Gennaio 2011

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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno III, n. 1 - Foligno, gennaio 2011

Oppio

F

rustrati, delusi e stanchi, tanto da prendere quella tessera su cui avevano investito soldi e speranze e riconsegnarla al sindacato. Questa la forte presa di posizione di 76 operai della Tdt di Livorno (Terminal Darsenal Toscana) che, in seguito alla mancanza di risultati e all'immobilismo della CGIL nella trattativa con l'azienda, hanno deciso di dare una violenta scossa al sindacato dimostrando con i fatti il loro disappunto Che i sindacati stiano perdendo iscritti, forza e influenza nella maggior parte delle economie industrializzate è un fenomeno sotto gli occhi di tutti, ma che il più grande sindacato di lotta del nostro paese si sia fatto mettere sotto scacco da CISL e UIL è molto grave e non ammissibile. Per anni i gruppi dirigenti si sono occupati esclusivamente della gestione del potere nell’intento di favorire la personale carriera politica (vedi tutti i leader sindacali che dismessi i panni del sindacalista hanno trovato continuità nelle diverse compagini politiche), perdendo di vista la piazza, le fabbriche, i movimenti studenteschi, cioè coloro che dovevano in realtà rappresentare. Oggi all’interno della CGIL qualcosa si sta muovendo, la FIOM sta finalmente cercando di ritrovare quell’identità prendendo decisioni anche in disaccordo con la segreteria confederale (“La Fiom è un'organizzazione sindacale molto radicale nella sua impostazione e tenta di costituire un elemento di freno alla Cgil, l'organizzazione a cui appartiene" dichiarazione di Roberto Santarelli direttore generale Confindustria). Purtroppo però si tratta solo di una categoria ed il fenomeno investe solo alcune parti d’Italia, perché ci sono molte regioni tra le quali anche la nostra, nelle quali nemmeno il settore dei metalmeccanici è capace di smarcarsi dalla politica sindacale di questi ultimi anni nei quali le vicende

della sinistra moderata (così si può definire quella rappresentata dal Pd) si sono spesso sovrapposte a quelle della CGIL. Per questo motivo alcuni lettori del nostro giornale hanno avuto di che dissentire sulla posizione assunta nell’articolo di fondo dello scorso numero di dicembre ”Io sto con la FIOM”. Io definirei quella, una provocazione forte nei confronti soprattutto della CGIL, che non è capace di reagire a questa situazione e sta lì a guardare aspettando che la barca affondi senza avere il coraggio di salvarla. Basta guardare la nomina della Camusso come nuovo segretario generale che, se pur brava, qualche dubbio lo pone, soprattutto se all’indomani dell’investitura a capo del più grande sindacato italiano che conta circa sei milioni di iscritti, i titoli dei giornali riportavano elogi da parte di funzionari del governo, come il ministro Sacconi «sono fiducioso che riprenderanno le relazioni unitarie tra le organizzazioni sindacali come premessa per migliori rapporti anche con le istituzioni», o come la Carfagna «Susanna Camusso assume questo delicato incarico alla Cgil in un momento economico difficile per il Paese e, dunque, nel momento giusto per avere una donna, con il pragmatismo che le è proprio, al timone. Sono sicura che, grazie alle qualità che ha già saputo dimostrare, il nuovo segretario saprà lavorare per costruire un clima sociale più sereno e riannodare i fili del dialogo e della collaborazione». Non c’era nemmeno un titolo che esprimeva l’approvazione del movimento operaio (la FIOM era profondamente contraria all’elezione della Camusso). Sintomo forse che eleggere una donna oggi in un ruolo così difficile come quello di ricomporre un sindacato di Sinistra forte e coeso non può essere il solo segno di discontinuità con il passato recente. Questo non basta!

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Con quale FIOM?

Né con i black bloc, né con la Gelmini Un pernacchio al Re SANDRO RIDOLFI

Due anni di lotte, manifestazioni, occupazioni, dibattiti, assemblee e documenti per resistere e contrastare la demolizione della scuola e dell’università pubblica, contro il ritorno alla vergognosa riforma Gentile che, con l’ordine del Duce e la benedizione del Papa romano, negli anni 30 espulse dalle scuole pubbliche ed escluse dal diritto all’istruzione le masse popolari. L’offesa alle Istituzioni trascinate nella vergogna di uno squallido mercato di deputati, senatori e veline ministro. Una grande manifestazione in difesa del diritto e della dignità dello studio, del lavoro, della solidarietà, dell’ambiente. Modesti scontri, sicuramente brutti, violenti, insulsi e inutili, gonfiati da media compiacenti in una guerriglia urbana (io c’ero a Roma e, fatta eccezione della limitata area di piazza del Popolo, i veri assalti erano ai negozi natalizi o almeno alle vetrine di beni oramai irraggiungibili). “Anno zero”: un ipocrita democristiano “dentro” fin dalla culla che invita i “bravi ragazzi” a condannare i facinorosi perditempo e

fuoricorso; un giornalista inqualificabile che invita invece i ragazzi a rivolgere la loro rabbia contro i pensionati che pesano sulla nostra economia e precludono il loro futuro; un fascista della prima ora che accusa i ragazzi di vigliaccheria, lui che alla loro età aveva lanciato bombe a mano contro i poliziotti; un “arruffapopolo” teatrante e trascinatore senza ideologia, idee e progetto, forse il più pericoloso dei quattro. Bravi invece i ragazzi che, benché pressati insistentemente dal Santoro di turno, hanno intelligentemente rifiutato di rispondere alla pretesa di schieramento. La storia si ripete e a richiamarla è proprio la memoria storica del democristiano “doc”, oggi i black bloc ieri le brigate rosse, bisogna schierarsi: contro o complici. Né l’uno né l’altro, né con i black bloc né con la Gelmini, né con lo stato borghese né con le brigate rosse, restare fuori dal gioco, sottrarsi al ricatto. Se qualcuno sfascia vetrine, brucia auto e fa violenza ai tutori dell’ordine, così come un tempo rapinava e sparava, è un problema di ordine pubblico e di giustizia, ma prima ancora è un problema di chi ha creato un disagio sociale

così grande da generare, lui e non gli avversari politici, quelle reazioni estreme di violenza sterile e inutile. Il problema è politico: la devastazione dello stato sociale, la compromissione del futuro delle prossime generazioni e già ora il presente di tutte le generazioni: dai giovani disoccupati ai pensionati alla fame. La storia si ripete perché la strategia del potere è sempre la stessa anche se cambiano le maschere che coprono, vigliaccamente, i volti dei potenti: demonizzare il dissenso provocando le deviazioni estremistiche e all’occorrenza (in verità la storia ci ha insegnato: sempre) infiltrare i provocatori. Rifiutare, protestare, contestare, manifestare può diventare pericoloso (così si vuole che sia) perché crea il terreno nel quale germoglia l’estremismo; questa la strategia del ricatto di tutti, dai democristiani “dentro”, ai liberisti, ai fascisti oggi sfrontatamente al governo. Chi protesta è complice! Occorre rifiutare il gioco, non cadere nella trappola, respingere il ricatto e quindi, ancora affermare: né con i black bloc né con la Gelmimi; ancora, con attenzione ma senza paura, tornare in piazza, sui tetti, per le strade.

Ma occorre anche rifiutare le logiche del sacrificio e del martirio. La contestazione, la rivolta, la stessa rivoluzione, per quanto aspre e dure siano, debbono sempre mantenere un fondo di gioia e di allegria, perché una società migliore deve essere una società felice, e deve cercare di esserlo già adesso “anche qui in questo mondo”. E dunque lottare e manifestare e intanto vivere: bere con rispetto, fumare con rispetto, scopare (che è la cosa più bella del mondo) con rispetto non solo dell’altro ma a cominciare da se stessi e, soprattutto, ridere in faccia alle mummie dei benpensanti. L’allegria e l’ironia sono una delle più grandi armi di lotta al potere: occorre “denudare il re”. 60 anni fa, alla fine della guerra, il futuro “re di maggio” si presentò a ispezionare alcune compagnie della divisione Cremona dell’Esercito di Liberazione, formate in prevalenza da spellani e folignati volontari. Al momento della consegna delle decorazioni, dalle compagnie schierate si levò un corale pernacchio; re e generali fecero dietro front e se ne andarono con le loro cianfrusaglie di ferro dorato. Anche su quel pernacchio è nata la Repubblica Italiana.

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FOLIGNO

Leggi e diritti

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Via il crocefisso dalle scuole pubbliche Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 3 novembre 2009 E’ sul diritto fondamentale all’istruzione che si innesta il diritto dei genitori al rispetto delle loro convinzioni religiose e filosofiche. A causa del potere dello Stato moderno, è soprattutto con l’insegnamento pubblico che deve realizzarsi quest’obiettivo. Il rispetto per le convinzioni dei genitori deve essere possibile nel quadro di un’educazione capace di garantire un ambiente scolastico aperto e che favorisca l’inclusione piuttosto che l’esclusione, a prescindere dall’origine sociale degli allievi, dalle loro credenze religiose o dalla origine etnica. La scuola non dovrebbe essere il teatro di attività missionarie o di predicazione; dovrebbe essere un luogo di incontro di diverse religioni e convinzioni filosofiche, dove gli allievi possono acquisire conoscenze sui loro pensieri e sulle loro rispettive tradizioni. Lo Stato, assolvendo le funzioni da lui assunte in materia di educazione e di insegnamento, vigila affinché le informazioni o le conoscenze che compaiono nei programmi siano diffuse in modo oggettivo, critico e pluralistico. Vieta di perseguire un obiettivo di indottrinamento,

che possa essere considerato non rispettoso delle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori. Questo è il limite da non superare. Il rispetto per le convinzioni religiose dei genitori e le credenze dei bambini implica il diritto di credere in una religione o di non credere in nessuna religione. La libertà di credere e la libertà non di credere (la libertà negativa) sono entrambe protette dall’articolo 9 della Convenzione. Il dovere di neutralità e di imparzialità dello Stato è incompatibile con qualsiasi potere discrezionale da parte sua sulla legittimità delle convinzioni religiose o delle modalità di espressione di queste ultime. Nel contesto dell’insegnamento, la neutralità dovrebbe garantire il pluralismo. Per la Corte, queste considerazioni conducono all’obbligo per lo Stato di astenersi dall’imporre, anche indirettamente, credenze nei luoghi in cui le persone sono dipendenti da lui o anche nei luoghi in cui sono particolarmente vulnerabili. La scolarizzazione dei bambini rappresenta un settore particolarmente sensibile poiché, in questo caso, il potere vinco-

lante dello Stato è imposto a degli animi cui manca ancora (secondo il livello di maturità del bambino) la capacità critica che permette di prendere distanza rispetto al messaggio derivante da una scelta preferenziale espressa dallo Stato in materia religiosa.

La Corte riconosce che, per come viene esposto, è impossibile non notare il crocifisso nelle aule scolastiche. Nel contesto dell’educazione pubblica, esso viene necessariamente percepito come parte integrante dell’ambiente scolastico e può essere

La Corte considera che la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche va al di là dell’uso di simboli in specifici contesti storici. Essa ha peraltro ritenuto che il carattere tradizionale, nel senso sociale e storico, di un testo utilizzato dai parlamentari per prestare giuramento non privava il giuramento della sua natura religiosa.

quindi considerato come “un segno esterno forte”. La presenza del crocifisso può facilmente essere interpretata da allievi di qualsiasi età come un segno religioso ed essi si sentiranno educati in un ambiente scolastico contrassegnato da una data religione. Ciò che può essere incoraggiante per alcuni allievi religiosi, può es-

Il lavoro notturno va tassato sempre al 10% Verificare le buste paga. E’ possibile recuperare le maggiori imposte per gli anni 2008 e 2009 Tratto da un articolo di Enzo De Fusco pubblicato su Il Sole 24 Ore del 18 agosto 2010 La quota di retribuzione riferita al lavoro svolto di notte deve essere sempre tassata con l'imposta sostitutiva del 10 per cento. E ciò indipendentemente dalla frequenza con cui il lavoratore viene impiegato nei turni di notte. I lavoratori potranno beneficiare del regime fiscale agevolato anche con effetto retroattivo, recuperando le maggiori imposte versate nel 2008 e nel 2009, una cifra che può arrivare anche oltre mille euro l'anno. L'agenzia delle Entrate (in condivisione con il ministero del Lavoro) ha ufficializzato la risoluzione 83/E che risponde a un quesito di Confindustria: nella risposta viene chiarito il corretto regime fiscale da applicare alle retribuzioni maturate dai lavoratori durante il turno di notte e le modalità di recupero del beneficio per gli anni passati. Il regime fiscale prevede che sulle somme agevolate venga applicata un'imposta sostitutiva del 10% in luogo dell'ordinaria tassazione ad aliquote progressive. L'individuazione delle somme agevolate ha creato però alcuni dubbi interpretativi. Nella precedente circolare 59/E/2008, infatti, era stato sostenuto che le somme ero-

gate per il lavoro notturno "ordinario" (ossia, quota base più eventuale maggiorazione) si poteva beneficiare del regime fiscale agevolato in ragione delle ore di servizio effettivamente prestate. Non era chiaro però come una somma "ordinaria" potesse soddisfare il presupposto della norma, ovvero che le somme devono essere destinate ad incrementare l'attività produttiva, all'innovazione e all'efficienza organizzativa o ad altri elementi di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'impresa. La risoluzione 83/E conferma questa volontà giungendo implicitamente alla conclusione che il lavoro notturno soddisfa oggettivamente il requisito di legge senza che le imprese debbano precosti-

tuirsi particolari prove a supporto. È, dunque, irrilevante quante volte il lavoratore svolga il lavoro durante la notte essendo sempre agevolata la specifica quota di retribuzione. Si ricorda che il periodo notturno cui fare riferimento è fissato dai contratti collettivi applicati in azienda. La risoluzione precisa che sono agevolati anche gli straordinari forfetizzati: si tratta però solo di quelli corrisposti ai lavoratori indipendentemente dalla effettività di prestazioni lavorative eccedenti l'orario normale. Sono quindi esclusi gli emolumenti corrisposti a titolo di straordinario nel rispetto delle regole previste dal decreto legislativo 66/2003 e dei contratti collettivi. Se qualcosa nel calcolo del datore di lavoro non è andato bene, sono due le modalità di recupero del beneficio da parte dei lavoratori: presentando una dichiarazione dei redditi modello Unico o 730 (integrativa se riguarda gli anni 2008 e 2009) senza l'applicazione di alcuna sanzione; oppure, presentando un'istanza di rimborso (articolo 38 del Dpr 602/1973). In ogni caso, è necessario autonomamente mettere mano alle buste paga e verificare se il beneficio è stato correttamente applicato poiché non è possibile rivolgersi al proprio datore di lavoro.

sere emotivamente perturbante per allievi di altre religioni o per coloro che non professano nessuna religione. Questo rischio è particolarmente presente tra gli allievi che appartengono a minoranze religiose. La libertà negativa non è limitata alla mancanza di servizi religiosi o di insegnamenti religiosi. Essa si estende alle pratiche e ai simboli che esprimono, in particolare o in generale, una credenza, una religione o l'ateismo. Questo diritto negativo merita una particolare protezione se è lo Stato che esprime una credenza e se la persona è messa in una situazione di cui non può liberarsi o soltanto con degli sforzi e un sacrificio sproporzionati. L’esposizione di uno o più simboli religiosi non può essere giustificata né con la richiesta di altri genitori che desiderano un’educazione religiosa conforme alle loro convinzioni, né, come il Governo sostiene, con la necessità di un compromesso necessario con i partiti politici di ispirazione cristiana. Il rispetto delle convinzioni dei genitori in materia di educazione deve tenere conto del rispetto delle convinzioni de-

gli altri genitori. Lo Stato è tenuto alla neutralità confessionale nel contesto dell’educazione pubblica dove la presenza ai corsi è richiesta senza tener conto della religione e deve cercare di inculcare agli allievi un pensiero critico. La Corte non vede come l’esposizione, nelle aule delle scuole pubbliche, di un simbolo che è ragionevole associare al cattolicesimo (la religione maggioritaria in Italia) potrebbe servire al pluralismo educativo che è essenziale per la preservazione di una "società democratica" così come concepita dalla Convenzione. La Corte ritiene che l’esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione nell’esercizio della funzione pubblica relativamente a situazioni specifiche sottoposte al controllo governativo, in particolare nelle aule scolastiche, violi il diritto dei genitori di educare i loro figli secondo le loro convinzioni e il diritto dei bambini scolarizzati di credere o di non credere. La Corte ritiene che questa misura comporti la violazione di questi diritti poiché le restrizioni sono incompatibili con il dovere che spetta allo Stato di rispettare la neutralità nell’esercizio della funzione pubblica, in particolare nel campo dell’istruzione. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1 congiuntamente all’articolo 9 della Convenzione.

Centrale dei Rischi e CRIF ROBERTO FRANCESCHI (con il contributo dello staff economico della redazione) Centrale dei Rischi e Crif (Centrale rischi finanziari) sono istituzioni che hanno il compito di archiviare i dati dei fidi accordati ed utilizzati nel sistema creditizio italiano. Queste banche dati vengono consultate dalle banche e dalle società finanziarie per verificare l’affidabilità e la solvibilità di un soggetto che richiede loro un finanziamento. Apparentemente simili, presentano invece caratteristiche diverse. Vediamole a confronto. La Centrale di Rischi (CR), gestita dalla Banca d’Italia e istituita nel 1962, è disciplinata dalla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) del 29 marzo 1994 ai sensi degli artt. 53, 67 e 107 del Testo Unico Bancario. Dalla CR vengono raccolte informazioni sulle situazioni debitoria dei soggetti affidati verso il sistema creditizio, in particolare le esposizioni che per singola banca sono di importo pari o superiore ad  30.000,00 (importo maggiore a quello considerato credito al consumo) e le “sofferenze” per qualsiasi ammontare (per sofferenze si intendono affidamenti erogati a soggetti che dimostrano uno stato di insolvenza non transitorio e dunque considerati con scarsa possibilità di recupero). Ciascuna banca segnalante invia mensilmente alla Banca d’Italia i dati relativi ai

soggetti affidati, la Banca d’Italia a sua volta determina la posizione globale di ogni affidato (accordato, utilizzato e sconfinamenti per ogni categoria di rischio, numero di enti segnalanti,…) e restituisce tale informazione alle Istituzioni segnalanti con cadenza mensile (il cosiddetto “flusso di ritorno”). Alle banche che vogliono avere informazioni su soggetti non ancora segnalati dalla banca stessa, la CR eroga il servizio di “prima informazione”, tramite il quale, in tempi molto brevi, le banche ricevono la posizione verso il sistema di un soggetto richiedente affidamenti e delle posizioni ad esso collegate. I soggetti affidati possono a loro volta ottenere il dettaglio delle segnalazioni a proprio nome rivolgendosi alle filiali Banca d’Italia. Per le correzioni di eventuali errori nelle segnalazioni, è necessario rivolgersi direttamente all’intermediario. La Crif è una centrale dei rischi privata, gestore di Eurisc, sistema di informazioni creditizie (SIC), dove vengono raccolti i dati relativi alla posizione debitoria di un soggetto e forniti dalle sole banche e società finanziarie aderenti. A differenza della CR, le segnalazioni in Crif possono essere di qualsiasi importo e le informazioni ivi contenute presentano un maggior livel-

lo di dettaglio, ma, essendo Crif una centrale di natura privata, possono essere incomplete. Tuttavia attualmente l’adesione a Crif da parte di banche e finanziarie è molto elevata. Il consumatore deve tener conto del fatto che ogni proprio comportamento finanziario, con tutta probabilità, può implicare una segnalazione in Crif con vari tempi di conservazione per ogni evento fino ad un massimo di 36 mesi: nuove richieste, richieste respinte, rate pagate in ritardo, rate in mora,… E’ necessario considerare che anche un piccolo ritardo di pagamento può bastare per essere classificati come “cattivi pagatori” e fare dunque attenzione per evitare spiacevoli rifiuti alle proprie richieste di finanziamento. Richiedere cancellazioni e/o rettifiche non è sempre semplice. Per richiedere il dettaglio della propria posizione, il soggetto interessato può rivolgersi direttamente a Crif.


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Politica ed Etica

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Crolla Pompei, scade la morale, ma i nostri politici restano inamovibili LUIGI NAPOLITANO

Mi sono trovato recentemente, per ragioni familiari, a passeggiare per il centro di Firenze senza avere una meta precisa. Vi mancavo da oltre venti anni e il tempo aveva senz’altro attenuato, nei miei ricordi, lo splendore che offre anche ad un occhio poco esperto come il mio questa meravigliosa città. Ciò che, tuttavia, ha colpito in maniera particolare la mia attenzione è stata l’indicazione del “Cenacolo di Fuligno”, museo di cui non conoscevo l’esistenza e che sicuramente, in altri tempi, mi sarebbe sfuggito. Un’ovvia curiosità mi ha spinto in via Faenza 42 ed ho così scoperto che il Cenacolo, museo ad ingresso gratuito e, di certo per me non il più famoso di Firenze, era il refettorio monumentale del convento delle terziarie francescane della Beata Angelina da Foligno, oggi utilizzato per iniziative sociali, che conserva, oltre tante opere danneggiate dall’alluvione del

Cenacolo di Fuligno, attribuito a Pietro Vannucci il Perugino, Firenze 1966, un bellissimo affresco del Perugino raffigurante l'Ultima Cena. Quella che per me è stata una casuale scoperta è null’altro che l’ennesima dimostrazione che il nostro paese, come unanimemente riconosciuto nel mondo intero, è uno scrigno unico, stracolmo di bellezze naturali e opere d’arte che lo rendono meta privilegiata del turismo di ogni genere.

Un rapporto di PriceWaterhouse Coopers su arte, turismo culturale e indotto economico commissionato da Confcultura e dalla Commissione Turismo e Cultura di Federturismo ha stabilito che il Pil dell’Economia turistica in Italia nel 2008 si è aggirato intorno ai 163 miliardi di euro, pari al 10,6% del Pil nazionale, circostanza questa che da sola legittimerebbe una

grande attenzione e una maggiore profusione di risorse alla cura del nostro patrimonio naturale, artistico e culturale. E’ per queste ragioni che destano sconcerto notizie come quella del crollo della Domus dei Gladiatori nell'area degli scavi di Pompei, che non è azzardato collocare tra i siti archeologici più famosi del pianeta, che va aggiungersi al crollo, al-

In God we trust (noi confidiamo in Dio) Ovvero: Dio è dalla nostra parte II potere occulto di George W. Bush. Religione, affari, legami segreti dell'uomo che è stato alla guida del mondo Estratto dal libro di Eric Laurent Ai più potrebbe sembrare che i princìpi ispiratori dell'amministrazione statunitense, in politica estera, siano dettati da una serie di interessi geoeconomici, geostrategici e geopolitici tendenti a preservare e perseverare l'incontrastato dominio degli States nel mondo. I più, però, non sono a conoscenza che, oltre alle esigenze delle holding, delle fondazioni e dei centri di potere strutturati all'acquisizione delle risorse necessarie al mantenimento dello stile di vita degli statunitensi (energia, minerali, gas combustibili e... governi), ciò che ha spinto in buona parte l'amministrazione Bush a portare guerre, devastazioni e lutti nel mondo sono i dettami biblici insiti nel più bigotto mondo del puritanesimo protestante, messianico-avventista, che nel Nord America contagia intorno a 18 milioni di persone. A questo si debbono aggiungere le pressioni di lobbies occulte di ispirazione giudeo-plutocratiche. Si tratta di sette radicali di estrema destra, nazionalista, economicista, conservatrici e reazionarie, anti-islamiche e filo-ebraiche, che vedono nello scontro finale, nell'Armageddon, tra il bene ed il male l'ultima battaglia prima dell'avvento del

nuovo messia. «Tu sei come Mosè» ebbe a dire la madre Barbara al figlio George W. Bush, un giorno del 1999 dopo aver assistito alla messa, come a presagire un nuovo cammino all'insegna del messianismo al futuro presidente e agli Stati Uniti. Nel cuore dell'esecutivo di

va a gruppi di studio sulla Bibbia. La presidenza sembrava una vasta sala da preghiera dove, tra una lettura collettiva della Bibbia e l'altra, gli uomini in carica gestivano gli affari dell'America e del mondo. Una analisi che suscita molta preoccupazione, poiché da essa traspare la quintessenza

Bush ha regnato un clima particolare: la moglie del segretario generale alla presidenza, Andrew Card, era ministro del culto metodista; il padre di Condoleezza Rice, capo del Consiglio di sicurezza nazionale, era predicatore in Alabama; Michael Gerson, direttore del gruppo che scrive i discorsi presidenziali, si era laureato allo Wheaton College dell'Illinois, soprannominato l'Harvard evangelica e aderisce alle profezie dell'estrema destra cristiana, che crede a un imminente Armageddon e al ritorno dell'Anticristo, cui seguirà l'avvento del Nuovo Messia. Ogni giorno, il personale della Casa Bianca partecipa-

d'un esecutivo politico-affaristico che tra preghiere di gruppo ed interessi multinazionali, bibbia e petrolio, minaccia continuamente la stabilità e la pace nel mondo. Nel corso di una congresso nazionale dei telepredicatori religiosi svoltosi a Nashville, nel Tennessee, Bush è stato presentato come «il nostro amico e fratello di Dio» ed ha esordito dicendo: «Saluto la fede. Saluto la fede che aiuta a risolvere i problemi più profondi del paese». Il discorso di Bush ad ogni pausa è stato punteggiato dagli astanti con «amen». Il fatto che il presidente degli Stati Uniti sia passato dall'amore per le bottiglie di

Jack Daniel's alla predilizione per la lettura e l'interpretazione della Bibbia ha causato parecchi mali alle popolazioni del mondo. Quando George Bush, da governatore del Texas, divenne il quarantatreesimo presidente degli USA, lo divenne grazie ai giudici conservatori della Corte suprema, alcuni dei quali erano strettamente collegati alle organizzazioni cristiane ultraconservatrici che si erano pronunciate tutte in sostegno della sua elezione. L’alleanza tra la destra al governo e i gruppi fondamentalisti cristiani pose allora le condizioni affinché fanatici (tele)predicatori ed intellettuali vicini ai repubblicani potessero cominciare la scalata al potere, riuscendo in tal modo ad imporre il più intransigente imperialismo politico-economico e finanziario legato a nuove guerre di aggressione. Per gli integralisti cristiani la guerra costituiva uno degli obiettivi centrali. Se il pensiero della guerra rappresenta il nocciolo della politica estera dell'amministrazione USA, in politica interna i repubblicani hanno imposto la più spietata prassi neoliberista, indirizzata al totale smantellamento del sistema sociale di protezione delle categorie più deboli e delle minoranze.

trettanto grave, verificatosi nel mese di marzo nella Domus Aurea, edificio voluto da Nerone dopo l'incendio che nel 64 dopo Cristo distrusse gran parte di Roma. Esse denotano, infatti, un’incuria che viene da lontano e che sarebbe ingiusto ascrivere al solo ministro dei beni culturali in carica che, minimizzando gli eventi, non rende di certo ragione delle sue attività nell’esercizio delle funzioni cui è preposto. Tuttavia l’attuale ministro, che ha bocciato senza remore e senza averli visti film di cineasti italiani da lui bollati come parassiti di stato perchè non di stretta osservanza governativa, si è reso protagonista di iniziative, non proprio ortodosse, quali il premio speciale assegnato al Festival di Venezia per la produzione del film “Goodby mama”, il cui unico pregio pare sia nei servigi resi al capo del governo dalla regista e le consulenze assegnate, con atteggiamenti criticabili quanto meno sul piano etico, all’ex marito della sua attuale compagna ed al di lei figlio. Di minor rilevanza per la non irreversibilità, almeno per ora, ma altrettanto problematico si è rivelato l’insuccesso conseguito dalla gara, andata deserta, che doveva raccogliere le proposte degli sponsor per il restauro del Colosseo, simbolo di Roma, con una

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formula di finanziamento integrale da parte dei privati che il ministro aveva definito come un modello da applicare anche ad altri monumenti del nostro Paese. Pur volendo riconoscere ai nostri politici una strenua appartenenza ai seguaci della cultura sofistica nella parte che nega l’esistenza di una verità assolutamente valida e che ritiene unico metro di valutazione l’individuo, per cui per ciascuno è vera solamente la propria percezione soggettiva, senza arrivare a pretendere da loro ciò che ogni Stato chiede ai suoi cittadini, ossia onestà e rettitudine di comportamento, sembrerebbe quanto meno opportuno che finalmente si attui il principio valido per qualsiasi attività secondo il quale anche le cariche istituzionali diano non solo onori, ma anche responsabilità, concetto in base al quale si determina un obbligo di rispondere delle scelte compiute nell’esercizio delle proprie funzioni. Nonostante il concetto di morale, inteso come l’insieme delle consuetudini sociali legate ad una certa tradizione culturale, negli ultimi anni, grazie ai nostri governanti sia scaduta notevolmente, cosa mai dovrà succedere perchè un politico, riconoscendo le proprie responsabilità faccia un passo indietro?

