Dicembre 2016 - Rivista Il Minotauro

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Il Minotauro Problemi e ricerche di psicologia del profondo

ISSN 2037-4216 Anno XLIII - n.2 Dicembre 2016



Anno XLIII – Vol. n. 2 DICEMBRE 2016

IL MINOTAURO PROBLEMI E RICERCHE DI PSICOLOGIA DEL PROFONDO


IL MINOTAURO Rivista fondata in Roma nel 1973 da Francesco Paolo Ranzato

www.rivistailminotauro.it ORGANO UFFICIALE DELLA SCUOLA DI PSICOTERAPIA ANALITICA AIÓN Via Palestro, 6, 40123, Bologna Tel: 348.2683688

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Sommario Articoli: Editoriale di Luca Valerio Fabj ................................................................................................5 Psicoanalisi e Addiction: Tendenze di ricerca di Riccardo Galiani e Carlo Paone ........................................................................11 Jung e Pauli. Dal passato una lezione per il futuro di Maria Pusceddu ..................................................................................................21 Quale modello per le neuroscienze: Terza parte di Claudio Messori .................................................................................................35 Sincronicità dell’assoluto. Śivaismo-Kascmiro e fenomenologia junghiana: Terza parte di Gigliola Panzacchi .............................................................................................55 Homo, serpens, rotondum e lapis. Progressione e regressione nello schema di Ascensus e Descensus: un’ulteriore elaborazione sull’Aion di C.G. Jung di Diego Pignatelli Spinazzola ..............................................................................119 Le fiabe come trame di senso, mappe simboliche di vita di Silvia Castelli....................................................................................................121 L’archetipo del guaritore-ferito di Ivana Guercilena .............................................................................................133

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A SCANSO DI EQUIVOCI

Editoriale di Luca Valerio Fabj

«Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andare d’accordo con tutti» W.F. Nietzsche Da febbraio di questo anno mi sono trovato ad essere nominato Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Aiòn di Bologna e ciò mi ha dato un non piccolo aumento del mio carico di responsabilità e di fatica quotidiana. Ma a parte ciò ritengo che questa mia nomina richieda dei chiarimenti, a scanso di equivoci. Personalmente ritengo che sia vero il detto “il pesce puzza dalla testa”, per cui credo che di qualunque cosa vada o non vada in una organizzazione sia alla fin fine, sempre, responsabilità del suo vertice; e ciò vale, anche, e soprattutto, per la direzione di una Scuola di Specializzazione riconosciuta dal Ministero della Università che forma psicoterapeuti. Ora, poiché vi è una sola definizione scientifica di psicoterapia, ovvero come “la cura con mezzi non somatici dei disagi psichici”, ritengo che a questa definizione debba attenersi tutta la impostazione che intendo dare alla Scuola Aiòn che mi trovo ad avere l’onere e l’onore di dirigere. Il che detto in altri termini, significa che, sebbene seguendo un orientamento junghiano, sarà seguendo criteri di psichiatria e psicologia clinica che si strutturerà tutto il lavoro di formazione dell’allievo. A mio avviso, infatti, voler fare lo psicoterapeuta analitico senza conoscere, ed essere aggiornato, nella scienza della psichiatria fenomenologica/psicodinamica e nella psicologia clinica, è come voler fare l’ingegnere o l’architetto senza essere esperti in scienze delle costruzioni. Può sembrare strano per chi non è dell’ambiente che io faccia queste che appaiono ovvie dichiarazioni, ma, purtroppo, il mondo junghiano è costellato di personaggi (talora pure quotati) che preferiscono approfondire le loro conoscenze professionali sul numero delle zampe del cavallo di Odino, anziché aggiornarsi sugli attuali criteri diagnostici e metodi psicoterapeutici per curare le malattie mentali. Approfondire tutto ciò richiederebbe uno spazio eccessivo che non mi è consentito dalla rivista, per cui per essere ancora più chiaro riporto qui di seguito la intervista che il sito www. psicologia-psicoterapia. It, mi ha fatto circa un mese fa e che ora è in rete. Da tale intervista si potrà evincere sia per gli allievi che sono in formazione,

