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Favole al Femminile di Isabella Caporaletti
Fa v ol e al F em m in il e Isa be ll a Cap oral e tti
Cara Isabella, mentre leggevo le tue fiabe e mi accingevo ad esprimere la mia ammirazione per il tuo impegno che testimonia una mente fervida e fantasiosa, ma che non perde mai di vista un approccio forte con la realtà e con le problematiche sociali, civili e ambientali, che sono il sale della nostra esistenza, ho appreso dal telegiornale regionale che la Provincia di Perugia ribadiva la vendita dei beni pubblici, tra cui Villa Redenta di Spoleto. Il parco della Villa è il luogo dove si trattengono mamme e bambini, giovani che traducono in dolci sospiri la loro errante nostalgia d'amore, cittadini che godono del verde dei prati, note musicali dei cantanti del Lirico Sperimentale, che onorano da tutto il mondo la nostra città con la loro presenza, effondendo nell'aria le loro voci. Basteranno i draghi buoni delle tue fiabe ad avere la meglio sulla fredda ragione di Stato e sull'adeguamento piatto a voleri superiori di chi dovrebbe tutelare il bene pubblico ed invece mira a tutelare solo se stesso? Sì, basteranno, ne sono convinto, perché chi ha il cuore bambino vede da un'altra angolazione la realtà, perché "la vita è sogno e i sogni ci aiutano a vivere", come ci ricorda Pedro Calderon della Barca, perché non volge gli occhi in basso chi li rivolge al cielo, perché questo pascoliano "atomo opaco del male" non può prevalere sulle generazioni future. E' utopia tutto ciò? Sì lo è, ma è un utopia concreta: se in noi vi è l'idea di un mondo perfetto, di una terra rigogliosa e verdeggiante, di città a misura d'uomo e di donna, di valori forti quali la Pace, la Fratellanza, l'Uguaglianza, la Libertà, di una più equa ridistribuzione delle ricchezze, vuol dire che a questi valori siamo vocati. Cara Isabella, apprezzo chi come te vive per questi ideali, perché trasmette a chi viene dopo di noi dei punti fermi. Mi piace infine citare i versi del dolce poeta Severino Ferrari, che ricorda che la nonna racconta una fiaba ai suoi nipotini: "La nonna fila e dice. Suggon le sue parole i bimbi coloriti, le belle occhi di sole". Un forte abbraccio. pag. 3 Luigi Sammarco 26 settembre 2012
Miwa e il mostro del lago
Miwa è una bella bambina che abita vicino a un lago insieme ai genitori e tanti animali. Miwa a volte gioca davanti alla sua casa, ma siccome è piccina, non le permettono di avvicinarsi al lago. Il lago, si sa, è un po’ buono e un po’ cattivo, dipende da come gli va. Un giorno Miwa giocando con il suo bambolotto preferito, si accorse di una piccola coda sotto un sasso. Miwa prese il sasso con la sua piccola mano e lo alzò. Quello che c’era sotto sembrava una lucertolina, ma a guardarla bene era una lucertola molto strana. Intanto aveva tutti i colori dell’arcobaleno e poi aveva uno strano modo di guardare Miwa negli occhi. Sembrava intelligente. Miwa la prese in mano e la nascose sotto una piccola tana ricavata da una buca nel terreno, coperta con un po’ di foglie. Nel pomeriggio Miwa uscì di casa con la merenda, sempre sotto l’occhio vigile della mamma, ma la mamma non si preoccupò più di tanto quando vide che la bambina si era accucciata vicino alla tana del piccolo rettile. Quando Miwa scoprì la tana dove aveva fatto nascondere la lucertolina, due occhietti vispi la guardarono fissi nei suoi. Miwa le diede un pezzetto di pane ma quella lo sputò, poi le diede un pezzetto di prosciutto. Quello sì che le piacque! La bambina non esitò a darle tutto il prosciutto del suo panino in piccoli pezzetti, finché non fu finito. E così andò avanti per molti giorni, fino a che la lucertolina non era divenuta grande più di un gatto. Allora sì che era difficile nasconderla! La buca non bastava più e Miwa la fece pag. 5 nascondere sotto un grosso e fitto cespuglio. Un giorno Miwa si mise a osservare quello strano animale.
Intanto era diventata un’enorme lucertolona dai sette colori dell’arcobaleno, poi, a guardare bene, aveva le ali! Miwa le fece una carezza sul muso e due occhi profondi come pozzi la fissarono. La lucertola prese Miwa delicatamente per il grembiule e se la mise in groppa. La bambina si attaccò al collo iridescente di quello che, ormai l’aveva capito, era un drago e per la prima volta seppe cosa significa volare. I due sorvolarono il lago fino a che non divenne una macchia blu e Miwa con il vento nei capelli rideva e si divertiva. A un certo punto scesero in picchiata fino a sfiorare la superficie dell’acqua e Miwa si ritrovò tutti i capelli bagnati ma il drago subito la riportò verso il cielo e i capelli furono subito asciugati dall’aria calda del pomeriggio. Quando atterrarono il drago prelevò con la bocca la bambina dalla sua groppa e, dopo averla appoggiata delicatamente a terra, le parlò. “Sei davvero una bambina coraggiosa! Allevare un drago in giardino non è una cosa facile! E tu hai salvato Agatax dalla morte. Mi hai dato il tuo cibo e mi hai fatto le carezze, non hai avuto paura del fatto che sono così diversa da te.” Miwa non poteva credere alle proprie orecchie. Quella lucertola che lei aveva allevato a prosciutto, ma anche tonno, uova e pietanze varie, le aveva parlato! Era una femmina e si chiamava Agatax, e parlava! Passarono diversi mesi e Miwa ogni tanto andava a trovare il drago che aveva scavato una specie di caverna nella roccia, proprio in riva al lago. Un giorno, Miwa non trovò la sua amica, ma non fece in tempo a preoccuparsi neanche un po’ che la vide volteggiare nel cielo e atterrare a un passo da lei. “Miwa!” la chiamò, “ho bisogno del tuo aiuto, devo fare una cosa!” “Cosa?” chiese Miwa con le gambe che le tremavano. E’ normale che una bambina piccola abbia un po’ di paura. “Dovrai aiutarmi a liberare le mie amiche Sarah e Rebecca che sono tenute prigioniere dagli uomini malvagi!” “E come faccio?” protestò Miwa “sono solo una bambina! Mi-
ca mi lasciano andare in giro da sola!” “Oh, a questo si può rimediare! Fermerò il tempo! Noi draghi siamo specialisti nel fermare il tempo,non so sapevi?” “No che non lo sapevo, sono una bambina piccola, devo ancora imparare tutte le cose!” “Bene, allora che hai deciso?” domandò il drago guardandola con i suoi occhi languidi ed enormi. “Voglio aiutarti!” proruppe Miwa tutto d’un fiato. “Allora sali! Si parte!” Si alzarono in volo e nel giro di qualche minuto non furono altro che un puntino minuscolo nel cielo blu. Arrivarono a un vecchio castello e atterrarono un po’ lontano per non farsi vedere. I draghi erano prigionieri in celle enormi con le sbarre ed erano entrambi accucciati con il muso a terra. Sembravano deboli e malati. Le sbarre erano forti e altissime e Agatax e Miwa, da sole, non l’avrebbero mai fatta. Decisero di indagare e scoprirono che la gran parte degli uomini viveva ridotta in povertà estrema. Non avevano da mangiare e da vestirsi, e neanche i soldi per comprare le cose. Scoprirono che gli uomini malvagi che tenevano prigioniere le amiche di Agatax, erano un piccolo gruppo di persone ricchissime e tutti gli altri così poveri che non avevano neanche le scarpe. I due draghi erano stati fatti prigionieri per essere venduti. Miwa e il drago si nascosero per riflettere e trovare un sistema per liberare i due draghi, ma l’impresa era veramente disperata. Quasi tutti gli uomini erano stati resi schiavi, lavoravano in condizioni disumane per un pezzo di pane secco e molti si ammalavano e non potevano essere curati. Miwa conobbe un bambino come lei, solo che lui era uno schiavo. “Tu non sei come me!” le diceva il ragazzino, “tu sei diversa, sei nata libera!” Miwa lo guardò attentamente. Aveva due mani, come lei, il pag. 7 naso, gli occhi. Cercò di sbirciare sotto i lunghi capelli perché magari poteva non avere le orecchie. Invece le aveva,
sporche, ma le aveva. Ma per quanto si sforzasse le sembrava che il bambino fosse proprio come lei. Aveva la pelle un po’ più scura della sua, era un po’ più magrolino, certamente, ma per il resto non c’erano grosse differenze. “Perché siamo diversi?” chiese Miwa incuriosita. “Perché noi siamo schiavi!” rispose il ragazzino come se fosse una cosa ovvia. “E perché siete schiavi?” insistette Miwa curiosa. “Perché i Signori ci danno il cibo e noi dobbiamo lavorare per loro!” disse il ragazzino. “E perché?” domandò Miwa. Il bambino non sapeva più cosa rispondere, così prese Miwa per mano e la portò a casa sua. Quando i genitori del piccolo videro Miwa si spaventarono ma il bambino, facendo l’occhiolino a Miwa, spiegò che era solo una bambina curiosa, così accettarono di rispondere alle sue domande. “Miwa vuole sapere perché siamo schiavi!” disse al padre. “Beh, siamo schiavi perché i padroni ci comandano e noi dobbiamo obbedire!” “Perché non vi comandate voi?” L’uomo sgranò gli occhi. Era una cosa che non aveva mai pensato. Non aveva mai pensato che gli schiavi erano molti di più dei Signori e se avessero voluto, avrebbero potuto cacciarli via dalla loro terra, riprendersela e tornare liberi. “Agatax e io dobbiamo liberare i draghi!” disse Miwa allo schiavo, “dovete aiutarci, da sole non ce la faremo mai!” Miwa provò a convincere gli uomini a ribellarsi. Ciascuno di loro pensava per se stesso, senza preoccuparsi di nessun altro. Ma è difficile quando si è schiavi pensare agli altri. Quando una persona non ha da mangiare, cerca di trovare il pane e non gli importa tanto della libertà propria, né di quella di due draghi. Miwa tornò da Agatax sconfitta, così Agatax cercò di farsi ascoltare dagli uomini. Parlò loro di un mondo giusto, un mondo senza confini dove tutti gli uomini e gli animali possano passeggiare in pace.
“Può esistere un mondo dove tutti contribuiscono a creare ricchezza ciascuno secondo le proprie possibilità e poi la ricchezza viene ridata a ciascuno secondo i propri bisogni? Un mondo dove si comprano le medicine per tutti e si mandano tutti i bambini a scuola?”Gli uomini non volevano capire. Certo per realizzare un mondo così occorreva lavorare tutti, e quei poverini che da secoli erano schiavi, non volevano un lavoro da schiavi. Miwa spiegò loro che se si fossero uniti sarebbero stati liberi e che potevano organizzarsi perché il loro lavoro potesse essere pagato e protetto dai pericoli. Quando gli uomini capirono che i loro sogni potevano avverarsi, nessuno riuscì a fermarli. Cacciarono i governanti e liberarono i due draghi. Erano due creature maestose, una gialla e una arancione. Grandi come un palazzo di dieci piani e con le ali enormi come un circo. Volteggiarono nel cielo azzurro e si fermarono solo a ringraziare Miwa. “Ciao soldo di cacio!” la salutò Sara. “Vieni a trovarci!” le gridò dietro Rebecca. “Ogni volta che avrai bisogno di me” le sussurrò Agatax all’orecchio, devi solo chiamarmi. Ora ciao! E grazie!” Miwa tornò a casa credendo di prendersi una sgridata ma nessuno si era accorto di niente. Cenò come sempre e andò a dormire ma il giorno dopo rise a crepapelle fino alle lacrime. Aveva sentito alla radio che un pescatore aveva intravisto un gigantesco mostro del lago
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Miwa in missione speciale
“Aiuto! Un mostro!” “No! Sono due! Anzi, tre!” Miwa drizzò le orecchie. Era andata a dormire da cinque minuti ma non si era ancora addormentata. Senza farsi sentire andò alla finestra aperta spostando con le mani le tende svolazzanti, c’era una leggera brezza lacustre ma la notte era così buia che non si vedeva neanche il lago, era come se tutto fosse stato inghiottito dal buio. Guardò in alto e vide come un’ombra se possibile ancora più nera del buio. Il suo cuore cominciò a battere più forte. Agatax! Era proprio lei! Era il gigantesco drago che aveva allevato nel suo giardino! E insieme a lei c’erano le sue amiche Sarah e Rebecca. “Ciao, soldo di cacio!” l’apostrofò subito Sara. “Ciao!” fece Miwa salutando con la mano. Agatax si accostò alla finestra tenendosi in equilibrio con le grosse ali. “Ciao Miwa, siamo in missione speciale, è accaduta una cosa terribile… una macchia di petrolio gigantesca sta mettendo in pericolo la vita di molti animali…” ansimò per lo sforzo di tenersi ferma in volo. Miwa sentì un brivido, ma non era un brivido di freddo, era il brivido che ci prende quando abbiamo il desiderio di aiutare gli altri, l’indignazione che ci assale contro chi agisce per distruggere il pianeta. Il nostro bel pianeta che Miwa aveva visto dal finestrino dell’aereo, dato che lei era una giramondo. Agatax si accorse di questo sentimento forte e fece cenno a Miwa di salire sulla sua groppa. Miwa ci pensò un attimo, poi chiese: “I miei genitori?” “Oh,” sussurrò Agatax “ovviamente non si accorgeranno di pag. 11 niente, abbiamo fermato il tempo! E poi, siccome siamo state avvistate, abbiamo dovuto spolverare un gruppo di pe-
scatori notturni con la nostra polvere della dimenticanza, così domattina anche i pescatori che ci hanno viste non ricorderanno nulla!” aggiunse con una risata sarcastica. Miwa non esitò. Saltò al collo di Agatax felice di aver ritrovato la sua vecchia amica e, insieme, raggiunsero il cielo altissimo e puntarono verso l’ovest seguite a ruota dalle maestose Sarah e Rebecca. Volarono veloci fino all’alba e, quando il sole nacque, Miwa rimase senza fiato. Aveva già visto il mondo dall’alto, ma questo era bellissimo, e poi la sensazione di avere il vento nei capelli era davvero fantastica. A quell’altezza il sole era violento e accecante e Miwa dovette stringere gli occhi che iniziarono a lacrimare. “Piangi, soldo di cacio?” le chiese Sarah premurosa, ma Miwa le restituì un sorriso radioso e Sarah si tranquillizzò. Presto arrivarono al punto dove c’era stata la fuoriuscita di petrolio. “Che cos’è il petrolio?” chiese Miwa che non aveva neanche tre anni, e il petrolio non l’aveva mai visto. “Il petrolio è un liquido denso, una sostanza naturale che si trova sottoterra e siccome è infiammabile, serve per scaldarsi e per far camminare le automobili, le navi e gli aerei. Lo chiamano anche oro nero, ma ora che si è riversato nel mare costituisce un grave pericolo per gli animali perché è più leggero dell’acqua e si ferma sulla superficie, privando l’acqua di ossigeno e di luce. Dobbiamo cercare di far allontanare gli animali!” “Ma cosa possiamo fare?” chiese Miwa quando vide le dimensioni della chiazza nera. Era una macchia di proporzioni gigantesche, molto più grandi anche dei tre draghi. “L’unica cosa che possiamo fare adesso è chiamare i delfini, ma noi siamo troppo grosse, si spaventerebbero molto, solo tu puoi farlo Miwa!” disse Rebecca, il drago arancione. Miwa non aveva idea di come si possa parlare a un delfino, ma prese un forte respiro e annuì. Agatax la fece scendere su una spiaggia dove c’era un vecchio molo pericolante che arrivava fino al largo e lì Miwa si
sedette in attesa di veder passare un delfino. Dovette attendere molto ma poi la sua pazienza fu premiata perché un branco di delfini giocosi passò proprio vicino a lei. I delfini giocavano, saltavano fuori dall’acqua e la spruzzavano, ma non ne volevano sapere di ascoltarla. “Dovete ascoltarmi!” li implorò Miwa, “prima che sia troppo tardi!” Un cucciolo di delfino le si avvicinò e la guardò curioso. “Ma insomma volete ascoltarmi?” sbottò Miwa che iniziava a stufarsi di venire spruzzata per divertimento. Il piccolo la guardò storto, poi se ne andò con un guizzo veloce. Miwa affranta guardò verso il nascondiglio dei draghi, ma quando si girò di nuovo verso il mare, notò con sollievo che il piccolo delfino stava arrivando scortato dai genitori. Così Miwa spiegò loro che occorreva fare qualcosa per scongiurare una carneficina e i delfini capirono il messaggio. La mamma delfino la invitò a salire sulla sua groppa perché un branco di delfini, per quanto simpatici, non sarebbero riusciti da soli ad avvertire tutti gli animali, avevano bisogno di aiuto. Miwa è una bambina molto coraggiosa, ma viaggiare a dorso di un delfino certamente richiede una dose di coraggio che a volte anche una persona grande e grossa fa fatica a trovare. La mamma delfino però la guardò con i suoi occhi espressivi pregandola di farlo, perché solo insieme avrebbero potuto salvare gli animali. Miwa salì sulla sua groppa un po’ tremante ma dovette subito acchiapparsi forte alla pinna dorsale del grosso mammifero che partì a razzo. Miwa si girò e vide tre teste a pelo d’acqua che la scortavano. I draghi si erano gettati in acqua e seguivano la strana coppia pronti a difendere la loro piccola amica da qualsiasi pericolo. Mamma delfino portò Miwa dalla balenottera, un gigantesco cetaceo, anche lei un mammifero, che accolse Miwa con grande dolcezza, nonostante il timore della bambina che pag. 13 non aveva mai visto un animale così grande. Era pure più grande di Agatax!
La balenottera si occupò subito di far avere il messaggio a tutte le sue compagne. “Pericolo! State lontani dalla macchia nera!” Breve ma efficace! Non restava che sperare che tutti lo sentissero. Con le balenottere, che diramarono il messaggio a tutto il mare, erano stati tutti avvertiti. Miwa vide la lontano la viscida sostanza nera e ebbe un tuffo al cuore. Uno stormo di gabbiani stava mangiando pesce a pochissima distanza dalla macchia nera. Il suo cuore cominciò a battere a mille. Se si fossero sporcati le piume con quella roba maleodorante sarebbero morti tutti! Mamma delfino si accorse dell’apprensione della bambina e si precipitò con lei sopra verso il gruppo di gabbiani. Erano troppo lontane, non ce l’avrebbero mai fatta. Agatax che non aveva smesso di seguire la sua adorata Miwa, capì al volo quello che doveva fare. Si alzò dall’acqua con un fragore assordante e spostando una massa d’acqua enorme provocò un’onda gigantesca che spinse per un po’ di metri la massa untuosa, poi si fece vedere dai gabbiani che, spaventati fuggirono lontano. Miwa tirò un sospiro di sollievo e, per far calmare la mamma delfino che non aveva mai visto un drago, le sussurrò all’orecchio parole tranquillizzanti. Agatax si avvicinò, ma proprio in quell’istante, una femmina di gabbiano arrivò gridando: “I miei pulcini! I miei figli sono là sotto!” Non c’era da perdere neanche un istante. Mamma delfino e Miwa si guardarono e in un secondo presero la decisione. Miwa prese aria e si immersero sotto la massa nera per cercare di salvare i piccoli gabbiani. Miwa non riusciva a vedere niente così cercò di abituare gli occhi al buio tenendoli chiusi per un po’. Il cuore le martellava nel petto e presto avrebbe dovuto uscire dall’acqua perché i nostri polmoni non possono resistere a lungo trattenendo il respiro. Noi non siamo come i delfini che ci possono stare molto tempo sott’acqua! Quando riaprì gli occhi li vide! Tre pulcini di gabbiano stavano pescando dei pesciolini da una roccia ignari del peri-
colo. Se fossero riemersi sotto la macchia si sarebbero sporcati tutte le piume e sarebbero morti! Mamma delfino cercò di aggirarli per non spaventarli e non mandarli direttamente contro il petrolio. Piano piano li raggiunse da dietro e poi cercò di catturare la loro attenzione. Fortunatamente i pulcini capirono che mamma delfino e Miwa non avevano intenzioni cattive e si diressero verso la superficie limpida che lasciava penetrare i raggi del sole. Quando li vide mamma gabbiano ringraziò tutti e volò via dietro ai figli. Anche mamma delfino ringraziò Miwa e, con uno spruzzo giocoso, tornò dal suo piccolo. “Agatax…” chiese Miwa alla sua gigantesca amica, perché hanno buttato il petrolio in mare?” “Be’, non è che ce l’abbiano buttato, stamane è affondata una nave che lo trasportava e così tutto il liquido è finito in mare. Sai, gli uomini non pensano al loro pianeta. Ne sfruttano le risorse, l’acqua, il cibo, le sostanze che danno energia, ma non pensano a mantenerlo come ci è stato dato.” Miwa divenne pensierosa. “E perché?” chiese di nuovo. Si sa, i bambini sono curiosi, devono scoprire il mondo… “Perché…” Agatax s’interruppe. “Perché alla stupidità umana non c’è rimedio!” sentenziò Sarah diretta. Miwa rimase in silenzio. Salì in groppa al magnifico drago dei colori dell’arcobaleno e tornò a casa. Quando fu di nuovo nel suo letto prese una solenne decisione. Quando sarebbe diventata grande avrebbe cercato di salvare il pianeta dalla distruzione. E, convinta di quello che aveva deciso, si addormentò come un sasso.
