Riccardo Redi Tecnologia Cinematografica. 1890-1932

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Dello stesso autore:

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Il Christus di Giulio Antamoro e di Enrico Guazzoni Pag. 80 - € 9,00

Le invenzioni e le innovazioni sono state spesso contestate, tanto che il merito di questo grande strumento di comunicazione è stato attribuito a inventori diversi. Ma l’accurata descrizione dei ritrovati è resa ardua dal fatto che all’inizio le invenzioni sono state empiriche, senza base scientifica o basate su teorie errate. Ne è un esempio la vicenda della fotografia, che è stata sfruttata e perfezionata per oltre un secolo, prima che le ricerca scientifica moderna ne spiegasse il meccanismo. Un problema, quello della separazione tra ricerca scientifica e applicazione tecnologica, attualmente molto discusso, richiamato in questo volume.

Della stessa collana:

Leonardo Bragaglia Carlo Ludovico Bragaglia. I suoi film, i suoi fratelli, la sua vita

Tecnologia Cinematografica 1890 - 1932

Te cn o l o g i a C i n e m a t o g r a f i c a 1 8 9 0 - 1 9 3 2

La Cines. Storia di una casa di produzione italiana.

Riccardo Redi

Poco descritta e spesso trascurata, la tecnologia del cinema nella sua storia più che centenaria è indubbiamente un argomento complesso, difficile.

Riccardo Redi, giornalista e scrittore, è stato collaboratore di varie istituzioni cinematografiche italiane: la Mostra del Nuovo Cinema, per la quale ha curato le rassegne retrospettive, la Mostra di Venezia, la Cineteca Nazionale. Dal 1981 al 2001 ha curato la redazione della rivista “Immagine – Note di Storia del Cinema”, edita dalla Associazione per le Ricerche di Storia del Cinema. Tra le sue opere: Cinema italiano sotto il fascismo (a cura di), Marsilio, Venezia, 1979; Tra una film e l’altra. Materiali sul cinema muto italiano 1907-1920, (a cura di, con Claudio Camerini), Marsilio, Venezia, 1980; Ti parlerò... d’amor. Cinema italiano tra muto e sonoro. Eri, Torino, 1986; La Cines. Storia di una casa di produzione italiana, CNC Edizioni, Roma, 1991 - Persiani Editore, Bologna 2009; 1911... La nascita del lungometraggio (a cura di), CNC Edizioni, Roma, 1992; Cinema Muto Italiano 1896-1930, Biblioteca di Bianco e Nero, Scuola Nazionale di Cinema, Roma, 1999.

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Presentazione di Maria Caterina Bianchini

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Cinema

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RICCARDO REDI

TECNOLOGIA CINEMATOGRAFICA 1890-1932

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Tecnologia cinematografica 1890-1932 di Riccardo Redi

Paolo Emilio Persiani Editore piazza San Martino 9/C 40126 Bologna Tel: (+39) 051/9913920 Fax: (+39) 051/19901229 e-mail: info@persianieditore.com www.persianieditore.com

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali.

Copertina: con-fine Studio Immagine Curatori del testo: Valentina Benini, Martina Bisagni, Elena Bolis, Chiara Bombarda, Charlotte Mitchell, Maddalena Oculi, Antonia Ruspolini Stampa: Digital Point Srl, Ponte Felcino (PG) Copyright Š 2010 by Gruppo Persiani Editore di Paolo Emilio Persiani. TUTTI I DIRITTI RISERVATI – Printed in Italy 4


Indice

1.

L’analisi del movimento.................................................................9

2.

Edison e Dickson..........................................................................12

3.

Il proiettore continuo...................................................................18

4.

La fotografia.................................................................................22

5.

Sensibilizzatori.............................................................................34

6.

Il prototipo...................................................................................39

7.

Memoria di Grimoin-Sanson........................................................42

8.

Proiettori americani.....................................................................45

9.

I presupposti del sonoro...............................................................49

10.

I sincronismi.................................................................................56

11.

La croce di Malta..........................................................................63

12.

La pellicola...................................................................................66

13.

L’ottica......................................................................................... 73

14.

Evoluzione delle macchine...........................................................77

15.

Il suono di Lauste.........................................................................81

16.

Scenografia e trucchi.....................................................................83

17.

Cinecolore....................................................................................96

18.

Il Pathécolor...............................................................................100

19.

Perforatrici ed altro....................................................................106 5


20.

L’amplificazione.........................................................................115

21.

Il sonoro dopo la guerra.............................................................118

22.

Dal Pathécolor al Technicolor....................................................127

23.

Cinema sonoro...........................................................................131

Pathé “type Professionnel”1908-10 costruita da Continsouza

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Introduzione L’intento di questo volume è parzialmente polemico. Negli ultimi tempi, infatti, si è risvegliato un certo interesse per tutta la parte tecnologica del cinema – invenzioni, brevetti, macchine – che ha portato alla pubblicazione di pochi scritti, per lo più a carattere divulgativo. Sì, è vero che sono stati inventariati con precisione i brevetti e che contemporaneamente si è indagata la progettazione di antichi teatri di posa; ma sono le sintesi storiche, quelle che riassumono la vicenda tecnica della cinematografia, ad apparire troppo sommarie, semplici, forse nell’intento di essere alla portata di tutti. Invece la tecnologia non è facile, come non sono stati facili gli sforzi degli inventori e neppure degli studiosi che fin dai primi anni hanno cercato di spiegare i fenomeni che apparivano legati alla fotografia, alla riproduzione dell’immagine in movimento, alla registrazione dei suoni e alla possibilità di ascoltarli. Spiegazioni difficili, nonostante l’impegno di molti, soprattutto per una ragione: che questi studiosi, quando affrontavano questi temi in anni ormai lontani da noi, non disponevano ancora degli strumenti che più tardi avrebbero loro offerto le scienze: vogliamo dire la chimica e la fisica. È noto – e alcuni autori lo hanno scritto – che tecnologia e scienza non sempre hanno camminato di pari passo: diciamo pure che nell’Ottocento la prima ha prevalso sulla seconda, consentendo la nascita su basi empiriche di molte invenzioni, che non avevano il sostegno di un’adeguata teoria. Il caso più clamoroso ci riguarda, perché è quello della fotografia: realizzata a partire dal 1826, non ha trovato una spiegazione – meglio: una completa descrizione del suo processo – fino agli ultimi anni del secolo appena trascorso. Ho voluto riferire, sia pure omettendo le parti più complesse, questa moderna spiegazione-descrizione, per render conto di quanto sia stato tormentato e complesso il cammino di quella che chiamiamo la “tecnologia”. Per tutti gli altri argomenti l’indagine si arresta alla fine degli anni Venti del secolo scorso, alle soglie della inarrestabile diffusione del cinema sonoro.

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Da allora in poi la grande rincorsa alla tecnologia su basi scientifiche non si è più fermata, essendo ormai la ricerca privilegio dei laboratori delle grandi istituzioni. È finita per sempre l’epoca dell’inventore solitario, capace con pochi mezzi di realizzare grandi rivoluzioni.

