Cancro. Scienza, Mito e Destino

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Mario Soliani

Cancro Scienza, Mito e Destino



Mario Soliani

Cancro Scienza, Mito e Destino


piazza San Martino 9/C 40126 Bologna Tel. (+39) 051/9913920 Fax (+39) 051/19901229 e-mail: info@persianieditore.com www.persianieditore.com

Grafica di copertina: Giulio Micillo Redazione: Annalisa Antonioli, Arianna Di Gregorio, Carola Giannino, Francesco Girolimetto Copyright Š 2016 by Gruppo Persiani Editore Srls TUTTI I DIRITTI RISERVATI – Printed in Italy


In ricordo di mio padre e mia madre



Indice introduzione

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prima parte La visione medica, antropologica e psicologica

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Qualche parola comune e un po’ di storia L’origine del discorso

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I numeri del cancro La registrazione dei tumori in Italia Incidenza dei tumori Mortalità per tumori I tumori in relazione all’età e al genere Sopravvivenza Prevalenza Trend Area geografica

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Lo sguardo antropologico L’identità

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Cosa fare per non ammalarsi? Cosa fare quando si è malati? E cosa fare per guarire?

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Le cause Le cause note I fattori di rischio

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La visione psicologica Antecedenti storiografici I contemporanei Le personalità predisposte

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Facciamo il punto: l’indifferenza che ammala la vita

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Prevenzione, ovvero il giusto modo di vivere: la diaita Stili di vita L’alimentazione L’allattamento al seno materno Nutrirsi in modo sano e consapevole: l’alimentazione come chemioprevenzione L’attività motoria La cura dei bambini come prima prevenzione

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Prevenzione primaria, screening e diagnosi precoce

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Comunicazione e relazione terapeutica

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Le cure Il modello riduzionista Presupposti teorici Trattamenti convenzionali

77 77 77 81

Resistenza ai trattamenti antitumorali

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I vissuti nelle terapie convenzionali

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Il follow-up

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Sopravvivenza e guarigione

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La recidiva

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Le cure palliative

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Le terapie non convenzionali Le medicine non convenzionali in oncologia Le terapie di supporto Le piante medicinali in oncologia La medicina omeopatica. Terapia adiuvante e prevenzione terziaria al malato neoplastico

101 101 104 104

65 69 70

107


seconda parte Senso e vissuti

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Rimembranze

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Lo sguardo laterale Metafore Emozioni e vissuti

121 127

...percorsi di guarigione

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Il buon senso e l’ecologia della vita Il senso del patire

146 149

Epilogo il giardino

173 175

approfondimenti e contributi transdisciplinari 179 Epidemiologia ambientale Acqua e salute Inquinamento atmosferico Alimentazione e salute Sull’agricoltura I numeri del cancro: attività dei registri tumori di Lucia Mangone Cancerogenesi e prevenzione di Lucia Mangone 1. La cancerogenesi 2. Prevenzione primaria 3. La prevenzione secondaria: gli screening 4. La tassonomia del cancro

181 182 184 186 191

203 203 203 205 205

La ricerca di Alessia Ciarrocchi Medicine non convenzionali in oncologia

211 218

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schede

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Chemioterapia Trattamenti ormonali Inibitori specifici Trattamenti anticorporali

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Fitoterapia

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Sinossi dei farmaci citotossici ricavati dai principi attivi delle piante

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Medicina omeopatica

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Ospedali e istituiti di ricerca sui tumori di Roberto Mezzetti

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Il fine vita

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Ringraziamenti

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Bibliografia

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Àokjmm


A Francesco


INTRODUZIONE

«Ci sono momenti nella vita in cui la questione di sapere se si può pensare o percepire differentemente da come si pensa e si vede, è indispensabile per continuare a guardare o a riflettere» M. Foucault, L’usage des plaisirs, 1984