Religioni negli USA Negli Stati Uniti è presente un forte spirito religioso che si spiega facendo riferimento alla storia e alla costituzione materiale del Paese. Di fatto si osserva che nascono continuamente moltissime confessioni religiose. I valori religiosi sono una parte importantissima della vita degli statunitensi. Il Cristianesimo è presente in tutte le sue grandi derivazioni: in maggioranza protestanti (52,9%), seguiti dai cattolici (25,9%), mormoni (1,4%), Testimoni di Geova (0,7%) e ortodossi (0,3%). Le confessioni protestanti di maggiori tradizioni sono quelle della tradizione calvinista-riformata (presbiteriana, congregazionalista, nonché i battisti) e gli episcopali, questi ultimi ramo americano dell'Anglicanesimo, cui tradizionalmente fanno riferimento le classi alte (è la confessione della famiglia Bush), ma sempre più attirano i giovani per le loro posizioni liberal in campo etico-sociale. Le confessioni più diffuse sono nell'ordine la battista (17,2%), la metodista (7,2%), fede abbracciata dal presidente George W. Bush dopo il matrimonio, la luterana (4,9%), la presbiteriana (2,8%) e la episcopale (1,8%), oltre ad una miriade di Chiese evangeliche, pentecostali, non-denominazionali e minori. La singola chiesa più diffusa è quella cattolica, rafforzata dall'immigrazione ispanica degli ultimi 30 anni. Oltre a una radicata comunità ebraica (1,4%), forte negli Stati costali e in particolare nello Stato di New

York, vi sono anche presenze islamiche (0,6%), buddiste (0,5%), induiste (0,4%), sikh, caodaiste, shintoiste, e bahai, grazie all'enorme varietà di gruppi etnici presenti ogni religione è rappresentata. Negli ultimi decenni si è sviluppato l'evangelicalismo, strettamente collegato al fenomeno delle TV and Web Churches, guidate dei cosiddetti tele-predicatori, tra i quali vanno ricordati Billy Graham, Pat Robertson e Jerry Falwell, animatori della Destra Cristiana, fondamentale per le vittorie elettorali di Ronald Reagan nel 1980 e 1984, nonché per quelle di George W. Bush nel 2000 e 2004, e va ricordato anche il più recente e controverso telepredicatore Benny Hinn (peraltro molto conosciuto e seguito anche in Italia). Parallelamente sono nate e cresciute le cosiddette mega-churches, grandissime chiese evangeliche non-denominazionali. Spesso la religione è dietro a molte questioni e controversie politiche riguardanti il razzismo (il movimento per la desegregazione dei neri era guidato dal pastore battista Martin Luther King), il pacifismo (la stessa guerra in Iraq ha diviso il panorama religioso tra favorevoli e contrari), la pena di morte (sostenuta dalle chiese protestanti di stampo evangelical e fermamente contestata dai cattolici), la bioetica, l'omosessualità, l'insegnamento della teoria dell'evoluzione delle specie e il Neodarwinismo. Fenomeno minoritario ma nondimeno presente è il Neopaganesimo.


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dalla Città e dal Mondo

Pubblico è meglio Sta nascendo un orientamento economicamente sostenibile di segno contrario alle esternalizzazioni Se ne parla a Foligno con Tommaso Fiore GIOIETTA VOLPI

Internalizzare significa portare, o meglio, riportare, all’interno di un’impresa, una funzione o una produzione per la quale si era, in precedenza, scelto di appoggiarsi a terzi. I vantaggi dell’internalizzazione del processo di ideazione, realizzazione e vendita di un prodotto o di un servizio riguardano l’efficienza, con riduzioni significative dei costi, unita a un sensibile incremento della qualità sul medio e sul lungo periodo. Il lungo dibattito tra i fautori del pubblico o del privato nell’ultimo periodo si sta facendo sempre più acceso, basti pensare alle questioni riguardanti la privatizzazione dell’acqua, dell’Università e della scuola. Un altro settore pesantemente coinvolto nella questione riguarda la Sanità e in generale i diversi servizi pubblici che vengono affidati in maniera significativa ad aziende e cooperative private. In collaborazione con il Comitato Regionale Umbro, Sinistra Ecologia e Libertà di Foligno ha organizzato il dibattito “Pubblico è meglio. Tutela il lavoro e costa meno”. Al centro della discussione le proposte per un settore vitale e delicato come quello dei servizi pubblici e le soluzioni per il lavoro precario che ha ac-

compagnato negli ultimi decenni l'affidamento a privati della loro gestione. Nella Regione Puglia, con una legge dell'anno passato, si è avviata un'esperienza di segno contrario: l'internalizzazioni di alcuni servizi sanitari. Questa iniziativa riguarda nella sanità pugliese circa 8000 lavoratori e lavoratrici del 118 che potrebbero essere assorbiti negli organici delle Asl uscendo da una insopportabile condizione di precarietà che rende i lavoratori meno specializzati e più ricattabili. Un esperimento importante, in controtendenza rispetto alle politiche di esternalizzazione che tutte le amministrazioni hanno portato avanti fino ad oggi, che non a caso viene ferocemente contrastato dal governo nazionale, e che è al centro di una grande discussione in tutto il paese. Il 17 Dicembre presso la Sala

Video dell’Auditorium San Domenico si è discusso dei vantaggi che tale inversione di rotta potrebbe portare alle economie del settore pubblico, ma anche alla qualità dei servizi e alla risoluzione del problema della precarietà del lavoro nella nostra città e nella nostra regione. Al dibattito è stato presente l’Assessore regionale alla Sanità della Puglia dott. Tommaso Fiore, che ha spiegato quanto sia importante “uscire dalla convinzione che tutto ciò che è pubblico è male e invece al contrario che tutto ciò che appartiene al mondo del mercato privato è vantaggioso. In Puglia come in tutta Italia, a seguito di alcune leggi del ‘96 che comprimono la spesa per personale sanitario pubblico, le Asl hanno trasferito il personale sotto la voce 'spesa per servizi' ed esterna-

lizzato moltissimi settori: pulizie, mense, manutenzioni, a volte persino i medici. Tutto ciò ha fatto sì che fossero le Asl a pagare il profitto prodotto dalle varie cooperative o soggetti privati, senza per questo che i lavoratori ne traessero alcun beneficio. Per questa ragione, conti alla mano, abbiamo deciso di aprire delle agenzie in house per l'autoproduzione di servizi sanitari. In queste agenzie al 100% pubbliche abbiamo cominciato a trasferire il personale mano a mano che scadevano gli appalti alle cooperative, naturalmente applicando il contratto nazionale della sanità e stabilizzando tutti i precari. Lo scontro con il governo, e in particolare con il suo uomo forte Giulio Tremonti, è stato feroce e continua tuttora. Il pericolo che un'esperienza come questa possa diventare 'contagiosa', possa insomma espandersi in altre regioni, è percepito come un terremoto per le politiche neoliberiste da lui portate avanti. Penso che la sinistra dovrebbe da domani alzare la testa, non lasciare sola la Puglia in questa battaglia, coinvolgere sindacati e lavoratori nell'espansione del metodo delle internalizzazioni." sono inoltre intervenuti Gigi Bori, coordinatore regionale Sel che ha illustrato il documento sulla sanità di Sel Umbria; Wanda Scarpelli, Segretaria Regionale Funzione Pubblica - Cgil (FP-CGIL) che ha parlato delle specifiche problematiche della sanità in U mbria; Paolo Giovenali, Segretario Regionale CGIL MEDICI che ha dichiarato che non è mai riuscito a capire quali siano i vantaggi economici derivanti per le Asl dall'esternalizzazione dei servizi e che quin-

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di condivide il percorso che è stato fatto in Puglia; Paolo Franchi, lavoratore di una cooperativa che ha mostrato la busta paga di un operatore a tempo pieno che nel mese di dicembre, compresa la tredicesima, le ferie non godute e gli straordinari ha ricevuto il salario netto di 1200 euro. Elisabetta Piccolotti, Assessore del Comune di Foligno e membro della segreteria regionale, ha coordinato gli interventi sottolineando come "questa iniziativa che parla di proposte concrete per superare la precarietà del lavoro nei

Confidiamo nel 2011 Casualità o progettualità? All’inizio di un nuovo anno si affaccia alla mente Lepoardi e il suo venditore di almanacchi. Veramente c’è chi crede alla fortuna nell’avviarsi a percorrere la sequela dozzinale che definisce un calendario? Personalmente, non ho voglia di abbandonarmi al caso e pur mettendo in campo quel quid imponderabile da cui non si può prescindere preferisco affidare la mia sorte ad un progetto di cui sentirmi protagonista. E’ per questo che nel 2011 ancora neonato auspico per tutti un futuro di consapevolezza e di responsabile determinazione. E’ ora di voltare pagina verso un domani in cui i valori ritrovano il loro giusto peso, in cui i diritti umani ritornano ad essere sicuri e inviolabili, in cui il merito prende il sopravvento sulla furbizia. Sono certo che in una società meritocratica non ci sarebbe spazio per le ingiustizie e le violenze perché la funzionalità dei ruoli, da quelli strategici a quelli del quotidiano, traccerebbe l’armonia che garantisce pace,concordia e progresso. Il Natale appena trascorso dovrebbe invitare tutti alla riflessione, perché il modello di vita e di impegno proposto dal Cristo Bambino non può suscitare indifferenza. E allora perché non lasciarsi trascinare dalla carica rivoluzionaria che da Lui promana, perché non ritrovare il gusto delle utopie per cui lottare e sognare, perché non sentirsi rinnovati dall’entusiasmo e dalla passione da spendere al servizio della comunità? I beni più preziosi sono quelli che custodiamo nel profondo del nostro io, beni incorruttibili che nessuna crisi economica e sociale potrà distruggere e allora perché non coltivarli per raggiungere la felicità che appaga la nostra ansia esistenziale! Salvatore Macrì

Peron da rifugio ai criminali nazisti (seconda parte) OSVALDO GUALTIERI

(La prima parte dell’articolo sulla vita di Peron è stata pubblicata nel numero di dicembre e sul sito internet) A Febbraio del 1946, grazie a una vittoria elettorale lunga da spiegare, Peròn sale al governo in Argentina presentandosi come rappresentante dei settori “descamisados” (senza giacca). In quel periodo questo paese era ricchissimo grazie alle enormi esportazione di carne e grano verso una Europa affamata dalla guerra. C’è una famosa frase di Peròn del 1949 dove dichiara “che ne facciamo con l’oro che impedisce il passaggio nei corridoi della Banca Centrale?”. Sembrava uno scherzo. Non lo era. Quando nel 1955 è scapato, di quell’oro non era rimasto neanche il ricordo. Tra le prime cose che ha portato avanti è stata la creazione di una centrale sindacale unica, la CGT, e la sindacalizzazione obbligatoria, dando così il via alla creazione di una mafia sindacale corrotta che ancora oggi rappresenta uno dei poteri più forti in Argentina. Il loro potere ha origine nell’enorme fortuna che entra nelle loro casse, proveniente dal contributo obbligatorio da parte di tutti i lavoratori e datori del lavoro del 12 % dei loro stipendi. Una fortuna im-

mensa! Con questi soldi dovrebbero finanziare programmi sociali a beneficio dei lavoratori. Invece, in gran parte se li ruba la cricca sindacale peronista. Sin dall’ inizio del suo governo, oltre la corruzione a tutti i livelli, inizia anche la repressione su tutti i settori oppositori, soprattutto di comunisti e sindacalisti di sinistra e anarchici, che fino a quel momento erano stati i fondatori di tutti i sindacati in Argentina. Tra questi sindacalisti c’era Angelo Molessini, suocero di mio fratello, un italiano che aveva fondato il sindacato nazionale dei lavoratori edili, che, a forza di continue persecuzione delle squadracce del regime, detenzioni e torture, è stato brutalmente rimosso. Molessini successivamente, già anziano ma ancora militante, è stato fatto scomparire nel 1977 durante l’ultima dittatura militare, insieme a 30.000 persone, tra cui 386 italiani e oltre 8.000 figli di italiani. Però questa è un’altra storia. Terrificante! Comunque, il peronismo all’inizio ha fatto alcune riforme a favore dei lavoratori, assieme a una politica industriale che avrebbe dovuto trasformare l’Argentina da un paese con economia prevalentemente agricola in un paese industrializzato. Come curiosità va detto che, precedentemente, Peròn voleva che l’Argentina diventasse anche una potenza nucleare. Aveva contattato uno “scienziato” tedesco fuggito

dalla Germania nazista e gli aveva costruito un misterioso laboratorio su un’isola nel delta del fiume Paranà per produrre la bomba atomica. Di questo laboratorio, dei risultati, dello scienziato e come è andato a finire, per fortuna non è rimasto neanche il ricordo. Il Brasile s’è salvato… Sin dall’ inizio del suo governo

na oltre 30.000 di questi, portandosi con loro enormi fortune, frutto del bottino di guerra, che hanno diviso con Peròn. Tra questi tenebrosi personaggi c’era Joseph Mengele, Erik Priebke, Adolf Eichmannn, Martin Borman e Ivo Heindrich, mano destra dell’ustascia Ante Pavlic. Quasi tutti sono andati a vivere a Bariloche e

Simon Wiesenthal dedicò la vita alla ricerca dei criminali nazisti,molti dei quali, con l’Operazione Odessa, l’aiuto del Vaticano e della CIA, trovarono rifugio nell’Argentina di Peron Peron ha creato un vero e proprio programma per ricevere e dare protezione in Argentina a migliaia di profughi nazisti, fascisti e ustascia, con l’appoggio della CIA, settori della chiesa e della famigerata Organizzazione Odessa. Si dice che, tra la fine della seconda guerra e 1951, sono arrivati in Argenti-

nella “sierra de Còrdoba”, formando vere e proprie comunità autonome protette. Eva Duarte di Peròn, con le sue ambizioni, il suo carisma e virtù teatrale, ha giocato un ruolo fondamentale nella propaganda per portare avanti le politiche demagogiche nazional/populista, sostegno ideolo-

servizi pubblici locali è un momento importante, tanto più ora che il teatrino degli accordi politicisti in parlamento dopo il voto di fiducia a Silvio Berlusconi ci consegna l'immagine di partiti che non discutono più nel merito dei problemi delle persone, ma soltanto di come conservare il proprio potere. Noi a tutto ciò vogliamo essere una coraggiosa alternativa, un'inversione di rotta, pensiamo che esperienze positive come queste pugliesi vadano esportate in tutta Italia".

gico del peronismo. Ha creato la famosa “Fundaciòn Evita” che, oltre che dallo Stato, riceveva il contributo obbligatorio di 2 giorni annui di stipendi di tutti i lavoratori argentini. Con questi soldi, una parte se li rubava e con l’altra andava in giro distribuendo personalmente degli umili palloncini di gomma e miseri giocatoli per i bimbi e un panettone per famiglia a fine anno a gente che, fino a quel momento, nessuno gli aveva dato niente. Lei gli dava, con i soldi dello stesso popolo, dei miserevoli regalini riempiti di demagogia e con questo è passata alla storia come la “defensora de los pobres”.. Aneddoto: durante il peronismo nelle scuole si utilizzava, come unico libro di lettura in tutte e 6 le classi della elementare, un mattone chiamato “La razòn de mi vida”, scritto da un meno che mediocre scrittore spagnolo falangista e che facevano credere che era stato scritto da Evita. Il contenuto era una pappona demagogica fascistoide e di auto esaltazione di Evita a livelli incredibili!. Peròn vinse nuovamente le elezioni del 1951, questa volta grazie anche alla proibizione dei partiti di sinistra e la repressione di tutti quelli che non aderivano al peronismo, compreso la chiusura di giornali, proibizione a partecipare a qualsiasi riunione non peronista, l’uso largamente collaudato mondialmente delle squadracce di regi-

me, ecc. Ossia, Peròn aveva semplicemente impiantato un regime dittatoriale di taglio fascista. Il 26 luglio di 1952 muore Evita, la “difensora dei descamisados”, lasciando un guardaroba con più di 2.000 vestiti di grandi firma e una enorme fortuna in gioielli… Con questa disgrazia, Peròn perde un pezzo importante del suo potere propagandistico. Da lì in poi, accompagnato dalla fine dell’epoca d’oro e mannaia, il fallimento di tutte le politiche economiche e industriali, rottura con la chiesa e la crescente delusione popolare, il regime da lui creato inizia il suo inarrestabile declino. Stranamente, in questo contesto, a novembre del 1953, gli viene conferito l’Ordine “Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Il motivo?: non lo so. Probabilmente grazie a Licio Gelli e alla P2 alla quale Peròn apparteneva, hanno fatto in Italia un bel lavoro di lobby. Il 19 settembre del 1955, un colpo di stato lo destituisce quando il suo regime era già in crisi e il paese in forte declino economico. Lui va via tranquillamente su una motovedetta paraguayana che era stata mandato per prenderlo dal suo amico Alfredo Stroessner, sanguinario dittatore nazista del Paraguay.. Peròn, che nel 1947 aveva dichiarato come patrimonio personale solo una modesta casetta nel Municipio di Martinez e una macchina Packard, nel frattempo era diventato uno degli uomini più ricchi del mondo. Alla faccia dei “descamisados”!


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dalla Città

Al via i lavori del “Campus”

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Impianti fotovoltaici nelle scuole di Foligno

Nel progetto anche la continuità del parco fluviale Tutela ambiente e risparmio energetico LORENZO BATTISTI

Comunemente chiamata area dell’Ex Zuccherificio, in realtà classificato come “Ambito di Trasformazione” denominato “Il Campus”. É sì, perché quando l’amministrazione comunale approvò il piano regolatore per il recupero dell’area, a fronte di un centro storico derelitto, con palazzi antichi fatiscenti, si immaginò anche uno spazio da destinare alla formazione, con la realizzazione di un complesso immobiliare che assomigliasse ai campus universitari anglosassoni, con edifici a destinazione commerciale e residenziale. Successivamente, con delibera comunale n.35 del 2005, è stato approvato il Piano attuativo cui è subordinata ogni iniziativa edificatoria. Il piano attuativo è lo strumento urbanistico di dettaglio atto, di norma, a disciplinare parti del territorio comunale nelle quali si debba procedere alla realizzazione di interventi disposti dal piano regolatore e per le quali quest’ultimo non assuma contenuti attuativi. Come è noto, la maggior parte dell’area in discorso è di proprietà Coop Centro Italia, che ha stabilito, in accordo con il Comune, gli adempi-

menti necessari prima di poter addivenire alla presentazione e seguente realizzazione di qualsiasi intervento edificatorio. La proprietà, infatti, si è impegnata a realizzare tutte le opere di urbanizzazione previste nel piano attuativo, come fogne, strade, parcheggi etc.; tali interventi, poi, dovranno essere iniziati prima che sia rilasciato il permesso a costruire degli edifici. Ciò trova una sua logica nel fatto che sarebbe inutile realizzare gli immobili se poi non sussistono le condizioni per consentirne l’allacciamento alle infrastrutture a rete. La proprietà di dette opere di urbanizzazione realizzate dal soggetto attuatore resta pertanto attribuita automaticamente in forma gratuita al Comune, essendo queste realizzate direttamente su aree già destinate a divenire di proprietà di quest’ultimo. Vi sono, infine, alcune opere di urbanizzazione c.d. secondaria, poste anch’esse a carico della proprietà, che consistono nel recupero della ciminiera, nella continuità del parco fluviale già realizzato, nella eventuale ristrutturazione della pa-

CRISTIANO DELLA VEDOVA

lazzina liberty. Oggi, finalmente, si è dato inizio agli interventi programmati e convenzionati. Coop Centro Italia, infatti, ha appaltato le opere di demolizione che interverranno su tutta l’area dell’Ex Zuccherificio, che andranno ad abbattere gran parte degli edifici. Seguiranno la realizzazione delle opere di urbanizzazione e, infine, verrà presentato e discusso con la città il progetto definitivo dell’intervento. Dopo quasi trenta anni dalla chiusura dell’impianto industriale qualcosa si muove.

Una grande iniezione di fiducia mi da la mitica Wikipedia: “Sono da considerarsi energie rinnovabili quelle forme di energia generate da fonti che, per loro caratteristica intrinseca, si rigenerano o non sono "esauribili" nella scala dei tempi "umani" e il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future”. Sono dunque generalmente considerate "fonti di energia rinnovabile" il sole, il vento, il mare, il calore della Terra, ovvero quelle fonti il cui utilizzo attuale non ne pregiudica la disponibilità nel futuro, mentre sono "non rinnovabili", sia per avere lunghi periodi di formazione di molto superiori a quelli di consumo attuale, sia per essere presenti in riserve non inesauribili, fonti energetiche quali petrolio, carbone, gas naturale. Che bellezza! Anche questa è rivoluzione! Lo sfruttamento dell’energia solare per la produzione di energia elettrica si realizza con la creazione di impianti c.d. fotovoltaici, che sfruttano, appunto, l’effetto fotovoltaico. Mi piace definirla “verde” questa energia prodotta da una fonte rinnovabile come il sole. Un’energia verde che migliora e allunga la vita del nostro pianeta … e ovviamente anche la nostra e dei

nostri figli. Dopo l’inaugurazione nel Febbraio scorso di due impianti fotovoltaici, collocati nella zona della Paciana, in Via Vasari e a Largo Neri, a servizio della zona industriale, l’area lavori pubblici del Comune di Foligno ha presentato nei giorni scorsi la situazione degli impianti fotovoltaici nelle scuole. Al momento è già in funzione, dal 2007, un impianto fotovoltaico nella nuova scuola materna di Borroni, mentre è in

corso di realizzazione l’impianto nella scuola elementare di Via Mameli, che verrà messo in esercizio dai primi mesi del 2011. Il Comune di Foligno, sollecitato dai suoi attenti cittadini, sta percorrendo la strada del beneficio ambientale e del risparmio energetico. Sono in corso di progettazione, inoltre, gli interventi per altri due impianti nel complesso scolastico di Sterpete e nella scuola dell’infanzia “Garibaldi” in Via dei Mille. Inoltre, sulla base di uno studio di fattibilità per l’installazione di impianti fo-

tovoltaici nelle scuole, è emersa la possibilità di eseguirli, attraverso affidamento in concessione a privati per la progettazione esecutiva, la realizzazione e gestione degli impianti, nei seguenti edifici scolastici: scuola media “Gentile da Foligno”, scuola media di Sant’Eraclio, scuola media di Belfiore, scuola elementare di Via Monte Cervino, scuola elementare di Via Fiume Trebbia. Certo, siamo ancora ben lontani dal raggiungere l’autosufficienza energetica degli edifici pubblici. Da uno studio effettuato in collaborazione con il Laboratorio di Scienze Sperimentali di Foligno e Università degli Studi di Perugia è stato rilevato che, qualora si riuscisse nell’intento, notevole sarà negli anni il risparmio energetico per ogni edificio scolastico, mente l’impianto fotovoltaico nella sola scuola di Sterpete consentirà, in 20 anni, un risparmio di 300 tonnellate di anidride carbonica. Sempre con un atteggiamento per così dire “romantico” e sognatore, apprezzo sensibilmente che proprio nel luogo in cui i nostri bambini si formano e creano il loro futuro, si sia iniziata una piccola rivoluzione volta a migliorare anche la loro vita futura, molto scura e problematica per tanti aspetti, ma se non altro “verde” e confortante, in tale settore.

centro storico creando momenti di svago e di aggregazione promovendo la cultura e la formazione, ma dubito fortemente che l’ipotesi realizzativa ricalchi a pieno queste buone intenzioni, temo purtroppo che invece dietro a questi ritardi e rinvii vi sia la consapevolezza delle difficoltà anche da parte dell’amministrazione comunale, rea di aver approvato un PRG che prevedesse eccessive cubature come ammesso dalla stessa attuale proprietà, di far accettare all’opinione pubblica un’opera così imponente a ridosso delle mura cittadine con infrastrutture e reti viarie da ricalcolare in base alle nuo-

ve esigenze. Nella speranza che perlomeno i lavori di demolizione non vengano fermati, ci uniamo all’accorato appello di coloro che vivono nelle vicinanze dell’ex zuccherificio e che chiedono la bonifica e la valorizzazione del sito industriale dismesso; chiediamo inoltre alla Coop ed all’amministrazione comunale di presentare finalmente progetti architettonici concreti per poter così avviare un processo di discussione e partecipazione attiva che renda i cittadini consapevoli del futuro della propria città, basta con discussioni sterili ed inutili tatticismi è ora di venire allo scoperto!

