N1 2014

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N.1

Vissuti traumatici e riconnessione simbolica nel sogno di Elena Acquarini

Anno XLI

Editoriale di Luca Valerio Fabj

Il Minotauro Problemi e ricerche di psicologia del profondo

La funzione del complesso edipico nella strutturazione della personalità di Federico D’Antonio Materno e matriarcato di Francesca Perone

C.G. Jung, la secolare arte del pescatore di Diego Pignatelli Spinazzola Verde come il destino – psicosocioantropoanalisi d’un colore di Giuseppe M.S. Ierace

Il Minotauro

La proiezione dell’anima nella relazione terapeutica e di coppia di Matteo Marino

Inserto: Quaderni di Psicopatologia Generale L’ansia e la formazione del sintomo in psicopatologia generale a orientamentopsicodinamico di Luca Valerio Fabj

€ 15.90 Editore

Giugno 2014

I primi cinque sabati dell’anno praticati da P. Marella nell’oratorio “Labarum Coeli” da mezzanotte alle due di Simonetta Righini In questo numero: Presentazione del convegno “Caos Apparente: Jung nell’attualità”

ISSN 2037-4216 Anno XLI - n.1 Giugno 2014



Anno XLI – Vol. n. 1

GIUGNO 2014

IL MINOTAURO PROBLEMI E RICERCHE DI PSICOLOGIA DEL PROFONDO

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IL MINOTAURO Rivista fondata in Roma nel 1973 da Francesco Paolo Ranzato

www.rivistailminotauro.it ORGANO UFFICIALE DELLA SCUOLA DI PSICOTERAPIA ANALITICA AIÓN Via Palestro, 6, 40123, Bologna Tel: 348.2683688

GRUPPO PERSIANI EDITORE Piazza San Martino, 9/C - 40126 Bologna - Italy Tel. (+39) 051 99.13.920 - Fax (+39) 051 19.90.12.29 info@persianieditore.com

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Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 24236 Testata registrata al Tribunale di Bologna, aut. n. 8034 del 28 Gennaio 2010 DIRETTORE RESPONSABILE LUCA VALERIO FABJ COMITATO SCIENTIFICO Luca Valerio Fabj Angelo Gabriele Aiello Elena Acquarini Antonio Grassi Francisco Javier Fiz Pérez Roberto Filippini REDAZIONE Valentina Trebbi, Margarita Frati, Giuseppina Lenoci STAMPA: Atena.Net Srl, Grisignano (VI) SERVIZIO ARRETRATI E ABBONAMENTI TEL. 051-99.13.920 - FAX 051-19.90.12.29 Martedì, Mercoledì, Giovedì dalle 10:00 alle13:30 e dalle 15:00 alle 18:30 Abbonamento Annuale - 2 numeri: € 15,00 Abbonamento Biennale - 4 numeri: € 28,00 Modalità di pagamento: Con carta di credito seguendo la procedura su www.rivistailminotauro.it Oppure con Bonifico su c/c bancario IBAN: IT 23 A 05387 02419 000001269134 intestato a Gruppo Persiani Editore Srls, specificando nella causale nome, cognome, e “abbonamento alla rivista Il Minotauro”

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Sommario

Articoli: Editoriale di Luca Valerio Fabj.................................................................................................5 Vissuti traumatici e riconnessione simbolica nel sogno di Elena Acquarini..................................................................................................14 La funzione del complesso edipico nella strutturazione della personalità di Federico D’Antonio.............................................................................................24 Materno e matriarcato di Francesca Perone.................................................................................................38 La proiezione dell’anima nella relazione terapeutica e di coppia di Matteo Marino....................................................................................................69 C.G. Jung, la secolare arte del pescatore di Diego Pignatelli Spinazzola.................................................................................86 Verde come il destino – psicosocioantropoanalisi d’un colore di Giuseppe M.S. Ierace............................................................................................89 I primi cinque sabati dell’anno praticati da P. Marella nell’oratorio “Labarum Coeli” da mezzanotte alle due di Simonetta Righini.............................................................................................103

Inserto: Quaderni di Psicopatologia Generale L’ansia e la formazione del sintomo in psicopatologia generale a orientamento psicodinamico di Luca Valerio Fabj..............................................................................................105

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Recensioni............................................................................................................139

Gli allegati de “Il Minotauro” Presentazione del convegno “Caos Apparente: Jung nell’attualità” di Giuliano Corti e Marco Gay.................................................................................147 Abstracts...............................................................................................................151 Curriculum relatori..............................................................................................158

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L’IMPORTANZA DELLA PSICOPATOLOGIA GENERALE COME SCIENZA AUTONOMA NELLA CLINICA PSICOLOGICA Editoriale di Luca Valerio Fabj

Una sola cosa è necessaria: dare uno stile al proprio carattere! W. F. Nietzsche1

Se dovessimo paragonare qualsiasi paradigma clinico-psicologico di qualsivoglia orientamento ad un edificio, potremmo asserire serenamente che la psicopatologia generale costituisce il terreno su cui poggiano le fondamenta di quell’edificio. Difatti se le fondamenta di una teoria psicologica sono quelle che vengono definite le “cause” della malattia mentale, osservate secondo l’ottica di quella teoria, l’insieme dei sintomi/vissuti psicopatologici sono, senza alcun dubbio, il terreno su cui quelle fondamenta poggiano. A fronte di ciò, mi pare ovvio il considerare che se il terreno ove poggiano queste “fondamenta” teoriche è franoso, per quanto esse possano essere solide e genialmente ideate, non potranno reggere nessun “edificio” psicologico che su di loro pretende di poggiare. Ora, poiché, come abbiamo detto, la psicopatologia generale rispetto a qualsiasi sistema clinico psicologico è il terreno ove devono venire scavate le fondamenta per edificarvi sopra una casa, mi sembra evidente che tale terreno debba essere ben solido e ben conosciuto da chiunque voglia costruirvi sopra la propria teoria clinico-psicologica. Infatti, proprio come la patologia generale è la base stessa di ogni clinica medica, così la psicopatologia generale lo è per qualsiasi paradigma di psicologia clinica che voglia cercare di classificare e curare i disturbi mentali. Se il terreno della psicopatologia è franoso, non sarà mai possibile edificare alcuna clinica psicologica in grado di prendersi realmente carico dei disagi psichici; i quali sono, 1 F. W. Nietzsche: La Gaia Scienza, 1882.

