Il Minotauro Problemi e ricerche di psicologia del profondo
ISSN 2037-4216 Anno XLIII - n.1 Giugno 2016
Anno XLIII – Vol. n. 1 GIUGNO 2016
IL MINOTAURO PROBLEMI E RICERCHE DI PSICOLOGIA DEL PROFONDO
IL MINOTAURO Rivista fondata in Roma nel 1973 da Francesco Paolo Ranzato
www.rivistailminotauro.it ORGANO UFFICIALE DELLA SCUOLA DI PSICOTERAPIA ANALITICA AIÓN Via Palestro, 6, 40123, Bologna Tel: 348.2683688
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Sommario Articoli: Editoriale di Luca Valerio Fabj.................................................................................................5 Iniziare a leggere e a pensare di Rossana Dalla Stella.............................................................................................8 Catastrofe e trauma: La Strada di Cormac McCarthy come esempio simbolico di letteratura post-11-settembre di Riccardo Gramantier..........................................................................................15 Il disiato riso. Immagine della madre e difetti narcisistici di Pierluigi Moressa.................................................................................................31 Neuroscienze e psicologie del profondo di Maria Pusceddu...................................................................................................43 Il transfert secondo Fordham: “Io credo nell’individuo”– Parte prima di Luca Valerio Fabj...............................................................................................56 Sincronicità dell’assoluto – Parte seconda di Gigliola Panzacchi..............................................................................................74 Recensioni............................................................................................................146
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LE NUOVE SFIDE DELLA PSICOANALISI
Editoriale di Luca Valerio Fabj
Eins thut Noth (Una sola cosa è Necessaria) A Bologna a gennaio di quest’anno si è tenuto insieme ai Colleghi della L.I.S.T.A. di Milano e con il patrocinio del Comune di Bologna un convegno con lo stesso titolo di questo articolo. Tale consesso, aperto a tutti, ha avuto una vasta partecipazione di pubblico e si è svolto in armonia con interessanti interventi, gruppi di discussione e laboratori. È stato un onore per me presiederlo come Direttore entrante della Scuola di Specializzazione A ion in Psicoterapia Analitica riconosciuta dal M I U R , nonché come Presidente della AssoAlba di Bologna; ed è stato anche un vero piacere poter ascoltare tanti Colleghi dai più giovani ai più anziani estremamente preparati nei loro interventi. Ognuno ha portato il suo contributo e ha sviluppato vari temi di attualità rispetto a ciò che è oggi fare gli analisti di orientamento junghiano e psicodinamico nel senso più ampio del termine. Ognuno ha voluto, più che giustamente, porre l’accento su ciò che riteneva la sfida più importante che oggi si trova ad affrontare la psicologia del profondo, e tutti hanno posto l’accento su ciò che poteva sembrare più difficile da affrontare rispetto alla attualità nella professione di psicoterapeuta analitico. Da ciò è parso che i problemi potessero essere differenti e molteplici. Tuttavia, a prescindere dall’argomento scelto, a mio modesto parere, la sfida che la psicoanalisi deve oggi affrontare è uno solo: restare fedele a sé stessa. Sono molte le lusinghe che la modernità pone alla psicologia del profondo perché essa venga accettata dai più e dal “mondo che conta” da quello dei media a quello accademico: dimostrare la sua efficacia terapeutica con metodi basati sull’evidenza, essere una corrente di pensiero che ben si adatti ai temi della società attuale, avere qualcosa da dire secondo i canoni di oggi rispetto all’arte, alla letteratura ed al linguaggio e, persino, dire qualcosa sulla politica e sul diritto civile e penale. Insomma, in sintesi: essere “politicamente corretta” per avere ed ottenere consenso. Tuttavia, purtroppo, questa non è una nuova sfida per la psicoanalisi, ma è la sfida di sempre che la psicologia del profondo, sin dai tempi di Freud, ha dovuto
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INIZIARE A LEGGERE E A PENSARE