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PSICONALISI E ADDICTION: TENDENZE DI RICERCA

Riccardo Galiani e Carlo Paone «Il campo della psicoanalisi ha avuto un lungo e conflittuale rapporto con i problemi inerenti i disturbi da dipendenza»; non è difficile condividere le parole cui Got tendier (2010, p. 1028) ricorre per introdurre la questione del rapporto tra clinica psicoanalitica, ricerca psicoanalitica e “dipendenza”, tanto più quando segnala che le proporzioni del fenomeno hanno indotto anche gli operatori di differente formazione a rivolgere «un rinnovato interesse per gli approcci psicoanalitici alla comprensione e al trattamento dei disturbi da dipendenza». 1 Molti clinici troverebbero pertanto utile avere delle linee guida – anche brevi – su come pensare la terapia psicoanalitica dei loro pazienti dipendenti. Quale è il ruolo dell’interpretazione del transfert nel trattamento dei pazienti dipendenti? Come possono essere trattati i meccanismi di difesa? Come funziona il controtransfert, aiuta oppure ostacola i progressi nella terapia? Queste sono il tipo di domande a cui un clinico psicoanalitico probabilmente vorrebbe una risposta.. (ivi, p. 1031)

Queste parole colgono bene gli elementi presenti nel campo in cui troviamo oggi impegnata la psicoanalisi nel confronto con i disturbi da dipendenza, vecchi e nuovi. Occorre ammettere, con Markel (2011), che il rapporto tra psicoanalisi e dipendenze non poteva che essere complesso e ambivalente, come il rapporto che per breve tempo lo stesso Freud intrattenne con la cocaina e i suoi effetti (cfr. Freud, 1884). Nel suo lavoro, Markel attribuisce al pessimismo che Freud nutriva verso il trattamento psicoanalitico dei tossicodipendenti un’influenza negativa che ha condizionato le successive generazione di analisti. Tuttavia, come ricorda Roth nel suo commento al lavoro di Markel, prendendo coscienza dei motivi tangenziali, piuttosto che intrinseci, di questo disconoscimento, si è indotti a superare tale ritrosia per mettere «i potenti strumenti della psicoanalisi al servizio del recupero dalla dipendenza» (Roth, 2011, p. 1285). Considerata allora la persistenza e la multiformità dei rimandi tra dipendenza e psicoanalisi (nome che rimanda a un’inscindibile associazione tra clinica e teoria), ci sembra utile provare a ricostruire le coordinate dell’attuale panorama della letteratura scientifica di settore, pur nella consapevolezza dell’inevitabile incompletezza e parzialità di una tale ricostruzione. 2 Uno dei primi dati che restituisce la ricognizio1 Cfr. Burton , 2005; Gottdiener, 2008. 2 Riprendendo il modello utilizzato dal gruppo di ricerca “Il problema del transfert” del Dipartimento di Psicologia della SUN, sono stati presi in esame, tramite database elettronici, gli articoli pubblicati