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senza alcun dubbio, sempre più in aumento a causa di un indubbio senso di malessere esistenziale diffuso che permea oramai tutti gli strati della società della così detta “civiltà” moderna. Tuttavia, nonostante questi evidenti presupposti, purtroppo, se un tempo la psicopatologia è stata oggetto di studio di importantissimi pensatori, anche al di fuori dell’ambito medico, come Kant, Schelling, Jaspers e Focault, oggi, purtroppo, nonostante la sua importanza fondante di ogni clinica del disagio psichico, è ormai caduta quasi nel dimenticatoio ed è relegata, come vassalla della psichiatria, a uno sterile e noioso elenco descrittivo di sintomi più o meno numerosi. La sua importanza deve invece essere recuperata ridonandogli la dignità che si merita come scienza autonoma, affrancandola dai paradigmi medico-somatici della psichiatria organicista e neurofisiologica, per reinserirla nella sua vera Dimora che appartiene al novero delle scienze dello Spirito. La psicopatologia, infatti, occupandosi del disagio psichico, si occupa del disagio dell’essere uomini e non può, proprio per questo motivo, essere appannaggio unico dello psichiatra o dello psicologo. La follia è qualcosa che ha a che fare con gli aspetti più profondi dell’essenza dell’uomo e questo è il motivo per cui sin dalla antichità pensatori come Platone, e non solo i medici, se ne sono occupati e hanno avuto moltissimo da dire su di essa. Il “Titolo” di “psicopatologo generale” infatti, non essendo in sé un atto terapeutico, ma un atto conoscitivo dell’umano, non è e non può essere appannaggio unico del medico, dello psicologo e/o del neurofisiologo, ma può e deve assolutamente appannaggio, anche, del filosofo. Con ciò non voglio sminuire l’importanza degli aspetti somatico-biologici della malattia mentale, ma, semplicemente, voglio intendere che essi non possono essere l’unico punto di vista con cui osservarli al fine di una loro reale comprensione. Il disagio psichico, infatti, in tutte le sue forme ha sempre sia affascinato che terrorizzato e da sempre ha mostrato e insegnato molto di più sul così detto modo d’essere “normale” di quanto la maggior parte dei “sani” vogliano ammettere. All’interno del disagio psichico non vi è, infatti, solo la “malattia”, ma vi è anche una possibilità di trasformazione, una sorta di prova e di ordalia che lo spirito umano si trova ad affrontare in certi momenti della vita per superarsi, per trascendere sé stesso. In fondo il moderno viaggio dell’eroe altro non è che un viaggio attraverso i mondi del disagio psichico allo scopo di raggiungere una meta superiore a quella che la banalità della vita quotidiana può offrire. Già Platone aveva visto in certe forme di follia l’entusiasmo come dono degli dei e nelle parole sconnesse del “pazzo” un linguaggio divino ispirato che i

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comuni mortali non possono comprendere. E questo è proprio l’aspetto maggiormente rimosso dalla psicopatologia moderna, ossia i suoi rapporti con il Sacro. Ecco perché un tempo la psicopatologia si occupava ed era a sua volta appannaggio della teologia, della filosofia, della religione, della magia, dell’occulto, dell’antropologia, dell’arte e persino della letteratura, oltre che della medicina. Perché tutti questi saperi sapienziali e filosofici sono parte integrante degli strumenti che possono aiutarci a capire il fenomeno della esperienza del Sacro che in particolari circostanze l’uomo può giungere a fare. Oggi, nel mondo dove Dio è morto, il Sacro non solo è stato avulso dalla psicopatologia, ma è stato eliminato da qualsiasi sapere scientifico considerato oramai solo un retaggio storico superstizioso. Motivo per cui tutti i saperi filosofici sopraelencati sono stati eliminati dalla medicina in generale e dalla psicopatologia nello specifico per renderla realmente “scientifica”. Ecco perché ho scritto recentemente un Trattato dal titolo Fondamenti di psicopatologia generale come scienza autonoma (edito da Paolo Emilio Persiani) che ha il Don Chisciotte come simbolo e la filosofia del Nietzsche come riferimento, e anche il Sacro (nella accezione più ampia del termine) come oggetto di osservazione clinica. Difatti, una delle mete di questa mia ultima fatica (perché di vera e propria fatica molto sofferta si è trattato) è stata proprio quella di recuperare questi aspetti dimenticati del sapere umano con cui la psicopatologia deve tornare a confrontarsi se vuole avere una reale visione dell’uomo e del suo disagio psichico: che è parte integrante dell’essere “un Uomo”. Il disagio psichico, in tutte le sue forme (ma soprattutto nella follia), nella antichità era considerato, anche, come una esperienza trasformativa del contatto con il Sacro che rendeva chi ne era affetto una sorta di essere umano privilegiato e superiore per questa sua possibilità di venire in contatto con gli dei. Oggi questo aspetto è stato assolutamente rimosso e il nevrotico o il folle sono relegati al ruolo di “disgraziati”, “infelici” quando non “degenerati” e il loro modo d’essere nel Mondo è unicamente fonte di compassione o di riso. Il Don Chisciotte del Cervantes ben rappresenta questo moderno individuo affetto da una sacra follia che viene o compatito o deriso dai suoi simili che non hanno più alcun rapporto con il Sacro con il Mito e con il Religioso. Il meraviglioso cavaliere folle che il Cervantes descrive, infatti, non è un comico e grottesco individuo che compie assurde imprese per far sorridere un pubblico di annoiati e grassi borghesi. Don Chisciotte è un folle entusiasta che è venuto in contatto, per merito stesso della sua follia, con un poderoso archetipo: quello dello Spirito della Cavalleria dell’Amor Cortese medioevale. Il Cavaliere della Mancia si lanciava all’assalto dei mulini a vento con uno spirito liberato da ogni bieca

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questione personale, del tutto incurante delle conseguenze pericolose delle sue gesta: egli agiva per puro ideale. Esattamente come vedeva nella volgare e sgradevole Dulcinea la “Donna” superiore e quasi divinizzata a cui i Cavalieri offrivano i loro colori e che costituiva spesso il premio di unione spirituale con il proprio “doppio” femmineo per la riuscita delle loro imprese. Don Chisciotte nella sua follia era venuto in contatto con l’archetipo del mito dell’Eroe e con la profonda e straordinariamente bella idea di trovare una unione spirituale oltre che fisica con la propria Anima inconscia proprio per mezzo dell’amore totale per la propria Donna. I mulini a vento, e la bruttezza di Dulcinea, in altre parole, la realtà, non potevano essere un ostacolo sufficiente per impedirgli di adempiere il suo voto di fedeltà alla Cavalleria e all’ideale di raggiungere la vita eterna per mezzo di battaglie giuste e sante che anche qualora lo avessero fatto morire lo avrebbero, ancor più, innalzato all’Olimpo degli Eroi. Oggi, in un mondo in cui solo l’economia ed il profitto del mercato sono divenute le uniche mete da auspicarsi e raggiungersi, dove la apatia e l’assenza di ogni tipo di coraggio è la base di questo benessere della civiltà dei consumi, i moderni Eroi come Don Chisciotte sono, per me, proprio coloro che soffrono di disagio psichico e spesso affollano le corsie degli ospedali psichiatrici. A loro e al nobile cavaliere che alberga dentro di loro è dedicato questo mio libro. Esso è un modo per rendere omaggio alla loro capacità di vedere oltre i veli del mondo e di sognare di essere Eroi della mente, capaci non solo di soffrire atrocemente, ma anche di trascendere l’umano proprio per mezzo del linguaggio dimenticato degli dei con cui i folli ci parlano. Carl Gustav Jung, con le sue teorie, ha riportato in auge in psicoanalisi sia il mito dell’Eroe sia la antica concezione che la follia possa essere la conseguenza di un contatto con le forze divine presenti nel Sacro, da lui definite “numinose”. Ebbene essi sono, a mio avviso, proprio ciò che la moderna miopia scientifica non riesce più a vedere nel folle. Le lenti del moderno scienziato oscurate dal materialismo positivista non colgono più che la malattia mentale è anche una possibilità oltre che una sofferenza. Per questo accanto alla clinica, in questo mio lavoro cercherò di mostrare come la antropologia, la filosofia, l’arte e anche tutti i saperi sapienziali dello Spirito siano parte integrante e utilissima di una psicopatologia che voglia essere una scienza autonoma. Non si dà una vera psicopatologia senza filosofia, sebbene la filosofia debba essere vista in senso pragmatico, ovvero come teorie da utilizzarsi come metodi con cui cogliere gli aspetti di ciò che si studia e non come dogmi da accettare senza alcuna verifica. Naturalmente, essendo la psicologia del profondo la branca in cui io ho ricevuto la mia formazione e l’area di interesse dei miei studi e ricerche, sono state tutte le

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filosofie che a essa in un qualche modo si ispirano, e che l’anno ispirata, che hanno avuto la preminenza in questo mio ultimo lavoro.