Iniziano i lavori all’ex Zuccherificio Al via la demolizione dei fabbricati per procedere alle opere di urbanizzazione, ma ancora non è stato presentato il progetto architettonico ANDREA TOFI xxSono passati circa 30 anni dalla cessione dell’attività produttiva dell’ex zuccherificio edificato agli inizi del 1900 dalla società Italo-Belga degli Zuccheri ma la zona versa ancora in un grande stato di degrado ed il cui destino risulta ancora sconosciuto. Di certo si sa che la proprietà attuale cioè COOP centro Italia che ha acquistato ufficialmente l’area dalla società “Foligno 2000” nel 2004, sembra intenzionata a realizzare ciò che è stato previsto dal piano regolatore approvato nel ’97, cioè 13000 mq di superficie commerciale, 8400 mq per attività direzionali, 4200 mq per attività di formazione e 16300 mq di superficie abitative. Ad onor del vero la cooperativa al momento dell’ufficializzazione d’acquisto si dimostrò favorevole a ridurre le volumetrie ecces-

sive previste dal PRG, ma allo stato attuale non essendo stato presentato ancora alcun progetto architettonico non possiamo che parlare di “aria fritta”. In questi anni si è parlato molto del futuro dell’ex zuccherificio, dell’impatto che avrebbe avuto con la città, con l’economia del centro storico già fortemente provato dall’esodo di massa verso la periferia, della viabilità locale e dei problemi legati alla vicinanza del fiume Topino per il quale era stato ipotizzato addirittura la demolizione dei ponti limitrofi alla zona tra i quali quello di porta Firenze che non garantirebbero standard di sicurezza (ipotesi poi fortunatamente tramontata per il grave rischio idrico che avrebbe subito il fiume con interventi così invasivi che avrebbero inesorabilmente modificato il letto su cui scorre). La Coop sembra intenzionata a voler procedere con le

opere di urbanizzazione per la cui realizzazione occorrono circa 18 mesi, visto che oramai sembra che siano iniziati i lavori per la demolizione autorizzata nei mesi scorsi. Quello che mi domando è come si possa procedere alle opere di urbanizzazione se non si ha un progetto realizzativo sul quale creare le basi? Forse il progetto architettonico allora esiste, ma non lo si vuole presentare per evitare il confronto con la cittadinanza tanto acclamato dai nostri politici ed amministratori? Da una parte c’è l’amministrazione pubblica che accusa la proprietà di non aver ancora presentato un progetto, dall’altra parte c’è la Coop che imputa alla lungaggine burocratica ed alla dialettica politica il ritardo nell’esecuzione dei lavori, di sicuro ci sono i cittadini di Foligno ma soprattutto quelli delle zone limitrofe come Prato Smeraldo che vivono la situazione con

maggior disagio, in quanto nell’attesa della bonifica dell’ex zuccherificio, negli ultimi anni non sono stati fatti intereventi per migliorare la vivibilità e la fruibilità del quartiere che è cresciuto anche considerevolmente. I cittadini della zona lamentano infatti l’assenza di una farmacia, di un ufficio postale, di un supermercato in grado di soddisfare le esigenze del territorio, di collegamenti con il servizio navetta utile sicuramente per gli anziani e per coloro che non sono automuniti. Su di un punto sono d’accordo con la Coop, cioè quello in cui si afferma la necessità di ridare forza e slancio al


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La letteratura proletaria Nel 1925 il Partito Comunista Russo (Bolscevico), non ancora Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), sotto la guida di Lev Trotsky dettò le linee per la creazione della nuova letteratura per le masse, lanciando anche nel campo dell’arte e delle scienze una vera “rivoluzione culturale”. Nel campo letterario la risoluzione del PCR (b) anticipò di quaranta anni l’analoga “rivoluzione culturale” che il Presidente Mao lancerà in Cina con la storica parola d’ordine: “che cento fiori sboccino, che cento scuole di pensiero competano” LEV TROTZKY

L’elevamento del benessere materiale delle masse, che si è avuto negli ultimi tempi grazie al rivolgimento spirituale prodotto dalla rivoluzione, al rafforzamento dell’attività di massa, al gigantesco ampliamento dell’orizzonte, determina una crescita enorme dei bisogni culturali. Siamo entrati quindi nella fase della rivoluzione culturale, premessa del movimento ulteriore verso la società comunista. Parte di questa crescita culturale di massa è la crescita della nuova letteratura proletaria e contadina. Nella società di classe non c’è e non ci può essere un’arte neutrale, anche se la natura di classe dell’arte in generale e della letteratura in particolare si esprime in forme infinitamente più varie che non, ad esempio, nella politica. Il proletariato, mentre conserva, rafforza e amplia sempre più la propria direzione, deve occupare una posizione corrispondente anche in tutta una serie di nuovi settori del fronte ideologico. Il processo di penetrazione del materialismo dialettico in sfere del tutto nuove (nella biologia, nella psicologia e nelle scienze naturali in genere) è già cominciato. La conquista delle posizioni nel campo della letteratura prima o poi deve diventare, nello stesso modo, un fatto. Bisogna ricordare, tuttavia, che questo compito è infinitamente più complesso di tutti gli altri compiti risolti dal proletariato, poiché già nell’ambito della società capitalista la classe operaia può prepararsi alla rivoluzione vittoriosa, costruirsi quadri militanti e dirigenti e formarsi la splendida arma ideologica della lotta politica. Ma esso non poteva elaborare né problemi scientifici né tecnici, così come, in quanto classe culturalmente oppressa, non poteva formare una propria letteratura, una pro-

pria forma artistica, un proprio stile. Se il proletariato ha già in mano criteri infallibili di valutazione del contenuto politico-sociale di qualsiasi opera letteraria, esso non ha ancora risposte altrettanto precise a tutti i problemi della forma artistica. Nei riguardi degli scrittori proletari il partito deve occupare questa posizione: pur aiutandone in ogni modo la crescita e facendo tutto il possibile per sostenere loro e le loro organizzazioni, il partito deve prevenire in ogni modo il manifestarsi della boria comunista tra le loro file, in quanto è il fenomeno più rovinoso. Proprio perché vede in essi i futuri dirigenti ideali della letteratura sovietica, il partito deve in ogni modo lottare contro ogni atteggiamento avventato e sprezzante verso il retaggio culturale del passato, nonché verso gli specialisti della parola poetica. Il partito deve anche lottare contro i tentativi di creare una letteratura “proletaria” puramente di serra; una vasta visione dei fenomeni in tutta la loro complessità, essere la letteratura non di un reparto, ma della grande classe che lotta e guida milioni di cittadini; questi devono essere gli orizzonti del contenuto della letteratura proletaria. La critica marxista deve porsi questa parola d’ordine: studiare, e deve respingere ogni produzione di scarto e ogni arbitraria elucubrazione del proprio ambiente. Il partito deve quindi pronunciarsi a favore della libera competizione dei vari gruppi e delle varie correnti in questo campo. Ogni altra soluzione sarebbe una pseudosoluzione burocratica. Allo stesso modo è inammissibile il monopolio legalizzato con un decreto o una risoluzione di partito dell’attività editoriale da parte di un gruppo o di una organizzazione letteraria. Il partito deve sradicare in ogni modo i tentativi di intervento amministrativo arbitrario e incomprensibile nell’attività letteraria. Il partito deve sottolineare la necessità di creare una letteratura destinata a un lettore veramente di massa, operaio e contadino; bisogna porre fine con maggiore coraggio e decisione ai pregiudizi letterari signoreschi e, servendosi di tutti i risultati tecnici della vecchia arte, elaborare una oforma adeguata, comprensibile alle vaste masse.

Cultura/e

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Il peccato originale di Dio IOLANDA TARZIA “In primo luogo, persino l’intelligenza più rudimentale non avrebbe alcuna difficoltà a comprendere che essere informato sarà sempre preferibile a ignorare, soprattutto in materie tanto delicate come lo sono queste del bene e del male, nel quale chiunque si mette a rischio, senza saperlo di una condanna eterna a un inferno che allora era ancora da inventare” (Josè Saramago Caino; Ed. Feltrinelli). La conoscenza come strumento per non sbagliare o, comunque, per sbagliare consapevolmente comprendendo le conseguenze che dall’errore commesso deriveranno. E’ questo il primo appunto che Saramago fa a Dio a proposito del “nefando crimine di aver mangiato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male”: non aver reso edotti Adamo ed Eva che un semplice atto, quale quello di mangiare una mela, avrebbe macchiato per sempre la loro discendenza di un peccato indelebile. E sono l’incomprensione e i fraintendimenti fra Dio e gli uomini che, secondo Saramago, caratterizzano la storia di questi ultimi. Nelle pagine di “Caino” troviamo un’immagine di un Dio molto diversa da quella che il catechismo, le liturgie e anche la cultura, domestica e non, ci hanno trasmesso. Ma questa immagine è poi

così diversa da quella che ritroviamo nella lettura de La Bibbia? Nel Libro della Genesi 3,14 - Castigo e Promessa – invero non incontriamo certamente il più comprensivo dei Padri. Certo, stiamo parlando di una mera lettura del libro, non già di una lettura guidata o dell’interpretazione delle Sacre Scritture. E non è certo questa la sede per

conosce, non si può conoscere, si è ingannati, si fraintende, se nella cultura popolare spesso è considerato come un bene – “Occhio non vede, cuore non duole” -, di fatto impedisce la comprensione di ciò che è e potrà essere e, conseguentemente, di trovare ed utilizzare gli strumenti per non sbagliare e/o per prevenire o correggere gli errori. Solo con la conoscenza si

voler e/o poter disquisire su, o men che meno interpretare, La Bibbia. Invero, chi scrive intende prendere spunto da quello che afferma Saramago in merito all’ignoranza come uno dei fattori che portano gli uomini a commettere errori – sin dal primo e più grave errore mai commesso – per esprimere qualche personale considerazione sulla non conoscenza e, conseguentemente, sull’incomprensione e i fraintendimenti nei rapporti interpersonali. Il non sapere, perché non si

può comprendere; anche se non sempre la conoscenza comporta la comprensione né, tantomeno, la comprensione evita i fraintendimenti e gli errori. Sovente nell’interagire con gli altri non abbiamo una reale conoscenza dell’essere cui ci relazioniamo che ci consenta di comprendere le ragioni di certe affermazioni o di certi comportamenti ed atteggiamenti. Tendiamo a considerarli e valutarli secondo quelli che sono i nostri parametri di riferimento e di ragionamento, le nostre esperienze, le nostre

convinzioni, le nostre esigenze e i nostri desideri, non conoscendo quelli che sono i percorsi mentali ed emotivi che, invece, portano l’altro a fare quelle affermazioni o tenere quei comportamenti ed atteggiamenti. Eppure, sono tante le volte in cui erriamo nel valutare e recepire ciò che l’altro voleva fare o dire. Di qui i fraintendimenti e le incomprensioni che possono rovinare i rapporti umani ed allontanare gli uni dagli altri. Ciò non vuol dire che la conoscenza dell’altro ci eviterebbe di commettere i medesimi errori o di comprendere ciò che ci viene dagli altri. Non è dato a noi sapere, infatti, se avendo Adamo ed Eva conosciute le conseguenze del loro gesto, non avrebbero agito nello stesso identico modo. Tuttavia, la conoscenza di ciò che non siamo, unitamente al desiderio di sapere e capire le ragioni che sottostanno a certe affermazioni, comportamenti o atteggiamenti, forse potrebbero evitare tanti fraintendimenti. Un proposito buono per il nuovo anno che ognuno di noi dovrebbe fare è quello di impegnarsi a stare più attento a ciò che gli altri dicono e fanno, ascoltare ed osservare, non solo con i propri occhi e i propri orecchi, ma cercando di capire come gli altri vedono e sentono, e di chiedere, quando non si comprende, le ragioni che sottostanno a quei comportamenti e atteggiamenti che a noi appaiono errati. Magari, così, riusciremo ad evitare che i fraintendimenti rovinino rapporti preziosi.

Un patrimonio di umanità e di cultura Ai giovani: “fate in modo che non si spenga il lumicino della cultura” NATALINO SAPEGNO

Renato Guttuso, ritratto di Natalino Sapegno - 1978 Ogni vita, anche la più umile, ha i suoi momenti salienti, che sembrano condensarne tutto il significato. Nella mia vita mi pare di poter indicare due momenti siffatti, legati fra di loro da una singolare corrispondenza e affinità di circostanze, di atteggiamenti, di esiti: gli anni del primo dopoguerra, fra il ’18 e il ’24, che sono anche quelli della prima formazione giovanile, e gli altri a cavallo della seconda guerra mondiale, fra il ’38 e il ’50, che corrispondono alla piena maturità della vita e delle opere: la appassionata partecipazione al movimento culturale torinese della «Rivoluzione liberale» e del «Baret-

ti», e poi l’incontro di me non più giovane con i giovani antifascisti della Facoltà di Lettere romana, che sarebbero stati al centro della resistenza e della lotta politica successiva alla liberazione. Due momenti a cui si legano le più forti amicizie, da Gobetti a Levi, da Fubini ad Alberti, da Antonicelli a Debenedetti, e più tardi da Alicata a Salinari […], e anche le punte più intense, forse le più fruttuose, del mio lavoro. Due momenti di fervida, animosa speranza, cui doveva presto seguire una fase di frustrazione, di sconfitta, di pigra disperazione. Quel che conta è, in entrambi, il concorrere della passione politica e della passione culturale, anzi il loro coincidere in una sola lotta, nell’estrema difesa, sul terreno politico e in funzione di un rinnovamento totale della condizione umana, di una tradizione culturale sentita in tutta la sua vitalità, benché minacciata dalla ricorrente barbarie. La mia generazione s’è trovata fin dal principio impegnata in questa difficile, ma oscura, battaglia. Non ci siamo mai sentiti importanti, non c’è mai passato per la testa di considerarci maestri, tutt’al più artigiani abbastanza esperti nel loro mestiere; non abbiamo mai creduto di lavorare fur ewig, ma solo di for-

nire prodotti di utilità immediata e limitata nel tempo; subito abbiamo avvertito che l’edificio della cultura, in cui eravamo stati educati e alla quale eravamo indissolubilmente legati, era minacciato, era già incrinato e toccato dai segni di una crisi che andava paurosamente crescendo. A noi è toccato in sorte il compito di difendere, come meglio potevamo, questa cultura, che è poi la sola che esista, è tutta la tradizione culturale, che può sempre essere trasformata e arricchita, ma non mai impunemente gettata via. Abbiamo lottato come sapevamo, probabilmente male e con scarso frutto; e perciò non abbiamo un’eredità da tramandare. Che cosa potremmo dire ai più giovani amici, che sono poi quelli che ci stanno più a cuore? Quel patrimonio di umanità e di cultura, che era stato un gran fuoco, già ai nostri tempi stava diventando una fiaccola dalla luce incerta e esposta alla furia dei venti; oggi è diventato un lumicino che ad ogni momento sembra sul punto di spengersi. Noi che non abbiamo messaggi da lasciare ai nipoti, solo questo potremmo forse dire: fate in modo che questo lumicino non si spenga del tutto. Roma, aprile 1980

Nato ad Aosta il 10 novembre 1901, visse i primi anni a Torino, dove conobbe Carlo Levi e poi Pietro Gobetti ai quali lo legò per tutta la vita un'amicizia indissolubile. Fu a Ferrara, dove approfondì la sua formazione letteraria a partire dagli autori della letteratura italiana dei primi secoli. Nel '30 ebbe la libera docenza che esercitò presso le Università di Bologna e di Padova. E’ di quegli anni la sua maggiore opera sul Trecento della storia della letteratura italiana, che lo impose all'attenzione del mondo accademico. Nel '36 fu chiamato all'Università di Palermo e poi alla Sapienza di Roma. Gli anni fra il '38 e il '50 segnano l'incontro con i giovani antifascisti della facoltà di Lettere romana, tra cui Amendola, Ingrao, Trombadori, Salinari, Muscetta; con i quali condividerà l’antifascismo e la lotta politica successiva alla liberazione iscrivendosi al P.C.I. dal quale uscirà in occasione dei fatti di Ungheria del ’56, mai scostandosi tuttavia dell’ideologia marxista alla quale ha improntato tutta la sua vita e la sua opera in difesa della cultura e della scuola pubblica. Medaglia d'oro per i benemeriti della cultura, è deceduto a Roma l’11 aprile 1990.


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Cultura/e

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Scritto da una donna, sulla donna e per la donna ANNA MARIA PICCIRILLI

Si è trasformata in una sorta di conferenza la presentazione ufficiale del saggio di Clarisse Schiller per le edizioni Mieli “Donna, alla ricerca dell’origine” che si è svolta negli spazi della libreria Carnevali di via Mazzini. Un saggio, come ha tenuto sottolineare l’autrice, scritto da una donna, sulla donna e per la donna. Un libro che in 250 pagine la Schiller si racconta in prima persona, delle sue esperienze personali e professionali e i rapporti relazionali a livello parentale e professionale. “Un libro – ha sottolineato - scritto con il cuore che vuole parlare alla donna cercando di stimolarla nelle sue poten-

Clarisse Schiller e Anna Maria Piccirilli zialità e nella sua interiorità , un saggio che potrebbe essere utile anche a quei maschi che vogliono capire meglio questo meraviglioso mondo femminile spesso così incomprensibi-

REQUIEM PER UN UOMO QUALUNQUE Quattro rintocchi più profondi della notte in cui non ci saranno più stelle da sognare la luna un triste specchio scheggiato viso di donna deformato dal dolore nemmeno astronomi e poeti la riconosceranno. La gente come nebbia di carne si alza verso la chiesa al ritmo funebre di una campana di morte la mia anima entra in punta di piedi nella bolla d’incenso e cemento c’è un silenzio che non vuole lasciarsi ascoltare spesso tossisce bisbiglia ha la voce di una bambina stanca di non capire quello che le accade intorno nella navata centrale davanti all’altare il feretro in noce di un uomo qualunque di un padre di un figlio di un fratello di un marito il rituale vuoto viene celebrato dal sacerdote come un pacco da consegnare a un Dio una gravosa bega burocratica da portare a termine nella routine di un curato senza fede non faccio altro che sudare colpa del corpo che ho portato con me e quando incrocio lo sguardo del Cristo sulla croce sento una febbre salire e una goccia di sudore scivolarmi come una biglia gelida lungo la schiena quel corpo di marmo esanime mi spaventa l’espressione del suo viso ha una serenità inquietante come un sogno magnifico morto nel sonno una felicità sublime al di fuori della Storia ogni persona che incrocia il mio sguardo sembra portare a fatica una bara sul dorso delle palpebre talmente pesante da far sudare gli occhi fino a farli quasi scomparire tutti hanno l’apparenza d’essere parenti stretti del defunto persino io i conoscenti mi salutano come fossi un nuovo orfano vedove che consolano vedove, orfani che consolano orfani ma la tristezza raggiungendo le prime panche diventa atroce sofferenza voglio fuggire non so consolare una vedova né dire qualcosa di sensato al suo unico figlio compagno d’adolescenza un patetico condoglianze esce dalla mia bocca e una stretta di mano dall’ avambraccio come sei cambiato dice lui mi lascia senza parole accenno un sorriso ricomincio a sudare a perdere biglie gelide dalla nuca poi il commiato ossequioso alla vedova le porte si aprono e la bara sfila come in un carnevale gotico verso il carro funebre la luce entra con la prepotenza di un miracolo illumina a giorno l’oscurità dei visi tutto sembra cambiare le facce cambiano espressione l’odore della vita nell’aria sembrano aver già dimenticato che un uomo degno del suo peccato sia improvvisamente morto a soli cinquant’anni tutti tornano alle loro vite all’entusiasmo del pranzo della domenica del nuovo anno scoccato la giostra della quotidianità ricomincia a girare e ognuno si rimette in sella al suo cavallo perdente l’ora della coscienza della mortalità è terminata l’ennesima condanna a dover constatare un’altra perdita e io con loro riflettendo sul come sei cambiato riprendo a scorrere a cambiare impercettibilmente come un’onda nel suo viaggio sino alla riva Carlo Trampetti

le, mi soffermo sulla psicologia femminile della donna e non della patologia ha spiegato nel suo intervento al folto pubblico intervenuto –un libro tutto rivolto al positivo che va alla ricerca della donna autentica, al di là delle memorie socioculturali”. Il saggio nasce dal tentativo di dare risposte a quesiti quali, se sia mai possibile

che le giustificazioni storiche del sesso debole siano sufficienti per spiegare l’assenza della donna da ogni ambito del potere dove si decidono le sorti dell’umanità, o se sia mai possibile che la donna debba lottare più del maschio per raggiungere obiettivi socialmente e professionalmente gratificanti. Come a dire arrivare nella stanza dei bottoni. “Da cosa e da chi dipende – si è chiesta la Schiller – se dalla storia, dalle religioni, dall’educazione o potrebbe dipendere dalla stessa donna? Il potenziale è dentro ognuna di noi, sta a noi poi decidere se utilizzarlo“. Otto i capitoli divisi in due parti che affrontano temi quali la donna e le sue relazioni, amore e via dicendo per concludersi con la donna come ordine di natura e divenire per essere. E come è scritto nella sua home page “meglio vivere da coscienti che subire da ignorante”. Il libro è già alla seconda edizione.

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Imagine

John Lennon - 1971 Immagina non ci sia il Paradiso prova, è facile Nessun inferno sotto i piedi Sopra di noi solo il Cielo Immagina che la gente viva al presente... Immagina non ci siano paesi non è difficile Niente per cui uccidere e morire e nessuna religione Immagina che tutti vivano la loro vita in pace... Puoi dire che sono un sognatore ma non sono il solo Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo diventi uno Immagina un mondo senza possessi mi chiedo se ci riesci senza necessità di avidità o fame La fratellanza tra gli uomini Immagina tutta le gente condividere il mondo intero... Puoi dire che sono un sognatore ma non sono il solo Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo diventi uno John Lennon e Yoko Ono “Unfinished Music n° 1 – Two Virgins”

Il pane degli uomini MARIA SARA MIRTI

“Tanti e tanti chicchi di grano in un sacco, ma scuotili pure e spargili, chicchi restano. Nessuna quantità di russi, di francesi, di inglesi è in grado di costruire un popolo, chicchi nel sacco anche loro, sempre frumento umano ancora non macinato, convertito in farina, ben cotto in pane. La condizione di chicco di grano nel pane corrisponde alla condizione dell’identità individuale in quella combinazione unificante, completamente nuova e non meccanica che si chiama popolo. E possono esserci appunto epoche in cui non si sforna pane ben cotto, e poi granai ricolmi di frumento umano non c’è però macinatura, il mugnaio è stanco, decrepito, e le larghe ali palmate dei mulini impotenti aspettano che si dia loro lavoro. Il forno della storia, mai stato così spazioso e largo, il forno caldo, il forno tutore della casa, si è messo in sciopero. Il frumento umano ovunque rumoreggia e si agita, ma pane non diventa, sebbene a ciò lo forzino, quanti si ritengono suoi padroni, rozzi proprietari, possessori di granai e depositi. […] C’è bisogno d’uno sguardo sobrio: l’Europa di oggi è un enorme granaio di grano umano di autentico frumento d’uomini, e al presente un sacco di questo grano è più monumentale del gotico.” (O. Mandel’stam, Il programma del pane, cur. Lia Tosi, pp. 20 ss, Città aperta, Troina, 2004)

A molti uomini ancora oggi, sulla faccia dell’Europa e del mondo intero, manca tanto il pane, il sostentamento, quanto l’essere pane, cioè l’essere l’uno per l’altro elemento essenziale piuttosto che pericolosa incognita. La metafora religiosa del “Pane delle Vita” è qui evidente, e si potrebbe dire che, per l’Autore, il pane rappresenti la salvezza dalla fame concreta, e la vita la libertà di scrivere e tradurre poemi. A testimo-

gama omogeneo, apparentemente anonimo, di popoli e idee. Tutti noi abbiamo, e ci aspettiamo di avere, un limite, fosse solo un termine ultimo. Viviamo nel terrore di un’ultima parola, di un ultimo respiro, troppo spesso crediamo che il margine estremo della statura dei nostri pensieri arrivi esattamente là dove un piccolo segno, fatto su un muro della casa a segnalare l’altezza massima raggiunta da ragazzi, ci sbarra

nianza della quantità di pane consumato, portatore di un calore materno, rimane una data quantità di uomini, mentre a testimonianza degli uomini passati rimane un numero inversamente proporzionale di poesie. La poesia, in grado di scomporre il cibo nelle sue molte parti simboliche, è l’unica a dare un finale, un senso sacro al pane degli uomini. Ma il pane per essere vivo, per essere investito di una sacralità che altrimenti gli sarebbe estranea, deve perdere i propri confini fisici e i propri limiti culturali; deve cioè saper ritrovare i frammenti più sottili di se stesso pur essendo questi ultimi dispersi in un amal-

idealmente la strada verso l’alto. Non siamo in grado di lievitare, di andare oltre la nostra ragionevole prigione, al cui interno però regna la follia. Gli uomini sono composti di uno strano impasto: la farina, ovunque raccolta, mantiene sempre la stessa consistenza eppure mai lo stesso sapore, ha dappertutto lo stesso peso e la stessa dignità, eppure si cuoce in tempi diversi a seconda, parrebbe, della latitudine in cui è stata raccolta la messe. E tutti abbiamo bisogno di pane, tutti siamo pane, pane che viene dalla fatica e dal dolore, non dal nulla; per questo, come qualcuno ha già detto, ci è lecito chie-

dere soltanto “il nostro pane quotidiano”: pane “sociale”, non personale, e neanche pietanza di cui i potenti che fanno le guerre, che seminano morte e povertà, non sono mai sazi. Mandel’stam considera l’europeismo, l’internazionalità di cui proprio l’europeismo avrebbe dovuto essere il precursore, come l’unica condizione moralmente, culturalmente ed economicamente possibile per sfornare un buon pane, pane capace di sfamare un buon popolo. Non solo c’è bisogno che un chicco smetta di essere tale perché faccia frutto, ma i suoi frutti necessitano di una ulteriore lavorazione sofferta che li porti a far parte dell’impasto del mondo o, ma Mandel’stam forse non sarebbe stato d’accordo, di una singola Nazione, di una singola comunità, di un “tutto” grande o minuto che sia. Si può essere, o meglio si è già, parte di un tutto pur senza capirsi, senza nemmeno vedersi, ma solo percependosi attraverso l’invisibilità dei sentimenti, attraverso, potremmo dire, l’internazionalità del pane delle idee. E poco importa se le parole non basteranno per esprimersi, se il pane prima o poi finirà o se finiranno anche gli uomini: superare almeno di un chicco di grano i nostri limiti, creare nuovi tempi, non vuol dire far irrompere dal nulla un’infinità di chicchi, o di pani, senza identità, anche perché il forno della storia è uno solo, bensì vuol dire saper setacciare e trovare in un numero finito e irripetibile di frumento un’infinità di risorse.