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JUNG E PAULI: DAL PASSATO UNA LEZIONE PER IL FUTURO Maria Pusceddu Questa primavera ho acquistato, ancor fresco di stampa, un libro dal titolo Jung e Pauli. Il carteggio originale: l’incontro tra Psiche e Materia. Questo è un argomento che mi sta a cuore da quando, dopo i miei studi in campo scientifico, ho incominciato a interessarmi di Psicologia, e precisamente di Psicologia analitica. Il primo libro di Jung che incontrai, precedentemente alla mia iscrizione alla facoltà di Psicologia, fu L’uomo e i suoi simboli. Questa lettura fu per me come un percepire echi che mi rimbalzavano da recessi molto profondi, rimandandomi vibrazioni di luoghi sconosciuti, ma che sentivo appartenermi. Il mio rapporto con Jung fu quindi da subito molto di più di un approccio intellettuale. Piuttosto, l’intelletto è sempre intervenuto dopo, a disciplinare le emozioni che la lettura dei suoi scritti mi ha così spesso suscitato. Leggere l’epistolario in oggetto è stato per me ancora più coinvolgente perché le parole di questi due uomini geniali non erano rivolte a un pubblico di lettori, ma hanno tutta l’autenticità di chi cerca con umiltà l’aiuto dell’altro per avvicinarsi a verità ancora inesplorate. È con grande emozione che mi sono accostata a questo libro, a tratti difficile, che dà tanti concetti come sottintesi e non sempre agevoli da decodificare. Le brevi note che sto per sottoporre al lettore sono un tentativo di rivisitare i problemi proposti alla luce di quanto sappiamo oggi, a distanza di oltre sessant’anni dal carteggio tra Jung e Pauli; a mio parere, tutto ciò che è stato scoperto dopo non fa che supportare e confermare le loro geniali intuizioni. I due studiosi si confrontano su temi di grande importanza sul piano epistemologico, riguardanti l’annosa diatriba sui rapporti tra Scienza della natura e Psicologia, sulla natura degli archetipi, sul linguaggio dei sogni. Per maggior chiarezza cercherò, per quanto è possibile, di dividere il lavoro per argomenti. Un aspetto importante riguarda la discussione su quanto ci sia di innato e quanto di appreso nella psiche e nel comportamento umano. Analoghi problemi furono affrontati sul piano zoologico dall’etologo K. Lorenz, un’altra gigantesca personalità del Novecento a cui dobbiamo non solo gli affascinanti studi sul comportamento animale, ma anche digressioni in ambiti in cui scienze della natura e scienze umane possono felicemente incontrarsi. Anche se meno noti a un vasto pubblico, mirabili restano i suoi scritti in elegante e argomentata polemica con i comportamentisti (Skinner e altri). Proprio dallo studio approfondito di questo grande scienziato-filosofo (premio Nobel 1973) ho potuto trarre alcune conclusioni che a suo tempo sintetizzai nel modo seguente:

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QUALE MODELLO PER LE NEUROSCIENZE: TERZA PARTE Claudio Messori 7. L’organismo pluricellulare

Chuang Tzu livella tutte le cose E le riduce alla stessa monade; Ma, dico io, in questa identità Possono sorgere diversità: S’anche nel cedere alla natura Mostrano entrambi tendenze simili, Pure mi sembra che in qualche modo Una fenice sia più d’un rettile. (Po Chu-I, 772-846 d.C.) Per sopravvivere e per non estinguersi tutti i sistemi biologici, dai più semplici ai più complessi, utilizzano e sviluppano due tipologie strettamente interrelate e interdipendenti di strategie energetico/adattive: • una tende ad adattare il sistema alle variabili incondizionate imposte dall’ambiente (forza di gravità e campo magnetico terrestre, macrosistema geo-climatologico, sistema solare, ere geologiche, ecc.); • l’altra tende ad adattare le variabili condizionate dell’ambiente alle esigenze di sopravvivenza del sistema (conformazione delle terre emerse, degli ambienti sommersi e dell’atmosfera, disponibilità di risorse energetiche biocompatibili, eventi metereologici e climatici ciclici, ecc.). La variabilità ambientale, spaziale e temporale, rappresenta lo scenario con il quale la biodinamica energetico/adattiva deve misurarsi. Ai fini della sopravvivenza questo significa che le strategie energetico/adattive: • non possono basarsi su processi lineari (feedback loops) di problem solving, che sono poveri di informazione e limitano la tolleranza del sistema alla pressione ambientale, ma devono problematizzare le soluzioni (feedforward) sfruttando la non linearità dei processi naturali [41], che è ricca di informazione (capacità di generare interferenza) e capace di garantire plasticità funzionale e tolleranza strutturale al sistema (la problematizzazione non lineare – frattale – delle soluzioni è il motore dell’apprendimento e si contestualizza attraverso di esso); • non possono realizzarsi come fatti indipendenti slegati dal contesto ma devono realizzarsi come fatti dipendenti dal contesto perché parte di esso e