Per tale motivo, non poteva che essere la filosofia di Nietzsche in primis (ma non solo) la filosofia di riferimento di questo mio lavoro. Infatti tutti gli storici seri della psicoanalisi (come Hellenberger) riconoscono che la psicoanalisi e la psicologia del profondo stessa, tutte le forme di psicologia del profondo, altro non sono che figlie più o meno legittime della filosofia di Nietzsche che ne è stato il precursore indiscusso. Inoltre se Don Chisciotte rappresenta il personaggio mitico/letterario del nobile Cavaliere nascosto nel folle, Nietzsche, in quanto filosofo travolto a sua volta, realmente, dalla follia, rappresenta il personaggio storico reale che incarna il mito del folle geniale venuto in contatto con il Sacro. Nietzsche è l’esempio vivente di questo Eroe moderno, “Umano, troppo umano”, che rimesso a sé stesso cerca di trascendersi venendo di nuovo in contatto con un Sacro numinoso, che Egli chiamava Dioniso, che è rimasto sepolto sotto la spessa coltre del cristianesimo, della scienza positiva e della ipocrita morale borghese. Nietzsche ha ritrovato Dionisio e quel Dio di Volontà della Natura che l’Occidente cristiano aveva proscritto e da esso è stato travolto come Jung ha evidenziato nei suoi seminari sullo Zarathustra.

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Nietzsche, il cui studio è iniziato per me a quattordici anni e non è ancora terminato, anche quando non nominato è stato sempre presente come l’anima guidante di questo mio ultimo Trattato. Il suo pensiero è stato l’ordito su cui è stata intessuto tutta quest’opera, come del resto, sulla sua filosofia, è stata intessuta anche tutta la mia vita personale e professionale. E’ infatti corretto che il benevolo lettore che voglia confrontarsi con questo mio non certo facile scritto tenga sempre presente che la mia adesione alla psicologia del profondo deriva dal mio assoluto e continuo riferimento e confronto con la filosofia di Nietzsche, che comprende anche gli aspetti più controversi e assolutamente ripudiati dalla filosofia ufficiale del suo pensiero. È infatti proprio per mezzo di questo mio continuo confronto, pressoché assoluto, con la filosofia di Nietzsche che mi è stato possibile, in un mio precedente saggio, poter utilmente comparare i vari pensieri anche apparentemente differenti dei paradigmi diversi della psicologia del profondo.2 Tale utile sintesi verrà attuata capillarmente anche nel presente volume, essendo la mia scelta di orientamento psicoanalitico rivolta verso l’unico vero padre che la psicoanalisi possiede, ovvero: Friedrich W. Nietzsche. Il che, detto in altri termini, fa si che il presente lavoro debba considerarsi non come “junghiano”, o “freudiano” o che so “adleriano” che dir si voglia, ma unicamente come nietzschano; essendo il pensiero di Nietzsche il precursore e l’origine di tutti gli altri paradigmi della psicologia del profondo. Ciò in ogni caso non significa in alcun modo che pedissequamente e dogmaticamente la presente esposizione debba seguire il pensiero del filosofo di Rocken in modo acritico, cosa, questa, che lui, per primo, non avrebbe di certo voluto. Ma su quel pensiero, in confronto e in riferimento a quel pensiero, ho cercato nel mio Trattato di darne la mia assolutamente originale e personale elaborazione nell’ambito della psicopatologia generale intesa come scienza autonoma. Pertanto questa mia ultima opera è un lavoro che ha Nietzsche “sopra di sé, dentro di sé e dietro di sé”3 in una sua personale determinazione di stile, poiché per dirla con Nietzsche stesso: «Una sola cosa è necessaria: dare uno stile al proprio carattere!» Tuttavia, oltre a tutto ciò, quest’opera ha avuto anche la ambizione di essere un tentativo di mettere su carta, ampliati, gli appunti e le dispense delle mie lezioni di psicopatologia generale tenute nei corsi di Specializzazione in Psicoterapia Analitica riconosciuti dal MIUR, al fine di farne anzi tutto un utile testo didattico, indirizzato anche agli allievi dei miei corsi. 2 Alchimia dell’immagine nel quale confrontavo il pensiero di Jung e della psicologia analitica con quello della Klein e della psicoanalisi delle relazioni oggettuali. 3 Frase che il Nietzsche utilizzava per definire il suo superamento del nichlisimo.

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Infatti, la scarsità di ore che il Ministero dedica alla psicopatologia rende impossibile poter parlare di tutti gli aspetti che fanno parte dei vari argomenti che compongono la psicopatologia. La scarsità di tempo obbliga il Docente a dover sorvolare su alcuni aspetti, pur importanti, che riguardano l’argomento che viene trattato in una lezione, se, non, a non parlarne affatto. Questo può far insorgere il rischio che la distribuzione di nozioni, stimoli e conoscenze che viene dato agli allievi sia insufficiente per trasmettere correttamente la psicopatologia in modo profondo ed esaustivo. E ciò è male. Infatti la psicopatologia generale indiscutibilmente, e a prescindere da qualsiasi ottica la si voglia considerare, rappresenta una branca della psicologia medica che costituisce la spina dorsale insostituibile del sapere e delle conoscenze di chiunque voglia occuparsi in qualsiasi modo, ma soprattutto in senso terapeutico, di disagio psichico. Una profonda conoscenza della psicopatologia è infatti la “conditio sine qua non” per potersi occupare correttamente di malattia mentale nel senso medico/psicologico del termine: sia che si voglia somministrare psicofarmaci, sia che si voglia agire unicamente con mezzi psichici, oppure, come oggi sempre più spesso si tende a fare,4 si desideri operare con mezzi associati di psico-farmacoterapia. Non è possibile infatti praticare alcuna valida terapia del disagio psichico se nel terapeuta non vi è una profonda comprensione della malattia mentale. E solo una altrettanto profonda conoscenza della psicopatologia generale consente la possibilità di avere tale comprensione. Purtroppo nell’era del DSM IV e della psichiatria unicamente organicista, la psicopatologia ha perso la sua funzione di scienza autonoma che non si limita a descrivere e spiegare i sintomi psicopatologici, ma cerca, anche, di comprenderli e interpretarli (allo scopo, per l’appunto, di comprenderli). La psicopatologia è divenuta, attualmente, la vassalla della psichiatria, riducendosi a un processo meramente descrittivo dei sintomi psicopatologici, senza alcun ulteriore approfondimento di essi. E ciò snatura completamente il vero senso e scopo della psicopatologia che non è solo descrittiva, ma è anche e soprattutto strutturale/fenomenologica e analitica. Senza questa sua completa fisionomia, la conoscenza di una psicopatologia, unicamente descrittiva, sfigurata e resa mutila dei suoi altri due aspetti essenziali, diviene solo uno sterile esercizio mnemonico che a ben poco serve da un punto di vista clinico. Scopo di questo lavoro è stato quello di ribellarsi a questo stato di cose che non ha una vera base scientifica e di mostrare, invece, la importanza della 4 A mio avviso il modo più razionale in moltissimi casi e l’unico possibile nei casi gravi.