Le parole per scrivere del cancro non sono solo quelle che spiegano o narrano della malattia, ma anche quelle che accolgono e danno forma al senso che assume nella nostra vita. L’insieme di queste parole intreccia la trama e l’ordito del testo, che legge karkinos come metafora del nostro tempo.1 Il cancro abita pervasivo la nostra epoca occupando l’esistenza di malati, famiglie, affetti, relazioni e rimozioni collettive, anche se per lo più tendiamo a ignorarne la presenza, come se riguardasse solo la vita “degli altri”. Restiamo immersi nel nostro minuscolo mondo fatto di certezze tanto illusorie quanto fragili, fino a quando scopriamo che “gli altri siamo noi”. Ne scriviamo allora per definirne i margini con l’intenzione di porgere una mano verso chi si sente perso di fronte al male. Il discorso si sviluppa su registri semantici differenti, che vogliono, grazie a vocabolari che leggono il profilo “sistemico” della malattia, andare oltre le autoreferenzialità mediche o psicologiche: vuole raggiungere chi sceglie di darsi il tempo di riflettere, pensare e ascoltare, ed ha bisogno di conoscere per poterlo fare. Questo è l’intento che motiva la scrittura. 1

Karkinos ed Onkos sono i nomi greci per il cancro.

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prima parte La visione medica, antropologica e psicologica



QUALCHE PAROLA COMUNE E UN PO’ DI STORIA

L’origine del discorso6 Mille ogni giorno in Italia. Ci dicono le statistiche. Mille famiglie ogni giorno iniziano a vivere il dramma del cancro. Mille persone che nel nostro paese ogni giorno sono poste di fronte alla diagnosi: «lei ha un tumore». Poco più della metà sarà ancora viva dopo cinque anni.7 Il cancro porta via più anni di vita di ogni altra malattia. Non è solo la vecchiaia, di cui ci si fa una ragione, ma quando ti muore un figlio, un fratello, giovane come te, allora non puoi pensare sia solo il caso, il destino della vita che si allunga nella società dei consumi. Perché consuma te, ti toglie ogni orizzonte. Dieci miliardi di euro, più o meno ogni anno in Italia, è il costo del padiglione cancro parafrasando Solgenistjn.8 Il cancro come metafora del nostro tempo occupa le belle pagine di Susan Sontag, Illness as Metaphor, che nel 1977 ci regala un lucido sguardo sul “lato oscuro della vita”. Nel 1986, Umberto Veronesi 6

Useremo la parola “cancro” come contenitore generale della moltitudine di malattie neoplastiche dai diversificati assetti molecolari, configurazioni geniche e tipologie tissutali, estremamente eterogenee e multifattoriali. Ognuna di esse ha una sua storia, un suo profilo, un suo vissuto ed un diverso approccio terapeutico. Di queste peculiarità si occupano i testi di Oncologia Medica. 7 È una media della sopravvivenza di tutti i tipi di tumore; per alcuni è alta, per altri purtroppo ancora no (vedi Approfondimenti). 8 La spesa farmaceutica per il cancro è ormai ai primi posti in Italia. Non sono disponibili dati certi sui costi economici e sociali della malattia, ma nel suo impatto complessivo si stima che il costo per ogni paziente oncologico vari dai 25 ai 30 mila euro/anno. Il cancro in Europa vale oltre 120 miliardi/anno inclusivi di spese a carico delle famiglie e del sistema produttivo e oltre 50 miliardi di spesa sanitaria in senso stretto. Fonte: Terzo rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici; The Lancet Oncology. 10.1016-/S1470-2045(13)70442-X.

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espone le vicende della sua battaglia contro quello che definisce Un male curabile ; nel 2010 Siddharta Mukherjee ne traccia un profilo storico in un’avvincente Biografia. Si rimane in sospeso, ogni riflessione si ferma sui bordi dell’incertezza e lo sguardo si perde, senza risposta. Al World Oncology Forum, tenutosi a Lugano nell’ottobre 2012, organizzato dall’European School of Oncolgy, si è preso atto dell’incrinarsi del grande sogno dell’oncologia che nel 2003, dopo il sequenziamento del genoma umano, aveva sperato che le nuove conoscenze potessero vincere il male. Purtroppo c’è ancora molta strada da fare.9 Nel mondo antico le epidemie, flagello degli Dei, fustigavano l’umanità rea di violare le leggi divine e di natura. Tifo, vaiolo, malaria, peste, influenza, lebbra, sifilide, tubercolosi risalivano i continenti lasciando scie di desolazione e morte. Le piaghe d’Egitto punivano la superbia di Faraone, nella Bibbia Dio falcidiava gli israeliti rei della unione con prostitute moabite, il parricidio e l’incesto di Edipo portavano la pestilenza a Tebe e così via fino xviii secolo quando i virus ed i batteri detronizzarono le divinità. Da allora tutto il pensiero medico, dimentico di C. Bernard (1813-1878) e del suo dire «il microbo è niente, il terreno è tutto», si lancia in una vittoriosa lotta contro i microbi, con mirabolanti successi grazie ai nuovi antibios e molecole sempre più raffinate per sconfiggere i nemici. L’idea di nemico da sconfiggere diventa il paradigma di fondo della medicina moderna e del logòs dell’Occidente. Ci è sfuggito che già da infanti, centomila miliardi di batteri abitano il nostro corpo con più di 600 generi e 10 000 specie diverse, quasi tre volte il numero delle “nostre” cellule.