Dalla serie delle Debrie “Parvo”: la camera “L” del 1925

Due macchine costruite a Torino da Ernest Zollinger nel 1919: sono la tipo “A” e la tipo “B” 8


1. L’analisi del movimento L’analisi del movimento, scomponendolo in fasi successive, è una ricerca che ha un inizio precoce, in parte con intenti scientifici, a volte semplicemente come curiosità. Ma questa fase, che si può far risalire agli anni Venti del secolo diciannovesimo e nella quale ricorrono i nomi di P. M. Roget, J. A. Paris, Joseph Plateau, Stampfer e altri più o meno celebrati, appartiene alla preistoria del cinema, come anche le fondamentali ricerche di Muybridge. Tutto questo periodo è stato ampiamente illustrato da vari studiosi, ai quali sarà opportuno rimandare. Vale la pena invece di soffermarsi sui lavori di Marey, perché hanno attinenza diretta con il successivo sviluppo della cinematografia: in particolare il Marey costruttore di un apparecchio e non tanto il teorico che si pone problemi di fisiologia animale e umana. Nel giugno 1890 Marey aveva costruito – con l’aiuto del suo “preparatore” Demeny o senza – un Chronophotographe in cui le immagini venivano registrate su pellicola fotografica. Ricorda Demeny: […] L’appareil que Marey avait imaginé donnait quelquefois de bonnes images, mais il était fort capricieux: on ne pouvait compter sur son fonctionnement. L’arrêt de la pellicule se produisait au foyer de l’objectif pendant le passage de la fenêtre éclairante, mais cet arrêt était brutal et se faisait à des distances constamment variables […] Nous opérions à cette époque au moyen de pellicules de 6 à 9 centimètres de largeur, mais elles avaient peu de longueur; les images étaient grandes, mais peu nombreuses, elles remplissaient bientôt les bouts de ruban que nous fournissait le commerce et les bobines sur lesquelles elles étaient enroulées étaient vite épuisées.1

Sappiamo che l’apparato di Marey aveva usato in un primo tempo delle strisce di carta sensibilizzata, presto sostituita dalla «plaque souple Balagny preparée par MM. Lumière: non in bandes bien longues, deux ou trois 1

Georges Demeny, Les origines du cinématographe, in Nos Lectures, 1909; e in Jacques Ducom, Le cinématographe scientifique et industriel, Albin Michel, Paris s.d. (1926), pp. 14-32. 9


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2. Edison e Dickson Su Thomas Alva Edison, le sue invenzioni e i suoi numerosi brevetti esiste una letteratura vastissima, che non è possibile riportare, neppure parzialmente1. Quello che si può ricavare da questa mole di notizie è ovviamente controverso; anche alla luce delle successive polemiche e soprattutto della serie di cause legali per stabilire i diritti e quindi esigere pagamenti – le royalties – da chiunque facesse cinema negli Stati Uniti. Come sappiamo il monopolio di Edison e soci durò fino al 1915, quando venne abolito da una sentenza della corte di Pennsylvania: ma questo è argomento per la storia economica più che della tecnologia. Secondo il celebre inventore tutto cominciò nel 1887: «In the year 1887 the idea occurred to me…».2 L’idea era di costruire un apparecchio che facesse per l’occhio quello che il fonografo fa per l’orecchio: una combinazione di suono e movimento registrati e poi riprodotti simultaneamente. Il “germe” dell’idea veniva da un giocattolo chiamato zootropio e dai lavori di Muybridge, Marey e altri. Chi si occupò praticamente della ricerca fu William Kennedy Laurie Dickson 3 ed è a lui che si deve la costruzione dei primi apparecchi, quali sono descritti nelle memorie – i famosi caveat – presentate da Edison all’Ufficio Brevetti. Trascurando tutte le altre fonti, sia contemporanee che posteriori, possiamo ritenere che questi documenti rappresentino veramente l' “invenzione”, anche se è evidente che espongono progetti e non realizzazioni. Ad esempio il primo propone soluzioni diverse, che possono esser adottate a scelta (cilindro oppure disco), proprio perché si riferiscono ad una ricerca in progress: «I am experimenting…» è infatti l’esordio del 1 2

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Frank L. Dyer e Thomas Commerford, Edison, His Life and Inventions, Harper, 1929. Lettera di Edison a F.H.Richardson, ora in F.H.Richardson, What Happened in the Beginning, Transactions of Society of Motion Picture Engineers (SMPE), September 1925; e in Raymond Fielding, A Technological History of Motion Pictures and Television, University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1967. Anthonia and William Kennedy Laurie Dickson, Edison’s Inventions of Kinetofonograph, “Century Magazine”, 48, June 1894. 12


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3. Il proiettore continuo Una volta ottenuta l’analisi, era sempre possibile utilizzare le immagini successive per ricostruire il movimento: faceva parte del gioco e Plateau lo sapeva benissimo. Il suo Phenakistiscope permetteva all’osservatore di vedere uccelli in volo, sagome di ballerini danzanti, cavalli al trotto o al galoppo. In questa sintesi ogni singola immagine fissa era vista per un breve istante attraverso una fessura e il tamburo sul quale erano inscritte si muoveva con moto continuo. L’opposizione tra movimento continuo e movimento intermittente è destinata a durare: nella fase di ripresa riapparirà negli anni ‘20 con le macchine grande vitesse e nella proiezione figura ancor oggi nel meccanismo della moviola, dopo esser apparso per qualche tempo nel proiettore Mechau. Ma chi ha saputo sfruttare per primo la proiezione continua è stato Émile Reynaud. Si tratta di un principio assai semplice: far apparire la seconda immagine – la successiva – mentre la prima sta scomparendo alla vista; una serie interminabile di dissolvenze incrociate, se così si può dire. Il Praxinoscope di Reynaud deriva dallo Zootrope di Horner e quindi dal Phenakistiscope di Plateau, ma «les fenêtres du tambour sont replacées par un prisme de miroirs placé au centre de l’appareil»1. Quando l’apparecchio è messo in movimento, lo spettatore può vedere solo un’immagine per volta, quella riflessa dallo specchio che ha di fronte; le immagini si susseguono per semplice sostituzione, senza alcuna eclisse provocata dal disco o tamburo a fessure. Il Praxinoscope théâtre è del 1879 e a questo ne fa seguito un altro a proiezione, per giungere nel 1888 al Théâtre optique, nel quale una serie di immagini trasparenti è fissata lungo una banda flessibile. Usiamo – come Sadoul – la descrizione di Henri Fourtier2: […] La bande d’images au sortir du dévidoir vient passer 1 2

Georges Sadoul, Histoire générale du cinéma. L’invention du cinéma, Denoël, Paris 1948, p. 103. Henri Fourtier, Les tableaux de projection mouvementée, Paris 1893; citato da Georges Sadoul, Op. cit., p. 108. 18