Rossana Dalla Stella L’utilità dell’“incontro” precoce dei piccolissimi con il libro trova motivazione nei risultati di numerose ricerche longitudinali dove si dimostra come l’abitudine alla lettura di libri d’immagini fin dai primi anni costituisca una tra le condizioni che favoriscono lo svilupparsi di una futura e persistente motivazione a leggere nonché a gettare le basi per una successiva acquisizione di tale specifica competenza. La lettura vera e propria, in effetti, definisce il punto d’arrivo di un lungo processo di simbolizzazione che ha luogo a partire dal disegno e dall’interpretazione di esso. La lettura rinviene dunque i suoi presupposti non tanto nella decodifica delle singole lettere quanto piuttosto nell’abitudine a trarre un senso dalle immagini, dai segni, a ricostruire una storia. Essa si propone quindi come una pratica educativa di grande rilevanza in quanto sortisce effetti positivi di svariata configurazione quali lo sviluppo percettivo, linguistico, cognitivo, conoscitivo, senza trascurare gli elementi di stimolo forniti per l’evoluzione della competenza emotivo-affettiva, considerata condizione sine qua non per la costruzione della propria identità. Cercherò adesso di approfondire in quale direzione si muovono codeste linee di sviluppo se il bambino viene sollecitato a prendere contatto con il libro nel corso della sua primissima infanzia. Dal punto di vista delle competenze percettive, sappiamo che il piccolo dell’uomo acquisisce ben presto gli strumenti tramite i quali andare a cogliere il contenuto delle immagini, soprattutto se raffigurano volti umani in maniera semplice ed essenziale. Se già a 6 mesi, infatti, la percezione delle forme, dei colori e la messa a fuoco sono simili all’adulto, tra i 9 e 12 mesi dimostra chiaramente di associare l’immagine dell’oggetto con il corrispettivo reale se già lo conosce mentre identificare la relazione spaziale tra i vari oggetti costituisce la conquista immediatamente successiva. È stato accertato che a partire dai 2 mesi i bambini dedicano il 35% del tempo di veglia all’esplorazione visiva dell’ambiente, quando non sono ancora in grado di muoversi da soli. La memoria visiva, inoltre, è la prima forma di memoria ad esistere nella mente e a determinare il riconoscimento, ad esempio, dei volti familiari e la diffidenza verso i volti sconosciuti. «Le azioni intenzionali cominciano già a due mesi dopo la nascita e il meccanismo responsabile di questo sviluppo è lo specifico modo reciproco e intenzionale con cui gli esseri umani comunicano tra loro» (Rochat, 2007, p. 9) Si sottolinea come la capacità di rappresentare oggetti ed eventi, definendo il punto
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CATASTROFE E TRAUMA: LA STRADA DI CORMAC MCCARTHY COME ESEMPIO SIMBOLICO DI LETTERATURA POST-11 SETTEMBRE
Riccardo Gramantieri L’attacco al World Trade Center avvenuto l’11 settembre 2001 è stato un evento eccezionale che ha rivelato come l’America non potesse più considerarsi un’isola utopica capace di godere di una miracolosa immunità. Dopo quel giorno, i tempi dell’egemonia geopolitica americana degli anni Novanta sono andati perduti e la politica di Bush ha trasformato gli Americani in lemming in marcia verso un futuro dominato dalla cultura della paura promossa dal governo americano (Strozier, 2011). L’America non aveva mai subito sul proprio suolo un attacco simile. La traumatica vicenda di Pearl Harbor, che spinse gli Stati Uniti ad intervenire nella Seconda guerra mondiale, ad alcuni potrebbe sembrare un precedente, ma avvenne nella base militare delle isole Hawaii, e pertanto l’azione venne percepita dai cittadini americani del continente come lontana. Le Torri Gemelle erano invece a New York, il cuore economico e culturale degli Stati Uniti. Usando le parole del filosofo Jean Baudrillard, l’attacco alle torri è stato «una sfida simbolica» (Baudrillard, 2002, p. 18) all’America, da decenni considerata il paese più influente nella politica e nella storia mondiale. Per questo motivo la distruzione del World Trade Center ha segnato un punto di svolta nella storia contemporanea, tanto da costituire il momento di passaggio dal ventesimo secolo al ventunesimo. Si deve ricordare che anche l’età contemporanea era nata con una distruzione, quella di Hiroshima e Nagasaki: una catastrofe che riassumeva in sé il comportamento