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I nuovi farmaci molecolari non sono molti: nella pratica l’Imatinib per la leucemia mieloide cronica, il Bortezomib per il mieloma, il Trastuzumab per il cancro al seno metastatico Her-2 positivo, il Bevacizumab come inibitore dell’angiogenesi e l’Ipilimumab in corso di sperimentazione (nel Melanoma) per il potenziamento del sistema immune. Le buone ricadute cliniche fanno sì che la ricerca molecolare resti una delle vie del futuro nella speranza di soppiantare la chemio citotossica.

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Costituiscono il Microbioma, più di quattro milioni di geni, che lavorano ogni istante per il nostro ecosistema. Virus e batteri10 non spiegano tutto e allora la malattia del nostro tempo ci obbliga a cercare il nemico nei reconditi anfratti del genoma, fino a farci dire che la malattia è dentro di noi, nelle mutazioni genetiche di cellule impazzite. Quest’idea di cellule impazzite ci porta ad un fatto reale con cui confrontarci: la nostra pazzia, la follia che ci pervade. Il tema, pur attuale, non è certo recente. Andrebbero forse rilette le pagine di Ippocrate, Lettere sulla follia di Democrito.11 Ippocrate è considerato il padre della medicina occidentale. Pochi lo leggono, gli studi di universitari non lo contemplano. Lo si onorava talvolta nel formale Giuramento, prima e dopo lo si ignora.12 Come si trascura per lo più la storia del pensiero in medicina, eppure Ippocrate scrive cose che un medico non può ignorare. Riporto, per amor di verità, parte del dialogo che intrattiene con Democrito, ritenuto folle dai suoi concittadini. A Ippocrate che enuncia i suoi affanni, Democrito risponde con un irrefrenabile risata, che così motiva: […] io rido dell’uomo, pieno di stoltezza, vuoto di azioni rette, infantile in tutte le sue aspirazioni, che dura le peggiori fatiche per non ricavarne alcun vantaggio, che con i suoi desideri smisurati percorre la terra fino ai suoi confini e penetra nelle sue immense cavità, fonde l’argento e l’oro e non smette di accumularne, si affanna ad avere sempre di più per essere sempre più piccolo […] per arricchir10

I batteri vivono in simbiosi col mondo vegetale ed animale e sono essenziali per la nostra sopravvivenza. 11 Ippocrate, Lettere sulla follia di Democrito, Liguori, Napoli 1998. 12 Ippocrate (Kos, 460 a.C. ca – Larissa 337 a.C. ca) è il fondatore di una delle più importanti scuole mediche dell’antichità a cui si attribuisce la nascita della medicina scientifica. La rimozione del suo nome si fa evidenza nel 2014 col Nuovo Codice di Deontologia Medica, ove il Giuramento è divenuto “professionale”. Togliere la “memoria” rende più fragile la medicina e la priva delle “radici” emotive e simboliche. Si dimentica che è grazie alla storia di chi ci ha preceduto e che va onorata, che siamo ciò che siamo.