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4. La fotografia Nonostante sia nata tra il 1826 e il 1839 – Niepce, Daguerre, Talbot – nessuno è mai riuscito a descrivere dettagliatamente il processo della fotografia per almeno cento anni. La lastra, la pellicola, la carta fotografica sono state fabbricate, perfezionate e usate sempre su base sperimentale e largamente empirica; del resto era una caratteristica delle invenzioni dell’Ottocento di essere dei ritrovati pratici, con poca o nulla base teorica. Non intendiamo ricostruire qui la storia tecnica della fotografia, stabilire chi ebbe l’idea di usare la carta salata o il collodio umido o i sali d’argento dispersi nella gelatina. Tutti i ricercatori – i fotografi – del secolo giunsero alle loro applicazioni con procedimenti e logiche di scoperta assolutamente diverse, molto personali, intuitive. In ben due casi l’aneddotica riferisce di improvvise idee rivelatisi nel sonno o negli incubi di una notte insonne: sono i casi di Lumière e di Lauste. (Ma lo stesso sarebbe accaduto al grande chimico Kekulé von Stradonitz, quando immaginò la formula di struttura del benzene.) «You press the button, we do the rest», diceva la pubblicità Eastman, quando lanciò la Kodak, la piccola macchina che avrebbe reso la fotografia alla portata di tutti. Che cos’era questo “resto”? Sviluppo e stampa, certamente, quel semplice lavoro di laboratorio che avrebbe restituito allo sprovveduto dilettante un cartoncino con le immagini. Era il 1888, la fotografia aveva già raggiunto un livello tecnologico molto soddisfacente: supporto di carta sensibilizzata, emulsione con cristalli di bromuro d’argento dispersi in gelatina animale, sviluppo con un amidofenolo, fissaggio con tiosolfato. Certamente la sensibilità era scarsa e limitata solo ai colori più freddi. Ma il problema era ben presente e la sperimentazione non mancava: i fratelli Lumière già nel 1884 vantavano la produzione di lastre pancromatiche, cioè sensibili a tutti i colori 1. Possiamo avere qualche dubbio in proposito, visto che la pellicola che avrebbero in seguito usata per il loro Cinématographe, o venduta ai primi produttori, era a mala pena ortocromatica. 1

Cfr. “Il Progresso fotografico”, 2, 1895, p. 21. 22


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5. Sensibilizzatori (da Carlo Bonacini, 1896) Eosine: derivati della fluorescina (sostanze rosse, sensibilizzano per il verde e giallo-verde) Tetrabromofluorescina Tetraiodofluorescina: il sale potassico è la eritrosina Tetraiododiclorofluorescina (rosa Bengala) Tetrabromodiclorofluorescina: il sale potassico è la floxina Trifenilmetani Fuxina o rosanilina (sensibilizza per il giallo e giallo-verde) Coloranti rossi (sensibilizzano per il giallo e giallo-verde) Rosso di naftalina Rosso di toluidina Rosso di chinolina Azalina (rosso di chinolina + blu di chinolina) Rodamina Safranina (derivato da fenazina) Crisoidina (sensibilizza per il verde)

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6. Il prototipo

Quando nel 1894 i Lumière si accinsero all’elaborazione di quello che sarebbe diventato il Cinématographe, erano perfettamente a conoscenza degli studi, delle invenzioni e anche degli spettacoli che li avevano preceduti. Avevano visto il Kinetoscope di Edison, già in funzione a Parigi; sapevano che Marey aveva brevettato nel 1893 un appareil chronographique; senza contare i giocattoli, i libri, le serie fotografiche che avevano a che fare con l’analisi del movimento. Prima di loro la dimostrazione più clamorosa del sistema analisi-sintesi con proiezione su schermo erano state le Pantomimes lumineuses di Reynaud nel 1892 al Musée Grevin. Secondo Charles Moisson, capo dell’officina Lumière a Lione, la proposta di Auguste era di fare della cronofotografia, imitando il Kinetoscope di Edison. «Naturalmente non abbiamo combinato nulla di buono – ha testimoniato in seguito – Il problema fu allora preso in mano da Louis in modo più sistematico e abbiamo cominciato a costruire il primo apparecchio». Bernard Chardère ha definito Moisson «il costruttore del prototipo»1; ma nel suo libro Lumières sur Lumière2, ha accolto la testimonianza di Paul Dessalle, già tecnico presso gli Ateliers Doignon, 85, rue Notre Dame des Champs. Secondo il suo racconto – del resto impreciso, poiché parla di «tambours d’entrainement de la pellicule», che nel primo apparecchio non ci sono – avrebbe lavorato alla costruzione di un «Appareil chronophotographique des Frères Lumière de Lyon» a partire dal 30 giugno 1895 fino a martedì 30 novembre. «C’est cet appareil qui a servi aux premières démonstrations publiques de photographies animées». Come si sia giunti alla costruzione del prototipo non è possibile stabilirlo, anche a causa delle imprecisioni o falsità delle testimonianze. È nota la leggendaria versione fornita da Auguste Lumière, secondo la quale il 1 2

Bernard Chardère, Il costruttore del prototipo, “Immagine – Note di storia del cinema”, 12, autunno 1989. Bernard Chardère, Lumières sur Lumière, Institut Lumière, Lyon 1995. 39


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7. Memoria di Grimoin-Sanson Le mie prove di cronofotografia, che andavo facendo in quegli anni, malgrado le diverse avventure, lentamente prendevano corpo. Si trattava sopratutto di due procedimenti indipendenti da raccordare. Il primo consisteva nel trasformare il Kinetoscopio di Edison in un apparecchio di proiezione. Il secondo nel creare un apparecchio per la ripresa di fotografie animate suscettibili di essere proiettate in seguito. Queste due invenzioni non valevano praticamente che l’una per l’altra. Realizzate isolatamente, sarebbero rimaste sterili, o, più esattamente, votate alla quasi inutilità. Verso il mese di marzo 1895 il primo di questi risultati fu raggiunto, perché avevo costruito un apparecchio capace di proiettare ingrandite le immagini mobili del Kinetoscopio. La striscia di pellicola non misurava che diciotto metri e si avvolgeva su una bobina di legno. I fotogrammi trascinati da una ruota dentata passavano dinanzi a una piccola finestra che riceveva la luce di una forte lampada, rinforzata da un condensatore del genere di quello di Edison. L’intermittenza era ottenuta con un meccanismo simile agli antichi scappamenti d’orologeria, comandato da un eccentrico. Una ruota a tacche, fatta scattare da una molla, faceva scivolare la pellicola molto rapidamente e in maniera che il tempo di riposo fosse una volta e mezza più lungo di quello di marcia. Ma in tal modo non ottenevo che dei quadri di un metro e cinquanta per novanta centimetri di superficie e, per dirla francamente, queste proiezioni non erano gradevoli né a vedersi né a sentirsi: sfarfallavano tanto da ferire la vista e il meccanismo a mano della macchina faceva un baccano formidabile. L’otturazione era troppo lenta e così pure la successione delle immagini, perché non se ne potevano far passare più di quattordici-quindici al secondo, tanto la manovella era dura e faticosa da manovrare. Mi occorsero dei lunghi mesi di lavoro e di ricerche, concretati in più apparecchi successivi, prima di arrivare ad una proiezione più legata e soprattutto più netta.