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psicopatologia generale come scienza autonoma, al fine della comprensione della malattia mentale. L’allievo, ma non solo lui -anche il medico pratico, o lo specialista, e perché no? L’uomo comune – può trovare in questo testo un tentativo di mostrare il volto intero e ricostruito della psicopatologia generale, e potrà apprezzarne sia la utilità che l’importanza che essa ha, come scienza autonoma, ai fini della clinica, della sociologia, della filosofia, della antropologia, della comprensione, della interpretazione, del significato e anche di un possibile senso teleonomico/trasformativo e/o religioso della malattia mentale. Tuttavia, in questo mio ultimo lavoro non si pretende di dire, né dimostrare alcunché di nuovo, oltre ovviamente alcune ipotesi di ricerca mie proprie, ma si vuole riportare il sapere già espresso, in circa cent’anni di psicopatologia, dai più importanti Autori di psicopatologia della storia del pensiero Occidentale, senza sposarne alcuno, e ricercando una sintesi comparativa sistematica fra tutti gli AA considerati. Non si tratta cioè di dire qualcosa di nuovo, ma di elaborare il già superbamente espresso in modo nuovo. Solo così la Tradizione si rinnova in modo assolutamente “tradizionale” (se mi si passa il gioco di parole) per mezzo della seconda nascita “dall’Alto e verso l’Alto”5 di pensieri che non vengono negati, ma superati proprio a partire da sé stessi. In ogni caso però, il benevolo lettore che decida di impegnarsi a leggere il mio lavoro (perché di impegno si tratta), deve tenere presente che in quest’opera non si troveranno le descrizioni cliniche delle singole esperienze psicopatologiche, poiché essa tratta unicamente dei fondamenti della psicopatologia generale come scienza autonoma. Agli aspetti clinici specifici verrà dedicata un mio successivo lavoro. Ora, a prescindere da tutto ciò, ovvero, cercando di mettere fra parentesi (per quanto possibile) tutte le mie opinioni personali, ho deciso di continuare in questo numero del Minotauro a porre nel suo palinsesto un nuovo Quaderno di Psicopatologia Generale che in questo numero si occupa dell’ansia e della formazione del sintomo secondo i concetti della psicopatologia psicoanalitica/psicodinamica. Esso non è che la trasformazione in articolo di alcune mie lezioni di psicopatologia generale tenute presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Analitica Aiòn di Bologna ove insegno come Docente. Spero che ciò possa essere cosa utile e gradita non solo agli Allievi delle Scuole di Specializzazione, ma anche a tutti coloro che si interessano di psicopatologia generale come scienza autonoma. Se le forze, la salute (purtroppo 5 Concetto, quest’ultimo, mutuato dal controverso pensatore moderno Julius Evola che è il pensatore di rfierimento di Jung nel campo della alchimia come da lui asserito in Psicologia e alchimia.

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non certo ottima), e la volontà mi sosterranno, nei prossimi numeri (penso in modo alterno) cercherò di scrivere nuovi quaderni di psicopatologia secondo diversi orientamenti paradigmatici. Sarei felicie se altri Autori, a prescindere dai loro orientamenti e opinioni che sono tanto più gradite quanto sono diverse e opposte alle mie (come è lo stile che caratterizza la mia Direzione di questa Rivista), volessero contribuire a scrivere altri quaderni di questo tipo. Sarò estremamente lieto di pubblicarli.

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VISSUTI TRAUMATICI E RICONNESSIONE SIMBOLICA NEL SOGNO Elena Acquarini DIPSUM – Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” Società Italiana per lo Studio dello Stress Traumatico (SISST) Introduzione È ormai dimostrata la connessione tra esperienze traumatiche precoci, che siano di tipo cumulativo (Khan, 1974) o nascosto (Lyons-Ruth et al., 2006), e le distorsioni anche patologiche dello sviluppo quali ad esempio strategie dissociative e inibizioni/compromissione della capacità di mentalizzazione e funzione riflessiva (Fonagy, Target, 2001). Le risposte individuali all’evento traumatico o all’atmosfera traumatica possono essere varie, tutte riconducibili a stati post-traumatici (iperattivazione, intrusività dei ricordi, evitamento, dissociazione, assenza di simbolizzazione del linguaggio e dell’esperienza) e le memorie traumatiche mantengono una funzione fondamentale sia nella connessione degli elementi attinenti all’evento traumatico, sia nell’attivazione della capacità riparativa della psiche (Brewin, 2013). Ad esempio, la rievocazione intrusiva di particolari sensoriali degli elementi traumatici racchiude la possibilità di ricostruire il cammino delle orme emotive incluse nella memoria del paziente mai condivise e mai mentalizzate. La trasformazione di queste tracce in emozioni pensabili e la loro integrazione nella narrazione che il paziente affronta in analisi sono due dei passaggi più delicati e importanti del processo di elaborazione dell’esperienza traumatica. L’evento trauma infatti lascia una scompigliata base sensoriale che condizionerà anche la relazione di analisi. La risposta individuale all’esposizione traumatica può individuare alcuni rifugi della mente (Steiner, 1993) che possono includere declinazioni patologiche organizzanti – che allontanano il paziente dalle proprie emozioni e da aspetti di dipendenza dalle relazioni – e attivazioni traumatofiliche che espongono il soggetto a riproduzioni di passate esperienze traumatiche per tentare di sviluppare la capacità di controllo sulle stesse. La coazione a ripetere (Freud, 1920) è abbastanza rintracciabile nei soggetti traumatizzati con una duplice finalità di attivazione. Il tentativo (irrealizzabile) di riparare la ferita originaria utilizzando l’unico modello relazionale associato a essa rappresenta una delle possibilità interpretative. La seconda può prevedere una ricerca di sollievo dal dolore che verrebbe innescata nella ri-vittimizzazione da una forma di analgesia indotta anche a livello biochimico: la ri-traumatizzazione indurrebbe il rilascio di