sterminatore della guerra ed il progresso estremo della ricerca scientifica. Prima dell’11 settembre 2001 il termine Ground Zero identificava l’ipocentro dello scoppio della bomba Little Boy su Hiroshima. Dopo quel giorno, tale denominazione si riferirà unicamente al sito ove sorgevano le Torri Gemelle, luogo simbolo dell’apocalisse del presente. Come ha scritto Luigi Zoja, da allora «tutti dicono 11 settembre senza aggiungere altro, e forse così resterà. Non era avvenuto neppure con la scoperta dell’America o l’inizio delle Guerre Mondiali» (Zoja, 2002, p. 10). La catastrofe delle gemelle come evento simbolico è situata al centro di un certo tipo di letteratura che, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, viene definita nel mercato editoriale come post-11-settembre (o post-9/11 seguendo il metodo di datazione inglese). La letteratura post-11-settembre, attraverso le opere di diversi autori, rappresenta le reazioni traumatiche generate dall’attacco alle Torri gemelle secondo diverse forme narrative. Romanzi quali Giochi d’infanzia (2005) di Lynne Sharon Schwartz o racconti come Le cose che hanno lasciato indietro (2005) di Stephen King, descrivono l’evento mediante la ripetizione della scena traumatica, e possono essere commentati seguendo la teoria delle relazioni oggettuali (Gramantieri, 2015b); altri
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RICCARDO GRAMANTIERI*
Post 11 settembre
Letteratura e trauma Persiani Editore, Bologna 2016 ISBN: 978-88-98874-66-4 Pp: 140 € 16,90
L’abbattimento delle Torri Gemelle ha segnato in maniera indelebile il passaggio dal ventesimo al ventunesimo secolo. L’attacco al World Trade Center ha generato un moto dell’inconscio il cui risultato è stata una produzione letteraria caratterizzata da figure fantasmatiche, oggetti dispersi e ritrovati, guerre e conflitti in universi alternativi. L’evento è diventato oggetto di molte opere letterarie, tanto da poter parlare oggi di una “letteratura post-11-settembre” (o post-9/11). La narrativa di Brian Aldiss, Don DeLillo, Stephen King, Cormac McCarthy, solo per citare alcuni autori, descrive e/o reinventa il mondo scaturito dal crollo delle Twin Towers. Le opere prese in esame rappresentano svariati meccanismi mentali di risposta all’evento, tutti comunque riconducibili allo stesso trauma. Più che essere una semplice descrizione dei fatti, la letteratura post-11- settembre rende visibili quei processi psichici che si sono sviluppati in seguito allo spaventoso e angosciante attacco terroristico. *Riccardo Gramantieri, ingegnere, poi laureatosi presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna, è autore di saggi letterari fra i quali William Burroughs:manuali di sopravvivenza, tecniche di guerriglia (Mimesis, 2012), mentre suoi articoli sono apparsi in numerose riviste letterarie. Sul rapporto fra letteratura e disturbo mentale è autore di Ipotesi di complotto, paranoia e delirio narrativo nella letteratura americana del Novecento (con Giuseppe Panella, Solfanelli, 2012), mentre presso Persiani Editore ha pubblicato, con Fiorella Monti, Sogno mito pensiero. Freud Jung Bion (2014).
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IL DISIATO RISO IMMAGINE DELLA MADRE E DIFETTI NARCISISTICI Pierluigi Moressa “Incipe, parve puer: cui non risere parentes nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubilist” (Virgilio, Bucoliche, Ecloga IV 62-63)
Un oggetto soggettivo «Che cosa vede il bambino, quando guarda il viso di sua madre? Io credo che ciò che vede abitualmente è sé stesso. Molti neonati hanno una lunga esperienza di non ricevere niente in cambio di ciò che hanno dato» (D. W. Winnicott). Guardare la propria madre e non vedersi è un’esperienza che può costituire un’assenza, un difetto. «Se il volto della madre non risponde, – prosegue Winnicott – in quel momento uno specchio diventa una cosa da guardare, non una cosa dove guardare». Tra le funzioni espletate dalla mamma per il suo bambino si considera la “reverie” come l’attitudine necessaria per esprimergli un’immagine affettiva, un’espressione di ciò che lei stessa è disposta a donargli e dei profondi sentimenti che prova. Il sorriso della mamma al bambino costituisce un’esperienza di identità e allo stesso tempo di differenziazione per il piccolo, che