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8. Proiettori americani Nel 1894 il Kinetoscope di Edison era ormai diventato un’attrazione per il pubblico di New York, che poteva ammirare le brevi scene per soli 25 cents. Ma già si parlava di proiettare queste immagini su uno schermo e a raccogliere la sfida sembra sia stato Francis C. Jenkins 1, che fin dal 1893 avrebbe costruito una first projecting machine, facendola funzionare in pubblico più volte. Tanto che il 6 luglio dell’anno seguente “The Photographic Times” ne pubblicava una fotografia. Jenkins l’aveva battezzata Phantascope2. Con lo stesso nome propone un altro apparecchio per il quale ottiene il brevetto n. 536.560 il 24 novembre 1894 3: si tratta di un perfezionamento del kinetoscope di Edison, nel quale l’intermittenza non è più data da un otturatore rotante, ma da due lampade montate su un braccio che gira. Non contento di questi successi – ammesso che abbiano mai funzionato – verso la fine dell’anno chiede il brevetto per una macchina da presa e proiettore, che prevede l’impiego di quattro obiettivi montati su un disco in movimento. Ottiene il 12 dicembre 1894 il brevetto n. 560.800 per una Kinetographic Camera4, ma è poco probabile che sia riuscito a sfruttarlo. Era un apparecchio che non poteva avere alcuna applicazione, anche se possiamo considerare anticipatrice l’idea di compensare il movimento continuo dell’immagine con un movimento del sistema ottico. Nel marzo 1895 Jenkins si accorda con Thomas Armat 5, tecnico esperto ma anche ricco capitalista, insieme progettano un altro Phantascope, per il quale chiedono il brevetto il 28 agosto. Si parla per la prima volta di trascina-mento della pellicola a scatti e il sistema ricorda vagamente 1

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Francis Jenkins, Lettera in F.H.Richardson, What Happened in the Beginning, Transactions of SMPE, September 1925; ora in Raymond Fielding, A Technological History of Motion Picture and Television, University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1967. Deac Rossell, A Chronology of Cinema, “Film History”, vol. 7, 3, summer 1995, p. 128. Cfr. Deac Rossell, Op. cit., p. 130. Deac Rossell, Ibidem. Thomas Armat, My Part in the Development of the Motion Picture Projector, “Journal of SMPE”, March 1935; ora in Raymond Fielding, Op. cit. 45


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9. I presupposti del sonoro Che il suono fosse generato da vibrazioni meccaniche che si propagano attraverso l’aria era già noto dai tempi di Galileo. L’idea di trascrivere graficamente queste vibrazioni è di Thomas Young nel 1807: proposta che ha analogie con altri impieghi dei grafici nello studio di molti diversi fenomeni. L’applicazione più diretta alla registrazione del suono è il phonoautographe di Léon Scott del 1877: un cono che raccoglie il suono – la voce – chiuso all’estremità da una membrana recante una setola; questa, muovendosi per le vibrazioni sonore, lascia una traccia su un cilindro ricoperto di nerofumo. Solo da guardare, non da ascoltare. Sostituendo il cilindro con un disco di vetro, anche questo annerito, Charles Cros proponeva nel 1877 una analoga registrazione: la novità consisteva nello stampare la traccia trasparente su un disco metallico con un procedimento che l’inventore tuttavia non precisava: «On traduit, au moyen de procédés photographiques actuellement bien connus, cette spirale ondulée et tracée en transparence par une ligne de semblables dimensions, tracée en creux ou en relief dans une matière résistante (acier trempé, par exemple)»1. L’invenzione, descritta in un plico sigillato, depositato presso l’Académie des Sciences il 30 aprile 1877, non poteva avere attuazione pratica; ma doveva essere il pretesto per rivendicazioni di priorità, visto che il brevetto di Edison recava la data del 31 luglio 1877. Dei precedenti sistemi grafici il phonograph conserva il cilindro, ma nulla di più. Questo cilindro reca una scanalatura elicoidale e serve come supporto a un foglio di stagnola, che lo ricopre al momento della registrazione. La voce viene raccolta da una membrana dotata di una corta punta di metallo: quest’ultima si appoggia sulla stagnola e vi registra una traccia, anche questa elicoidale, come la scanalatura sottostante. La stessa membrana, con o senza imbuto in funzione di amplificatore, può successivamente leggere la traccia incisa. Val la pena di ricordare che quando il conte Du Moncel membre de l’Institut, accompagnato dal rappresentante di Edison, signor Puskas, 1

Theodose Du Moncel, Le telephone, le microphone et le phonographe, Hachette, Paris 1878, p. 284. 49


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10. I sincronismi La prima applicazione dell’idea “immagine più suono” è il Kinetophone di Edison, semplicemente un Kinetoscope cui è stato aggiunto un Phonograph. I due apparecchi si muovono contemporaneamente e mentre l’uno espone alla visione le immagini registrate su pellicola, l’altro riproduce della musica incisa su un rullo. Una qualsiasi musica d’accompagnamento, come quella che il cinema muto farà ascoltare per anni. O forse no: forse pezzi scelti e fatti eseguire appositamente, rulli distribuiti assieme alle pellicole e prodotti dallo stesso Edison o dai suoi associati. La questione è controversa. Si è affermato ripetutamente che di questo apparato vennero costruiti e venduti solo cinquanta esemplari, quasi tutti collocati in Europa; molti storici hanno ritenuto che il produttore abbia realizzato pochissime pellicole specificamente destinate al Kinetophone, tranne forse un’unica Opera Scene del 1895, e comunque non le abbia distribuite commercialmente1. Ovviamente, non è vero. Molte delle pellicole citate nella grande filmografia edisoniana di Musser erano distribuite in Italia dalla Continental Phonograph Kinetoscope Co. di Milano, accompagnate da appropriati cilindri. Si potrà anche pensare che non fossero registrazioni provenienti da West Orange, vista la presenza di musiche italiane, come “Cavalleria rusticana”; ma alcuni accoppiamenti, quali risultano dalla pubblicità della Continental, sembrano intenzionali. Non sembra azzardato pensare che la “Marcia” suonata dalla “Banda di Gilmore” per il primo atto dalla commedia Milk White Flag fosse una deliberata scelta della produzione. La tabella pubblicata dai rappresentanti milanesi ci sembra largamente attendibile. Nel Kinetophone il rapporto tra suono e immagine era molto labile, poteva essere al massimo di atmosfera o di ritmo; ma il listino della Continental è l’unica indicazione che abbiamo in proposito e dobbiamo accontentarci.

1

Charles Musser, Edison Motion Pictures 1890-1900, Smithsonian Institute, Washington; e “Le Giornate del Cinema Muto”, Gemona 1997. 56


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11. La croce di Malta

I sistemi meccanici per trasformare un movimento continuo in movimento intermittente e viceversa erano noti – in particolare il secondo, applicato nella macchine a vapore – sin dalla fine del Settecento. Ma quelli che interessano la macchina cinematografica sono gli arpionismi (Encliquetage, Schaltung, Escapement) in uso nella prima metà del diciannovesimo secolo e descritti specialmente da Franz von Reuleaux. Nonostante il nome parzialmente francese, era un tedesco nato ad Eschweilen, direttore della Kaiserliche Gewerbe Akademie di Berlino, professore al Politecnico di Zurigo, considerato il fondatore della “cinematica scientifica”. Nei suoi libri, come Theoretische Kinematik: Grundsätze einer Theorie des Maschinenwesens del 1875, oppure Cinematica teorica, pubblicato in Italia da Hoepli nel 1876 troviamo tutti questi meccanismi, che sono «manovelle di spinta», «glifi», «catene», in particolare il «triangolo archilineo di Hornblower», poi usato dai Lumière nel loro Cinématographe; infine l’arresto di Ginevra e, a pagina 422 dell’edizione italiana, una «Croce di Malta». Reuleaux non era solo un teorico: nel 1882 autorizzò una ditta di Berlino, la Gustav Voigt Mechanische Werkstatt a costruire dei modelli in legno e metallo tratti dai suoi disegni: Voigt ne realizzò 300 in molte copie, che furono acquistate da scuole tecniche per uso didattico. Molte finirono anche in America e la Cornell University di Ithaca ne acquistò ben 266: di queste ne conserva ancora 220 e ne ha fatto oggetto di studio e pubblicazioni. Sia il professore tedesco che gli studiosi moderni hanno spiegato che questo “arresto” era stato usato dagli orologiai svizzeri e la sua funzione era di impedire al meccanismo di carica, fosse la molla o il peso, di scaricarsi completamente in breve tempo; ciò si otteneva inserendo un qualsiasi sistema che trasformasse il movimento continuo in movimento intermittente. Come accade anche nei moderni orologi a bilanciere.