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LA FUNZIONE DEL COMPLESSO EDIPICO NELLA STRUTTURAZIONE DELLA PERSONALITÀ Federico D’Antonio DIPSUM – Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” Introduzione La “metafora paterna” è l’originale intuizione di Jacques Lacan sul tema dell’Edipo freudiano (Lacan, 1958a). La struttura della metafora indica che l’emergenza di un nuovo significato è data dalla sostituzione di un significante a un altro significante (Lacan, 1957). Secondo questa formula, il significante “Nome-del-Padre” – il padre simbolico – prende il posto del “Desiderio-dellaMadre” generando l’emergenza della significazione di questo stesso desiderio – dapprima oscuro e indecifrabile per il bambino (Lacan, 1958a). Di conseguenza il bambino può creare una significazione personale riguardante il proprio ruolo nei confronti del desiderio della madre; questa significazione edipica è detta “significazione fallica”, in quanto il “fallo” è il significante della mancanza che genera il desiderio materno (Ibidem). Così «se il desiderio della madre è il fallo, il bambino vuole essere il fallo per soddisfarlo» (Lacan, 1958b, p. 691). L’identificazione al significante fallo è la chiave di accesso del bambino alle dinamiche di desiderio e di conflitto dell’Edipo (Lacan, 1957-1958). La prospettiva clinica lacaniana adotta un approccio “edipico-strutturale” alla questione della diagnosi differenziale tra nevrosi e psicosi, adoperando il concetto di metafora paterna come mezzo per distinguere tra le due strutture (Recalcati, 2002, p. 179). Se la metafora paterna è operativa, allora l’identificazione al fallo dà avvio alle dinamiche immaginarie e reali del complesso edipico, le quali costituiscono il nucleo della nevrosi. Se invece la metafora paterna non è operativa il soggetto, escluso da questo tipo di dinamiche, si struttura in senso psicotico (Lacan, 1958a). Come effetto dell’esclusione da questo tipo di dinamiche il soggetto psicotico si trova impossibilitato ad accedere alla significazione del desiderio dell’Altro e alla relativa appropriazione dell’ordine di linguaggio che regola le relazioni familiari e della collettività in generale (Lacan, 1953b; 1955-1956). L’Edipo è infatti la chiave di accesso all’assunzione soggettiva dei significanti dell’Altro nella misura in cui la Legge primordiale del divieto dell’incesto – il primo dei riferimenti simbolici che regolano le relazioni nella civiltà – sovrappone l’ordine dei significanti umani al regno della natura (Lacan, 1953b).

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MATERNO E MATRIARCATO Francesca Perone Durante l’esperienza clinica ed esistenziale di ogni terapeuta è inevitabile che avvenga l’incontro con l’immagine della madre. La madre reale del paziente; i racconti di fatti che la riguardano, delle sue caratteristiche, del modo in cui ella ha improntato la vita del soggetto, evocano nel terapeuta un raffronto continuo con la propria, personalissima esperienza del materno. La madre archetipica, la cui immagine appare attraversando gli oscuri cunicoli dell’inconscio collettivo e la cui influenza, positiva o negativa a seconda di quali aspetti di essa si attivino, si palesa nell’hic et nunc della relazione analitica. La madre come rapporto: durante alcune fasi della terapia, infatti, la relazione analitica assume le caratteristiche della diade madre/figlio e il terapeuta affronta le difficoltà inerenti un rapporto simile a un maternage, sebbene transitorio, che include operazioni di rêverie (Bion, 1973). Il bambino infatti, specie se molto piccolo, trasmette alla madre le proprie ansie, le proprie sensazioni negative e le proprie angosce intollerabili “mettendole” in lei tramite il ben noto meccanismo dell’identificazione proiettiva. La madre, se non è turbata a sua volta da angosce primarie che le impediscono di comprendere il piccolo e di supportarlo, “digerisce” i contenuti che il bambino da solo non riesce a elaborare e li restituisce a lui in forma accettabile. L’analista compie spesso un’analoga operazione; ma mentre quella materna consiste più che altro in gesti accoglienti, espressioni del viso rassicuranti e movenze corporee particolari, la rêverie dell’analista si basa prevalentemente sul pensiero fluttuante nella sua mente, sulla parola, sulla restituzione verbale di contenuti, fino a allora indigesti per il paziente, tramite un intervento o un’interpretazione offerta al momento opportuno. Le prime, basilari esperienze di ogni individuo hanno luogo all’interno della relazione madre/bambino, nella quale la donna si pone come “funzione” già durante l’esperienza della gravidanza: il suo corpo è una casa e tutte le trasformazioni che avvengono al suo interno vanno preservate e difese, anche se ingenerano sentimenti contrastanti. Il tumulto emotivo che si scatena nella vita psichica della donna riguarda diversi aspetti: il cambiamento fisico comporta un’alterazione dell’immagine corporea che richiede, vista la rapidità, un repentino adattamento percettivo non scevro da sentimenti di sconforto, se non di depressione. L’originaria armonia delle forme va perduta e al suo posto si instaura un’altra forma di femminilità, con diverse rotondità e poco graditi gonfiori. La donna, generalmente, accetta questa nuova condizione proprio perché, come detto, pone il suo corpo al servizio della

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LA PROIEZIONE DELL’ANIMA NELLA RELAZIONE TERAPEUTICA E DI COPPIA Matteo Marino Anima crea attaccamenti e legami. Ci fa innamorare J. Hillman

Matteo Marino, Anima e Animus

Introduzione Con la presente relazione, è mia intenzione mettere in luce come l’Anima, sempre in qualità di archetipo guida e controparte femminile nell’inconscio dell’uomo, dia il suo contributo e influenza in due tipi di relazione molto stretti e intimi: la relazione terapeutica e la relazione di coppia. Nel primo caso si parla di transfert, nel secondo di proiezione. Come ben sappiamo, tutto ciò che è inconscio viene proiettato, sia le parti positive che negative, e le stesse immagini di Anima e Animus possono avere sia valenza positiva che negativa, a seconda dell’esperienza che il soggetto ha fatto nel suo rapporto con i genitori. Il transfert si configura, nella psicologia analitica, come una necessità condizionante per la comprensione ed espressione dell’itinere analitico tra analista e paziente. La relazione analitica, a maggior ragione per la sua “intimità”, è un interscambio reciproco di proiezioni e contro proiezioni (transfert e controtransfert) di tutte quelle relazioni e legami che fanno parte dell’esperienza del paziente, e di tutti quei vissuti che l’analista, a sua volta, prova e gestisce. Questo “teatro di specchi” che caratterizza il setting di una seduta di analisi junghiana, è fatto di immagini e rappresentazioni che la diade analista-paziente mette sul palcoscenico. Tra le varie rappresentazioni che vengono proiettate ed esternate

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C.G. JUNG, LA SECOLARE ARTE DEL PESCATORE Diego Pignatelli Spinazzola C.G. Jung non equipaggiò molto la sua letteratura della funzione sentimento. Contrapponendosi al principio di realtà freudiano, l’alchimia junghiana sembra figurare al pari di un processo auto-compensatorio ove l’esame di realtà ha ben poca presa. L’immaginazione attiva, seguendo i tracciati di un percorso filologico ed ermeneutico attiene nel pensiero junghiano all’interno di un one-sidedness ermetica e rigorosamente accademica volutamente cercata dall’autore delle Opere. In questa peregrinatio l’Id, l’Es e il super Ego non si muovono all’interno di istanze personalistiche ma immaginali costituendo gli stessi temi che provenivano da una profonda comprensione della scissione e della composizione degli opposti, della proiectio di elementa all’interno di un attrito sudorifero e sulfureo per la loro amalgama e coniunctio psichica. Il complesso archetipico si snoda all’interno di una restitutio che Jung modellava dal suo familiaris, vera terapia per la sintesi specifica dei vari filius philosophorum e Mercurius noster, privilegiati euristicamente in letteratura. Se il nodo complessuale della congiunzione di zolfo e Mercurio sembra essere expressis verbis l’attrito conflittuale di una complexio oppositorum, la mistura di elementi e di opposti mostrano all’interno della trasformazione e dell’autoamplificazione alchemica, la loro auspicata redenzione a livello di materiali o quanto meno di materia psichica redenta. Una materia non toccata dalla complexio ma altresì bagnatasi e sporgentesi sulle immacolate acque della comprensione simbolica proprio come un Cristo verdeggiante nel lustro delle acque. Laddove gli apostoli domandavano al rabbì Gesù “pescatore” così Jung offre quella marittima prospettiva della lenza e dell’arte del pescare (piscicatur), del trarre dalle profondità marine il nobilissimo oro dei filosofi, thesaurus arcanus per una comprensione filosofica dell’ermetismo e del “cristologismo” junghiano. Se c’è uno stadio della pesca filosofica in Jung e un’“arte secolare del pescare”. Quest’attingere dai fondali la misteriosa perla deve attenersi per forza a una volutamente ricercata (dallo psicanalista) ipertrofia dialettica. Non rimando quindi a una connotazione negativa per tale termine, ma a una pervicace pesca dei vari sillogismi simbolici e di una semantica dalle prospettive multiple. Questa “multiplicatio” dialettica e filosofica rivela e svela al suo interno una panacea, un “to rhema thou” per dirla con gli gnostici (Jung, 1951, p. 187), matrice di un panspermia che Jung stesso trasaliva dai fondali terapeutici dell’ennoia, dallo scorgere le sottili diramazioni che evocano il figurativo mito della psiche poetica fondata a vari livelli su pretesti e premesse archetipiche. Nel cogliere le sfumature sia in Aion (1951) che nel Mysterium coniunctionis (1955-1956), Jung sovramplifica poeticamente la

