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Etica Comunista 2010-2011 Raccolta in collaborazione con
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Prefazione “Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” (Marx) Da diversi anni si dice che con la fine del ’900 sono finite anche le ideologie che avevano mosso la storia dell’umanità, quanto meno dalla rivoluzione francese della fine ’700 a quella, un poco minore, del maggio francese del 1968. Non è così: non sono le ideologie da essere morte, ciò che è morta, o almeno è fortemente decaduta negli ultimi 40 anni, è la cultura intesa nel senso più vasto di capacità di conoscenza che conduce alla consapevolezza del presente reale, dalla quale possono nascere e sulla quale possono concretamente fondarsi le ideologie. “Le idee - ci insegna Gramsci - non nascono da altre idee, le filosofie non sono partorite da altre filosofie, esse sono l'espressione rinnovata dello sviluppo storico. Le forze materiali non sarebbero concepibili storicamente senza forma, e le ideologie sarebbero ghiribizzi individuali senza le forze materiali”. Il materialismo scientifico, elaborato nella sua forma compiuta da Marx, ha ribaltato la concezione idealistica della storia dell’umanità teorizzata da Hegel e, figurativamente, l’ha capovolta mettendo l’uomo con i piedi in terra e la testa in alto; al di sotto la “struttura”, cioè la realtà materiale, al di sopra la “sovrastruttura”, cioè l’ideologia, il mondo delle idee. “In realtà, nel mondo, - ci insegna Mao - libertà e democrazia non possono esistere in astratto, ma solo in concreto. Sia la democrazia che la libertà sono relative e non assolute: esse sono apparse e si sono sviluppate in condizioni storiche definite”. Per progettare un futuro diverso occorre, dunque, conoscere prima il presente attuale, i suoi meccanismi e le sue regole di funzionamento, i suoi punti di forza e di debolezza; ma per realizzare concretamente quel futuro diverso occorre entrare in quel presente attuale reale, appropriarsi delle sue conoscenze e dei suoi strumenti di potere per cambiarne da dentro la natura e trasformare una società ingiusta in una equa e umana. Il marxismo-leninismo ha svelato i fondamenti del potere di dominio della società capitalista individuandoli nel mecca-
nismo dell’accumulazione del capitale basato sullo sfruttamento del lavoro umano. Per “abolire” l’aberrazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, fonte di tutte le ingiustizie, occorre dunque incidere sui meccanismi di produzione della ricchezza e del suo rovescio, la povertà. “Il socialismo ci insegna Guevara - non è una società di beneficenza, non è un regime utopico basato sulla bontà dell'uomo come uomo. Il socialismo è un sistema sociale che si basa sull'equa distribuzione delle ricchezze della società, ma a condizione che tale società abbia ricchezze da spartire. Nella misura in cui aumentiamo quei prodotti per distribuirli fra tutta la popolazione andiamo avanzando nella costruzione del socialismo”. Quale disciplina scientifica il comunismo, o meglio, il marxismo-leninismo, non ha un modello di attuazione unico e universale, ma cambia e si sviluppa adattandosi, nel tempo e nello spazio, alle realtà concrete nelle quali si trova ad operare. Essere comunisti significa, dunque, non solo possedere un’ideologia di giustizia, equità e solidarietà, ma anzitutto appropriarsi degli strumenti di conoscenza per penetrare nelle singole diverse realtà contingenti per indirizzarne il cambiamento verso la nuova società degli uguali, che tali potranno essere solo a condizione di poter godere di mezzi materiali in grado di assicurare concretamente, in questo mondo unico e reale, la piena soddisfazione dei loro bisogni e desideri. La Repubblica dei Soviet del 1917, il movimento spartachista tedesco e i consigli di fabbrica italiani del 1921, le guerre di liberazione e le guerriglie rivoluzionarie dall’estremo oriente al centro e sud America, lo zapatismo messicano, il maoismo nepalese e indiano, il compromesso storico italiano e la società armoniosa cinese, e così via tante altre, sono tutte espressioni concrete e contingenti di un unico “movimento reale” proteso ad abolire “lo stato di cose presente”. La selezione dei testi, che abbiamo tratto dai precedenti numeri del mensile “Piazza del Grano”, vuole offrire uno spaccato di questa ricchezza, così diversa nelle sue concrete attuazioni, eppure così uguale, unica e unitaria nel progetto della costruzione della società futura comunista.
Enrico BERLINGUER
L’etica comunista Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono pag. 3 farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma
interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. La que-
stione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude. Il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industrializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. Quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intol- pag. 5 lerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.
Antonio GRAMSCI
Odio gli indifferenti Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi,che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia brutta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva,e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era attivo e chi era indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano, se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo; perché mi da fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fata- pag. 7 lità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacri-
ficano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. Margini Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l'accorgerti che ha un po', o molto, di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire. Le diserzioni dal socialismo di molti cosiddetti intellettuali (a proposito: intellettuale vuol sempre dire intelligente?) sono diventate per gli sciocchi la miglior prova della povertà morale della nostra idea. Il fatto è che fenomeni simili sono avvenuti e avvengono per il positivismo, per il nazionalismo, per il futurismo, e per tutti gli altri “ismi”. Ci sono i crisaioli, le animucce sempre in cerca di un punto fermo, che si buttano sulla prima idea che si presenti con l'apparenza di poter diventare un ideale e se ne nutrono fino a quando dura lo sforzo per impossessarcene. Quando si è arrivati alla fine dello sforzo e ci si accorge (ma questo è effetto della poca profondità spirituale, del poco ingegno, in fondo) che essa non basta a tutto, che ci sono problemi la cui soluzione (se pur esiste) è fuori di quella ideologia (ma forse è ad essa coordinata in un piano superiore), ci si butta su qualche altra cosa che sia una verità, che rappresenti ancora un incognito e quindi presenti probabilità di soddisfazioni nuove. Gli uomini cercano sempre fuori di sé la ragione dei propri fallimenti spirituali; non vogliono convincersi che la causa ne è sempre e solo la loro animuccia, la loro mancanza di carattere e di intelligenza. Ci sono i dilettanti della fede, così come i dilettanti del sapere. Le anime vergini degli uomini di campagna, quando si convincono di una verità, si sacrificano per essa, fanno tutto il possibile per attuarla. Chi si è convertito, è sempre un relativista. P referisco che al movimento si accosti un contadino più che un professore d'università.
Umberto TERRACINI
Un grande partito Io ho sempre pensato che al singolo, per alto che sia il suo ingegno e per quanto grande sia la sua capacità di agire, non è dato di incidere sulla realtà se non si unisce agli affini, ai simili, agli uguali. Ove la si voglia dirigere e mutare, e questo è l’animus del politico, è al collettivo, al ‘politico’, come oggi si dice, che bisogna rivolgersi. Per questo ho sempre voluto restare nell’ambito di una forza organizzata nella quale, e per il cui tramite, il mio pensiero potesse divenire azione efficiente. E anche quando ho dissentito da certe posizioni del partito ho evitato sempre di farmi trascinare, per amore delle mie idee, a tali passi che mi portassero a staccarmene definitivamente. In questo caso, salvaguardate che io avessi le mie idee, le avrei insieme condannate alla sterilità, all’impotenza. Avrei cioè tradito la mia natura di militante. Al dunque, non avrei neppure salvato la mia coscienza. Questa è la chiave della comprensione della mia condotta. Non ho mai voluto e non voglio essere un pensatore solitario, non amo il destino delle anime belle. So che per realizzare anche solo in parte il mio pensiero, per dargli concretezza, devo innestarlo in quello, operante, di una grande forza della cui validità, alla distanza, non ho mai dubitato e non dubito. D’altronde, le mie radici affondano nello stesso terreno ideologico dal quale il partito trae nutrimento, e ciò mi dà garanzia che, pur nell’autonomia dell’elaborazione, un incontro alla fine tornerà a esserci. Ecco perché, se potessi rivivere la mia vita di militante, non batterei strada diversa. E d’altronde non credo che i compagni, ormai, me lo chiederebbero.
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Ernesto GUEVARA
Se tremi per l'indignazione davanti alle ingiustizie, allora sei mio fratello Quando si sogna da soli è un sogno, quando si sogna in due comincia la realtà. Se io muoio non piangere per me, fai quello che facevo io e continuerò vivendo in te. Non serve a niente lo sforzo isolato, lo sforzo individuale, la purezza degli ideali, l’anelito a sacrificare tutta una vita al più nobile degli ideali, se tale sforzo lo si compie da soli. La vera rivoluzione deve cominciare dentro di noi [...] Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi, e sono coerente con quello che credo. Molti mi diranno avventuriero, e lo sono; soltanto che lo sono di un tipo differente: di quelli che rischiano la pellaccia per dimostrare le loro verità. Può darsi che questa sia l’ultima volta, la definitiva. Non la cerco, ma rientra nel calcolo delle probabilità [...] Che importano i pericoli o i sacrifici di un uomo o di un popolo, quando è in gioco il destino dell’umanità? Ogni nostra azione è un grido di guerra contro l’imperialismo, è un appello vibrante all’unità dei popoli contro il grande nemico del genere umano: gli Stati Uniti d’America. In qualunque luogo si sorprenda la morte, che sia benvenuta, purché il nostro grido di guerra giunga a un orecchio ricettivo, e purché un’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi e altri uomini si apprestino a intonare canti luttuosi con il crepitio delle mitragliatrici e nuove grida di guerra e di vittoria. Chi è moralmente impressionato dal potere non ha mai umor critico e non sarà mai un carattere rivoluzionario. Il carattere rivoluzionario è capace di dire di no. O, per dirla in altri termini, il carattere rivoluzionario è un individuo capace di disobbedienza. E’ qualcuno per cui la disobbedienza non può essere una virtù. Il socialismo non può esistere se nelle coscienze non si opera una trasformazione che determini un nuovo atteggiamento di fratellanza nei confronti dell’umanità. Chi ha detto che il Marxismo sia la rinuncia ai sentimenti umani, al cameratismo, all’amore per il compagno, al ri- pag. 11 spetto per il compagno? Chi ha detto che il marxismo sia non avere anima, non avere sentimenti? Fu precisamente
l’amore per l’uomo quello che generò il marxismo, fu l’amore per l’uomo, per l’umanità, il desiderio di combattere l’infelicità del proletariato, il desiderio di combattere la miseria, l’ingiustizia, il calvario e lo sfruttamento. Il dovere di un rivoluzionario è quello di fare la rivoluzione, però non è da rivoluzionari sedersi davanti alla porta di casa aspettando che passi il cadavere dell’imperialismo. Il ruolo di Giobbe si concilia male con il ruolo di rivoluzionario. Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso, preferisco morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio. Ideario La prima cosa che deve fare un rivoluzionario che scrive la storia è tenersi aderente alla verità come un dito in un guanto. La Rivoluzione si fa attraverso l'uomo, ma l'uomo deve forgiare giorno per giorno il suo spirito rivoluzionario. A volte noi rivoluzionari siamo soli, perfino i nostri figli ci guardano come si guarda un estraneo. I dirigenti della Rivoluzione hanno figli che ai loro primi balbettii non imparano a chiamare il padre; mogli che devono essere parte del sacrificio generale della loro vita per portare la Rivoluzione alla sua destinazione; la cerchia degli amici corrisponde rigidamente alla cerchia dei compagni della Rivoluzione. Non esiste vita al di fuori di essa. L'uomo che va avanti spinge gli altri a raggiungerlo, attira gli altri verso il suo livello molto più di colui che da dietro spinge solo con la parola. Il miglior indottrinamento rivoluzionario che possa esistere è mostrare, per via d'esempio, il cammino del compimento del dovere. Noi siamo il presente che sta costruendo l'avvenire per i nostri figli e sempre dobbiamo guardare in avanti, verso l'avvenire e distruggere anche il più piccolo rimasuglio del passato al massimo. Le cose più banali e più noiose si trasformano, sotto l'egida dell'interesse, dello sforzo interiore dell'individuo, dell'approfondimento della sua coscienza, in cose importanti e sostanziali, in qualcosa che non può smettere di fare senza sentirsi male: in ciò che si chiama sacrificio. E il non fare il sacrificio si converte per un rivoluzionario nel ve-