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12. La pellicola La celluloide, uno dei principali ingredienti della moderna fotografia inizia a sostituire la lastra di vetro nel 1889: quindi con 28 anni di ritardo rispetto alla sua invenzione, avvenuta nel 1861 ad opera di Alexander Parkes (ma allora si chiamava parkesine). La fotografia era già molto diffusa: la moda era iniziata a Parigi negli anni ‘50, calotipo, collodio umido, carte-de-visite l’avevano resa popolare; ma nel 1882 le etiquette bleu di Lumière, destinate a fare la fortuna della casa di Lione, erano ancora e sempre lastre. A fabbricare la nuova materia plastica sono i tipografi fratelli Hyatt nel 1871, che la impiegano per oggetti di uso quotidiano, palle da bigliardo, poi colletti per camicia. Sia la parkesine che la celluloide si ottengono per nitrazione della cellulosa, come il vecchio collodio (che veniva ottenuto sciogliendo in acetato di amile ed alcol il cosiddetto “cotone fulminante”). La cellulosa è un polisaccaride, ovvero un polimero del disaccaride cellobioso (C 12 H22 O11):

L’ulteriore polimerizzazione costituisce la cellulosa (C 12 H20 O10)n:

La reazione di nitrazione – che sostituisce i gruppi ossidrilici (OH) della 66


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13. L’ottica Nelle “Nozioni” del 1896 i Lumière consigliavano per il loro apparecchio di usare un obiettivo Zeiss. Non ne precisavano il nome, ma noi sappiamo da altre fonti che fin dal 1890 era disponibile il Protar, che la casa di Jena costruiva utilizzando i nuovi vetri al bario introdotti nel 1886 da Otto Schott. Nell’edizione per macchina fotografica l’obiettivo offriva un campo di 70°, senza deformazioni, correggeva l’astigmatismo e inaugurava l’era degli anastigmatici. Aveva una luminosità davvero limitata – anche per l’epoca – di f 7,7, ma bisogna tener presente che maggiori aperture avrebbero messo in evidenza altre aberrazioni: cromatiche, di campo, etc. Comunque i Lumière non avevano che da scegliere, poiché nel 1895 erano presenti sul mercato ditte come le tedesche Zeiss, Goerz, Voigtländer, l’inglese Dallmeyer, la francese Pethiot. Non si hanno tuttavia molte informazioni sugli obiettivi impiegati nei primi anni: i trattati dell’epoca (Talbot, Trutat, Sassi, Fourtier, Liesegang) non amano la difficile disciplina dell’ottica; molte delle macchine sopravvissute sono state private dell’obiettivo; gli elenchi dei brevetti sono inesplicabilmente avari sull’argomento. Possiamo comunque ricordare che nel 1896 il proiettore inglese Cieroscope di Appleton montava un’ottica di W. Wray e che l’anno successivo il Vitaphotoscope usava un obiettivo Voigtländer e che in Gran Bretagna erano sempre presenti i Dallmeyer, montati, ad esempio, sul Velograph. W. Wray proponeva ottiche molto luminose: un due pollici con f 2 e un 3 pollici con f 3 1. Con il 1898 le informazioni si fanno più precise: un Petval doppio acromatico di 2 pollici e mezzo (forse il prototipo che il tecnico ungherese aveva calcolato nel 1840?) per il proiettore Matagraph di Levy, Jones & Co.; un Dallmeyer Stigmatic da 3 pollici, apertura f 6 per la camera Prestwich; un Voigtländer Euryscope f 7,7 per la Biokam; il famoso Voigtländer Collinear da 2 pollici e mezzo o da 3 pollici e mezzo f 5,4, intercambiabile, antiriflettente; infine in Francia lo Zeiss Anastigmat da 50 mm per la macchina da presa Demeny-Sanson. 1

John Barnes, The Rise of the Cinema in Gt. Britain. Volume 2: Jubilee Year 1897, Bishopsgate Press, London 1983, pp. 78-79. 73


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14. Evoluzione delle macchine Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del nuovo secolo vengono costruite decine di apparecchi cinematografici, destinati alla ripresa e alla proiezione delle vedute. Sappiamo che tali macchine sono spesso reversibili, come il Cinématographe dei Lumière, che sono semplici, pratiche, tali da soddisfare le modeste esigenze dei cinematografisti. Forse varrebbe la pena di elencarle tutte, riunendo le notizie – talora le immagini – riportate dai molti autori che le hanno descritte. Ma molto spesso non abbiamo altro che un’immagine e un nome; e del resto ben poche sono entrate nella storia del cinema. Tra queste, dopo il Cinématographe, una Prestwich, una Biograph, una Pathé, una Gaumont, infine la Debrie, l’Eclair, la Bell & Howell. Trascurando le varie Acres, Parnaland, Watson, Dom Martin, Messter, De Bedts, Ambrosio, Darling, Ernemann. La Prestwich è una gloriosa macchina da presa, destinata a contrastare sui campi di battaglia della guerra contro i Boeri, il prestigio della colossale Mutograph, manovrata da Dickson in persona 1. Viene costruita come Moto-Photograph nel 1897 e messa in commercio da W. C. Hughes nel maggio di quell’anno, anche con il nome di Moto Bijou Living Camera: è compatta, ha un involucro di mogano, piccole dimensioni che la rendono maneggevole. Il trascinamento della pellicola è molto semplice: «The main sprocket wheel is eccentrically pivoted so that while it is making a part turn around its main axis, it makes a complete turn round the eccentric axis, thus rapidly drawing off the length of film equal to one picture»2. Il sistema viene anche definito come «epicyclic motion». Già nel 1897 la macchina ha un aspetto che a posteriori è stato considerato “moderno”: l’anno successivo viene perfezionata e adotta come trascinamento la griffa, mentre un rocchetto posto al centro assicura con un movimento continuo sia l’entrata della pellicola dinanzi all’obiettivo, sia il 1 2

John Barnes, Pioneers of the British Film, Volume. 3: The Rise of Photoplay, Bishopsgate Press, London 1983, p. 160. “British Journal of Photography”, vol. 44 suppl., January 1, 1897; ora in John Barnes, The Rise of the Cinema in Gt. Britain, Volume. 2: The Jubilee Year, Bishopsgate Press, London 1983. 77