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si, fanno a pezzi la madre terra. Ed è un’unica terra, quella stessa che percorrono pieni di ammirazione! C’è davvero da ridere; amano la terra nascosta, che affatica, e oltraggiano quella che possono vedere! Alcuni comprano cani, altri cavalli, altri, ponendo confini, segnano come loro un grande territorio e mentre vogliono essere padroni di molta terra non lo sono nemmeno di se stessi. Si danno da fare per sposare una donna che poco dopo allontanano, amano e poi odiano… E allora perché Ippocrate hai disprezzato il mio riso; voi non ridete della vostra stoltezza, ma ridete l’uno dell’altro… non siete in armonia né con le arti né con le vostre azioni. (modif. pp. 63-67)13

Alla fine di un serrato confronto Ippocrate rende omaggio alla saggezza di Democrito che aveva scambiato per follia. E ci ricorda la nostra follia e la follia del mondo che traversa i continenti insieme alla epidemia silenziosa del nostro tempo. La cura del cancro resta una frontiera impervia per la medicina moderna, essa stessa figlia del pensiero che l’ha generata nell’esclusione degli altri saperi che hanno fatto la storia delle arti mediche. Sono lontani i tempi dei demiurghi, i medici sacerdoti che facevano della guarigione una faccenda prima dello spirito che della carne (theîa tèckhnē – tecnica divina); è lontano lo stesso Ippocrate che a Kos, duemilacinquecento anni fa, nel ciclo della guarigione sottoponeva ai malati la visione di una commedia e tre tragedie, in osservanza alle proporzioni del piacere e del dolore nella vita degli uomini. Così come è dimenticato Paracelso nella visone tripartita dell’uomo in corpo, anima e spirito, lascito dell’antica medicina egizia, poi della tradizione platonica e successivamente alchemica. Sempre negletto Hahnemann, che aveva scoperto la tossicologia clinica sperimentale sull’uomo sano e la medicina sub molecolare, l’omeopatia, talvolta ridotta a rimedi da banco. Ma il vero viraggio che ha esiliato molteplici pensieri del sapere medico in occidente, avviene un secolo fa negli Stati Uniti d’America, quando agli inizi del ‘900 le scuole di medicina si confrontavano nelle loro diversificate filosofie.

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In P. Coppo, Le ragioni del dolore, Bollati Boringhieri, Torino 2005, pp. 18-19.

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Da una parte gli Empirici, che usavano rimedi derivati dalla natura, piante, erbe, sali e minerali in dosi infinitesimali nei due indirizzi allora prevalenti dei Naturalisti e gli Omeopatici, il cui agire era volto a stimolare le forze interne all’organismo, “la vis medicatrix naturae” per riportare la salute. Gli empirici del ‘700 come W. Cullen ed il suo allievo, J. Brown, credevano che fosse l’energia nervosa ad informare i processi vitali e a quest’ultimo va ascritta la divisione in malattie steniche ed asteniche (da sthenos – forza). Termini ancora oggi utilizzati nella pratica clinica e che echeggiano l’impostazione degli antichi metodici. Dall’altra gli Allopatici che definivano la loro, medicina eroica, basata su tre pilastri: i salassi, che dissanguando il corpo avrebbero dovuto drenare gli umori della malattia (fino alla fine dell’800 il maggior commercio in medicina era rappresentato dalle sanguisughe); la somministrazione di tossici, come il mercurio o sali di piombo per uccidere il male e una chirurgia estremamente invasiva. Metodi talmente grossolani che facevano dire a Oliver Wendell Holmes, professore di anatomia alla Harvard University: «Se tutto il patrimonio farmacologico venisse affondato nel mare, sarebbe tanto meglio per l’umanità e tanto peggio per i pesci»; e l’internista viennese Joseph Dietl, scrive sconsolato: «la medicina non ha ancora una terapeutica scientificamente fondata».14 In questo contesto negli anni ‘20 del secolo scorso, si saldò un’importante alleanza tra il mondo finanziario, che vedeva nella chimica applicata in medicina un settore di sviluppo e le scuole mediche che propugnavano questo indirizzo.15 Quelle che oggi sono tra le più importanti università americane si indirizzarono sui farmaci sintetici, 14