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VERDE COME IL DESTINO PSICOSOCIOANTROPOANALISI D’UN COLORE Giuseppe M.S. Ierace* Con i progressi della chimica nuance e tonalità si possono meglio diversificare, specie nei semitoni beige, rosa, grigi, e il vocabolario cromatico comincia ad acquisire nuove denominazioni di sfumature che lasciano libero sfogo alla fantasia: gorge de pigeon, boue de Paris, cuisse de nymphe émue, pluie de roses, cacadauphin. L’interesse per l’araldica, la simbologia, l’etica e l’estetica, cede il passo alla colorimetria, a metà strada tra scienza e arte, oppure alla moda del momento, secondo un gusto che tende a convogliare in un’unica direzione lo spirito di un’epoca. Durante il XVIII secolo, nelle preferenze il rosso viene sostituito dal blu che si declina indefinitamente. Il motivo di tanto successo riposa su nuove ed efficaci sostanze coloranti: l’indaco americano e il blu di Prussia. Dunque, i progressi tecnici influiscono, e non poco, su certi mutamenti simbolici ed estetici. Il colorante scoperto per caso dal chimico tedesco Johann Konrad Dippel ha una potenza molto elevata, dando luogo a tonalità quasi trasparenti. Il suo difetto non è la tossicità, bensì la poca resistenza alla luce, alla stessa stregua del blu Macquer e del verde Kőderer, difficili da fissare sulla stoffa e poco resistenti pure ai saponi. L’indaco proveniente dalle Antille risulta addirittura meno costoso del guado europeo e qualitativamente migliore di quello asiatico. Il che determina la fortuna dei porti di Nantes e Bordeaux e la rovina di Amiens, Toulouse, Erfurt, GothaLa moda dei toni blu danneggia il verde, perché si ritiene, per lo più, che i due colori non diano buone combinazioni. Tant’è che un adagio tedesco impone un aut aut: «Blau oder Grün muss man wählen» (tra blu e verde la scelta è d’obbligo) e un proverbio inglese in rima è ancora più drastico: «Blue with green should never be seen» (blu e verde non dovrebbero mai essere visti insieme). * Giuseppe M.S. Ierace, neurologo, psichiatra, psicoterapeuta: da primario psichiatra ha diretto uno dei Centri di Salute Mentale della provincia di Reggio Calabria; da professore “a contratto” presso l’Università di Messina, ha insegnato nelle Scuole di specializzazione in Geriatria, Psicologia Clinica e Igiene Mentale. Giovane redattore del mensile “Gli Arcani” (1972-1980), ha collaborato con numerose riviste di psicologia del profondo, simbolismo, iconologia, ermetismo, esoterismo, mitologia, misteriosofia, rituali magico-iniziatici, tra cui “L’Età dell’Acquario” di Bernardino Del Boca, “Conoscenza” di Loris Carlesi, “Rivista italiana di Teosofia” di Edoardo Bratina, “Kemi-Hathor” (fondata nel 1982 da Angelo Angelini).

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I PRIMI CINQUE SABATI DELL’ANNO PRATICATI DA P. MARELLA NELL’ORATORIO LABARUM COELI DA MEZZANOTTE ALLE DUE Simonetta Righini «È così difficile raccogliere l’eredità dei Santi» afferma P. Gabriele Digani, direttore dell’Opera Marella. Bisogna attendere il risveglio della memoria degli ex ragazzi che hanno frequentato la città dei ragazzi o ascoltare il racconto di un devoto che vuol parlare con il postulatore.

Il Prof. Romano Verardi, laureato in economia e commercio e uno dei tanti allievi della città dei ragazzi ha voluto rivelare a P. Elia Facchini un episodio che concerne la particolarissima preghiera del Padre per soddisfare le richieste dei benefattori. Il suddetto professore dopo aver passato come allievo gli anni della fanciullezza presso le case rifugio del padre, e dopo essersi laureato, per riconoscenza dell’ospitalità ricevuta, volle chiedergli il modo migliore per ricompensarlo. Padre Marella domandò se fosse motorizzato. «Certo», gli rispose «ho una motoretta e sono a sua disposizione». Il Padre con un sorriso, lo stesso sorriso di quando l’accolse, manifestò il suo desiderio: «Mi potresti portare in via Val d’Aposa per fare il primo sabato del mese in onore del Cuore Immacolato di Maria nell’Oratorio del Labarum Coeli?» Accettai di buon grado ed ebbi la soddisfazione di assistere per cinque sabati dell’anno 1953 alla preghiera di due ore notturne presso l’Oratorio. Dove si trova questo luogo? Passeggiando per i vicoli del centro, tra Piazza Maggiore e via Barberia, in via Val d’Aposa si trova questa costruzione particolare, edificata nel ’400 dai monaci Celestini: a colpire è l’armonia delle sue ridotte dimensioni e della facciata, interamente decorata da rilievi e figure in terracotta. L’oratorio ospitò la confraternita dello Spirito Santo. Sulla parete di fronte si può invece vedere il così detto Labarum Christi: si tratta di un dipinto di Cristo crocifisso, ma vestito con una tunica nera, particolarità iconografica molto diffusa in Oriente e presente in un famoso crocifisso ligneo del 1484 a Lucca. Questo crocifisso detto il Volto Santo di Lucca è collocato in una cappella sulla navata sinistra della cattedrale di S. Martino a Lucca. Secondo una leggenda medioevale venne scolpito da quel Nicodemo che con Giuseppe d’Arimatea, depose il Cristo nel sepolcro. Per secoli della grande

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INSERTO QUADERNI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE L’ANSIA E LA FORMAZIONE DEL SINTOMO IN PSICOPATOLOGIA GENERALE A ORIENTAMENTO PSICODINAMICO Luca Valerio Fabj* Le formulazioni della psicoanalisi si fondano su un’immensa ricchezza di osservazioni e di esperienza e solo chi ripete su di sé e su altri tali osservazioni ha intrapreso la strada per formarsi un proprio giudizio. S. Freud

Generalità sull’ansia e sulla formazione del sintomo È assolutamente incontestabile il fatto che la psicopatologia psicodinamica nasca, storicamente, a opera di Sigmund Freud (a cui si deve il termine stesso) e che conseguentemente essa sia uno sviluppo della teoria psicoanalitica.