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Miwa e i bambini Rom
“Miwa! Miwa, vuoi svegliarti? Ah, quanto non li sopporto i bambini!” Miwa aprì gli occhi. La finestra era spalancata e in pieno inverno non è una cosa tanto gradevole. Cercò di vedere da dove provenisse la voce ma non vide niente. Certo! Doveva guardare più in basso! Davanti a lei, con una faccia imbronciata c’era il folletto Zumpicarchs. Un piccolo essere verde, con il naso adunco, un cappello a punta, un gilet verde e un lecca lecca al mirtillo davvero profumato. “Buon… buona sera!” salutò Miwa che è una bimba molto educata. Il piccolo folletto la squadrò borbottando qualcosa a propo sito di bambini, incartò delicatamente il lecca lecca al mirtillo con una pezza di velluto, poi cavò dal taschino un grosso orologio e cominciò ad armeggiare con le lancette. “Dobbiamo sbrigarci!” intimò “Agatax ci aspetta!” poi, vedendo la faccia stupita di Miwa “non dirmi che non ti ha mai parlato di me eh?” domandò. “Non… non mi pare…” balbettò Miwa un poco spaventata. “Beh non c’è tempo ora. Dobbiamo andare!” Andò verso la finestra, poi si fermò di botto. “E non dirmi che vuoi portare quella mocciosa di tua sorella piccola!” “Mia sorella non è mocciosa!” protestò Miwa. “Ah no? E dimmi, non piange mai?” chiese sarcastico il folletto “non bisogna sempre cambiarle il pannolino perché ancora non sa dire – mi scappa la pipì - o - mi scappa la popò? - Eh? Comunque poche chiacchiere. Dovrai venire da sola. Io fermerò il tempo!” Miwa si affacciò alla finestra. Agatax le faceva cenno di calarsi di sotto e la bimba, dallo sguardo del drago capì che pag. 17 era una cosa importante. Si vestì in fretta poi, accompagnata dal burbero folletto, si calò dalla finestra per salire in
groppa al poderoso drago. Dopo un secondo erano in alto nel cielo vellutato e puntinato di stelle. Meno male che si era messa sciarpa cappello e guanti, altrimenti si sarebbe congelata. Fa freddo se si vola in groppa a un drago nel mese di dicembre. Agatax volò velocissima e per atterrare sollevò un grosso polverone. Miwa si chiese il perché di tanta fretta e il drago, gentile come al solito, le spiegò: “Vedi, soldo di cacio, ci sono dei bambini in pericolo, e tu devi salvarli! Tu e il nostro caro Zumpicarchs!” Il folletto mise le braccia conserte. “Già, io non vedo perché darsi tanta pena per dei cuccioli d’uomo, ma lei ha una gran passione per l’umanità!” sbottò indicando il drago con una mossa della testa. “Non farci caso” le sussurrò Agatax all’orecchio. “è un vecchio folletto brontolone, ma di lui possiamo fidarci!” poi, rivolta al folletto, “Zumpi, per cortesia, vuoi essere così gentile da accompagnare Miwa al luogo prestabilito e spiegarle strada facendo qual è la missione? Io vi aspetterò qui, sono troppo grossa e non passerei inosservata, con il rischio di essere vista… sapete, non ho proprio nessuna intenzione di finire imbalsamata in un museo… Allora, andate e… in bocca al drago!” “Come in bocca al drago?” chiese spaventata Miwa. “Oh, non preoccuparti, è un modo di fare gli auguri!” la rassicurò il folletto “e ora, andiamo!” “Dove?” domandò Miwa mentre cercava di stargli dietro. “Andiamo al campo Rom! Stamattina una cornacchia nostra amica ha sentito alcuni ragazzi grandi che parlavano tra di loro. Progettavano un attentato! Dicevano che li avrebbero bruciati tutti! Noi dobbiamo scoprire il loro piano e sabotarlo!” “Che vuol dire sabotarlo? Non ti dimenticare che ho tre anni, ancora non sono andata a scuola!” “Già!” sentenziò il folletto burbero come al solito “significa mandarlo all’aria, significa che loro proveranno a incendiare
il campo Rom e noi dobbiamo spegnere il fuoco. Capito?” “Si, grazie” ammise Miwa che ora era molto più soddisfatta. Quando arrivarono Zumpicarchs si diresse verso una casa di legno che aveva le persiane rotte e, così, poterono ascoltare i discorsi dei ragazzi incendiari. Il folletto trasse dalla manica una bacchetta magica e diede una botta in testa a Miwa. “Ahia!” fece Miwa presa alla sprovvista. Poi si diede un colpo sulla sua testa e dopo un secondo erano diventati invisibili! Miwa non poteva crederci. Non si vedeva niente! Erano invisibili davvero! Come Herry Potter quando si metteva in testa il mantello dell’invisibilità. Certo, così era più comodo, non c’era il rischio che il mantello ti cadesse dalla testa e ti rendesse di nuovo visibile. La cornacchia aveva sentito bene. I ragazzi quella stessa notte si sarebbero messi in testa un cappuccio e sarebbero andati a incendiare il campo dei nomadi accendendo più di un fuoco. L’avevano pensata proprio bene. Avrebbero prima di tutto incendiato dell’immondizia in tutte le vie di fuga meno una, poi avrebbero aggredito il cuore del campo incendiando la roulotte degli anziani, poi sarebbero fuggiti attraversando l’ultima via di fuga lasciandosi dietro una scia di catrame a cui avrebbero dato fuoco non appena sarebbero stati tutti fuori. Miwa era terrorizzata. Lì dentro a quell’ora c’erano praticamente tutti e quindi anche tutti i bambini. Sarebbero rimasti intrappolati nel rogo! Cosa avrebbero potuto fare loro così piccoli contro quei ragazzi così grandi e grossi? “Zumpicarchs, facciamoci venire un’idea subito!” intimò impaurita. Il folletto si mise a riflettere. Miwa lo stuzzicò “usa il tuo orologio ferma tempo!” “Non posso! Non può agire in un campo così grande!” rispose Zumpicarchs mentre rimuginava. pag. 19 “Beh, usa la tua bacchetta magica!” lo incalzò. “Senti impertinente bambina non lo sai che la magia non può nulla contro la cattiveria di quella brutta razza degli
umani?” rimbrottò spazientito. Miwa ci pensò su. Aveva solo tre anni ma era una bambina davvero speciale. Non si offese per la maleducazione del folletto, si sa, i folletti cono così, bisogna avere pazienza. “Allora” continuò la bambina “organizziamoci per spegnere gli incendi con l’acqua!” “Beh,” sentenziò il folletto “questa è già un’idea migliore! Ma come faremo a essere contemporaneamente nelle quattro vie di fuga? “Potremo farci aiutare da qualcuno!” esclamò Miwa felice di aver avuto l’approvazione dello scontroso folletto “ma per farci aiutare, dovremo farci vedere…” Si allontanarono dalla casupola ove avevano assistito alla malvagia riunione e decisero che avrebbero chiesto l’aiuto di qualcuno di cui potevano fidarsi, non c’era tempo per dare l’allarme e, comunque, avrebbero faticato a farsi credere, per cui scelsero una grossa e silenziosa roulotte dove dormivano dei bambini e Zumpicarchs diede una botta in testa a Miwa con la sua bacchetta magica. Miwa riuscì di nuovo a guardarsi le mani e, dopo che il folletto ebbe aperto la porta della roulotte con un altro colpo di bacchetta, entrò in punta di piedi e cercò di svegliare quello che sembrava il più grande dei bambini. Miwa cercò di fare piano per non spaventarlo ma il bambino, una volta sveglio, spalancò i suoi occhi neri come il carbone e le sorrise. “Ciao!” le disse “chi sei? Io sono Kak e ho quattro anni!” Miwa gli spiegò velocemente il motivo della sua visita e Kak scese dal letto e svegliò i suoi fratelli Chiori e Suno, due gemelli di tre anni e la sorella Beba che di anni ne aveva solo due. Lasciarono a dormire solo la piccola Rumi che era neonata. “Beba sonno!” protestò Beba stropicciandosi gli occhi ma Kak le spiegò che dovevano fare una cosa importantissima, altrimenti sarebbe scoppiato un incendio gigantesco che avrebbe distrutto tutto il campo. La piccola si convinse e si alzò dal letto.
“Come faremo?” chiese Kak “siamo solo dei bambini!” “Ma i grandi non ci crederebbero!” asserì Miwa “dovremo cercare da soli di spegnere gli incendi. Ma… come faremo, Zumpicarchs?” chiese scendendo dalla roulotte seguita dai quattro bambini. “Chi hai chiamato?” fece Kak spaventato. “Hai paura di un folletto?” domandò Miwa che sapeva benissimo che senza l’aiuto di Zumpicarchs non sarebbero riusciti a sventare l’attentato. “Beh, no, ma…” Dopo un secondo ecco comparire il folletto armato di bacchetta magica. I ragazzi spalancarono gli occhi. Non avevano mai visto un folletto, infatti non è che i folletti vadano in giro così, a farsi vedere da tutti. Ma si sa,i bambini sono pieni di risorse, così nessuno si spaventò e si concentrarono tutti sul piano da elaborare. “Bene!” esclamò Zumpicarchs, “dovete decidere in fretta, quelli sono già in azione e io con la mia magia non riesco a fare niente, o quasi!” “Allora, avete delle bottiglie vuote?” chiese Miwa. “Ho un’idea!” sbottò Kak entusiasta, prese un legnetto e cominciò a disegnare sulla terra (nei campi Rom non ci sono mica le mattonelle!). Quando ebbe disegnato la piantina del campo, cominciò la spiegazione: “le quattro vie di fuga dove quei cattivi hanno intenzione di appiccare il fuoco, sono questa, questa, questa e infine questa. Qui, qui e qui,” continuò indicando i punti con la punta del bastoncino, ci sono delle fontanelle e io so dove teniamo i tubi. Basterà che ognuno di noi si metta pronto con il tubo e, quando gli incendiari daranno fuoco all’immondizia, spenga il fuoco. Ci divideremo così: io, che sono più grande, sarò da solo a nord, Chiori a est e Suno a sud, tu, Miwa e il tuo amico Zum… insomma il tuo amico folletto sarete al centro del campo ad attenderli e poi, noi ci dirigeremo verso l’uscita ovest che dovrebbe es- pag. 21 sere quella da dove fuggiranno. Che ne dite?” “E io?” chiese imbronciata la piccola Beba.
“Tu… tu, farai da palo! Dovrai avvertirci di qualsiasi cosa succeda!” “Beba no palo!” brontolò. Con grande fatica trovarono i tubi e li portarono vicino alle fontanelle e con l’aiuto della bacchetta magica di Zumpicarchs li attaccarono ai rubinetti. Fecero appena in tempo, i ragazzacci avevano già cominciato ad appiccare il fuoco. Kak riuscì subito a spegnere l’incendio e riuscì anche a bagnare bene bene l’immondizia in modo che non si potesse più incendiare. Miwa e Zumpicarchs aspettavano che i ragazzi si dirigessero al centro del campo, mentre Chiori e Suno, anche se con un po’ di fatica, riuscirono a spegnere il fuoco che già crepitava. Sembrava che fosse andato tutto bene quando i ragazzacci si accorsero che i fuochi si erano spenti. Se ne andarono ma dopo meno di cinque minuti tornarono. Avevano delle taniche di benzina! “Adesso vedremo chi vince, piccoli esseri schifosi ladri e sudici!” gridò uno di quei ragazzi con il cappuccio bianco che sembrava un fantasma. “Presto, con la benzina riusciranno a bruciare il campo, non ce la faremo mai con i nostri tubi a spegnere l’incendio!” Prima di riuscire a organizzarsi però, i ragazzi avevano già incendiato una roulotte. “Rumi foco!” gridò la piccola Beba. I bambini si guardarono terrorizzati. Era la loro roulotte! “La piccola Rumi!” gridò Kak con gli occhi spalancati per lo spavento. Erano tutti impietriti dalla paura ma Zumpicarchs si fiondò nella roulotte rischiando la vita. “Zumpicarchs!” gridò Miwa. Il folletto non usciva più dalla roulotte in fiamme. Fumo nero usciva dai finestrini che erano scoppiati e i ragazzi già piangevano per la loro sorellina. Dopo un tempo che a loro era sembrato lunghissimo, Zumpicarchs, con il cappello bruciacchiato, uscì con in mano un
fagottino che consegnò al fratello maggiore. La piccolina era ancora addormentata. Il folletto l’aveva protetta con la magia e così si era potuta salvare. Miwa sorrise. “Ma non eri tu quello che non sopporta i bambini piccoli?” lo rimproverò. A quel punto anche i grandi si svegliarono e intervennero riuscendo a spegnere l’incendio. Riuscirono anche ad acciuffare uno dei ragazzi incendiari. Gli altri purtroppo erano riusciti a fuggire ma, per fortuna, il danno era stato limitato. Zumpicarchs si rese di nuovo invisibile, meglio che i grandi non vedano i folletti, altrimenti non si sa cosa potrebbe succedere, e anche Miwa si nascose, meglio non farsi trovare da sola, una bambina di tre anni, in un campo Rom. Avrebbe scatenato l’esercito degli assistenti sociali del Comune! “Allora te ne vai…” le sussurrò all’orecchio Kak “tu ci hai aiutato. Quello hai sentito come ci ha chiamati? Piccoli, schifosi, ladri e…” Miwa gli fece cenno di guardare dietro di se. Erano i suoi genitori che accorrevano impauriti ma nello stesso tempo felici per i loro figli, tutti salvi. Kak le fece l’occhiolino, prese Beba per mano e tornò in mezzo alla sua gente. Miwa e Zumpicarchs raggiunsero Agatax che era stata tutto il tempo ad aspettarli. “Sono fiera di voi!” disse loro mentre li faceva salire sulla sua groppa. Il giorno dopo a colazione Miwa sentì il papà che leggeva alla moglie un articolo di giornale. “Sventato il tentativo di incendiare un campo Rom. Quattro fratelli di etnia Rom sono riusciti a salvarsi dall’incendio della loro roulotte appiccato da una banda di teppisti decisi a fare piazza pulita del campo di Piazzale Armerino ma, fortunatamente, non sono riusciti nel loro intento. Il Sindaco ha deciso di non interrompere il progetto di inte- pag. 23 grazione iniziato con gli abitanti del campo Rom che si sono accampati da diversi anni, così proporrà che i quattro piro-
mani, tutti acciuffati, siano condannati a tre anni di lavoro utile all’interno del campo. Miwa sorrise e, per nascondere il sorriso alzò la tazza di latte fin sopra gli occhi bevendo il latte tutto d’un fiato. “Ueeeeeee!” gridò la piccola sorella di Miwa e lei, che era ormai grande, sorrise anche alla sorella.
La forza delle donne
Una volta Miwa, ormai famosa per la sua amicizia con una splendida femmina di drago di nome Agatax, si trovò ad affrontare uno spinoso problema. Miwa ha tre anni e mezzo ed è una bambina molto sveglia ma se glielo chiedete, vi dirà che ancora le tremano le gambe per la paura. Quella volta Agatax la fece salire su di sé e la portò in un posto poverissimo, così povero che le case erano capanne e le persone andavano in giro scalze. Agatax non si fece vedere e, una volta depositata la bambina, scappò a nascondersi lasciando Miwa in mezzo alla strada sterrata. “Presto! Nasconditi!” Miwa si girò intorno. All’inizio non vide nessuno, poi si accorse che dietro a un grosso cespuglio, c’era una bambina all’incirca della sua età che, a gesti concitati, la invitava a raggiungerla. Miwa capì che doveva nascondersi e, dopo essersi assicurata che nei paraggi non ci fosse nessuno, raggiunse la bambina dietro la fitta vegetazione. “Perché mi devo nascondere?” chiese sottovoce alla piccola. “A proposito, io sono Miwa, e tu?” La bambina sorrise mostrando una fila di graziosi denti da latte “Sono Mia. I nostri nomi sono quasi uguali eh?” Poi si mise l’indice sulle labbra intimando a Miwa di fare silenzio e attese che passassero delle persone. “Allora,” domandò Miwa, “perché ci nascondiamo?” “Stanno prendendo tutte le bambine. Le portano in un posto dove le senti urlare e poi, quando le lasciano andare, sono tutte sporche di sangue ma nessuna di loro sa dire con precisione cosa le abbiano fatto. Sono certa che vengono tortu- pag. 25 rate!” Miwa si spaventò molto. Possibile che in certi posti nel mon-
do si faccia male alle bambine? Quando si fece sera, la bimba si accorsi che Miwa non aveva una casa dove andare, così le offrì ospitalità a casa sua. Miwa in verità una casa ce l’aveva, una casa vera e due genitori teneri e affettuosi e aveva anche una sorella piccola! Ma sapeva che la sua amica Agatax aveva fermato il tempo e quindi nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Solo che ancora non aveva capito che tipo di missione dovesse compiere. La piccola capanna ospitava madre e figlia. Miwa scoprì che il padre di Mia era morto un anno prima e le due erano rimaste sole vivendo con grande difficoltà. Si rivolse alla mamma di Mia. “Signora, perché fanno del male alle bambine?” La donna la guardò e, come se temesse di essere osservata, si precipitò a chiudere la porta, cioè lo straccio che chiudeva la capanna, poi, le rispose: “E’ un’usanza delle nostre parti. Ma io non voglio che venga fatto a mia figlia! Devo proteggerla! A costo di farla vestire da maschio!” Miwa comprese lo scopo della sua missione. “Certo che Agatax poteva essere un po’ più esplicita!” pensava Miwa tra sé. “E ora che faccio? Come posso io, una bambina, risolvere questo problema che mi pare davvero grosso e insormontabile?” Mentre era immersa nei suoi pensieri, Miwa incrociò lo sguardo di Mia. Quella bambina la guardava piena di speranza. A volte, i più poveri ed esclusi, ci vedono come onnipotenti, fortunati a vivere nella parte del mondo dove si cammina con le scarpe anche sull’erba e ripongono in noi una speranza non tanto di cambiamento delle cose, di riequilibrio delle disparità ma di miglioramento immediato della loro vita. Quella notte Miwa non riuscì a prendere sonno. Mentre le sue amiche dormivano Miwa uscì dalla capanna e si avviò verso la grotta dove era nascosta Agatax. La bambina si sedette in terra accanto alla sua amica e grosse e calde lacrime rotolarono lungo le sue guance.