rintraccia sul viso materno i segni di un’autorizzazione per cominciare a esistere autonomamente. Un neonato dipende in tutto dall’ambiente che lo circonda, e questo possiede certamente un significato di realtà esterna e concreta, ma nello stesso tempo rappresenta una parte di lui. «Non si può descrivere un bambino, senza descrivere il suo ambiente» (D. W. Winnicott), soprattutto quando non è ancora possibile la distinzione autonoma e individuale del proprio Sé. L’oggetto è, dunque, in questo periodo dello sviluppo, un “oggetto soggettivo”, mentre il risultato della maturazione del bambino sarà strettamente legato alla funzione di adattamento attivo che la madre è disposta a interpretare. Sempre Winnicott (1958), creando le definizioni di “preoccupazione materna primaria” e di “madre sufficientemente buona”, ha potuto caratterizzare la funzione di “maternage” e il sentimento di maternità presente in tutte le donne, salvo nei casi in cui malattie, turbe psichiche o incidenti hanno interrotto o modificato questa relazione. Nell’analisi di alcuni pazienti si vede spesso apparire un senso di vuoto, una perdita di significato vissuta come precoce rinuncia allo spazio dell’illusione dell’onnipotenza infantile. Si tratta di pazienti che di solito hanno subito molto presto una di-
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NEUROSCIENZE E PSICOLOGIA DEL PROFONDO Maria Pusceddu Sono biologa e psicologa; i miei interessi hanno quindi sempre oscillato tra il versante prettamente naturalistico/scientifico e quello psicologico/umanistico, che, per altro, non ho mai percepito come separati tra loro. Ogni volta che mi sono attardata su uno dei due versanti (dato che difficilmente si trovano testi approfonditi che parlino di entrambi e delle loro relazioni) ho sentito fortemente la nostalgia dell’altro e viceversa. Non a caso, nel mio percorso formativo, ho fatto un’analisi personale junghiana e mi sono specializzata in Psicosomatica; sempre non a caso le mie pubblicazioni nascono da questo fertile connubio. Tutto questo per dire che, in una delle mie recenti “oscillazioni” sul versante bio e precisamente in tema di Neurobiologia, ho incontrato la tetralogia di Antonio Damasio, professore di Neuroscienze, Psicologia e Neurologia presso l’Università del Sud California a Los Angeles. Si tratta di quattro libri scritti nell’arco di una quindicina d’anni in cui l’autore delinea, aggiornando via via che le ricerche sperimentali e cliniche portano nuovi dati, i correlati anatomo-fisiologici di emozioni, sentimenti, mente, coscienza, sé. Damasio non parla mai di psicologia del profondo come noi la intendiamo, ma ho trovato spunti tanto interessanti da tentare un raffronto con aspetti psicodinamici ben noti ai terapeuti, ma in genere avulsi da ogni riflessione su aspetti “materiali” ad essi sottesi. Pur essendo consapevole che la ricchezza di informazioni contenute in circa 1500 pagine non possa essere degnamente resa in un articolo, ciò non di meno vorrei tentare di offrire al lettore una sintesi modesta, ma a mio avviso fondamentale, tra alcuni aspetti trattati in psicoterapia e le radici biologiche della nostra esistenza come esseri pensanti. La prima cosa che mi ha colpito, e quindi indotto a questa “mission impossible”, è stato il fatto che, pur prendendo le mosse da punti di partenza diversi e a volte opposti, il neuroscienziato (Damasio) e la psicoterapeuta (la sottoscritta) sono giunti a concetti talmente simili che a volte nei rispettivi testi si riscontra perfino una coincidenza di immagini verbali. Dal momento che la nostra insopprimibile parte di narcisismo (sano spero) ci fa ritenere giusto e intelligente ciò che altri affermano se collima con il nostro modo di pensare, mi sono detta: “In questa sfinente, inutile ed obsoleta diatriba tra la ‘scientificità’ degli aspetti materiali e la ‘non scientificità’ degli aspetti psicodinamici, perché non evidenziare i punti di contatto, ovvi per chi ha la mente sufficientemente aperta?”. Cercherò innanzi tutto di sintetizzare i punti qualificanti della visione di Damasio. Nei suoi scritti l’autore cita principalmente due filosofi quasi coevi, l’uno riconosciuto ed apprezzato anche in vita e l’altro osteggiato e vilipeso perché troppo anticipatore e non ortodosso: Cartesio e Spinoza.