Freud e i “mostri dell’Id”

Ora, nell’ambito dello studio delle malattie mentali i problemi fondamentali affrontati dalla teoria psicoanalitica sono due che, a loro volta, sono fra loro correlati. Ovvero: a) la formazione dell’ansia e b) la formazione del sintomo che è appunto una conseguenza del fallimento da parte dell’Io di quelle che sono le sue * Medico Chirurgo Specialista in Psicoterapia Analitica, Docente di Psicopatologia, presso la Scuola di Psicoterapia Analitica riconosciuta dal MIUR, Aiòn di Bologna).

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RECENSIONI LUCA VALERIO FABJ*

Fondamenti di psicopatologia generale come scienza autonoma La dimensione psicologica del Sacro e la Sapienza Symbolica ErmeticoAlchemica Persiani Editore, Bologna 2013 ISBN: 978-88-96013-22-9 Pp: 776

€ 24,90

In questo Trattato ci troviamo di fronte a qualcosa di originale. Un tentativo di fondere psicologia del profondo, filosofia, scienza, esoterismo e dimensione psicologica del Sacro. L’Autore spazia per sostenere le sue tesi dalla Neurofisiologia, alla Filosofia di Nietzsche, alla Fenomenologia di Jaspers, alla Psicoanalisi di Freud e Jung, passando per le concezioni della Alchimia e dell’Ermetismo, nel tentativo di formare i fondamenti di una Nuova Concezione della Psicopatologia, come “Scienza Autonoma”, appunto. Una Scienza che prende da altri saperi e concezioni scientifiche per divenire una branca a sé stante delle Scienze Umane e Mediche. In una serrata e totale critica contro la Psichiatria Organicista, di cui la Psicopatologia unicamente descrittiva è divenuta ormai la vassalla, Fabj cerca di rivendicarne non solo l’autonomia, ma anche la assoluta importanza non solo come sapere medico, ma anche e soprattutto come sapere umano che si rivolge all’uomo. Vastissimo spazio è dato alla malattia mentale come manifestazione del Sacro in forma di azione del numinoso e alla impossibilità da parte della psicologia del profondo di fare a meno dei sistemi gnoseologici da cui deriva storicamente,

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ROSSELLA SOFIA BONFIGLIOLI*

Penelope non abita più qui Il corpo dell’assenza nel cuore dell’ombra Persiani Editore, Bologna 2014 ISBN: 978-88-9887-04-0 Pp: 186

€ 16,90

Divenuta leggendaria per la sua fedele attesa del marito, Penelope archetipicamente rappresenta l’ideale di comportamento femminile all’interno del mondo omerico. Ma la sua questione è molto più complessa rispetto al significato che le costruzioni storico-culturali di segno patriarcale dell’Occidente le hanno attribuito. Forse la sua vicenda personale è stata per troppo tempo considerata inesistente perché sconveniente o irrappresentabile. Penelope come donna aveva una sua storia? La dicotomia fra l’immobile paziente attesa di lei e l’agire desiderante e periglioso di Ulisse è proprio vera? C’è inoltre la questione del potere, sullo sfondo del quale tutte le energie si muovono. Il libro invita a riconsiderare Penelope, esplorandone la forma mitopoietica, come “attrice” dell’Odissea, cioè come soggetto differentemente agente, e non come elemento in sordina, oggetto dello sguardo degli uomini e della voce narrante, mettendo a fuoco come essa rappresenti non solo il femminile dell’assenza, ma anche quello della presenza. Si tratta di un percorso attraverso il corpo, l’anima e la mente di una divina Penelope la cui tela si fonde nel mistero: un mistero che diventa con la tessitura creatrice esperienza del sé, spazio sacro non solo dell’attesa, ma dell’essere. Tra mitologia, narrazione e riscoperta antropologica, prende nuova luce e respiro la poesia omerica, che svela una presenza femminile dai tratti forse sconosciuti allo stesso eroe Ulisse, ritenuto da sempre al centro dell’universo.

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FRANCISCO JAVIER FIZ PÉREZROSSANA DELLA STELLA*

Pnesieri in gioco Scenario educativo e dinamiche di sviluppo Persiani Editore, Bologna 2014 ISBN: 978-88-98874-09-5 Pp: 184

€ 16,90

Pensieri in “gioco” è un saggio finalizzato a tradurre l’agire degli eventi educativi in parole, volendo dar voce ai sentimenti, ai pensieri, alla processualità che li accompagna. Il concetto di cura in ambito educativo è il motore che orienta la prassi osservativa, la quale, nello specifico settore applicativo, viene raccolta e rappresentata attraverso la stesura ipotetica di un campo d’azione che si dispiega in ogni routine. Quindi i frammenti osservativi reperibili nell’incontro con la vita mentale infantile fin dal suo esordio, e riportati nel testo in oggetto, servono a far sì che la figura educativa si possa affacciare in essa fruendo di strumenti d’intervento maggiormente articolati. Dal momento che al referente educativo è richiesta l’assunzione di raffinate competenze sul versante pedagogico/relazionale, si ritiene necessario inaugurare dei canali formativi atti a garantire l’acquisizione metodologica corrispondente ai contributi forniti dalla psicologia clinica e dinamica. L’obiettivo che consegue lo scritto è appunto quello di ribadire la potenziale significatività dell’intervento educativo e la possibilità che esso possa trovare sostegno nella cifra dell’intenzionalità e della relativa progettualità finalizzata.

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PIER MARIO BIAVA, DIEGO FRIGOLI E ERVIN LASZLO*

Dal segno al simbolo Il manifesto del Nuovo Paradigma in Medicina Persiani Editore, Bologna 2014 ISBN: 978-88-98874-00-5 Pp: 176

€ 15,90

In quest’opera vengono formulati i princìpi che legano in un modo coerente l’informazione, causa ordinatrice dell’universo, con l’organizzazione della materia vivente, sino all’uomo e alla sua dimensione psicologica e culturale. Dal recupero di questa complessità deriva una nuova prospettiva della salute e della malattia, che grazie all’informazione e al simbolo, può diventare ispiratrice di un nuovo modo di cura veramente “umanizzata”, rispettosa tanto dei princìpi costruttivi dello psicosoma umano quanto della rete di relazioni a cui esso appartiene. * Pier Mario Biava per molti anni professore a contratto presso l’Università di Trieste e primario di Medicina del Lavoro all’Ospedale di Sesto San Giovanni, attualmente lavora presso l’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico MultiMedica di Milano. Da ricercatore studia il rapporto fra cellule staminali e cancro: ha isolato varie proteine presenti nei momenti in cui si differenziano le cellule staminali efficaci nel rallentare la crescita tumorale. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche e di alcuni libri tra cui Il cancro e la ricerca del senso perduto (Springer, 2008).