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15. Il suono di Lauste Sembra che la prima idea di cinema sonoro l’abbia avuta leggendo sullo “Scientific American” del 29 luglio 1901 un articolo che illustrava il Photographophon di Ernst Ruhmer. Così si racconta; ma è quasi certo che il futuro inventore – nato a Montmartre il 17 gennaio 1857 ed emigrato ancor giovane negli Stati Uniti – abbia trovato nello “Scientific American Supplement” del 21 maggio 1881 una descrizione del Photophon di Bell e Tainter. Nel 1887 è a West Orange nel laboratorio di Edison, dove collabora con Dickson e potrebbe aver visto per la prima volta la pellicola Eastman. Nel 1892 collabora con Latham e costruisce la macchina da presa-proiezione Panoptikon, poi conosciuta anche con il nome di Eidoloscope. Una dimostrazione dell’apparecchio viene effettuata il 21 aprile 1895 a New York in Frankfort Street, pare con poco successo. Nel 1896 passa alla American Mutoscope and Biograph1, dove ritrova Dickson. È qui che comincia a progettare e costruire un sistema di registrazione su pellicola, nel quale l’organo che modula il raggio luminoso diretto a impressionare la pellicola è una grate valve: in pratica due griglie metalliche, una delle quali mossa alternativamente da un elettromagnete, a sua volta pilotato dalle correnti microfoniche. Nel 1900 si sposta in Inghilterra 2 e si stabilisce a Brixton. Tra il 1904 e il 1905 il primo apparato sperimentale è pronto e assieme a Haines e John St. Vincent Pletts – probabilmente due finanziatori – chiede un brevetto che viene concesso con il numero 18.057 per un «New and improved method of and means for simultaneous recording and reproducing movements and sounds».

1 2

Deac Rossell, A Chronology of Cinema, “Film History”, vol. 7, 2, summer 1995, p. 133. Merritt Crawford, Pioneer Experiments of Eugene Lauste in Recording Sound, “Journal of SMPE”, October 1931; ora in Raymond Fielding, A Tecnological History of Motion Pictures and Television, University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1967. 81


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16. Scenografia e trucchi Non si hanno molte notizie sulla tecnica con cui venivano costruiti i grandiosi edifici che appaiono nel cinema italiano degli anni Dieci: gli scritti pubblicati all’epoca non ci dicono quasi nulla. Eppure siamo certi – lo vediamo con i nostri occhi – che vengono abbandonate la carta e la tela dipinta, subentrano scene più solide, ora le materie prime sono il legno e il gesso. Ce ne parla qualche anno dopo Vittorio Mariani 1: Le scene sono costituite da una armatura di legno, da un rivestimento e dalla decorazione. Lasciando per ora da trattare del rivestimento e della decorazione, ci occuperemo della costruzione delle armature. Perché esse siano leggere e di facile trasporto, si adopera il legno di abete. Quando la scena ha da figurare una camera o comunque un ambiente di media grandezza, essa consterà di vari telai di legno di dimensioni variabili fra i 2 e i 4 metri di base e 3,5 a 4 metri di altezza [...]. Ordinariamente bastano in uno stabilimento bene arredato un certo numero di scene, numero che può aumentare adottando il sistema di costruire i telai con riquadro: in tal caso basta sostituire il riquadro nei telai e mutare le tinte delle cornici e dello zoccolo, per ottenere una scena diversa da quella precedentemente costituita con lo stesso materiale, ma con riquadri differenti. Le porte. Queste dovranno essere costruite senza economia come vere e proprie porte. La bussola dovrà simulare lo spessore delle pareti e la sua incastellatura dovrà assicurare la stabilità sul pavimento del teatro, prescindendo dal collegamento con le pareti della scena, formate di materiale più leggero di quello della porta [...]. Ogni casa cinematografica deve possedere una dotazione 2 di praticabili, di scale, di archi, colonne, statue, architravi, supporti, balaustre, capitelli, grandi invetriate, ecc. È allo scenografo che spetta ideare e costruire e decorare questo materiale [...]. Le colonne possono essere costruite ad intera 1 2

Vittorio Mariani, Guida pratica della cinematografia, Hoepli, Milano 1916. Circa la “dotazione” dell’Ambrosio, vedi: Alberto Friedemann, L’inventario del fallimento Ambrosio, “Le culture della tecnica”, n.s., 14. 83


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17. Cinecolore Trasformare il bianco e nero delle immagini fotografiche in quadri colorati: il problema si è posto ben presto, le prime sperimentazioni sono di Herschel nel 1842. Ma, non volendo passare in rassegna tutta la vicenda della fotografia ottocentesca, basterà citare la pellicola lenticolare, proposta da Ducos du Hauron nel 1868; anche perché la sua idea è stata ripresa in seguito. È evidente che l’aspirazione ad avere una riproduzione colorata della realtà si scontrava con i limiti della tecnica: i fotografi degli ultimi decenni del secolo potevano rimediarvi virando le loro stampe, colorarle con infinita pazienza, fare la cosiddetta “fotominiatura”1. Nel cinema neppure queste modeste soluzioni erano possibili; si poteva solo imitare le fotominiature applicando manualmente un solo colore ad una parte del fotogramma: ed è quanto possiamo vedere in un film Edison del 1894, nel quale la danzatrice Annabelle Whitford compie una Serpentine Dance. La sua ampia veste, fatta volteggiare durante la danza, è colorata in rosso: come sappiamo il colorante era applicato con un pennellino e quindi il risultato non poteva che essere un evidente sfarfallio. Il procedimento è largamente usato da Méliès, che ne fa un elemento narrativo indispensabile: lo possiamo vedere ancor oggi in Jeanne d’Arc, 1900, in Le Royaume des Fées, 1908, e in particolare in Le Chaudron infernal con la grande fiammata finale e l’esplosione della diabolica marmitta. Méliès amava, e vi ritorna più volte, questo rosso fiammeggiare della sua scena magica. Secondo alcuni autori2 il suo primo film colorato sarebbe stato La danse du feu del 1899. Sui coloranti usati possiamo solo fare delle ipotesi, poiché il mago di Montreuil, che pure ha lasciato scritti sul suo lavoro, non ne parla. Erano solubili in acqua, certamente, poiché la gelatina dell’emulsione fotografica era (molto più di quella odierna) igroscopica, pronta ad assorbire le 1

Francesco Tuccari, Manuale pratico della fotominiatura, Hoepli, Milano 1914.