“Che c’è Miwa?” le chiese Agatx guardandola con i suoi occhi profondi e neri. “C’è che non so cosa fare. Lì prendono le bambine, fanno loro un taglio o qualcosa del genere, loro urlano, si divincolano, fanno la pipì addosso, poi le lasciano andare ma non sono più le stesse. Che posso fare io? Io non ho armi! Non ho niente per impedire questa brutta cosa!” “Non è vero che non hai niente” le rispose il drago con dolcezza “tu hai un’arma potentissima. Tu hai le parole! Le parole sono molto più forti della forza delle tue braccia e delle tue gambe!” Miwa baciò Agatax sul gigantesco muso e tornò alla capanna dove trovò la sua amica Mia che l’attendeva. “Dov’eri?” le chiese. “Ero a fare due passi. Senti Mia, io so come aiutarvi, ma per farlo, tu e tua madre dovrete fare la vostra parte. Che dici, proviamo?” Una brillante luce di speranza accese gli occhi di Mia. Straordinario potere delle parole. Era bastato dire – so come aiutarvi - per accenderla. Si misero d’accordo. Non fu affatto facile convincere tutte le donne a partecipare alla ribellione. Alcune erano davvero convinte che le mutilazioni fossero una cosa giusta. Con l’aiuto di Mia e di sua madre, (potenza delle parole!) ci riuscirono! Prepararono una mistura soporifera da dare agli uomini tutte le sere per poi riunirsi in casa di Mia. Le prime volte non sapevano parlare, non sapevano intervenire con garbo, si interrompevano, gridavano per far sentire più forte la loro voce, insomma erano così indisciplinate che a Miwa sembrava di stare all’asilo! Poi, quando Miwa cominciò a perdere la speranza, cominciarono a parlare dei loro sogni. Non erano sogni di ricchezza o di agiatezza, e neanche di emancipazione come popag. 27 tremmo intenderla noi del ricco e ingiusto occidente. Sognavano di poter andare a scuola, di istruire i loro figli, di coltivare la terra in modo rispettoso dell’ambiente e delle
persone, sognavano un mondo senza violenza, senza sopraffazioni e senza disuguaglianze. Grazie ai loro sogni compresero che se si fossero unite la loro forza, già grande, si sarebbe moltiplicata. Miwa comprese che il suo compito era riuscito ora poteva lasciarle sole e tornare dalla sua famiglia. Miwa e Mia si abbracciarono. “Ti rivedrò?” chiese Mia con le lacrime agli occhi. “Puoi starne certa!” rispose Miwa mentre si allontanava salutandola con la mano “hai detto che vuoi fare la musicista no? E io vado a organizzare il tuo primo concerto all’estero!”
Il calendario magico
Un giorno Miwa trovò un vecchio calendario perpetuo, quelli che ci dicono, per esempio, se siamo nati di mercoledì o di sabato. Miwa è una bambina molto curiosa, così, decisa a scoprire come funzionasse, si mise a giocare con il calendario e, non si sa come, e neanche il perché, ma dopo un minuto, sprofondò in un buco che si era formato nel pavimento. Miwa scivolò lungo un tunnel che sembrava non finire mai e poi cadde rotolando su un pavimento freddo e umido. “Ma dove sono finita?” si domandò Miwa massaggiandosi il fondoschiena. Si alzò in piedi e udì dei rumori infernali. Catene, spade che cozzavano, urla di gente. Un po’ si spaventò: Miwa ha tre anni e mezzo, e a questa età uno si spaventa ma lei non si fece certo paralizzare dalla paura e si diresse verso la porta di quella strana stanza altissima e con una piccolissima finestra così alta che Miwa non poté neanche vedere il cielo. Si diresse verso i rumori per vedere cosa fosse accaduto e si accorse che si trovava in una prigione. I prigionieri stavano dietro le sbarre e c’erano una banda di ragazzi che armeggiavano per aprirle. Non appena ne aprivano una, i prigionieri uscivano zoppicanti e venivano accompagnati fuori da una bellissima ragazza che sembrava una principessa. “Ciao!” si sentì Miwa dietro le spalle e a momenti non le venne un colpo! “Chi sei?” chiese un bel ragazzo sconosciuto. “Sono Miwa. Il calendario mi ha fatto cadere nel pavimento. Dove mi trovo?” domandò. “Beh, i miei omaggi” disse il ragazzo inchinandosi. Aveva una piuma sul cappello. “Sei a Nottingham, in Inghilterra, nel mille e trecento, più o meno. Io sono Robin. Robin Hood! pag. 29 Rubo ai ricchi per sfamare i poveri, e ora sto liberando i prigionieri che sono stati arrestati per non aver pagato le tasse
a quel malvagio dello sceriffo di Nottingham!” Le prese la piccola mano e la baciò. “Ma Robin Hood non è vissuto veramente!” sbottò Miwa che nonostante la giovane età sapeva molte cose “è una leggenda, insomma, una storia un po’ vera e un po’ falsa!” “Hai sentito Little John?” gridò il giovane verso la fine del buio corridoio “c’è una signorina qui che dice che per metà sei falso!” Una risata baritonale squillò nella tetra prigione. Un corpulento giovane si avvicinò a Miwa e si abbassò vicino a lei mettendo un ginocchio a terra e l’altro a sorreggere la voluminosa pancia. “Benedette parole giovane fanciulla! Nessuno mi crede quando dico di essere un falso grasso!” le prese l’altra mano e gliela baciò. Poi Robin Hood chiamò a gran voce “Marion!” e la bella fanciulla accorse presso di lui. Quando vide Miwa le regalò un radioso sorriso. “Qui c’è qualcuno che può aiutarti!” disse Robin a Marion indicando Miwa. La ragazza si abbassò e le prese le mani. “Tu vuoi aiutarci?” le chiese. Miwa ancora non sapeva bene quali fossero le cose giuste, e siccome non c’erano né il papà ne la mamma, che potevano suggerirle, decise di seguire il suo istinto. “Sì!” esclamò, “vi aiuterò!” Si trattava di passare tra due sbarre molto strette. Solo un bambino piccolo avrebbe potuto passarci. Miwa ascoltò le istruzioni con attenzione e, dopo poco, era già passata tra le sbarre e cercava di aprire la serratura di un lucchetto con una piccola chiave. Il prigioniero era troppo debole per liberarsi da solo e lei aveva poca forza per girare la chiave così passò un po’ di tempo prima di unire le forze. Entrambi con tutte e due le mani riuscirono a sbloccare la grossa serratura. “Perché ti hanno imprigionato?” domandò Miwa al giovanotto riccioluto mentre lo tirava per aiutarlo ad alzarsi. “an-
che tu non hai pagato quelle cose?” “Vedi, piccola,” rispose il ragazzo alzandosi lentamente in piedi “pagare le tasse non è ingiusto, ma le tasse servono per la città, per le scuole, gli ospedali, non per arricchire gli sceriffi! E comunque no, io le tasse le ho pagate, solo che io canto per le strade e racconto l’ingiustizia della tirannia, di quanto sono iniqui i nostri governanti. Per questo mi hanno imprigionato!” Quando fu sicuro di reggersi in piedi il ragazzo prese una grossa chiave dal muro, aprì la cella e, dopo due secondi, era tra le braccia robuste di Little John che lo portavano in salvo. “Ora siamo tutti fuori, grazie piccola, per il tuo prezioso aiuto! Ora potrai dire a tutti che sei stata parte di una leggenda!” Robin le fece un profondo inchino e, presa per mano la sua adorata Marion, in un attimo, si dileguò. Miwa si frugò in tasca. Il calendario era ancora spostato su quel giorno lontano. Lo girò su “23 gennaio 2011”, e, mentre sentiva arrivare le guardie che erano riuscite a liberarsi e a dare l’allarme, sparì e, in un secondo, si trovò seduta sul suo letto.
pag. 31
Miwa e la matita magica (per scrivere questa favola ho rubato le parole al mio amico Vasco che mi ha inviato un SMS di auguri tra i più belli che abbia mai ricevuto)
Un giorno Miwa passeggiava in riva al lago. Il lago rispecchiava il cielo azzurro e limpido e stormi di uccelli si divertivano a sfiorare l’acqua emettendo versi striduli e allegri. Miwa si chiese se fossero davvero felici. Assorta nei suoi pensieri Miwa non si accorse che una vecchietta era accanto a lei. “Credo che tu abbia bisogno di questa!” esclamò la vecchia porgendole una matita. Miwa trasalì. Siccome era (ed è tuttora) una bambina molto educata, subito salutò e si scusò per non essersi accorta prima che la signora si fosse avvicinata. La vecchietta le porgeva la matita tenendola dalla punta, per evitare che Miwa si ferisse nel prenderla, ma Miwa era molto titubante. “Che c’è? Non la vuoi?” domandò la vecchina. “Perché mi dai la matita? Io non so scrivere!” protestò Miwa che ancora non aveva deciso se fidarsi o no. “Oh, non ce n’è bisogno!” asserì la vecchina “questa è la matita della felicità! Puoi anche solo fare un disegno! E porterai la felicità intorno a te!” Miwa afferrò delicatamente la matita e la osservò attentamente Era bellissima, aveva delle decorazioni accuratamente intagliate. Guardando meglio si accorse che vi erano riprodotti dei draghi, proprio come la sua amica Agatax. Alzò gli occhi verso la signora dai capelli bianchi ma questa era sparita. Miwa si guardò intorno ma non vide nessuno. Era pag. 33 proprio scomparsa! Tornò verso casa trotterellando con la matita in tasca (Miwa
è una bambina molto responsabile, lo sa che non bisogna correre con le matite in mano, altrimenti rischiamo di infilarcele negli occhi). Lungo il percorso, incontrò un ragazzo. Il giovane piangeva come una fontana e Miwa ne fu impressionata, non aveva mai visto un grande piangere. “Sono triste perché sono innamorato di Alicia ma lei non mi guarda neanche!” Miwa teneva la mano in tasca a contatto con la matita. La trasse fuori e volle fare una prova. Chiese al giovane un foglio e disegnò due innamorati che si tenevano per mano. Lo diede al ragazzo che subito si illuminò in volto. “Ho deciso!” esclamò “stasera parlerò con Alicia! Grazie bambina, mi hai reso felice!” Miwa sorrise. Allora la matita funzionava davvero. Se ne andò felice a casa pensando di fare molti disegni. Una volta a casa disegnò una bambina ridente per la sua sorellina che piangeva forte perché aveva il mal di pancia. Il mal di pancia passò e la piccolina tornò a sorridere. Poi disegnò un cuore con dentro i suoi genitori che quel giorno avevano bisticciato e così fecero pace. Il giorno dopo Miwa decise che sarebbe andata in paese. Cosa molto difficile perché a tre anni e poco più, mica ti lasciano uscire da sola come niente fosse! Un conto era recarsi al lago che stava vicino casa, un altro era andare in paese! E non aveva neanche la sua amica Agatax per fermare il tempo! Era così decisa che convinse la mamma a portarla con se a fare la spesa. Mentre la mamma era nel negozio, Miwa incontrò un uomo triste. “Perché sei triste?” gli chiese. “Sono triste perché ho guadagnato poco, le vendite sono diminuite e io ho paura di diventare povero e di dover rinunciare a questa bella automobile!” disse indicando una macchinona puzzolente che ingombrava la strada e anche il marciapiede. Miwa non era tanto convinta, ma una bambina può anche
sbagliare a volte, così, spinta dalla sua generosità, si fece dare un foglio e vi disegnò un mucchietto di soldi. L’uomo prese il disegno, prima rise come un matto, poi lo strappò e neanche lo buttò nel contenitore della carta. Lo appallottolò e lo buttò nella campana della plastica. Miwa ci rimase davvero male quell’uomo era proprio malvagio. Non avrebbe meritato i soldi che lei aveva disegnato sul foglio. Piena di tristezza Miwa tornò in riva al lago e, dopo un attimo, la vecchina si materializzò accanto a lei. “Che succede Miwa? Non sei contenta di dare felicità?” chiese la vecchia. Miwa raccontò dell’accaduto e anche dei suoi timori di aver dato felicità a uno che non la meritava affatto. “Tranquilla, la magia di quella matita non è per tutti gli uomini. E’ un dono per chi non si rassegna che questo sia il migliore dei mondi possibili, che la felicità sia un fatto personale, per chi sa che sarà felice solo in un mondo intorno a sé, felice.” Miwa trasse dalla tasca la matita. “Posso tenerla?” domandò “credo che il mondo abbia molto bisogno di questa magia!” La vecchia scoppiò a ridere. “La matita non è magica. La vera magia l’hai fatta tu!” e, ridendo a crepapelle, puf, scomparve! Anche Miwa sorrise. Aveva capito. Tornò a casa, prese un foglio, disegnò il pianeta terra e sotto ci scrisse “Pianeta giusto” e lo regalò al suo papà.
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I pescatori di nebbia
“C’era una volta un Re…” no, questa no. “C’era una volta una ranocchia”… Miwa non aveva voglia di leggere le favole. Era una serata magnifica, con il lago che brillava di scaglie argentee e una luna gigantesca incastrata nel velluto nero del cielo. L’aria fresca entrava dalla finestra e faceva svolazzare le tende che fluttuavano leggere a disegnare volute di fumo. Quella sera Miwa era un po’ pensierosa perché quando si era lavata i denti il papà le aveva raccomandato di chiudere il rubinetto dell’acqua per non sprecarla. Non aveva capito bene il perché di quella raccomandazione, in fondo abitava vicino a un lago che aveva una quantità d’acqua immensa, specialmente agli occhi di una bambina di quasi quattro anni. A un certo punto però Miwa si rese conto che dalle tende usciva un fumo vero e un odore nauseabondo le impestò le narici penetrando fino al cervello. Miwa non ebbe dubbi, era la sua amica Agatax, il maestoso drago femmina che viveva nel lago. Il suo alito era davvero pestilenziale ma Miwa non si formalizzava mica di queste sciocchezze. Con Agatax aveva avuto avventure meravigliose e il puzzo di marcio bruciaticcio, mefitico e asfissiante, anche se qualche volta le aveva fatto salire le lacrime agli occhi, era veramente un dettaglio superabile. E poi era abituata a ben altro, visto che aveva una sorellina così piccola che usava ancora il pannolone… Miwa si confidò con la sua amica drago e Agatax, paziente come una mamma, cercò di spiegarle quanto preziosa sia l’acqua dolce per la vita sulla terra. “Sai Miwa, l'acqua dolce rappresenta una piccolissima parte pag. 37 dell'acqua totale presente sulla Terra e di questa piccola parte, più della metà in pochi ghiacciai, in particolare al po-
lo Nord. Ecco perché è pericoloso il riscaldamento del pianeta! Se la terra si scalda troppo, i ghiacci si sciolgono e l’acqua dolce finisce in mare, dove diventa inutilizzabile per la presenza del sale. Togliere il sale dall’acqua è possibile, ma ci vuole molto lavoro per farlo e si consuma molta energia. Poi ci sono i laghi e i fiumi, ma sono veramente una parte piccolissima in confronto a quello che serve. Quindi è importante non sprecare neanche una goccia d’acqua! Dai, sali, ti porto a vedere una cosa…” Miwa non se lo fece ripetere due volte, saltò in groppa al drago che, in questi casi, con una magia fermava il tempo, altrimenti ai suoi genitori poteva anche venire un infarto. Dopo tre secondi l’aria fresca solleticava i capelli di Miwa e lei si incantava a guardare la volta nera tempestata di piccoli diamanti e di una grossa luna piena che brillava come un topazio. Il drago portò Miwa in un posto molto strano, sembrava molto arido e brullo situato non troppo lontano dal mare. In un luogo un po’ più basso rispetto al paesaggio circostante c’erano delle reti altissime, attaccate a destra e a sinistra, a due pali molto alti che le reggevano in verticale. “Vedi quelle reti? Sono reti che pescano la nebbia!” Miwa non credeva ai suoi occhi. Le reti intrappolavano la nebbia e minuscole goccioline d’acqua limpida sgocciolavano in alcune brocche poste sotto le reti e, quello che la stupì di più, era che le brocche erano quasi piene! “Vedi cosa deve fare questo popolo per recuperare un po’ d’acqua dolce?” Miwa guardava affascinata quel sistema semplice ma funzionante e capì quanto fosse poca l’acqua dolce a disposizione delle persone sul pianeta, quindi è importante non sprecare l’acqua! A un certo punto vide un bambino in vena di fare dispetti. Aveva una fionda e dei sassi e il suo gioco era quello di mirare alle brocche per romperle. Miwa gli si avvicinò. “L’acqua dolce è preziosa, non sprecarla!” gli sussurrò per non farsi scoprire dai grandi.
Il bambino non parlava la nostra lingua ma capÏ il messaggio, le sorrise e andò a tirare i sassi nell’acqua di mare.
pag. 39
Miwa e la principessa Rosamelinda
Una volta Miwa passeggiava in riva al lago. La mamma glielo aveva detto che era pericoloso, ma lei non aveva voluto ascoltarla e, infatti, non si sa come né perché, Miwa cadde nel lago. Cercò di aggrapparsi alle alghe della riva ma erano troppo scivolose e lei cadde in acqua e poi sempre più giù, nelle nere profondità lacustri. Dopo un po’ si accorse che stranamente riusciva a respirare. “Agatax!” urlò con quanto fiato aveva in gola. Ma Agatax, il poderoso drago femmina che viveva nel lago, quel giorno non la udì. Miwa cadeva sempre più giù, ma non era nel lago, era in una specie di pozzo profondissimo e buio ma, alla fine, dopo che si era graffiata tutte le mani, atterrò su un letto di foglie secche facendo un gran rumore. Cercando di abituare gli occhi al buio, si alzò da terra massaggiandosi il sedere dove era pesantemente atterrata e, dopo alcuni minuti, si accorse che una bambina all’incirca della sua età, la guardava con interesse. La bambina era riccamente vestita. Le sue vesti erano di una stoffa con i disegni a rilievo. Draghi, sì, erano draghi. Miwa la guardava impaurita e affascinata. La bambina si rivolse a Miwa educatamente: “Grazie per essere venuta, sono la principessa Rosamelinda, e ho bisogno del tuo aiuto” “Ma, ma… “ balbettò Miwa “veramente… sono caduta in una specie di pozzo e…” “Oh, beh, allora…” sussurrò la principessa “vorrà dire che è stato un caso, un buon caso… la maggior parte delle cose succede per caso. Bene, magari però tu vorrai aiutarmi!” pag. 41 chiese tutto d’un fiato temendo che Miwa fosse un’altra di quelle bambine tutte gonne e frabalà ipercoccolate egoiste
e capricciose. Ma Miwa non è così, noi la conosciamo bene. Figuriamoci se non avrebbe offerto il suo aiuto! Miwa le tese la mano e la Principessa la condusse sulla torre più alta del suo regno. Nel frattempo si era fatto giorno e Miwa scoprì che c’era un regno che si chiamava Sottoillago e che, a posto del cielo, ma dello stesso suo colore, aveva una volta d’acqua. Miwa vide uno spettacolo desolato. Rifiuti dovunque, montagne di rifiuti e, di tanto in tanto dei draghi agonizzanti. Il cuore le fece un tuffo nel petto. Agatax. La sua amica Agatax poteva essere malata! A quel pensiero il cuore cominciò a martellare velocemente. Ecco perché non l’aveva sentita! “Non hai per caso un drago di nome Agatax?” chiese Miwa alla principessa. “E’ possibile, in questo regno ci sono moltissimi draghi, ma come vedi si sono tutti ammalati. Ho paura che sia l’inizio della fine! C’è qualcosa che li ha avvelenati. Queste creature maestose si estingueranno!” “Io voglio aiutarti” esclamò Miwa con sincerità, “ma voglio anche ritrovare la mia amica Agatax, anzi, sai che ti dico? Cominciamo da lei, così potremo avere anche delle indicazioni sui motivi di questo disastro!” Miwa e Rosamelinda cominciarono la ricerca. Attraversarono pianure sporche di rifiuti abbandonati, fiumi inquinati e foreste malate. Sembrava proprio un mondo senza speranza. Durante il cammino Miwa raccontava a Rosamelinda di come si potrebbe risolvere il problema dei rifiuti. Occorre che tutti siano consapevoli che l’inquinamento potrebbe portare alla distruzione del pianeta ma per farlo, occorre insegnare alle persone di non guardare solo dentro il proprio orticello. C’è un mondo intero fuori dei nostri orti che se non si ripulisce, rischia di morire! Miwa le raccontò di come si può fare la raccolta differenziata. La carta si mette con la carta e il cartone e poi si riutilizza per produrre altra carta e altro cartone, senza bisogno di tagliare gli alberi che sono i principali fornitori di cel-
lulosa, quella materia che serve per produrre la carta. Il vetro si mette con il vetro e poi viene frantumato in pezzetti piccolissimi, poi viene scaldato fino a quando diventa liquido e poi si può utilizzare per produrre altro vetro. E anche la plastica si può riciclare. Anzi, sulla plastica bisogna dire che è pericoloso lasciarla in giro o peggio bruciarla. La plastica bruciata produce diossina, un veleno potente per l’uomo e per gli animali. Miwa aveva capito che se non si convinceva la principessa, non sarebbe cambiato niente. “Vedi principessa, tutti devono fare la propria parte, anche le fabbriche e chi governa, altrimenti gli esseri viventi potrebbero anche scomparire!” La principessa sembrava assorta nei suoi pensieri, tanto che per quasi due ore non aprì bocca. Nel loro viaggio incontrarono dei draghi morenti. Dalla bava bianca alla bocca Miwa capì che erano stati avvelenati e una morsa le stringeva il cuore pensando alla sua cara amica drago. Poi la trovarono. Era agonizzante. Miwa è pur sempre una bambina e cominciò a piangere disperatamente. Le bagnò tutto il muso con le lacrime. Agatax aprì i suo smisurati occhi e le sussurrò all’orecchio. “Miwa, che piacere rivederti!” Non aveva perso niente dei suoi modi educati e gentili. “Non pensare a me. In quella grotta laggiù, alla fine della pianura che ho ripulito e bonificato, ci sono i miei figli. Devi salvarli! Devi convincere chi ci governa a prendere dei provvedimenti contro l’inquinamento!” Rosamelinda deglutì rumorosamente e tirò su col naso. Dicono che le principesse non piangono mai. Miwa non ci credeva e infatti non era vero. Piangono e come! A vedere il poderoso drago che sussurrava a malapena e non riusciva ad alzarsi la principessa si era lasciata andare a un pianto sompag. 43 messo e dolorosissimo. “Ti prego!” mormorò il drago, “se salverai i miei figli, il mio sacrificio non sarà stato vano!”
