gioia, pianto o riso. Riattualizzare il passato significa riportare all’indietro per un istante la freccia del tempo, contravvenendo alle regole della materia secondo la quale essa può procedere solo in avanti. Ancora, se assimiliamo il pensiero che si “concretizza” dall’energia psichica ad una particella reale che emerge alla coscienza, possiamo forse ritenere che si formi nel vuoto? A ben riflettere, ciò che consideriamo “vuoto” rispetto alla coscienza è l’inconscio, così come chiamiamo “vuoto di memoria” il non ricordare. Freud e Jung ci hanno insegnato a vedere la coscienza come una piccola barca galleggiante sul mare dell’inconscio, spesso beccheggiante sulle onde dell’inconscio personale, a loro volta increspature del grande inconscio collettivo. Ma l’inconscio è popolato di entità inafferrabili per la coscienza, e quindi virtuali rispetto ad essa, che si organizzano intorno al pensiero, archetipi, figure dell’inconscio che costellano ogni evento. Queste entità, proprio come le particelle virtuali, possono mediare lo scambio e favorire una coesione di parti psichiche ed una crescita:

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in questo caso sono “portatrici di forza”; un esempio per tutti il simbolo, potente trasportatore di energia trasformante che emerge attraverso un sogno, un’intuizione, una visione. Oppure esse, nella loro duplicità positiva-negativa, possono, in analogia alle coppie virtuali particella-antiparticella, schermare con “parti ombra” la carica energetica originaria, ed allora sottraggono forza come abbiamo visto accadere nella schermatura della carica dell’elettrone (vedi cap. 18). Pensiamo per esempio al caso in cui ci troviamo davanti a certe situazioni, di per sé innocue, ma che per noi diventano fonte d’angoscia tale da impedirci di affrontarle; non sappiamo perché, percepiamo l’assurdità della cosa, ma non sappiamo come farvi fronte. Quali entità virtuali si frappongono tra noi, persone normalmente capaci, ed un compito oggettivamente facile? Quali ombre si allungano ad oscurare le nostre forze? Possiamo evidenziare questi aspetti anche andando oltre la comunicazione intrapsichica del singolo individuo ed osservando la comunicazione tra individui. Se il pensiero formulato da un interlocutore è espresso senza ambiguità ed accolto senza pregiudizi, aldilà del fatto che venga condiviso o meno dall’altro soggetto, sarà per quest’ultimo fonte di riflessione; lo scambio avrà in ogni caso generato un reciproco rispetto, pur nell'eventuale diversità di opinioni, ed entrambi gli interlocutori ne usciranno positivamente trasformati ed arricchiti. Se invece il messaggio verrà inconsciamente filtrato da una miriade di pregiudizi, evocazione di vissuti personali, di parti ombra o quant’altro, non potrà essere “compreso”; ciò genererà ulteriori incomprensioni, la radicalizzazione di posizioni che potrà giungere fino allo scontro. Mi capita spesso di dire a pazienti o a me stessa: «Se una persona ti dà fastidio senza ragioni oggettive, guardala bene perché ti sta mostrando qualcosa di te che non vuoi vedere!» Ancora qualcosa d’inconscio, virtuale rispetto al mondo “reale” della coscienza, si frappone tra noi e l'altro creando un impedimento all'incontro.

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19. L’AGGREGAZIONE DI INDIVIDUI: FILOGENESI DELLA SOCIETÀ E DELLO STATO CON UNO SGUARDO A PLATONE Il gran numero di bisogni fa riunire in un’unica sede molte persone, che si associano per darsi aiuto: a questa coabitazione abbiamo dato il nome di Stato.26 In questi termini Platone si riferisce a quel fenomeno che, da un punto di vista scientifico, definiremmo una struttura sovraordinata rispetto all’individuo; esso dovrebbe quindi essere esaminato come un momento dell’evoluzione e, come tale, discusso non come fatto a sé stante, ma inserito nel più ampio contesto dei fenomeni naturali. Dalla fisica alla vita Abbiamo già avuto modo di osservare come tutto ciò che esiste derivi dall’interazione ordinata di subunità in strutture via via più complesse (vedi cap. 1); ripercorreremo rapidamente questi stadi per cogliere, pur nella molteplicità dei fenomeni, alcune invarianti che sarà importante tenere presenti per affrontare correttamente il discorso. Al primo livello di organizzazione della materia troviamo le particelle elementari: i quark e gli elettroni. I quark si uniscono tra loro a gruppi di tre, originando protoni e neutroni, e da quel momento non hanno più alcuna possibilità di tornare liberi essendo uniti dalla cosiddetta forza forte, la più potente che esista in natura (vedi cap. 3). I protoni ed i neutroni si legano tra loro a costituire i nuclei atomici, mentre gli elettroni, attratti elettrostaticamente, orbitano in livelli 26 Platone, La Repubblica, in Opere complete vol.VI, Laterza, Bari 1986