ro sacrificio. In questo periodo di costruzione del socialismo possiamo vedere l'uomo che sta nascendo. La sua immagine non è ancora finita; non potrà esserlo mai poiché il processo cammina parallelamente allo sviluppo di forme economiche nuove. ... Dobbiamo lavorare per il nostro perfezionamento interno quasi come un'ossessione, come una pulsione costante; ogni giorno analizzare onestamente ciò che abbiamo fatto, correggere i nostri errori e tornare a incominciare il giorno appresso. Noi socialisti siamo più liberi perché siamo più integri; siamo più integri perché siamo più liberi. Non è solo lavoro la costruzione del socialismo, non è solo coscienza la costruzione del socialismo: è lavoro e coscienza, sviluppo della produzione, sviluppo dei beni materiali mediante il lavoro e sviluppo della coscienza. Sempre abbiamo definito il socialismo come la creazione dei beni materiali per l'uomo e lo sviluppo della coscienza; e in questo compito della creazione dei beni materiali è imprescindibile la cifra della produttività del lavoro. La tecnica è la base perché l'industria possa svilupparsi e l'industria, che fa la produzione, è la base del socialismo. Il socialismo è un fenomeno economico e anche un fenomeno di coscienza, ma deve realizzarsi sulla base della produzione. Senza una produzione importante non c'è socialismo. Stiamo costruendo il socialismo, dobbiamo dare alla gente secondo il suo lavoro. Il socialismo non è una società di beneficenza, non è un regime utopico basato sulla bontà dell'uomo come uomo. Il socialismo è un regime al quale si arriva storicamente e che ha come base la socializzazione dei beni fondamentali di produzione e l'equa distribuzione delle ricchezze della società, entro un ambito in cui vi sia produzione di tipo sociale. Il socialismo è un sistema sociale che si basa sull'equa distribuzione delle ricchezze della società, ma a condizione che tale società abbia ricchezze da spartire, che vi siano macchine per lavorare e che quelle macchine abbiano materie prime per produrre quanto è pag. 13 necessario per il consumo della nostra popolazione. E nella misura in cui aumentiamo quei prodotti per distribuirli fra
tutta la popolazione andiamo avanzando nella costruzione del socialismo. La Rivoluzione non è, come pretendono alcuni, standardizzatrice della volontà collettiva, dell'iniziativa collettiva, ma esattamente tutto il contrario, è liberatrice della capacità individuale dell'uomo. Non dobbiamo avvicinarci al popolo per dire: "Siamo qui. Veniamo a farti la carità della nostra presenza, a insegnarti con la nostra scienza, a dimostrarti i tuoi errori, la tua incultura, la tua mancanza di nozioni elementari". Dobbiamo andare con ansia di ricerca e con umiltà di spirito a imparare da quella gran fonte di sapienza che è il popolo. Il proletariato non ha sesso: è l'insieme di tutti gli uomini e donne che, in tutti i luoghi di lavoro del paese, lottano conseguentemente per uno scopo comune. Non il lavoro soltanto ci permetterà, mediante la concrezione dei prodotti, di costruire il socialismo e impiantare la società socialista; contemporaneamente al lavoro deve anche esistere l'approfondimento della coscienza, l'approfondimento dei motivi ideologici che portano il lavoratore a difendere la sua Rivoluzione, a lanciarla in avanti e a farne un esempio per tutti. Non possiamo ricorrere al metodo di occultare i nostri errori perché non si vedano. Non sarebbe né onesto né rivoluzionario. Anche dai nostri errori si può imparare; dai nostri errori potranno imparare tutti i nostri compagni d'America e di altri paesi d'Asia e d'Africa che lottano per la loro indipendenza. Essere apolitici significa stare alle spalle di tutti i movimenti del mondo, alle spalle di chi sarà presidente o mandatario della nazione di cui si tratti, è stare alle spalle della costruzione della società o della lotta perché la società nuova che si annuncia non sorga e in ognuno dei due casi si è politici.
MAO ZEDONG
Difendere la verità e correggere gli errori concorda con gli interessi del popolo Il comunista deve essere sempre pronto a difendere fermamente la verità, perché la verità sempre concorda con gli interessi del popolo. E sarà sempre pronto a correggere i propri errori, perché l'errore va sempre contro gli interessi del popolo. In ogni cosa, un comunista deve sempre domandarsi il perché; deve riflettere con ponderazione e maturità intellettuale, vedere se tutto è conforme alla realtà e fondato sulla verità. In nessun caso, deve seguire ciecamente gli altri e incitare alla sottomissione servile all'opinione altrui. I comunisti debbono essere modelli di senso pratico e di previdenza. Giacché solo il senso pratico permetterà loro di assolvere i compiti ad essi assegnati e solo la previdenza gli impedirà di deviare dal cammino del progresso. I comunisti debbono dimostrare grande lungimiranza, abnegazione, fermezza e la capacità di comprendere la situazione senza preconcetti, appoggiarsi sulla maggioranza delle masse e guadagnarsene l'appoggio. I comunisti devono essere di esempio anche nello studio; giorno per giorno si istruiranno a contatto con le masse, educandole. In un movimento di massa, un comunista si comporterà da amico delle masse e non da superiore, da maestro che istruisce instancabilmente e non da burocrate della politica. I comunisti non debbono mai tagliarsi fuori dalla maggioranza del popolo e, dimenticandosi di essa, andare alla ventura capeggiando qualche minoranza avanzata; ma staranno attenti a stabilire stretti legami tra gli elementi avanzati e la grande massa del popolo. Ecco cosa vuol dire pensare alla maggioranza. Noialtri comunisti, siamo come il seme e il popolo è come la terra. Dovunque andiamo, dobbiamo unirci al popolo, radicarci e fiorire in mezzo al popolo. Un comunista non deve mai considerarsi infallibile, darsi arie, pensare che da noi tutto è bene e che tra gli altri tutto è male. Non deve chiudersi nel proprio guscio, fare il presuntuoso, comportarsi pag. 15 da tiranno. I comunisti hanno il dovere di ascoltare l'opinione dei non comunisti, hanno il dovere di permettere agli al-
tri di pronunciarsi. Se quel che loro dicono è giusto, noi applaudiremo e accetteremo tutto ciò che vi è di positivo. Se dicono cose non giuste, noi dobbiamo ugualmente permettergli di esprimersi, e poi gli spiegheremo pazientemente in che cosa hanno torto. I comunisti non devono mettere in disparte coloro che hanno commesso errori nel loro lavoro, a meno proprio che si tratti di incorreggibili; useranno invece la persuasione, per aiutare chi ha sbagliato a correggersi e a trasformarsi. Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo In realtà, nel mondo, libertà e democrazia non possono esistere in astratto, ma solo in concreto. In una società in cui vi è lotta di classe, se le classi sfruttatrici hanno la libertà di sfruttare i lavoratori, i lavoratori non hanno la libertà di non subire lo sfruttamento. Se vi è democrazia per la borghesia, non vi è democrazia per il proletariato e per i lavoratori. In alcuni paesi capitalisti è tollerata l’esistenza legale di partiti comunisti, ma soltanto nella misura in cui questi non ledono gli interessi fondamentali della borghesia; quando si va oltre questo limite, la loro esistenza non è più tollerata. Coloro che rivendicano libertà e democrazia in astratto, considerano la democrazia come un fine e non come un mezzo. A volte sembra che la democrazia sia un fine, ma in realtà non è che un mezzo. Il marxismo ci indica che la democrazia fa parte della sovrastruttura e che essa appartiene alla categoria della politica. Questo significa che in fin dei conti essa serve la base economica. Lo stesso è per la libertà. Sia la democrazia che la libertà sono relative e non assolute: esse sono apparse e si sono sviluppate in condizioni storiche definite. All’interno del popolo la democrazia è in rapporto al centralismo, la libertà è in rapporto alla disciplina. Si tratta, in entrambi i casi, di aspetti contraddittori di un insieme unitario; tra di essi esiste contraddizione e, nello stesso tempo, unità; noi non dobbiamo accentuare unilateralmente uno di questi aspetti negando l’altro. All’interno del popolo
non può mancare la libertà come non può mancare la disciplina; non può mancare la democrazia come non può mancare il centralismo. Questa unità di libertà e disciplina, di democrazia e centralismo costituisce il nostro centralismo democratico. Con un regime di questo tipo il popolo gode di un’ampia democrazia e di un’ampia libertà, ma nello stesso tempo deve autolimitarsi con una disciplina socialista. Queste ragioni, le larghe masse popolari le comprendono molto bene. Prendere posizione a favore di una libertà che abbia una direzione e di una democrazia sotto una direzione centralizzata, non significa in alcun modo che i problemi ideologici e i problemi della distinzione tra la ragione e il torto in seno al popolo possono essere risolti con misure coercitive. Tutti i tentativi di risolvere le questioni ideologiche e le questioni della ragione e del torto con ordini amministrativi o con misure costrittive sono non soltanto inefficaci, ma anche nocivi. Non possiamo abolire la religione per mezzo di ordini amministrativi, né obbligare la gente a non crederci. Non possiamo obbligare la gente a rinunciare all’idealismo, così come non possiamo obbligarla ad abbracciare il marxismo. Tutte le questioni di carattere ideologico e tutte le controversie in seno al popolo possono essere risolte solo con metodi democratici, con i metodi della discussione, della critica, della persuasione e dell’educazione; non possono essere risolte con metodi coercitivi e repressivi ... Molti ritengono che l’impiego di metodi democratici per risolvere le contraddizioni in seno al popolo costituisca qualcosa di nuovo. In realtà non è così. I marxisti hanno sempre sostenuto che la causa del proletariato deve poggiare sulle masse popolari e che i comunisti devono impiegare i metodi democratici della persuasione e dell’educazione quando hanno a che fare con i lavoratori e che non devono per nessuna ragione fare ricorso all’autoritarismo o alla costrizione. Il Partito comunista cinese osserva scrupolosamente questo principio marxista-leninista ... La realizzazio- pag. 17 ne della linea “che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino”, non indebolirà ma rafforzerà il ruolo
dirigente del marxismo in campo ideologico. Quale deve essere la nostra linea nei confronti delle idee non marxiste? Per quanto riguarda i controrivoluzionari dichiarati e i sabotatori della causa del socialismo è semplice: togliamo loro la libertà di parola. La questione è diversa quando invece ci troviamo di fronte a idee errate nel popolo. Sarebbe giusto bandire queste idee e non dar loro la possibilità di esprimersi? No di certo. Applicare metodi semplicistici per risolvere le questioni ideologiche in seno al popolo, le questioni legate alla vita intellettuale dell’uomo, non è soltanto inefficace, ma estremamente controproducente. Si può vietare che le idee sbagliate siano espresse, ma le idee rimarranno sempre. Quanto poi alle idee giuste, se le si coltiva in serra, non le si espone mai al vento e alla pioggia e non si immunizzano nei confronti delle malattie, esse non riusciranno a trionfare nello scontro con le idee sbagliate. Quindi soltanto con il metodo della discussione, della critica e del ragionamento possiamo realmente far progredire le idee giuste, togliere di mezzo quelle sbagliate e risolvere effettivamente i problemi. Principi ed elasticità “Una politica basata sui principi è la sola politica corretta”: questo è un noto precetto di Lenin. Se il marxismo ha potuto sconfiggere correnti ideologiche opportuniste di tutte le sfumature e diventare predominante nel movimento operaio internazionale, è precisamente perché Marx ed Engels hanno perseverato in una politica basata sui principi. Se il leninismo ha potuto continuare a sconfiggere tutte le varie correnti ideologiche revisioniste e opportuniste, guidare la Rivoluzione d’Ottobre alla vittoria e diventare predominante nel movimento operaio internazionale nella nuova era, è precisamente perché Lenin e poi Stalin hanno portato avanti la causa di Marx ed Engels, hanno perseverato in una politica basata sui principi. Che cosa significa una politica basata sui principi? Significa che ogni politica che noi avanziamo e decidiamo deve essere basata sulla posizione di classe del