H. M. Koebling, Storia della terapia medica, Ciba-Geigy Ed. 1989, p. 115. I Carnegie, i Morgan ed i Rockefeller furono campioni di mecenatismo in quegli anni, con rilevanti ruoli nei consigli di amministrazione delle università. Un esempio di come l’economia condizioni la cultura medica, ci viene dalla distruzione dell’Ayurveda in India ad opera del colonialismo inglese che nel 1835 mise al bando le associazioni mediche tradizionali per far sì che tutta l’India si curasse con i costosi farmaci importati dall’Inghilterra. – in T. Terzani, Un altro giro di giostra, Longanesi, Milano 2004, p. 390. 15

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sulle apparecchiature chirurgiche e sulle nuove macchine per i raggi x. Il pensiero medico venne orientato alla costruzione di un grande sistema ospedaliero, che si reggeva e si regge su di un lucroso apparato tecnologico. L’hospitale, un tempo ricovero per poveri, pellegrini e derelitti, divenne il centro della pratica clinica, in cui si rinforzarono i valori e le categorie di appartenenza medica sostenuti da un potente “codice materno”.16 Codice che oltre a rassicurare emotivamente definisce anche uno statuto “identitario”. La ricerca si orientò sulla brevettabilità di nuovi principi chimici e macchine diagnostiche, nel dare vita a quella che oggi è l’Industria sanitaria. La stessa autorizzazione all’esercizio della medicina fu regolata dall’aderenza alla concezione divenuta “ufficiale” e lo studio dell’uomo venne “spezzettato” in una miriade di discipline che lo “oggettualizzarono” e ne fecero perdere la visione unitaria di un complesso sistema biologico, sintesi di corpo, mente e spirito. Questo modello di specializzazioni in campo farmacologico, chirurgico e diagnostico ha consentito, grazie alla chimica ed alla fisica applicate in biologia successi straordinari, impensabili fino ad un secolo fa: i risultati raggiunti sono il fondamento della medicina moderna, che rappresenta il punto più alto raggiunto dalle conoscenze in biologia umana. Le cause ambientali, alimentari, sociali, relazionali, affettive della malattia divennero marginali negli studi universitari e la pratica medica si è identificata molto con la cura e molto poco con la prevenzione.17 16 Codice materno: essere parte di un contesto contenitivo. Gli studi di Audit Clinico (The Trust Crisis in Healtcare, L. L. Leape, md., Harvard School of Public Healt: A Matter of Trust Symphosium 2002) documentano come il sistema ospedaliero sia divenuto esso stesso fattore di rischio per la salute, sia per coloro che ci lavorano, che per chi vi accede, in un sistema che si autoalimenta in “gigantismo tecnologico”. Da notare un fatto per nulla secondario: gli Hospitali sono divenuti Aziende Sanitarie e le parole non sono ininfluenti nei modi e pensieri che generano. 17 Fare prevenzione comporterebbe uno sguardo allargato sulla complessità della sofferenza umana intrinseca ai modelli della nostra cultura che necessitano di una

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L’intreccio tra industria, economia e medicina18 alla metà del secolo scorso occupa il pensiero di G. Bataille, (1897-1962) che conia il termine Bio-politica, per definire il contesto in cui la rete dei poteri sociali gestisce la pratica medica. Lo stesso M. Foucault (1926-1984) legge le discipline umanistiche, la medicina e la psicologia e quelle scientifiche, la statistica, la biologia o la chimica, come saperi che definiscono i paradigmi di “normalità” e forniscono le abilità concettuali per la gestione degli esseri umani. Questo è il contesto generale in cui ci troviamo, esito di processi storici e non certo “dati di natura” ma “prodotti di cultura”, la cultura dell’Occidente, con le sue ricadute mediche in cui si colloca anche la visione attuale della patologia neoplastica.19 Visione che ha fatto sua, a tutti gli effetti, la “logica militare” nella “battaglia” contro il cancro e che per oltre mezzo secolo si è mossa visione “sistemica”. Visione per lo più marginale nel sistema sanitario. Sistemica: in un sistema ogni elemento interagisce con la sua totalità, coerente con la lettura corretta di Cartesio che supera le dicotomie corpo-mente. 18 La finanza, l’economia, la politica, le università, l’informazione, che non sono estranee all’indebolimento, anche etico e culturale che sempre accompagnano la pratica della medicina. 19 Paradigma: insieme di regole, modelli e criteri che caratterizzano una comunità scientifica. Nel binomio normalità-patologia, Foucault mette in evidenza l’enorme egemonia di chi detiene i criteri per definire ciò che è normale e ciò che non lo è, che consente l’accesso al corpo ed alla mente nel controllo e nella gestione degli esseri umani. Ad esempio la variazione di poche cifre di valori pressori o di colesterolemia che incidono sul numero dei potenziali soggetti a rischio; o i criteri dei limiti di legge di polveri sottili e microinquinanti presenti nell’aria che inaliamo (giudicati dall’oms stesso troppo permissivi – 50mcg/m3- pm 2.5, pm 10); o dei livelli di pesticidi negli alimenti senza studi di impatto del rischio cumulativo; o di ciò che definiamo salute psichica. Riprende anche il pensiero J. J. Rousseau, che per primo parlò di “alienazione” come «della perdita di coscienza della propria identità che rende l’uomo cosa, oggetto», e sancisce lo scacco dell’assunto kantiano «dell’uomo come fine e non come mezzo». L’Occidente nasce dal modello patriarcale che fa sua la cultura del dominio sulla terra e sugli uomini.

