Il Minotauro Anno XXXIX - Vol. n. 1 - Giugno 2012

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Il Minotauro Problemi e ricerche di psicologia del profondo

ISSN 2037-4216 Editore

Anno XXXIX - n.1 Giugno 2012

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Anno XXXIX – Vol. n. 1

GIUGNO 2012

IL MINOTAURO PROBLEMI E RICERCHE DI PSICOLOGIA DEL PROFONDO

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IL MINOTAURO Rivista fondata in Roma nel 1973 da Francesco Paolo Ranzato

www.rivistailminotauro.it ORGANO UFFICIALE DELLA SCUOLA DI PSICOTERAPIA ANALITICA AIÓN Via Palestro, 6, 40123, Bologna Tel: 348.2683688

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Sommario

Articoli: Nietzsche: finalmente!, Editoriale di Luca Valerio Fabj.........................................4 Dimensione sessuale e dimensione analitica: un accostamento antitetico, paradossale, o ossimorico? di Luca Biasci.............................................................11 La psicologia di Jung come strumento di indagine di alcuni momenti della storia della matematica di Maurizio Renzi...................................................30 L’occidente razionalistico e l’anima rettile: il serpente represso di Diego Pignatelli Spinazzola...............................................................................50 Ricordo del Prof. Renzi di LucaValerioFabj................................................................................................56 La sincronicità nel cambiamento terapeutico di Fabio Barazzutti........................58 Ballare con la morte: anoressia mentale ed estetica nella danza di Alessandro Raggi...............................................................................................91 Vico e Jung: note su un possibile confronto di Massimiliano Scarpelli.....................................................................................101 Recensioni.........................................................................................................120

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NIETZSCHE: FINALMENTE! Editoriale di Luca Valerio Fabj

Quando Nietzsche disse: “Dio è morto”, egli enunciò una verità che vale per la maggior parte dell’Europa. I popoli furono influenzati, non perché egli fece questa constatazione, ma perché si trattava della constatazione di un fatto psicologico universalmente diffuso… Nessuno seppe trarre una conclusione del presagio di Nietzsche. Non suona esso forse simile a quell’antico “Il grande Pan è morto” che constatava la fine della deità della natura? Carl Gustav Jung

Jung e Nietzsche a confronto

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Dopo la “sbornia” mediatica e tutto il rumore che si è fatto intorno alla pubblicazione de Il Libro Rosso di Jung in occasione del cinquantenario della morte del Maestro, Bollati Boringhieri ha pubblicato, in lingua italiana, in modo assolutamente meno pubblicizzato il primo dei due volumi del seminario tenuto da Jung sullo Zarathustra di Nietzsche negli anni che vanno dal 1934 fino al 1939. Fino ad oggi disponibili solo in lingua inglese, essi costituiscono il più vasto “commento” psicologico che sia mai stato fatto allo Zarathustra di Nietzsche e sono di importanza capitale per comprendere non solo la visione di Jung su Nietzsche, ma anche su cosa Nietzsche rappresentava, secondo Jung, per l’inconscio collettivo della psiche dell’Occidente. Di fronte a questo evento editoriale si può dire senza tema di essere smentiti: finalmente! Sì finalmente, perché in Italia del rapporto fra Jung e Nietzsche, nonostante l’importanza fondamentale e fondante del pensiero di Nietzsche nella Psicologia Analitica, difatti, si è parlato sempre pochissimo e direi si parla molto poco anche oggi, per ragioni varie, del tutto improprie, che vanno da quelle emotive a quelle “politiche” che però non intendo esaminare in questo mio articolo di fondo, perché non voglio sollevare né “vespai”, né tanto meno polemiche. Soprattutto perché, nonostante tutti i tentativi fatti di tirare il Filosofo di Röcken per la giacchetta, il pensiero di Nietzsche è e resta un pensiero impolitico1 che non ha mai avuto alcuna concretizzazione pratica, per il suo senso assolutamente aristocratico ed anti-moderno, in nessuno dei sistemi politici della storia contemporanea, dalla sua morte ad oggi.

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Maurizio Ferraris, Nietzsche, Editori Laterza, Bari 1999.

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Quello che, invece, mi interessa fare osservare è come la pubblicazione di questi seminari, costituisce un vero evento che, per l’Italia, va a coprire una inaccettabile lacuna teoretica e letteraria che fino ad oggi si è mantenuta. Nietzsche è stato sempre il grande escluso dai dibattiti e dalle considerazioni della Psicologia Analitica italiana. E ciò costituisce un imperdonabile errore culturale che si spera cominci ad essere emendato con la pubblicazione di questi seminari. Infatti a prescindere dal fatto che Jung stesso scrive nei suoi famosi Ricordi che lo Zarathustra di Nietzsche era la sua problematica personalità numero 2 con la quale ha dovuto interagire in modo in gran parte conflittuale per tutta la vita e che quindi, come dice Carotenuto, «Nietzsche segue Jung come un’Ombra», va rilevato che la filosofia di Nietzsche è uno dei cardini portanti della teoria stessa della Psicologia Analitica ideata da Jung. È proprio Jung che lo dichiara in una sua famosissima intervista pubblicata e filmata rilasciata a Richard I. Evans 2 nel 1957, verso la fine della sua vita professionale ed umana, ove dice: Veda... io avevo studiato Nietzsche. Ne conoscevo bene l’opera. Egli era stato professore all’Università di Basilea, dove l’atmosfera era come impregnata del dibattito sulle sue teorie. Avevo perciò studiato le sue opere, deducendone una psicologia totalmente diversa3, che pur essendo anch’essa una psicologia con tutte le carte in regola, era però fondata sulla pulsione di potenza (Jung, 1957).

E dunque bastano questi pochi fatti storici incontrovertibili per rendersi conto che la Filosofia di Nietzsche sta alla Psicologia Analitica come la meccanica cardiaca sta alla cardiologia. E che occuparsi di Nietzsche non è certo una cosa su cui si possa sorvolare o risolvere con una “alzata di spalle” come fanno alcuni nell’occuparsi dell’impianto teorico della Psicologia Analitica. 2

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Intervista contenuta nel volume: Psicoanalisi o psicologia analitica, a cura di Richard I., Evans. Newton & Compton editori, Roma, edizione italiana del 1974 (prima edizione in lingua inglese: 1964). Da quella di Freud basata sulla sessualità.