proletariato, sugli interessi fondamentali del proletariato, sulla teoria del marxismoleninismo. Il partito del proletariato non deve limitare la sua attenzione agli interessi immediati, oscillare al vento e abbandonare gli interessi fondamentali. Esso non deve semplicemente sottomettersi al corso immediato degli eventi, approvando o difendendo una cosa oggi e un’altra domani e mercanteggiando principi come se fossero merci. In altre parole, il partito del proletariato deve mantenere la propria indipendenza politica, distinguersi, ideologicamente e politicamente, da tutte le altre classi e dai loro partiti rispettivi. Mentre si attiene alla politica basata sui principi, il partito del proletariato deve anche agire con una certa elasticità. Nella lotta rivoluzionaria è sbagliato negare la necessità di agire secondo le circostanze o respingere vie indirette di avanzata. La differenza tra i marxisti-leninisti da una parte e gli opportunisti e i revisionisti dall’altra è questa: i marxisti-leninisti sono per l’elasticità nel realizzare una politica basata sui principi, mentre gli opportunisti e i revisionisti praticano un’elasticità che è in realtà l’abbandono dei principi politici. L’elasticità basata sui principi non è opportunismo. Il compromesso è una questione importante nell’esercizio dell’elasticità. I marxisti-leninisti l’affrontano nel modo seguente: essi non respingono mai alcun necessario compromesso che serva gli interessi della rivoluzione, vale a dire compromesso basato sui principi, ma essi non tollereranno mai un compromesso che equivalga a un tradimento, vale a dire un compromesso senza principi. Direttiva alle Guardie Rosse Compagni Guardie rosse della Scuola media dell’università Chinghua, ho ricevuto sia i manifesti a grandi caratteri che mi avete mandato il 28 luglio che la lettera in cui mi chiedete una risposta. I due manifesti a grandi caratteri che avete scritto il 24 giugno e il 4 luglio esprimono la vostra rabbia e pag. 19 denunciano di tutti i proprietari terrieri, i borghesi, gli imperialisti, i revisionisti e i loro lacchè che sfruttano e oppri-
mono gli operai, i contadini, gli intellettuali rivoluzionari e i gruppi e i partiti rivoluzionari. Voi dite che è giusto ribellarsi contro i reazionari e io vi sostengo con entusiasmo. Io sostengo con entusiasmo anche il manifesto a grandi caratteri del Gruppo di combattimento Bandiera rossa della Scuola media dell’università di Pechino in cui si dice che è giusto ribellarsi contro i reazionari; sostengo anche l’ottimo discorso rivoluzionario tenuto dal compagno Peng Hsiaomeng rappresentante del Gruppo di combattimento Bandiera rossa alla grande riunione del 25 luglio cui hanno partecipato tutti gli insegnanti, gli studenti, il personale amministrativo e i lavoratori dell’università di Pechino. Qui voglio dirvi che io stesso, come tutti i miei compagni d’arme rivoluzionari, abbiamo assunto lo stesso atteggiamento. Io darò il mio entusiastico sostegno a tutti coloro che, ovunque si trovino, a Pechino o in qualsiasi altra parte della Cina, assumeranno un atteggiamento simile al vostro nel movimento della Rivoluzione culturale. Un’altra cosa: mentre vi sosteniamo, vi chiediamo nel contempo di tenere presente la necessità di unirvi con tutti coloro con i quali è possibile farlo. Per quanto riguarda coloro che hanno commesso gravi errori, dopo avere denunciato questi errori, voi dovreste offrir loro una via d’uscita, dando loro un lavoro da svolgere in modo che possano correggere i propri errori e diventare uomini nuovi. Marx ha detto che il proletariato non deve emancipare solo se stesso ma tutto il genere umano. Se non riuscirà a emancipare tutto il genere umano, allora il proletariato non sarà in grado di emancipare neppure se stesso. Prego i compagni di tener presente anche questa verità.
Karl MARX
La teoria non trova mai la sua realizzazione nel popolo, se non quando essa realizza i bisogni di questo popolo L'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressi ed oppressori sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta. Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Il proletariato si servirà del suo dominio politico per togliere gradualmente dalle mani della borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante e per accrescere con la più grande celerità possibile la massa delle forze produttive Se il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e un potere estraneo gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene ad un altro estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui un pag. 21 tormento, deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. Non già gli dèi, non la natura,
ma soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra dell’uomo. La “liberazione” è un atto storico, non un atto ideale, ed è attuata da condizioni storiche, dallo stato dell’industria, del commercio, dell’agricoltura, delle relazioni. In realtà per il materialista pratico, cioè per il comunista, si tratta di rivoluzionare il mondo esistente, di metter mano allo stato di cose incontrato e di trasformarlo. L'ordinamento comunistico della società farà del rapporto fra i due sessi un semplice rapporto privato che riguarderà solo le persone che vi partecipano, e nel quale la società non ha da ingerirsi. Potrà farlo perché elimina la proprietà privata ed educa in comune i bambini, distruggendo così le due fondamenta del matrimonio come si è avuto finora; la dipendenza della donna dall'uomo e dei figli dai genitori dovuta alla proprietà privata. Qui sta anche la risposta alle strida dei filistei moralisti contro la comunanza comunista delle donne. La comunanza delle donne è una situazione legata totalmente alla società borghese e che oggigiorno esiste in pieno nella prostituzione. Ma la prostituzione poggia sulla proprietà privata e cade con essa. Dunque, l'organizzazione comunista, anziché introdurre la comunanza delle donne, la abolisce invece. La critica della religione è il presupposto di ogni critica L'esistenza profana dell'errore è compromessa dacché è stata confutata la sua celeste oratio pro aris et focis. L'uomo il quale nella realtà fantastica del cielo, dove cercava un superuomo, non ha trovato che l'immagine riflessa di se stesso, non sarà più disposto a trovare soltanto l'immagine apparente di sé, soltanto il non-uomo, là dove cerca e deve cercare la sua vera realtà. Il fondamento della critica irreligiosa è: l'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell'uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l'uomo non è un essere astratto, posto fuori del mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, Stato, società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza
capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point d'honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne compimento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell'essenza umana, poiché l'essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l'aroma spirituale. La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola. La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso. È dunque compito della storia, una volta scomparso l'al di là della verità, quello di ristabilire la verità dell'al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell'autoestraneazione umana, quello di smascherare l'autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della pag. 23 terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.
Vladimir LENIN
La Nuova politica economica “NEP” Compagni! Intendo dedicare questo rapporto alla “Nuova politica economica”... la nostra precedente politica economica, se non possiamo dire che calcolava (in quella situazione in generale c'era ben poco da calcolare), per lo meno in una certa misura supponeva (e si può dire, supponeva avventatamente) che si sarebbe passati direttamente dalla vecchia economia russa alla produzione di Stato e alla distribuzione su basi comuniste. All'inizio del 1918 noi calcolavamo che ci sarebbe stato un periodo di edificazione pacifica. Sembrava che con la conclusione della pace di Brest il pericolo si fosse allontanato e che fosse possibile accingerci all'edificazione pacifica. Ma ci sbagliavamo, poiché nel 1918 fummo investiti da una vera minaccia di carattere militare che durò fino al 1920. In parte sotto l'influenza degli impellenti problemi di carattere militare e della situazione, apparentemente disperata, nella quale si trovava la repubblica alla fine della guerra imperialistica, noi commettemmo l'errore di voler passare direttamente alla produzione e alla distribuzione su basi comuniste. Decidemmo che i contadini ci avrebbero fornito il pane necessario attraverso il sistema dei prelevamenti, e noi a nostra volta lo avremmo distribuito agli stabilimenti e alle fabbriche, ottenendo così una produzione e una distribuzione a carattere comunista... Dico disgraziatamente, poiché una breve esperienza ci ha convinti dell'impostazione sbagliata di questo piano... E la Nuova politica economica consiste sostanzialmente proprio nel fatto che su questo punto abbiamo subito una grave sconfitta e iniziato una ritirata strategica, ma finché non ci hanno sconfitti definitivamente torniamo indietro e ricostruiamo tutto daccapo, ma più solidamente!... Il sistema dei prelevamenti nelle campagne, questo metodo comunista di affrontare direttamente i problemi dell'edificazione nelle città, ha ostacolato il progresso delle forze produttive ed è stato la causa pag. 25 prima della profonda crisi economica e politica che abbiamo attraversato nella primavera del 1921. Ecco perché si è
reso necessario quel che, dal punto di vista della nostra politica, può essere definito soltanto come una ritirata... Il problema principale, dal punto di vista della Nuova politica economica, consiste nel saper approfittare della nuova situazione con la massima rapidità. Nuova politica economica significa sostituire ai prelevamenti un'imposta, significa passare in misura notevole alla restaurazione del capitalismo. In quale misura ancora non sappiamo. Le concessioni ai capitalisti stranieri, gli appalti ai capitalisti privati, questo è per l'appunto un vero e proprio ritorno al capitalismo, ed è legato alle radici della Nuova politica economica, giacché l'abolizione dei prelevamenti significa per i contadini il libero commercio dell'eccedenza dei prodotti agricoli non assorbiti dall'imposta (e l'imposta assorbe soltanto una piccola parte dei prodotti). I contadini costituiscono una parte enorme di tutta la popolazione e di tutta l'economia, e perciò sulla base di questo libero commercio non può non svilupparsi il capitalismo. Si tratta qui delle nozioni economiche più semplici insegnate dalla scienza economica più elementare... Il problema fondamentale consiste, dal punto di vista strategico, nel vedere chi saprà approfittare prima di questa nuova situazione. Tutto il problema sta nel vedere chi seguiranno i contadini, se seguiranno il proletariato che si sforza di costruire una società socialista, oppure il capitalismo che dice: «Torniamo indietro, è più sicuro, altrimenti con questa trovata del socialismo, chissà dove si va a finire!»... Per proletariato s'intende la classe occupata nella produzione dei beni materiali nelle imprese della grande industria capitalistica. Dato che la grande industria capitalistica è stata distrutta, dato che si sono fermati gli stabilimenti e le fabbriche, il proletariato è scomparso... La rinascita del capitalismo significherà la rinascita della classe proletaria, occupata nella produzione di beni materiali utili alla società, occupata a lavorare nelle grandi fabbriche meccaniche... Ora la borghesia di tutto il mondo sostiene la borghesia russa, che è ancora molto più forte di noi. Questo non ci deve far cade-
re nel panico, poiché anche le loro forze militari erano superiori alle nostre e tuttavia non sono bastate per schiacciarci in guerra, benché in guerra schiacciarci fosse molto più facile... Tuttavia non ci sono riusciti, perché la coscienza del loro torto e della giustezza della nostra causa era penetrata anche nelle masse dei soldati inglesi sbarcati ad Arcangelo, nelle masse di quei marinai che costrinsero la flotta francese a lasciare Odessa. Ora ci troviamo di fronte a forze che, come prima, sono più potenti di noi. E per vincere dobbiamo ricorrere all'ultima fonte di forza rimastaci, che è la massa degli operai e dei contadini, il loro livello di coscienza, il loro grado di organizzazione. O il potere proletario organizzato, gli operai d'avanguardia e una piccola parte di contadini d'avanguardia comprenderanno questo compito e sapranno organizzare intorno a sé un movimento di popolo, e allora usciremo vincitori. O non sapremo fare questo e allora il nemico, meglio armato dal punto di vista tecnico, inevitabilmente ci sconfiggerà... La dittatura del proletariato è una guerra accanita. Il proletariato ha vinto in un paese, ma rimane ancora debole sul piano internazionale... Noi pensavamo che a un cenno dei comunisti si sarebbero potute effettuare la produzione e la distribuzione in un paese che ha un proletariato declassato. Dovremo modificare tale stato di cose perché altrimenti non potremo far capire al proletariato in che cosa consiste questo passaggio. Nella storia non ci si era ancora mai trovati di fronte a problemi simili. Abbiamo tentato di risolvere questo problema nel modo più diretto, con un attacco frontale, ma abbiamo subito una sconfitta. Sbagli di questo genere se ne fanno in tutte le guerre. Quando l'attacco frontale non riesce, si tenta l'aggiramento, si ricorre all'assedio e alla trincea. E noi diciamo che bisogna edificare ogni importante ramo dell'economia nazionale sulla base dell'interesse personale. Discussione collettiva, ma responsabilità individuale. L'incapacità di applicare questo pag. 27 principio ci nuoce ad ogni passo. Tutta la Nuova politica economica esige che questa linea di demarcazione sia trac-