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Forte interesse della iraniana Una storia operaia “Mmd” per il “gruppo Merloni” I padroni violano le regole del

contratto di lavoro Dopo la proposta di acquisto della Tecnogas, i legali della so- Il sindacato è immobile e cietà asiatica confermano la manifestazione d’interesse per passivo gli stabilimenti di Fabriano e Nocera Umbra I sindacati non furono in grachiamo Rondelli Enrico, I lavoratori tra smentite e conferme da parte delle rappre- Mi do di fare chiarezza su ciò e ho 54 anni e vivo a Fossato neppure di fare emergere tasentanze sindacali sperano che la notizia non sia l’ennesima diPerVico. le incongruenza sugli organi guadagnare onestamendi comunicazione che seconte di che vivere facevo il salfarsa per animare le speranze do la mia opinione era la codatore con contratto a tempo A seguito dell’incontro avvenuto il 15 Dicembre presso il Ministero per lo sviluppo economico la società iraniana “Mmd” interessata all’acquisizione del ramo d’azienda cui fanno riferimento gli stabilimenti della Tecnogas di Gualtieri, ha confermato per voce del suo rappresentate legale Zareipour Younes che la Holding ha presentato una proposta formale d’acquisto per l’intero gruppo fabrianese. Queste una sintesi delle dichiarazioni rilasciate alla stampa da Gianluca Ficco, delegato Uilm per il settore elettrodomestici, che ha aggiunto inoltre che se pur non vincolante si tratta comunque di una notizia positiva in quanto è un interessamento pubblico e serio. In attesa che i commissari convochino le parti sociali per fare il punto della situazione sulla drammatica vertenza dell’Antonio Merloni, le manifestazioni di interesse per l’acquisto del gruppo salgono a due, in quanto quella iraniana si somma alla proposta della holding cinese “Machi”. Gianluca Tofi, portavoce del Comitato dei Lavoratori dell’Antonio Merloni dello stabilimento di Gaifana, nutre forti perplessità sulla vicenda: «siamo alla solita notizia data per tranquillizarci ed allo stesso tempo illuderci

che finalmente siamo alla fine del tunnel, ma puntualmente smentita a distanza di pochi giorni, tutto ciò in una situazione di straordinaria drammaticità che stiamo vivendo oramai da 26 mesi cioè da quel terribile 14 Ottobre 2008, in cui è stata dichiarata l’ammissione all’amministrazione straordinaria (unico sistema possibile per evitare il fallimento).

mati da uno spirito positivo che anima la lotta per la conservazione del proprio posto di lavoro ed il futuro per le loro famiglie. Percorrendo gli eventi andando a ritroso infatti le contraddizioni sono evidenti: il 9 dicembre a Fabriano la Fiom-CGIL ha convocato un’assemblea per gli iscritti degli stabilimenti di Fabriano e Nocera Umbra per fare il

I rapporti fra noi lavoratori e i rappresentanti sindacali sono sempre più difficili in quanto con le loro dichiarazioni, fatte e poi smentite, cercano di disorientare l’ambiente mettendo in difficoltà anche coloro che sono ani-

punto della situazione, ed allora era emerso che non vi erano manifestazioni d’interesse e che non si doveva dar adito alle notizie apprese dagli organi di stampa e dai media perchè infondate e non veritiere.

Ad una settimana di distanza nuova assemblea che sovvertiva le dichiarazioni del 9 dicembre, confermando le voci circolate sui giornali di una possibile manifestazione d’interesse per l’acquisizione degli stabillimenti del gruppo iraniano “Mmd”, ma con l’incognita dell’offerta vincolante, prima confermata e poi smentita dai vari rappresentanti sindacali. In questo clima d’incertezza ci resta difficile trovare le forze per continuare a lottare, soprattutto perchè vengono meno le risposte anche politiche alla vertenza, i rappresentanti della regione Umbria non danno risposte ai nostri continui solleciti per la convocazione di un consiglio regionale con la crisi della Merloni all’ordine del giorno. Ci viene negata la possibilita di partecipare ai tavoli regionali come comitato dei lavoratori perchè non conformi alla linea espressa dai sindacati. Non vengono ascoltate le nostre proposte e le nostre necessità, come possiamo apprendere con estrema positività queste notizie? Non siamo pessimisti, ma siamo sicuramente logori per una situazione che sicuramente non è gestita in modo trasparente soprattutto da coloro che ci dovrebbero proteggere e tutelare!»

indeterminato dal 2001 in un'azienda metalmeccanica, la Cml Luman, con sede in Fossato di Vico che per esigenze lavorative mi aveva delocalizzato, insieme ad altri lavoratori, presso il cementificio Colacem di Padule di Gubbio per sopperire a manutenzioni straordinarie e ordinarie. Nel marzo 2009 la Cml Luman di Lupini Valterino e soci aprì procedimento concordatario causa andamento di crisi e situazione debitoria sia nei nostri confronti (operai) che di fornitori. Io insieme agli altri miei colleghi che prestavamo opera presso il sopraindicato cementificio fummo immediatamente riassorbiti da una nuova ragione sociale la Bp metalmeccanica di Berrettoni (genero di Lupini Valterino,) passando ovviamente con mediazione sindacale CGIL e CISL. Fummo riassorbiti chi con contratto a tempo determinato ad 1 anno (io e altri 12 per la precisione) e chi proseguendo con contratto a tempo indeterminato. Dal marzo 2009 giungemmo al 31 marzo 2010 facendo alternativamente cassa integrazione; chi rimaneva al lavoro spesso veniva chiamato a prestare lavoro straordinario e a non rispettare le 11 ore di riposo tra turno e turno, generando frizioni e conflittualità tra noi e tra noi e le aziende interessate, la Colacem e la Bp metalmeccanica.

sa MINIMA. Dal 1 aprile la Colacem a causa dell'andamento delle vendite ha chiesto 4 operai in meno alla Bp metalmeccanica. Io feci presente che vi era anche la possibilità di rimanere tutti al lavoro senza esclusione di alcuno (contratto di solidarietà) ovvero la spartizione del lavoro rimasto, orario complessivo diviso tra gli operai, ma non se ne fece nulla. Dopo un mese cioè a maggio di quest'anno, dopo un mese di cassa integrazione, furono richiamati 9 dei 13 dipendenti con contratto annuale (quindi in scadenza nel marzo 2011), con paga oraria diminuita di 1 euro l'ora e gli altri 4, rimasti fuori dal ciclo produttivo, fummo messi in mobilità. Ma in tutto ciò, secondo me, l'anomalia sta nel fatto che coloro che continuano a lavorare vengano chiamati dall'azienda: 1) a fare del lavoro straordinario e al non rispetto del periodo di riposo, tra un turno e l'altro di 11 ore di riposo, 2) a lavorare il sabato pur sapendo di avere dipendenti in cassa integrazione e dipendenti iscritti nelle liste di mobilità. Questo comportamento dei soggetti interessati lo ritengo non etico e non legale secondo le norme attualmente vigenti e nell'immobilismo totale anche dei sindacati

mania dell’Est. Cosa possono allora portare i nuovi padroni la nostro sistema industriale? Nulla! Però in cambio possono chiedere molto: lavoro a basso costo, senza tutele sindacali e senza conflittualità sociale; un pezzo di America in Europa. Il governo italiano se la spassa in festini con nani e ballerine, l’opposizione annaspa e balbetta tutta concentrata sullo stesso tema di raffinato dibattito politico, la Confindustria annega in una crisi da incapacità imprenditoriale senza precedenti, pur nella certa-

mente non brillante esperienza storica del contoterzismo italiano. Cosa dire? Speriamo nella Russia dello zar Putin, nelle industrie di stato cinesi o nell’aggressività iraniana, tutti e tre molto interessati a quel che resta del sistema produttivo italiano; almeno loro hanno soldi, nuove tecnologie e rispettano le regole del paese di investimento. Newco a Torino come a Pomigliano, new-contratti senza regole e tutele, bere o affogare, altrimenti si va tutti (i soldi ovviamente, non i lavoratori) in

Polonia, in Romania o in Serbia. Ma in fondo perché buttare gli stabilimenti italiani regalati o comunque finanziati dallo Stato, i suoi aiuti e incentivi? Tanto vale provarci, purché i sindacati escano dalle fabbriche, il governo non si intrometta e, per il resto del sistema industriale nazionale, si salvi chi può. Lo abbiamo già scritto nel numero precedente: noi stiamo con la FIOM, speriamo che lo capisca anche il sindacato confederale e qual che resta della sinistra politica italiana. s.r.

La Chrysler scippa la Fiat Il futuro dell’economia italiana ora è nelle mani di un incapace pagato dallo “zio Sam” Racconta Vauro, in una sua recente vignetta, di una casalinga che ascoltando le ultime notizie avverte il marito che un certo sito internet ha scoperto che il presidente del consiglio di un certo paese è un incallito puttaniere; risponde con calma il marito di avvertirlo quando avessero scoperto l’acqua calda, così si poteva buttare la pasta. Scoperto l’ “arcano”: non è stata la Fiat a comprare la Chrysler, ma quest’ultima a comprare quel che resta dell’impero degli Agnelli. Se mai qualcuno ha potuto credere il contrario allora è davvero il tempo di buttare la pasta. Ma c’è di più, non è stata l’industria Chrysler a finanziare (a promettere di finanziare) l’acquisto della Fiat, ma lo stesso governo americano che, prima ha usato l’uomo del maglioncino per finanziare il salvataggio della Chrysler con grandi aiuti di stato occultati e, ora, gli sta fornendo i

mezzi per entrare nel mercato italiano, cioè nell’anello debole del sistema industriale europeo, così da poter esportare i propri prodotti “naturalizzati” CEE. Altro arcano scoperto: è chiaro allora perché da tempo la Fiat non progetta più nuovi modelli, non diciamo competitivi col mercato europeo e asiatico, ma almeno similari per varietà di gamma, e insiste con i vecchi e superati rottami della Panda e simili. La Fiat era in attesa di produrre nei suoi stabilimenti i modelli americani. Produrre? Assemblare! Ora, se per i comunisti la patria è il mondo intero, non c’è problema se i padroni delle fabbriche sono yankees o montagnoli piemontesi; il problema per chi vive di lavoro è che il padrone sappia fare il suo mestiere, nel caso quello di industriale, e questo certamente i piemontesi non erano più in grado di farlo da tempo oramai ri-convertiti al-

la finanza e alle casse dello Stato per le richieste di sussidi per il salvataggio dei loro obsoleti stabilimenti industriali. Il coniglio esce dal cappello: quel che resta dell’industria automobilistica italiana si svende agli yankees perché ne facciano una piattaforma di penetrazione nel mercato europeo. Il punto dunque non è la nazionalità del padrone, ma la sua qualità e il suo progetto industriale; nel caso pessimi ambedue. Gli USA sono da anni in bancarotta economica e produttiva, tutte le loro risorse le hanno destinate al sostentamento e al potenziamento del loro impero militare mondiale. La loro industria automobilistica ha livelli tecnologici che, se paragonati a quelli dell’Europa evoluta (non l’Italia, ovviamente) o dell’estremo oriente, sembrano richiamare i remoti paragoni con la Skoda cecoslovacca o con la Trabant della Ger-


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Lavoro

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Marchionne ha deciso il futuro dei lavoratori e la vita umana Unione Industriale 2 dicembre. Non esiste trattativa. Marchionne ha deciso: non c’è niente su cui trattare, l’accordo è già scritto. O questo o niente. Unione Industriale 3 dicembre. Non si fa l’accordo. Marchionne ha deciso: non bastano le firme dei soliti noti, Fim-Uilm-Fismic, vuole anche quella della Fiom. O si sottomettono tutti o la colpa è dei sindacati conflittuali se la Fiat porta via le produzioni dall’Italia. Questo è il diktat imposto ai lavoratori e lavoratrici della Fiat Mirafiori:

Assunzione in una nuova società in joint venture con Chrysler nella quale i lavoratori non transiteranno per cessione di ramo d’azienda ma attraverso il licenziamento da Fiat Auto e una assunzione ex-novo. Gli operai delle Carrozzerie verranno assorbiti -si dice testualmente- “in via preferenziale” …cosa significhi questa dizione non lo spiegano affatto, ma si sa per esperienza cosa si prospetta: l’intensificazione dello sfruttamento sarà tale per cui per almeno il 30% degli attuali occupati non ci sarà

Indesit raggiunto l’accordo Tutti i lavoratori saranno ricollocati e l’azienda non potrà licenziarli

BREMBATE Dopo sei mesi di lotta si è chiusa la vertenza che riguarda la Indesit e i suoi 510 lavoratori occupati nei due stabilimenti di Brembate e Refrontolo destinati a essere chiusi in seguito all’accorpamento delle produzioni nei siti di Caserta e di Fabriano, ma nessun lavoratore resterà senza lavoro e stipendio. “Si tratta di un accordo molto sofferto – dice Mirco Rota, segretario della Fiom Cgil Lombardia – che consente, in particolare per lo stabilimento bergamasco di Brembate che dà lavoro a 430 persone, di avviare un percorso di reindustrializzazione e ricollocazione di tutti i lavoratori”. L’accordo, spiega Rota, “ha un aspetto di assoluta novità: l’azienda, infatti, si assume l’onere di non licenziare le

lavoratrici e i lavoratori nemmeno quando gli ammortizzatori sociali saranno finiti”. Inoltre, la Indesit si impegna a fare una proposta di lavoro concreta a tutti i dipendenti in vista di una loro ricollocazione. “Questa intesa – conclude il segretario della Fiom Cgil Lombardia - rappresenta, nonostante ci troviamo di fronte alla chiusura di un’azienda, un elemento di assoluta novità per quanto riguarda la provincia di Bergamo perché avvia nel concreto un percorso di ricollocazione e reindustrializzazione. Tutto questo è stato possibile anche grazie all’importante impegno e alla lotta dei lavoratori che da sei mesi sono in presidio permanente fuori dalla fabbrica”. FIOM Lombardia

posto: a tanto infatti in Fiat ammontano i cosiddetti “inidonei”, coloro che si sono usurati e ammalati di lavoro in azienda. Sostituzione del contratto collettivo nazionale con il nuovo contratto aziendale, il che significa: - vengono riscritte ad arbitrio e profitto padronale le voci della paga base, valori tabellari, maggiorazioni, ferie, permessi etc. - i primi ad essere sotto tiro saranno i diritti del lavoro e della sicurezza con i sindacati in funzione non già di difesa, ma di strumento pa-

dronale di controllo sui lavoratori. E così la contrattazione si riduce a una farsa di comodo,e si prevedono tempi durissimi per il rinnovo delle Rsu/Rls. Già il divieto di sciopero al sabato e in tutte le giornate di lavoro straordinario comandate dall’azienda è scritto nell’”accordo”, e questo non è la punta dell’iceberg ma solo l’inizio della perdita dei diritti e dello Statuto dei Lavoratori. Introduzione dei 18 turni con il sabato lavorativo obbligatorio e giorno di riposo infrasettimanale a scorri-

mento. Gli straordinari aumentano di tre volte (da 40 a 120 ore). Riduzione di 10 minuti (da 40 a 30) delle pause sulle linee di montaggio e spostamento della mensa a fine turno. Accantonate - per ora - le proposte di turni addirittura di 10-11 ore. Non sono pagati i primi tre giorni di malattia con istituzione di commissioni di monitoraggio delle assenze per introdurre ulteriori penalizzazioni. E tutto questo per cosa? Quale sarebbe lo sviluppo di Mirafiori? Non ci sarà produzione avvicendata di nuovi modelli a largo mercato, ma i veicoli di gamma alta dell’Alfa Romeo e il nuovo SUV - l’auto più inquinante del mondo che Fiat intende produrre con Chrysler, non per il

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mercato interno ma per l’estero. Cioè Mirafiori dovrebbe essere destinata proprio a quelle produzioni che in America Obama ha dismesso come superate e perdenti. La lotta contro il degrado barbaro del lavoro, della vita stessa dei lavoratori e delle lavoratrici va combattuta fino in fondo. Ma è anche su tutte le categorie che incombe a tempi stretti lo svuotamento del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro e la sostituzione dei diritti universali con contratti individuali. E’ urgente prenderne coscienza: la resistenza deve e può essere generalizzata a tutte le categorie lavorative. Cobas Fiat Mirafiori

I risultati della riforma Siemens Brunetta accordo con i sindacati: “impossibile licenziare i Taglio di 300 mila posti di lavoro dipendenti” Servizi pubblici allo sbando, meno scuola, meno salute e meno Contratto blindato per 130 mila «Via solo con il sì dei delegati» servizi

BERLINO Negli anni 2008 e 2009 il personale della Pubblica Amministrazione si è ridotto di 72 mila dipendenti scendendo a 3,5 milioni di unità. dopo le migliaia di contratti non rinnovati ai precari, dopo la rinuncia da parte del Governo alla stabilizzazione, con lavoratori e lavoratrici che per anni avevano operato nei settori pubblici e sono stati dall'oggi al domani buttati fuori senza alcuna logica, ora arrivano tagli ancora più considerevoli. Nel corso di una delle sue innumerevoli conferenze stampa, il Ministro Brunetta ha fornito ulteriori numeri: "Per effetto delle misure in materia di blocco del turnover, contratti di lavoro flessibile e collocamento a riposo, complessi-

vamente tra il 2008 e il 2013 si può prevedere una riduzione dell'occupazione nel pubblico impiego di oltre 300 mila unità (8,4%)”. E’ necessaria una campagna di informazione dopo anni di menzogne costruite ad arte per dividere i lavoratori del pubblico da quelli del privato, gli esternalizzati dai colleghi dei servizi a gestione diretta. La questione lavoro è sempre più connessa con le riforme istituzionali, non a caso il Governo vuole cancellare gli articoli della Costituzione che parlano di direzione a fini sociali dell’economia e di una equa retribuzione, principi guida prima disattesi e ora da rimuovere in toto Cobas Pubblico Impiego

La Siemens ha firmato oggi un accordo con i sindacati che di fatto garantisce il posto fisso a tutti i dipendenti del gruppo in Germania. La notizia, anticipata dalla stampa, è stata confermata da un portavoce della Siemens e mette al riparo da licenziamenti - almeno per i prossimi tre anni - circa 128mila lavoratori. Si tratta di un accordo storico nei rapporti sindacali del Paese, che premia - secondo alcuni osservatori - i sacrifici fatti negli ultimi anni dai dipendenti del colosso tedesco. L’impegno sottoscritto oggi tra i vertici del gruppo, i comitati dei lavoratori e il potente sindacato dei metalmeccanici IG Metall, infatti, sostituisce un pat-

to biennale firmato nel 2008 e in scadenza a fine settembre, che prevedeva miliardi di euro di risparmi per evitare migliaia di licenziamenti sulla scia della crisi finanziaria. Il punto centrale dell’accordo prevede che la Siemens potrà decidere eventuali esuberi solo con il consenso dei comitati dei lavoratori, una clausola che - di fatto - mette al riparo l’organico da futuri tagli. La Siemens ha un organico di circa 400mila dipendenti in 190 paesi, di cui 128mila in Germania. Saranno questi i posti che verranno garantiti almeno per i prossimi tre anni. L’accordo, infatti, scade nel 2013, ma il portavoce ha lasciato intendere che l’intenzione del gruppo è di prolungarlo a tempo indefinito.


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Servizi e collettività

FOLIGNO GENNAIO 2011

La terra continua a scaldarsi AGCOM: nuovi criteri sul pluralismo nei telegiornali mentre il Sole è in pausa Il calcolo del “tempo notizia”, del “tempo parola” e Dalla XVI conferenza ONU di Cancun segnali positivi verso un nuovo protocollo condiviso del “tempo antenna” SALVATORE ZAITI

LUISITO SDEI

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) con delibera 243/10/CSP del 15 novembre 2010 ha definito i criteri per la vigilanza sul rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei telegiornali diffusi dalle reti televisive nazionali. L’Autorità prende spunto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 155/2002 secondo la quale il diritto all’informazione garantito dall’art. 21 della Costituzione si qualifica e caratterizza sia per il pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti - sia per l’obiettività ed imparzialità dei dati forniti, sia infine per la completezza, correttezza e continuità dell’attività di informazione erogata. In tale contesto - prosegue l’Autorità - i telegiornali, caratterizzati proprio dalla correlazione ai temi dell’attualità e della cronaca, quali programmi informativi, sono suscettibili di autonoma considerazione sotto il profilo del rispetto delle norme in materia di pluralismo. E allora, quale criterio di valutazione occorre applicare? Non certo quello della ripartizione matematicamente paritaria degli spazi attribuiti, così come avviene invece per la cd. comunicazione politica radiotelevisiva, bensì il criterio della parità di trattamento “al fine di as-

Il 10 dicembre scorso si è conclusa a Cancun (Messico) la sedicesima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico globale. Si è trattato di un meeting partito fra grandi speranze e grandissimi timori. La conferenza precedente, quella di Copenhagen, aveva lasciato a Cancun il testimone scomodo della previsione, dopo tante parole, di impegni vincolanti per tutti i paesi del mondo nel senso della riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2020. Fin dall’inizio dei lavori, invece, l’irrigidimento antiserrista di Russia, Giappone e India, le titubanze americane e cinesi, i ricatti dei paesi andini sembravano dover affondare ogni possibile intesa. Così non è stato, per fortuna. Grazie alla tenace opera di mediazione del Presidente della conferenza, la messicana Patricia Espinosa, le parti hanno alla fine sottoscritto (occorre l’unanimità!!) una serie di documenti di grande importanza, tutti visionabili al sito della Conferenza http://unfccc.int/2860.php In sostanza, i governi firmatari del Protocollo di Kyoto hanno riconosciuto il divario tra i loro deboli attuali impegni e quelli necessari per mantenere la temperatura globale sotto i due gradi centigradi, stabilendo che bisognerà tagliare le emissioni di gas serra, rispetto al 1990, nella misura compresa tra il 25 e il 40% entro il 2020, con l’obiettivo di raggiungere il risultato di un accordo vincolante in occasione della Conferenza delle Parti (Cop17) di

sicurare in tali programmi l’equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche ed il corretto svolgimento del confronto politico su cui si fonda il sistema democratico”. Pertanto, l’attività di verifica sul rispetto del pluralismo nei telegiornali che l’Autorità compie attraverso il monitoraggio delle trasmissioni radiotelevisive irradiate in ambito nazionale si avvale di tre parametri. Il “tempo di notizia” che indica il tempo dedicato dal giornalista all’illustrazione di un argomento/evento in relazione ad un soggetto politico/istituzionale; il “tempo di parola” che indica il tempo in cui il soggetto politico/istituzionale parla direttamente in voce; il “tempo di antenna” che indica il tempo complessivamente dedicato al soggetto politico/istituzionale ed è dato dalla somma del tempo di notizia e del tempo di parola. L’Autorità, però, valuta opportuno attribuire peso prevalente al parametro costituito dal “tempo di parola”,

perché ritenuto l’indicatore più sintomatico del grado di pluralismo. Le ragioni di tale scelta non sono note. Certo è che, ad un primo esame, il parametro del “tempo di antenna” può rivelarsi più rappresentativo tenuto conto del fatto che la somma del “tempo di parola” del soggetto politico interessato con il “tempo di notizia” che il giornalista dedica alla illustrazione delle opinioni di quel medesimo soggetto non può essere ininfluente ai fini della conoscibilità delle posizioni politiche espresse e della libera formazione delle opinioni da parte dei cittadini. Di contro, l’AGCOM, misurando con il tempo di parola la visibilità diretta di ciascun soggetto, ossia lo spazio che i singoli personaggi impegnano in video senza la mediazione del giornalista, ha forse voluto contrastare il più noto e generale processo di “personalizzazione” della politica. A questo punto non resta che attendere gli esiti del monitoraggio.