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SINCRONICITÀ DELL’ASSOLUTO ŚIVAISMO KASCMῙRO E FENOMENOLOGIA JUNGHIANA TERZA PARTE – 2016 Gigliola Panzacchi Ermeneutica ed Estetica: Gadamer, Jung, Bhom e Abhinavagupta

«Poiche egli solo e l’attore principale, assumendo molti ruoli, per questo e chiamato Bharata». (B. Muni, Natyasastra, 35.91) «Da sempre m’e apparso una menzogna l’io, a guardare con attenzione, quell'ammasso d’impressioni casuali si sbriciolava e molte, diverse persone, potevano essere addebitate, in parte vere, in parte no». (Zolla, Lo stupore infantile, 1994) Nella prima e seconda parte di questa riflessione (Panzacchi, “Il Minotauro”, I, 2015 e I, 2016), avevo cercato le analogie tra la Tradizione d'Occidente, censurata per secoli e quasi dissolta, valutandola una privazione profana priva di sacralità, che a mio avviso ha preannunciato la smantellamento dell’immaginario, un massacro culturale a discapito della Creatività e della Salute dell’uomo occidentale, se non la stessa “Fine”. Il “ponte” che Jung ha posto tra Oriente e Occidente, l'ho definito una “cima di salvataggio” per noi occidentali che ne dovremmo fare tesoro. Nelle antiche “ S” della Dottrina Sanatanadharma dell’India, quali Sat, Śraddha, Sakti, Salvezza, Surya, Sastramantra, Se, Sanscrito, Samdhi, Spanda, Śiva Nataraja, Sakticakravibhavaprabhava, troviamo l’antitesi al “trio” Soldi/Sangue/Sesso, incalzate da una recente riforma scolastica, dalle tre “i.i.i.”, di i.nglese, i.nformatica e i.mpresa a discapito delle “C”, di C.ultura, C.oscienza e C.onoscenza), trinita contemporanee dell’ovest e al suo complesso del “Per Sempre”, dell’eterno dato. Latino, greco e italiano sono ritenute lingue obsolete, inutili all’homo, diviene quasi una provocazione, riferirmi a termini sanscriti antichissimi ma per noi nuovi, che possono aiutarci a ritrovare “orizzonti comuni” in un “dialogo” di reciproco accrescimento verso una vicendevole comprensione. Tale scopo puo essere spalleggiato dal riconoscimento di quelle «connessioni segrete» che leggo come

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HOMO, SERPENS, ROTUNDUM E LAPIS. PROGRESSIONE E REGRESSIONE NELLO SCHEMA DI ASCENSUS E DESCENSUS: UN’ULTERIORE ELABORAZIONE SULL’AION DI C.G. JUNG. Diego Pignatelli Spinazzola Homo, Serpens, Anthropos e Lapis. Queste le tipologie che Jung declina teoreticamente in Aion (1951). Nella sua digressione empirica lo psichiatra svizzero enuncia il concetto di Enantiodromia pervenendo poi a quell’analisi che lo condurrà verso l’Unidimensionalità, concetto di spazio/tempo e causalità sovrastati dal Quarto emergente. Se il Serpens stava al Diabolus e l’Anthropos all’Adam ano agli estremi homo e lapis configuravano un vertice in descensus et ascensus (le due pulsioni di telos; vedi anche Aion, p. 235 fig. 8) laddove questi si sintetizzano nel ben auspicato sinonimo di Lapis philosophorum. Una pulsione regressiva quindi in descensus e una progressiva in ascensus collimerebbero il processo di individuazione dall’homo al lapis secondo una tipologia energetica, parimenti l’introversione di libido regressiva e la progressione di libido nell’opposto dell’ascensus. Siffatta teoria promuoverebbe la funzione teleologica in virtù di un processo introversivo (libido regressiva) e progressivo (libido ascensionale progressiva). Estenderei la prima nei processi artistico-creativi ma anche ascetici e la seconda nel processo teleologico, quindi finalistico nel senso di telos e direzionale quale pulsione archetipica al processo di individuazione annettendo di fatto l’enantiodromia tra i due stadi della vita (prima e seconda metà). Mi perdoni il lettore se lo schema quivi riportato sembra poco esaustivo nella teorizzazione delle tipologie funzionali sul concetto di quaternità di Jung in Aion ma la trattazione necessiterebbe di un analisi alquanto più ampia e non posso qui dilungarmi per motivi di spazio. Il lettore troverà un attenta delucidazione dell’argomento nel mio Jung e l’alchimia (Persiani, 2014) e nel mio nuovo di prossima uscita Alchimia Junghiana: riflessioni teoriche di psicoanalisi junghiana e psicologia del profondo: Attraversando l’Opus alchemico di C.G. Jung (Persiani, 2015). Se Jung paragona il descensus allo stato di tensione verso la physis e l’ascensus verso lo spirituale in quest’altra declinazione teorica il descensus prende il posto della libido regressiva mentre l'ascensus della libido progressiva. Il paradigma per esteso non è quindi tra psiche e materia ma in spirale tra regressione e progressione. Nello stato di regressione vi è l’homo, in quello di progressione e regressione il Lapis che si involve in un gioco verticale di proiezione e introiezione. È l’introversione che definirei immaginale verso la materia e l’ascensione verso il Sé che declina in ultima istanza il processo di individuazione a parafrasi del Selbst. Nell’empirismo di questi processi estendo quindi una rielaborazione teorica nel concetto di quaternità che prende in prestito la teoria della Monas con gli schemi di ascensus e descensus ma concorrenzialmente opposti alla parafrasi di tensione tra due poli (Lapis) e (Serpens), Adam ano/Rotundum e homo proposta da Jung. Se lo psicoanalista svizzero ovvia qui una sintesi naturalistica il mio tentativo assurge