2

Jacques Malthète, Les bandes cinématographiques en couleurs artificielles, “1895”, 2, avril 1987. 96


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18. Il Pathécolor Il Pathécolor è indubbiamente il sistema di cinema a colori impiegato nell’epoca del cinema muto che ha avuto maggior successo: ciò è dovuto sia all’altissima qualità delle immagini, sia all’organizzazione della grande Compagnie Générale des Phonographes, Cinématographes et Appareils de Precision. Si basava su un principio che, a sentire gli storici come Carl Forch 1, era stato largamente usato per colorare le cartoline: le matrici perforate, o maschere che dir si voglia. Dovendo colorare d’azzurro, ad esempio, la veste di una figura femminile, si doveva ritagliare una sagoma perforata della stessa forma e delle stesse dimensioni della veste in questione: la si appoggiava sull’immagine da colorare e attraverso lo spazio lasciato vuoto si somministrava il colore per mezzo di un tampone. Il principio applicato al cinema viene così descritto da Mariani: Immaginiamo di dover colorare con tre tinte un film. Chiamiamo le tinte A, B, C. Per applicarle sul film noi tireremo tre positivi e ritaglieremo in uno una matrice, corrispondente alla parte che deve essere tinta in A; in uno una matrice per la tinta B, nel terzo una matrice per la tinta C. Si sovrapponga il film a matrice per la tinta A al positivo da colorare, facendolo collimare immagine per immagine per mezzo della perforatura, e si dia la coloritura. Questa tingerà la parte di positivo lasciata scoperta dalla matrice del film ritagliata. Indi si tolga la prima matrice e si sovrappongano successivamente le altre. Il lavoro si esegue su un trasparente. La produzione per una operaia è di 25 metri al giorno e il prezzo di circa 6 centesimi al metro. Per eseguire la ritagliatura si usano oggi macchine speciali.2

1 2

Carl Forch, Die Herstellung kolorierter Kinematographien, “Die Kinotechnik”, J. 3, Heft 7, Mitte Juli 1921. Vittorio Mariani, Guida pratica della cinematografia, Hoepli, Milano 1916, capitolo XIII. 100


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19. Perforatrici ed altro I primi apparecchi usati nel cinema, in primo luogo il Cinématographe, sono macchine versatili, che possono essere impiegate nelle diverse fasi della produzione: riprese, stampa, proiezione. Adattarle ad una di queste funzioni era molto semplice, come dimostrano le illustrazioni che accompagnano, ad esempio, le ben note “Nozioni” dei Lumière. La soluzione tecnica si accompagnava alla strategia commerciale, anzi l’aveva preceduta, poiché la riunione delle tre funzioni in un solo ritrovato era avvenuta fin dall’inizio, ben prima che la casa di Lione decidesse di spedire nel mondo i suoi operatori. I quali – si trovassero in Russia o in America – potevano con il loro apparecchio effettuare in una sola giornata le riprese, la stampa, la presentazione al pubblico delle loro vues. Il cinema dei primi anni, specie in Europa, è ambulante e una tecnologia leggera rappresenta l’ideale. Ma vi è forse un’operazione che questo pellegrino dello spettacolo primitivo non può compiere: la perforazione della pellicola; anzi, siamo indotti a credere, specie dalle testimonianze lasciate dai vari Promio, Mesguich, Doublier, che usassero negativo già pronto, quale era stato loro affidato dalle officine di Montplaisir. Ma sappiamo anche che i tre fabbricanti di pellicola, Eastman, Blair, Lumière (quest’ultimo solo dopo il 1897) preferivano venderla non perforata; ciò probabilmente – e le molte controversie verificatesi in seguito lo dimostreranno – perché gli standard dei macchinari presso i diversi produttori di film non erano unificati: Messter lo sapeva bene, come si vedrà. Molti utenti provvedevano, per così dire, in casa, e molti costruttori erano pronti a fornire le apparecchiature necessarie. Non erano molti, o per lo meno, le testimonianze sono poche. Una immagine del «hand perforator for punching film strips» usato da Dickson nel 1889 per la pellicola da ¾ di pollice è pubblicata dal Fielding 1. 1

Harold G. Bowen, Thomas Alva Edison’s Early Motion Picture Experiments, “Journal of SMPTE”, vol. 64, September 1955; ora in Raymond Fielding, A Technological History of Motion Pictures and Television, University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1967. 106


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20. L’amplificazione Quando isolati inventori, grandi industriali e semplici cinematografisti si preoccupavano di far suonare un fonografo o un grammofono nelle sale in cui si proiettava un film, la loro attenzione era soprattutto rivolta al sincronismo immagine-suono e molto meno al volume della musica e delle eventuali parole. L’unico tentativo di rendere udibile a un vasto pubblico il messaggio sonoro è l’Elgéphon Gaumont1 ad aria compressa del 1907. Il principio è mutuato dagli strumenti musicali a fiato e in parte dall’organo: la puntina del grammofono mette in movimento una specie di valvola, che aprendosi più o meno, lascia passare un flusso di aria compressa, destinata a fluire in due capaci trombe. Sembra che l’effetto fosse simile a una musica d’organo. Ma il successivo perfezionamento, il Chronophon, presentato all’Accademia delle Scienze di Parigi il 27 dicembre 1910, faceva udire anche le parole: infatti le cronache riferiscono la replica del “monologo” del professor D’Arsonval, già registrato per un programma – senza amplificazione – del 1902. A New York al Teatro della 39º Strada dal 5 al 7 giugno 1913, erano proiettati 16 pezzi sonori e a colori2. Un sistema ad aria compressa era stato proposto anche in Inghilterra da Short nel 1898: era l’Auxetophon, successivamente perfezionato da C.A. Parsons. Sappiamo che la soluzione del problema doveva essere elettronica, anche se allora non poteva chiamarsi così: affidata comunque a quello strumento che poi doveva dominare la scena tecnologica per cinquant’anni, la valvola. Viene costruita nel 1906 da Lee De Forest, modificando il ritrovato di Ambrose Fleming, che era molto più semplice: un modesto diodo, costituito da due soli elettrodi – filamento e placca – impiegato come raddrizzatore di corrente; l’inventore americano, che lavora presso la 1 2

Leon Gaumont, Werdegang des Tonfilms. Geschichtliche Darstellung, Gaumont, Berlin 1929. Leon Gaumont, Gaumont Chronochrome Process Described by the Inventor, “Journal of SMPTE”, vol. 68, Jan. 1959; ora in Raymond Fielding: A Technological History of Motion Pictures and Television, University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1967. 115


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21. Il sonoro dopo la guerra Durante la guerra mondiale molti cominciano a fabbricare valvole “termoioniche” per usi militari: radio comunicazioni, sistemi di intercettazione, amplificazione telefonica. Alla fine del conflitto è ormai possibile trovarle sul mercato, anche in Europa, e si possono costruire amplificatori di bassa frequenza. Non si possono ancora utilizzare per la trasmissione, perché in questo campo occorrerebbe una grande potenza, che le valvole non possono fornire: le stazioni preferiscono quindi l’arco di Valdemar Poulsen oppure l’alternatore Alexanderson, progettato fin dal 1906 per i trasmettitori di un altro pioniere, Reginald Aubrey Fessenden, e in seguito impiegato su larga scala, ad esempio nella nuova stazione radio telegrafica intercontinentale di New York costruita nel 1921. Un amplificatore a valvole è impiegato nel sistema di registrazione e riproduzione Triergon, che i tre tecnici tedeschi Joseph Massolle, Hans Vogt e Jo Engel1 cominciano ad elaborare nel 1918: nella loro memoria gli inventori fanno esplicito riferimento al ritrovato di De Forest, ma rivendicano anche i meriti analoghi del tedesco Robert von Lieben 2. Non danno molte informazioni sull’amplificatore usato nella fase di registrazione, né in quella di riproduzione; annunciano invece di aver costruito un nuovo tipo di microfono, chiamato Kathodophon, nel quale una corrente elettrica riscalda una spirale di platino avvolta su un supporto ceramico coperto di ossido di bario, ionizzando l’aria posta tra questo supporto e una seconda spirale posta di fronte alla prima. Il flusso d’aria 1 2