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con l’intento di “sconfiggere il tumore” e di uscire “vittoriosa” dalla “guerra” contro il male. Non è andata così, questa logica non ha vinto. Solo da pochi anni, con l’uso della tecnologia del dna ricombinante applicato alla genomica e agli anticorpi umanizzati, agli inibitori ormonali, delle chinasi e dei proteasomi, si cominciano ad avere dei risultati importanti in alcuni tipi di tumori. Vedremo come la logica del cancro sia complessa, variabile, rapida, eterogenea, sfuggente: in una parola mercuriale e come tale richieda una visione terapeutica “adattabile ed ampia”.20

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Logica mercuriale : esprime un pensiero fluido, aperto, che connette i diversi aspetti di un tema. Significa da un lato rallentare la glicolisi, la produzione dei vasi sanguigni che lo nutrono e l’infiammazione che lo sostiene; dall’altro migliorare l’equilibrio della matrice intercellulare e la risposta immunitaria, più che continuare a sviluppare farmaci citotossici. Un passaggio maturativo nel leggere il cancro come un organismo con molte vulnerabilità, che richiedono l’integrazione tra specializzazioni e lo sguardo unitario sulla persona. DNA ricombinante: esito di tecniche di laboratorio che isolano e tagliano brevi sequenze di dna (sede della memoria genetica) per inserirle nel genoma di altre cellule. Chinasi: sono enzimi regolatori, che aggiungendo gruppi fosfato alle proteine (fosforilazione) ne modificano le funzioni. Proteasomi: sono organuli sub-cellulari costituiti da enzimi proteolitici, che hanno la funzione di “digerire” le proteine non assemblate, di produrre peptidi riconoscibili dal sistema immune e di regolare i tempi di emi-vita delle proteine regolatrici il ciclo cellulare. Glicolisi: processo metabolico che dal glucosio produce energia.

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EPILOGO

La nostra civiltà è ad un punto di svolta, prima ancora che sul piano ambientale, sociologico o economico, su quello etico e concettuale, che si misurano sulla capacità di dialogo tra presente e futuro, nichilismo ed utopia, logica e immaginazione, pensiero e sentimento. Vanno ritrovate “le parole” per ricostruire ponti e linguaggi tra le differenti visioni del mondo e le molteplici discipline che si occupano dei tumori. Le malattie metaboliche, cardiovascolari, neurodegenerative, la depressione, l’ansia ed il cancro non sono più problemi individuali e soggettivi, ma affezioni sociali e collettive e come tali richiedono una diversa visione, sia nella loro interpretazione che nella loro cura.292 Così come il flagello della mortalità perinatale e delle patologie infettive non è stato vinto solo dalla medicina, ma da un cambiamento radicale delle condizioni igieniche ed alimentari della popolazione, anche le malattie neoplastiche implicano una profonda revisione del vivere sociale. Se non si coglie l’epocale trasformazione del mondo di cui siamo ad un tempo soggetti ed oggetti, in cui sembra che il pensiero collettivo riproduca all’infinito se stesso con una inerzia che sfugge ad ogni controllo, non si comprende la logica dei tumori: quando il meccanismo è attivato è difficile fermarlo. A quali screening possiamo affidarci e quali diagnosi precoci siamo dunque in grado di immaginare per curare le mutazioni nel dna sociale?293 292 Ogni società ha le sue malattie. Malaria e parassitosi uccidono ancor oggi milioni di persone nei paesi poveri del mondo. L’Occidente ha visto nell’isteria la sindrome dei tempi di Charcot e Freud, nella melanconia e nella tubercolosi i morbi di gran parte dell’800 e del ‘900, nei disturbi metabolici e cardiovascolari gli effetti della “società dei consumi”; ora il cancro, la depressione e l’ansia sembrano configurarsi come i mali adattativi della nostra epoca. 293 La salute è un diritto umano fondamentale e rappresenta una risorsa che va difesa e sostenuta. Nella Carta di Ottawa (1986) si invitano i cittadini ad assumere