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Il punto cardine di Jung nel suo interesse per Nietzsche era dato dal fatto che lo riteneva il primo che aveva avuto il coraggio di guardare nella profondità dell’inconscio che si celava sotto la morale e gli ideali consolidati nella coscienza collettiva. Nietzsche per primo aveva intuito la fine del Cristianesimo e si era apprestato a demolire con il suo “martello” filosofico gli “idoli” del Cristianesimo e della morale Occidentale portando alla luce le pulsioni che sotto di essi si nascondevano mascherate. Jung vedeva anche in Nietzsche il realizzarsi in un uomo delle problematiche psicologiche date dallo Spirito dei tempi: Nietzsche era il prototipo dell’uomo faustiano moderno, «faustiano quant’altri mai» dirà Jung nei suoi lavori su Paracelso4(1942). In altri termini Jung era interessato a cosa le “parole” dello Zarathustra dicevano all’inconscio dell’uomo moderno in quanto incarnazioni di immagini archetipiche. Il Simbolo che Nietzsche stesso rappresentava con le sue opere e con la sua vita era lo spirito del tempo moderno, un’epoca nella quale l’uomo vive rimesso a se stesso per la fine di ogni valore spirituale supremo. La “morte di Dio” annunciata dal folle al mercato ne La gaia scienza di Nietzsche è per Jung un fatto psicologico universale della modernità: Quando Nietzsche disse: “Dio è morto”, egli enunciò una verità che vale per la maggior parte dell’Europa. I popoli furono influenzati, non perché egli fece questa constatazione, ma perché si trattava della constatazione di un fatto psicologico universalmente diffuso. Le conseguenze infatti comparvero prontamente: l’ottenebramento e l’annebbiamento da-ismi, e la catastrofe. Nessuno seppe trarre una conclusione del presagio di Nietzsche. Non suona esso forse simile a quell’antico “Il grande Pan è morto” che constatava la fine della deità della natura? (Jung, 1938/405).

Nietzsche annuncia al mondo e vive in se stesso tramite la sua follia, la catastrofe che segue alla fine dei reali valori religiosi che per Jung non sono eliminabili dalla psiche dell’Uomo senza provocare in esso i più gravi disastri: primo fra tutti l’inflazione psichica della megalomania paranoica. Volere “Dio sotto di sé” e sostituirsi ad esso è per Jung il grave problema psichico della modernità con conseguente perdita della salute mentale e ogni tipo di catastrofe fisica o psichica ad opera della presunzione umana: La hybris umana elegge l’Io nella sua più ridicola meschinità a signore dell’universo. Questo è il caso di Nietzsche, un misconosciuto segno precursore di tutta un’epoca. Il singolo Io umano è troppo minuscolo e il suo cervello troppo impotente per potersi incorporare senza rimanenze tutte queste proiezioni dopo averle ritirate dal mondo. “Io” e “cervello” ne vanno in 4 5

C. G. Jung, Paracelso come fenomeno spirituale (1942). Volume XIII delle Opere. C. G. Jung, Psicologia e religione (1938/40). Volume XI delle Opere.

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frantumi (ciò che lo psichiatra designa con il termine schizofrenia) (Jung, Ibidem).

Tuttavia, per Jung nonostante la posizione assunta da Nietzsche egli e il suo Zarathustra sono carichi di religiosità e questa si ritorce contro Nietzsche poiché svelando ciò che si cela dietro i simboli benefici del religioso cristiano, appaiono gli aspetti tremendi che il religioso ha anche dentro di sé. Cristo è simbolo del Dio che muore, se vi si toglie l’aspetto che sopra vi ha costruito la Chiesa, ne appare quello primitivo, arcaico, feroce che Jung identifica nel Dio germanico Wotan e nel suo culto che «fu onorato, fin dall’inizio della sua resurrezione con cruenti sacrifici di pecore» (Jung, 1936:6 Wotan). Nietzsche lo identifica con Dioniso perché per Jung esiste una «primigenia parentela di Wotan con le figure di Cristo e Dioniso» (Wotan, Ibidem) data proprio da essere tutti creatori, negatori e dei morti e risorti. Quindi Nietzsche, a causa della sua religiosità, sarebbe per Jung rimasto travolto dal Cristo negato che gli ritorna addosso come l’acqua di un fiume in piena a cui è stato impedito il suo normale defluire verso valle e questa è la causa della sua follia e delle follie di massa dei tempi moderni: È esattamente come un sistema di canalizzazione che in quel punto si è ostruito: l’acqua straripa sui campi e quando prima era terra asciutta diventa palude. Ancor più Zarathustra è una figura religiosa e il libro è pieno di problemi religiosi. È come se tutta la risacca del mondo cristiano stesse refluendo, Nietzsche è inondato da tutto quel materiale che non trova più posto nella chiesa o nel sistema simbolico cristiano (Jung, 1934-19397).

Sin qui Jung, e il suo seminario. Non è certo possibile spiegare oltre, nel poco spazio di un editoriale, i rapporti fra Jung e Nietzsche, rapporti molto intimi, secondo le asserzioni dello stesso Jung anche nel senso di quelli che erano i problemi psicologici dello stesso Jung8 (Jung, 1961). Quello che conta rilevare qui è che i rapporti fra Jung e Nietzsche sono stati fondamentali e vale assolutamente la pena di approfondirli. Tuttavia, ci sono alcune precisazioni che vanno assolutamente fatte. La prima è che la follia di Nietzsche ha cause unicamente organiche come dimostrato dalla presenza di certificati medici dell’epoca che attestano la sua sifilide. Per cui Nietzsche era affetto da paralisi progressiva dovuta alla localizzazione luetica cerebrale e non da schizofrenia. Per cui, per quanto suggestiva, la tesi di Jung di vedere in Nietzsche una follia da cause psicogene non regge alla prova dei fatti storici. La realtà è che Jung stesso asserisce che lo Zarathustra di Nietzsche era la sua personalità n. 2 e che esso era morboso. Per cui ciò di cui Jung parla è la 6 7 8

C. G. Jung,Wotan (1936). Volume X, tomo I delle Opere. C. G. Jung, Lo Zarathustra di Nietzsche (1934-1939). Bollati Boringhieri, Torino 2011. C. G. Jung, Ricordi, Sogni e Riflessioni (1961). Edizioni BUR, Rizzoli, Milano 1992.