Joseph Massolle, H. Vogt e Jo Engel, Der sprechende Film. Ueber die Erfindung des sprechenden Filmes, im Selbstverlag von Massolle, Vogt und Engl, Berlin ca. 1923. Lo scienziato viennese Robert von Lieben (1878-1913) ha cominciato a lavorare sulle “valvole”, allora chiamate Kathoden-strahlröhre (tubi a raggi catodici, ma da non confondere con i moderni dello stesso nome) nel 1906. Ottiene vari brevetti tedeschi e nel 1910 trasforma il tubo primitivo in un triodo, analogo all’audion di De Forest, con l’introduzione della griglia. Cede i diritti alla società AEG, che nel 1913 comincia a fabbricare tubi Lieben, veri e propri triodi, che in seguito verranno usati nella telefonia e radiofonia in funzione di amplificatori. 118


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22. Dal Pathécolor al Technicolor «Non ero esperto di questi misteri tecnici, quindi non tenterò di descriverli in dettaglio». Così scrive Cecil B. DeMille1 a proposito del sistema a colori impiegato per qualche sequenza – il rogo! – del film Joan the Woman: si trattava della complicatissima invenzione di Max Handschiegl, che cercheremo di illustrare più avanti. In Europa già trionfava il Pathécolor, del quale conosciamo gli eccezionali risultati; ma era un procedimento molto complesso, per il quale era necessaria una grande organizzazione e molta mano d’opera specializzata. Le ricerche che William van Doren Kelley iniziava nel 1913 non proponevano un sistema più semplice, ma certamente diminuivano la manualità. La macchina da presa aveva due obiettivi, posti uno sopra l’altro e impressionava due fotogrammi per volta, uno attraverso un filtro rosso, l’altro attraverso uno verde2. Il positivo aveva una doppia emulsione, anteriore e posteriore; inoltre il supporto era dotato di uno strato opaco, che impediva alla luce di stampa di attraversarlo e quindi di impressionare l’emulsione del lato opposto. L’opacità veniva dissolta durante lo sviluppo. La stampa comportava grandi problemi di registro, poiché l’immagine ripresa attraverso il filtro rosso era stampata da un lato, quella ripresa attraverso il filtro verde dall’altro. Il passo successivo consisteva nel colorare le due emulsioni, che erano ovviamente in bianco e nero, con i colori originali. Kelley prevedeva due soluzioni: il viraggio, oppure l’indurimento della gelatina, la sbianca e la successiva colorazione. Non sappiamo quale sia stata la soluzione adottata dopo anni di esperimenti, quando nel 1919 la nuova società Prizma inizia a girare in Inghilterra il film Glorious Adventure, diretto da Stuart Blackton. Ma parliamo del sistema Handschiegl 3, che ha avuto qualche applicazione anche negli anni Venti: limitata a poche sequenze all’interno di film 1 2 3

Cecil B. DeMille, Autobiography, Prentice Hall, Englewood Cliffs, p. 175. Roderick T. Ryan, A History of Motion Pictures Technology, Focal Press, London and New York 1977. Roderick T. Ryan, Op. cit.; Fred E. Basten, Glorious Technicolor, A.S. Barnes, London 1980; Gert Koshofer, Color, die Farben des Films, Spiess, Berlin 1988. 127


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23. Cinema sonoro A metà degli anni Venti tutte le conoscenze – e i brevetti – che potevano consentire uno sviluppo ad un nuovo cinema sonoro, progredito, efficiente, con musica e parole, erano in mano a grandi gruppi industriali: negli Stati Uniti Western Electric e General Electric, meno importante la Fox-Case Co.; in Germania l’alleanza, non ancora conclusa, ma in gestazione, tra AEG e Tobis. Le vicende economiche e finanziarie sono ben note e si possono considerare separate dagli aspetti tecnologici. In ogni caso la situazione è cambiata rispetto ai primi anni del secolo e ricerca più sfruttamento appartengono ai “grandi”: amplificatori e altoparlanti erano nelle mani della Western, il solo altoparlante in quelle della General. I processi di registrazione erano diversi e non ancora ben definiti. Ecco comunque la situazione, almeno dal punto di vista dei “grandi”. Western Electric. Ha costruito e perfezionato amplificatori a valvola fin dal 1913, li ha impiegati nella registrazione dei dischi, concedendo le relative licenze a Columbia e Victor. Ha costruito vari tipi di microfoni e il primo altoparlante a bobina mobile, quindi l’approntamento di un sistema soundon-disc per il cinema è solo l’assemblaggio di tecnologie già esistenti, compreso il collegamento elettrico tra il motore della camera e quello del registratore in fase di ripresa. Nei proiettori i due apparati sono collegati meccanicamente. La registrazione su pellicola – il sound-on-film – impiega la light valve progettata da Wente nel 1923: tra le polarità di un campo magnetico fisso sono tesi due nastri in alluminio che lasciano tra di loro una fessura. Se in questi nastri passano le correnti modulate provenienti da microfono e amplificatore, essi sono costretti a flettersi in modo da allargare e restringere la fessura, lasciando passare una maggiore o minore quantità di luce proveniente da una lampadina. La luce modulata impressiona la pellicola, lasciando una traccia a densità variabile. La tensione dei nastri è regolata affinché il loro periodo proprio di risonanza sia circa di 7000 hz. Perfezionamenti successivi hanno indotto a 131


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Dello stesso autore:

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Il Christus di Giulio Antamoro e di Enrico Guazzoni Pag. 80 - € 9,00

Le invenzioni e le innovazioni sono state spesso contestate, tanto che il merito di questo grande strumento di comunicazione è stato attribuito a inventori diversi. Ma l’accurata descrizione dei ritrovati è resa ardua dal fatto che all’inizio le invenzioni sono state empiriche, senza base scientifica o basate su teorie errate. Ne è un esempio la vicenda della fotografia, che è stata sfruttata e perfezionata per oltre un secolo, prima che le ricerca scientifica moderna ne spiegasse il meccanismo. Un problema, quello della separazione tra ricerca scientifica e applicazione tecnologica, attualmente molto discusso, richiamato in questo volume.

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Poco descritta e spesso trascurata, la tecnologia del cinema nella sua storia più che centenaria è indubbiamente un argomento complesso, difficile.

Riccardo Redi, giornalista e scrittore, è stato collaboratore di varie istituzioni cinematografiche italiane: la Mostra del Nuovo Cinema, per la quale ha curato le rassegne retrospettive, la Mostra di Venezia, la Cineteca Nazionale. Dal 1981 al 2001 ha curato la redazione della rivista “Immagine – Note di Storia del Cinema”, edita dalla Associazione per le Ricerche di Storia del Cinema. Tra le sue opere: Cinema italiano sotto il fascismo (a cura di), Marsilio, Venezia, 1979; Tra una film e l’altra. Materiali sul cinema muto italiano 1907-1920, (a cura di, con Claudio Camerini), Marsilio, Venezia, 1980; Ti parlerò... d’amor. Cinema italiano tra muto e sonoro. Eri, Torino, 1986; La Cines. Storia di una casa di produzione italiana, CNC Edizioni, Roma, 1991 - Persiani Editore, Bologna 2009; 1911... La nascita del lungometraggio (a cura di), CNC Edizioni, Roma, 1992; Cinema Muto Italiano 1896-1930, Biblioteca di Bianco e Nero, Scuola Nazionale di Cinema, Roma, 1999.

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