Durban, Sudafrica. Altre importanti intese sono state sottoscritte per la tutela delle foreste tropicali. I Governi hanno stabilito inoltre che verrà istituito un Fondo per il Clima al fine di erogare finanziamenti per 10 miliardi di dollari l'anno, che arriveranno a 100 miliardi l'anno nel 2020, ai paesi in via di sviluppo per il trasferimento di tecnologie pulite e per fermare la deforestazione. Purtroppo, si tratta di accordi la cui attuazione concreta non è più rinviabile. Gli ultimi dati forniti dall’agenzia governativa americana per il clima (la celebre NOAA) ci dicono che il periodo gennaio-ottobre 2010(temperatura globale combinata), è il più caldo di sempre, insieme al 1998 (+0,63 °C sopra la media del 20° secolo pari a 14,1 °C). Anche a livello di superficie terrestre questo periodo è il secondo più caldo di sempre, dopo il 2007. A livello di oceani la temperatura di gennaio-ottobre 2010 è stata, insieme a quella del 2003, la seconda più calda mai registrata, dietro lo stesso periodo dell’anno 1998. E tutto questo proprio nel culmine di un periodo di eccezionale inattività del no-

stro Sole. L’indice Ap, che sostanzialmente misura l'influenza del campo magnetico solare su quello terrestre, ha raggiunto nel 2010 i valori più bassi dal 1840, cioè da quando lo si misura. Ma in generale tutti gli indici che si occupano di studiare l'intensità del campo magnetico solare indicano una sua inesorabile e progressiva diminuzione da almeno 15 anni. Anche le macchie solari stentano a ripartire come ci si attenderebbe se fossimo all'inizio di un ciclo di media o forte intensità. Tutto quindi lascia presagire che stiamo andando incontro ad un ciclo debole, forse molto debole. L’umanità farebbe quindi bene ad approfittare di questo periodo di tregua, per ridurre le emissioni di gas climalteranti. Quando le fornaci della nostra stella si riaccenderanno, l’effetto combinato della sua potenza e della nostra ignavia condurrebbe il nostro clima su un binario senza ritorno. Senza contare il fatto che la green economy si sta dimostrando uno dei pochi settori industriali in grado di innestare un minimo di ripresa nell’attuale nero contesto del ciclo economico mondiale.

cutori. Tutto questo, secondo quanto precisato nelle motivazioni della sentenza in commento dai giudici di legittimità, aveva provocato nella donna uno stato d’animo di profondo disagio e paura, meritevole, quindi, di tutela. Ovviamente l’invio tramite facebook dei filmati e delle foto era stato preceduto da

continui episodi di molestie, concretatisi in telefonate, invii di sms e di messaggi di posta elettronica. Tutto questo anche sul posto di lavoro della vittima, che per vergogna e grave stato di ansia, era costretta a dimettersi. Elisa Bedori

Lo “stalking” alla luce delle prime pronunce della Cassazione Si configura il webstalking: secondo i Giudici di legittimità anche Facebook rientra tra i mezzi attraverso i quali è possibile molestare qualcuno. ELISA BEDORI

Recentemente ha suscitato scalpore, sui giornali di cronaca rosa, la notizia di una show girl vittima di stalking. Dopo la denuncia, il Giudice assegnato al processo ha assolto il giovane persecutore perché ritenuto incapace di intendere e volere. Resta il fatto che, al di là di ogni singolo epsodio, lo stalking è sempre più spesso sulla bocca dei mezzi di informazione. Ma cos’è? To stalk in inglese significa “caccia in appostamento”, “pedinamento furtivo”, “avvicinarsi di

soppiatto”. La norma sugli atti persecutori è stata inserita nel nostro ordinamento con l’art. 7 del d.l. 23.2.2009 n. 11, convertito in legge 23.4.2009, n.38 a tutela della libertà morale della persona ed ha ad oggetto condotte reiterate di minaccia e molestia che determinano nella vittima, alternativamente, un perdurante e grave stato di ansia o paura, un fondato timore per la propria incolumità o per quella della persona comunque affettivamente legata e la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita. Lo stalking si può manifestare in diversi modi: dal pedinare al mandare messaggi o lettere, dal

telefonare all’appostarsi sotto casa della vittima di notte, ma un nuovo atto di stalking è stato individuato dalla giurisprudenza. Con la sentenza n. 32404 del 30.08.2010, infatti, la Cassazione penale, sez. VI, ha sancito che l’invio di messaggi e video hot tramite internet può essere punibile. Questa volta il mirino della magistratura si è incentrato su facebook, ritenendo che possono essere passibili di denuncia per stalking anche le molestie che provengono da dietro un pc, tramite l’utilizzo del famosissimo social network. Nella sentenza in commento i giudici della Suprema

Corte hanno confermato la custodia cautelare per atti persecutori (stalking, appunto) pronunciata in primo grado nei confronti di un uomo che molestava la sua ex compagna. Lo stesso, infatti, aveva iniziato ad inviare alla donna, a seguito della rottura, foto e video compromettenti. Dopo la denuncia, il persecutore finisce agli arresti domiciliari, confermati, poi, dalla Suprema Corte, che nel caso di specie ha ravvisato l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’uomo che, tramite l’utilizzo di facebook, aveva posto in essere comportamenti ritenuti perse-


FOLIGNO GENNAIO 2011

Salute

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L’attività fisica nella prevenzione cardiovascolare GIANCARLO MARTINI

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte; mentre la mortalità per patologia cardiache e cardiovascolari è in diminuzione nel sesso maschile, nelle donne si osserva un costante aumento di incidenza dovuto alla crescita della popolazione femminile in menopausa. Negli uomini elevati valori di colesterolo totale e C-LDL rappresentano il principale fattore di rischio, nelle donne il diabete mellito e gli aumentati valori pressori hanno un’importanza maggiore nel determinare eventi cardiovascolari. I fattori di rischio classici sono oggi affiancati da “nuovi” indicatori correlati con lo sviluppo di eventi cardiova-

scolari: la sedentarietà che colpisce non solo gli adulti, ma anche in aumento tra bambini e adolescenti; la “sindrome metabolica”aumenta circa 2 volte il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari e circa 5 volte quello di nuova insorgenza di diabete mellito L'omocisteina amminoacido presente negli alimenti proteici (latticini, carne, legumi, uova) se presente in eccesso nel circolo sanguigno o la presenza di lipoproteina(a) Lp(a) - lipoproteina ricca di colesterolo che presenta similarità strutturali con le LDL causano danni addirittura superiori rispetto al colesterolo; l’adiposità addominale nelle donne facilita lo sviluppo di diabete e ipertensione arteriosa. Per praticare un’attività sportiva nel migliore dei modi e senza rischi, è necessario conoscere per linee gene-

rali il normale comportamento del nostro organismo durante i diversi tipi di attività fisica; il medico deve sapere fornire indicazioni per la pratica corretta di attività motorio-sportiva tenendo conto della età e dello stato di salute. Per escludere malattie cardiache potenzialmente pericolose, devono essere effettuati accertamenti, quali: Elettrocardiogramma (ECG a riposo ed ECG da sforzo); Ecocardiografia; nel nostro paese, prima di iniziare uno sport è obbligatoria la visita medica. Un programma di attività amatoriale per adulti e anziani in buona salute devono comprendere: attivita’ di tipo aerobico (30-60 minuti progressivi, continui), il potenziamento muscolare (1520 minuti) e la mobilità articolare (10-15 minuti) il tutto praticato almeno in due-tre

Arriva l’inverno! Le armi naturali per prevenire e contrastare le insidie della stagione fredda SIBILLA MEARELLI L’autunno apre le porte all’inverno e le giornate iniziano ad accorciarsi, le temperature si abbassano, si trascorrono più ore in ambienti chiusi, eccessivamente riscaldati, affollati, con i più svariati tassi di umidità, poi, uscendo, si è esposti a grandi escursioni termiche, all’inquinamento, al vento etc., tutti fattori che possono minare l’integrità del nostro apparato respiratorio e dell’organismo in generale, infatti si è maggiormente esposti ad agenti chimici, fisici e biologici e il nostro organismo, a volte più vulnerabile, inesorabilmente manifesterà i primi disturbi di stagione, come la classica congestione nasale, il raffreddore, la rinorrea, il mal di gola, la raucedine, la tosse . Sebbene tali sintomi siano nella maggioranza dei casi autolimitanti, cioè recedano spontaneamente dopo qualche giorno, in alcuni casi possono persistere e addirittura aggravarsi richiedendo il tempestivo consulto medico. Per cercare di prevenire queste sintomatologie fastidiose basta attenersi ad alcune semplici norme come vestirsi a strati, non fumare, arieggiare frequentemente gli ambienti chiusi e mantenervi una temperatura tra i 18° e i 20°C, bere molti liquidi ricchi in vitamina c, se accaldati o sudati non esporsi al freddo e, molto importante, non sottovalutare i primi segnali dei disturbi cercando di riposare e di utilizzare rimedi naturali, per aiutare

l’organismo non solo a tollerarli, ma anche a difendersi evitando che peggiorino, ricordando sempre di riservare i fitoterapici solo per disturbi lievi e passeggeri. Le diverse piante utili in tali disturbi si trovano già formulate in svariate associazioni e già pronte in diverse forme di somministrazione per agevolarne l’impiego. Per fare alcuni esempi, per il

mal di gola estremamente utili sono la Salvia, che come la Piantaggine, ha un’azione antinfiammatoria indiretta, protettiva e reidratante delle mucose orofaringee, la Mirra, un’oleogommoresina antinfiammatoria indiretta, astringente e riepitelizzante, poi la Propoli una sostanza ceroresinosa prodotta dalle api con attività antinfiammatoria, antiossidante, antibatterica, antivirale, antimicotica, lenitiva, cicatrizzante, protettiva e coadiuvante le naturali difese dell’organismo. Nelle congestioni nasali si usano delle instillazioni di gocce oleose a base di Elicriso emollienti, lubrificanti e protettive, utilizzabili anche sul-

la zona perinasale arrossata per lo sfregamento con il fazzoletto, oppure gli spray nasali a base di Mirra, Altea e Aloe, che proteggono il naso dalle irritazioni, regolarizzandone le secrezioni ma senza seccarne la mucosa. Per una tosse passeggera si possono utilizzare Grindelia, antinfiammatoria indiretta, espettorante e spasmolitica utile nelle tossi secche e produttive, ancora l’Elicriso espettorante, spasmolitico e antinfiammatorio e la Piantaggine balsamica e protettiva . Alcune piante come il Sambuco, (associate anche all’Acerola e alla Spirea) si sono rivelate utili ai primi sintomi di malessere stagionale coadiuvando i fisiologici meccanismi dell’organismo. Infine è importante sottolineare che esistono addirittura piante che stimolano la risposta immunitaria (solo l’aspecifica) come l’Echinacea, l’Astragalo e l’Uncaria. Tuttavia va sempre ricordato che i fitoterapici hanno controindicazioni, interazioni ed effetti collaterali anche gravi per i quali è sempre bene consultare il medico o il farmacista. Per concludere l’organismo è un sistema complesso che comprende anche psiche, sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario che si influenzano vicendevolmente. Così il sistema Immunitario essendo costantemente sottoposto a stimoli interni ed esterni va sostenuto con il benessere generale dell’individuo che comprende anche lo stile di vita, la dieta, l’esercizio fisico e la gestione dello stress.

sedute settimanali. Se il soggetto non intende praticare una attività sportiva organizzata è sufficiente che effettui ogni giorno  ora- 1 ora di movimento a media intensità (es. camminare a passo sostenuto) La pratica di attività motorio-sportiva da parte di adulti e anziani sani secondo il modello illustrato è in grado di aumentare la resistenza alla fatica, di rallentare l’invecchiamento e di prevenire o ritardare le malattie della vecchiaia Da tener presente che gli effetti dell’allenamento si os-

servano dopo 2-3 settimane dall’inizio, si riducono dopo 2 settimane di sospensione e addirittura cessano dopo 2 mesi di inattività. Anche una corretta alimentazione determina un netto miglioramento di molti parametri associati ad aumentato rischio cardiovascolare come l’assetto lipidico, l’insulino-resistenza, i livelli di pressione arteriosa, l’eccesso di tessuto adiposo. E’ importante guardare al consumo di alimenti a basso indice glicemico ed alla composizione lipidica, in particolare alla presenza di sin-

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goli e specifici acidi grassi:una dieta ricca in grassi saturi o insaturi aumenta la colesterolemia totale e LDL, quindi il rischio cardiovascolare e in particolare coronarico; effetto opposto hanno invece gli acidi grassi insaturi presenti sia negli oli tipici della nostra cultura – come l’olio extravergine di oliva – sia negli oli di semi come il mais, la soia, il vinacciolo e il girasole. Il consumo di una quantità giornaliera di alcool compresa tra 30-40 grammi per l’uomo (equivalente a 2-3 drink) e 20-30 grammi per la donna (1-2 drink) consente di ridurre di circa un terzo le probabilità di patologia cardiovascolare. I benefici sicuri (EBM) della attività sportiva sono: netta riduzione o declino della forma fisica; riduzione della mortalità e morbilità generale e specifica (infarto cardiaco, Ictus,…ect) e stabilizzazione-miglioramento diabete, ipertensione, vasculopatie periferiche, osteoporosi, umore (ansia-depressione), nonché riduzione peso corporeo.

Le Dislipidemie ... queste sconosciute! LEONARDO MERCURI

La dislipidemia è una condizione clinica caratterizzata da un incremento dei grassi circolanti nel sangue. Numerosi studi hanno dimostrato come la dislipidemia rappresenti un fattore di rischio in cui, chi ne è affetto, è predisposto ad andare incontro alla malattia coronarica (vale a dire all’infarto miocardico). Tra gli altri fattori di rischio ricordiamo l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, il fumo di sigaretta e la sedentarietà. La dislipidemia però, è un fattore di rischio modificabile, vale a dire, è un fattore di rischio controllabile da un lato con la dieta e, dove questa non sia sufficiente, con i cosiddetti farmaci ipocolesterolemizzanti o ipolipemizzanti; infatti combattere i fattori di rischio è l’approccio migliore per ridurre il rischio di ciascun individuo di avere una malattia coronarica. I lipidi o grassi sono una classe di sostanze fondamentali per il nostro organismo, così come lo sono le proteine e gli zuccheri. Essi infatti rappresentano una fonte di energia diretta (dopo gli zuccheri e le proteine) e una forma di accumulo della energia stessa; partecipano alla formazione delle membrane cellulari (cioè delle pareti che circondano ciascuna cellula) e sono associati ad alcune vitamine indispensabili per la sopravvivenza (vedi la vitamina A, D e K). I lipidi a cui si fa solitamente riferimento in medicina sono il colesterolo e i trigliceridi. Essendo il sangue una miscela fatta prevalentemente di acqua, il colesterolo e i trigliceridi, insolubili in acqua, vengono trasportati in circolo attraverso delle proteine plasmatiche specifiche, denominate proprio in virtù di

questa loro funzione “lipoproteine”. Le lipoproteine più frequentemente citate nel gergo medico sono le HDL (high density lipoproteins, cioè lipoproteine ad alta densità) e le LDL (low density lipoproteins, ovvero lipoproteine a bassa densità), che rappresentano rispettivamente il colesterolo buono e il colesterolo cattivo. Le HDL trasportano i grassi dalle arterie al fegato mentre al contrario le LDL favoriscono l’accumulo dei grassi in periferia. I grassi non rappresentano un pericolo diretto per la salute dell’uomo, fino a quando la loro concen-

trazione non supera un valore raccomandato. Infatti, quando l’apporto di grassi con la dieta è superiore alle necessità dell’organismo o nel caso in cui vi sia una predisposizione genetica, quello che può verificarsi è un accumulo di queste sostanze in alcuni organi come il fegato e nei vasi sanguigni. L’accumulo dei grassi nella parete delle arterie (i vasi sanguigni che notoriamente trasportano i nutrimenti e l’ossigeno agli organi) può creare dei restringimenti e predispone all’infarto e in generale alla malattia coronarica. Partendo da tale principio, si capisce come quelle lipoproteine che liberano le arterie dai grassi (le HDL) trasportandole al fegato rappresentano il cosiddetto colesterolo buono mentre quelle che le fanno

accumulare nella parete delle arterie (le LDL) rappresentino il colesterolo cattivo. Si sottolinea quindi il concetto che la dislipidemia, così come si è visto per l’ipertensione arteriosa e per il diabete mellito, è una condizione clinica che può rimanere per anni del tutto asintomatica, per poi manifestarsi improvvisamente ed in modo drammatico, ad esempio, con un infarto. Da qui la necessità della prevenzione, vale a dire di un controllo periodico dei livelli dei grassi nel sangue, allo scopo di ridurre al minimo quelli che definiremmo gli effetti collaterali della dislipidemia. Da una serie di studi clinici, è emerso che esiste un rischio aumentato di malattia coronarica quando il colesterolo totale è superiore a 200 mg/dl, quando il colesterolo cattivo LDL è superiore a 160 mg/dl e quando il colesterolo buono HDL è inferiore a 40 mg/dl. Nel caso in cui un individuo abbia la pressione alta o il diabete o sia un fumatore attivo, va considerato a rischio già un livello di colesterolo LDL superiore a 130 mg/dl. Infine nel caso in cui un soggetto sia già andato incontro a un infarto cardiaco, il livello di colesterolo LDL non dovrebbe mai superare i 100 mg/dl. I trigliceridi sono l’altra classe fondamentale nell’ambito dei lipidi. Anch’essi non vanno sottovalutati; il loro livello del sangue dipende più strettamente dalla alimentazione effettuata dal paziente nelle ore precedenti ad un prelievo di sangue (capita spesso infatti di riscontrare elevati livelli di trigliceridi dopo pasti abbondanti effettuati nelle 12 ore precedenti la rilevazione laboratoristica). Il valore normale per i trigliceridi è inferiore a 150 mg/dl, mentre si considera ipertrigliceridemia il rilievo di valori superiori a 200 mg/dl.


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FOLIGNO

Pensieri e Parole

ANNE SEXTON : UN LUNGO URLO. RICORDO DI UNA POETESSA“DANNATA”, DONNA SENZA VIE DI MEZZO,

GENNAIO 2011

IL DIRITTO A UNA SCUOLA PUBBLICA FINANZIAMENTI STATALI A SCUOLE PRIVATE MENTRE QUELLA PUBBLICA PRECIPITA

CHE ATTRAVERSO LA SCRITTURA CERCÒ DI SOPRAVVIVERE A SE STESSA

SILVIA PALLARACCI

Anne Sexton (Boston 19281974) fu una poetessa scandalosa e folle, che con la sua assoluta disinibizione suscitò scompiglio nell'America del suo tempo, quell’America puritana e bigotta che l’aveva cresciuta, che lei rifiutava e che l’ha portata alla morte. Non si può leggere Anne Sexton, soprattutto se si è donna, senza sentirsi partecipi di quei percorsi in fondo all’anima che la portarono poi a diventare icona dell'emancipazione del linguaggio poetico femminile (ciò che accadde in narrativa con Virginia Woolf). Sia nella vita che nella scrittura, la Sexton impersona la donna-strega; rifiuta prepotentemente le facciate, le falsità, i borghesi perbenismi e porta se stessa, i suoi gesti e le sue parole all'estremo. Irrequieta, disordinata, perennemente innamorata, ninfomane, inadeguata a qualsiasi standard di figlia, casalinga, moglie e madre. Sempre troppo presa da sé, dal suo aspetto, dal filo di follia che avvolge la sua vita, dalla psicanalisi con cui tenta di curare il disturbo bipolare di cui soffre. Anne Sexton avverte sin da giovanissima "il male di vive-

re". Si sposa, diventa madre di due figlie, si dedica alle faccende domestiche: ma tutta questa normalità le sta sempre più stretta e inasprisce i suoi disturbi mentali. A 28 anni ha un attacco di panico e tenta il suicidio. Inizia così ad andare in analisi e le viene suggerito di liberarsi e capirsi tramite la poesia. Da quel momento nasce la Poetessa Anne Sexton, che racconta il dramma della propria esistenza attraverso le piccole cose, attraverso schizzi di realtà e verità quotidiane. In questo senso è una delle voci più intense della poesia confessionale, genere nato negli Stati Uniti intorno agli anni’50/’60, a cui appartengono anche Sylvia Plath, (sua grandissima amica e altro tragico destino, che con lei sperimenta la poesia come espressione di fatti psichici) Robert Lowell, Allen Ginsberg, John Berryman. Questi poeti fanno dei loro disagi il materiale per la propria arte; la scrittura è lo strumento di conoscenza e trasformazione di avvenimenti traumatici, elemento di connessione tra esperienza psichica ed espressione poetica. Anne riversa nella parola scritta il suo tormento, scardina l'American dream in cui non si ritrova, fa scalpore, vince un Pulitzer. Le sue poesie sono colme di temi scabrosi come aborto, masturbazione, mestruazioni, droga, alcol, libertà sessuale, psicofarmaci, pulsioni di morte, blasfemia e tutto quello che meno deve essere detto in poesia. Ma la sua non è soltanto poesia: la sua è una feroce battaglia politica e sociale, un lungo urlo, lanciato con singolare arte, per dare voce a tutte le donne vittime

di abusi, soprusi, paure, disagi mentali mai raccontati, desideri mai compresi. Non è un caso che il suo pubblico più affezionato sia stato e sia tuttora composto da donne, che si immedesimano in lei, nei suoi canti così espliciti, fin troppo“fisici” per un uomo: la donna è finalmente peli, viscere, feto, fluido umorale. È realtà allo stato puro. Le opere di Anne Sexton sono davvero troppo per un uomo, che si trova con le spalle al muro e che non è pronto a vedere una donna nuda, senza quei veli di conformità cui è abituato ad aggrapparsi come un bambino. Il disturbo bipolare accompagna Anne per tutta la vita: il 4 Ottobre 1974, appena divorziata da un marito che non la rese mai felice, si uccise in garage, con i fumi di scarico nell’abitacolo della sua automobile. Aveva 46 anni. Non ci è dato sapere cosa si nasconda dietro ad un gesto estremo. L'unica ragione certa di un suicidio è il dolore. E allo stesso modo in cui lei fu donna senza mezze misure, può essere solo amata o odiata. Per quanto mi riguarda, la amo profondamente. Una come lei “Sono uscita, una strega posseduta che caccia l’aria nera, più intrepida di notte che sogna il male, ho portato scompiglio nelle case quiete, luce per luce: creatura solitaria, con dodici dita, fuori di sè. Una donna così non è una donna, non del tutto. Io appartengo a questa specie.”

PIAZZA DEL GRANO O DELLE ERBE ...A NOI PIACE COSÌ... Ho letto un gradevole articolo sulla Gazzetta di Foligno di Martina Betori su Piazza del Grano. Per chi scrive su un giornale intitolato a "Piazza del Grano" è stato una sensazione piacevole e nello stesso tempo imbarazzante. Ad oltre un anno dalla pubblicazione del nostro giornale , nessuno di noi ha mai pensato a scrivere qualcosa sulla piazza, o meglio, scrivere un elogio della piazza. Forse è stato meglio così, per non peccare di autorenferenzialità. Una piazza è un luogo come tanti altri, ma non tutte le piazze sono uguali e ognuna ha una piccola storia da raccontare. L'accesso è costituito da tre vicoli (due stretti stretti, praticamente pedonali ) ed una strada appena più grande che arriva da piazzetta della morte. Qualcuno di voi la ricorderà ancora con le macerie accatastate su un lato, frutto dei bombardamenti della guerra. Ma anche in quelle condizioni la piazza incurante delle ferite ha continuato a funzionare. Mercato ortofrutticolo al dettaglio e all'ingrosso, con depositi nei fondi sparsi su di essa e nelle viuzze limitrofe.Utilizza-

ta per piccole partite di pallone fra ragazzini, disordinato parcheggio di auto, storico raduno dei figuranti della Quintana prima della sfilata, e solo ora nobilitata dalla biblioteca Dante Alighieri. Una Piazza minore, senza una chiesa che vi si affacci o come Piazza della Repubblica con addirittura il Duomo ed il Comune. Una Piazza di gente che ci lavora, che quando passa non viene distratta da bellezze artistiche o altro, continua a pensare alla cose comuni della vita e forse trovando uno spazio improvvisamente più ampio , anche

la mente si apre a sensazioni migliori. Poi ovviamente ci sono le emozioni personali, di chi come il sottoscritto da sempre ci passa più e più volte al giorno ed e' come stare dentro la propria casa. Concludo con un ringraziamento all' editore che al tempo decise di chiamare il nostro bellissimo giornale con il nome di Piazza del Grano; una piazza "tosta" senza tanti fronzoli, concreta... a noi piace così. f.o.

ARIANNA BOASSO

Articolo 33 della Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, SENZA ONERI PER LO STATO.(…). La scuola pubblica soffre, cade a pezzi, non solo in senso metaforico, vedendo il degrado a cui sono condannate moltissime scuole pubbliche. Ma le scuole “paritarie”, ovvero quelle private, godono di una salute migliore. Il DM 261/98 e il DM 279/99 (Ministro Luigi Berlinguer) ed il testo unico “concessione di contributi alle scuole secondarie legalmente riconosciute e pareggiate” apre la strada ai finanziamenti pubblici alle scuole private, la legge 62/2000 fa in modo che le scuole non statali siano parificate a quelle pubbliche, introduce i “ buoni scuola”, ovvero dei contributi alle famiglie per le scuole dell’obbligo, riconoscendo loro di svolgere un servizio pubblico, e in seguito il DM 27/2005 ( Ministro Letizia Moratti) innalza le soglie massime dei contributi e dei finanziamenti ai progetti formativi. Tutto questo è palesemente in contrasto con l’articolo 33 della Costituzione, in particolare con l’inciso “senza oneri per lo Stato”. Anche se svolgono una funzione pubblica il livello

dei con contributi statali è eccessivo, in quanto queste scuole dovrebbero essere finanziate esclusivamente dalle rette pagate dagli studenti e da donazioni private. Il numero delle scuole private cattoliche è notevolmente superiore rispetto a quelle laiche ed è innegabile che sia veramente esigua la presenza di extracomunitari e portatori di handicap; chi ha le possibilità economiche è giusto che abbia la possibilità di rivolgersi alle scuole paritarie, ma è inaccettabile che ci siano finanziamenti pubblici a fronte di scuole pubbliche in declino. Scuola pubblica che è di tutti e per tutti, come sancisce l’articolo 34 della Costituzione “La scuola è aperta a tutti. (….) I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono es-

sere attribuite per concorso”. La nostra Costituzione, con articoli come questi, raggiunge i livelli più alti di democrazia ed è opportuno che non rimanga lettera morta, ma le sue finalità devono essere costantemente perseguite. Le strutture sicure, aule decenti, laboratori forniti ed offerta formativa di ampio respiro dovrebbero essere il denominatore comune della scuola pubblica italiana e non solo di quella privata che invece è per pochi. Se così non fosse i genitori sarebbero obbligati a mandare i propri nelle strutture private, e chi non ha le possibilità è condannato a un’istruzione di serie b, violando il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. E questo un’Italia democratica come la nostra non se lo può permettere. Nessuno deve essere lasciato indietro, quindi lunga vita a un’eccellente scuola pubblica, di tutti.