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proiezione della sua patologia, delle sue difficoltà che ha avuto tutta la vita con la religiosità e con il Cristianesimo. È la descrizione dei tormenti interiori di Jung ciò che si trova in questo seminario e non di quelli di Nietzsche che non era sicuramente religioso, come asserisce Jung, e neppure religioso inconsapevole come Jung vorrebbe. La seconda precisazione da farsi, infatti è che Nietzsche nel definirsi “dionisiaco” parlava di una sua “religiosità” del tutto particolare. La sua era una “religiosità” immanente che “transvalutava” ogni forma di religiosità conosciuta nel mondo moderno dopo l’avvento del Cristianesimo. La sua era una spiritualità simile a quella che il paganesimo dei misteri aveva vissuto: una religione senza un Dio Persona, ma che vedeva nei fenomeni naturali una manifestazione unica con il divino. Con Nietzsche e il suo pensiero, questo paganesimo incominciava a risorgere in Occidente. Oggi si vedono barlumi neopagani ovunque, e se essi siano un avviamento al caos o un ritorno della antica religione che ha preceduto il Cristianesimo nessuno può asserirlo, neppure Jung. Non esiste nessun parametro oggettivo che può farci dire che il simbolo del Cristo sia un simbolo superiore a quello di Dioniso, se non pregiudizi morali che non sono criteri di osservazione corretta, né storici, né psicologici. Né tanto meno si può dire che la pietas religiosa pagana volesse sostituire l’uomo al divino; anzi la hybris era il peggiore degli atti umani. Jung ha combattuto tutta la vita contro queste due tendenze interiori dentro di lui verso Dioniso o verso Cristo e questa situazione psichica lacerante è ciò che caratterizza anche la spiritualità della psiche occidentale moderna che vive in un’epoca di transizione verso un qualcosa di ignoto che non necessariamente per questo, deve essere visto come “oscuro”. Nietzsche ne è stato l’annunciatore e il profeta, non la causa. La causa di ciò è archetipica ed è più che evidente, se non si è ciechi, che il Cristianesimo nella forma in cui lo conosciamo è un fenomeno spirituale pressoché agonizzante, cosa che terrorizzava Jung come uomo del suo tempo, ma che non può fare paura, come fatto in sé, ad un uomo di oggi, che questa fine l’ha già ampiamente vista oltre che negli aspetti cultuali, anche in quelli morali e sociali. Oggi si osservano solo vestigia del Cristianesimo come lo hanno conosciuto gli uomini del tempo di Nietzsche. Da ciò si giungerà al Dionisismo, al neo paganesimo, oppure si tornerà ad un Cristianesimo originario reso più forte proprio dalla crisi che ha attraversato? Ovviamente non è possibile dirlo, ma quello che è certo è che tutto in questi ultimi tempi cambia molto rapidamente e difficilmente si può dire che cambi in “meglio”, perché la vita dell’uomo è assolutamente lontana dallo Spirito e non perché questo Spirito non è cristiano. È proprio l’ateismo e solo l’ateismo che porta alla sostituzione dell’Io a Dio, a far sì che l’uomo si creda Dio. Ed è sempre l’ateismo, e non il culto di Wotan, o qualsiasi altro culto, che porta a sacrificare sull’altare del profitto e del potere il sangue dei bambini, degli

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innocenti e dei deboli. E, infine, è sempre l’ateismo materialista, e non una religiosità diversa da quella cristiana, che porta alla nevrosi moderna della mancanza di scopo e significato della vita: “La Morte di Dio” non è la fine di Gesù a favore del Dio di un’altra cultura, essa è la fine di ogni dio e di ogni valore trascendente. E la follia che ne è seguita e che ne sta ancora seguendo non è l’arrivo psichico di un altro “Dio”, ma è la semplice quanto odiosa conseguenza di quella insipida, banale regressione psichica che è la visione materialista del mondo, della vita e dell’uomo. Detto questo, che ovviamente è solo una mia personalissima opinione (che come tutte le opinioni lascia il tempo che trova) i seminari di Jung su Nietzsche sono di importanza fondamentale per venire in contatto con le questioni appena accennate in questo mio editoriale e per poterle approfondire. Così come lo è leggersi e leggersi bene il Così parlò Zarathustra di Nietzsche. In ogni caso comunque la si pensi sul Cristianesimo e sulla religione, credo che sarebbe di “buon gusto” non insistere troppo sulla “religiosità” di Nietzsche perché essa non saprei proprio sino a che punto possa veramente vedersi nella sua filosofia e nella sua persona. E se non lo si vuole fare per motivi concettuali, lo si faccia almeno per rispettare le volontà ultime di Nietzsche stesso: «Ho solo un grande timore: che un giorno possano farmi santo!».9 Luca Valerio Fabj

Mi scuso con i lettori, ma per motivi personali e professionali inderogabili, la seconda parte del mio articolo “Un metodo molto pericoloso: la coniunctio sessuale alchemica trasformativa” sarà pubblicato nel numero di Dicembre del Minotauro.

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Nietzsche W. F., Frammenti postumi.

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LA PSICOLOGIA DI JUNG COME STRUMENTO DI INDAGINE DI ALCUNI MOMENTI DELLA STORIA DELLA MATEMATICA Maurizio Renzi Introduzione La psicanalisi junghiana poggia, a differenza della psicanalisi freudiana, sul concetto di archetipo. L’archetipo7 è un’impronta antica, sedimentata e attiva nella psiche inconscia. Gli archetipi sono dunque impressori della psiche che, se attivati, tendono a descrivere i comportamenti e le capacità inconsce, che si manifestano nei sogni, nell’arte, nel folclore, ecc. Tale descrizione avviene con la produzione di simboli, che sono attivi (a livello inconscio) in ogni individuo. Erich Neumann,8 ha dato un enorme contributo alla teoria degli archetipi ampliando il progetto, introdotto da Freud e da Jung, dell’analisi della psiche inconscia di un individuo. Nel suo libro sullo sviluppo della coscienza occidentale9, Neumann ha descritto come gli archetipi siano di fatto attivi anche a livello collettivo e in che modo sono capaci di attivarsi nel corso della storia umana, ripetendo gli stessi identici motivi. Tali motivi, detti motivi archetipici, descrivono le dinamiche con cui si muovono nel corso della storia, popoli, razze, etnie. Lo studio dei motivi archetipici, così come viene affrontato da Neumann, applicato allo studio della storia dello sviluppo della coscienza, ha permesso di individuare paradigmi inconsci del tutto analoghi a quelli che si rintracciano nella psiche inconscia dell’uomo moderno, che forniscono una sorta di cornice in cui è possibile inquadrare gli sviluppi storici che si vogliono studiare. Con questa visione, la dimensione ontogenetica della psiche umana viene arricchita dalla visione filogenetica e, viceversa, lo studio delle dinamiche collettive viene rivisitato alla luce del vissuto personale. Carl Alfred Meier,10 ha sintetizzato le due visioni dell’archetipo come impressore psichico che agisce, sia sulla psiche del singolo, che sulla collettività, introducendo il concetto di Archetipo Ordinatore, come archetipo che tende a stabilire, quando viene attivato, l’equilibrio e la simmetria di cui la psiche 7 8

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La parola archetipo deriva da: arché (antico) typos (impronta). Erich Neumann (1905-1960). E. Neumann, Storia delle origini della coscienza, Astrolabio, Roma 1978. Carl Alfred Meier (1905-1995).