ciata con la massima nettezza, con assoluta precisione... Ecco perché dico che la Nuova politica economica ha importanza anche per quanto concerne l'insegnamento. Voi qui parlate di come bisogna insegnare. Voi dovete giungere alla conclusione che non c'è posto fra noi per chi non ha studiato abbastanza. Quando ci sarà il comunismo, l'insegnamento sarà meno rigido. Ora, tuttavia, dico che l'insegnamento, di fronte alle rovine, non può non essere severo... Siate tutti degli amministratori. I capitalisti si troveranno accanto a voi, accanto a voi si troveranno anche i capitalisti stranieri, concessionari e appaltatori, essi vi deruberanno di grosse percentuali di profitto, si arricchiranno accanto a voi. Si arricchiscano pure, ma voi imparerete da loro ad amministrare e soltanto allora potrete edificare una repubblica comunista. Dal punto di vista della necessità di imparare rapidamente, qualsiasi rilassamento sarebbe un grave delitto. E questa scienza, scienza difficile, severa, talvolta perfino crudele, la dobbiamo affrontare, poiché non c'è altra via d'uscita. Dovete ricordare che il nostro paese sovietico, caduto in miseria dopo lunghi anni di dure prove, non è circondato da una Francia socialista e da un'Inghilterra socialista, che ci potrebbero aiutare con la loro tecnica progredita, con la loro industria sviluppata... Lo Stato deve imparare a commerciare in modo che l'industria possa soddisfare i bisogni dei contadini e che i contadini soddisfino mediante il commercio i propri bisogni. Dobbiamo far sì che ogni lavoratore possa dare il suo contributo al consolidamento dello Stato operaio e contadino. Solo allora si potrà creare la grande industria... O noi diamo una base economica a tutte le conquiste politiche del potere sovietico, oppure sarà la fine di tutte queste conquiste. La religione L’impotenza della classe sfruttata nella lotta condotta contro gli sfruttatori inevitabilmente rafforza la credenza in una vita migliore dopo la morte, così come l’impotenza
dell’uomo primitivo nella battaglia con la natura rafforza la credenza nell’esistenza di dei, demoni, miracoli, e così via. Coloro che lavorano duramente e vivono nel bisogno sono persuasi dalla religione a essere pazientemente sottomessi su questa terra, e a trarre conforto dalla speranza nella ricompensa divina. La religione è l’oppio dei popoli, una sorta di “liquore” spirituale in cui gli schiavi del capitale fanno annegare la loro immagine umana, la loro richiesta di una vita più o meno dignitosa. Ma uno schiavo che è divenuto conscio della propria schiavitù ed ha alzato la testa nella lotta per la propria emancipazione, non è più uno schiavo. Il lavoratore moderno, con un’elevata coscienza di classe, cresciuto dall’industria su larga scala e illuminato dalla vita di città, con sdegno mette da parte i pregiudizi religiosi, lascia il paradiso al clero e ai borghesi bigotti, e cerca di ottenere per sé una vita migliore, su questa terra. Il proletariato moderno difende le ragioni del socialismo, che combatte la nebbia della religione con la scienza, e libera i lavoratori dalle loro credenze in una vita dopo la morte unendoli nella lotta presente, per una vita migliore sulla terra. La religione deve essere dichiarata affare privato. Lo Stato non deve occuparsi della religione, e le associazioni religiose non devono avere alcun legame con le autorità di governo. Quello che richiede il proletariato socialista è la completa separazione della Chiesa dallo Stato. Ma per quanto ci riguarda, la battaglia ideologica non è un affare privato, è questione di tutto il Partito, dell’intero proletariato. Il nostro programma è interamente basato su una concezione del mondo scientifica, e, in particolare, materialista. Dunque, una spiegazione del nostro programma include necessariamente un’analisi delle reali radici storiche ed economiche della nebbia che la religione diffonde. Ma in nessuna circostanza dobbiamo cadere nell’errore di porre la questione religiosa in forme astratte pag. 29 ed idealiste, come dibattito intellettuale slegato dalla lotta di classe, come fatto di frequente dai radicali tra la borghesia. L’unità delle classi oppresse in questa lotta rivoluzio-
naria per la creazione del paradiso in terra è molto più importante per noi dell’unità del pensiero del proletariato riguardo al paradiso nei cieli. Il proletariato rivoluzionario otterrà che la religione diventi un affare privato, per ciò che concerne lo Stato. E in questo sistema politico, privato da residui medievali, il proletariato intraprenderà una lotta di ampio respiro per l’eliminazione dell’oppressione economica, la prima fonte delle menzogne con cui la religione confonde l’uomo.
Giuseppe DI VITTORIO
La CGIL Abbiamo il dovere di difendere le libertà democratiche e i diritti sindacali che sono legati alla questione del pane e del lavoro; abbiamo il dovere di difendere i diritti democratici dei cittadini e dei lavoratori italiani, anche all’interno delle fabbriche. In realtà oggi i lavoratori cessano di essere cittadini della Repubblica Italiana quando entrano nella fabbrica. Quando al Congresso dei Chimici io annunciai l’idea di proporre lo Statuto, qualche giornale degli industriali scrisse: “Ma Di Vittorio dimentica che le aziende appartengono ai padroni e che colore che vi entrano debbono ubbidire ai padroni”. E’ una risposta, questa, che rivela proprio una mentalità feudale, che rivela come i lavoratori siano considerati dai padroni come loro proprietà, come se fossero degli attrezzi qualsiasi. I padroni non considerano il lavoratore un uomo, lo considerano una macchina, un automa. Ma il lavoratore non è un attrezzo qualsiasi, non si affitta, non si vende. Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa, e vuole che questi suoi diritti vengano rispettati da tutti e in primo luogo dal padrone. Tutta l’esperienza storica, non soltanto nostra, dimostra che la democrazia, se c’è nella fabbrica, c’è anche nel Paese, e se la democrazia è uccisa nella fabbrica, essa non può sopravvivere nel Paese. Il rapporto di lavoro tra padrone e dipendente non può in nessun modo e per nessun motivo ridurre o limitare i diritti inviolabili che la Costituzione Repubblicana riconosce all’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove svolge la sua personalità. Il rapporto di lavoro riconosce al padrone solo il diritto di esigere dal proprio dipendente una determinata prestazione di opera, per un determinato periodo di tempo, nel rispetto di una data organizzazione e disciplina di lavoro. Nella realizzazione di questo diritto il padrone, o chi per esso, deve rispettare l’inviolabilità perso- pag. 31 nale del dipendente. Il rapporto di lavoro non può in nessun modo e per nessun motivo vincolare o limitare i diritti
civili del dipendente. Meno che mai può limitare il diritto del lavoratore di discutere con i suoi compagni le questioni relative al proprio lavoro, di collaborare alla gestione delle aziende, di tutelare i propri interessi di lavoratore e di adempiere ai propri doveri associativi. Il ruolo dei sindacati Gli interessi che rappresentano e difendono i sindacati dei lavoratori sono interessi di carattere collettivo e non particolaristico o egoistico; interessi che in linea di massima coincidono con quelli generali della nazione. Il benessere generalizzato dei lavoratori, infatti, non può derivare che da un maggiore sviluppo dell'economia nazionale, da un aumento incessante della produzione, da un maggiore arricchimento del paese, oltre che da una più giusta ripartizione dei beni prodotti. Non è mai accaduto, e non può accadere ai liberi sindacati dei lavoratori, di avere interessi contrari a quelli della collettività nazionale, com'è accaduto - e può sempre accadere, invece - a determinati tipi di associazioni padronali (trust, cartelli, intese ecc.), i quali sono notoriamente giunti a limitare di proposito la produzione - ed anche a distruggerne notevoli quantità- per mantenere elevati i prezzi, allorquando i prezzi elevati, piuttosto che la massa di prodotti vendibili, assicurano agli interessati maggiori profitti, con danno evidente della maggioranza della popolazione e della nazione [...] I sindacati dei lavoratori rappresentano la forza produttrice fondamentale della società e la stragrande maggioranza della popolazione economicamente attiva nei vari rami dell'industria, dell'agricoltura, del commercio, del credito, della scuola, dei pubblici servizi ecc. Tutta la società moderna pone il lavoro come fondamento del proprio sviluppo. Se la funzione sociale del lavoro, e quindi delle organizzazioni sindacali che lo rappresentano, sono considerate sempre di maggiore preminenza, in tutti i paesi economicamente più sviluppati ciò è tanto più giusto e necessario in Italia, dove il capitale più grande e più prezioso di cui di-
spone la nazione è rappresentato appunto dalla sua immensa forza-lavoro; ossia, dal gran numero di lavoratori che conta il nostro paese, nonché dalle loro spiccate e riconosciute capacità tecniche e professionali che - attraverso il lavoro dei nostri emigrati - si sono affermati in quasi tutti i paesi del mondo. I lavoratori, per la loro condizione sociale, sono i maggiori interessati al consolidamento e allo sviluppo ordinato della libertà e delle istituzioni democratiche, come lo comprova il fatto che essi hanno costituito il nerbo decisivo delle forze nazionali che hanno abbattuto il fascismo ed hanno portato un contributo efficiente alla liberazione della patria dall'invasore tedesco. I sindacati dei lavoratori, quindi, costituiscono obiettivamente uno dei pilastri basilari dello Stato democratico e repubblicano e un presidio sicuro e forte delle civiche libertà, che sono un bene supremo dell'intera nazione. I sindacati dei lavoratori, quali organismi unitari di milioni di cittadini in tutte le province d'Italia e tutori dei loro interessi collettivi e solidali, costituiscono obiettivamente il tessuto connettivo più solido della nazione e della sua stessa unità. Il diritto di associazione E’ senza dubbio fra i diritti fondamentali del cittadino e una delle espressioni più chiare delle libertà democratiche. Il diritto di associazione è anzi il presidio più sicuro della libertà della persona umana, la quale tende in misura crescente a ricercare la via del proprio sviluppo, della propria difesa, e d’un maggiore benessere economico e spirituale, specialmente nella libertà di coalizzarsi con altre persone. Tale diritto dev’essere riconosciuto a tutti i cittadini d’ambo i sessi e d’ogni ceto sociale, senza nessuna esclusione. Tuttavia, la Costituzione non può ignorare che se il diritto di associazione dev’essere garantito ad ogni cittadino, esso ha però un valore diverso pei differenti strati sociali. Nell’attuale sistema sociale, infatti, la ricchezza nazionale pag. 33 è troppo mal ripartita, in quanto si hanno accumulazioni d’immensi capitali nelle mani di pochi cittadini, mentre
l’enorme maggioranza di essi ne è completamente sprovvista. In tali condizioni, è chiaro che nei naturali e inevitabili contrasti di interessi economici e sociali sorgenti fra i vari strati della società nazionale, il cittadino lavoratore ed il cittadino capitalista non si trovano affatto in condizione di eguaglianza. Il cittadino capitalista, basandosi sulla propria potenza economica, può lottare e prevalere anche da solo, in determinate competizioni di carattere economico. Il cittadino lavoratore, invece, da solo, non può ragionevolmente nemmeno pensare a partecipare a tali competizioni. Ne consegue che per il cittadino lavoratore la sola possibilità che esista – perché possa partecipare a date competizioni economiche, senza esserne schiacciato in partenza – è quella di associarsi con altri lavoratori, aventi interessi e scopi comuni, per controbilanciare col numero, con l’associazione e con l’unità d’intenti e d’azione degli associati, la potenza economica del singolo capitalista o d’una associazione di capitalisti. Il sindacato, perciò, è lo strumento più valido, per i lavoratori, per l’affermazione del diritto alla vita e del diritto al lavoro, che dovranno essere sanciti dalla nostra Costituzione. Gli interessi che rappresentano e difendono i sindacati dei lavoratori, sono interessi di carattere collettivo e non particolaristico o egoistico; interessi che in linea di massima coincidono con quelli generali della Nazione. Non è mai accaduto, e non può accadere, ai liberi sindacati dei lavoratori, di avere interessi contrari a quelli della collettività nazionale, com’è invece accaduto – e può sempre accadere – a determinati tipi di associazioni padronali (trust, cartelli, intese, ecc.) i quali sono notoriamente giunti a limitare di proposito la produzione – ed anche a distruggerne notevoli quantità – per mantenere elevati i prezzi, allorquando i prezzi elevati, piuttosto che la massa dei prodotti vendibili, assicurano agli interessati maggiori profitti, con danno evidente della maggioranza della popolazione e della Nazione.