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LE FIABE COME TRAME DI SENSO, MAPPE SIMBOLICHE DI VITA Silvia Castelli, allieva AION Introduzione Questo approfondimento nasce non solo dal personale interesse e dal fascino che mi suscitano le fiabe, ma in ottica più ampia, dalla curiosità di esplorare simboli e immagini, dell’esperienza individuale e collettiva. Grazie a contributi della psicologia del profondo, è stato possibile strutturarne un’analisi, simbolica e di Senso, scoprendone non solo ricchezza dal punto di vista dei contenuti e della storia, ma dando loro valore in senso di espressione di processi psichici dell’inconscio collettivo. In cammini introspettivi di conoscenza e scoperta, sembrerebbe che le fiabe possano essere di supporto e accompagnamento, arricchendo l’esperienza individuale con simboli e immagini, rappresentanti non solo del mondo individuale, ma anche archetipico. Fiabe quindi come narrazioni simboliche, espressioni della complessità della vita, accompagnatrici e distillatrici di speranza. Simboli come sostanza e cura della Psiche «Come la pianta produce il fiore, così la psiche crea i propri simboli» (Jung, 1983, p. 64) In questa sede il termine psiche è concepito in senso junghiano, quindi non identificato esclusivamente con la coscienza e coi suoi contenuti, ma includendo in esso anche il substrato inconscio. Jung scrisse nel 1983 che la nostra psiche è parte della natura e che i suoi enigmi sono infiniti, riferendosi anche a come sia impossibile definirla ed esprimerla concettualmente in modo completo e finito. Questo rappresenta un paradosso sostanziale, in quando proprio la psiche non può conoscere la propria sostanza psichica e quindi ogni esperienza contiene non solo buona parte di contenuti conosciuti, ma anche altrettanti sconosciuti. Nella visione junghiana, il concetto di psiche è stato anche esteso oltre l’idea di unità, ma espresso come una contraddittoria molteplicità di complessi. Con complessi si intendono contenuti psichici che si sono staccati dalla coscienza, funzionando in modo arbitrario e autonomo, come se conducessero un’esistenza a parte nelle zone oscure dell’anima. Complessi come gruppi di rappresentazioni a tonalità affettiva dell’inconscio, che si dimostrano solitamente incompatibili con l’abituale atteggiamento della coscienza.