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L’OCCIDENTE RAZIONALISTICO E L’ANIMA RETTILE: IL SERPENTE REPRESSO Diego Pignatelli Spinazzola In una società, in una cultura dove domina un razio-centrismo ed un monoteismo della coscienza, una funzione ha avuto il prevalere sull’altra. Il cervello rettile espulso da direttive asservite alla funzione differenziata, monocentrica, l’uniconsenso direzionale guidato dalla comune ratio, ha finito per espellere quella funzione non-differenziata che si rivela nell’esplosione del cervello rettile, nell’incapacità di contenere la ratio, che avviene in quelle epidemie psicotiche e nei fenomeni psicotici stessi. Ma in una cultura dell’Unodio prevalente, ci si è accorti, in certi ambiti, psicoanalitici di indagine del profondo, di aver espugnato quella coscienza rettile, di aver espugnato quella componente e dominante dinamico-emotiva (Neumann 1949), in una struttura razio-centrica che non riconosce più la sua affinità con gli dèi, estesosi ormai nel vero “nucleo” centrale della psicopatologia. Forse ci si è accorti di una società post-moderna che non essendo incline ad accettare il dionisiaco, ha represso le sue dominanti e con esso la funzione inferiore: l’altro polo dell’equilibrio psichico. Il succinto equilibrio è la congiunzione di due poli in estensione verticale in due assi. Il punto mediano è il ponte che tiene intatto ed a volte funge da stesso ripristino della funzione inferiore e degli istinti inferiori, “ricongiungendo” il regno dei vivi con il regno oltremondano dei morti. Se ciò non avviene i morti,nella parte sub-psichica (subconscia) chiedono espiazione ed inondano la funzione primaria e la coscienza. È così che si entra nel regno delle “patologie” cliniche. Quando le due funzioni ottengono equilibrio, sono come il caduceo della guarigione di Asklepio, dio della medicina, con due serpenti opposti, le due funzioni che si integrano. Certi fenomeni di abbaissment du niveau sono il prevalere di una funzione inferiore, istintuale che tende ad attivare il cervello rettile, la coscienza crepuscolare propria dei primitivi (Neumann 1949). Quando il livello di energia si abbassa avviene uno stato di deflazione psichica (Neumann 1949) e di apatia, mancanza di interesse. Ma a questo fenomeno di gravitazione psichica descritta ampliamente dallo junghiano Erich Neumann, sopraggiunge un attivarsi di autentiche forze primordiali, transpersonali e creative che spingono la funzione non-differenziata al servizio di quella differenziata. È un livello sovraordinato, un tertium che non è dato alla coscienza, (tertium non datur) e che nella sopraggiunta capacità di sintesi, tende a direzionare verso un livello sovra-ordinato, “sovrapersonale” un miracolo della

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Ricordo del Prof. Renzi È con molta tristezza che ci troviamo costretti ad annunciare la prematura scomparsa, proprio durante la stesura dell’attuale numero del Minotauro, di uno dei suoi più preziosi e storici Collaboratori: il Professor Maurizio Renzi. Il Professor Renzi ha collaborato al buon andamento di questa testata con una vastissima serie di articoli che storicamente si sono susseguiti nel tempo per diversi decenni della storia del Minotauro. Vogliamo ricordarne alcuni fra i più recenti 43 Anno XXXVII - Vol. n. 2 - Dicembre 2010 Jung e la psicologia dello sviluppo Anno XXXV - Vol. n. 1 - Giugno 2008 Maurizio Renzi (Roma) – Il Vangelo di Giuda - p. 20 Anno XXXIV - Vol. n. 2 - Dicembre 2007 Maurizio Renzi (Roma) – Riti di iniziazione e psicologia analitica - p. 32 Anno XXXIV - Vol. n. 1 - Giugno 2007 Maurizio Renzi (Roma) Complessi psicologici - p. 3 Anno XXXII - Vol. n. 1 - Giugno 2005 Maurizio Renzi (Zagarolo) – I Ching e la Psicanalisi junghiana - p. 21 Anno XXX - Vol. n. 2 - Dicembre 2003 Maurizio Renzi (Roma) – Psicologia e Magia - p. 24 Anno XXVIII - Vol. n. 1 - Maggio 2001 Maurizio Renzi (Roma) – Il processo di individuazione nella psicologia di Bernhard (seconda parte) - p. 41 Anno XXVII - Vol. n. 1 - Maggio 2000 Maurizio Renzi (Roma) – Analisi psicologica del Libro Tibetano dei Morti - p. 13 Anno XXVI - Vol. n. 1 - Maggio 1999 Maurizio Renzi (Roma) – Il processo di individuazione nella psicologia di Bernhard - p. 17 Anno XXV - Vol. n. 1 - Maggio 1998 Maurizio Renzi (Roma) – La Teoria di E. Neumann sulle comunità d'individui - p. 8 43

Si ringrazia il dott. Fabio Barazzutti per aver puntualmente steso questo elenco.

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Anno XXIII - Vol. n. 1 - Maggio 1996 Maurizio Renzi (Roma) – L’archetipo della Persona - p. 23 Fra le altre: Il carteggio Pauli-Jung, autori: Carl Gustav Jung, Irene Ranzato, Carl Alfred Meier, Wolfgang Pauli. Supervisione a cura di Maurizio Renzi, Edizioni Il Minotauro, 1999 - 159 pagine. Il Professor Renzi era Professore di Matematica ed ha insegnato all’Università e come altri illustri fisici e matematici ha avuto una grande passione ed interesse per la psicologia analitica e per i lavori di Jung che, infatti, ricercavano la possibilità di giungere ad una “fisica dell’anima”. Ci eravamo sentiti recentissimamente proprio su questo fatto e si voleva cercare di farvi uno studio assieme, poiché, Egli aveva già curato il Carteggio Pauli-Jung. Questo numero del Minotauro pubblica il suo ultimo articolo su Jung e la Matematica. È un articolo molto bello che prediamo a testimonianza del Suo lavoro di studioso e lo diamo alle stampe, perché resti: non vi è una gloria maggiore di lasciare scritto dopo di sé il proprio pensiero e la propria cultura. Io come persona e Direttore della Rivista e la Redazione tutta non possiamo che stringerci in un affettuoso abbraccio alla Famiglia del Renzi sperando di fare cosa gradita con questo nostro ricordo. È tristissimo quando qualcuno che ci è caro scompare e, se quel colui che è scomparso era persona di merito, il vuoto che lascia produce quel forte senso di desolazione che solo il deserto della mancanza può dare. Ma chi è studioso e seguace di Jung, soprattutto se scienziato, sa che l’esistenza e l’essere non si riduce alla mera materia e alle sue inviolabili quanto crudeli leggi, ed è ben consapevole che la morte non è la fine di ogni cosa, ma è una porta che si apre su infinite ed ignote possibilità. Maurizio, che aveva scritto sugli aspetti psicologici del Libro Tibetano dei Morti non ha finito il suo esistere, ma ha solo iniziato il suo viaggio notturno in un mare che lo porterà in luoghi che noi non possiamo conoscere, ancora vincolati come siamo ad un corpo che ci limita profondamente nella conoscenza di quei luoghi “altri”. Per cui sebbene nella tristezza di una perdita possiamo serenamente e consapevolmente dire al Professor Renzi, non “addio”, ma “arrivederci” perché è certo che chi viene dallo Spirito e nella sua vita studia e ricerca lo Spirito, in quello stesso Spirito un giorno tornerà ad incontrarsi. Luca Valerio Fabj