Giuseppe DOZZA
La politica municipale dei comunisti Non è a caso che dal nuovo grande partito del popolo, dal Partito comunista nella sua compiuta visione democratica e progressiva, parte l'iniziativa per una più profonda democratizzazione della vita pubblica anche locale. Ma sarebbe il più funesto degli errori ritenere che la funzione dei comunisti sia semplicemente di lottare sul terreno propagandistico o su quello legislativo per l'autonomia amministrativa degli enti locali, e che in attesa di conquistare tale obbiettivo altro non sia possibile fare che dell'ordinaria amministrazione. Le difficoltà, lo sappiamo bene per esperienza, sono grandissime, ma non bisogna lasciarsi arrestare da esse. Funzione del Partito comunista è precisamente di aiutare le masse popolari a superare le difficoltà che esse incontrano nella loro dura vita di ogni giorno. Bisogna sforzarsi di tradurre in atto una pubblica amministrazione costruttiva nell'interesse del popolo. E se per questa strada incontreremo, come certamente incontreremo, degli ostacoli, ciò renderà più concreta agli occhi delle popolazioni che cosa è quell'auspicata autonomia amministrativa che, presentata in termini generici, riesce spesso poco comprensibile alle masse popolari; ciò che non potrà non aiutare l'azione che sarà necessario svolgere per raggiungere quegli obbiettivi per i quali l'unità di tutto il popolo è già fatta. Funzione essenziale che noi riconosciamo alle amministrazioni comunali popolari dirette da comunisti è di agire nel senso di avviare alla più rapida soluzione possibile alcuni problemi essenziali. Un buon sindaco può aumentare il prestigio del Partito comunista: un sindaco che si allontani dall’animo del popolo può gravemente comprometterlo. Il legame e l'accordo fra gli organi dirigenti locali del Partito ed i compagni amministratori dev'essere stretto e permanente. Gli amministratori sono tenuti a rendere conte al Partito del loro operato, mentre debbono avere massimo rispetto per gli organi che li hanno eletti, per gli organismi rappresentativi dei lavoratori. Rendere conto del proprio operato, chiedere pag. 35 l’ausilio e il consiglio degli elettori è una delle caratteristiche dell’amministratore comunista che è popolo in mezzo al po-
polo. E per questa via esso farĂ appello alle immense energie che sono latenti nel popolo e bisogna saper sprigionare, organizzando in forme molteplici la collaborazione degli operai e dei tecnici, degli intellettuali e dei contadini con coloro che in questo momento hanno la grande responsabilitĂ e il non indifferente peso di reggere le pubbliche amministrazioni.
Palmiro TOGLIATTI
Studiare di più per lavorare meglio Popolarizzare la dottrina marxista tra le masse lavoratrici Per avere un orientamento politico giusto e lavorare bene è necessario il possesso sempre migliore della nostra ideologia, è necessaria la dimestichezza con i nostri classici, con le opere dei grandi che hanno fondato il nostro movimento e l’hanno diretto attraverso le lotte che noi sappiamo, con le opere dei Marx, di Engels, di Lenin, di Stalin. Solo questa dimestichezza con le opere dei nostri classici consente di raggiungere quella molteplicità di visione realistica, quella profondità di indagine e quella semplicità di conclusioni e della esposizione che sono caratteristiche del marxismo. Anche in questo campo, anzi, forse in questo campo più che in altri credo che si possa essere soddisfatti della situazione. Pubblicazioni ne abbiamo fatte molte. I compagni a cui era affidato questo compito lo hanno adempiuto. I nostri classici li abbiamo tutti o quasi tutti. Ma come vengono utilizzati questi libri? Pubblichiamo delle riviste. Ma come sono anch’esse utilizzate? Quanti le leggono, quanti le studiano dei nostri dirigenti, dei nostri quadri, dei nostri militanti? Abbiamo le scuole che funzionano continuamente, attraverso le quali passano centinaia e centinaia di lavoratori; ma il capitale di nozioni che essi accumulano in questa scuole come viene messo a profitto? Sono questioni cui è difficile dare una risposta soddisfacente; è un campo nel quale i progressi da fare sono molti. Un richiamo particolare vorrei rivolger anche ai dirigenti più qualificati del partito. Nella società italiana vi è stata a lungo una lacuna di cui la classe operaia, i lavoratori hanno sofferto, la lacuna di un partito marxista di operai e lavoratori.Oggi questa lacuna l’abbiamo per gran parte colmata. Ma nella cultura italiana e nello stesso movimento politico della classe operaia è ancora da colmare la lacuna della cultura marxista, cioè di un possesso adeguato degli elementi fondamentali della nostra dottrina. Vi sono pro- pag. 37 blemi di tattica, di strategia, di analisi delle situazioni politiche e delle strutture economiche, vi sono problemi di
storia e di politica che richiedono di essere trattate da uomini che sono alla testa del nostro partito, che abbiano una esperienza e una preparazione culturale e politica marxista sufficienti. Vi è un ampio terreno di popolarizzazione della nostra dottrina tra le masse lavoratrici e fuori da esse, nel mondo della cultura in generale, sul quale non avanziamo come potremmo. Vi è forse una timidezza eccessiva che trattiene i nostri compagni: forse questa timidezza deriva dal fatto che spesso prevalgono, nei dibattiti culturali, i temi letterari, artistici, filosofici, dove è più difficile muoversi; ma i temi della natura che sopra ho indicato sono altrettanto e volte anche più importanti. Vi sono nelle nostre file uomini che in questo campo possono dare contributi seri, di fronte ai quali anche la cultura borghese non potrà manifestare che rispetto. Abbiamo avanzato molto nel campo del lavoro culturale; nessuno più oggi osa ripetere, se non vuole essere ritenuto proprio uno zotico, la tesi ingenua che il marxismo sarebbe morto. Un figlio degli Agnelli sarà sempre un Agnelli Del tutto disperata, sul terreno di un serio dibattito politico e ideale, mi sembra ormai la situazione di coloro che si propongono di dimostrare che il nostro partito – il partito comunista – è quel nemico della democrazia e della libertà dal quale bisognerebbe proteggere e salvare l’attuale ordinamento politico, perché ne sarebbe il nemico principale. Nella storia ormai non breve della nostra esistenza – dicono che siamo così vecchi! – se davvero fossimo nemici della democrazia e della libertà, un atto, un atto solo che potesse venire portato a sostegno di quest’accusa dovrebbe pur trovarsi. E invece non lo si trova! Per cui sono costretti a dire che siamo antidemocratici e antiliberali perché non siamo d’accordo con loro, il che, veramente, è troppo poco e può anche essere la prova che proprio noi, e non coloro che ci combattono, siamo gli amici della democrazia- La controversia di natura filosofica, circa l’affermazione che la storia sia sempre storia della libertà e circa il modo d’in-
tendere questa tesi, fondamentale per l’idealismo di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, non è cosa nuova, per noi. Nessuno è libero, in una società divisa in classi, di scegliere la classe cui appartiene. Il figlio di Giovanni Agnelli è “un Agnelli”, cioè un grande industriale monopolista, non appena apre gli occhi alla luce. Il figlio del proletario sarà proletario: lo può far uscire da questa condizione, in via di eccezione, uno straordinario e fortunato sforzo individuale, in via di sviluppo storico, un’azione rivoluzionaria che crei una società senza classi. E a produrre quest’azione, momenti personali e collettivi di progresso della coscienza e dell’azione e momenti di evoluzione oggettiva contribuiscono e s’intrecciano, in quel processo di azione e reazione che è il tessuto della storia, è così per quanto riguarda l’ordinamento degli Stati, la democrazia, le sue forme e i suoi sviluppi. In questo grande quadro la libertà non è e non può essere il “primo”, perché è sempre, invece, una scelta, una aspirazione, una conquista dell’uomo nella lotta contro le forze della natura, da un lato, dall’altro lato contro gli ordinamenti economici e sociali dai quali scaturisce la costrizione, il freno, la tendenza a impedire l’avanzata di tutti gli uomini verso la libertà, nell’interesse di coloro che in quel momento si collocano alla sommità della scala sociale e del potere e vogliono tener soggetti tutti gli altri. La libertà, per gli uomini, esisterà soltanto quando questa costrizione sarà stata superata completamente, cioè in una società di liberi e di eguali, in una società socialista e comunista. L’alienazione del lavoratore e dell’uomo non può aver fine se non sulla base.
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KIM IL SUNG
I Comunisti I comunisti non sono uomini straordinari. Chiunque combatta con devozione per emancipare gli uomini da tutte le forme di sfruttamento e di oppressione e per garantire una vita felice al popolo intero, può divenire comunista. A maggior ragione, in una società in cui il popolo è padrone del paese e della società, non è così difficile diventare comunisti. Chiunque combatta risolutamente l’ideologia caduca e faccia sforzi sinceri per armarsi dell’ideologia del nostro partito, può divenire comunista. Soprattutto non vi è il minimo dubbio che voi insegnanti che siete stati costantemente educati dal nostro partito fin dalla liberazione e che avete fatto sforzi instancabili per applicare la linea del partito, voi creerete degli eccellenti comunisti. Io credo fermamente che voi diventerete tutti senza eccezione degli eccellenti insegnanti comunisti armati dell’ideologia rossa del nostro partito. Qualche parola a proposito dell’educazione comunista dei ragazzi e dei giovani.Molti considerano l’educazione comunista come qualche cosa di misterioso e, nel passato, la si credeva praticamente impossibile. Ma essendoci cimentati nei fatti con tali problemi e intrapreso praticamente e attivamente questo lavoro, ci siamo resi conto che l’educazione comunista non ha nulla di misterioso. Noi abbiamo già ottenuto dei grandi successi in questo campo e accumulato ricche esperienze.Secondo la nostra esperienza, la cosa più importante nell’educazione comunista dei giovani e dei ragazzi è coltivare in loro l’amore per il popolo, i compagni, l’organizzazione e la collettività.Nella società capitalistica gli individui sono in lotta continua tra di loro, si combattano per ostacolare l’avversario allo scopo di condurre da soli una vita di abbondanza, ma nella società comunista, tutti possono avere una vita agiata. Se noi costruiamo il comunismo non è perché qualche individuo possa condurre una vita nella opulenza, ma perché tutti pag. 41 lavorino e possano gioire di una vita felice. Nella società comunista, la gente ha interessi e scopi comuni e allaccia-
no tra loro rapporti di cameratismo. Nella società comunista tutti costituiscono una grande famiglia armoniosa e coerente, unita e che divide gioie e pene sotto lo slogan << Uno per tutti, tutti per uno >>.I n questa società non c’è posto per l’egoismo che persegue soltanto il soddisfacimento e la gloria individuali. Con questo spirito egoista non si può costruire una società comunista né vivere nel suo seno. Per diventare comunisti occorre sbarazzarsi dell’egoismo e sapere amare l’uomo.Occorre amare i propri fratelli e i propri genitori a casa, amare i maestri e i compagni a scuola e, entrando nella società, occorre sapere amare tutti i lavoratori. Noi dobbiamo educare la nostra giovane generazione in modo che essa prenda questa abitudine sin dall’infanzia. Solo colui che sa amare gli altri può gioire dell’amore altrui e condurre una vita armoniosa nella collettività.