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IL TRANSFERT SECONDO FORDHAM: “IO CREDO NELL’INDIVIDUO” Prima parte Luca Valerio Fabj L’importanza centrale che il transfert ha assunto in tutte le psicoterapie psicodinamiche è tale che non necessita di alcuna ulteriore enfatizzazione. Tuttavia, l’idea della traslazione, scoperta per la prima volta da Freud, ha subito nel corso della storia della psicologia del profondo una notevole variazione concettuale a seconda delle scuole e degli orientamenti. Fra questi orientamenti, quello che più interessa alla psicologia analitica è quello basato sulla teoria delle relazioni oggettuali iniziato da Melanie Klein, poiché, a mio avviso, vi sono molti punti di contatto fra tale teoria e la concezione archetipico/immaginale sostenuta da Jung sulla relazione transferale analitica. In un mio testo pubblicato alcuni anni fa,23 ho mostrato e dimostrato, infatti, come il meccanismo difensivo isolato dalla Klein e da lei definito “identificazione proiettiva”, sia stato, in realtà, scoperto per primo da Jung nel 1921 (in Tipi psicologici) e da lui denominato “proiezione attiva”. Questo meccanismo, in pratica consiste nella possibilità che le proiezioni del paziente determinino modificazioni psichiche, consone al tipo della proiezione, nel soggetto che le riceve: ovvero, nell’analista che ad esse è, inevitabilmente soggetto. Questa modificazione, insieme al paziente del terapeuta, ha fatto si che Jung nel suo La psicologia della traslazione (1946) asserisse che l’analista era in terapia insieme al suo paziente, poiché fra loro due si verificava un processo di unione psichica che Egli considerò analogo alla coniunctio della antica Alchimia. Da allora ad oggi sulla identificazione proiettiva transferale che si verifica durante il processo analitico si sono consumati fiumi di inchiostro – naturalmente senza mai citare Jung – e tutti questi scritti giungono alla conclusione di quanto sia valida questa particolare forma di traslazione come strumento terapeutico di carattere ermeneutico. In questo mio articolo, voglio riprendere alcuni concetti espressi da Fordham sulla traslazione esposti nel mio precedente scritto già citato, perché li ritengo di estrema attualità. In questa prima parte mi limiterò ad esporre la teoria del transfert secondo Fordham, mentre nella seconda – che verrà pubblicata successivamente – cercherò di esporre i punti che a mio avviso sono di grandissima attualità in psicodinamica. Fordham nel suo saggio del 1957, Note sul Transfert, espone la sua teoria sulla traslazione che può essere sintetizzata dalle parole dello stesso autore in: Io credo nell’Individuo. L’idea generale di Fordham, alla base delle sue tesi sul transfert, è che l’indi23 Fabj L.V., Alchimia della immagine: L’alchimia e il Transfert, Jung e la Klein, Paolo Emilio Persiani Editore, prima edizione, Bologna 2009.
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SINCRONICITÀ DELL’ASSOLUTO Seconda parte Gigliola Panzacchi Śivaismo Kascmīro e fenomenologia Junghiana All’India sono profondamente legata e farei mie le parole di Mircea Eliade che così s’esprime: Sin da allora, avevo già capito come il pensiero indiano non avesse conosciuto semplicemente il desiderio di liberazione1, ma anche la sete di libertà. E che credeva alla possibilità di un’esistenza piena di autonomia, qui ed ora, sulla terra e nel tempo [...] queste le idee che avrei voluto sviluppare nella mia tesi. (Eliade, 1998, p. 59)
E ancora: Integrare, unificare, totalizzare, in una parola abolire i contrari e riunire i frammenti, è in India la Via Regia dello spirito. (Eliade, 1930, p. 40)
Ero giovanissima quando il Destino mi portò sulla Via della Seta in un viaggio che fece sussultare la mia vita. Ero nata e vivevo a Bologna, improvvisamente ma lentamente, in un viaggio silenzioso, mi ritrovai a salire su verso Trieste, per poi scendere a Belgrado fino a Bucarest, e da Istanbul fino ad Ankara, Erzerum, valicare Thars e riscendere attraversando l’Iran, Esfahān, Kermanshah, e ancora verso l’Afghanistan, Herat, Kandaharr, Kabul, Tabriz, Lahore, su per il Khiber e giù nell’India e risalendo al Kascmῑr, al Nepal, fino in Cina. Lo rivedo come se fosse ora, tra capre, gelsomini, sterco; sterco-case-combustibile-dissenteria ecc., inseparabili alla Via della Seta e alla “Via della Resina”. Allo stesso modo, fucili e spari e distese di papaveri che credevo astri di tutti i colori sull’altopiano di fronte ai Buddha divenuti funerei; cammelli, mille sfumature di ocra e arancione; campanelli e tuc-tuc, insetti e serpenti, blu cobalto, vacche sacre e kebab. Viola, carboni ardenti e immobilità, elefanti, tigri, scimmie, neve, deserto. Impronte di calendula su Ghanesa, impronte d’oro sui Linga/Yoni. Mercati di pani di hashish e oppio che credevo sapone fatto in casa, spezie di tutti colori. La festa della Luce, il Diwali e milioni di fiammelle regalate alle acque. Sacralità ovunque. Nascita e Morte a braccetto. Nebbie all’Aurora con gracchiare di corvi. Pudore e compostezza, ritualità, sacralità e sincronicità. Pire, flagelli e ospitalità. Tanti “incontri straordinari”, incontri provvidenziali. Fortunatamente ero ignorante come una carta assorbente bianca e assetata, migliaia e migliaia di macchie lasciavo ACCADERE. Nulla era studiato se non i posti di rifornimento e i pozzi d’acqua. Avevo meno di vent’anni e ci sono rimasta un po’. 1 Il corsivo, qui come nelle citazioni seguenti, è dell’autrice (ndr).