Miwa capì che per salvare i figli di Agatax avrebbe dovuto cambiare le cose nel regno e l’unico modo era convincere Rosamelinda a prendere provvedimenti drastici a favore dell’ambiente. “Non morire, Agatax, non morire ti prego!” gridò Miwa tra le lacrime. “Io sono vecchia e stanca” sussurrò Agatax accennando un sorriso. Ora tocca a te!” Chiuse gli occhi e l’ultima nuvoletta di fumo che le uscì dal naso si dissolse velocemente sopra di lei. “Miwa, grazie, ho capito, ho capito cosa devo fare!” le disse la principessa cercando di asciugarle le lacrime con la sua ricca veste. “Ora potrai tornare sulla terra ferma che dovrebbe essere un luogo meraviglioso!” Miwa divenne ancora più triste. Sulla terra una violenta scossa di terremoto aveva provocato un disastro nucleare. Era successo molto lontano da casa sua, in Giappone, ma lei in Giappone aveva i suoi nonni! E non era riuscita a convincerli a lasciare il loro paese! La sua nonna era infermiera e la prima cosa che aveva fatto era stata aiutare le persone ferite e contaminate! Miwa non si dava pace. Piangeva come una fontana ma poi volse lo sguardo verso la grotta. Dieci cuccioli di drago giocavano e si divertivano a rincorrersi. Li guardò e nel suo cuore tornò la speranza.
Miwa e il mistero della diossina
Miwa aveva da poco perso un’amica. La femmina di drago di nome Agatax, che lei aveva raccolto appena nata, era morta per salvare i suoi dieci piccoli dopo essere stata contaminata da un inquinamento terribile. “Non piangere, Miwa!” Miwa alzò gli occhi verso la finestra che era rimasta aperta. Seduto sul davanzale c’era il folletto Zumpicarchs. Gli era costato sicuramente molto cercare di consolare la bambina, dato il suo carattere sempre scontroso e rustico. In verità i suoi occhi erano proprio gonfi, come se avesse pianto molto, ma non bisogna dirglielo: i folletti sono molto permalosi, basta un niente che puf! spariscono così come sono venuti. Già è un vero privilegio che si facciano vedere da una bambina. Miwa era molto dispiaciuta per la perdita della sua amica il drago Agatax. Lei l’aveva raccolta che era poco più grossa di una lucertola, l’aveva nutrita e l’aveva aiutata a migliorare qualche cosa del nostro mondo ingiusto. E Zumpicarchs era un folletto proprio speciale, burbero e brontolone ma pronto a mettersi in gioco per aiutare gli umani a migliorare la loro vita. “Non c’è tempo per piangere!” asserì deciso il piccolo essere verde puntandole contro un dito nodoso. Miwa non si curò del gesto piuttosto maleducato e smise di piangere asciugandosi gli occhi con la manica. “Dobbiamo indagare su una strana concentrazione di diossina in località Piuma d’Angelo e non abbiamo molto tempo! La diossina è un agente inquinante molto pericoloso. E’ in pericolo la salute di molte persone!” le gridò addosso. Miwa sapeva bene che con i folletti bisogna essere molto pa- pag. 45 zienti e non arrabbiarsi per i modi che usano. Certo, è difficile per i grandi, figuriamoci per una bambina di neanche
quattro anni e specialmente per una bambina che ha bisogno di qualche coccola in più dato che ha una sorellina piccolissima che si prende molto del tempo della mamma e del papà! Miwa però era così triste solo all’idea di non rivedere più Agatax che non aveva la forza di controbattere o di offrire il proprio aiuto. “Miwa!” esclamò la piccola creatura bitorzoluta saltandole vicino senza fare un rumore. “Ascolta il mio piano, per favore, dobbiamo almeno provarci!” “Ma come facciamo noi due?” domandò Miwa consapevole della gravità della perdita che avevano avuto e non solo sul piano affettivo. “Se almeno fossimo un po’ più alti!” Zumpicarchs si avvicinò alla bambina. “Dobbiamo scoprire la causa dell’inquinamento, dobbiamo fare di tutto per salvare le persone dalla contaminazione da diossina. Insomma, vuoi almeno provarci?” urlò spazientito il folletto mettendosi a braccia conserte. Miwa si sentì divisa in due. Una parte di lei voleva correre a salvare il mondo, l’altra voleva starsene a piangere per Agatax. “Lei non avrebbe voluto vederti così!” sentenziò il folletto che aveva capito il punto debole. Così Miwa si decise. “Va bene Zumpi, farò quello che vuoi!” affermò convinta. “Allora ascoltami! Dobbiamo tornare alla tana dei figli di Agatax. Io fermerò il tempo perché avrai bisogno di molti giorni per addestrare uno dei cuccioli. Sarà lui che ci aiuterà a indagare. Durante l’addestramento io cercherò di portare avanti l’indagine e scoprire qualcosa di più. Purtroppo dovrò mostrarmi a un’altra persona, un ragazzo che sta indagando sullo strano inquinamento, un giornalista investigativo che si chiama Fabrizio, spero che il mio sforzo non sia vano e che questo ragazzo accetti la nostra collaborazione. “Ragazzo? Ma Zumpi, Fabrizio è vecchio! Avrà almeno trent’anni!” “Già, dimenticavo che per te che hai si e no quattro anni ma-
gari può sembrare vecchio, per me che ne ho trecento…” Era la prima volta che il folletto parlava di sé. Che si fosse un po’ addolcito il suo carattere? A volte un grande dolore ci apre la mente e ci fa guardare le cose con occhi diversi. Il folletto fermò il tempo. Per farlo usò il suo prezioso orologio del tempo, un bellissimo pezzo unico che teneva nel panciotto agganciato a una catena d’oro. I due cercarono di entrare in contatto con i cuccioli di Agatax, ma quelli erano così malfidati che non solo non rivolgevano loro la parola, ma più di una volta cercarono di bruciarli con uno sputo di fuoco. Allora Miwa tirò fuori un’arma molto potente. Si mise a sedere davanti alla grotta armata di pazienza e aspettò. Si allontanò solo una volta per fare pipì. Quando le venne fame Zumpicarchs le portò qualcosa da mangiare. Per lui qualcosa da mangiare è un vassoio pieno di prelibatezze bastevole per una ventina di persone. Miwa mangiucchiò qualcosa senza muoversi dalla sua postazione. Attratto dall’odore del cibo un cucciolo di drago mise il muso fuori dalla grotta. Miwa gli avvicinò il vassoio accanto al muso e quello spazzolò tutto quello che era rimasto, anche la carta dei pasticcini. Miwa non si mosse da dove si era seduta e non gli rivolse parola. Non era lui che poteva aiutarla. E poi voleva una femmina. Miwa a volte sa molto bene cosa vuole. Passò altro tempo e alla fine un altro muso fece capolino dalla grotta. Era di un rosso scuro. Lo stesso alito pestilenziale di marcescente bruciaticcio nauseabondo della sua vecchia amica. Era una femmina. Un cucciolo già dieci volte più grosso di Miwa. Se avesse voluto l’avrebbe mangiata in un boccone. Miwa dovette appellarsi a tutto il suo coraggio per non fuggire correndo a rotta di collo. “Io…” iniziò Miwa cercando di non farsi tradire dalla voce, pag. 47 “conoscevo tua madre!” La piccola si avvicinò curiosa. Allora Miwa si fece forza, e iniziò a raccontare le innumerevoli avventure che aveva avu-
to con Agatax, che aveva trovato quando era appena uscita dall’uovo. Raccontò di quando aveva rischiato la vita per salvare numerose bambine che stavano per essere mutilate, e anche di quella volta che si era servita di lei quando c’era bisogno di essere piccoli e agili per salvare dei bambini da un incendio. “…e poi quella volta ci sono venute in soccorso le tue zie Sarah e Rebecca perché la macchia di petrolio era veramente gigantesca… Ora che non c’è più tua madre, chi mi aiuterà a migliorare il mondo?...” Il piccolo drago femmina uscì del tutto dalla caverna. Il cuore di Miwa iniziò a martellare nel suo petto e cominciò a respirare più forte per avere più ossigeno, ma riuscì a non muoversi. C’era qualcosa che le diceva che le intenzioni del drago non erano cattive. Infatti il drago si avvicinò fino a sfiorarla con il suo grosso muso in segno di amicizia. Miwa non credeva ai suoi occhi. L’aveva trovata! Aveva trovato una nuova amica che poteva aiutarla nel suo difficile compito. I giorni successivi li passarono in compagnia del folletto che, nella veste di insegnante, era, se possibile, ancora più sgarbato e scorbutico, ma bisogna andare al di là delle apparenze, se vogliamo cogliere la sostanza delle cose. Miwa però decise che in un futuro non lontano gli avrebbe insegnato a essere più educato. “Allora, per prima cosa, dobbiamo darti un nome!” esordì il folletto con le braccia incrociate. Miwa ci pensò per un po’ e poi decise. “Bene, ti chiamerò Vita!” Il folletto mugugnò qualcosa che aveva a che fare con gli umani, ma non si scompose più di tanto. “E ora che hai un’identità, andiamo! E’ ora di imparare a volare!” Miwa guardava affascinata le lezioni di volo. Il brusco folletto insegnò a Vita a volare alto, molto in alto, per insegnarle che i nostri ideali devono essere puri. Poi, però, le insegnò a volare a mezz’aria e nascondersi tra le nuvole. A che serve volare alto se nessuno ci comprende?
A volte occorre ridimensionare i propri progetti a causa della scarsità del materiale che abbiamo a disposizione. A volte, invece, occorre volare raso terra. Lavorare dal basso per piantare i semi in terra, semi che dovranno germogliare e crescere, fino ad attraversare le nuvole. “Ecco, sei pronta ad aiutarci a scoprire qualcosa su quella brutta diossina!” esclamò soddisfatto il folletto. Vita però era dubbiosa: “ma non faremmo mai in tempo! Abbiamo impiegato dieci giorni per il mio addestramento!” “Oh, non preoccuparti,” le rispose Miwa, Zumpicarchs ha fermato il tempo sulla terra! Si misero in volo verso il centro abitato diretti a casa del giornalista investigativo che avrebbe dovuto accettare di indagare per loro. Il folletto si arrampicò sulla finestra della stanza dove il ragazzo dormiva ma poi decise di cambiare tattica per non fargli prendere un infarto. Prima di saltare giù dalla finestra, però, sbloccò il tempo solo per il ragazzo. Tutta la terra avrebbe continuato a essere ferma. Decisero che invece di un infarto poteva prendersi un bello spavento nel vedere Miwa che aveva suonato alla porta, ma almeno non rischiava la salute… Così suonarono alla porta di casa e, come previsto, Fabrizio si spaventò molto nel vedere una piccola di neanche quattro anni che aveva suonato. La fece entrare deciso a chiamare i servizi sociali ma Miwa non si fece scoraggiare dal suo atteggiamento protettivo, gli chiese se era pronto a vedere una cosa molto speciale e quando dopo un po’, lui disse di sì, Miwa chiamò Zumpicarchs. Il ragazzo si stropicciò gli occhi. Si ricordò che la sera prima non aveva bevuto neanche un goccio e addirittura, siccome aveva un po’ di mal di gola, non aveva fumato neanche una sigaretta. Convinto di stare ancora sognando si dichiarò pronto anche a vedere il drago, ma quando una zaffata di alito di Vita lo pag. 49 colpì in pieno volto capì che non stava sognando. Meno male che i ragazzi sono pieni di risorse! Ci vollero diversi minuti, ma dopo aver ascoltato il problema dei nostri amici de-
cise che avrebbe investigato per loro. Il ragazzo si recò nel luogo inquinato dalla diossina e fece un ampio giro per verificare che non ci fossero fabbriche che con i loro liquami potessero aver inquinato un corso d’acqua e tutto l’ambiente circostante. Nel suo ampio giro di perlustrazione trovò una grossa centrale a biomasse. Quando tornò dai nostri amici, riferì quello che aveva trovato e promise che il giorno dopo sarebbe entrato dentro la centrale per fare delle verifiche. “Che cos’è una centrale a biomasse?” chiese Miwa incuriosita. “Una centrale a biomasse è formata da una grossa caldaia dove si bruciano sostanze vegetali e dove il calore prodotto scalda una certa quantità d’acqua che, una volta trasformata in vapore, fa girare una turbina che produce elettricità.” Spiegò Fabrizio che era un giornalista molto informato. “Ah, ho capito!” proruppe Miwa, “come quando mamma cuoce la pasta e l’acqua, quando bolle fa le nuvolette di fumo. Quello è il vapore, vero?” “Sì!” interruppe Zumpicarchs, “ma almeno quello non inquina!” “Che vuoi dire?” chiese Vita che era rimasta ad ascoltare con vivo interesse. “Voglio dire che bruciare sostanze vegetali, se da una parte aiuta a ridurre l’inquinamento del suolo che viene ripulito, dall’altra, contribuiscono all’inquinamento dell’aria con i fumi della combustione, dando una mano all’effetto serra e provocando le piogge acide. Fabrizio era pensieroso. “Però esiste uno studio” esordì dimostrando che si era bene informato, “che dice che l’anidride carbonica prodotta da una pianta che viene bruciata, è più o meno la stessa quantità che la pianta avrebbe prodotto nella sua intera vita se fosse stata lasciata vivere…” “Sì” sbottò il folletto, “ma abbiamo bruciato anche tutto l’ossigeno che la stessa pianta avrebbe prodotto di giorno, nella sua intera vita!” Fabrizio rifletté un paio di secondi, poi cominciò a parlare.
“In effetti tutte le sostanze vegetali se bruciate producono inquinanti, anzi, ogni volta che si brucia qualcosa di organico in presenza di cloro, che si trova quasi dappertutto, si produce la più velenosa delle diossine. E non c’è solo la diossina, ma tante altre sostanze inquinanti. Pensate che il tabacco da solo ne possiede quasi quattromila. Quelle sono state contate.” “Ma questo non spiega la grande quantità di diossina trovata nell’ambiente, vero?” domandò Vita che aveva capito dove stava la stranezza del problema. Zumpicarchs cominciò a pestare i piedi. “Puah! Uomini! L’uomo è l’unico animale inquinante che viva su questo pianeta, fin da quando ha imparato ad accendere il fuoco! E’ovvio che tutto ciò che viene bruciato inquina! Quello che non hanno ancora imparato è che le cose si studiano, si analizzano con attenzione e, soprattutto, quando si progettano impianti che servono alla collettività, si coinvolge tutta la collettività che vive nel territorio interessato. Se si ha paura del dibattito trasparente e democratico, non si va da nessuna parte! Razza individualista sporcacciona e distruttrice!” sentenziò. “Questo, però, non spiega la presenza di una quantità di diossina eccessiva rispetto alle previsioni, vero?” chiese Miwa. “No. Occorre ampliare le nostre indagini!” Esclamò Fabrizio che si era appassionato alla vicenda. Salirono tutti in groppa a Vita che in tre secondi li portò più in alto delle nuvole. Volare lassù, tra i ciuffi bianchi di nuvolette fitte, era stupendo. Fabrizio che in genere teneva gli occhiali a fermare i capelli come un cerchietto, li aveva calati sugli occhi e l’aria che schiacciava indietro i suoi capelli ribelli gli dava un senso di ebbrezza. Il folletto richiamò tutti all’ordine. “Da quassù non si vede niente!” brontolò “scendiamo sotto le nuvole!” Vita ubbidì e con una virata in velocità si abbassò quel tanto pag. 51 che bastava per rendersi conto di quello che succedeva in terra.
Rimasero tutti a bocca aperta. Il paesaggio era desolato. Non c’era più un albero, un cespuglio, un arbusto. Avevano bruciato tutto! Altro che Piuma d’Angelo! Cacca di demonio avrebbe dovuto chiamarsi quel posto! Fabrizio ebbe una stretta allo stomaco e Miwa dovette lottare per non far uscire le lacrime. Anche lo scontroso folletto, abbandonando la sua proverbiale freddezza, si lasciò andare allo stupore attonito. Non c’era più niente nei paraggi! “Ma così non va bene!” protestò Miwa. Ora chi ci darà l’ossigeno per respirare?” Scesero all’interno della recinzione della centrale e scoprirono che, in mancanza di vegetali per far funzionare il meccanismo, avevano iniziato a bruciare i rifiuti! Ecco spiegato il mistero della diossina. Fabrizio decise che avrebbe denunciato il fatto e scrisse addirittura un libro che raccontava la storia. Dopo la denuncia la centrale fu chiusa in attesa della bonifica del territorio circostante, e il giornalista, con il suo libro denuncia, riuscì a convincere il governo a investire in ricerca per l’energia solare, la sola energia pulita disponibile in grandi quantità. “Era ora che si fossero decisi!” brontolò il folletto. Miwa guardò verso il sole. Il sole non si può guardare, infatti cominciarono a lacrimarle gli occhi anche a guardare solo dalla sua parte. Pensò che se è vero che il sole produce più di un miliardo di volte dell’energia che ci serve, sarà bene cercare di utilizzarla, invece di bruciare tutta la terra!