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LA SINCRONICITÀ NEL CAMBIAMENTO TERAPEUTICO Fabio Barazzutti Introduzione Jung (1951) descrive e teorizza formalmente il concetto di sincronicità in riferimento a quelle coincidenze in cui, ad esempio, un sogno o un pensiero di una persona si connettono a un evento che ha luogo nel mondo esterno; in questo tipo di coincidenze si esclude che uno dei due eventi abbia causato l’altro. Le connessioni sembrano particolarmente significative a chi ne fa esperienza, e il soggetto quindi è portato a chiedersi se vi sia coinvolto qualcosa in più del puro caso (Fordham, 1957; Frey-Wehrlin, 1976; von Franz, 1975; Wharton, 1986). Sebbene Jung fosse psichiatra e psicoterapeuta, non espose il suo pensiero su tali esperienze nei termini di ampie osservazioni e riflessioni cliniche. La sua pratica clinica costituisce il solo, e sicuramente il più importante, contesto di investigazione in questo settore. Fondamentali nella sua teorizzazione sulla sincronicità sono gli interessi che egli nutriva nel campo delle esperienze paranormali e dello spiritismo, della filosofia, dell’astrologia, dell’I Ching, e della ricerca psichica e la parapsicologica, della fisica, della storia delle religioni e dell’esoterismo (Main, 2004). Analogamente, gli obiettivi principali che egli si poneva nello sviluppare il concetto di sincronicità non erano principalmente di natura clinica; essi andavano molto oltre la codifica di una terapia individuale: con la sua critica, l’autore portava una vera e propria sfida al razionalismo scientifico al fine di ricondurre la scienza alla psiche e allo spirito, e così promuovere una risacralizzazione del mondo moderno; il suo fine ultimo era prevenire una catastrofe sociale e politica come quella che si era verificata in Europa nel corso degli anni Trenta e Quaranta e che Jung riteneva fosse la conseguenza della eccessiva razionalizzazione e secolarizzazione della cultura moderna (Main, 2004). Sicuramente, le esplorazioni che Jung compie sulla sincronicità, anche le più esoteriche, erano funzionali alla comprensione della struttura, della dinamica e dei contenuti della psiche inconscia e, quindi, erano tutte pertinenti alla sua pratica clinica. Allo stesso modo, i suoi tentativi di erigere una teoria coerente della sincronicità possono essere visti nell’ottica di una critica della moderna cultura occidentale che implicava un tentativo di guarire le persone influenzate negativamente da tale cultura. Ma resta il fatto che la dimensione clinica e l’importanza del lavoro di Jung sulla sincronicità hanno ricevuto meno attenzione di quanta ne meritino. La presente trattazione ha lo scopo di dare maggiore attenzione appunto alla dimensione clinica del concetto:

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BALLARE CON LA MORTE: ANORESSIA MENTALE ED ESTETICA NELLA DANZA Alessandro Raggi*

«Io crederei solo a un Dio che sapesse danzare». Nietzsche Ballare con la morte È cronaca recente il licenziamento dalla Scala di Milano della ballerina Mariafrancesca Garritano, dopo un’intervista all’“Observer” in cui ha raccontato che «una danzatrice della Scala su cinque soffre di disturbi alimentari». L’intervista era seguita alla pubblicazione del suo libro: La verità vi prego sulla danza! Nel libro, l’étoile ha messo in luce aspetti patologici del modo di fare danza presente in molte realtà, che porta troppo spesso i danzatori e le ballerine a disordini del comportamento alimentare molto seri. Ciò che i dirigenti del Teatro milanese non hanno saputo cogliere è che il libro di Mariafrancesca Garritano, in arte Mary Garrett, è invece proprio un’appassionata difesa della danza. L’amore di Mary Garrett per la danza trasuda da tutta la sua biografia e da ogni pagina del libro, nel quale risalta il suo disperato appello per una danza che escluda la possibilità della malattia e del dolore. Mary Garrett ha chiesto al mondo della danza di rendere consapevole l’Ombra mortifera che rincorre la ballerina nei suoi movimenti e che la inchioda. Un invito d’amore e di libertà. Tamara Rojo, prima ballerina del Royal Ballet di Londra e nuovo direttore artistico dell’English National Ballet, ha ammesso,11 ancor più recentemente, che il dramma dei disturbi alimentari rispecchia la realtà dolorosa di molti ballerini e dichiara di voler sradicare l’anoressia dal balletto. I nostri dirigenti scaligeri, invece, anziché soffermarsi sull’opportunità offerta da Mary Garrett per un rilancio della danza, hanno reagito con sorprendente chiusura e arroccamento difensivo. Dopo aver licenziato la ballerina “traditrice”, si sono affannati, ingaggiando moralmente anche qualche altra étoile italiana come megafono, per ostinarsi a negare una realtà che è invece nota e comprovata 11

“The Sunday Times”, 12/04/2012.

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Fig. 1: Tersicore di Antonio Canova, 1811, marmo di Carrara, Museo del la Fonda zione Magnani Rocca, Traversetolo (Parma).