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L’ARCHETIPO DEL GUARITORE-FERITO (È già stato pubblicato sul portale: www.psicologia-psicoterapia.it) Ivana Guercilena Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah, l’uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. (Montale, Non chiederci la parola) Il termine archetipo deriva dal greco antico ὰρχέτυπον che sta a significare immagine primigenia. Come indicato da Carl Gustav Jung in Gli archetipi dell'inconscio collettivo: «L’espressione “archetipo» si trova già in Filone Giudeo (De opificio mundi, I.69) con riferimento all’immagine di Dio nell’uomo. Così pure in Ireneo (Adversus hereses II.7), dove si legge: «Il creatore del mondo non fece queste cose a partire da se stesso, ma le trasse da archetipi estranei». In Hermetica Dio è chiamato «la luce archetipica». In Dionigi l’Areopagita l’espressione si trova ripetutamente, come nel De caelesti hierarchia II.4: “gli archetipi immateriali”, e così pure nel De divinis nominibus I.6. A dire il vero, in sant’Agostino l’espressione “archetipo” non si trova, ma se ne trova l’idea; così nel De diversis quaestionibus, 46: «Idee originarie... che non sono state create... che sono contenute nell’intelligenza divina...» (Jung, 1934-1954). In L’uomo e i suoi simboli Carl Gustav Jung inoltre afferma che proprio nel sogno e nelle visioni si può avere l’apparizione diretta dell’archetipo, in quanto in essi ricorrono spesso elementi non individuali e non ricavabili dall’esperienza personale del soggetto, quelli che Freud chiamava «resti arcaici». Quindi l’archetipo si manifesterebbe in una tendenza istintiva a formare delle rappresentazioni di uno stesso motivo innato, di una stessa immagine primordiale, pur nelle loro variazioni individuali anche sensibili (Jung, 1967). L’archetipo può essere o solo potenzialmente insito nella struttura psichica o essere attualizzato nel momento in cui entra nel campo della coscienza e si presenta come

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MARIO SOLIANI*

Cancro

Scienza, mito e destino Persiani Editore, Bologna 2016 ISBN: 978-88-98874-38-5 Pp: 290 € 16,90

QUALCHE PAROLA COMUNE E UN PO’ DI STORIA

L’origine del discorso34

Mille ogni giorno in Italia. Ci dicono le statistiche. Mille famiglie ogni giorno iniziano a vivere il dramma del cancro. Mille persone che nel nostro paese ogni giorno sono poste di fronte alla diagnosi: «lei ha un tumore». Poco più della metà sarà ancora viva dopo cinque anni.35 Il cancro porta via più anni di vita di ogni altra malattia. Non è solo la vecchiaia, di cui ci si fa una ragione, ma quando ti muore un figlio, un fratello, giovane come te, allora non puoi pensare sia solo il caso, il destino della vita che si allunga nella società dei consumi. Perché consuma te, ti toglie ogni orizzonte.

34 Useremo la parola “cancro” come contenitore generale della moltitudine di malattie neoplastiche dai diversificati assetti molecolari, configurazioni geniche e tipologie tissutali, estremamente eterogenee e multifattoriali. Ognuna di esse ha una sua storia, un suo profilo, un suo vissuto ed un diverso approccio terapeutico. Di queste peculiarità si occupano i testi di Oncologia Medica. 35 È una media della sopravvivenza di tutti i tipi di tumore; per alcuni è alta, per altri purtroppo ancora no (vedi Approfondimenti).

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Psicoanalisi e Addiction: Tendenze di ricerca di Riccardo Galiani e Carlo Paone Jung e Pauli. Dal passato una lezione per il futuro di Maria Pusceddu Quale modello per le neuroscienze: Terza parte di Claudio Messori Sincronicità dell’assoluto. Sivaismo-Kascmiro e fenomenologia junghiana: Terza parte di Gigliola Panzacchi Homo, serpens, rotondum e lapis. Progressione e regressione nello schema di Ascensus e Descensus: un’ulteriore elaborazione sull’Aion di C.G. Jung di Diego Pignatelli Spinazzola Le fiabe come trame di senso, mappe simboliche di vita di Silvia Castelli L’archetipo del guaritore ferito di Ivana Guercilena

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