Viola esploratrice
Un giorno, Viola, una vispa bambina di tre anni, prese il suo cappello da esploratrice e andò in esplorazione. Durante il viaggio incontrò la scimmia Berenice. “Ha! Ha! ha!” rise quella “Viola non è viola! Viola non è viola!” Viola ci rimase molto male. Quella scimmia dispettosa l’aveva portata in giro perché il suo nome è anche quello di un colore. Certo che non è viola! Mica è un disegno! E’ una bella bambina in carne e ossa. Le scimmie sono proprio antipatiche! Viola però non si fece scoraggiare dall’incontro con la scimmia cattiva e continuò il suo viaggio esplorativo. Dopo aver camminato un po’, incontrò le margherite. “Ha! Ha! Ha!” risero quelle “Viola non è una viola! Viola non è una viola!” “E neanche una margherita!” si arrabbiò Viola che cominciava a stufarsi di incontrare solo gente malvagia. Fece per andarsene quando una piccola margherita la chiamò. “Non farci caso!” le sussurrò “le mie compagne sono invidiose e cattive! Sono piantate per terra e guardano solo in terra. Io invece, vorrei tanto viaggiare, alzarmi da terra ed esplorare il mondo”. “Beh puoi venire con me!” esclamò Viola che aveva proprio voglia di stare in compagnia. La margherita si fece cogliere, raccomandando a Viola di fare attenzione a non danneggiare la pianta e trovò posto tra i capelli della bambina che così divenne ancora più bella. Continuarono il loro viaggio e a un certo punto incontrarono la gatta Liquirizia. La gatta piangeva con certe lacrime così grosse che Viola si pag. 53 bagnò i piedi. “Perché piangi?” chiese Viola.
“Piango perché il cane mi porta in giro. Mi dice che non mi mangia per non farsi venire la bocca nera!” “Non piangere gattina!” le mormorò Viola facendole una carezza, “hai un nome simpatico e non devi fare caso a quello che dicono gli altri. Vuoi venire con noi? Stiamo esplorando il mondo…” La gattina si aggregò e tutti e tre continuarono il viaggio. A un certo punto si fermarono e rimasero a bocca aperta. Un grande arcobaleno si stagliava alto nel cielo blu. Come per magia il violetto scese dall’arcobaleno e prese Viola in braccio, senza dimenticare Margherita e Liquirizia. Volarono in alto nel cielo. Viola dovette tenere il cappello e Margherita per non farli volare via ma non ebbe paura. Volarono sempre più in alto fino a raggiungere gli altri sei colori dell’arcobaleno e, da lassù, comodamente seduti sul viola, videro il mondo. Le persone erano piccole come formiche, le case, gli animali, tutto era così piccolo e così attaccato alla terra che Viola comprese quanto è importante vedere le cose da un altro punto di vista. Da lassù videro la scimmia Berenice che mangiava le margherite e si arrabbiava con loro, saltellava, gridava e sbraitava, poi se la prendeva col cane cattivo che non voleva uscire con lei. Viola, Margherita e Liquirizia sono ancora lassù e non c’è verso di farle scendere! Se aguzzate l’orecchio sentirete che ancora stanno ridendo a crepapelle!
Viola va al mare
Un giorno Viola, armata di paletta e secchiello, andò al mare con i suoi genitori. Se ne stava tranquilla sulla spiaggia, quando vide in mezzo all’acqua un pesciolino nero. “Oh, che bel pesciolino, vieni che ti prendo!” gli disse. “Fossi matto!” rispose quello “non mi faccio certo prendere dai bambini! Piuttosto, sono io che devo farti venire con me!” “Perché dovrei venire con te?” chiese Viola che in verità non aveva tanta voglia di tuffarsi. “Perché la Regina vuole parlarti, perché sennò?” “Ah,” esclamò Viola curiosa “e perché vuole parlarmi?” “Perché c’è un pericolo, è ovvio!” asserì con fermezza il pesciolino. “E io che dovrei fare?” domandò Viola incuriosita. “Devi aiutarci, mi sembra ovvio! Lo dice il protocollo!” “Il che?” Viola non capiva bene il linguaggio del pesce, anche se ormai, a tre anni e quasi mezzo, il suo vocabolario era veramente molto più nutrito di certe persone grandi… “Oh insomma, quante domande! Lo sapevo io che non ti dovevo venire a chiamare, ma la Regina ha insistito tanto! Secondo me sei troppo piccola per fare qualcosa di buono!” brontolò il pesce. Viola guardò indietro, verso i suoi genitori. Stavano sdraiati a leggere e in quel momento non la guardavano, così, abbandonati secchiello e paletta sul bagnasciuga, si tuffò dietro al piccolo pesce nero. Quando arrivarono dalla Regina, Viola dovette immergersi fino alla sua tana, ma si sa, gli umani non possono resistere per tanto tempo sott’acqua, così la Regina si sistemò sotto il pelo dell’acqua in modo che Viola potesse parlare senza pag. 55 problemi. La Regina era una piovra gigantesca ma Viola non ebbe pau-
ra perché si dimostrò subito molto gentile. “Allora, Viola, mi sono decisa a chiedere il tuo aiuto perché abbiamo un serio problema: tre tartarughe sono morte. Erano molto giovani, non crediamo che fossero malate. Tu dovrai scoprire perché e dovrai aiutarci a risolvere questo problema!” Viola ci ragionò su. Difficile, molto difficile. Non sapeva da che parte cominciare. Ma la curiosità prevalse e promise che almeno ci avrebbe provato. Il pesciolino nero l’accompagnò al largo e lì Viola si accorse con grande tristezza che il mare era pieno di immondizia. Buste di plastica, tappi di bottiglia, bottiglie e bottigliette di plastica, insomma una vera pattumiera! Si accorse poi che il vento e le maree trascinano questa robaccia dalle spiagge verso il largo, le tartarughe marine la confondono con le meduse e la mangiano, così, cercando di inghiottirla, muoiono affogate. Viola tornò dalla Regina con una grande tristezza. Raccontò quello che aveva visto. Era davvero impossibile fare qualcosa subito. La Regina si occupò, con scarso successo, di insegnare alle tartarughe che non tutto quello che fluttua in acqua si può mangiare, ma Viola, quando tornò in spiaggia, cominciò a raccogliere tutta la plastica e a buttarla nel secchio dell’immondizia. Prima i bambini la guardavano schifati, poi, però capirono che anche se l’immondizia non è nostra, è nostro il mondo, e quindi facciamo bene a ripulirlo. Viola continuò imperterrita fino a quando la spiaggia non fu completamente ripulita poi, guardò con tristezza verso il mare, le sembrò di vedere un tentacolo che la salutava, allora prese un impegno solenne. Da grande avrebbe fatto di tutto per far sparire le buste di plastica dalla faccia della terra. Chissà, amici, se ci riuscirà?
Viola va in campagna
Un giorno Viola decise di fare una passeggiata in campagna. Mentre passeggiava tranquilla una lepre le passò davanti ai piedi, correndo come una furia. “Mamma mia, che paura!” esclamò Viola che era rimasta ferma come un sasso. La lepre andava così veloce che Viola non vide neanche le sue orecchie. E pensare che le lepri hanno orecchie davvero molto grandi! Dopo un po’ la lepre ritornò, ma questa volta si fermò davanti a Viola e si mise ritta sulle zampe posteriori. “Aiutami, bambina, aiutami, ho bisogno del tuo aiuto, ti prego!” Viola rimase a bocca aperta. Una lepre aveva bisogno del suo aiuto? Ma come era possibile? “Sono una bambina, non so aiutare le lepri. Ancora devo imparare tutte le cose!” Viola avrebbe voluto essere come la sua mamma che era una naturalista, ma a tre anni e poco più è un po’ presto per diventare una naturalista, quindi la lepre aveva poco da sperare. Viola non sapeva cosa fare ma la lepre piangeva con grosse lacrime e lei non seppe dire di no, così la seguì per vedere di cosa avesse bisogno. La lepre la condusse attraverso un bosco, fino ad arrivare a una radura dove, incastrato in una tagliola, c’era un leprotto, il suo leprotto. Il cucciolo piangeva perché aveva una zampetta intrappolata. Si sa, le tagliole hanno i denti come gli squali, e quella era proprio una tagliola cattiva. Stringeva la zampetta del povero leprotto e non voleva aprirsi. Viola tentò di aprire la tagliola ma quella era veramente pesante e non ne voleva sapere di lasciare la presa, quindi cer- pag. 57 cò un’altra soluzione. Prese un bastoncino e fece leva nella tagliola e, dopo tanta fatica, quella fece uno schiocco secco
e si aprì: clang! Una volta libero il leprotto le si avvicinò e si fece accarezzare. Invece della coda aveva un batuffolo. “Sei stata buona, bambina. Come ti chiami?”chiese mamma lepre mentre controllava che la zampa del figlio non fosse rotta. “Viola!” esclamò la bambina ancora affaticata per lo sforzo “e tu?”. “Io sono Marta la lepre! Bene, Viola, meriti un regalo, considerati nostra ospite!” disse indicando l’ingresso della tana, una buca nel terreno. Viola sorrise. “Come faccio a entrare nella tua tana? Sono troppo grossa!” La lepre sorrise a sua volta, poi le soffiò addosso. In due secondi Viola era diventata piccola piccola, come il leprotto. Prima si spaventò ma poco, perché Viola è molto coraggiosa, poi, dato che ormai era rimpicciolita e non poteva farci niente, seguì madre e figlio dentro la tana. Le lepri la condussero attraverso gallerie e cunicoli molto bui, fino ad arrivare a una pesante porta di legno. La lepre aprì la porta e davanti agli occhi sbigottiti di Viola apparve una grossa caverna arredata come una casa vera. Con grande stupore di Viola la lepre la condusse a una tavola apparecchiata con tutte le delizie del mondo, anche le arachidi salate di cui Viola era ghiotta. Ovviamente non mancavano le carote, che piacciono tanto alle lepri. Dopo aver mangiato le arachidi, ma non tante per non farsi venire il mal di pancia, Viola si accorse che qualcuno bussava alla porta della caverna. La lepre andò ad aprire e una vecchia lepre bianca che si reggeva con un bastone entrò nella grande stanza. “La grande Lepre!” mormorò Marta all’orecchio di Viola. “Voglio conoscere questa fanciulla coraggiosa!” esclamò la vecchia bianchissima lepre “dovrà aiutarci a liberare il nostro terreno da quelle tagliole malefiche!” poi, rivolta a Viola, “ci aiuterai, vero?” Viola era anche un po’ spaventata, perché non capita mica tutti i giorni di diventare piccola come un leprotto e di esse-
re invitata a pranzo dalle lepri! Guardò la lepre anziana e si accorse, dal suo sguardo, che le lepri non avevano più speranza. Era lei la loro ultima speranza e decise di aiutarle. “Io…” sussurrò Viola, “vorrei tanto aiutarvi, ma che posso fare? Sono solo una bambina di tre anni e poco più…” “Oh, per questo, puoi fare molto! Con le tue manine puoi aiutarci a togliere tutte le tagliole e salvare le lepri!” Così Viola, con l’aiuto delle lepri, chiuse tutte le tagliole e poi le trascinò sul ciglio del burrone e le gettò di sotto. Mentre Viola tornava a casa l’arcobaleno si lanciava alto nel cielo e il violetto, che era suo amico, le strizzò l’occhio. A volte bisogna anche lavorare sulla terra per aiutare qualcuno. Quando i bracconieri tornarono a prendere le loro prede, non trovarono più niente, né lepri, né tagliole e fuggirono impauriti come se avessero visto un fantasma. Se chiedete loro cosa sia successo, rispondono di aver udito delle risate sinistre…
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Viola Ambasciatrice di Pace
Che Viola sia amica dell’arcobaleno lo sappiamo già. E’ stato il Violetto a scendere sulla terra per portarla a fare un giro su nel cielo. Chiedetelo alla gatta Liquirizia se non ci credete: quel giorno c’era anche lei. Al tempo in cui successero questi fatti Viola, però, non vedeva più l’arcobaleno da un sacco di tempo. Pioveva e pioveva da tanti giorni e, si sa, per scorgere l’arcobaleno ci vuole un po’ di sole, altrimenti quello se ne sta nascosto e non si fa vedere da nessuno. Insomma Viola era triste perché non vedeva più il suo amico arcobaleno e se ne stava a guardare alla finestra la pioggia battente che da giorni cadeva senza mai smettere. “Viola!” Viola sentì che qualcuno la chiamava. “Viola!” “Chi mi chiama?” chiese Viola che non vedeva nessuno. “Sono io, la gocciolina!” Viola vide una gocciolina sul vetro che la guardava. “Sono io che ti sto parlando! Non hai mai visto una goccia parlante?” “Beh, veramente, no!” rispose Viola risoluta e anche un po’ spaventata. “Ti va di aiutarmi?” chiese la goccia facendo un po’ la sfacciata. Viola è molto coraggiosa, una volta è diventata piccola piccola ed è scesa nella tana della lepre! Ma aiutare una goccia d’acqua che ci implora è veramente un’altra cosa! “Beh, se non vuoi, non fa niente!” mormorò delusa la gocciolina. “Che cosa vuoi che faccia?” chiese Viola che in fondo aveva pag. 61 il desiderio di aiutare la piccola goccia che stava per piangere. E meno male che non si mise a piangere, altrimenti si sa-
rebbe frantumata in mille piccole lacrime e sarebbe morta! “Dovresti venire con me sulla nuvola madre. Sta succedendo un disastro!” “E come pensi che possa aiutarti?” domandò Viola. “Sono convinta che tu sia capace di aiutare il popolo dell’acqua. Me lo ha detto l’arcobaleno. E’ tuo amico no?” sussurrò la piccola goccia come se qualcuno, dall’alto, potesse ascoltare. Viola decise che avrebbe aiutato il popolo dell’acqua e, dopo un attimo, era dentro un ascensore di vetro che la faceva salire velocemente verso la nuvola nera. L’ascensore aprì le sue porte trasparenti su una nuvola scura piena di fulmini e saette e Viola ebbe molta paura. Era buio e rumori sinistri venivano dal pavimento soffice ma Viola, anche se un po’ titubante, appoggiò i piedi sulla nuvola per andare avanti. Così Viola scoprì che sulla nuvola era scoppiata la guerra. Il popolo dei Diquà si era messo contro il popolo dei Dilà e litigavano a più non posso. Litigavano per il possesso della nuvola. A Viola fu portata la fascia della pace, lei la indossò e cercò di parlare con le gocce. A lei sembravano tutte uguali, ma quelle Diquà erano convinte di essere così diverse da quelle Dilà che non ne volevano sapere di fare la pace. Viola non sapeva come comportarsi. Cercò di portare qualche esempio delle cose che sapeva degli uomini. “Gli uomini sono tutti stupidi!” sentenziò Aurilla Diquà, una goccia vecchia e saggia. “Non vogliamo certo seguire il loro esempio, in quanto a fare la pace che non sanno neanche cosa sia!” rimarcò Pilla Dilà, una giovane goccia molto graziosa. “Non è vero, i bambini sono diversi!” protestò Viola, ma presto capì che doveva cambiare tattica. “Ho un’idea!” esclamò Viola che cercava una soluzione almeno per smettere la guerra. “Io traccerò un confine con il mio pennarello. La nuvola sarà divisa perfettamente a metà, così ne fate un po’ per ciascuno e non litigate più!”
Le gocce furono subito d’accordo, ma c’era qualcosa in questa soluzione che a Viola non piaceva. “Basta fare a metà per fare la pace?” Si domandava. Però sembrava che le cose andassero davvero meglio, almeno avevano smesso di fare la guerra. Però si odiavano lo stesso. La gocciolina ringraziò molto Viola e l’accompagnò all’ascensore, ma Viola era triste e non sapeva se aveva davvero fatto una cosa giusta. A malincuore entrò dentro l’ascensore di vetro. Stavano per chiudersi le porte quando una goccia dei Diquà corse trafelata verso di loro. “Aspettate!” ansimò “è successo un incidente diplomatico! Erinna Diquà e Aolo Dilà si sono innamorati! Ricomincerà la guerra!” Allora Viola ritornò sulla nuvola e, indossata di nuovo la fascia a sette colori, volle incontrare i due innamorati. I due si erano sposati di nascosto, ma ora non riuscivano più a nascondersi, e le loro famiglie stavano per entrare di nuovo in guerra. Allora Viola prese una decisione: “Costruirete la vostra casa proprio sul confine tra i Dilà e i Diquà, e che nessuno vi ostacoli!” Le gocce costruirono una bella casa proprio sopra alla riga che aveva tracciato Viola con il suo pennarello e, di fronte al grande amore delle due gocce non ebbero cuore di ricominciare a litigare. Questa volta Viola fu molto soddisfatta della sua decisione. Tornò all’ascensore che la riportò a terra. Mentre scendeva, il cielo si era schiarito e un bellissimo arcobaleno colorava il cielo. Viola ripensò a quando aveva tracciato la linea di confine, poi alla costruzione della casa proprio nel mezzo. E giunse a una conclusione. Solo l’amore può cancellare i confini…
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Viola e la nube tossica
Un giorno Viola vide una grossa, minacciosa nube tossica avvicinarsi alla città. Per vedere meglio prese il cannocchiale di nonno Berto e si accorse che al suo passaggio la nube distruggeva tutte le piante e i fiori che diventavano secchi e neri. Viola si spaventò molto ma non si perse d’animo. Per prima cosa spalancò la finestra e chiamò il suo amico arcobaleno. “Viola, Violetta bella, che bello, che bello!” rideva gioioso l’arcobaleno. “Ciao Arcobaleno, c’è un problema, vuoi aiutarmi?” chiese Viola al suo amico. “Che bello, che bello!” l’arcobaleno giocoso si divertiva a giocare con le goccioline d’acqua. “Ti prego arcobaleno, ascoltami, c’è un problema grande, grande come una nube tossica, guarda tu stesso!” Il viola si stese come una lunga mano, afferrò Viola e, insieme, andarono a vedere. La nube tossica si stava avvicinando pericolosamente alla città e dove passava lasciava solo distruzione. “Ora capisci perché mi devi aiutare?” domandò Viola all’arcobaleno che pensava solo a giocare e divertirsi. “Ma che posso fare io?” piagnucolò l’arcobaleno, “sono solo un arcobaleno! Il vento! Il vento può aiutarti! Chiama il vento Viola…” e, lasciando Viola quasi in lacrime, seduta su una nuvola, l’arcobaleno sparì. Viola non sapeva che fare. Quando si rese conto di essere su una nuvola pensò che le nuvole sono amiche del vento, così gridò: “Nuvola, nuvola, mi senti? Ho bisogno di chiamare il vento! Hai capito? Il vento mi deve aiutare a spazzare via la nube pag. 65 tossica!” Niente. Quella nuvola sembrava sorda così Viola iniziò a
battere i piedi. “Hi hi hi, chi è che mi fa il solletico?” disse una vocetta squillante dall’interno della nuvola. “Sono io, Viola!” “E chi saresti tu, Viola?” “Sono una bambina!” “Oh, una bambina, non ne vedevo una da quando ero acqua di mare e i bambini venivano a schizzarsi e divertirsi sulla spiaggia!” “Senti nuvola, non vorrei essere scortese con te, ma ho assolutissimamente bisogno di parlare con il vento. La mia città è in grave pericolo!” “Oh” rispose la nuvola un po’ offesa, “ma io non sono che un cirrocumulo, una nuvoletta piccola come una pecorella, non posso parlare con il vento. Guarda, vedi quegli altocumuli? Forse loro ti possono aiutare! Se vuoi ti accompagno da loro!” Viola abbassò gli occhi. Gli altocumuli sono nubi più grandi dei cirrocumuli, ma stanno un po’ più in basso. “Buongiorno signor altocumulo!” salutò Viola educatamente “sto cercando qualcuno che possa farmi parlare al vento!” “E’ una cosa che gli umani amano fare spesso!” rispose l’altocumulo scorbutico. “No, hai capito male, vorrei parlare CON il vento… insomma ho bisogno di chiedere aiuto al vento, ecco!” proruppe Viola esasperata. “No, no, no, io non ci parlo con il vento!” esordì quello offesissimo, “vai da quello, quello è un Cumulus Congestus, lui forse ti potrà aiutare!” Girò le spalle e per poco non la fece cadere. Fortunatamente un Cumulus Humilis la raccolse sul suo suolo soffice e si offrì di accompagnarla dal Cumulus Congestus. Il Cumulus Congestus è una torre di nubi molto alta e Viola si spaventò un po’ a vederlo. “Salve signor…”. Viola ha tre anni e quasi mezzo, conosce tantissime parole, ma queste parole difficili non se le ricordava, però era così determinata che riuscì a rimediare così:
“Signor Nuvola, mi farebbe la cortesia di portarmi dal Vento? Ho urgente bisogno di parlargli!” Il Cumulus Congestus sorrise a vedere un essere così piccolo sfidare una nuvola così minacciosa e, abbandonata la sua prepotenza, rispose a Viola. “Cara bambina, nonostante gli umani non si meritino niente, ma proprio niente, ti dirò come fare. Io non posso avvicinare il Vento, ma lui sì!” Indicò un altissimo cumulonembo. Viola aveva le gambe che tremavano. L’imponente nube era alta chilometri e chilometri, minacciosa e spettacolare, di una bellezza terrificante. “Ti accompagno da lui, se vuoi!” confermò il Cumulus a Viola. Quando Viola arrivò dal Cumulonembo era spaventata ma decisa a chiedere aiuto. “Certo che conosco il vento!” tuonò la nuvola con un boato così spaventoso che Viola ebbe un brivido che le fece drizzare tutti i peli delle braccia. “Ma non ho voglia di aiutare gli umani!” brontolò, “razza inquinatrice sporcacciona e distruttrice!” sentenziò. Viola ragionò che effettivamente la nuvola non aveva tutti i torti, ma comunque doveva tentare. “Se non ci aiuterai la nostra città sarà distrutta, e forse questa nuvola distruggerà tutte le persone sulla terra!” insistette Viola. “Meglio! Così la finiranno di distruggere il pianeta!” affermò quello. Era davvero un osso duro, ma Viola non si arrese. “Se non mi aiuterai, anche gli animali saranno distrutti, non sentirai più il leggero volo delle farfalle, non potrai più ascoltare le chiacchiere delle ranocchie nello stagno, o il frinire dei grilli di notte e delle cicale di giorno. Non potrai più vedere le zebre correre o gli elefanti farsi il bagno, i delfini che giocano e le piccole tartarughe marine che corrono ver- pag. 67 so il mare. La nuvola si lasciò sfuggire una lacrima grossa come un bic-
chiere d’acqua che per poco non investì Viola in testa. “Va bene, ti aiutero!” Prese Viola e l’appoggiò delicatamente a terra, poi tornò altissima nel cielo e, dopo un attimo un fortissimo vento prese a soffiare disperdendo la nube tossica nell’atmosfera terrestre. Dopo pochi minuti scoppiò un violento temporale con lampi, tuoni, fulmini e saette, ma Viola non ebbe più paura. Era il suo amico cumulonembo che la stava aiutando lavando via le sostanze tossiche con la pioggia. Dopo il temporale, un gigantesco arcobaleno salutò Viola dall’alto e lei, stanca e soddisfatta, tornò a casa ma si fermò un attimo a riflettere: “Tutti gli uomini dovrebbero combattere contro le nubi tossiche. Da grande, sicuramente, io lo farò!”