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Fig. 2: Doriforo di Policleto, copia in marmo di epoca romana, dall’originale in bronzo del 440 a.C., Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

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VICO E JUNG: NOTE SU UN POSSIBILE CONFRONTO Massimiliano Scarpelli Il confronto tra psicoanalisi e filosofia appare spesso arduo e pieno di insidie. Rintracciare le fonti di una moderna pratica di cura appare tuttavia più che mero esercizio di erudizione; ciò che costituisce una pratica, cosiddetta clinica, deve poggiare su una salda teoria della tecnica la quale inevitabilmente presuppone una visione del mondo. Freud nel 1895 con il Progetto di una psicologia scientifica si rende conto dell’impossibilità di fondare un sapere psicologico sull’evidenza anatomica; e così diventa psicologo. La psiche osservata e spiegata con parole, o meglio metafore, che alludevano a fenomeni psichici. Freud tuttavia tenta di elaborare leggi che possano essere generali e che rendano conto del funzionamento oggettivo dei fenomeni psichici. L’ideale delle scienze naturali è perseguito con l’uso di un linguaggio mutuato dalla fisica e che allude a processi quantitativi ed energetici. Certo che alla base della teoria vi è, come la critica antropo-analitica ha messo in evidenza, una concezione dell’homo natura ipoteticamente avulso dal suo originario rapporto con il mondo. Ma a ben vedere Freud istituisce una cura che rimanda al racconto di sé, la talking cure come la battezzò una sua celebre paziente. Questo, nei fatti, sposta inevitabilmente l’asse epistemico della cura che diviene prima di tutto possibile nell’orizzonte dischiuso da un incontro. L’incontro con l’altro e l’apertura al racconto; in questo senso è condivisibile l’opinione di Galimberti che nel Trattato di psicologia analitica afferma: Freud traccia una regione di forze che si esprime nei termini delle scienze esatte [...] e quindi in termini fisici, i più idonei per la descrizione di un’energia… Tutte le accuse rivolte a Freud di essere debitore, nel meccanicismo, al positivismo ottocentesco sono superficiali e infondate; il tentativo di purificare il linguaggio psicoanalitico da quest’eredità dell’epoca è patetico perché non conosciamo, quando in gioco sono forze ed energie, linguaggio migliore per descriverle di quello messo a disposizione dalla fisica. Neppure le obiezioni della fenomenologia che con Binswanger denuncia l’impossibilità di considerare l’uomo come si considerano gli altri enti di natura ci persuadono, perché Freud fa iniziare lo psichico non dagli istinti, che non conosciamo, ma dalla rappresentazione degli istinti che conosciamo poiché in quanto rappresentazione divengono fenomeni psichici (il corsivo è mio). Freud sa che inconscio è un

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RECE NSIONI

ANTONIO GRASSI*

Psicologia Analitica ad orientamento comunicativo Discorso su teoria e metodo clinico Persiani Editore, Bologna 2012 ISBN: 978-88-96013-50-2 Pp: 500

€ 29,90

Il dibattito attuale sulla scientificità delle psicoterapie del profondo rivela come, una volta scardinati gli originari assiomi freudiani, si sia verificato l’avvento di una miriade di posizioni alternative che creano, in chi le osserva, uno stato di smarrimento e di confusione. Il risultato è che gli analisti in formazione, e gli stessi terapeuti già accreditati, nel loro lavoro spesso sono costretti ad una “navigazione a vista”. Ciascuna declinazione teorica si prefigge un suo approdo e utilizza particolari mezzi tecnici: associazioni libere, analisi dei sogni, regole del setting, interpretazione, gioco della sabbia, immaginazione attiva e così via. Ne scaturiscono visioni parcellizzate della mente, come, ad esempio, la bestia pulsionale di Freud, gli oggetti sé di Kohut, la psicologia delle relazioni oggettuali, la teoria dell’attaccamento, con la conseguente definizione di obiettivi che rischiano di essere piuttosto parziali rispetto alla vastità e alla complessità dell’universo psichico. È necessaria, secondo l’autore, l’elaborazione di una prospettiva teorica unitaria, globale ed integrata, e, quindi, l’individuazione di un preciso metodo clinico, che definisca sia criteri di organizzazione dell’ordine sequenziale nell’uso degli strumenti tecnici prima accennati, sia precise chiavi di lettura dei messaggi in codice che emergono dall’inconscio profondo. In questo modo, nel comune viaggio interiore, terapeuta e paziente possono meglio orientarsi per il raggiungimento delle tappe intermedie e dell’approdo finale del

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loro tragitto. L’autore, motivato dall’esigenza di una sintesi tra le diverse declinazioni teoriche delle psicologie del profondo e dalla conseguente necessità di un metodo clinico unitario, compie dapprima una esplorazione trasversale delle differenti principali teorie psicodinamiche: la psicoanalisi di Freud, la psicologia analitica di C. G. Jung, la psicoanalisi di W. Bion, la psicoterapia comunicativa di R. Langs. Ne coglie poi gli elementi di base che le accomunano e indica un loro radicamento metapsicologico nelle più recenti scoperte delle neuroscienze, inserendosi, così, nella corrente di pensiero che tende ad un accreditamento scientifico, epistemologicamente valido, della psicologia dinamica. La psiche egoica e la psiche oggettiva, ciascuna con un suo specifico versante conscio ed inconscio, due differenti organizzazioni funzionali della mente già descritte in precedenti pubblicazioni dell’autore, sono in questo volume ulteriormente e più finemente delineate alla luce delle ulteriori conferme che il suo nuovo modello della mente ha ricevuto dalle più recenti scoperte della neuropsicologia split-brain (Gazzaniga, 2009-2010). Basti citare come esempi quelle sulla disinvoltura morale di strategie comportamentali elaborate unilateralmente dall’emisfero sinistro e sulle funzioni etiche e sociali processate invece dall’emisfero destro. Propone, di conseguenza, un modello strutturale della mente la cui impalcatura si regge su principi di ispirazione, sì, junghiana, ma ulteriormente arricchiti e sviluppati dagli orizzonti e dalle prospettive delle correnti di pensiero e di ricerca citati. Contestualizza tale modello in una cornice teorica che definisce “Psicologia analitica ad Orientamento Comunicativo”. Indica, di conseguenza, un metodo clinico unitario per il processo psicoterapeutico, che descrive in modo articolato tramite protocolli di supervisione analitica su numerosi casi clinici di allievi in formazione e/o di colleghi in consultazione. Contribuisce così ad aprire le pieghe nascoste dell’anima umana anche a un più vasto pubblico, non limitato ai soli esperti del settore. L’autore tratta anche il rapporto tra psicoterapia analitica e religione, attraverso un’analisi comparativa delle riflessioni di Jung, Bion e Langs su tale argomento. Presenta entrambe le dimensioni, da un lato nelle loro specifiche peculiarità di significato e dall’altro lato nelle loro intime interconnessioni, in una complementarietà di funzioni che gli appare indispensabile per lo sviluppo della personalità umana. * Il dott. Antonio Grassi è specialista in psichiatria e psicologo analista. È inoltre Presidente e Didatta del Laboratorio Italiano di Ricerche in Psicologia Analitica (LIRPA), riconosciuto dall’International Association of Analytical Psychology (IAAP) come nuova Associazione Junghiana in Italia.