LA MOLE OTTOCENTESCAE LA MOLE POSTMODERNA

SARA

Torino sta vivendo un interessante scontro generazionale, che riguarda nello specifico due grandi architetture, ma che coinvolge complessi aspetti sociali e culturali. Sul piano dello scontro ci sono la mole antonelliana, imponente opera in muratura di metà ottocento, e indiscusso simbolo della città, e dall'altro il nuovo grattacielo di Intesa-Sanpaolo firmato da Renzo Piano. Il dibattito che coinvolge questi due edifici è iniziato nel 2004, con il concorso di idee ad invito per la progettazione di un centro direzionale a torre, da costruire nell'area di nuova edificazione chiamata Spina centrale, corrispondente all'asse di interramento della ferrovia TorinoMilano. Il progetto vincitore è stato quello di Renzo Piano, unico italiano fra la solita rosa di archistar internazionali, e ha fatto subito scoppiare le polemiche l'altezza annunciata per il grattacielo, ben 170 metri, contro i 167 della Mole antonelliana, attualmente l'edificio più alto della città, e segno predominante dello skyline cittadino. Paragonato alle altezze dei grattacieli nel mon-

do; il più alto è attualmente quello di Dubai con i suoi 828 metri, non appare così fuori misura, ma la questione è sempre il contesto in cui nasce, e soprattutto il clima culturale. Torino è una città molto controversa, erede dello sfarzo dei salotti sabaudi, ma anche del dinamismo della città industriale, connubio di una cultura tra-

dizionalista e di un forte identità sociale proiettata verso lo sviluppo. In questo caso la questione della differenza di altezza fra le due moli ha scatenato accesi dibattiti e proteste, fra cui la fondazione di un comitato ad hoc: “Non grattiamo il cielo di Torino”. Il risultato è stato il ridimensionamento del progetto di Piano, che dai 170 metri annunciati, sarà di 166, come se tutto si possa ridurre alla questione del primato di altezze, piuttosto che porre l'attenzione su

aspetti ben più importanti, come la sostenibilità ambientale dell'intervento e la sua vera utilità. Architetti e ingegneri si interrogano da più di un secolo sulla città in verticale, tema affascinante per gli addetti del mestiere, in particolare per gli aspetti tecnologici affiancati alla progettazione di un grattacielo, una sfida strutturale contro il vento e contro la forza di gravità, che ha introdotto importanti innovazioni e contribuito a sviluppare la ricerca sui materiali e sulle costruzioni. Tornando a Torino, non si può mistificare il nuovo grattacielo, senza aver preso coscienza del degrado delle periferie, della decadenza di alcuni quartieri che non hanno un'isola di verde, o un piano urbanistico che permetta almeno di scorgere quelle Alpi tanto osannate dello skyline cittadino, che la nuova torre oscurerebbe. Le scelte architettoniche e urbanistiche vanno sempre correttamente ponderate nel contesto di riferimento, perché a volte può risultare più gravemente fuori scala un cubo di cemento isolato nella campagna umbra, che un grattacielo di vetro in una grande città industriale.


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Scuola a cura di Maura Donati

…E la rabbia aumenta Le proteste degli universitari continuano nell’indifferenza del Governo La crisi dell’Ateneo di Perugia GIOIETTA VOLPI Sono tanti. Sono pieni di energia e di rabbia. Protestano ormai da settimane, in tutta Italia, eppure rimangono ignorati ed inascoltati, questa è la situazione a dir poco incredibile e al tempo stesso tragica degli studenti e dei precari dell’Università italiana, giovani donne e giovani uomini che vedono svanire il loro futuro, inghiottito dai tagli del ministro Tremonti e dal ddl Gelmini, che vanno a peggiorare una situazione già problematica. “L’Università pubblica ha gravi problemi, che sono da anni trattati in modo inefficiente, c’è bisogno di una riforma seria, che combatta la gerontocrazia e guardi alle migliori esperienze d’Europa”, ci spiega Rosario Russo, studente all’ultimo anno di specialistica, un ragazzo che come tantissimi altri continua a lottare per salvare la nostra Università e

che ci ha fornito tante notizie utili riguardo alla situazione di quella di Perugia. La riforma procederà ora in Senato per l'approvazione definitiva senza ascoltare le voci dei cittadini che protestano ed urlano a gran voce, ignorando ancora una volta i giovani, gli studenti, i precari della ricerca, i ricercatori che continuano a protestare: il ddl Gelmini non risolve in alcun modo nessuno dei gravi problemi che affliggono l'Università italiana. Anzi, insieme ai precedenti provvedimenti governativi rafforza i gruppi di potere baronali e gerontocratici, aumenta e istituzionalizza il precariato, peggiora ulteriormente i meccanismi di reclutamento e di avanzamento di carriera, introduce un sistema di governo degli Atenei e del Sistema universitario che riduce ulteriormente l’autonomia e la democrazia nell’Università; inoltre vanifica il diritto allo studio, espelle dall’Università intere generazioni di

studiosi precari che hanno dedicato, spesso senza alcun riconoscimento, tanti anni alla ricerca e all’insegnamento. La casta politica che sta portando avanti questo infausto progetto di fatto non ne capisce niente di scuola ed Università, è attenta solo a preservare gli interessi delle lobbies, dei potentati baronali, della Confindustria, è insensibile alle vere criticità che esistono nel Paese e che stanno divenendo sempre più problematiche e che stanno paralizzando un’intera generazione. Come nel resto d’Italia, anche l’Università di Perugia sta cercando di non affondare sotto i pesanti colpi di scure gentilmente inflitti dal Governo: il Fondo di Finanziamento ordinario dal Ministero erogato subirà una diminuzione di un miliardo e mezzo di euro nel periodo 2009-2013, ed il bilancio “virtuale” approvato a ottobre per l’Ateneo perugino ci fa capire

Perugia, gli studenti si mobilitano quanto la situazione sia disperata; per le spese di un anno sono stati assegnati ad ogni facoltà solo 18 mila euro, si era addirittura pensato di tenere chiuse le Facoltà due pomeriggi a settimana per diminuire le bollette di energia e riscaldamento. Un bilancio tragico dunque, che penalizzerà totalmente la ricerca, le attività culturali e sportive, gli stessi stipendi dei docenti. Oltre ai tagli c’è il problema del turn-over: nei prossimi

anni si potrà assumere un docente ogni cinque pensionamenti, e ciò ridurrà drasticamente il numero dei docenti, dei corsi, dunque dell’offerta formativa. Ma non finisce qui, la mancanza cronica di fondi riguarda anche il diritto allo studio, il Fondo integrativo per le borse di studio è stato ridotto per il 2010 dell’80%, e sono stati previsti nuovi tagli nella prossima finanziaria: il Commissario straordinario del-

l’Adisu Maurizio Oliviero ha fornito cifre molto precise sulla situazione regionale, nel 2010-2011 dei 4345 studenti idonei solo 1164 potranno usufruire della borsa di studio, si arriverà forse a 2700 grazie agli aiuti dalla Regione. E’ lampante che tutto ciò porta nella direzione di un’Università e di un diritto allo studio sempre più privatizzati, dunque sempre meno in linea con i principi ribaditi dalla nostra Costituzione.

Sperimentazione meritocratica nella scuola pubblica In venti scuole delle province di Napoli e Torino si parte con la valutazione diretta dei docenti ed è subito polemica Torino L'Ufficio scolastico provinciale (Usp) di Torino, con una circolare del 15 dicembre allarga la sperimentazione meritocratica a tutta la provincia di Torino ma i Cobas non stanno a guardare e hanno infatti pubblicato un comunicato stampa che evidenzia chiaramente la posizione dei docenti delle scuole della città. “E' indecente (difficile usare altri aggettivi) – hanno scritto - che l'Usp di Torino, citando, peraltro, la circolare del 3 dicembre 2010, la quale afferma che ‘Facendo seguito all’incontro del 30 novembre (circ. reg. num. 420 del 24 novembre 2010 Prot. 13006/U) e nel ricordare che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha avviato, per le scuole della città di Torino, un progetto sperimentale per premiare gli insegnanti che si distinguono per un generale apprezzamento professionale all’interno della scuola, si forniscono con la presente alcune indicazioni operative’, dopo aver capito che tutte le scuole della città avrebbero votato in massa contro la vergognosa sperimentazione meritocratica, invia oggi una nuova circolare con la quale allarga a tutta la provincia la possibilità di

partecipare a tale truffa”. A questo allargamento i Cobas hanno risposto che “è inutile e superfluo spiegare i motivi che hanno portato il neo dirigente dell'Usp a non considerare ciò che il ministero e lo stesso Usr del Piemonte scrivevano pochi giorni fa, cioè che tali sperimentazioni si sarebbero svolte solo nelle scuole delle città di Torino e Napoli – e hanno aggiunto quando si trovano in difficoltà non ‘c'è legge e/o circolare che tenga’: s’ha da fare e basta!!! Questa loro la chiamano democrazia.... Ad oggi più di 50 scuole torinesi hanno rifiutato la sperimentazione e nessuna ha aderito. Come Cobas Scuola faremo di tutto per denunciare questa ulteriore truffa e forzatura da parte del Ministero e dei suoi seguaci”. I Cobas si dichiarano “si-

curi” che anche le scuole della provincia di Torino “rispediranno al mittente la sperimentazione a meno che il mittente non trovi un altro metodo illegale per trovare finalmente le 15 scuole!!!” Infine, invitano tutti i collegi docenti a “non aderire alla sperimentazione, a rispedire al mittente questo ennesimo vergognoso tentativo di dividere gli insegnanti tra bravi e fannulloni. Battiamoci per riavere i nostri soldi, il nostro contratto e tutti i nostri diritti. Dobbiamo esigere che i ‘risparmi’ derivanti da tagli agli organici e agli stipendi (con il blocco dei contratti e di una parte degli scatti di anzianità) non siano utilizzati per dividere la categoria, ma vengano restituiti a tutte le scuole e a tutti/e i/le lavoratori/trici, docenti e Ata, precari e stabili”.

Napoli Le Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) Cobas della provincia di Napoli hanno rivolto un appello a tutte le Rsu, indipendentemente dalla loro appartenenza sindacale, a tutti i lavoratori e le lavoratrici e a tutti coloro che hanno a cuore la scuola pubblica, per avviare un confronto finalizzato a bloccare la sperimentazione del progetto sul merito degli insegnanti invitando tutti i collegi a rifiutarla evitando una odiosa divisione tra i lavoratori. “La nuova riforma della scuola pubblica – hanno sottolineato - prevede: tagli di posti di lavoro con espulsione di docenti e ata precari; precarizzazione del personale a tempo indeterminato con docenti sovrannumerari e aumenti dei carichi di lavoro per il personale docente e ata; taglio dei fondi per

il funzionamento ordinario con carenze croniche di materiali e peggioramento della qualità dei servizi agli studenti; blocco dei contratti e degli scatti di anzianità con perdita di decine di migliaia di euro per docenti e ata”. “Ma niente paura – hanno scritto ironicamente le Rsu Cobas della provincia di Napoli - una percentuale di questi tagli detti eufemisticamente ‘risparmi di sistema’ verrà impiegata per premiare i meritevoli. In che modo? Attraverso i progetti sperimentali che interesseranno ben 20 scuole nelle province di Napoli e Torino”. Progetto valutazione diretta dei docenti spiegato dai Cobas. - Chi partecipa? Il progetto coinvolgerà 20 scuole delle province di Torino e Napoli che saranno sorteggiate tra tutte quelle che volontariamente decideranno di aderire alla sperimentazione (nb: il Collegio Docenti si espri-

merà solo dopo il sorteggio). Nelle scuole prescelte, i docenti saranno liberi di sottoporsi o meno alla valutazione. Tutto questo avverrà entro dicembre 2010. Chi valuta? In ognuna di queste scuole sarà istituito un nucleo di valutazione formato dal Dirigente + 2 colleghi eletti a scrutinio segreto + il Presidente del Consiglio d'Istituto in veste di osservatore. - Cosa viene valutato? il curriculum vitae + un non meglio precisato documento di autovalutazione + i risultati di questionari di gradimento svolti tra alunni e genitori + delle generiche qualità desiderabili di un docente sulla base anche dell'art. 27 del Ccln, cioè ”competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico - didattiche, organizzativo – relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti” (insomma elementi, questi ultimi, tutt'altro che oggettivi). - Cosa si vince? Il docente “più bravo” avrà una mensilità in più. “Questo progetto insieme a quelli rivolti a premiare le scuole che saranno sperimentati a Pisa e Siracusa – hanno infine concluso i rappresentanti Cobas di Napoli - tendono a ripartire pochi spiccioli a un numero molto ridotto di lavoratori / trici non solo a spese di tutti gli altri /e cui si chiedono sacrifici ma anche della qualità della scuola pubblica che sempre più viene depauperata di risorse e mezzi”


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FOLIGNO

Corrispondenze, Sport e Cucina

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TEMPO DI PRIMI BILANCI PER IL CALCIOA 7 UISP

VERITÀ PER LA PALESTINA

PAOLO AZZARELLI Con la disputa della nona giornata di incontri, si consuma più di un terzo della prima fase del campionato di calcio a 7 UISP e, per molte delle squadre in lizza, è già tempo di tirare le prime somme. Naturalmente non si può trattare di giudizi definitivi. La stagione regolare deve ancora proporre quattordici gare e, inoltre, i playoffs spesso smentiscono le indicazioni fornite dal girone all'italiana. Ma non c'è dubbio che è già possibile ipotizzare qualche valutazione sulla base di quello che le squadre hanno finora messo in mostra. Come vedremo, il tutto all'insegna di molte conferme ma anche di qualche sorpresa. Complessivamente le squadre più accreditate alla vigilia, dopo un comprensibile avvio ancora in fase di rodaggio, stanno iniziando a far rispettare le gerarchie e i veri valori in campo cominciano a delinearsi. A cominciare dalla vetta della classifica dove, dopo un lungo inseguimento durato cinque giornate (con altrettante vittorie) e coronato con un franco successo (6-1) ai danni di Cecconi Impianti, si insedia l'Asso Computer, squadra considerata, a pieno titolo, nel novero delle favorite alla vittoria finale. Inoltre gli "informatici" devono anche recuperare un incontro e anche se il cammino è ancora lungo, sarà difficile scalzarli dalla cima, anche in considerazione dell'organico a disposizione. Tira un po' il fiato M.B. System che dopo una cavalcata di sei vittorie consecutive, racimola la miseria di un punticino in tre gare e, mentre poteva essere ipotizzabile una battuta d'arresto con l'attuale Asso Computer, un po' più meraviglia ha destato il tonfo, seppur di misura, con il modesto Spartak Foligno. Sarà necessario ricompattarsi per l'M.B. System per ritrovare brillantezza e convinzione nei propri mezzi, se si vuole puntare ad insistere su un campionato di vertice. Si mantengono in quota Bacaro Parrucchieri e Beautyglobal, quest'ultima promossa da Cenerentola delle ultime stagioni a ruolo di vera squadra rivelazione di questo torneo. Beautyglobal è reduce da una bella vittoria

su Stella Rossa, sconfitta, questa, che sa un po' di bocciatura, almeno per il momento, per una squadra che era partita con ambizioni di altro livello. Bacaro Parrucchieri, invece, inanella il sesto risultato utile di fila e scavalca al terzo posto nella graduatoria proprio l'excapolista M.B. System, dimostrando di saper vincere le partite anche soffrendo, dote che potrà risultare utile specie in proiezione playoff. Sicuro il cammino degli Old Stars che ritrova una certa continuità di risultati e di gioco e insegue da vicino - in quarta piazza - M.B. System. A corrente alternata l'andamento di Cecconi Impianti, al secondo stop in tre partite inframmezzate, peraltro, dalla brillante vittoria a spese di Beautyglobal. Buono anche il campionato fin qui disputato da Mojito F.C. a segno nell'ultimo turno contro Forno Nocera Umbra, ormai ex-nobile decaduta del calcio a 7 (ricordiamo la semifinale sfiorata nell'ultimo torneo dopo un incredibile quarto di finale contro Silvy's United). I "fornai", comunque, sono riusciti parzialmente a rinverdire la loro classifica con due successi negli ultimi tre incontri ma continuano a stazionare anonimamente nel centro-classifica, ai margini della zona playoff. Consolida la propria posizione Silvy's United che sommerge sotto undici reti il malcapitato Equilibri Estetica e conferma di aver trovato una condizione accettabile e conseguentemente gioco e risultati. Quando i nerocelesti sono in condizione di poter schierare la "starting seven", diventano a tratti irresistibili come testimonia l'ultima gara, già

in cassaforte dopo poco più di 20' giocati. Si tratta di un complesso che può solo crescere e che, con ogni probabilità, ritroveremo a fine stagione nelle posizioni di vertice. Ma la vera sensazione di questo torneo, finora molto avvincente con gare ben giocate e di assoluti valori tecnici, è forse trovare in quart'ultima posizione i campioni uscenti della Pizzeria Pietrarossa (ex D.L.F.) che incassano il quarto K.O. consecutivo (il quinto complessivo!) addirittura per forfeit(!). Difficile capire cosa possa essere successo alla brillante squadra protagonista di uno straordinario finale di stagione lo scorso giugno, culminato con la conquista del titolo regionale. Solo il campo può dirlo, a cominciare dalla giornata di lunedì 20 Dicembre, ultima gara prima del lungo stop per le festività di fine anno. Tra gli incontri di cartello, Silvy's United e, soprattutto, Beautyglobal-Asso Computer, autentico big-match per il primato. CLASSIFICA ASSO COMP.–MASSAGGIO BEAUTYGLOBAL BACARO PARRUCCHIERI M.B. SYSTEM OLD STARS CECCONI IMPIANTI MOJITO F.C. NUOVA STELLA ROSSA SILVY'S UNITED SAN MAGNO CAFFE' BORRONI FORNO NOCERA UMBRA QUINTANELLA SCAFALI ECOSUNTEK GUALDO T. PORCO ALEGRE BAR POLLY ARCI BAHIA GUS TEAM SPARTAK FOLIGNO PIZZERIA PIETRAROSSA EQUILIBRI ESTETICA PLANET CAFFE' A.D SERVICE

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La maratona “per la verità, per Israele” promossa dall’On. Fiamma Nirenstein, ci lascia molto perplessi come tante altre voci che si sono già espresse, provenienti da diversi angoli e culture della nostra società. Ma in verità, chi aderisce a questa iniziativa pensa, che Israele sia la sola vittima, che la sicurezza di Israele, la soluzione del conflitto medio orientale e l’isolamento degli opposti estremismi si ottengano con iniziative come questa? I promotori ritengono che lo stato di occupazione e le condizioni disumane che vive la gente a Gaza, nei territori occupati e nei campi profughi, che le espropriazione dei terreni, la distruzione di case, la costruzione delle colonie tra la comunità palestinese, siano una invenzione o siano azioni legittime o non alimentino i problemi di Israele ? Ma non sentono, i promotori, il peso morale del protrarsi del conflitto che ha rovinato la vita a milioni di persone, ucciso civili senza esclusione alcuna di religione, nazionalità e cultura, e che rischia di espandersi ancora, provocando maggiori morti, violenza, odio ed insicurezza per tutti quanti? Perché non sentire, vedere e

riconoscere quegli israeliani e quei palestinesi che hanno già detto basta al linguaggio ed alla pratica dell’odio e della violenza, impegnandosi ogni giorno per far capire alla propria comunità che occorre trovare un accordo, per il bene di tutti, per la stessa sicurezza di Israele, come l’unica strada della riconciliazione e della pace giusta e definitiva? Perché non allargare questo campo di pace tra le due comunità, invece che dichiararsi, unilateralmente, vittime? Proprio, ora, mentre è in cor-

so il tentativo di ripresa dei negoziati, con l’alto rischio di ritornare indietro, ad una nuova epoca di violenza e di terrore a scala globale, se questi fallissero, riteniamo che tutti quanti dovremmo impegnarci, come non mai, per la rimozione degli ostacoli alla pace, sostenendo e richiedendo con decisione, alle istituzioni, ai governi ed alle due comunità coinvolte nel conflitto di non perdere questa occasione. Dipartimento Internazionale CGIL Roma, 7 ottobre 2010

FUMO PASSIVO - BAMBINI INDIFESI PARIDE TRAMPETTI

Seicentomila persone, di cui 165mila bambini sotto i cinque anni, muoiono ogni anno nel mondo di fumo passivo. Lo rileva uno studio pubblicato sulla rivista “Lancet” che Armando Perugia e Annette Pruss-Ustun, entrambi dell’organizzazione mondiale della sanità, hanno condotto usando dati del 2004, i più recenti disponibili in tutti i 192 paesi analizzati. I bambini sono le prime vittime del tabagismo passivo, perché incapaci di sottrarsi alla principale fonte di esposizione, cioè i genitori che fumano in casa. le piccole vittime del fumo passivo muoiono di più nei paesi a basso reddito, men-

tre nei paesi ricchi le vittime sono soprattutto adulti. Il 40% dei bambini, il 33% dei maschi non fumatori, il 35% delle non fumatrici sono stati esposti a fumo passivo nel 2004. Si stima che ciò abbia causato 379 mila morti per ischemia, 165mi-

la per infezioni respiratorie, 36.900 per asma, 21.400 per cancro ai polmoni; in tutto quindi, 603mila morti sono attribuibili al fumo

passivo ogni anno, cioè circa 1% di tutti i morti globali. il 47% delle vittime è femmina e il 26% è maschio; il 28% bambino. Il fumo passivo è inoltre responsabile della perdita di 10.9milioni di anni di vita in buona salute, 61% dei quali “tolti” ai bambini. Nel mondo, concludono gli autori dello studio, 1.2 miliardi di fumatori espongono al fumo passivo molti miliardi di persone. le leggi di restrizione del fumo nei locali pubblici, hanno fatto tanto in alcuni paesi, ma ancora troppo fumo passivo “lavora “ in casa per lasciare la sua scia di morte e a pagare, come sempre, sono soprattutto gli indifesi, i bambini.

LA RICETTA DEL MESE: TOURNEDOS ROSSINI E POLLO ALLUVA Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione tribunale di Perugia n° 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Dimensione Grafica, via delle Industrie 21, Spello Chiuso in redazione il 20/12/2010 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”

ANTONIETTA STADERINI

Tournedos Rossini per 6 persone Tempo di preparazione 40 minuti Ingredienti: kg 1 filetto di manzo (possiamo utilizzare anche il filetto di maiale), gr 500 crostoni di pane comune, gr 100 lardo di colonnata, gr 100 burro, gr 50 farina, gr 30 tartufo nero, un mazzetto di alloro, sale, pepe, un bicchiere di vino passito, gr 300 paté di fegato Procedimento: tagliare il filetto in medaglioni, salarli,

peparli, avvolgerli in fette di lardo e foglie di alloro, cuocerli in padella con gr 50 di burro, sfumare con il vino. A cottura ultimata, ritirarli dal recipiente e metterli in disparte al caldo. Saltare in padella i crostoni di pane con il rimanente burro. Su ogni crostone disporre un medaglione e su di esso una rondella di paté, bagnare con il fondo di cottura e infine aggiungere qualche lamella di tartufo. Tortino di carote per 6 persone Tempo di preparazione 60

minuti Ingredienti. gr 500 carote, due patate medie, gr 100 burro, gr 50 parmigiano (facoltativo), sale, pepe, un bicchiere di crema di latte, gr 50 pane grattato. Procedimento: lessare le patate e le carote, passarle al passaverdure, ad esse incorporare il burro, la crema di latte, il sale, il pepe, il parmigiano, lavorare energicamente il composto. Imburrare alcuni stampini da forno e cospargerli di pane grattato, incorporare quindi il puée ottenuto, infornare a 180° per circa 20 minuti.

Pollo all'uva e cipolle per 6 persone Tempo di preparazione 60 minuti Ingredienti: kg 1 petto di pollo, gr 500 cipolle rosse, gr 250 uva nera, gr 100 farina, un bicchiere marsala secco, un bicchiere aceto di mele, un cucchiaio di semi di papavero, gr 100 burro, sale, pepe, chiodi di garofano, un bicchiere olio di oliva, brodo vegetale o di carni bianche. Procedimento: tagliare la carne a dadini, salarla, infarinarla e lasciarla rosolare in una casseruola con gr 50 di burro e due cucchiai

di olio, aggiungere la metà del marsala e lasciare evaporare, aggiungere il brodo sino a coprire la carne e cuocere per circa 30 minuti. Far dorare le cipolle tagliate ad anelli in una padella larga con gr 50 di burro, unire l'aceto di mele, il marsala, 2 cucchiai di zucchero e far evaporare completamente la parte liquida, salare, pepare e cospargere di semi di papavero. Lavare l'uva, tagliare gli acini a metà e privarli dei semi, unirli alla carne ed aggiungere anche le cipolle, lasciare cuocere per circa 10 minuti.