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Se il mondo riflette il grado evolutivo della coscienza e se questa è a sua volta permeata dai modelli collettivi del mondo, va coltivata una consapevolezza soggettiva che adotti uno sguardo diverso da quello che ci ha ammalato.294 L’autoriflessività e la dimensione creativa sono gli strumenti evolutivi che segnano la differenza.295 L’uomo ha elaborato nel corso della sua storia, complessi sistemi etici, simbolici e religiosi per mediare con la forza della base biologica degli istinti, ed in questa operazione ha espresso la loro base psichica come più funzionale al progetto evolutivo. Oggi perseguire questo scopo, in cui si rappresentano i codici del mondo, significa aprirsi a mitologie abitate da antiche figure, che vestono gli abiti fuori moda del principio di responsabilità.296 Principio che si pone al cospetto del Destino, lacerando il sipario delle colpe collettive dietro cui ci celiamo e riafferma la fedeltà al proprio mondo interiore. Ne troviamo in Antigone, una delle prime tragedie di Sofocle, una rappresentazione che si gioca sul conflitto tra le verità non scritte dell’anima e lo spirito del tempo.297 un ruolo attivo nella promozione del proprio benessere, senza delegarne la tutela al sistema sanitario in modo passivo. Sul piano personale vanno trovate risposte ai propri bisogni ed aspirazioni, su quello collettivo va preservato un ambiente salubre in cui vivere. 294 In Jung l’ethos è costitutivo della psicologia complessa anche nel compito di diradare le coltri di nebbia della incoscienza collettiva, e si carica di una responsabilità nei confronti della Storia che rende unico il suo pensiero. 295 C’è chi pensa sia la dimensione artistica quella che salverà il mondo riportando l’uomo a contatto con lo stupore e la meraviglia, che sono le categorie in cui la vita si rammenta e si rinnova. 296 Se ne occupa Hans Jonas, filosofo tedesco allievo di Heidegger, in Il Principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (1979), Einaudi, Torino 2002. 297 Sofocle, Antigone, Einaudi, Torino 2009. Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice sono i figli di Edipo e Giocasta. L’Antigone è una tragedia ambientata nella Tebe desolata dalla guerra fratricida dei figli di Edipo: Eteocle e Polinice che si uccidono in battaglia. Il nuovo re di Tebe, Creonte, emana un decreto per il quale, a differenza

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Siamo responsabili dei luoghi che abitiamo, dalla nostra casa, alla nostra città, alla nostra terra: possiamo farne posti migliori in cui poter vivere, ma prima di tutto possiamo fare di noi stessi un luogo migliore da abitare. Se nella vicenda neoplastica nessuno si salva da solo, va coltivata una “competenza alla vita” in cui memoria, conoscenza e creatività, reggono il processo maturativo del divenire nel fare nostri altri di modi di essere, di pensare e di sentire. Forse è tempo di togliere il velo dell’ignoranza che ci oscura ed allontana da noi stessi, prima che il dolore del cancro diventi l’ultima moneta per riscoprire l’irriducibile volto della vita. Come educarci a cambiare il rapporto col mondo, non come rivendicazione del pensiero, ma innesto del sentimento nelle forme dell’esistere? Una via che trascende i tempi della storia e da sempre praticata, si cristallizza in una immagine forse più di altre, adeguata a rappresentare quel vasto microcosmo che richiede le nostre cure; metafora del luogo interiore in cui crescono, fioriscono ed appassiscono i segni del nostro passaggio sulla terra:

il giardino Per quale ragione i giardini sono divenuti gli ultimi rifugi degli dèi e degli uomini? Perché non possono essere assimilati, malgrado le apparenze, dal mondo moderno…? Perché sono sempre utili e mai utilitaristici, quindi estranei allo spirito mercantile borghese?