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RE CE NS IO NI
AUGUSTO GENTILI*
Fenomenologia del fanatismo religioso Persiani Editore, Bologna 2016 ISBN: 978-88-98874-61-3 Pp: 106 € 16,90
Quali sono gli aspetti psicopatologici che caratterizzano il fanatismo religioso? Cosa avviene nella mente di un essere umano che decide di uccidere, uccidendosi, persone inermi e indifese? Cosa porta individui, spesso (apparentemente) integrati nella società occidentale, a compiere tale scelta? In nome di quale dio si può attuare questo scempio dell’umano? Il Dio dell’aldilà o il Dio dell’aldiqua? Queste sono le domande che l’autore si è posto di fronte ai terribili eventi terroristici avvenuti alla fine del 2015 e a cui cerca di dare una risposta attraverso gli strumenti teorici forniti dalla psicologia analitica di Carl Gustav Jung. *Augusto Gentili è medico psichiatra, psicologo analista e docente del Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA). È membro dell’Associazione Internazionale di Psicologia Analitica (IAAP). Svolge la sua attività professionale a Reggio Emilia. È autore di varie pubblicazioni di argomento psichiatrico e psicoanalitico, tra queste: Il cervello e la psiche. Neuroscienze e psicoanalisi: appunti per un possibile incontro, in Il nuovo. Forme di apertura all’ulteriore (Vivarium, Milano 2011). Nel 2014 ha pubblicato per la collana Temenos Il martire e l’eroe. San Sebastiano e San Giorgio. Riflessioni su due figure archetipiche (Persiani Editore, Bologna).
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MARIO SOLIANI*
Cancro
Scienza, mito e destino Persiani Editore, Bologna 2016 ISBN: 978-88-98874-38-5 Pp: 290 € 16,90
È possibile parlare del cancro adottando uno sguardo diverso da quello che ha ammalato il paziente? È possibile saper vedere le cose da un altro punto di vista e raccontare un’altra storia rispetto a quella a cui abbiamo abituato il nostro pensare ed il nostro sentire? È possibile scrivere un saggio sul cancro che faccia riflettere, ma al contempo fornisca strumenti e competenze per prendersi cura di sé, avendo ben chiaro che la conoscenza è la misura della libertà dell’uomo? L’autore ci accompagna in un viaggio complesso che interroga a fondo le radici del nostro modo di “essere nel mondo” e ci aiuta a vedere cosa si cela dietro al velo di superficialità e noncuranza che ammala l’uomo nel tempo dell’insicurezza e dell’indifferenza. Ci prende anche per mano per guidarci nei meandri delle discipline che fanno dell’uomo “il paziente” privato della sua identità; ci riconsegna gli strumenti per tornare ad essere “soggetti” nei percorsi di cura e ci interroga sul “senso”, al contempo affrancandoci da esso, in una ricerca che non può non contemplare la dimensione spirituale della vita. *Mario Soliani, medico, vive e lavora a Reggio Emilia. Ha una formazione in Omeopatia Classica ed è diplomato in Omeopatia e Terapia Omeopatica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bordeaux II (France). Psicoterapeuta junghiano e specialista in Clinica Pediatrica, è membro Fondatore della Federazione Italiana Associazioni e Medici Omeopati. Già
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membro della SocietĂ Italiana di Storia della Medicina, della Liga Medicorum Homeopathica Internationalis e della SocietĂ Italiana di Pediatria. Dal 1979 si occupa di integrazione tra scienza ed umanesimo con training in Psicologia Transpersonale e Meditazione Terapeutica.
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BOLOGNA 150
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€ 15.90 Editore