FOLIGNO GENNAIO 2011

Spettacoli ed eventi a cura di Piter Foglietta

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Conclusa a Spoleto la conferenza regionale sulla cultura "Il dibattito svoltosi in questi tre giorni deve allargarsi a platee più ampie, aldilà della cerchia degli addetti ai lavori, e costituire una reazione convinta alla politica del governo, che pensa che in tempi magri si possa tagliare la cultura, ignorando che essa rappresenta un fattore economico in grado di generare una imprenditoria innovativa, un polo attrattore di talenti e investimenti". Lo ha detto la presidente della giunta regionale dell'Umbria Catiuscia Marini, concludendo oggi presso il Teatro Nuovo di Spoleto i lavori della Conferenza Regionale della Cultura. "L'Umbria - ha continuato la presidente può sperimentare un modello innovativo e differenziato di federalismo facendo perno proprio sulla cultura, e diventare un laboratorio per un diverso modello di sviluppo, basato sulla nascita di 'imprese creative' all'interno di una filiera lunga, che offra ai giovani nuove possibilità di occupazione. Per fare questo ha sottolineato - occorre mettere in campo azioni, progetti e strumenti, perché

la strategia produca risultati concreti". Se in Europa alla cultura viene assegnato il ruolo di importante motore dell'economia, su cui puntare per superare la crisi, "l'Italia - ha affermato Catiuscia Marini - per il suo patrimonio e le sue tradizioni, può svolgere questo ruolo meglio di altri, e in Umbria dobbiamo percorrere la nostra traiettoria, costruendo azioni e politiche pubbliche, che si uniscano al coraggio imprenditoriale dei privati. Per opporsi al declino, anche ad un 'comodo declino' - ha proseguito la presidente -, bisogna innovare, ed è la strada che abbiamo decisamente imboccato, non a caso proprio all'inizio della legislatura, con il seminario sul turismo di recente svoltosi a Todi, e oggi qui in questa conferenza regionale della cultura. La cultura deve diventare per tutti un elemento della vita quotidiana, perché - ha concluso con una battuta - la cultura fa bene sia all'anima che al prodotto lordo". Creatività e "riconoscibilità" culturale dell'Umbria, messa a punto di strumenti or-

ganizzativi e di una rete per mettere insieme tutte le risorse, strutturazione di una "filiera" della cultura, costruzione di una "strategia dei luoghi della cultura", crescita della professionalità di chi è impegnato nel settore e formazione continua: questi - riassunti dal direttore dell'Assessorato alla Cultura della Regione Umbria Ernesta Maria Ranieri - i temi emersi dalle due sessioni dedicate, nel secondo giorno della conferenza, alla discussione sugli istituti e le attività culturali in Umbria, che hanno fatto registrare - ha ricordato Ranieri - oltre 50 interventi. Un dibattito tutt'altro che concluso -ha sottolineato l'assessore alla Cultura Fabrizio Bracco -, che potrà proseguire "on line" nel sito della Regione, dove sarà consultabile l'intera registrazione dei lavori, e quindi nei tavoli tematici, che saranno convocati per approfondire i numerosi suggerimenti e proposte, nati dai tre giorni di discussione. "Ci sono oggi due concezioni della cultura - ha

Via delle Industriae un nuovo spazio/fabbrica Ha inaugurato domenica 12 dicembre 2010 il nuovo spazio/fabbrica [VIA DELLE INDUSTRIE] a Foligno, la mostra/installazione 277 / 6081 di Maël Veisse un progetto artistico frutto del programma di residenza nella project/room 5 di VIAINDUSTRIAE, che ha portato il giovane designer francese a produrre dopo 2 mesi e mezzo di studio una installazione specifica in questo spazio industriale. Veisse scopre all’interno di un sistema chiuso dai vincoli imposti dalla geometria del cubo la diversità del finito (277 possibilità fisiche/6081 possibilità geometriche), dei punti e delle spaziature con un pensiero volto a scoprire l’apertura. Grazie alla collaborazione di Barthelemy Massot il percorso è stato monitorato da una parallela verifica-script matematico che hanno consentito di connettere le scelte visuali e formali con le probabilità matematiche. Lo spazio/fabbrica inizia così una serie di progetti di residenza e di produzioni specifiche fatte per supportare l’operato di giovani artisti e designer al fine di implementare uno spazio dinamico e produttivo per progetti di arte contemporanea. Il progetto di VIAINDUSTRIAE curato da Emanuele De Donno, costituisce l’avviamento a una programma culturale in cui lo spazio/fabbrica diventa luogo, studio e metafora

del fare creativo. Durante la residenza Mael Veisse ha costruito il suo studio e la sua casa, ambiente adatto a una concezione dell’abitare contemporaneo. Gli oggetti sono pensati come auto-determinazione dell’habitat domestico; un design modulare aperto e economico. La serie prodotta è in vendita a un prezzo accessibile e democratico nella dimensione di un’arte capa-

spazio segnato dal ritmo e dal reticolo di forme geometriche. Il giovane artista architetto indaga con metodo sistematico e radicale matrici spaziali, dispositivi stereometrici. Tutto lo studio viene spesso condensato, come in questo caso, in una pubblicazione d’artista che affianca e si relazione con l’intervento artistico. Da questo studio a metà tra il rigore analitico

ce di riusare e rigenerare i materiali e gli spazi. Questa operazione costituisce il primo catalogo di produzione di VIAINDUSTRIAE di multipli, manufatti capaci di costruire e organizzare il nostro ambiente di vita. BIO/INFO Maël Veisse (F) esplora sistemi di forme che aprono le loro possibilità, moltitudini inscritte nel cuore dei dispositivi finiti. La combinatoria si rivela attraverso installazioni/auto-costruzioni, architetture nello

e una ritmica metafisica, nasce il libro d’artista 277/6081 in 6 copie di 300 pagine che restituiscono la serialità e la variabilità del progetto Sede: spazio/fabbrica [VIA DELLE INDUSTRIE], via delle industrie 9, zona industriale S.Eraclio di Foligno Durata mostra: 12 dicembre 2010 | 12 febbraio 2011 Orario: 10,00-12,00 / 16,00-20,00 su appuntamento tel. 074267314 / 349 5240942 Info: info@viaindustriae.it

detto nella sua relazione il professor Pierluigi Sacco della Università "Iulm" di Milano -, quella di fruizione passiva di spettacoli ed eventi, riconducibile al puro intrattenimento, che dunque, in quanto tale, si può impunemente tagliare, e quella di una cultura 'attiva', collegata strutturalmente con le tecnologie dell'informazione, con il welfare, con la salute, con la coscienza civile dei cittadini in quanto produttrice di 'spazi di significato' dall'alto valore sociale, connessa con la creazione di capacità e lo sviluppo di una 'imprenditorialità creativa', come avviene in Gran Bretagna, dove il compito del pubblico è creare le condizioni, soprattutto per i giovani, per fare impresa basata sulla creatività, mettendo a sistema le risorse. È questa la visione che dobbiamo perseguire". "La cultura va intesa non solo come conservazione di beni o come allestimento di eventi utili soltanto per le finalità degli indotti commerciali e turistici - ha detto Mons. Paglia, presidente della Conferenza Episco-

pale Umbra - ma come produzione creativa, come cooperazione su un progetto condiviso, come mezzo per costruire le 'città creative', pluraliste e aperte all'innovazione imprenditoriale". "In passato - ha sottolineato l'assessore Fabrizio Bracco

- c'era, in questi dibattiti fra addetti ai lavori, la tendenza a 'piangersi addosso'. Oggi c'è una spinta in avanti, la volontà di sperimentare strade innovative facendo diventare l'Umbria un autentico laboratorio della postmodernità".

Mostra di Gabriele Basilico al Ciac - "Ritratti" Si inaugura il 18 dicembre 2010 una personale di Gabriele Basilico. A ospitare l’importante esposizione sarà il complesso architettonico del Centro Italiano Arte Contemporanea su entrambi i piani, spazio voluto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno e dall’amministrazione comunale che si sta sempre realizzando come una struttura viva, insediata nel centro storico di Foligno, e volta ad entrare in sinergia con il territorio, con le altre realtà del settore presenti nella regione e con importanti figure di rilievo nazionale e internazionale. La mostra di Basilico ne è efficace testimonianza e muove dall’attenzione diffusa e crescente di una comunità sensibile fin dagli anni Sessanta alla ricerca artistica con particolare riferimento alle immagini del Contemporaneo in Umbria. La mostra di Gabriele Basilico, sviluppata in tre sezioni, articola tre “Ritratti” di città. “Milano ritratti di fabbriche 1978-80”, 40 fotografie in bianconero formato 60x90 cm., tratte dall’indagine fotografica sull’architettura industriale milanese, realizzata alla fine degli anni ’70. “Mosca Verticale 20072008”, 15 fotografie (di cui 8 a colori e 7 in bianconero) formato 100x130 cm. e 20 fotografie a colori formato

80x100 cm. Le immagini spettacolari, realizzate riprendendo la città dalla sommità delle 7 Torri di Stalin, grattacieli costruiti tra gli anni ’40 e ’50, descrivono le recenti metamorfosi del paesaggio urbano di Mosca, consentendo una sorta di “immersione” nella città. “Istanbul 05.010”, 30 fotografie di formati diversi, in bianconero e a colori, che mostrano le complesse trasformazioni urbane della metropoli turca, do-

cumentate da Gabriele Basilico durante due campagne realizzate rispettivamente nel 2005, su invito della IX Biennale Internazionale di Istanbul, e nel 2010, in occasione di Istanbul Capitale Europea della Cultura. Gabriele Basilico, uno dei maestri della fotografia contemporanea, è nato a

Milano nel 1944. Architetto di formazione, dalla fine degli anni ’70, si è dedicato completamente all’attività di fotografo, concentrando il suo sguardo sul paesaggio urbano. Fino ad oggi Gabriele Basilico ha prodotto e partecipato a numerosissimi progetti in Italia e all’estero, che hanno generato mostre e libri, tra i quali “Bord de mer” (1990), “Porti di mare” (1990), “Beirut” (1991), “L’esperienza dei luoghi” (1994), “Sezioni del paesaggio Italiano” (1998), “Interrupted City” (1999), “Cityscapes” (1999), “Scattered City” (2005), “Intercity” (2007) “Silicon Valley” (2007), “Roma” (2007). Da sempre Basilico intreccia la sua instancabile indagine sulla morfologia e le trasformazioni della città e del paesaggio contemporaneo con attività seminariali, lezioni, conferenze, e riflessioni presentate anche attraverso scritti, video e documenti. Periodo di mostra: 18 dicembre 2010 – 31 gennaio 2011 Inaugurazione: sabato 18 dicembre ore 17,30 Sede: Centro Italiano Arte Contemporanea, Via del Campanile 13 Ingresso: libero Info e Segreteria: tel. 347 4581221, fax 0742 357035 Email: info@centroitalianoartecontemporanea.it Sito web: www.centroitalianoartecontemporanea.com


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FOLIGNO GENNAIO 2011

Per un anno migliore Giordano Bruno Giordano Bruno, al secolo Filippo Bruno, il nome proprio lo mutò secondo la regola entrando nell’ordine dei frati domenicani, è nato a Nola nel 1548 e sarà ucciso a Roma il 17 febbraio 1600. E’ oggettivamente impossibile riassumere in un articolo di giornale non solo la sua opera, che spaziò vastamente dalla filosofia, alla matematica, alla letteratura, ma la stessa dinamica della sua vita. E’ certo che entrò nell’ordine conventuale domenicano non per vocazione ma, com’era allora necessità (e lo resterà per diversi secoli), per poter studiare e, ancora, non tanto (o per nulla) la teologia, ma la filosofia e le scienze matematiche. Non bisogna peraltro pensare che i conventi fossero all’epoca luogo di studio e di preghiera; nel periodo della sua permanenza nell’ordine dei frati di San Domenico Maggiore vi furono 18 sentenze di condanna per abusi sessuali e persino omicidi (lui stesso compose l’opera il “Candelaio” riferendosi a un suo confratello sodomita). Lasciato il convento si trasferì nel 1576 a Roma dove, stando alle cronache di allora, vigeva una assoluta anarchia sotto il governo di Papa Gregorio XIII, con un elevatissimo numero di omicidi a tutti i livelli sociali; lo stesso Bruno venne accusato di avere ucciso e gettato nel Tevere un frate e perciò fu costretto a fuggire da Roma e a gettare l’abito monacale riprendendo il nome di Filippo. L’abito monacale lo riprenderà più tardi a Venezia quando si trovò nel pieno di una violenta epidemia di peste, nella quale morì anche Tiziano, e ciò lo indusse a rientrare nel “sistema” dell’ordine monacale che gli consentì di lasciare Venezia e iniziare un lunghissimo pellegrinaggio per quasi tutte le università europee, sia del continente che in Inghilterra, dove insegnò, scrisse e pubblicò un numero notevole di testi nelle diverse discipline. Bruno era sostanzialmente un ateo, o quanto meno un panteista, e dunque non era legato ad alcuna confessione religiosa, cosicché fu calvinista in Svizzera, protestante in Germania, anglicano in Inghilterra e di nuovo cattolico in Francia; qualsiasi “veste”

purché potesse continuare a studiare, insegnare, scrivere e pubblicare. Nel 1591, dopo tanto viaggiare per l’Europa, Bruno tornò in Italia a Padova e poi a Venezia dove venne accusato di blasfemia e arrestato dalla inquisizione veneziana, che poi lo consegnò a quella romana. A Roma Bruno fu detenuto nelle carceri del Palazzo del Sant’Ufficio, dove fu ripetutamente torturato mentre venivano raccolte le prove e messe a punto le accuse di eresia a suo carico. A causa delle torture Bruno fu sul punto di abiurare, avendo posto la “singolare” condizione che l’abiura avrebbe avuto valore da quel momento in avanti, con ciò confermando la validità delle sue tesi precedenti. Alla fine comunque rifiutò l’abiura e l’8 febbraio 1600 fu costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo; i resoconti del processano narrano che a quel punto Bruno di alzò e indirizzò ai suoi giudici la storica frase: “Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla”. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua in giova, cioè serrata da una morsa perché non potesse parlare, venne condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere. La Chiesa romana mise al rogo con l’autore anche tutte le sue opere che, tuttavia, continuarono a circolare ed essere pubblicate nel resto dell’Europa al punto che, al risveglio dell’illuminismo, Bruno venne considerato un precursore di Spinoza e di Cartesio; la sua condanna e l’esecuzione, purtroppo esclusero per lunghissimo tempo l’Italia dello sviluppo culturale e scientifico del “secolo dei lumi” (l’illuminismo). Recentemente la Chiesa romana ha reso noto il suo “dispiacere” per l’uccisione di Giordano Bruno, molto meno per la (tentata) distruzione delle sue opere, ma, come scrisse Giuseppe Garibaldi nel suo testamento: “E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada”.

Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo... l'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo Giordano Bruno


l’Oppio dei Popoli supplemento al numero 1 - Anno III - gennaio 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

“La religione è l’oppio del popolo” (Karl Marx)

Questo inserto è dedicato al tema della religione, o più esattamente al passaggio dalla religiosità alla religione, alle innumerevoli religioni intese come organizzazioni strutturate del potere spirituale, cioè di quel potere che domina i corpi soggiogandone le menti. A queste “organizzazioni” si riferisce precisamente l’affermazione di Marx. Altra cosa è la religiosità quale tensione, quasi naturale, dell’uomo a trascendere dalla materialità contingente e quotidiana verso aspirazioni per così dire più elevate, emotive e sentimentali. Credere è legittimo e naturale come mangiare o pensare; istituzionalizzare, disciplinare, catechizzare le credenze, qualunque esse siano (profezie, divinità, extraterrestri) è innaturale, è contro natura, come violentare, sottomettere e sfruttare. Questo inserto, come tutti gli altri d'altronde, non ha alcuna pretesa scientifica in termini di esaustività e completezza espositiva dei diversi argomenti che verranno di seguito trattati. Come tutti gli inserti si propone un obiettivo molto più modesto ma, almeno a giudizio dell’estensore, assai più importante: quello di “provocare”, di stimolare interessi e curiosità, ma anche dibattiti e confronti. Il taglio è inequivoco e rispecchia l’impostazione culturale e morale dell’editore, può quindi essere legittimamente considerato “di parte”, ma tutti gli argomenti, i dati, le notizie, le informazioni utilizzate hanno un preciso riscontro documentale. Ben vengano repliche e contestazioni purché assistite dallo stesso rigore mentale e documentale (documentato). Ancora una avvertenza e una considerazione. Potrà sembrare che un tema così vasto e importante venga affrontato con eccessiva semplicità, non sostenuta da una adeguata competenza di studi e di titoli accademici. La religione, o più correttamente in questo caso la religiosità, è patrimonio comune e uguale di tutti gli esseri umani, come la vita o la libertà; possono esserci sicuramente degli studiosi dell’una o dell’altra materia più preparati e ferrati, ma nessuno studio, nessun titolo accademico sposta di un’unghia (uno “iota” direbbero gli studiosi della Bibbia) l’eguaglianza dei diritti di credo, pensiero e negazione (se del caso). Infine, non se ne abbiamo a male gli studiosi delle scienze divine (teologi, teosofi, ayatollah, guru o quanti altri) ma per chi scrive, comunista e quindi inconciliabilmente ateo, appare assai difficile riconoscere una pur minima dignità scientifica a discipline fondate su “ciò che non esiste”.

Dalla religiosità alla religione L’eterno (e alterno) scontro tra il potere laico e il potere religioso Pressoché tutti i testi sulla storia delle religioni affermano che lo spirito religioso comincia a manifestarsi nel momento del passaggio dall’uomo “habilis” a quello “sapiens” sotto la spinta di due sentimenti: lo stupore e la paura. Stupore davanti alla consapevolezza di fenomeni misteriosi: il sole che rinasce tutte le mattine, il fuoco che illumina e scalda; paura davanti magari a quegli stessi fenomeni, ma visti dal lato negativo: il sole che muore al tramonto e viene sopraffatto dalla notte buia, il fuoco che brucia e devasta. L’evoluzione, anche organica, del corpo e della mente dell’uomo “sapiens” divenuto “sapiens sapiens” (la nostra specie attuale) nel tempo ha svelato la naturalità di alcuni misteri e dissipato talune paure dell’ignoto, ma nello stesso tempo ha fatto spazio a uno stupore e a una paura sempre più grandi: il mistero della vita e il dramma della morte. L’atteggiamo dell’uomo di fronte a questi fenomeni, tanto magici che paurosi, è

tuttavia sostanzialmente rimasto lo stesso: gratitudine per le cose belle; paura e soggezione per quelle brutte. Il canto, la danza, la festa in segno di gratitudine per le cose belle; il pianto, la preghiera, il sacrificio per la paura di quelle brutte. Alla madre terra, a Cerere o Vesta e ancora a Maria precristiana il ringraziamento per la fertilità, cioè per la bellezza della vita; ai vari demoni del cielo e degli inferi i sacrifici di sangue, cioè l’offerta del bene massimo della vita, sia essa animale o umana (Abramo che offre a Jehovah la vita del figlio legittimo Isacco, sino allo stesso Dio dei cristiani che sacrifica a se stesso la vita del proprio figlio Cristo). Gestire questi sentimenti, soprattutto quelli dettati dalla paura, è ben presto apparso un elemento di potere per il governo laico degli uomini. E’ in quel momento che la religiosità si è (è stata) trasformata in religione, in un sistema, cioè, di regole e di riti dialetticamente creati e creatori di loro interpreti, depositari e tutori.

Nascono così le figure e i ruoli culturali e sociali degli “intermediari” con le divinità: i “religiosi”. Resta l’aspetto politico, la relazione cioè tra il potere laico del governo delle comunità con il nuovo potere religioso che di quelle comunità, ovvero dei singoli componenti di quelle comunità, governa il lato emotivo delle menti. La storia ha tramandato, con alterna fortuna ancora oggi assolutamente attuale, almeno tre modelli principali di relazioni tra i due poteri laico e religioso. Un primo modello, certamente il più remoto, vede il potere laico controllare il potere religioso e farne strumento di consolidamento per il proprio controllo sulle comunità. E’ questo, tra i tanti, il modello adottato dai romani che, dal secondo re di Roma Numa Pompilio creatore della istituzione religiosa del “pontefice massimo” nel 700 circa avanti Cristo, sino all’imperatore Costantino artefice e supervisore del primo Concilio ecumenico di Nicea del 325 dopo Cri-

sto, hanno sottoposto la religione al controllo del potere statuale laico, tecnicamente aggiungendo alla massima carica laica (reale, consolare o imperiale) anche quella religiosa. In epoca molto più recente lo stesso modello è stato adottato dall’Inghilterra, che non a caso è la più diretta e fedele erede della cultura giuridica romana occidentale, con lo scisma della chiesa anglicana voluto nel 1.500 da Enrico VIII, proclamatosi ad uno stesso tempo re d’Inghilterra e capo della chiesa cristiana anglicana. Il secondo modello consiste nell’esatto opposto, e cioè nel potere religioso che si fa anche potere laico o temporale, a volte sovrapponendo a tutti gli effetti le due funzioni, altre volte sminuendo quella laica in dipendenza assoluta da quella religiosa. E’ questo il modello adottato, sempre tra i tanti, dalla Chiesa cattolica romana con il Papa Re, dal buddhismo tibetano con il Dalai Lama, da taluni stati d’area musulmana con ayatollah, capi supremi religiosi, sovraordinati ai po-

teri politici anche laddove di origine elettiva. Nel terzo modello di relazioni laico/religiose i due poteri, giuridicamente e strutturalmente ben distinti e reciprocamente autonomi nei loro specifici ambiti, convivono in un regime di costante scontro/confronto che vede il primo potere, quello laico, cercare ripetutamente il necessario supporto del potere religioso per il rafforzamento del proprio controllo della comunità amministrata e, viceversa o reciprocamente, quest’ultimo tentare continuamente di interferire nelle prerogative e nell’autonomia del primo per indirizzarne la condotta verso i propri precetti morali/religiosi, pur senza realizzare una totale confessionalità del potere laico. E’ questo il modello adottato, tra i tanti, dallo Stato italiano con la sottoscrizione nel 1929 dei Patti lateranensi tra la Chiesa cattolica romana e lo stato fascista, poi rimasti confermati dall’art. 7 della Costituzione repubblicana, in virtù del quale, ad esempio, l’attuale presidente della Conferenza Episco-

pale Italiana (CEI), di nomina diretta del Papa romano, è anche un generale (a tutti gli effetti anche retributivi e pensionistici) dell’esercito italiano quale comandante dell’ordine (arma?) dei cappellani militari. C’è però anche un quarto modello che circa un ventennio fa sembrava sconfitto, ma che invece conferma il suo valore sempre più valido ed esemplare, che vede in uno Stato laico e aconfessionale la possibilità della libera espressione di qualsiasi pratica religiosa, alla sola condizione che resti rigorosamente confinata nel proprio ambito puramente spirituale, esterna ed estranea rispetto a qualsiasi interferenza nella vita sociale laica. In questo caso, diversamente dal citato modello romano, lo Stato non assume alcuna posizione, né stabilisce alcuna relazione organica con le varie religioni e le loro chiese, restandone esterno ed estraneo nello stesso modo reciprocamente imposto a queste ultime rispetto alle questioni non religiose. E’ questo il modello applicato, con maggiore o minore attenzione e successo, nelle esperienze dei dissolti sistemi del socialismo reale, ma pienamente riuscito e funzionante in quelli emergenti del comunismo dell’estremo oriente e centro-sudamerica.

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Tenzin Gyatso

Paolo, l’uomo che inventò il cristianesimo Ricostruire la vicenda della nascita e della strutturazione della religione cristiana è una operazione estremamente difficile e dagli esiti assai incerti, anzitutto perché i materiali documentali, tanto quelli acquisiti all’ufficialità delle innumerevoli chiese cristiane, quanto quelli giudicati apocrifi, sono tutti molto successivi agli eventi narrati e, soprattutto, fortemente e più volte manipolati nel tempo. La ragione di questa difficoltà è proprio nella peculiarità di una religione che, nata da un sentimento di intolleranza etnica e di ribellione politica, diviene invece patrimonio universale plurietnico e soprattutto viene acquisita proprio da coloro che all’origine ne erano i nemici destinati. Tale evoluzione ha comportato la necessità di apportare ripetute modifiche sia ai contenuti dei messaggi religiosi, che alle stesse vicende storiche o leggendarie presupposte. Del Gesù di Nazaret, poi identificato con il Cristo, non v’è alcuna documentazione storica; circostanza che non colpisce trattandosi della vita e della morte del figlio di un falegname, avvenuta peraltro in circostanze e con modalità assai diffuse in quel contesto geo-politico caratterizzato da diffusi focolai di rivolta, prevalentemente attuata con tecniche terroristiche e fanatismo religioso sacrificale. Se è mai esistito un Gesù di Nazaret, o forse meglio i tanti Gesù realmente vissuti in quell’epoca, erano sicuramente dei ribelli, o terroristi secondo la legge degli invasori romani, che predicavano,

anzi incitavano sino al martirio, la lotta armata di liberazione dagli invasori. Di questo (o questi) Gesù ribelle e combattente sino alla pena della crocifissione applicata agli insorti (terroristi, secondo la lingua degli occupanti che, come sempre nella storia, non riconoscono la dignità di combattenti ai sudditi ribelli), vi sono ancora testimonianze sino quasi alla definitiva omologazione del cristianesimo come religione di Stato da parte dell’imperatore Costantino. La figura del Gesù propagandata dall’attuale religione cristiana, predicatore mite e pacifico, vittima di un tragico errore giudiziario incolpevolmente commesso dei dominatori romani ingannati dalla falsità e dal tradimento degli ebrei irriducibili, è una creazione attenta, consapevole e lungamente elaborata proprio da Paolo, Saul di Tarso, l’apostolo “non apostolo”, l’ebreo cosmopolita convertito alla cultura della convivenza con i “gentili”. Con Paolo, Gesù, da icona di rivolta, diviene messaggero di convivenza, termine che per le classi e per i sistemi politici dominanti significa sottomissione e obbedienza delle classi e dei popoli dominati.

L’opera di revisione e ricostruzione della figura universalistica del Gesù ebreo, divenuto il Cristo figlio di dio, si realizza proprio con la collocazione a Roma, nel cuore e nel cervello dell’impero dominatore, della sede della chiesa cristiana strutturata e militarizzata. Il modello di organizzazione gerarchica militarizzata e soprattutto la tecnica dell’oc-

cultamento e dell’infiltrazione Paolo la trae proprio dalla sua precedente esperienza di ebreo ribelle, aderente a una delle diverse formazioni insurrezionali terroristiche operanti nella Palestina all’epoca della sua giovinezza (anche se in verità, e anche

XIV Dalai Lama, ultimo “Papa Re” del Tibet questo è un mistero non di poco conto, della vita di Saul/Paolo si sa bene poco e la sua vicenda storica scompare d’improvviso, così com’era apparsa, senza lasciare tracce). La costruzione dell’organismo strutturato della chiesa universale cristiana si compie trecento anni dopo il presunto evento della predicazione del Cristo, a opera dell’imperatore Costantino che, da universale, rende la religione, cioè la chiesa cristiana, unica e che, con il primo concilio di Nicea da lui stesso organizzato e presieduto, da il via alla persecuzione delle eresie, con tale termine indicandosi tutte le altre correnti del cristianesimo non omologate alla lettura e nella chiesa ufficiale. Come la storia successiva ci ha insegnato la pretesa della affermazione e della conservazione della unicità e unitarietà della chiesa cristiana è stata fonte di violenze indescrivibili che forse non hanno avuto paragone in alcuna altra vicenda di estremismo etnico o politico: dai barbari invasori dell’impero romano, ai mongoli di Gengis Kahn, sino all’ultima follia collettiva fascista e nazista. Chissà se Paolo quando ha creato la religione/chiesa cristiana poteva immaginarne le tremende conseguenze.

Dalla luce della ragione all’oscurità del fanatismo religioso. La lunga parabola della civiltà araba

II

ché, persa la conoscenza della lingua greca, gli occidentali non erano stati più in grado di leggere quei testi. Fu grazie agli arabi, che avevano imparato il greco, che quelle opere vennero recuperate e tradotte anche in latino, per poter poi tornare alla conoscenza dell’occidente ancora latino. Straordinaria fu in quel tempo e a quel fine l’opera di due grandi studiosi e scienziati arabi: il medico Avicenna, in arabo Ibn Sina, e il filosofo e matematico Avveroè, in arabo Abu I-Walid Muhammad, ritenuto il più grande studioso di Aristotele. La fioritura della civiltà arabo-islamica, che si era estesa dal nord Africa al sud dell’Europa, nelle isole mediterranee e nel sud della Spagna, per quanto grandiosa fu tuttavia di breve durata, il giusto tempo per consentire all’occidente imbarbarito di recuperare la storia e la cultura greco-latina e uscire dal suo Medio evo per intraprendere il proprio Rinascimento, nuovamente sotto la “stella” della cultura ellenistica e di Aristotele in particolare.