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ordinati intorno ad essi dando origine agli atomi. Negli atomi queste particelle sono vincolate tra loro ed occorrono notevoli quantità di energia per poterle liberare; è comunque più facile allontanare un elettrone da un atomo che un protone o un neutrone da un nucleo, perché la forza elettromagnetica è più debole di quella nucleare. Gli atomi hanno proprietà caratteristiche ed, in base a queste, tendono ad aggregarsi in complessi, le molecole, tramite legami chimici. Le molecole hanno proprietà fisico-chimiche diverse dagli atomi costituenti; questi ultimi possono riacquistare le proprie caratteristiche originarie solo se, in seguito alla rescissione dei legami, ritornano liberi. Alcuni atomi (in particolare il carbonio) sono in grado di organizzarsi in molecole giganti, formate da migliaia di unità; queste assumono nello spazio forme tridimensionali tramite interazioni, più deboli e plastiche di quelle che tengono uniti gli atomi nella molecola, tra punti diversi della molecola stessa. Tali macromolecole possono così, pur mantenendo la propria identità, assumere configurazioni diverse che potranno modificarne il comportamento; di questo tipo sono le molecole biologiche fondamentali: le proteine, che costituiscono l’impalcatura delle cellule, e gli acidi nucleici che costituiscono il codice genetico. La tridimensionalità e la plasticità di queste macromolecole le rende adatte ad intergire tra loro, originando complessi sovramolecolari che portano il livello di complessità alle soglie ella vita; a questo tipo di organizzazione sono riferibili i virus e certi organelli subcellulari. Il livello successivo è quello cellulare, costituito da un insieme altamente ordinato di complessi sovramolecolari interagenti fra loro; a questo tipo di organizzazione corrisponde il più semplice essere vivente: la cellula procariota (es. i batteri). Nei livelli che abbiamo brevemente esaminato vi è un aspetto costante: ogni struttura sovraordinata partecipa delle proprietà dei

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suoi componenti ma non è la semplice somma di questi, è diventata qualcosa di più; il tentativo di spiegare le caratteristiche di questa nuova entità tramite quelle dei suoi costituenti è miope riduzionismo: essa ha trasceso il livello di organizzazione precedente. Fino allo stadio molecolare, quindi ad un livello d’organizzazione che precede la “vita”, notiamo che il venir meno dei legami fra subunità riporta al livello di organizzazione precedente e le componenti stesse riacquistano le loro caratteristiche originarie, cioè quelle che avevano prima dell’interazione; per esempio, se una molecola viene scissa, ricompaiono al suo posto gli atomi che la costituivano, liberi gli uni rispetto agli altri. Ma, se disgreghiamo una cellula, i suoi organelli non possono sussistere come tali e si disgregano a loro volta fino ad un livello molecolare piuttosto semplice. Ciò accade in quanto la loro esistenza è finalizzata al funzionamento della cellula di cui fanno parte; inoltre si tratta di strutture energeticamente improbabili per cui, se il funzionamento globale della struttura sovraordinata (cioè la cellula) non li rifornisce più dell’energia necessaria, essi non possono sussistere a lungo. La cellula di tipo più evoluto (eucariota), comparsa circa due miliardi di anni dopo quella più primitiva, si ritiene frutto di un’antica simbiosi tra cellule diverse: quelli che oggi sono organelli, deputati ad esempio alla respirazione o alla fotosintesi, erano originariamente Procarioti entrati in una cellula più grossa in grado di ospitarli in cambio dei loro servigi (vedi cap. 15). I rapporti d’interdipendenza tra simbionti si sono fatti via via più stretti, tanto da rendere per loro impossibile una vita autonoma. La specializzazione delle strutture subcellulari consente così alla cellula eucariota una più elevata efficienza, condizione imprescindibile per la possibilità di evolvere verso strutture di ordine superiore.