della salma di Eteocle che avrà funerali solenni per aver difeso la città, il corpo di Polinice resterà insepolto e cibo per rapaci. Antigone, sorella di entrambi, si ribella però a questa ingiustizia e vìola l’editto reale dando sepoltura al fratello. Per aver seguito le leggi interiori dell’umana compassione a discapito delle leggi di Tebe verrà condannata a morte.

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Può darsi che la sola ragione dell’unicità del giardino sia il fatto che la sua materia prima è la natura, cioè la vita. E la vita è tutto ciò che sfugge al potere della società…298

Ne parlo, non come nostalgia romantica dei tempi andati, ma come luogo, anche simbolico, che ci riconnette ad un ordine nascosto ove scorre il tempo stratificato delle stagioni della vita, delle morti e delle rinascite; un ordine che governa il nostro transito nel mondo, in cui cingere la natura nelle forme della bellezza e non dello scempio, con mani sagge che attendono alle semine, alle zappature e con l’irriga frescura dissetano i semi dei sogni fino ai germogli che li rinnovano. Ma è anche un luogo ove si lotta contro il gelo e la siccità, si eradicano le male erbe ed i parassiti in un perenne misurarsi con le forze della vita, grazie al lavoro, la pazienza, la conoscenza e sensibilità, che generano meraviglia e gratitudine nel mistero della creazione. È metafora che si declina nelle “utopie possibili” che prendono forma nella via del giardiniere, in cui si risveglia il sentimento sopito della terra che risponde alle nostre premure. Accudirla ci addestra a prenderci cura di ogni aspetto dell’esistenza nella molteplicità delle forme che si fanno unità dentro di noi.299 […] Il giardiniere lavora tutti i giorni con l’invisibile […] Con la passione del poeta interroga il mondo che lo ospita e che è infinitamente più grande di lui. Interroga questa forza che vede all’opera ovunque intorno a sé, dal più minuscolo dei fiori di prato all’innalzarsi possente della sequoia. Tutto, tutto è sempre nuovo.300

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J. De Précy, E il giardino creò l’uomo, Ponte alle Grazie, Salani Ed., Milano 2012, p. 58. Riprendo in queste riflessioni le parole di M. Martella, Festival della Mente, Sarzana 2015. 299 Un esempio, credo calzante di questa via, sta nella dedizione amanuense con cui Jung scrive il Liber Novus, dove immagine, parola, inchiostri e figurazioni parlano dell’anima che comunica col mondo. 300 J. De Précy, Op. cit., pp. 69-70.

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Il giardiniere sovverte il disordine del mondo, si fa servo della segreta armonia che nasce dall’invisibile. Si fa custode del luogo che ci abita interiormente e che possiamo abitare, per essere visitati dalle intelligenze fuggevoli che albergano nelle soglie dei sogni e negli angoli soffusi della terra. Non sappiamo dove il vento trasporterà i “semi delle fioriture e delle piantine” fatte di idee, intuizioni, vocazioni e sentimenti a cui giornalmente dedichiamo le nostre cure, ma possiamo immaginare che vadano a ripopolare la terra, come antidoto allo smarrimento e alle voragini che popolano il paesaggio del nostro tempo, ed è questa l’immagine di speranza che affido alle parole di congedo, perché possano germinare nel cuore e nella mente di chi vive il dramma del cancro.

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Questo volume è stato stampato a Vicenza nel mese di ottobre dell’anno 2016 per conto della

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Le parole per scrivere del cancro non sono solo quelle che spiegano o narrano della malattia, ma anche quelle che danno forma al senso che assume nella nostra vita, nel leggere karkinos come metafora del nostro tempo.

Prezzo al pubblico â‚Ź 16,90 - Iva inclusa


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