La principessa e il drago
Un giorno Viola leggeva una bella favola dal titolo “La principessa e il drago”. Era così presa dalla lettura che, non si sa come, non si sa perché, cadde nel libro. Poverina! Cadde davvero! E rotolò fino a sbattere forte contro un grande armadio di legno. “Era ora che arrivassi!” le disse una voce che sembrava appartenere a una bambina della sua età. Viola si rialzò massaggiandosi il sederino e va bene che era frastornata, magari si può cadere dalle nuvole, non capita certo tutti i giorni di cadere nelle favole, però non riusciva a credere ai suoi occhi. Seduta sul pesante letto a baldacchino c’era una bambina perfettamente identica a lei. Sembrava di guardarsi nello specchio! Però quella parlava, anzi se la rideva di gusto. “Insomma, chiudi quella bocca!” scherzò guardando Viola che ancora aveva la bocca aperta per lo stupore. “Chi… chi sei?” riuscì a balbettare Viola che si era molto spaventata. “Sono la Principessa Violabellapipinacalzacorta, e ho bisogno del tuo aiuto! Il mio drago è scomparso e nessuno mi vuole aiutare a cercarlo. Andrò a cercarlo e tu prenderai il mio posto qui, al castello!” Viola si guardò intorno. Era un vero castello, dalla finestra si vedevano le torri e intorno c’era un profondo fossato dove guizzavano dei pericolosi draghi acquatici. Viola era sicura di voler aiutare la principessa, come si può dire di no a nostra sorella gemella? Ma era preoccupata per i suoi genitori. La Principessa l’anticipò. “Ah, dimenticavo, non preoccuparti per il tuo mondo. Ho fermato il tempo!” sghignazzò facendo vedere a Viola un pag. 69 orologio magico ferma tempo che teneva nascosto sotto il cuscino.
Poi si vestì da contadina, con il fazzoletto sulla testa, aiutò Viola a indossare i vestiti da principessa e, prima che Viola riuscisse a dire “ba” bussarono alla porta e la principessa Violabellapipinacalzacorta si calò velocemente dalla finestra facendo ciao con la mano. Bussarono di nuovo. Viola comprese che finché non avesse detto “Avanti!” nessuno sarebbe entrato, così aspettò un altro pochino cercando di riordinare le idee, ma quando il bussare si fece frenetico cedette. “Avanti!” gracchiò con voce tremante. Entrò una signora grassissima con la cuffia bianca e i guanti bianchi. “Principessa, vi siete vestita da sola?” Viola annuì, squadrando quella strana signora. La principessa vera non aveva fatto in tempo a suggerirle come si doveva comportare, così lei cercò di parlare il meno possibile assecondando le richieste di quella strana tata e mangiando per bene tutte le cose della colazione. “Principessa, vi sentite bene?” fu la richiesta della tata. “Si!” asserì decisamente Viola mentre mandava giù un buonissimo biscotto al burro. Poi Viola fu lasciata libera di girare per il castello. Evidentemente era un periodo di vacanza, altrimenti si sa, le principesse devono andare a scuola come tutti gli altri bambini! Incontrò la strega Pitta, una bellissima donna che la squadrò da capo a piedi. Forse si era accorta dell’inganno. “Siete preoccupata per il vostro drago, vero?” le chiese con dolcezza. Viola annuì e fu tentata di rivelare alla bella signora il trucco dello scambio ma si trattenne dal farlo e cercò prima di indagare sulla strana sparizione. La principessa Violabellapipinacalzacorta era ormai lontana alla ricerca del magnifico animale e Viola avrebbe desiderato partecipare alle ricerche, invece di starsene a palazzo vestita con abiti sontuosi che la facevano sentire legata come un baccalà. Decise che non se ne sarebbe stata con le mani in mano e che avrebbe ispezionato il castello da cima a fondo.
Raggiunse le torri tremolanti. In una di queste abitava la strega Pitta. Era profumata di erbe medicinali, polveri e unguenti. La strega si mise Viola sulle ginocchia e le raccontò che le lacrime di drago hanno un potere straordinario di guarire qualsiasi ferita, ma lei non se la sentiva di far piangere un drago perché per farlo bisognava provocargli un grande dolore. La strega profumava di lavanda e le sue vesti frusciavano morbide. Viola avrebbe voluto restare con lei ma si era prefissata di indagare e così continuò la sua ispezione. In un’altra torre traballante e polverosa abitava uno stregone che aveva in testa un cappellaccio nero a punta e che non poteva vedere i bambini. Quando la vide la scacciò in malo modo. Viola però, decise di ritornare a vedere la torre quando lo stregone se ne fosse andato. Aveva intravisto con la coda dell’occhio una strana catena, troppo grossa per animali normali. Chissà, forse lo stregone c’entrava qualcosa sulla strana sparizione. Chiese notizie al giullare. “Chi? Stregomatto? Lascia stare, quello è matto ma è innocuo! Sai che ti dico? Il drago è morto! Chi l’ha rapito non sa che i draghi vanno trattati con rispetto. Sono creature magnifiche e sensibili. Se vengono privati della libertà preferiscono morire!” Viola ascoltò con molta paura le parole del giullare ma non si diede per vinta. Vide dalla finestra il malvagio stregone, che si aggirava furtivo vicino al fossato, così decise di ispezionare la torre. Quella che aveva intravisto era una catena molto grossa ma era stata spezzata. C’era attaccato un collare largo un metro. Solo un vero drago ha un collo così grosso. Viola decise di seguire lo stregone. Avrebbe voluto avvertire la principessa Violabellapipinacalzacorta ma non sapeva come fare e così andò di corsa dietro allo stregone. Questi armeggiava vicino al fossato con dei pezzi di carne che gli servivano per tenere occupati i pericolosi draghi acquatici pag. 71 mentre si tuffava nell’acqua. Viola non si perse d’animo e si tuffò dietro di lui cercando
di non farsi vedere. Lo stregone entrò in un passaggio segreto e raggiunse una grandissima stanza dal soffitto alto almeno quindici metri. Sul pavimento della stanza c’era accovacciato un drago mezzo morto. Viola sgattaiolò vicino al drago e vide che non aveva mangiato la carne che lo stregone gli aveva portato. Il drago la vide, la guardò attentamente, poi, accorgendosi che non era la sua amata Violabellapipinacalzacorta rimise la testa appoggiata sulle zampe anteriori e chiuse gli occhi. Sembrava voler morire. Viola cominciò ad armeggiare con il pesante collare. Era grosso almeno il doppio dell’altro, veramente troppo grosso per le sue piccole mani. “Guarda guarda chi c’era qua!” tuonò il malvagio stregone quando la vide. “Bene, principessa, ora dovranno piangere la tua morte, perché nessuno scoprirà questa stanza segreta! E io ruberò al drago il potere di guarigione e diventerò il padrone del regno! Ha ha ha ha ha!” Viola aveva preso una decisione avventata e ora non sapeva come fare a mettersi in contatto con la principessa Violabellapipinacalzacorta. Le venne da piangere, le bambine di tre anni e poco più a volte piangono, ma lei cercò di fare uno sforzo per riflettere sul da farsi. Se si fosse gettata in acqua i draghi acquatici l’avrebbero divorata in un solo boccone e la stanza era così alta che non sarebbe mai arrivata alla piccola finestra che faceva intravedere uno spicchio di cielo. Nel frattempo i genitori di Violabellapipinacalzacorta piangevano come fontane con certe lacrime che rischiavano di allagare il castello perché non trovavano più la loro bambina. La principessa che non si era allontanata troppo dal castello ritornò di corsa al suo posto credendo che Viola se ne fosse uscita dal libro e se ne fosse tornata a casa sua. Quando tornò però notò qualcosa di strano. In camera sua c’era un collare enorme con la catena spezzata. Capì che Viola non se ne era andata e fingendo di aver perso la memoria, chiese a tutti che le raccontassero tutti i suoi sposta-
menti degli ultimi giorni. Il giullare riferì che l’ultima volta che l’aveva vista era vicino al fossato, così la principessa si recò nel luogo dove in effetti si vedevano anche le impronte dei suoi piccoli piedi che arrivavano fino all’acqua ma non tornavano indietro. Mentre stava pensando con terrore che Viola poteva essere caduta in acqua, lo stregone arrivò di corsa. “Ma…” blaterò “co… come hai fatto a liberarti?” Senza pensarci un attimo si gettò in acqua dimenticandosi di tirare la carne ai malefici draghi. Questi non ci pensarono neanche un istante e si avventarono sullo stregone tutti insieme. La principessa si tuffò in acqua e trovò subito il passaggio segreto. Il drago quando la vide mugolò e uggiolò riconoscendola e lei poté liberare la sua amica. Accarezzò il drago sulla testa “non avere paura, tornerò a liberarti!” Prese Viola per mano e insieme tornarono nell’acqua ancora libera dai draghi. Il giullare si stropicciò gli occhi guardando prima Viola, poi Violabellapipinacalzacorta, poi se ne andò scuotendo la testa. Tornarono nella stanza della principessa. “Grazie Viola, hai salvato la vita del mio drago!” Le mostrò la pagina del libro che era gigante e sembrava fatta d’acqua. “Torna a trovarmi!” le gridò dietro mentre Viola si tuffava per tornare nel suo mondo. “Ciao Principessa!” la salutò Viola e, un attimo dopo, si trovo a sedere sul suo letto.
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Viola e la principessa Rosmarina
“Aiuto, Viola, vieni a salvarmi!” Viola si svegliò in un bagno di sudore. Aveva sognato! Nel sogno la principessa Rosmarina le chiedeva aiuto. Era rinchiusa in una torre altissima e a fare da guardia c’era un malvagio drago nero. Per tutto il giorno Viola pensò alla povera principessa prigioniera e, anche se era un sogno, pensò che forse poteva fare qualcosa per liberarla. Ma come si fa a liberare una persona in un sogno? Ma certo! Mettendosi a sognare di nuovo! Viola si fece fare una camomilla e poi, sbadigliando a più non posso, si mise a letto e subito si addormentò. Questa volta si recò davvero nel regno della principessa Rosmarina. La poverina era rinchiusa nella torre più alta del castello e Viola, che aveva quattro anni appena compiuti, ebbe una gran paura. Come poteva fare a liberare la principessa che stava così in alto? E con quell’essere malefico, poi, con il rischio di venire mangiata in un boccone con tutte le scarpe? Il drago era seduto sul tetto della torre e non avrebbe mai permesso a nessuno di avvicinarsi, per cui, dopo aver riflettuto per qualche minuto, Viola decise che sarebbe entrata nel castello e avrebbe raggiunto la torre da dentro. Impresa davvero ardua e difficile! Ma Viola era così determinata che riuscì a sgattaiolare all’interno del castello senza dare troppo nell’occhio. D’altra parte i grandi non pensano che una bambina piccola sia pericolosa, per cui, nascondendosi quando c’era gente e camminando in punta di piedi quando era sola, Viola riuscì ad arrivare alla vecchia porta pag. 75 della torre. “Principessa Rosmarina!” la chiamò “sono venuta a liberarti!” aggiunse “dov’è la chiave?”
“Ciao Viola, sei davvero una brava bambina, ma la chiave ce l’ha il mio carceriere che alloggia al piano di sotto. Non ce la farai mai a prenderla!” rispose la principessa tra le lacrime. Viola si armò di tutto il suo coraggio. Scese di sotto e vide subito la corpulenta guardia che teneva la chiave legata al collo. Più che vederla la sentì che russava come un trattore! Viola si avvicinò silenziosamente e, con le sue manine piccole, riuscì a sfilare dal collo la pesante chiave senza farsi sentire. Poi si girò di scatto e cominciò a correre. Era stato fin troppo facile. I castelli non hanno il nostro pavimento liscio, così Viola inciampò su un mattone rotto e fece un rumore che svegliò la guardia. Viola si immobilizzò e si schiacciò verso il muro, dove c’era un piccolo angolo buio. Il bestione biascicò qualcosa che aveva a che fare con i gatti e poi riprese a sbuffare come una locomotiva. Viola che aveva il cuore che andava a mille, si calmò e, stavolta con molta attenzione, raggiunse la porta della principessa e l’aprì. “Sono libera!” sussurrò la principessa. Si abbracciarono tra le lacrime. “Perché piangi?” domandò Viola “puoi uscire! Sei libera!” La principessa divenne molto triste. Prese Viola per mano ma non riuscì a oltrepassare la soglia della stanza. “Ho paura!” mormorò “ho tanta paura! Io non conosco il mondo di fuori. I miei genitori, prima di rinchiudermi nella torre hanno detto che lo facevano per il mio bene. Poi sono morti ma il drago e le guardie non hanno voluto liberarmi. Hanno detto che gli uomini sono cattivi e che io non posso venire maltrattata come le donne del popolo!” Viola ci rimase molto male. Non aveva capito bene il discorso della principessa ma aveva capito una cosa. La ragazza non solo era prigioniera della torre, ma anche della sua paura. E come si fa a essere prigionieri della paura? Forse ha catene? Viola ragionò, con grande sforzo per una bambina di quattro anni che crede a quello che vede, che anche se non si vedevano c’erano delle catene invisibili che erano fatte di paura. E la paura non si vede, ma c’è! E come si fa a liberare una principessa dalla paura? La paura
non è come una torre dove basta aprire la porta. La paura è qualcosa che ci hanno inculcato per non farci ragionare con la nostra testa. E dove sarà la porta? La porta, se c’è, è una sola. Uscire dall’isolamento e parlare con altre donne, convincere le donne del popolo che non bisogna aver paura, unirsi contro chi vuole chiuderci la bocca, andare allo scoperto, a testa alta. Viola non sapeva come fare a spiegare queste cose alla bella principessa Rosmarina, ma le raccontò una storia. Le raccontò di quella volta che l’arcobaleno l’aveva convinta a far fare la pace ai popoli Diquà e Dilà e di come fosse riuscita a portare la pace tra di loro, le raccontò della forza delle parole e della volontà determinata di raggiungere un obiettivo. La principessa era ancora molto scossa dalla liberazione ma, anche se le tremavano le gambe, cominciò a uscire e, con grande coraggio, andò in mezzo alle donne del suo popolo. Viola era soddisfatta, ora poteva svegliarsi. In fondo aveva liberato una persona da due prigioni, non era mica poco! Rosmarina la baciò su una guancia e, con un radioso sorriso, la salutò.
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La terra avvelenata
Un giorno Viola, una vispa bambina di quattro anni, amica dell’arcobaleno, fu chiamata al telefono. Era niente di meno che la Principessa Violabellabella, che lei aveva conosciuto tempo addietro. “Scusami Viola se uso questo mezzo rudimentale per mettermi in contatto con te, ma non c’è tempo! E’ urgente! La terra è in pericolo!” Viola si spaventò molto, è normale che una bimba di appena quattro anni abbia paura di fronte a un pericolo, ma fortunatamente la cosa durò poco, perché un magnifico arcobaleno comparve nel cielo e il viola, strappandole un sorriso, formò una vera scala che Viola, prontamente, salì di corsa. L’arcobaleno fermò il tempo sulla terra per non far preoccupare i genitori di Viola e la portò lontanissimo, così lontano che neanche lei sapeva dove. Su un nuvola candida era in lacrime la Principessa Violabellabella. Piangeva così tanto che sotto di lei aveva scatenato un piccolo temporale con certe gocce così grosse che una sarebbe bastata per un bicchiere da acqua! “Che succede, Principessa?” Viola cercò di consolarla ma ebbe un bel daffare prima che smettesse di piangere. “Viola…” farfugliò tra i singhiozzi appena riuscì a respirare, “la Terra si è arrabbiata!” D’improvviso come un tuono “Non sono arrabbiata!” la terra gridò. “Mi avete avvelenata!” Viola e la Principessa si guardarono a occhi spalancati. La Terra si era raddrizzata. Il suo asse non era più inclinato. Se avesse avuto una terra su cui sedersi lo avrebbe fatto e se avesse avuto le braccia le avrebbe incrociate e se avesse pag. 79 avuto un volto sarebbe stata imbronciata come Viola quando alla scuola materna le fanno un dispetto.