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Le cellule eucariote hanno una spiccata tendenza a riunirsi in colonie, le più semplici delle quali sono formate da individui tutti uguali fra loro (colonie omeomorfe); forme coloniali più specializzate possono presentare alcune differenze tra i membri in relazione ad una certa suddivisione dei compiti (colonie eteromorfe). Proseguendo su questa via, che ottimizza i risultati, il differenziamento delle cellule della colonia si è spinto a tal punto che i singoli membri, pur essendo diventati estremamente efficienti nello svolgere il compito loro assegnato, non sono stati più in grado di provvedere da soli ad ogni propria necessità; pertanto il loro vincolo è diventato indissolubile ed hanno dato origine ad una struttura sovraordinata: il Pluricellulare. Nel Pluricellulare la suddivisione dei compiti, evidenziata dal differenziamento morfologico, si realizza tramite un’influenza reciproca delle cellule nell’embrione in via di sviluppo; esse passano via via dalla totipotenza dell’uovo fecondato all’esclusione dall’attività di buona parte delle informazioni genetiche, cosicché cellule differenziate in modo diverso esprimeranno parti diverse del loro programma totale. Nell’ambito dei viventi si coglie quindi un fenomeno assente nei livelli di organizzazione precedente: la specializzazione. Il legame che si forma tra le cellule di un organismo, a differenza dei legami tra atomi in una molecola, modifica stabilmente la struttura delle cellule stesse, le quali generalmente, una volta subito il differenziamento che determina le funzioni a cui saranno adibite, non potranno più riacquistare le potenzialità perdute. Le cellule dei Pluricellulari sono state così relegate alle loro funzioni al servizio dell’efficienza dell’organismo di cui fanno parte e non hanno più avuto alcuna possibilità di evolversi come entità singole: la specializzazione è infatti in antitesi con l’evoluzione perché, restringendo le potenzialità, esclude la possibilità di mutamento; e senza mutamento l’evoluzione stessa non può esistere. La struttura

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20. ANIMA MUNDI La nostra modalità occidentale nell’affrontare le questioni è diabolica, tende cioè a separare gli aspetti e ad analizzarli in sequenza. Parlare di Anima in questo modo è impossibile. Materia ed energia, corpo e psiche, uomo e ambiente …. per cogliere l’Anima bisogna considerarli in modo “compenetrato”, “contemporaneo”, “complesso”: con, con, con … in greco “σύν”→ simbolico. Ed ecco che lo psicologo della complessità, l’ecobiopsicologo, per sua natura tende a superare i limiti della psicologia estendendo la sua ricerca di Anima nei vari livelli dell’essere. Già J. Hillman in Psicologia archetipica dice: «L’Anima del mondo esiste da quando esiste il mondo stesso; quindi l’altro compito della psicologia è ascoltare la psiche che parla attraverso tutte le cose del mondo, recuperando in questo modo il mondo come luogo per l’Anima e dell’Anima»38. Hillman dice inoltre che per incontrare l’Anima non si deve andare verso l’alto (ascesi), ma attuare una discesa nel profondo (ricordiamo la discesa agli inferi di Orfeo alla ricerca di Euridice, ecc.): «La fantasia del profondo incoraggia a guardare il mondo con altri occhi, a leggere ogni evento in cerca di qualcosa di più profondo, a cercare dentro […] La fantasia delle profondità nascoste infonde Anima al mondo»39. Anche il Dalai Lama, specificando la distinzione tra Spirito ed Anima, dice: «Lo Spirito ama gli alti picchi, l’Anima si trova a suo agio nelle profondità ombrose»40. 38 James Hillman, Psicologia archetipica, Enciclopedia del novecento V, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Roma 1981 39 Ibidem 40 Danielle & Olivier Föllmi, Offerte: 365 pensieri di maestri buddhisti, L'ippocampo, Genova, 2006

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Per Hillman il sogno è l’attività centrale dell’Anima, dove le esperienze della vita sono secondarie rispetto alle immagini archetipiche: non è la psiche con le sue esperienze a crearle, ma sono loro a “fare la psiche”. Ecco perché scoprire le leggi di Natura, studiare la filogenesi, leggerne i significati. Andare nel profondo significa anche andare indietro nel tempo fino alle strutture archetipiche fondanti; percepire dentro di noi la complessità e la compenetrazione di spazi e tempi diversi dell’essere. Questi diversi livelli di complessità che, da scienziati, siamo soliti indagare fuori di noi, ci attraversano e ci permeano. L’animale che lo zoologo studia è dentro di noi, fa parte della nostra filogenesi e, nel corso della nostra ontogenesi, si mostra fugacemente come per ricordarci da dove veniamo. Durante lo sviluppo embrionale umano, infatti, la prima struttura scheletrica che si forma non è ossea, bensì cartilaginea come quella dei Vertebrati più primitivi (es. Lamprede e Squali); ai lati del collo si formano le fessure branchiali come quelle dei Pesci (Fig. 21), che

Fig. 21 – Fessure branchiali in embrione umano di cinque settimane.