Ludovico GEYMONAT
Progresso scientifico e progresso civile Il marxismo non condivide le posizioni luddiste; le ha combattute. Ma non accetta neppure questa ideologia della scienza e della tecnica secondo cui esse possono risolvere tutti i problemi. I problemi sono in primo luogo problemi di ordine sociale, riguardano l'organizzazione della società, la lotta tra le classi. Non va attribuita alla scienza e alla tecnologia alcuna potenza magica; vanno trattate come tutti gli altri fattori della società, cioè con un esame delle forze che le determinano e che se ne servono, degli interessi economici che vi sono intrecciati. Né alla scienza né alla tecnologia, in quanto tali, in quanto attività sociali umane, noi possiamo attribuire le responsabilità delle catastrofi, ma ai rapporti sociali concreti entro i quali, in un determinato momento, vengono a svilupparsi e ad esplicare i loro effetti. Possiamo certamente partire dal marxismo per esaminare queste questioni, ma tenendo conto che la situazione di oggi non è quella di allora, non si può accusare Marx di non essere stato un profeta. I profeti lasciamoli alle religioni. Marx ha esaminato scientificamente, con molto rigore, la situazione dell'industria e dell'economia della sua epoca. Lo stesso Lenin aveva compreso la portata del problema e aveva cercato – malgrado l'arretratezza russa – di impostare anche dal lato teorico il problema dei rapporti tra progresso scientifico e progresso civile, con opere esemplari. Ma in Italia opere come Materialismo ed empiriocriticismo sono del tutto ignorate, quando non si giunge a dire che si tratta di opere minori, di scarso valore. Ci sono due ragioni, a mio modo di vedere. La prima è che nella nostra società resta dominante la borghesia, il capitale, e quindi ciò condiziona il formarsi dell'ideologia degli scienziati e 1'uso della scienza; di riflesso anche il movimento operaio assorbe questi punti di vista su queste questioni. La seconda è l'ignoranza. Anche nelle file della sinistra italiana troppo spesso per cultura si intende solo quella letteraria-umanistica, con una attenzione marginale a quella scientifica. Lo stesso Gramsci pag. 43 non aveva capito l'importanza della cultura scientifica e anche il PCI ha continuato a privilegiare, anche nel secondo do-
poguerra, un tipo di cultura del tutto indifferente a quella scientifico-tecnica. Ormai il PCI si guarda bene dal voler “superare” il capitalismo. Si accontenta di migliorarlo un po'. Si adatta a viverci dentro. In una situazione del genere è chiaro che il capitalismo ha ragione di dire “sono io il progresso”. Credo invece che sia necessario un ritorno a Marx, ai testi di Marx, questa resta una tappa fondamentale senza la quale non si può capire lo sviluppo successivo e non si può fare la rivoluzione oggi.
Concetto MARCHESI
La scuola e l’uomo nuovo I più concordano nel ritenere che nella scuola media unica il profitto non debba consistere in una somma di cognizioni, ma in un complesso esercizio mentale ed in un esperimento di capacità; alcuni ritengono che insieme alla matematica, il latino, cioè lo studio grammaticale della morfologia e della sintassi della proposizione, sia la disciplina adatta per questo esercizio e per questo esperimento, altri ritengono invece che lo studio del latino sia tempo perduto. Io non sono d'accordo con questi ultimi, e vorrei essere ignorantissimo di latino per poter sostenere senza sospetto quella che ritengo la buona causa. La difesa maggiore del latino consiste nella domanda stessa che fanno isuoi avversari: a che cosa serve il latino? Appunto, non serve a niente di concreto, di visibilmente utile, non serve a dare vesti né cibo, non serve a far vedere come è congegnata una macchina, come funziona, come si guasta, come si ripara; non serve né all'economia privata né all'economia pubblica; serve soltanto all'esercizio, all'applicazione mentale sulla grammatica di una lingua che si studia con l'occhio soltanto e non con l'occhio e con l'orecchio. E non si può fare questo studio sulla lingua italiana? domandano; no, rispondeva Antonio Gramsci. Il latino si studia - egli diceva - si analizza nei suoi membretti come una cosa morta; ma ogni analisi fatta da un fanciullo non può essere che su cosa morta. La lingua italiana il fanciullo la sente parlare variamente, dai suoi genitori, dalle persone della casa, della strada, della scuola, frammischiata, corrotta, alterata se non è in paese di Toscana; e se anche è in paese di Toscana essa giunge al suo orecchio con varietà di suoni, di accenti, di termini, di locuzioni, di nessi secondo la persona che la parla. La lingua latina non la parla nessuno, non la si ascolta da nessuno, vive nelle pagine mute della sua grammatica, dei suoi libri di aneddoti, di sentenze, di favole con la immobile certezza delle sue forme. Ma, si dice, non si potrebbe fare questo studio pag. 45 sulla lingua francese? Ma, rispondeva Antonio Gramsci, una lingua viva può essere conosciuta e basterebbe che un fanciullo solo la conoscesse perché l'incanto fosse rotto e tutti
accorrerebbero alla scuola media per impararla più presto e forse anche meglio; e voi sapete che quando si vuole giustificare la scarsa o la cattiva conoscenza di una lingua viva si dice di averla studiata nella scuola. "Ma il latino è difficile e faticoso"; senza dubbio, appunto perché esso impone un continuo controllo allo scolaro il quale non può andare avanti se ha dimenticato quello che ha prima imparato. Ma la difficoltà, la noia, la fatica sono alla base di ogni sentiero che porta verso l'alto. Non parlo, compagni, per amore del latino; come ho già detto in precedenza se io fossi sicuro che il giuoco degli scacchi potesse portare a uguali risultati, opterei per il giuoco degli scacchi. Stiamo attenti, compagni; le grandi catastrofi come quella che ha colpito l'Italia e l'Europa, le grandi catastrofi tendono a portare in basso l'umanità; facciamo in modo di non aiutarla questa discesa che oggi sarebbe un precipizio. Oggi c'è chi crede che siamo ad una nuova epoca di cultura; io direi in un nuovo ciclo di civiltà (civiltà è il termine preciso, giusto, che nel suo rapporto ha adoperato il compagno Togliatti). Il progresso miracoloso della tecnica negli strumenti di lavoro e di produzione ha enormemente abbreviato il limite di trapasso dalla civiltà capitalistica verso la nuova civiltà socialistica; un trapasso che porterà un nuovo ordine giuridico e morale del mondo. Ma civiltà diversa non vuol dire umanità diversa e non vuol dire cultura diversa. Noi stiamo subendo l'abbaglio della tecnica e l'incanto del motore; c'è chi crede che il mondo sia tutto trasformato e rimutato dalla tecnica solo perché il motore domina nel meccanismo esterore della nostra esistenza, perché le distanze sono enormemente abbreviate e quasi scomparse, perché la terra è rimpicciolita ai sensi dei mortali, perché poderose braccia metalliche sono mosse in un crescente vortice di produzione da esili dita, dalle piccole braccia dell'uomo esperto; ma quest'uomo esperto, quest'uomo mortale, questa cosa da nulla, come diceva di Ulisse il ciclope Polifemo, resta il massimo miracolo della terra non solo attraverso le scoperte della meccanica e della fisica, ma anche e più attraverso l'attività e le creazioni dell'intelletto e dello spirito. Ho sentito dire che la
scuola deve formare l'uomo moderno; io non so che cosa sia quest'uomo moderno. La scuola deve formare l'uomo capace di guardare dentro di sé e attorno a sé; a formare l'uomo moderno provvederanno i tempi in cui egli è nato. Ogni uomo è moderno nell'epoca in cui vive. Il latino nella scuola e la questione del latino Durante il quinto congresso del Partito comunista un mio breve discorso, il quale suscitò rumore di molti applausi e taciturnità di molti dissensi mi fece apparire ostinato paladino dell'insegnamento della lingua latina in tutte le scuole d'Italia, escluse le elementari. E naturalmente mi si imputò di volere imporre una cultura umanistica a ragazzi e bimbette di dodici anni. In realtà non ho mai gravato l'anima mia di così nero peccato. Allora intendevo soltanto proporre la grammatica di una lingua morta quale strumento più adatto che quella di una lingua viva alla formazione mentale dell'alunno. La esperienza di non pochi anni ci dice che è questo un pronostico fallito; che lo studio grammaticale del latino nella scuola media unica è un inutile tormento e perciò un insensato perditempo. M'inchino alla evidenza: e recito il mio atto di contrizione. Si escluda il latino dalla scuola media unica, ma gli si dia reverente ospitalità nelle scuole dove si forma e si precisa la cultura, il gusto, l'abito intellettuale di quanti nella vita sentiranno bisogno di estendere l'attività del proprio spirito oltre i limiti più o meno angusti di una specifica attività quotidiana: né solo per uno svago voluttuario delle ore oziose, ma perché tutte le ore della vita sentano il beneficio di una spaziosa educazione mentale. La cultura umanistica giova a tutti; il giorno in cui decadesse sarebbe notte nel mondo. L'elettricità percorre ormai tutta la terra; dà moto e luce; crea nuove energie fisiche; ha tolto l'uomo dalla solitudine, dalla oscurità, dai riposi umiliati e accasciati e lo ha sospinto verso le gioiose distrazioni dì cui ha bisogno la fatica per essere più fruttuosamente ripresa. Ma c'è nella nostra esistenza qualco- pag. 47 sa che non sazia e non stanca mai; di cui non ci rendiamo conto come ci si rende conto di un meccanismo, a cui non
sappiamo dare il nome perché il nome varia da un libro a un quadro a un suono. È una cosa che ci fa dimenticare ogni altra cosa e ci dà una luce che illumina dentro e assicura, talora, l'istante inatteso di felicità. Questo si deve a quella scienza che si fa arte e si fa vita; si deve a quella cultura umanistica che fuori della scuola ha bisogno di dilatarsi liberamente e nella scuola di raccogliersi e profondamente operare. Lo studio del latino c'è sempre stato nelle scuole italiane: nel ginnasio prima, fin dalla prima classe, nella scuola media unica, dopo. Il latino, si dice, ha fatto cattiva prova: è un peso morto, senza compensi. Colpa degli scolari, delle famiglie, dei maestri, dei regolamenti scolastici? I regolamenti non c'entrano. La scuola dipende da colui che vi insegna. Oltre e sopra il regolamento, qualunque esso sia, c'è il maestro. Il fastidio o il gradimento, l'interesse o la noia, l'equilibrio o il disordine dipendono da lui, dall'uomo che insegna. Si può ridurre il pane al maestro, si può levargli anche la libertà, ma non la facoltà di penetrare nell'animo dell'alunno e richiamarlo alla luce e alla gioia della conoscenza. Gli si lasci soltanto in mano il catechismo e ne farà uno strumento di scienza e di nobiltà umana se non è un pitocco o un servo. A quattordici anni si può imparare una lingua viva. La lingua morta ha bisogno di penetrare lentamente nella curiosità, nell'interesse, nell'applicazione mentale dello scolaro: deve essere assorbita con un processo conoscitivo calmo e conciliante, attraverso i fatti, le parole, gli scritti dei grandi personaggi dell'antichità: i quali sono anche i personaggi antichi della nostra storia, siccome quella lingua morta è la nostra stessa lingua quale si parlava e si scriveva allora. Stiamo attenti. Non uccidiamo il latino. Da quanto ho detto non pochi compagni di elevata cultura dissentiranno; ma so che degli operai molti concordano con me: e non me ne stupisco, perché proprio di là, dal campo operaio, nasce l'aspirazione verso una maggiore ricchezza nel mondo interiore dello spirito umano.