“Beh,” cominciò la Principessa “magari non sarebbe un gran danno, solo che non avremo più le stagioni! Perché le stagioni ci sono proprio grazie all’inclinazione dell’asse terrestre!” “E perché?” domandò Viola. In verità Viola aveva già avuto il periodo del perché e aveva avuto tutte le risposte alle domande che aveva fatto, ma questa cosa proprio non se la ricordava. “Perché essendo inclinata rispetto al sole e girandogli intorno, la terra una volta presenta il polo nord dalla parte del sole, e quindi nella metà superiore del globo terrestre è estate e le notti sono più corte, mentre nella metà inferiore è inverno e le notti sono più lunghe. Quando poi il sole nel suo giro di rivoluzione (quello intorno al sole) presenta il polo sud dalla parte del sole, allora è estate nell’emisfero inferiore!” Viola era stata ad ascoltare a bocca aperta. Si ricordò del suo mappamondo che in effetti era inclinato. “Ora,” continuò la Principessa, “la Terra si è arrabbiata e si è raddrizzata, provocando un perenne equinozio.” “Ma che cos’è un equinozio?” chiese Viola spaventata. “Oh, è una parola difficile che usano gli scienziati per dire che il dì è lungo come la notte.” Viola divenne molto pensierosa. “Che possiamo fare?” poi si rivolse alla terra. “Terra, ehi Terra, mi senti?” “Senti pulcino di quattro primavere, per tua norma io sento tutto, capito?” rispose la Terra con voce di tuono. “Perché sei arrabbiata?” mormorò Viola con le gambe tremanti. “Mi avete avvelenato i fiumi, i mari, avete aggredito il territorio costruendo dappertutto. Avete costruito le serre per avere i frutti fuori stagione. Avete inquinato l’aria, persino la mia bella atmosfera è piena di spazzatura cosmica! Beh adesso io mi siedo. E’ ora di farla finita. E vi spazzo via tutti con uno tzunami gigantesco. Così imparate!” “Mamma mia!” sussurrò Viola all’orecchio della Principessa “è proprio arrabbiata!” “Vi sento anche se sussurrate, sapete?” tuonò la terra dalla
sua postazione eretta “voi umani siete di troppo. E di voi posso anche farne a meno, visto che siete così diversi dagli altri esseri viventi da non costituire un anello importante della catena evolutiva. Anzi, siete una cosa in più!” La principessa Violabellabella ricominciò a piangere come una fontana. “Viola, per favore, parlaci tu!”riuscì a dire dopo aver allagato tutta la nuvola con le lacrime. Viola allora si armò di pazienza e parlò alla terra con dolcezza. Le raccontò dei grilli e delle farfalle, dei piccoli fiori di campo e dei crocus che escono dalla neve. Le parlò del suo amico arcobaleno e di tutte le volte che l’aveva aiutata a sventare un pericolo. Una volta avevano addirittura salvato gli animali che stavano per essere inghiottiti da una macchia di petrolio nel mare. Cercò di spiegarle che non tutti gli uomini sono uguali e che molti di loro sono continuamente impegnati sul fronte della salvaguardia dell’ambiente. La Terra sembrava pensierosa ma, improvvisamente tuonò: “quando mi avranno avvelenato tutte le acque e saranno morti i pesci e gli animali e con essi tutta la vegetazione, dovranno mangiare i cibi in scatola, ma quando anche quelli finiranno, avranno solo i loro soldi e saranno costretti a mangiare quelli; vedremo allora come digeriranno!” Era davvero decisa! E poi non aveva affatto torto! E come poteva convincerla Viola a cambiare idea lasciando perdere il concetto di distruggere l’umanità? Era veramente un’impresa ardua, ma doveva almeno tentare, non poteva lasciar perdere. “Insomma Terra, la vuoi smettere di fare i capricci?” gridò Viola arrabbiata. “Se fai morire gli uomini farai morire anche me, la Principessa e tutti i bambini che non hanno colpa del disastro ambientale provocato dai loro genitori!” In quel momento l’arcobaleno che si era stancato di stare senza fare niente, toccò la Terra con la sua bella striscia pag. 81 multicolore. “Chi mi fa il solletico?” chiese risentita quella.
“Sono io, Arcobaleno, guardami, non sono uno spettacolo?” La Terra si commosse. Non poteva farne a meno ogni volta. E più si commuoveva, più le goccioline d’acqua dividevano la luce nei suoi sette colori. Uno spettacolo mozzafiato. Ma non bastò per niente. “Insomma, lasciatemi perdere. Ora mi fermerò del tutto e distruggerò la vita sulla terra!” asserì decisa. “Se non volete affogare rimanete sulla nuvola!” Allora Viola prese per mano la Principessa e insieme scesero dalla nuvola. Andarono sulla Terra in mezzo agli uomini ma non vollero più parlare con lei. Passarono alcuni giorni e non successe niente. Viola e Violabellabella avevano ripreso la loro vita normale, ma avevano il cuore in gola pensando al disastro imminente. Poi, un giorno, Viola si accorse che le giornate iniziavano ad allungarsi. Si chiese se la Terra si fosse rimessa al suo posto e, infatti, dopo qualche minuto si accorse che l’Arcobaleno era tornato a farle visita. Aveva un messaggio da parte della Terra! “Care Viola e Violabellabella” riferì l’arcobaleno “ho deciso di darvi un’altra possibilità. Vi offro una tregua. Nel giro di pochi anni dovrete ripulire il pianeta e renderlo ospitale e accogliente. Dovrete convincere le persone a non consumare tutte le risorse ma a utilizzare quelle rinnovabili. Dovrete fare in modo che la gente non misuri il benessere con i soldi, ma con la felicità. Ci vediamo tra vent’ anni!” “Ma come ha fatto a convincersi?” chiese Viola stupita. L’arcobaleno la fece salire su di sé, poi prese anche Violabellabella. “Ho dovuto faticare tanto ma ho trovato dei luoghi incontaminati. Le ho parlato di quei luoghi, di tutti gli animali che sarebbero morti se avesse provocato un disastro. Le ho mostrato il pinguino imperatore e il lento bradipo, il pipistrello gigante e il varano. Le ho detto che voi e tutti i bambini potete essere una speranza per la Terra. Le ho detto che voi ce la potete fare. Viola e Violabellabella si abbracciarono. Ora avevano un difficile compito, ma almeno potevano provarci!
Elena e il mistero dell’inquinatore folle. (Un’altra delle innumerevoli avventure del folletto Zumpicarchs e del drago Agatax)
Elena è una bella bambina con un visetto birichino e un vispo sorriso sbarazzino. A volte combina anche delle marachelle, ma con il suo sorriso i grandi non hanno scampo e lei ottiene un immediato perdono. Un giorno, quando aveva da poco compiuto gli otto anni, e si sentiva già un po’ vecchietta per giocare con i bambolotti piagnucolosi, si affacciò alla finestra e vide una cosa stranissima: un vecchio stregone con il mantello nero e un cappellaccio nero calato fin sopra gli occhi, gettava delle cose in strada e sul marciapiede. Decise in un attimo: sarebbe andata a vedere! Certo, a otto anni non ti fanno uscire da sola in strada, così sbirciò in cucina e vide che la mamma se ne stava con la pancia attaccata ai fornelli nell’intento di mescolare una delicata crema che, si sa, se uno abbandona l’impresa, impazzisce e ciao dolce! Mentre verificava la questione principale e cioè che la mamma non si accorgesse di niente, Elena sentì un pezzo di telegiornale: “Le forze dell’ordine di tutta la città sono impegnate allo scopo di individuare i malfattori che stanno gettando dappertutto pile, batterie e sostanze altamente inquinanti. Si sospetta di una banda di ragazzini disadattati che si troverebbero in loco ma di fatto la polizia brancola nel buio.” Il giornalista per l’occasione aveva intervistato il Sindaco, un uomo così pancione che sembrava una palla, e stava mandando un’intervista. Anche il Sindaco era sicuro che fossero i ragazzi a essere i responsabili. Elena però non si perse d’animo e, non vista da nessuno, pag. 83 sgattaiolò fuori casa e si precipitò in strada a verificare. Erano proprio pile, batterie e cose altamente inquinanti
quelle che erano state gettate in strada ma Elena non si diede per vinta. Aveva visto chi ce le aveva buttate ed era decisa a ritrovarlo per non far dare la colpa ai ragazzi della banda della scialuppa che lei conosceva bene. Per prima cosa andò a trovare Giorgio, il capo della banda della scialuppa. “Ciao Giorgio, come stai?” gli chiese educatamente. “Oh, ciao Elena, come mai sei sola e da queste parti?” “Ecco, vedi, voglio indagare su un fatto strano. Stamattina ho visto un uomo vestito da stregone, con un mantello nero e un capellaccio da strega calcato sul naso che buttava in terra delle cose, poi ho sentito che al telegiornale dicevano che sono state trovate in strada delle sostanze inquinanti e siccome sospettano di te e della tua banda, sono venuta ad avvertirti!” “Oh, mannaggia i pesci andati a male!” imprecò il ragazzino “ma perché qualsiasi cosa succeda in questo paese viene attribuita a noi? Hanno davvero fantasia bisogna ammetterlo! Grazie per l’avvertimento!” “Oh, di niente, ma ora come farai?” domandò Elena prima di voltarsi verso la via del ritorno. “Beh, magari,” rispose Giorgio, “potresti telefonare alla polizia e raccontare quello che hai visto, così , magari, ci lasciano in pace!” “Bene, lo farò senz’altro, ma ora devo tornare a casa, sennò sguinzagliano polizia, carabinieri, assistenti sociali, maestre, genitori e nonni per cercarmi.” Mentre ritornava a casa Elena si accorse di un fruscio sotto un cespuglio che stava a bordo della strada. “Elena?” chiese una vocetta gracchiante. Elena rimase di sasso e non riuscì a spiccicare parola. Davanti a lei c’era un piccolo folletto, con le orecchie a punta e con la pelle verde come quella di un ranocchio. Il folletto aveva in testa un capello rosso e ai piedi un paio di scarpe rosse. “Tu… tu chi sei?” chiese balbettando Elena che era rimasta a bocca aperta per lo stupore.
“Sono Zumpicarchs, il folletto. E ora, se non ti dispiace, devo chiederti se vuoi aiutarci a evitare la distruzione di questo paese a opera del malvagio stregone Zauros. Sbrigati a rispondere, per favore.” I folletti, si sa, sono molto scontrosi e Zumpicarchs non faceva eccezione. Anzi era veramente scorbutico. Elena deglutì un paio di volte e si girò intorno per vedere se ci fosse qualcuno ma lo sforzo fu inutile. Non solo non c’era nessuno, ma il tempo sembrava essersi fermato. Non c’era una macchina che passava e nemmeno un insetto che volava. “Beh io… vorrei… vorrei aiutarti, ma come? Ho solo otto anni!” bofonchiò impacciata. “Senti, piccola, anche per me sei troppo piccola per aiutarci ma il principe: no, è lei, solo lei può aiutarci. E così la mia opinione non è stata tenuta in debito conto. Sei stata scelta, ecco tutto. Allora che cosa hai deciso?” chiese con malagrazia. Elena si spaventò ma davvero per poco. “Ma la mia mamma, quando si accorgerà della mia assenza, andrà su tutte le furie, mi verrà a cercare e…” Il folletto la interruppe. “Oh, a questo c’è rimedio!” Tirò fuori dalla tasca del panciotto un grosso orologio e lo mostrò a Elena. “Vedi? Ho fermato il tempo!” Ecco perché non si muoveva niente! Aveva fermato il tempo! Così la mamma con tutta probabilità era ancora lì, ferma, nell’atto di mescolare la crema! “Fico!” esclamò Elena tappandosi subito la bocca. Con i folletti non bisogna essere maleducati, altrimenti si offendono e spariscono! “Beh, in questo caso, vorrei aiutarti!” esclamò tutto d’un fiato. “Bene!” sentenziò il folletto rimettendo in tasca il prezioso orologio. “Per prima cosa dobbiamo trovare il malvagio Zauros. Ma secondo me non sai neanche da che parte incomin- pag. 85 ciare!” affermò ironicamente mettendo le braccia conserte. “E invece lo so dov’è andato! E’ andato da quella parte! Io l’-
ho visto!” Andarono insieme verso quella direzione. Mentre camminavano, Elena osservava il piccolo essere verde. Camminava tutto impettito come a sottolineare l’importanza della sua missione. Chissà quante avventure aveva avuto! Passarono vicino a un palco dove il Sindaco era bloccato con la mano destra alzata mentre faceva un comizio, con tutta probabilità contro chi sappiamo noi. Dopo un’ora di cammino, arrivarono vicino a un’alta montagna blu. La montagna sembrava toccare il cielo con la punta, tanto era alta. Alle pendici della montagna si trovava una grotta. Zumpicarchs fece cenno a Elena di fare silenzio e non muoversi. Entrò con fare circospetto nella caverna e Elena lo seguì con attenzione. All’interno della grotta videro il cappellaccio dello stregone attaccato a un chiodo e poco più in là videro il mantello buttato sullo schienale di una sedia. Elena era molto spaventata. Erano entrati nella tana del malvagio e sicuramente il luogo era molto ma molto pericoloso. Improvvisamente sentirono un rumore di passi. Era lui che si avvicinava! Senza perdersi d’animo Zumpicarchs tirò fuori la bacchetta magica, colpì Elena in testa, poi si colpì a sua volta in testa ed entrambi divennero piccolissimi, come topolini. Subito si nascosero in un buchetto della roccia. Il malvagio Zauros stava preparando dei sacchi con dentro materiale altamente inquinante, scorie radioattive, pile, batterie, rifiuti tossici. Poi, indossato il cappellaccio e il mantello, uscì. Dopo un tempo che a Elena sembrò lunghissimo, i due intrepidi amici uscirono dal nascondiglio e, aiutati dalla bacchetta magica, riacquistarono le loro normali dimensioni. Si guardarono un po’ intorno e dopo qualche minuto Elena trovò uno scatolone che aveva un pezzo di etichetta con su scritto: Fabbrica Zeldas. Incastrata nello spago c’era una foglia di ippocastano. Si trattava di una fabbrica vicino a casa di Elena. Lei la conosceva bene perché ogni tanto gli abitanti della città manifestavano contro i proprietari accusati di inquinare le acque
del fiume che scorreva là vicino e si presentavano lì con i cartelli. Era un indizio ma era troppo poco. Intanto lo scatolone poteva essere stato preso dalla spazzatura, poi era certamente insufficiente come prova per scagionare i suoi amici. Lo mostrò al folletto che parve molto interessato. Decisero che sarebbero tornati verso casa per dare un’occhiata alla fabbrica, ma non poterono varcare la soglia della caverna perché un orribile drago nero sbarrava loro il passo. Il drago appoggiò a terra uno scatolone del tutto simile a quello esaminato da Elena e si mise a sedere proprio in mezzo al passaggio. Erano bloccati! Elena cominciò ad avere paura. “E ora, che facciamo?” chiese al burbero folletto. “Chiamerò in soccorso la mia amica Agatax!” decise Zumpicarchs. “Chi?” chiese Elena titubante che una folletta potesse in qualche modo aiutarli. Con i draghi neri, si sa, la magia buona non può funzionare. Neanche un esercito di folletti avrebbe potuto aiutarli. Zumpicarchs frugò nelle sue numerose tasche ma a parte l’orologio e una serie quasi infinita di grossi lecca-lecca al mirtillo, non tirò fuori niente. “Ah! Che sbadato! Mi ero dimenticato!” mormorò all’improvviso. Poi si tolse delicatamente una scarpa scoprendo una calza a righe bianche e rosse. A Elena sfuggì un sorriso. Il folletto si tolse con cura la calza e, attaccato allo stinco, aveva un sottile foglio di pergamena che si sfilò per appoggiarlo a terra. Si rimise con attenzione calza e scarpa e appoggiò le mani con i palmi aperti sulla pergamena. “Che fai?” chiese Elena che ricominciava ad acquistare coraggio. “Chiamo Agatax!” brontolò il folletto come se fosse una copag. 87 sa del tutto normale. Elena sgranò gli occhi. “Ma… ma non ce l’hai il cellulare?” “Che?” bofonchiò stizzito il piccolo essere verde.
“No, niente, niente…” mormorò delusa Elena che ormai l’aveva capito, un conto è la tecnologia, un conto è la magia! Sono due cose che non possono andare d’accordo!!! Dopo pochissimi minuti dalla delicata operazione, un grido gracchiante di dolore attanagliò il drago nero che sanguinava da un’ala. Urlando fuggì disperato verso la montagna. Elena rimase senza fiato. Un enorme drago arancione aveva ferito il malvagio drago nero e aveva atterrato ai piedi della montagna come se niente fosse. “Oh, ce ne hai messo di tempo!” sentenziò il folletto. “Salute a te, Zumpicarchs” rispose Agatax che in fatto di educazione la sapeva lunga, poi, da vera signora, salutò Elena: “Salute a te Yelenabellabellabella, ti porto i saluti del Principe Jpapadopulosongru, che ha ritenuto di affidare a te, aiutata dal qui presente Zumpicarchs, a risolvere il mistero dell’inquinamento selvaggio.” Elena aveva gli occhi di fuori. “Come mi ha chiamata?” sussurrò al folletto. “E’ il tuo nome nella nostra lingua!” rispose Zumpicarchs, “e ora rispondi, se non vuoi sembrare maleducata!” “Ciao!” rispose Elena cercando con gli occhi l’approvazione del folletto. Costui, che era sempre imbronciato, questa volta le strizzò l’occhio e lei si sentì rassicurata. “E ora, saltatemi in groppa!” gridò il drago. Elena non credeva ai suoi occhi. In groppa a un drago, un drago femmina enorme e gentile, ma vero come il folletto che aveva davanti a sé. Elena si strinse al collo del drago. Stranamente il collo non era freddo come quello di tutti i rettili, era tiepido e pulsava, come se si sentisse il cuore. Anzi, a pensarci bene, si sentiva proprio il cuore. Elena si strinse in un abbraccio tenero. E Agatax sentì la tenerezza e le diede un’affettuosa musata in testa. Elena chiese al drago di sorvolare la fabbrica Zeldas ma per non essere visti Agatax raggiunse un’altezza considerevole tale, però, da non far vedere quasi niente. “Zumpicarchs! Saresti così cortese da darci una mano?”
chiese Agatax con dolcezza. Zumpicarchs trasse fuori dalla tasca una bacchetta magica. “Posso renderci tutti invisibili, ma solo per pochi secondi. Agatax, avrai una manciata di secondi per passare sopra alla fabbrica, allora, siamo pronti?” “Pro… pronti” mormorò Elena che non era così sicura. “Al mio tre. Uno, due e… tre!” Toccò la punta della coda del drago e immediatamente tutti e tre divennero invisibili. Agatax non aspettò un minuto di troppo e passò in picchiata sopra alla fabbrica. Tornarono visibili appena in tempo dopo che furono spariti dietro un gruppetto di alberi. “Allora?” chiese Zumpicarchs. “Le ho viste!” esclamò Elena. “Viste cosa?” chiese il folletto selvatico come un animale. “Le scatole! Ho visto delle scatole identiche a quelle che erano nella grotta. Stavano in fila sotto l’unico albero della fabbrica, l’ippocastano!” Agatax si adagiò in una piccola radura all’interno del boschetto che li aveva ospitati e Zumpicarchs ed Elena scesero a terra. “Che può significare questo?” chiese Elena che non ci capiva più niente! All’improvviso un gruppo di ragazzi si precipitarono quasi addosso ai nostri amici e rimasero a bocca aperta. “Giorgio!” gridò Elena, “ciao, ti presento i miei amici: Agatax e Zumpicarchs!” Giorgio e i ragazzi della banda della scialuppa si fecero avanti con molto timore ma non ebbero il coraggio di tornare indietro. Stavano fuggendo dai guardiani della fabbrica che li avevano sorpresi a curiosare vicino alle casse. “Che ci fate qui?” chiese Elena. Poi, guardando il folletto: “Ma, non avevi fermato il tempo?” “Beh, a dire il vero, ho fermato il tempo in uno spazio ripag. 89 stretto, casa tua e poco di più! Perché, non ti va bene?” “Oh, va bene, va bene” disse Elena scusandosi per l’impertinente domanda.