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BEATRICE BALSAMO*

La sorella che salva Ri-volgersi alla parola, al desiderio, all’amore Effatà Editrice, Torino 2012 ISBN: 978-88-7402-753-8 Pp: 304

€ 16,00

Recensione di Luca Valerio Fabj Quello che caratterizza la nostra epoca è la spinta ad ottenere sempre “di più” di felicità, di benessere, di soddisfazione, di godimento. J. Lacan aveva individuato, già nel 1971 – Seminario XVIII – questa spinta al sempre più di soddisfazione come la caratteristica del Super-Io contemporaneo. Un Super-Io diverso da quello su cui aveva posto l’accento Freud, quale istanza di proibizione e interdizione, che obbligava in senso privativo-limitativo (in se stessi), rappresentazione dell’autorità del padre. Quello di oggi non è più nulla di paterno, è qualcosa che spinge ad ottenere sempre di più di soddisfazione, secondo l’imperativo: «Godi! Soddisfati!». Il venir meno della funzione paterna determina, così, un Super-Io avido, Sadiano (che esige l’estirpazione della particolarità, per un godimento Uno senza l’Altro), che spinge a realizzare la disintegrazione del soggetto, monade individualista, vuota, triste, regredita. Ma l’imperativo «godi» fa equivoco con «odi» (ascolta!). Questo imperativo pervade il nostro rapporto con il linguaggio, si infiltra nell’universo della comunicazione, dei discorsi, delle parole. Ciò significa che siamo nell’epoca in cui tutto ciò che si ode, si comunica, deve soddisfare, generare godimento nella ripetizione dello Stesso, perdendo la sua funzione dialettica, se ne fa un uso diverso da ciò che pertiene al simbolico. La mancanza di limitazioni è nel nostro modo di essere nel discorso, di recepire il discorso dell’Altro (attraverso l’uso dell’equivoco e della menzogna), anche in noi stessi si infiltra qualcosa (il Super-Io avido) che altera il simbolico, altera il limite e il potere che può avere la parola (così manomessa, svalorizzata) per limitare “il più” di godimento (l’illimite). Gli stili di vita che erano organizzati

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sul piano simbolico, sulla funzione paterna si spostano sul «Godi! Soddisfati!». Tutto è sotto questo segno: le relazioni, i rapporti con gli ideali, i vincoli familiari, la relazione tra i sessi, tutto è spinto verso un più di soddisfazione, senza limite. Il discorso fatica a tenere un esercizio di limite. È opinione di Lacan che tale imperativo superegoico sia un appello alla non-castrazione, una chiamata ad andare oltre, sempre oltre (come oltraggio al linguaggio). E l’appello alla noncastrazione rimanda al vortice indifferenziato, mortifero della Cosa, al tutto saturo dell’impulso immediato, al rifiuto di ogni Legge. Nell’attuale contesto, di un “mondo senza limiti”, del sempre più di godimento, dello smarrimento della facoltà simbolica, che attribuisce senso alla parola, al pensiero, alla decisione, si afferma una desoggettivazione, nel potere delle “reti”, dei mercati, del denaro, il perdersi dell’umano, del proprio poter essere “con gli altri”, “per” l’Altro. Da queste premesse il volume di Beatrice Balsamo pone in questione la figura eroica di Antigone, la sorella che salva l’umano, con il coraggio del suo gesto e il dono del Nome, «suprema misura della sovrabbondante potenza di Amore» e rappresenta per l’autrice la parola in-audita, non più udita che si oppone, nell’oggi, al regime discorsivo compiacente, semplificato (un pensiero concretistico-olofrastico, che porta a rovesciamenti di senso), di una ammiccante banalità, segnale di una involuzione autoritaria in corso (come già ci aveva illuminato G. Orwell nel suo straordinario 1984 del 1948, v. la “neolingua”). 21 La sorella che salva non rappresenta la parola pulsiva del «Godi! Soddisfati!» (usa e abusa a piacimento! menti! manipola! ruba! sfrutta!), ma quella che mostra l’Invalutabile, che si sottrae alla compiacenza, al tornaconto, al più di prestigio sociale, per coltivare i margini (Antigone viene relegata al margine della città), l’Altissima povertà… E ripensare oggi l’intrascendibile della parola (Antigone), significa porsi nell’orizzonte della sopravvivenza dell’umano. *La dott.ssa Beatrice Bal samo presiede l’Associazione di promozione sociale “Psicologia Umanistica e delle Narrazioni. Psicoanalisi. Arte. Scienze Umane” (A.P.U.N.).

21

P. A. Rovatti, Noi i barbari, Raffaello Cortina, Milano 2011, pp. 175-177: «La neolingua immaginata da Orwell (1984, Appendice) da una parte impediva di pensare, dall’altra imponeva a tutti una sorta di pensiero unico veicolato da una stenografia tecnicistica della parola, senza oscillazioni di senso da cui era stata tolta ogni possibilità di giudizio personale e che, di conseguenza, mirava a una sempre maggiore contrazione dei vocaboli».

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CATERINA RINALDI

La Spada di Adelaide Persiani Editore, Bologna 2012 ISBN: 978-88-96013-42-7 Pp: 250

€ 14,90

Recensione di Francisco Javier Fiz Pérez

Siamo davanti a una storia travolgente, dove sono presenti tutti gli elementi di una narrativa dominata da un’irrompente fantasia. Dalla casa costruita sull’albero, alle magie, ai draghi che, in modo affettuoso, accompagnano i protagonisti nel lungo percorso di allenamento, fino alla conquista finale. Ogni capitolo riserva un crescendo di sorprese e curiosità, soprattutto per l’apparire di fantastici personaggi: dai genitori della protagonista che mostrano capacità non certo comuni, a Jenna, la compagna di scuola, a Marik, Molli, Frey e tanti altri amici che, lungo tutto il racconto, daranno degli importanti contributi alla descrizione dell’ambiente che l’autrice, Caterina Rinaldi, ha voluto creare. Il lettore rimane talmente coinvolto dal racconto, da immaginare il succedersi della storia di Snorry in un secondo, appassionante volume. La chiusura di questa prima avventura presenta dei toni così emozionanti da lasciare intravedere che, al di là della penna, c’è un’anima sensibile, con dei valori semplici e profondi. Un’opera certamente consigliata ai bambini e ai ragazzi dai sei ai dodici anni, anche se la lettura risulta stimolante per tutti. Coinvolgente per i suoi elementi antropologici, dimostra una grande concretezza per quanto riguarda gli aspetti basilari della vita come il rapporto con i propri genitori, i forti legami con gli amici, il tutto trasferito in una dimensione magico–spirituale, dove si apprezzano anche elementi culturali, storici ed esoterici piuttosto significativi. L’idealismo presente nel mondo della magia e delle profezie si alterna, in modo molto naturale, a un vissuto di valori incarnati nei diversi capitoli e che compongono il