Natalino SAPEGNO
La cultura Ogni vita, anche la più umile, ha i suoi momenti salienti, che sembrano condensarne tutto il significato. Nella mia vita mi pare di poter indicare due momenti siffatti, legati fra di loro da una singolare corrispondenza e affinità di circostanze, di atteggiamenti, di esiti: gli anni del primo dopoguerra, fra il ’18 e il ’24, che sono anche quelli della prima formazione giovanile, e gli altri a cavallo della seconda guerra mondiale, fra il ’38 e il ’50, che corrispondono alla piena maturità della vita e delle opere: la appassionata partecipazione al movimento culturale torinese della «Rivoluzione liberale» e del «Baretti», e poi l’incontro di me non più giovane con i giovani antifascisti della Facoltà di Lettere romana, che sarebbero stati al centro della resistenza e della lotta politica successiva alla liberazione. Due momenti a cui si legano le più forti amicizie, da Gobetti a Levi, da Fubini ad Alberti, da Antonicelli a Debenedetti, e più tardi da Alicata a Salinari […], e anche le punte più intense, forse le più fruttuose, del mio lavoro. Due momenti di fervida, animosa speranza, cui doveva presto seguire una fase di frustrazione, di sconfitta, di pigra disperazione. Quel che conta è, in entrambi, il concorrere della passione politica e della passione culturale, anzi il loro coincidere in una sola lotta, nell’estrema difesa, sul terreno politico e in funzione di un rinnovamento totale della condizione umana, di una tradizione culturale sentita in tutta la sua vitalità, benché minacciata dalla ricorrente barbarie. La mia generazione s’è trovata fin dal principio impegnata in questa difficile, ma oscura, battaglia. Non ci siamo mai sentiti importanti, non c’è mai passato per la testa di considerarci maestri, tutt’al più artigiani abbastanza esperti nel loro mestiere; non abbiamo mai creduto di lavorare fur ewig, ma solo di fornire prodotti di utilità immediata e limitata nel tempo; subito abbiamo avvertito che l’edificio della cultura, in cui eravamo stati educati e alla quale eravamo indissolubilmente legati, era minacciato, era già incrinato e pag. 49 toccato dai segni di una crisi che andava paurosamente crescendo. A noi è toccato in sorte il compito di difendere, co-
me meglio potevamo, questa cultura, che è poi la sola che esista, è tutta la tradizione culturale, che può sempre essere trasformata e arricchita, ma non mai impunemente gettata via. Abbiamo lottato come sapevamo, probabilmente male e con scarso frutto; e perciò non abbiamo un’eredità da tramandare. Che cosa potremmo dire ai più giovani amici, che sono poi quelli che ci stanno più a cuore? Quel patrimonio di umanità e di cultura, che era stato un gran fuoco, già ai nostri tempi stava diventando una fiaccola dalla luce incerta e esposta alla furia dei venti; oggi è diventato un lumicino che ad ogni momento sembra sul punto di spengersi. Noi che non abbiamo messaggi da lasciare ai nipoti, solo questo potremmo forse dire: fate in modo che questo lumicino non si spenga del tutto.
Lev TROTSKY
La letteratura proletaria L’elevamento del benessere materiale delle masse, che si è avuto negli ultimi tempi grazie al rivolgimento spirituale prodotto dalla rivoluzione, al rafforzamento dell’attività di massa, al gigantesco ampliamento dell’orizzonte, determina una crescita enorme dei bisogni culturali. Siamo entrati quindi nella fase della rivoluzione culturale, premessa del movimento ulteriore verso la società comunista. Parte di questa crescita culturale di massa è la crescita della nuova letteratura proletaria e contadina. Nella società di classe non c’è e non ci può essere un’arte neutrale, anche se la natura di classe dell’arte in generale e della letteratura in particolare si esprime in forme infinitamente più varie che non, ad esempio, nella politica. Il proletariato, mentre conserva, rafforza e amplia sempre più la propria direzione, deve occupare una posizione corrispondente anche in tutta una serie di nuovi settori del fronte ideologico. Il processo di penetrazione del materialismo dialettico in sfere del tutto nuove (nella biologia, nella psicologia e nelle scienze naturali in genere) è già cominciato. La conquista delle posizioni nel campo della letteratura prima o poi deve diventare, nello stesso modo, un fatto. Bisogna ricordare, tuttavia, che questo compito è infinitamente più complesso di tutti gli altri compiti risolti dal proletariato, poiché già nell’ambito della società capitalista la classe operaia può prepararsi alla rivoluzione vittoriosa, costruirsi quadri militanti e dirigenti e formarsi la splendida arma ideologica della lotta politica. Ma esso non poteva elaborare né problemi scientifici né tecnici, così come, in quanto classe culturalmente oppressa, non poteva formare una propria letteratura, una propria forma artistica, un proprio stile. Se il proletariato ha già in mano criteri infallibili di valutazione del contenuto politico-sociale di qualsiasi opera letteraria, esso non ha ancora risposte altrettanto precise a tutti i problemi della forma artistica. Nei riguardi degli scrittori proletari il partito deve pag. 51 occupare questa posizione: pur aiutandone in ogni modo la crescita e facendo tutto il possibile per sostenere loro e le
loro organizzazioni, il partito deve prevenire in ogni modo il manifestarsi della boria comunista tra le loro file, in quanto è il fenomeno più rovinoso. Proprio perché vede in essi i futuri dirigenti ideali della letteratura sovietica, il partito deve in ogni modo lottare contro ogni atteggiamento avventato e sprezzante verso il retaggio culturale del passato, nonché verso gli specialisti della parola poetica. Il partito deve anche lottare contro i tentativi di creare una letteratura “proletaria” puramente di serra; una vasta visione dei fenomeni in tutta la loro complessità, essere la letteratura non di un reparto, ma della grande classe che lotta e guida milioni di cittadini; questi devono essere gli orizzonti del contenuto della letteratura proletaria. La critica marxista deve porsi questa parola d’ordine: studiare, e deve respingere ogni produzione di scarto e ogni arbitraria elucubrazione del proprio ambiente. Il partito deve quindi pronunciarsi a favore della libera competizione dei vari gruppi e delle varie correnti in questo campo. Ogni altra soluzione sarebbe una pseudosoluzione burocratica. Allo stesso modo è inammissibile il monopolio legalizzato con un decreto o una risoluzione di partito dell’attività editoriale da parte di un gruppo o di una organizzazione letteraria. Il partito deve sradicare in ogni modo i tentativi di intervento amministrativo arbitrario e incomprensibile nell’attività letteraria. Il partito deve sottolineare la necessità di creare una letteratura destinata a un lettore veramente di massa, operaio e contadino; bisogna porre fine con maggiore coraggio e decisione ai pregiudizi letterari signoreschi e, servendosi di tutti i risultati tecnici della vecchia arte, elaborare una forma adeguata, comprensibile alle vaste masse.
Lucio Lombardo RADICE
La ricerca scientifica L’economia uccide la ricerca ignorando che la ricerca è “economia”. Di mese in mese, di anno in anno aumenta l’angoscia, l’amarezza, la sfiducia di coloro che, in Italia, dedicano la loro attività alla ricerca scientifica. La loro posizione diventa di giorno in giorno più difficile: preziose e insostituibili energie si logorano e si perdono in una lotta sfibrante. Le Università, che sono tradizionalmente in Italia il centro della ricerca scientifica, non garantiscono in alcun modo a nessun ricercatore un minimo per vivere. Il lavoro, mal pagato o semi-gratuito, è massacrante. Non solo e non tanto per le lezioni e le esercitazioni, ma per gli esami. Si può affermare senza esagerare che professori, assistenti e ricercatori di fisica, matematica, chimica, biologie, ecc. dedicano due o tre mesi all’anno agli esami universitari nei grandi centri. in ondate successive, migliaia di studenti da esaminare travolgono gli sparuti drappelli degli insegnanti, interrompono per settimane ogni possibile attività di studio e di ricerca. I mezzi, com’è noto, sono poi assolutamente insufficienti. Nei laboratori e negli Istituti il ricercatore deve fare tutto da sé, con mezzi di fortuna: deve essere elettricista e meccanico, calcolatore e uomo di fatica. “Dove andremo a finire?” è la domanda angosciosa, assillante, sempre più angosciosa, sempre più assillante che ogni giorno si ripete chi si dedica alla ricerca scientifica. La scienza italiana va alla deriva: se non si provvede subito, l’Italia decadrà rapidamente fino diventare una nazione di secondo o di terzo piano dal punto di vista scientifico. Non è ancora così, perché tenacemente, direi eroicamente, gruppi di scienziati di valore tengono duro, procedono; ma, lasciati ancora così e senza aiuto, non potranno resistere a lungo. seguiranno la via di Fermi e di Rosetti, di Occhialini e di Segre e di Pontecorvo e di Rossi, di Wick e di Persico e dei tanti meno famosi e più giovani scienziati italiani che non hanno saputo resistere: andranno in Ame- pag. 53 rica. Per non intristire nella miseria e nell’isolamento, per non restare alla retroguardia della scienza.