“Insomma, cosa hai scoperto?” chiese a Giorgio. “Ho seguito il cane del Sindaco. Mentre il Sindaco è rimasto con la mano in aria mentre cercava di convincere i cittadini che la causa di tutto siamo noi ragazzi della banda della scialuppa, io mi sono messo dietro al povero Botolo, il suo cane. Botolo mi ha portato alla fabbrica, ma non ne conosco il motivo. I sorveglianti ci hanno scacciati immediatamente. E tu, cos’hai scoperto?” “Ho scoperto che nella fabbrica vengono preparate delle scatole con dentro il materiale inquinante che viene abbandonato in giro per la nostra città, ma non so altro.” Poi Elena ebbe un’idea: “Dobbiamo trovare lo stregone!” esclamò “Agatax, ce la fai a portarci tutti?” “Sarebbe un onore per me, principessa Yelenabellabellabella. Se ce la faccio? Direi che un’altra dozzina di scriccioli come voi non costituirebbero nessun tipo di problema per una della mia stazza!” Nel pronunciare queste parole il drago aprì le ali enormi e i ragazzi sorrisero. Salirono tutti in groppa al drago che decollò puntando dritto verso il cielo. I ragazzi avevano il vento nei capelli e Zumpicarchs brontolava qualcosa a proposito di cuccioli, scriccioli e cose simili. Agatax portò tutti i ragazzi e il folletto alla grotta dello stregone e questi si nascosero all’interno. Quando lo stregone arrivò, gli giocarono un brutto scherzo. Elena aveva trovato un vecchio lenzuolo, ci aveva praticato due fori all’altezza degli occhi e l’aveva messo in testa a Zumpicarchs che si era messo a cavalletta sulle spalle di Giorgio che era il più alto. Quando lo stregone arrivò si prese uno spavento memorabile e scappò verso la città. Naturalmente il fantasma lo seguì fino a casa e lui, che se l’era fatta sotto dalla paura, si decise a confessare. Era uno stregone malvagio e fifone! Andarono tutti a casa di Elena. La mamma era ancora incollata ai fornelli nell’atto di mescolare una crema e si sentiva il telegiornale. “Grazie a un gruppo di intrepidi ragazzi e a una bambina di appena otto anni, l’associazione a delinquere è stata sgomi-
nata e il Sindaco imprigionato. Il Sindaco aveva assoldato un sicario, ora assicurato alle maglie della giustizia, che aveva assecondato il suo losco progetto di abbandonare in giro per la città scorie radioattive e materiale altamente inquinante prodotti dalla fabbrica di sua proprietà. Il Sindaco avrebbe voluto inquinare la città per presentarsi come l’unico capace di salvare il mondo dall’inquinamento, per questo aveva tentato di far incolpare i ragazzi della banda della scialuppa, ma grazie all’intervento della piccola Elena è stata dimostrata la loro innocenza e il Sindaco è finito in manette.” “Orca! Sei diventata famosa!” sbottò Giorgio rivolto ad Elena. Elena fu molto contenta di aver vissuto quell’avventura. Salutò Giorgio con un bacio, poi accompagnò alla finestra Zumpicarchs che era atteso alla finestra dalla sua amica Agatax. Zumpicarchs trasse fuori dalla tasca il suo orologio ferma tempo, armeggiò con le lancette per poi salutare e scappare in un batter d’occhio. “Fantastica questa crema!” esclamò la mamma di Elena “davvero, non mi è mai venuta meglio!”
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Un’avventura pericolosa
C’erano una volta due fratelli, Elio ed Eliana. Erano nati in una famiglia poverissima e non avevano quasi nulla di cui sfamarsi. A quel tempo c’erano delle famiglie la cui presenza veniva tollerata ma non avevano alcun diritto. Neanche il diritto di raccogliere le erbe selvatiche per farsi un’insalatina. Elio e sua sorella Eliana, però, andavano tutti i giorni nel bosco e raccoglievano funghi, frutti ed erbe nascondendoseli nelle tasche per potersi sfamare. Un giorno si accorsero che ai margini del bosco c’era una casetta di legno che non avevano mai notato prima e, furtivamente, si avvicinarono per curiosare. Dall’interno si sentiva discutere. “Insomma ho diritto anch’io a una parte dei soldi!” gracchiò una donna. “Ma stai zitta!” rispose una voce maschile “i soldi non ci sono più! Sono finiti! Fi-ni-ti! Hai capito strega di ricotta? E finché non troviamo altra mercanzia, come quella che hai fatto scappare, siamo al verde!” Era una vera discussione. Chissà di quali soldi parlavano e di quale mercanzia? Sarebbe stato un mistero per sempre se nell’avvicinarsi Eliana non avesse calpestato un bastoncino spezzandolo. “Chi c’è là?” I due ragazzi furono legati e imbavagliati come salsicce e furono portati dentro alla casetta dove, al centro dell’unica stanza del piano superiore, c’era una grossa gabbia. Furono gettati nella gabbia e, quando il chiavistello fu richiuso, i due carcerieri si sfregarono ben bene le mani pensando a quanti soldi potevano ricavare dalla vendita dei due pag. 93 ragazzi. A quel tempo la vita di due ragazzi non valeva quasi niente. A nessuno importava se tornassero a casa o no. I
genitori sarebbero stati sollevati dal compito di sfamarli e la comunità non si sarebbe neanche accorta dell’assenza. Insomma nessuno sarebbe andato a cercarli e la loro vendita come schiavi avrebbe procurato un bel gruzzolo ai due malvagi adulti. Eliana cominciò a piangere e Elio cercò di slegarsi le mani e quando ci riuscì si tolse il bavaglio e liberò anche sua sorella. “Tanto non c’è modo di uscire dalla gabbia!” sentenziò il ragazzo porgendo alla sorella il suo fazzoletto. “Non perdiamo la speranza” rispose lei asciugandosi le lacrime, un modo lo troveremo!” “Un modo non lo troveremo, non lo troveremo, non lo troveremo!!!” stridé una voce sgradevole che i ragazzi udirono uscire da un pappagallo impagliato. Il povero pappagallo impagliato era vittima di un incantesimo. Condannato dalla strega a essere immobile come se fosse finto. In realtà aveva un piccolo cuore che batteva sotto le piume incollate. “Ciao, come ti chiami?” chiese Eliana senza dimenticarsi che anche nelle circostanze più avverse bisogna essere educati. “Sono Pallo il Pappagallo, per servirla, signorina!” “Piacere, Pallo, io sono Eliana e questi è mio fratello Elio! Può suggerirci un modo per uscire da questa gabbia, per cortesia?” “Oh no! No, no, no, no! Impossibile! Impossibile! Solo la strega possiede la chiave! E è una chiave magica! Così magica che se la prende un’altra persona diventa liquida e puf! Sparisce! Non si può, non si può!” gracidò che sembrava una ranocchia. I ragazzi ammutolirono e si lasciarono cadere a sedere sul pavimento della gabbia. All’improvviso tornò la strega. “Ummh! Vi siete liberati, ma bravi! Che bello, ora risponderete ai miei indovinelli!” Indovinelli? I ragazzi si scambiarono un’occhiata disperata. Quella strega li voleva vendere come schiavi ma non avrebbe rinunciato a divertirsi un po’. Comunque si accorsero che
Pallo muoveva gli occhietti come per incitarli e capirono che, se volevano almeno tentare di fuggire, dovevano per il momento assecondare le stramberie della megera. Così la strega prese una sedia e si sedette accanto alla gabbia. “Allora, cosa ci fa uno sputo su una scala? Eh che ci fa? Che ci fa? Proprio non vi viene in mente? Saliva!!! Ah, ah, ah!” cominciò a ridere come una matta. “Beh, almeno si diverte da sola!” commentò Eliana sottovoce nell’orecchio di suo fratello. “E una goccia di sangue in terra? Eh, che dice? Che dice? Non sono in vena!!! Ah, ah, ah” Non dava loro neanche il tempo di pensarci! Elio la guardava con gli occhi sgranati. “Ti piacciono i miei indovinelli, vero? Fantastico!” blaterò. “E questo, sentite questo: che fa un pomodoro la mattina? S’alza (salsa…hi hi hi). E una patata? Pure!!! (puré… hi hi hi). Carini eh?” I due fratelli annuirono e, all’improvviso, a Eliana venne in mente un’idea. “Senti strega, ti piacerebbe che io ti facessi un indovinello?” chiese la ragazza con il batticuore. “Oh sì, sì che mi piacerebbe! Però non chiedermi di liberarti, se non indovino. Mi è successo così con gli altri ragazzi e Losco si è arrabbiato tanto!” Eliana si sentì svenire. Era proprio quello il trabocchetto che aveva imbastito. Avrebbe detto un indovinello difficile, scommettendo con la strega che se non avesse indovinato li avrebbe dovuti liberare all’istante. Il pappagallo chiuse gli occhi cacciando un rumoroso sospiro. Eliana, però, non si perse d’animo e sussurrò: “Beh, in questo caso … se non indovini vorrei che liberassi Pallo dall’incantesimo che lo fa sembrare un pappagallo impagliato!” La strega guardò i ragazzi con sospetto. Poi guardò Pallo pag. 95 esitando. “Oh, peccato!” mormorò la ragazza verso suo fratello “ave-
vo in mente un indovinello bellissimo, un vero rompicapo! Ma non saprò mai se la signora strega sia all’altezza!” La strega fece un gesto di stizza. “E va bene! Se non indovinerò il tuo indovinello, libererò Pallo dall’incantesimo! Ma se indovino, se indovino … dovrai dire cento volte ‘Salla è la strega più intelligente dell’universo’!” Elio ed Eliana si scambiarono un’occhiata complice. Dunque la strega si chiamava Salla. “D’accordo!” fece Eliana porgendo alla strega la sua piccola mano che scomparve dentro quella ossuta della vecchia siglando così il patto. “Allora” inizio Eliana cercando le parole giuste “allora, c’è una grossa stanza. Nella stanza c’è una potentissima strega. La strega possiede nove gabbie. In una gabbia ci sono sette fanciulle ciascuna con un gatto. In un’altre gabbia ci sono sette fanciulli ciascuno con un cane. Nelle altre sette gabbie ci sono cani e gatti in misura variabile per un numero totale di quarantanove. La domanda è questa: quante gambe ci sono in tutto?” La strega si immedesimò subito nel ruolo e iniziò a contare. “Allora sette fanciulle hanno quattordici gambe, ma se ciascuna ha un gatto ce ne sono altre 28, così per i fanciulli, quindi siamo a…”. La strega contava sulle dita delle mani, ma evidentemente sapeva contare poco e male, per cui passò un po’ di tempo prima che rispondesse. La posta in gioco non era quello che Eliana avrebbe desiderato, ma avere un alleato era pur sempre un vantaggio, anche se ancora non riusciva a capire quale, aveva chiesto la libertà per il pappagallo e non sapeva se questo, una volta libero, li avrebbe aiutati. Comunque ormai era in gioco e le conveniva starci fino alla fine, almeno avrebbero guadagnato un po’ di tempo. “… quarantotto, poi altri quarantanove animali con quattro zampe fa… fa… centonovantasei! Ci sono! Centonovantasei!” Eliana sorrise. “No, non sono centonovantasei!” Guardò suo
fratello che scosse la testa. No. Non erano centonovantasei! La strega la guardò stizzita. “Dove ho sbagliato? Aaahh! Ho capito! Devi darmi un’altra possibilità!” protestò. Eliana la guardò con gli occhi che erano diventati due fessure. “Se sbagli, questa volta, libererai Pallo?” sibilò alla strega. “Parola mia, lo libererò!” “Allora vai!” la incitò Eliana. “ Sono duecentoquarantaquattro!” sentenziò soddisfatta. Eliana la guardò fisso negli occhi. “Hai sbagliato di nuovo!” aggiunse categorica “la domanda era quante gambe! Ti risulta che gatti e cani ne abbiano?” La strega si arrabbiò moltissimo e si strappò i capelli. “Non finirà qui! No che non finirà qui!” urlò mentre cavava dalla tasca la sua bacchetta magica. Pronunciò una formula magica e diede un colpo in testa al povero pappagallo che, dopo un attimo, volò via dalla finestra aperta. Elio ed Eliana guardarono attoniti il volatile sparire nel cielo azzurro. Con lui sparirono anche le loro speranze di trovare una via di fuga. E la strega già si sfregava le mani pensando a un altro indovinello. “Non si muove eppure arriva dappertutto. Cos’è? Eh? Cos’è, lo sapete? No? E’ la strada! Ah ah ah, che battuta simpatica!” I ragazzi si sedettero sul pavimento della gabbia e misero la testa fra le gambe. Non avevano scampo. Quella megera non li avrebbe mai liberati. E il pappagallo era fuggito chissà dove. Al mattino Losco sarebbe venuto per prenderli e portarli al mercato degli schiavi e non avrebbero potuto sfuggire a quel beffardo destino a meno che non fosse successo un miracolo. Così, mentre la strega se la rideva da sola, loro rimuginavano cercando nella loro testa un sistema per poter evadere. A un certo punto i due poveretti, pur essendo in preda alla disperazione, alzarono la testa e videro una cosa che li sor- pag. 97 prese molto. La strega parlava sottovoce con un essere invisibile, o me-
glio, con un essere minuscolo che teneva in mano e che i ragazzi, per quanto si sforzassero, non potevano vedere. Elio infilò la testa tra due sbarre e si sporse fino a farsi dolere il collo, poi rimase a bocca aperta. La strega teneva stretto per una zampetta un ragno spillo. I ragni spillo sono quelli che vivono sui muri e hanno le zampe sottili. La strega gli parlava sottovoce e lo depose delicatamente fuori dalla finestra. Mentre i nostri amici avevano ancora la bocca aperta per lo stupore Losco entrò furioso nella stanza, agguantò la donna per i capelli per lasciarla subito dopo assestandole un manrovescio che le fece sanguinare il labbro. “Maledetta strega! Tu e la tua mania di salvare gli animali!” “Li… li salvo” balbettò la donna massaggiandosi la guancia “li salvo perché loro si mangino tutte le zanzare…” L’uomo la riagguantò per i capelli e la trascinò a forza fuori dalla stanza sbattendo con violenza la porta. Elio ed Eliana si guardarono attoniti. Quella donna forse non era cattiva, era solo tenuta soggiogata da quell’uomo losco, di nome e di fatto. Elio capì che non c’era più niente da fare e si abbandonò a un pianto dirotto. Eliana cercò di consolarlo ma ben presto le lacrime le inondarono gli occhi e non poté far altro che lasciarle uscire per liberarsi da quel macigno che le appesantiva il petto. Quando non ebbero più lacrime per piangere, si abbracciarono e un sonno esausto e di sasso li travolse immediatamente. I ragazzi furono svegliati in piena notte dalle urla della donna che veniva picchiata selvaggiamente. Elio d’istinto agguantò le sbarre ma non riuscì a smuoverle neanche di un millimetro. Improvvisamente la porta si aprì per sbattere addosso al muro con un fragore infernale. Era Losco. Trascinava la donna per i capelli, era furioso e aveva uno sguardo diabolico. Strattonò i capelli della povera donna costringendola a dargli la chiave della gabbia. Lei tremando infilò la mano in tasca e trasse fuori una piccola chiave. Losco l’agguantò e si avvicinò rabbioso al lucchetto ma, in due secondi, la chiave divenne liquida, la poltiglia gli sporcò le mani
e cadde sul pavimento e l’uomo cominciò a imprecare e bestemmiare prendendo a calci la gabbia che però non si mosse neanche. I ragazzi per un istante benedissero le pesanti sbarre, ma presto si resero conto che, con la chiave, si era liquefatta anche la benché minima speranza di venire liberati. Losco uscì sbattendo la porta lasciando in terra la povera donna semi svenuta. “E’… è morta?” chiese Elio alla sorella che teneva tutte e due le mani sul viso a chiudere gli occhi. Eliana aprì gli occhi lentamente e guardò con attenzione il corpo accasciato. “Respira!” mormorò “Salla!” chiamò “Salla, svegliati!” “Salla!” chiamò Elio più forte. La donna aprì gli occhi. Cercò di alzarsi ma il dolore delle percosse era lancinante per cui dovette rinunciarvi. Si sedette con le spalle contro il muro e iniziò a piangere. I ragazzi non sapevano che fare, così decisero di aspettare che si fosse calmata per poterci parlare. Dopo un’ora la donna non aveva ancora smesso di singhiozzare. Eliana si spazientiva perché quel malvagio di Losco poteva tornare da un momento all’altro, così si decise a chiamarla. “Salla, ti prego, calmati, aiutaci a uscire da questa gabbia” “Aiutarvi? E perché dovrei farlo? Losco mi ucciderebbe subito!” rispose tra le lacrime la povera donna “dobbiamo vendervi come schiavi, altrimenti non avremo niente da mangiare per quest’inverno. Tanto a voi non vi cercherà nessuno!” “Salla, tu non sei cattiva, io lo so!” disse Elio tutto d’un fiato. La donna sgranò gli occhi e li fissò in quelli del ragazzo. “E allora? Che dovrei fare secondo te?” gli urlò. “Beh,” intervenne Eliana “se ci libererai, noi ti aiuteremo a fuggire da lui!” La donna sembrò riflettere. La fuga non rientrava certo nei suoi programmi. Fuggire! E per dove? Dove si può fuggire se pag. 99 non si ha un posto dove andare? Come fare se non si possiede denaro per vivere? Scosse la testa. No, che idea balza-
na! Neanche la magia più potente di tutto il mondo conosciuto avrebbe potuto salvarla da quella situazione. Meglio avere un tetto sulla testa e un pezzo di pane da mangiare. Mangiare? Si toccò la bocca sanguinante. Come avrebbe fatto a mangiare? E la testa? A che serve un tetto sulla testa se ti staccano la testa dal collo a suon di ceffoni? Forse la ragazza aveva ragione. La donna si alzò e claudicante si diresse verso di loro. “Apri!” la implorò Elio “Salla, sei una strega, apri la gabbia! Fuggiremo insieme, andremo lontano e Losco non ci troverà!” La strega sfiorò il lucchetto con la punta delle dita e quello si aprì con uno schiocco secco. “Ce la fai a camminare?” le chiese Eliana prendendola sotto braccio. La donna annuì e con grande circospezione uscirono dalla stanza dirigendosi verso la scala che portava al piano terra. Losco era in cucina che dormiva appoggiato al tavolino davanti ai resti di una misera cena, così, cercando di non fare rumore, i tre sgattaiolarono fuori dalla casetta. Sarebbero riusciti nel loro intento se Eliana, neanche a farlo apposta, calpestò un bastoncino secco che si ruppe con uno scrocchio. Losco si accorse della fuga e si lanciò dietro ai tre che, poverini, cercavano di correre quanto più forte potevano ma la donna era troppo dolorante, non ce l’avrebbero mai fatta. “Andate ragazzi, fuggite voi!” disse loro la donna “io non ce la faccio più a correre, lasciatemi qui, Losco mi riprenderà con sé…” “Non se ne parla neanche!” sbottò Eliana “quello ti ucciderà! Coraggio, appoggiati a me. Ancora non ci ha presi. Ce la puoi fare! Non perdere la speranza!” Eliana si girò. Losco era quasi sopra di loro, ancora un passo e li avrebbe presi. Improvvisamente un fruscio d’ali, non due, non tre, ma cento, mille! Erano pappagalli! Si avventarono contro l’uomo che si riparava con le mani ma non riuscì a scacciarli tutti
per quanto erano numerosi. I tre erano ancora a bocca aperta quando un grande pappagallo volò sopra le loro teste. “Pallo!” gridò Eliana. “Comandate Pallo al vostro servizio! Seguitemi! Vi porterò fuori dal bosco e lontano da quell’uomo malvagio!” I tre seguirono il pappagallo e in breve tempo si trovarono fuori dal bosco ma soprattutto fuori dalla portata di Losco che, a quel punto, non poté far altro che ritornare a casa sconfitto. Elio ed Eliana ragionarono un attimo sul da farsi. Avevano due possibilità. Tornare a casa dove le botte erano pane quotidiano anche per loro, o crearsi una nuova possibilità insieme a Salla. Non ebbero dubbi. Si trasferirono in un’altra città e aprirono una bottega di erbe medicinali e spezie. Ben presto Salla la strega diventò Salla la guaritrice e, grazie ai bambini che andavano a trovarla tutti i giorni, poté coltivare la sua passione per gli indovinelli. L’attività divenne fiorente e redditizia ma soprattutto, le percosse e la violenza divennero un lontano ricordo.
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Supplemento a “Piazza del Grano� Autorizzazione dei tribunale di Perugia n. 29/2009 Corso Cavour n. 39 - Foligno e-mail redazionepiazzadelgrano@yahoo.it novembre 2012
Chi ha il cuore bambino vede da un'altra angolazione la realtà, perché "la vita è sogno e i sogni ci aiutano a vivere", come ci ricorda Pedro Calderon della Barca, perché non volge gli occhi in basso chi li rivolge al cielo.
Collana INEDITI di Piazza del Grano