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Gli allegati de

IL MINOTAURO PROBLEMI E RICERCHE DI PSICOLOGIA DEL PROFONDO

Presentazione del Convegno “Caos apparente. Jung nell’attualità” Cagliari − 26-27-28 Settembre 2014

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PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO CAOS APPARENTE JUNG NELL’ATTUALITÀ Giuliano Corti e Marco Gay Il convegno è frutto del lavoro comune di un gruppo di circa venticinque persone composto da psicologi e psicoterapeuti di varie estrazioni, per quanto principalmente junghiane, di vari tipi di esperienze terapeutiche, di varie età, più o meno dai trent’anni fino ai settanta. L’interesse si è concentrato sulla crisi attuale, partendo dai vari problemi che venivano posti dai partecipanti al gruppo. Uno dei principali temi emersi riguarda l’alterazione di quelli che possono essere definiti tradizionalmente i cicli naturali delle età, la particolare lunghezza dell’infanzia e della prima gioventù. Una relazione in particolare partirà da quello che viene definito il “limbo” di parecchi dei nostri pazienti giovani: la lunghezza della terapia, la dimensione stagnante, un arresto del tempo, una sospensione anche dei conflitti e dell’avventura della vita, la difficoltà dell’investimento erotico, come un impaludimento della libido. Suggerisce questo ristagno una difficoltà di attivazione del simbolico? Forse dopo il miracolo economico degli anni Settanta, col successivo avvento della società dello spettacolo, della preponderanza della comunicazione mediatica si è messo in moto un processo di de-soggettivazione? Si è imposto un modello ingegneristico, che tende a distruggere i progetti individualizzanti? Forse che con la negazione della morte è scomparso anche il conflitto e lo scambio simbolico, come viene suggerito da alcuni con il mito di Sisifo? Parallela alla società dello spettacolo è l’epoca del narcisismo, che però sembra aggrapparsi sempre di più a una sorta di indistinto, di regressiva unione dei contrari, di quello che Lacan definisce “unianismo”. Ma oltre a questa visione che appare sociologicamente fondata, quali movimenti di cambiamento, di evoluzione, possiamo rintracciare nel nostro lavoro? Oltre all’evidente rottura rispetto alle grandi ideologie, l’evidente frammentazione delle tracce psichiche tradizionali, al di là degli arcaismi regressivi, i nostri pazienti continuano a sognare, ad associare, a cercare nuovi modi di essere: la rottura della crisi non provoca quindi soltanto ristagni ma è anche motivo di nuove prese di coscienza, di nuove responsabilizzazioni, di nuovi percorsi della singolarità che, gettata nel disordine mondano, non si contenta di nicchie regressive, ma tenta di battersi in nuovi processi individuativi.

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ABSTRACTS CAOS APPARENTE JUNG NELL’ATTUALITÀ La disabilità: un archetipo dell’ombra – Maria Cristina Butti La paralisi, l’emarginazione, la diversità, la discriminazione, l’isolamento, sono i timori che possono nascere nell’incontro con la disabilità fisica, per un processo d’identificazione. La “deformità” ci porta all’idea di un’incompiutezza, all’indeterminazione identitaria con connotazione negativa, un’incapacità di essere, di divenire, l’incistamento di un’individualità abortita in modo irreparabile. La disabilità fisica, per analogia con la disabilità psichica, può rappresentare per gli altri il simbolo della propria ombra, di quelle parti fragili, peggio ancora malate, proiettate sulla persona con disabilità, determinando un atteggiamento di disagio e allontanamento. Da qui si apre la grande sfida dell’accettazione della propria disabilità, integrando le parti sane con quelle fragili di sé stessi, attraverso un processo di rielaborazione psichica. È noto a tutti che l’altro, e soprattutto il “diverso”, è il bersaglio e il ricettacolo preferito delle nostre proiezioni psicologiche negative. Vale a dire che quella parte di noi che rimuoviamo e rifiutiamo, ma che ci accompagna sempre, se viene rifiutata, respinta e non assimilata dalla coscienza, si ripresenta a noi dall’esterno. L’apparizione in un sogno dell’immagine di una persona su una sedia a rotelle, amputata o in altro modo menomata rappresenta un segnale di qualcosa di negletto di cui ci si deve prendere cura, aprendo così uno spiraglio al processo di riconoscimento di parti d’ombra, e alla loro trasformazione. Anche nelle narrazioni del mito, Efesto, figlio di Era, con una disabilità motoria, ha sempre a che fare direttamente con la bellezza femminile, quella di Venere, come se la deformità del corpo, simbolicamente, aprisse a una serie di bellezze “divine” e quindi psichiche. L’Ombra archetipica ci mette in contatto con il limite dell’essere umano, che se non riconosciuto e accolto, si colora di tonalità negative e discriminanti.

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CURRICULUM RELATORI Maria Cristina Butti – Nata a Firenze nel 1960. Consegue la Laurea in Psicologia, presso l’Università degli Studi di Padova nel 1987, con punti 110/110. Iscritta all’Albo degli Psicologi della Lombardia dal 1999 con il numero 03/5732. È abilitata all’esercizio dell’attività psicoterapeutica ai sensi della L. 56/89. Compie un percorso di formazione in ambito psicoanalitico, ad indirizzo junghiano, attraverso un training di analisi personale della durata di quattro anni. Frequenta, nel 1988, un corso quinquennale di Specializzazione in Psicoterapia ad indirizzo junghiano,presso la sede del G.A.P.A. (Gruppo Autonomo di Psicologia Analitica) di Roma, tenuto dal Dott. Francesco Ranzato, Psichiatra-Psicoterapeuta. Completa il training didattico di controllo con il Dr. Aiello, Psicologo Psicoterapeuta, dal 1992 al 2002. Approfondisce la formazione in ambito psicoanalitico attraverso la partecipazione a seminari, presso il G.A.P.A. di Bologna, fra cui uno dal titolo Il gioco della sabbia tenuto dal Prof. Martin Kalff nel 1988; attraverso la partecipazione a convegni, in qualità di relatrice, fra i quali uno dal titolo “Desiderio di gravidanza e desiderio di maternità: vissuti conflittuali nel femminile”, presentata al Convegno dal titolo “Grandi Madri: ieri, oggi e nel futuro” organizzato dal SISMER (Società Italiana di Medicina della Riproduzione) di Bologna, nell’ Ottobre 2010. È socio-fondatore dell’Associazione ALBA (Associazione di Ricerca in Psicologia Analitica) costituita a Bologna nel 2003. Svolge attività annuale di docenza, nelle materie di Psicologia Analitica e Mitologia,dal 2005 a tutt’oggi, presso la Scuola AION a Bologna, Corso quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia a orientamento junghiano. Giuliano Corti – Nato a Como nel 1948. Si è laureato in Filosofia Teoretica all’Università Statale di Milano e ha poi frequentato la Scuola di Perfezionamento di Filosofia dell’Università di Pavia. Docente di Epistemologia alla Libera Scuola di Terapia Analitica di Milano. Ha pubblicato sui Quaderni di Metis, editi da Moretti & Vitali: Sostantivo tempo (1996), in “Regola e Trasgressione nello spazio analitico” ; Ermeneutica e Labirinto. Valenze spirituali dello spazio (1998), in “Clinica Junghiana”; Guerra non Guerra (1999), in “Obiettivo Kossovo”; La Parola che racconta (2003), in “Là dove il mito vive”; un suo contributo, In principio fu il timore(2013), è stato pubblicato in Nietzsche nella lettura di Jung. Docente di Sceneggiatura non Lineare all’Istituto Europeo Design di Milano. Scrive sceneggiature per film; documentari d’arte e docu-film per la televisione; testi per il teatro e libretti d’opera. Lavora come consulente di comunicazione per aziende, studi di grafica e design, agenzie pubblicitarie e case di produzione video.

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BOLOGNA

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