APPENDICE
Giuseppe Di Vittorio Bracciante poverissimo e autodidatta (Cerignola 1892-1957) partecipò all’esperienza del sindacalismo rivoluzionario e aderì all’USI (l’Unione Sindacale Italiana, nata nel 1912 dalla scissione con la CGdL riformista), ricoprendone dal 1913 la carica di membro del Comitato Centrale. Scoppiata la Grande Guerra, condivise le motivazioni degli interventisti e partì come volontario per il fronte, da dove sarebbe tornato gravemente ferito. Nel 1921 venne eletto deputato come indipendente nelle liste del PSI. Influenzato dall’esperienza della rivoluzione bolscevica in Russia aderì al Partito Comunista d’Italia. Con l’avvento del fascismo nel 1926 venne condannato a dodici anni di carcere dal Tribunale Speciale; costretto a riparare in Francia, diventò uno dei principali organizzatori della lotta di resistenza antifascista, dapprima come membro del Comitato Centrale del Partito Comunista e quindi come responsabile della CGdL clandestina, di orientamento comunista. Combatté nelle file delle Brigate Internazionali durante la guerra civile spagnola. Arrestato dalla Gestapo il 10 febbraio 1941 fu mandato al confino a Ventotene, dove rimase fino alla caduta di Mussolini nel luglio 1943. Fu tra i protagonisti della rinascita del sindacato libero e democratico in Italia; insieme a Grandi e Canevari fu uno dei firmatari del Patto di Roma (9 giugno 1944), l’atto ricostituivo della CGIL. Tra il 1944 e il 1948 ricoprì la carica di Segretario Generale della CGIL unitaria, partecipando alla elaborazione della Costituzione repubblicana in qualità di Deputato dell’Assemblea Costituente. Mantenne la guida della nuova CGIL anche dopo le scissioni del 1948-1950. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta fu Presidente della FSM, la Federazione Sindacale Mondiale, nonché Deputato dal 1948 al 1957. Tra i suoi atti principali alla guida della CGIL varicordata la prima proposta di uno Statuto dei diritti dei lavoratori, lanciata al Congresso di Napoli del 1952. Giuseppe Dozza (Bologna, 1901–1974) è stato un politico italiano, sindaco di Bo- pag. 57 logna per 21 anni dal 1945 al 1966. Nato in una famiglia economicamente modesta, aderisce al Partito Comunista Italiano fin
dalla sua fondazione (1921). Nel 1923 è segretario della Federazione Giovanile Comunista. La sua attività antifascista gli costerà la condanna all'esilio, che egli sconterà prima in Francia e poi in Unione Sovietica, dove conoscerà per la prima volta Palmiro Togliatti. Tornerà in Italia clandestinamente nel 1943 con l'obiettivo di organizzare la Resistenza partigiana nell'EmiliaRomagna. Poco dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale l'esercito anglo-americano gli affida la carica di sindaco di Bologna che egli conserverà fino al 2 aprile 1966. Venne soprannominato "Il sindaco della ricostruzione" perché al momento dell'insediamento della sua giunta comunale il territorio di Bologna era distrutto per il 70%. Si impegnò quindi in un'opera di ricostruzione edilizia e, quando i suoi incarichi municipali finirono, la città emiliana era diventata una delle meglio organizzate della penisola. La maggioranza dei servizi realizzati durante il suo governo (asili, rifornimenti di acqua, trasporti pubblici, scuole ed ospedali) furono resi pubblici. Eletto nel 1947 all'Assemblea Costituente fu tra i principali estensori della parte dedicata alle Autonomie Locali delle quali sostenne il ruolo fondamentale per la costruzione di uno Stato realmente democratico e decentrato. Ludovico Geymonat Nato a Barge nel 1908 e morto a Rho nel 1991 è stato uno dei maggiori protagonisti della scena filosofica italiana del Novecento. Antifascista e partigiano, coniugò lungo tutto il corso della sua esistenza alla passione politica e l'impegno intellettuale, puntando all'elaborazione di un razionalismo critico che fosse in grado di aiutare gli uomini di fronte ai problemi filosofici, scientifici e civili del mondo contemporaneo. Filosofo della scienza, studioso di logica matematica, storico del pensiero scientifico e filosofico, si batté per il riconoscimento accademico di queste discipline e per la diffusione di una vasta cultura scientifica: a lui fu assegnata nel 1956 presso l'Università di Milano la prima cattedra italiana di filosofia della scienza. Durante il ventennio, avendo rifiutato di iscriversi al PNF, gli fu preclusa la carriera accademica; si mantenne insegnando in scuole pri-
vate. Nel 1942 aderì al Partito comunista clandestino e, dopo l'armistizio, con il nome di copertura di "Luca Ghersi", divenne commissario politico della 55ma Brigata "Carlo Pisacane", operante nella valle del Po. Dopo la Liberazione fu capo redattore dell'edizione piemontese de l'Unità, assessore al Comune di Torino e intraprese l'insegnamento universitario. Storica fu la vivace polemica con Concetto Marchesi fermo sostenitore degli studi umanistici nel PCI nel quale ambedue militavano. Sostenitore dell’URSS fu tuttavia tra i primi a recepire la grande novità della rivoluzione culturale cinese approfondendo in un saggio l’importanza del pensiero filosofico dei Mao. Negli ultimi anni della sua vita lasciò il PCI e aderì, infine, al Partito della Rifondazione Comunista. Fu un grande divulgatore della storia della filosofia e molto diffuso fu nei Licei il suo manuale Storia del pensiero filosofico e scientifico. Concetto Marchesi E’ stato uno dei più grandi latinisti della nostra storia. Socialista all’età di 15 anni, partecipò alla fondazione del Partito Comunista d’Italia nel 1921 e ne face parte prima in clandestinità e poi, dopo la caduta del fascismo, come membro della Assemblea Costituente e del Parlamento. Fece parte del Comitato Centrale del PCI fino alla morte. Infiltrato dal Partito durante il fascismo nel sistema scolastico universitario, fu Magnifico Rettore dell’Università di Padova già durante la Repubblica di Salò e, nel frattempo, tra i fondatori del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Venne accusato di essere il mandante morale dell’esecuzione del filodofo Giovanni Gentile, accusa che il PCI respinse sempre, senza però condannare gli autori della esecuzione di una delle figure più nefaste della pseudo cultura fascista. E’ sua l’ultima stesura nella migliore lingua italiana del testo della Costituzione repubblicana prima della approvazione. Lucio Lombardo Radice Nacque a Catania il 10 luglio 1916. Nel 1934 si iscrisse al corso pag. 59 di laurea in matematica dove studiò con Guido Castelnuovo e Federico Enriques laureandosi nel 1938. È in questi anni che ini-
ziò a maturare la sua formazione politica e iniziò la frequentazione di quel gruppo di giovani che sarebbe diventato il nucleo del Partito comunista romano durante la Resistenza. Nel luglio del 1938 si iscrive al PCIdI. Nel 1939, dopo essere risultato idoneo a un concorso di matematiche complementari, iniziò a lavorare come assistente di Enrico Bompiani alla cattedra di geometria analitica ma venne arrestato e condannato a quattro anni che scontò solo in parte. Venne infatti liberato nel dicembre 1941 in seguito ad un condono e riprese l'attività antifascista impegnandosi ad allargare il fronte cospirativo in direzione di altri gruppi di area liberal-socialista e cattolico-comunista. Nell’aprile 1943 venne arrestato nuovamente e rimase in carcere fino a dopo il 25 luglio. Redattore de «l'Unita» nel 1944, divenne poi funzionario della sezione agitazione e propaganda. Dopo la Liberazione assunse alcuni incarichi di partito, dedicandosi successivamente alla carriera universitaria. Nel 1951 ottenne la libera docenza in analisi algebrica ed infinitesimale lavorando contemporaneamente a metà tempo nella scuola centrale dei quadri di partito, tra il 1947 e il 1948 diresse la commissione scuola. Membro attivo del Tribunale Russell per i diritti dell'uomo dal 1976, morì il 21 novembre 1982 a Bruxelles mentre partecipava ai lavori della II conferenza per il disarmo. Umberto Terracini Nacque a Genova 27 luglio 1895 e morì a Roma il 6 dicembre 1983 all’età di 88 anni. Di origine ebrea frequentò la scuola ebraica ma non ne accettò mai la religione. Si avvicinò alla politica durante gli studi liceali a Torino, dove conobbe Angelo Tasca, divenendo socialista. Allo scoppio del prima guerra mondiale fece propaganda contro la partecipazione dell’Italia alla guerra e venne arrestato per la prima volta e poi mandato al fronte. Al ritorno dalla guerra a Torino conobbe Gramsci e Togliatti con i quali fondò il giornale operaista “L’Ordine Nuovo”, partecipando attivamente alla rivolta del biennio rosso torinese. Nel 1921, al Congresso di Livorno, uscì dal Partito Socialista, per fondare con gli “ordinovisti” di Torino, gli “astensionisti” di Bordiga e i “massimalisti” di Marabini e Graziadei il Partito Comu-
nista d’Italia sezione della Terza Internazionale comunista, entrando a far parte del primo esecutivo ristretto. Eletto deputato nel 1922 e nel 1924, a seguito della vittoria fascista nel 1926 fu arrestato e condannato dal Tribunale Speciale (con Antonio Gramsci e Giovanni Roveda) a 22 anni e 9 mesi di carcere. Dopo averne scontati 11 a Roma, nel 1937 venne spedito al confino prima a Ponza e poi a Santo Stefano, dove sarà liberato dai partigiani nel 1943, rifugiandosi in Svizzera per la sua duplice condizione di comunista ed ebreo. Tornerà in Italia l’anno successivo per far parte degli organismi dirigenti della Repubblica libera partigiana dell’Ossola. Eletto deputato nell'Assemblea Costituente nel 1946, ne divenne Presidente e fu lui a firmare la Costituzione italiana insieme al Capo dello Stato Enrico De Nicola e al Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi. Venne ripetutamente eletto alla Camera dei Deputati e per due volte fu candidato alla presidenza della Repubblica. Fu un comunista “atipico” riuscendo sempre a coniugare il suo indomabile spirito di critica e di indipendenza con la disciplina del Partito dal quale non si allontanò mai. Restano memorabili nella storia del congresso dell’Internazionale Comunista del 1921 le parole di Lenin che, interrompendone la foga oratoria del giovane “estremista” italiano, gli diceva (in francese) “più elasticità, compagno Terracini, più elasticità”. Kim Il Sung (Pyongyang 1912-1994). Membro della gioventù comunista dalla fine degli anni Venti, partecipò dal 1932 alla resistenza antigiapponese, divenendo, dopo il 1945, presidente del Partito comunista. Con la proclamazione della Repubblica Democratica Popolare di Corea nel 1948) divenne primo ministro e dal 1972 Presidente della. Principale artefice dell'edificazione del regime socialista nella Corea del Nord, per il quale sviluppò la politica detta “juche” (autosufficienza), mantenne una posizione di equidistanza nel contrasto fra URSS e Cina e continuò a perseguire l'obiettivo di una riunificazione del paese, tentando più pag. 61 volte di avviare negoziati con il governo di Seul. A partire dagli anni Ottanta, accanto a Kim emerse la figura del figlio Kim Jong
Il che, dopo la morte del vecchio leader, lo ha sostituito alla guida del partito e del governo. In omaggio al fondatore della Repubblica Democratica di Corea la carica di Presidente della Repubblica non è mai stata più attribuita restando legata alla memoria del “Presidente Kim il Sung”. Lev Trotsky Pseudonimo di Lev Davidovi Brontejn (1879 1940) è stato un politico e rivoluzionario russo. Fu tra i principali fondatori dell’Unione Sovietica. Si avvicinò agli ambienti ed alle idee rivoluzionarie già durante i suoi studi all'università di Odessa. Venne arrestato per la prima volta nel 1898 mentre lavorava come organizzatore per l'Unione Operaia della Russia Meridionale. Nel 1900 venne condannato a quattro anni di esilio in Siberia. Nel 1902 riuscì a fuggire dalla Siberia, prendendo il nome di Trotsky da un ex-carceriere di Odessa, e raggiunse Londra per unirsi a Vladimir Lenin. Nel 1905 tornò in Russia. Il suo coinvolgimento nello sciopero generale di ottobre, con la presidenza del Soviet di San Pietroburgo e il suo appoggio alla rivolta armata, lo portarono all'arresto e a una sentenza di esilio a vita. Nel gennaio del 1907 fuggì sulla strada per l'esilio e ancora una volta trovò la via di Londra, dove partecipò al quinto congresso del partito. Fece ritorno in Russia nel maggio 1917 dove si unì ai Bolscevichi e divenne attivamente coinvolto nei loro sforzi per rovesciare il governo provvisorio guidato da Aleksandr Kerensky, ed anzi ne fu tra i massimi dirigenti. Dopo la presa del potere da parte dei Bolscevichi divenne Commissario del popolo per gli Affari Esteri, con lo scopo principale di negoziare la pace con la Germania che si concluse con il Trattato di Brest-Litovsk il 3 marzo. Divenne quindi Commissario del Popolo alla Guerra. Come fondatore e comandante dell'Armata Rossa, fu ampiamente artefice del successo contro l'Armata Bianca e della vittoria nella Guerra Civile Russa. Con la malattia e la morte di Lenin, di aprì lo scontro con la componente del Partito che faceva capo al segretario Stalin che portò nel 1925 alle sue dimissioni da Commissario del Popolo alla Guerra. Trotsky aveva sviluppato la teoria della Rivoluzione Permanente, che si poneva in
netto contrasto con la politica stalinista di costruire il "socialismo in un solo paese". Sostenitore di una politica di forte industrializzazione e di collettivizzazione nelle campagne, si impegnò nella promozione su scala mondiale di nuove rivoluzioni proletarie (Cina, Germania), viste come unica soluzione ai pericoli di involuzione del regime interno dell'URSS. Sconfitto nellos contro ideologico con Stalin venne dapprima esiliato ad Alma Ata e poi espulso dall’Unione Sovietica, stabilendosi finalmente in Messico dove fondò, nel 1938, un'organizzazione marxista internazionale, denominata Quarta Internazionale, la quale intendeva essere un'alternativa alla Terza Internazionale stalinista. Fu ucciso nella sua casa in Messico da un agente inviato da Stalin. Comunista “inconciliabiimente ateo” ha scritto nel suo testamento: “Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi... Posso vedere la verde striscia di erba oltre la finestra ed il cielo limpido azzurro oltre il muro, e la luce del sole dappertutto. La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore.”
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