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poi si chiuderanno mentre il materiale che le costituiva darà origine ad altre strutture di quella regione (es. alcune cartilagini e ghiandole del collo); o ancora, il cuore ha inizialmente la forma di un tubo (come nei Vermi), poi diventa un organo a due cavità (come nei Pesci), quindi a tre cavità (come negli Anfibi e nei Rettili), ed infine, al momento della nascita, sarà dotato di quattro cavità ben distinte. E potremmo continuare a lungo. Le cellule in coltura, su cui il biologo sperimenta per carpirne i segreti, sono le entità che costituiscono i nostri tessuti ed organi. È la loro “coscienza” di sé e la loro capacità di scambiarsi messaggi significativi che mantiene funzionante il nostro corpo, è quella loro sconvolgente capacità di tener conto di una quantità incredibile di informazioni per decidere se in quel momento sia importante vivere o morire, affinché la struttura sovraordinata – individuo viva (vedi cap. 16). Mentre la nostra coscienza sovraordinata discetta di filosofia, è la loro coscienza in noi (e per noi inconscia) che ci consente di farlo. E mentre ciò accade, entro ogni cellula migliaia di macromolecole vengono sintetizzate per mantenere efficiente la struttura e la funzione, mentre altre vengono demolite onde ottenere l’energia necessaria alle cellule stesse, al funzionamento degli organi da esse costituiti ed a quello degli organismi di cui quegli organi sono parte. E, sempre mentre discutiamo insieme di queste cose, migliaia di piccole molecole abbandonano il nostro corpo disperdendosi nell’ambiente ed altre ne entrano ad ogni respiro. Entriamo così in comunione e scambio con le piante, per le quali il nostro scarto diventa cibo e viceversa. Gli atomi nati dalle prime generazioni di stelle continuano a viaggiare nei mondi, attraverso i corpi minerali, vegetali, animali, formando legami tra loro per dare origine alle diverse sostanze, e ritornando uguali a se stessi allo scioglimento di questi legami. Essi viaggiano nello spazio e nel tempo trasmigrando e portando forse

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Bibliografia: 1) G. Jung, Psicologia e alchimia, Astrolabio, Roma 1950 2) R. Levi Montalcini, Elogio dell’imperfezione, Garzanti, Milano 1987 3) A. Pasquinelli, I presocratici, Einaudi, Torino 1976 4) M. Pusceddu, Capire la chimica, Clio, Milano 1999 5) M. Pusceddu Nardella, La trama della vita, Trevisini, Milano 2006 6) S. Weinberg, I primi tre minuti, Mondadori, Milano 1977

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Maria Pusceddu

Maria Pusceddu, laureata in Scienze Biologiche ed in Psicologia, è specializzata in Psicoterapia ad indirizzo Psicosomatico ed ha una formazione analitica junghiana. È vice-direttore scientifico e docente presso la Scuola di Psicoterapia ANEB di Milano, docente presso la Scuola di Psicoterapia Aiòn di Bologna e presso la Scuola di Naturopatia del Centro Natura di Bologna.

Presentazione di Giorgio Cavallari

Carl Gustav Jung propose e sviluppò il concetto d’inconscio collettivo, luogo degli archetipi, strutture fondanti la psiche umana; ma, nella sua incredibile lungimiranza, egli parlò anche di un’inconscio psicoide, ove la materia e psiche sono ancora uroboricamente con-fuse. Proprio in quest’area, che Jung non ebbe il tempo o il modo di approfondire, si muove la ricerca esposta in queste pagine. Il libro si articola in piccoli saggi in cui, partendo da sempre differenti spunti di discussione, l’autrice ci accompagna in “viaggi” che attraversano diversi livelli di realtà (dalla fisica al pensiero, dalla filogenesi biologica all’inconscio collettivo, dalla mitologia alla cosmologia, ecc.) al fine di cogliere quell’Unus mundus a cui l’Uomo, purtroppo, non si rende più conto di appartenere. Il linguaggio volutamente semplice e chiaro, pur nel rigore scientifico dei contenuti, rende il testo da un lato interessante per gli addetti ai lavori, grazie al taglio assolutamente originale ed innovativo con cui sono affrontati gli argomenti, dall’altro lo rende accessibile ad un vasto pubblico di non specialisti che potranno avvicinarsi in modo piacevole a temi generalmente non disponibili in questa veste e tuttavia così affascinanti.

Presentazione di Maria Caterina Bianchini

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