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libro La spada di Adelaide. Il continuo allenamento per migliorare le proprie capacità, il rapporto fiducioso coi maestri di vita, la lotta continua per superare le difficoltà trovate nel bosco, la presenza di pericoli dai quali non sempre si esce incolumi fanno sì che il lettore ne tragga grande esempio formativo. Si capisce, in questo modo, come la propria vita e la propria storia si costruiscano con fatica e grandi sacrifici, ed è per questo che se ne consiglia la lettura anche a scopo educativo. Per le sue competenze narrative, per la grande capacità di comunicazione e per la padronanza della lingua, lo scritto risulta di una qualità brillante soprattutto se si considera l’età dell’autrice Caterina Rinaldi. L’immaginazione viene fortemente stimolata dalle descrizioni, precise nei particolari, di ogni personaggio o accadimento. Ogni capitolo fa sentire il lettore partecipe in prima persona delle stesse avventure. Basti ricordare, ad esempio, l’avvincente lotta tra il drago e il falcone. La ricchezza di vocabolario, dimostrata nelle descrizioni narrative, fa sì che il lettore proceda con molta fluidità nella lettura del racconto, veloce e curioso d’arrivare fino all’ultima pagina e poter cogliere così tutto quello che l’autrice vuole comunicare. Questo volume, come spesso accade nell’opera di ogni artista, riflette molto la vita dell’autrice, Caterina. Persona di grande maturità, pur essendo di così giovane età, che dimostra di aver colto tanti aspetti della sostanza della vita dell’essere umano. Colpiscono molto le frasi in cui si parla del valore del tempo, del senso della libertà («il futuro cambia ad ogni azione che facciamo»), del corso della vita e della morte, la quale viene superata grazie all’affetto delle persone più care. La vita è rappresentata da un lungo viaggio pieno di sorprese dove ci sono dei momenti semplicemente belli e dei drammi da affrontare. Caterina è, senza dubbio alcuno, una persona che cerca nella sua vita, e tramite i suoi scritti, la pace e la giustizia. Tutto questo lo si può notare anche nella conclusione del libro in cui questi princìpi, finalmente, regnano anche in una città (isola) come Albatros, dove la Regina aspettava il suo momento di giustizia. Grande equilibrio tra l’impegno per il raggiungimento degli obiettivi e “un giorno di riposo” che ci regala in uno dei suoi capitoli. Questa è la maturità che ogni essere umano dovrebbe augurarsi. Buona lettura! Francisco Javier Fiz Pérez Professore di Psicologia dello sviluppo, Università Europea di Roma.

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Recensione di Maria Adelaide Gallo

La Spada di Adelaide è un libro fatto a segmenti, a racconti di vita: un Fantasy più reale della realtà stessa. Racconti che possono essere più selvaggi dell’Inferno o più liberi e purificatori del Paradiso. Caterina Rinaldi fa le cose per bene. E se una non le riesce bene, subito ne inventa un’altra. Dipinge i suoi personaggi, metaforicamente crea una galleria d’arte di eccezionale raffinatezza. Sembra una virtuale seguace di quell’Anton Giulio Bragaglia che custodiva i segreti della Casa d’Arte Bragaglia a Roma da cui comincerà la Storia dell’Arte Italiana del Secondo Dopoguerra. Caterina riesce a materializzare un “Fotorealismo” e un “Fotosurrealismo”. Più che una scrittrice sembra una pittrice: crea con i suoi sogni un’arte “Polimaterica” che dà l’avvio ad una avanguardistica ricerca dell’Anima. La sua è una leggenda che si espande dappertutto. Leggendo i racconti con attenzione si può assaporare la magia del volo. Si può credere all’Eternità e capire l’Amore. Ci si emoziona leggendo le pagine intense, si ha uno strano timore. Si ha la sensazione di sentirsi sollevare da mani invisibili verso l’Alto. Si è pervasi da un fascio di luce di una forza incandescente. Si ha la sensazione di procedere ad una velocità straordinaria, inverosimile, al punto da poter perdere completamente la coscienza. Sembra che l’espressione di un atto d’amore si affermi molte volte con un gesto di estrema violenza. Le uniche verità conosciute nella vita sono le bugie di chi sostiene di amarmi e questo può essere un recondito messaggio che emerge da un Fantasy straordinario. Si sente il rombo dell’Anima, poi pian piano la distensione, il riposo. Una lunga prova di Fede. Un’ottima concentrazione su ciò che si sta facendo. Quando le auree si uniscono, la magia raddoppia il suo Potere.

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Per Caterina i draghi sono le creature più magiche del pianeta. Caterina è veramente una Fiamma. Il fuoco anima la sua mente pura. Un drago vero guida e infiamma e poi placa gli istinti del suo cuore. È sempre al limite tra sogno e realtà. Io continuo a chiamarla Caterina, non voglio svelare i nomi dei suoi fantastici personaggi. La sorpresa deve dare corpo alla lettura. È un’esperienza esotica la lettura di questo libro. Una città mentale colma di sogni. È un vento freddo che fa stare bene. È una stella di un mare fatto di perle e diamanti. Ciò che sorprende è la fantastica e dinamica maturità della giovane scrittrice. Sembra che abbia preso e trasmesso una polvere magica per superare la barriera dello spazio e del tempo. La Spada di Adelaide ti fa sentire la coscienza pulita, annulla i ricordi e fa sentire pronti a fare tutto ciò che la fantasia, come purezza dell’Anima, richiede. È una lettura speciale adatta ad ogni tipo di età... Un elisir di lunga vita. A Caterina Rinaldi l’augurio di un sempre maggiore successo. E all’editore Persiani la certezza di proseguire nel suo prestigioso cammino.

Grazie!

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Quando Nietzsche disse: “Dio è morto”, egli enunciò una verità che vale per la maggior parte dell’Europa. I popoli furono influenzati, non perché egli fece questa constatazione, ma perché si trattava della constatazione di un fatto psicologico universalmente diffuso. Le conseguenze infatti comparvero prontamente: l’ottenebramento e l’annebbiamento da-ismi, e la catastrofe. Nessuno seppe trarre una conclusione del presagio di Nietzsche. Non suona esso forse simile a quell’antico “Il grande Pan è morto” che constatava la fine della deità della natura? Carl Gustav Jung, Psicologia e religione, 1938/40 (Opere, volume XI).

BOLOGNA

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Il Minotauro Problemi e ricerche di psicologia del profondo

ISSN 2037-4216 Editore

Anno XXXIX - n.1 Giugno 2012

â‚Ź 15.90


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