Nel frattempo l’Islam precipitava sotto le devastanti penetrazioni dei nuovi barbari: turchi, mongoli e berberi.

Statua di Avicenna in Tagikistan

E’ in questo contesto di collasso economico, sociale e culturale che si fa avanti e si impone in tutto il mondo arabo, e convertito all’Islam, il predominio della religione che, come primo effetto, si ritorce contro la stessa storia del suo popolo, aggredendo radicalmente il patrimonio

L’idea di Dio è un prodotto della conformazione organica e del funzionamento elettro-chimico del nostro cervello (tratto da un articolo di Sharon Begley pubblicato su La Repubblica il 31 gennaio 2001)

Da Aristotele e Komeini Dopo aver completato la conquista militare e politica del medio oriente, giungendo sino alle porte di Bisanzio, il mondo arabo-islamico si lanciò alla conquista della civiltà, della scienza e della filosofia greche. Tutte le opere scientifiche e filosofiche greche vennero tradotte e persino, come nel caso di Platone, commentate e parafrasate. Aristotele, in particolare, venne riconosciuto dalla cultura e dalla scienza araba come la figura di riferimento per eccellenza. Il mondo arabo allora si sentiva e si proclamava erede e continuatore del mondo ellenistico. Iniziava allora la civiltà del Medio evo arabo che, in verità, era un vero e proprio Rinascimento, mentre l’occidente era sprofondato nel più oscuro Medio evo cristiano, avendo perso, salvo rarissime eccezioni, la memoria della precedente storia e cultura latina e in particolare completamente di quella greca. I romani, infatti, conoscevano il greco e quindi moltissime opere greche all’epoca non vennero tradotte in latino sic-

Dio nel cervello Le nuove frontiere della neuroteologia

acquisito della cultura ellenistica e demonizzandone la filosofia, la scienza, l’arte e la letteratura quali cause di allontanamento e di negazione della divinità. Il Medio oriente si impoverisce e cade quindi sotto la dominazione degli Ottomani, etnia caucasica convertita all’Islam, che riesce a conquistare Bisanzio ponendo fine a quel che restava dell’Impero Romano d’Oriente. La fede religiosa restò così l’ultimo collante del vastissimo mondo arabo e, grazie soprattuto ai turchi, si diffuse anche oltre il Medio oriente sino a raggiungere il cuore dell’Asia caucasica, sino in Siberia, nella penisola indiana e negli arcipelaghi dell’oceania. La crisi economica, sociale e culturale del nord Africa e del Medio oriente non è ancora terminata e dunque ancora forte è il ruolo retrivo della religione, pronto a riaffiorare in tale forma anche nelle altre realtà islamizzate centro asiatiche di recente ricadute nel caos e nella povertà in seguito al collasso dell’Unione Sovietica.

Andrew Newberg, dell'Università di Pennsylvania, ha sottoposto un giovane monaco tibetano a un esperimento rigorosamente scientifico. Al monaco è stato iniettato un liquido di contrasto idoneo a evidenziare, attraverso un apparecchio diagnostico denominato Spect, le variazioni delle attività dei singoli lobi del cervello nel corso di una seduta di meditazione religiosa. Al culmine della concentrazione meditativa del monaco la regione dell'encefalo posteriore, che compone i dati sensori che danno la sensazione di dove finisce l’ “io” e inizia invece il resto del mondo, sembra essere stata vittima di un black out. Privata degli input sensori perché l'uomo è concentrato sulla sua interiorità, questa "zona di orientamento" non può svolgere il suo compito di marcare il confine tra l' “io” e il mondo. "Il cervello non aveva scelta", ha spiegato Newberg, "percepiva l' “io” come infinito, un tutt'uno con il creato”. Newberg insieme a Eugene d'Aquili, ha chiamato questo campo della scienza neurologica: neuroteologia. Le conclusioni alle quali sono giunti i due studiosi affermano che le pulsioni spirituali sono l'inevitabile conseguenza della configurazione cerebrale: "Il cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa". Anche la semplice preghiera ha un effetto particolare a livello

cerebrale. Nelle immagini cerebrali registrate dalla Spect riferite a suore francescane in preghiera si è rilevato un rallentamento di attività nell'area deputata all'orientamento, che dava alle suore un senso tangibile di unione con Dio. "L'assorbimento dell' “io” all'interno di qualcosa di più vasto, non deriva da una costruzione emotiva o da un pensiero pio", scrivono Newberg e d'Aquili "scaturisce invece da eventi neurologici". La neuroteologia spiega come il comportamento rituale susciti stati cerebrali da cui deriva una vasta gamma di sensazioni, dal sentirsi parte di una comunità, all'avvertire un'unione spirituale profonda. Le nenie infondono un senso di quiete che i credenti interpretano come serenità spirituale. Al contrario, le danze dei mistici Sufi provocano una ipereccitazione che può dare ai partecipanti la sensazione di incamerare l'energia dell'universo. Questi rituali riescono ad attingere proprio a quei meccanismi cerebrali che fanno sì che i fedeli interpretino le sensazioni come prove dell'esistenza di Dio. I rituali quindi tendono a focalizzare l'attenzione sulla mente, bloccando le percezioni sensoriali, incluse quelle che la zona deputata all'orientamento utilizza per stabilire i confini dell' “io”. Ecco perché persino i non credenti talune volte possono anche commuoversi durante riti religiosi ai quali non credono. "Finché il nostro cervello avrà questa struttura", conclude Newberg, "Dio non andrà via".

La manna, il cibo di Dio che porta alla visione di Dio (tratto da John Allegro – “Il fungo sacro e la croce”) Più volte nell’Antico Testamento viene citata la “manna”, in riferimento al cibo di cui si nutrì il popolo d’Israele durante il cammino nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto. Il primo riferimento della Bibbia alla manna è nel libro dell'Esodo. Qui infatti è scritto che dopo sei settimane di vagabondaggio gli ebrei iniziarono a lamentarsi con Mosè di essere stanchi ed affamati. Allora il Signore disse a Mosè: "Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no” (16:4). “Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco che sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. A tale vista i figli d'Israele si chiesero l'un l'altro: “Che cos'è questo?” perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: “Questo è il pane che il Signore vi ha dato per cibo”. (16:14,15) La descrizione della manna coincide facilmente con la

descrizione dei funghi psilocibinici. I funghi magici sono piccoli e rotondi e poiché germogliano così velocemente sembrerebbero comparire durante la notte, come se venissero dal cielo. Inoltre, chiunque li raccolga immediatamente noterebbe che si colorano d'azzurro e non hanno radici, ragioni in più per pensare che i funghi fossero d'origine celeste. Si noti che la manna non cade dal cielo, ma è descritta come un qualcosa che viene con il gelo e l'umidità, durante le stagioni delle piogge. Queste sono le condizioni atmosferiche precise affinché i funghi prosperino. E' inoltre interessante notare che Mosè dica agli ebrei che la manna viene direttamente dal cielo e se non la mangeranno non cammineranno nella legge del Dio. Questa è la prova che la manna è dotata di un potere spirituale insolito. Tuttavia, la manna non conferisce automaticamente potere spirituale. Invece, serve da prova. I funghi magici fornirebbero le esperienze visionarie che certamente assicurerebbero che tutti se ne sono cibati. Mosè inoltre ha detto che la manna è letteralmente "pane del signore", il che è notevolmente simile al nome azteco per i

funghi psilocybe: "carne degli dei". Che cosa è stato detto da Mosè a proposito della manna che deve essere messa da parte per le generazioni future? In Ebrei 9:3-4 troviamo: Dietro il secondo velo poi c'era una Tenda, detta Santo dei Santi, con l'altare d'oro per i profumi e l'arca dell'alleanza tutta ricoperta d'oro, nella quale si trovavano un'urna d'oro contenente la manna. La manna doveva essere mantenuta nel più santo di tutti i luoghi: l'arca del patto! Gli ebrei, i cristiani e i musulmani devono dunque le loro radici ai figli d'Israele, che per quaranta anni hanno mangiato la manna e si sono visti come il popolo scelto da Dio. Se la manna è effettivamente un fungo psilocibinico, allora questo significa che il Corano, la Bibbia e la Torah sono stati ispirati dalle esperienze indotte dai funghi magici. E i fondamenti stessi su cui queste religioni si basano derivano dall'esperienza col fungo. Mosè ed i figli d'Israele avrebbero usato i funghi come sacramento per comunicare con una più alta potenza, anche conosciuta come Allah, Dio e Yahweh.

Una endemica ignoranza della cultura occidentale per tutto ciò che non è, per l’appunto, occidentale, ha condotto a uno scarso interesse e attenzione per il pensiero buddhista che, nei duemilacinquecento anni dalla predicazione del Buddha, si è diffuso e ha permeato l’intero continente orientale, vasto almeno la metà dell’intera popolazione mondiale. Il buddhismo, erroneamente inteso come una religione alternativa a quelle monoteiste mediorientali e politeiste diffuse un poco in tutto il mondo (il buddhismo è una filosofia e Buddha non è divino, né profeta di un dio), è stato sostanzialmente scoperto dall’occidente dopo la fuga del Dalai Lama dal Tibet integrato nell’ “unico cielo” della Cina Popolare. Ambasciatore e propagatore del buddhismo in occidente è stato proprio l’ultimo Dalai Lama Tenzin Gyatsu, grazie anche alla sua conoscenza della lingua inglese e all’ambiguo ruolo svolto, consapevolmente o meno, nel complesso giochi della politica mondiale. Il buddhismo propagandato dal Dalai Lama è, tuttavia, solo una versione assolutamente minore del vastissimo universo delle scuole di pensiero che si rifanno all’insegnamento di Siddhartha Gautama, il Buddha storico nato nel 566 avanti Cristo. Per dare un ordine di misura si potrebbe dire che il buddhismo tibetano, quello che fa capo al Dalai Lama, sta all’intero buddhismo come la Chiesa valdese sta al cristianesimo nella somma delle sue innumerevoli sette. Nessun rapporto organico, fatta eccezione per il riferimento al comune “maestro”, sussiste infatti tra la guida del Dalai Lama e i monaci birmani, tailandesi o giapponesi. Il buddhismo tibetano è sostanzialmente diffuso solamente in Tibet e negli stati limitrofi dove, alcune centinaia di anni prima, migrarono un grande numero di tibetani sotto la spinta dell’invasione mongola che fece del Tibet una provincia dell’impero mongolo e istituì, per la prima volta nel 1578, la figura del primo Dalai Lama, Sonam Gyatso, feudatario del sovrano mongolo Altan Khan. Fu proprio quest’ultimo che, nello scegliere quale governatore del Tibet il monaco buddhista di più alto rango e riconoscimento locale, coniò il termine Dalai Lama, variamente tradotto in “oceano di saggezza”. Da allora il feudatario dei monarchi mongoli conservò, anche durante le alterne vicende dell’impero mongolo, il ruolo di suprema autorità politica e amministrativa e, nello stesso tempo, quello di suprema autorità spirituale; in sostanza un ruolo e un potere affatto simile a quello del “Papa Re” della chiesa cattolica romana sino alla “breccia di porta Pia”. Diversamente dalla vicenda italiana, tuttavia, quando l’esercito del Popolo cinese aprì la “breccia” dell’altopiano tibetano, il Dalai Lama non venne rinchiuso nel suo palazzo del Potala, come avvenne per Pio IX dentro le mura del Vaticano, ma, deposto come autocrate, venne inserito nel governo dello Stato autonomo del Tibet, parte in-

scindibile della Repubblica Popolare cinese. In tale ruolo il giovane Dalai Lama, appena incoronato monarca all’età di 15 anni, restò per 9 anni, dal 1950 al 1959, quando si mise (o fu messo) a capo di una rivolta nazionalista tibetana che provocò la reazione cinese e lo costrinse a emigrare in India con poche centinaia di seguaci dei ranghi più alti del vecchio regime. Proseguendo con il parallelismo con le analogie di “casa nostra” va detto che, se quando i bersaglieri italiani entrarono con le baionette in canna nella città santa (eterna), Roma era poco più di un grande paesone tutto all’interno delle mura aureliane, il Tibet era sostanzialmente ancora in pieno medio evo. A parte una spaventosa povertà, in qualche modo coerente con l’asperità e la povertà agricola e produttiva dell’immenso ma sterile altipiano tibetano, nel 1950 (per intenderci gli anni del boom economico italiano) in Tibet vigeva la “servitù della gleba”, un regime di sostanziale schiavitù che legava a vita uomini e famiglie ai terreni, e quindi ai proprietari dei terreni, nei quali vivevano e lavoravano. Non c’era alcun sistema sanitario, l’istruzione era esclusivamente riservata ai monaci (o percorsi di istruzione simili a quelli dei seminari cristiani) e comunque dalla stessa erano escluse le donne. Vigeva in sostanza un sistema pienamente feudale dove i feudatari, i padroni delle terre, degli armenti, degli esseri umani dedicati alla coltivazione o all’allevamento, erano i monaci buddhisti, secondo un sistema rigorosamente gerarchico che conduceva al potere assoluto, temporale e spirituale, del Dalai Lama. Oggi il Tibet, lo Stato Autonomo del Tibet, è forse uno dei territori più sviluppati del mondo grazie a investimenti enormi fatti dalla Repubblica Popolare in quella come nelle altre regioni a minoranza etnica, collegato alla capitale Pechino con treni pressurizzati come aeroplani che viaggiano a 5.000 metri di altitudine, autostrade e aeroporti internazionali collocati a oltre 4.000 metri di quota (come dire... in cima al Monte Rosa). Un solo dato sarà sufficiente per dare l’idea dello sviluppo di cui il Tibet ha goduto negli oramai 60 anni dall’unificazione con la Repubblica Popolare cinese: l’aspettativa di vita della popolazione tibetana è salita dai 30 anni del 1950 agli attuali 70 anni (e oltre). Il Tibet, o meglio la questione tibetana/cinese, è stato tuttavia da subito un terreno di aspro scontro, ancorché indiretto e sotterraneo, tra la visione politica del mondo delle vecchie e nuove potenze colonialiste occidentali, e la emergente politica rivoluzionaria della Cina comunista. Attorno alla figura e al ruolo “carismatico” del Dalai Lama sono state giocate molte “partite politiche”, che a volte lo hanno visto docile strumento, altre volte parte consapevole e attiva. E’ un dato certo che il Dalai Lama ha ripetutamente accettato consistenti aiuti economici dalla CIA americana per sostenere e finanziare un

irredentismo etnico, potenzialmente capace di destabilizzare la presenza cinese in quella vastissima area a ridosso del sub continente indiano. Al Dalai Lama, critiche interne allo stesso movimento buddhista tibetano, hanno più volte imputato il vizio, per così dire “tipico” della chiesa cattolica, della vendita delle indulgenze necessarie a finanziare il sostentamento economico della sua vasta organizzazione religiosa, ma anche opportune per entrare nelle stanze del potere occidentale, pur sempre nella speranza di riuscire e rinegoziare un rientro ufficiale nel nuovo Tibet cinese. Se al Dalai Lama si può riconoscere l’oggettiva debolezza di una condotta sovente molto ondivaga (in passato in occasione di negoziati con il governo cinese che sembravano riaprirgli le porte del Tibet il Dalai Lama si era perfino dichiarato un buddhista marxista), assai più grave è la sfacciata ipocrisia della grande parte della politica occidentale, prima tra le quali quella italiana. Encomiato di lodi per la sua lotta pacifica, premiato con Nobel, lauree honoris causa e cittadinanze (Roma e Torino), il Dalai Lama è stato altrettante volte “scartato” quando la sua vicinanza poteva mettere in discussione gli interessi economici e di setta dei così detti poteri forti; e ciò tanto dal governo Prodi che dal sindaco di Milano Moratti, sino soprattutto al Papa cattolico, assai più interessato a concordare i termini di convivenza della chiesa cattolica con il governo popolare cinese che a difendere la altrui libertà religiosa (concorrente). Il più eclatante esempio di ipocrisia lo ha comunque rappresentato la “martire dei diritti civili”, tale Emma Bonino, ministro dei governi di destra come di sinistra, commissaria europea dei governi di destra e candidata governatrice del Lazio per la sinistra, eroica combattente per i diritti del popolo tibetano sotto la luce dei riflettori delle Olimpiadi di Pechino e poi, a fotoelettriche spente, ...in fin dei conti in Italia siamo cattolici, ai monaci tibetani ci pensino i buddhisti... Queste falsità dell’occidente l’oramai settantacinquenne Tenzin Gyatso forse le ha capite quando, avendo probabilmente perso la speranza di rientrare in Tibet da Dalai Lama, ha annunciato che forse non rinascerà più e che questo è il suo ultimo ciclo di vita terrena. Speriamo.

III


Tenzin Gyatso

Paolo, l’uomo che inventò il cristianesimo Ricostruire la vicenda della nascita e della strutturazione della religione cristiana è una operazione estremamente difficile e dagli esiti assai incerti, anzitutto perché i materiali documentali, tanto quelli acquisiti all’ufficialità delle innumerevoli chiese cristiane, quanto quelli giudicati apocrifi, sono tutti molto successivi agli eventi narrati e, soprattutto, fortemente e più volte manipolati nel tempo. La ragione di questa difficoltà è proprio nella peculiarità di una religione che, nata da un sentimento di intolleranza etnica e di ribellione politica, diviene invece patrimonio universale plurietnico e soprattutto viene acquisita proprio da coloro che all’origine ne erano i nemici destinati. Tale evoluzione ha comportato la necessità di apportare ripetute modifiche sia ai contenuti dei messaggi religiosi, che alle stesse vicende storiche o leggendarie presupposte. Del Gesù di Nazaret, poi identificato con il Cristo, non v’è alcuna documentazione storica; circostanza che non colpisce trattandosi della vita e della morte del figlio di un falegname, avvenuta peraltro in circostanze e con modalità assai diffuse in quel contesto geo-politico caratterizzato da diffusi focolai di rivolta, prevalentemente attuata con tecniche terroristiche e fanatismo religioso sacrificale. Se è mai esistito un Gesù di Nazaret, o forse meglio i tanti Gesù realmente vissuti in quell’epoca, erano sicuramente dei ribelli, o terroristi secondo la legge degli invasori romani, che predicavano,

anzi incitavano sino al martirio, la lotta armata di liberazione dagli invasori. Di questo (o questi) Gesù ribelle e combattente sino alla pena della crocifissione applicata agli insorti (terroristi, secondo la lingua degli occupanti che, come sempre nella storia, non riconoscono la dignità di combattenti ai sudditi ribelli), vi sono ancora testimonianze sino quasi alla definitiva omologazione del cristianesimo come religione di Stato da parte dell’imperatore Costantino. La figura del Gesù propagandata dall’attuale religione cristiana, predicatore mite e pacifico, vittima di un tragico errore giudiziario incolpevolmente commesso dei dominatori romani ingannati dalla falsità e dal tradimento degli ebrei irriducibili, è una creazione attenta, consapevole e lungamente elaborata proprio da Paolo, Saul di Tarso, l’apostolo “non apostolo”, l’ebreo cosmopolita convertito alla cultura della convivenza con i “gentili”. Con Paolo, Gesù, da icona di rivolta, diviene messaggero di convivenza, termine che per le classi e per i sistemi politici dominanti significa sottomissione e obbedienza delle classi e dei popoli dominati.

L’opera di revisione e ricostruzione della figura universalistica del Gesù ebreo, divenuto il Cristo figlio di dio, si realizza proprio con la collocazione a Roma, nel cuore e nel cervello dell’impero dominatore, della sede della chiesa cristiana strutturata e militarizzata. Il modello di organizzazione gerarchica militarizzata e soprattutto la tecnica dell’oc-

cultamento e dell’infiltrazione Paolo la trae proprio dalla sua precedente esperienza di ebreo ribelle, aderente a una delle diverse formazioni insurrezionali terroristiche operanti nella Palestina all’epoca della sua giovinezza (anche se in verità, e anche

XIV Dalai Lama, ultimo “Papa Re” del Tibet questo è un mistero non di poco conto, della vita di Saul/Paolo si sa bene poco e la sua vicenda storica scompare d’improvviso, così com’era apparsa, senza lasciare tracce). La costruzione dell’organismo strutturato della chiesa universale cristiana si compie trecento anni dopo il presunto evento della predicazione del Cristo, a opera dell’imperatore Costantino che, da universale, rende la religione, cioè la chiesa cristiana, unica e che, con il primo concilio di Nicea da lui stesso organizzato e presieduto, da il via alla persecuzione delle eresie, con tale termine indicandosi tutte le altre correnti del cristianesimo non omologate alla lettura e nella chiesa ufficiale. Come la storia successiva ci ha insegnato la pretesa della affermazione e della conservazione della unicità e unitarietà della chiesa cristiana è stata fonte di violenze indescrivibili che forse non hanno avuto paragone in alcuna altra vicenda di estremismo etnico o politico: dai barbari invasori dell’impero romano, ai mongoli di Gengis Kahn, sino all’ultima follia collettiva fascista e nazista. Chissà se Paolo quando ha creato la religione/chiesa cristiana poteva immaginarne le tremende conseguenze.

Dalla luce della ragione all’oscurità del fanatismo religioso. La lunga parabola della civiltà araba

II

ché, persa la conoscenza della lingua greca, gli occidentali non erano stati più in grado di leggere quei testi. Fu grazie agli arabi, che avevano imparato il greco, che quelle opere vennero recuperate e tradotte anche in latino, per poter poi tornare alla conoscenza dell’occidente ancora latino. Straordinaria fu in quel tempo e a quel fine l’opera di due grandi studiosi e scienziati arabi: il medico Avicenna, in arabo Ibn Sina, e il filosofo e matematico Avveroè, in arabo Abu I-Walid Muhammad, ritenuto il più grande studioso di Aristotele. La fioritura della civiltà arabo-islamica, che si era estesa dal nord Africa al sud dell’Europa, nelle isole mediterranee e nel sud della Spagna, per quanto grandiosa fu tuttavia di breve durata, il giusto tempo per consentire all’occidente imbarbarito di recuperare la storia e la cultura greco-latina e uscire dal suo Medio evo per intraprendere il proprio Rinascimento, nuovamente sotto la “stella” della cultura ellenistica e di Aristotele in particolare.

Nel frattempo l’Islam precipitava sotto le devastanti penetrazioni dei nuovi barbari: turchi, mongoli e berberi.

Statua di Avicenna in Tagikistan

E’ in questo contesto di collasso economico, sociale e culturale che si fa avanti e si impone in tutto il mondo arabo, e convertito all’Islam, il predominio della religione che, come primo effetto, si ritorce contro la stessa storia del suo popolo, aggredendo radicalmente il patrimonio

L’idea di Dio è un prodotto della conformazione organica e del funzionamento elettro-chimico del nostro cervello (tratto da un articolo di Sharon Begley pubblicato su La Repubblica il 31 gennaio 2001)

Da Aristotele e Komeini Dopo aver completato la conquista militare e politica del medio oriente, giungendo sino alle porte di Bisanzio, il mondo arabo-islamico si lanciò alla conquista della civiltà, della scienza e della filosofia greche. Tutte le opere scientifiche e filosofiche greche vennero tradotte e persino, come nel caso di Platone, commentate e parafrasate. Aristotele, in particolare, venne riconosciuto dalla cultura e dalla scienza araba come la figura di riferimento per eccellenza. Il mondo arabo allora si sentiva e si proclamava erede e continuatore del mondo ellenistico. Iniziava allora la civiltà del Medio evo arabo che, in verità, era un vero e proprio Rinascimento, mentre l’occidente era sprofondato nel più oscuro Medio evo cristiano, avendo perso, salvo rarissime eccezioni, la memoria della precedente storia e cultura latina e in particolare completamente di quella greca. I romani, infatti, conoscevano il greco e quindi moltissime opere greche all’epoca non vennero tradotte in latino sic-

Dio nel cervello Le nuove frontiere della neuroteologia

acquisito della cultura ellenistica e demonizzandone la filosofia, la scienza, l’arte e la letteratura quali cause di allontanamento e di negazione della divinità. Il Medio oriente si impoverisce e cade quindi sotto la dominazione degli Ottomani, etnia caucasica convertita all’Islam, che riesce a conquistare Bisanzio ponendo fine a quel che restava dell’Impero Romano d’Oriente. La fede religiosa restò così l’ultimo collante del vastissimo mondo arabo e, grazie soprattuto ai turchi, si diffuse anche oltre il Medio oriente sino a raggiungere il cuore dell’Asia caucasica, sino in Siberia, nella penisola indiana e negli arcipelaghi dell’oceania. La crisi economica, sociale e culturale del nord Africa e del Medio oriente non è ancora terminata e dunque ancora forte è il ruolo retrivo della religione, pronto a riaffiorare in tale forma anche nelle altre realtà islamizzate centro asiatiche di recente ricadute nel caos e nella povertà in seguito al collasso dell’Unione Sovietica.

Andrew Newberg, dell'Università di Pennsylvania, ha sottoposto un giovane monaco tibetano a un esperimento rigorosamente scientifico. Al monaco è stato iniettato un liquido di contrasto idoneo a evidenziare, attraverso un apparecchio diagnostico denominato Spect, le variazioni delle attività dei singoli lobi del cervello nel corso di una seduta di meditazione religiosa. Al culmine della concentrazione meditativa del monaco la regione dell'encefalo posteriore, che compone i dati sensori che danno la sensazione di dove finisce l’ “io” e inizia invece il resto del mondo, sembra essere stata vittima di un black out. Privata degli input sensori perché l'uomo è concentrato sulla sua interiorità, questa "zona di orientamento" non può svolgere il suo compito di marcare il confine tra l' “io” e il mondo. "Il cervello non aveva scelta", ha spiegato Newberg, "percepiva l' “io” come infinito, un tutt'uno con il creato”. Newberg insieme a Eugene d'Aquili, ha chiamato questo campo della scienza neurologica: neuroteologia. Le conclusioni alle quali sono giunti i due studiosi affermano che le pulsioni spirituali sono l'inevitabile conseguenza della configurazione cerebrale: "Il cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa". Anche la semplice preghiera ha un effetto particolare a livello

cerebrale. Nelle immagini cerebrali registrate dalla Spect riferite a suore francescane in preghiera si è rilevato un rallentamento di attività nell'area deputata all'orientamento, che dava alle suore un senso tangibile di unione con Dio. "L'assorbimento dell' “io” all'interno di qualcosa di più vasto, non deriva da una costruzione emotiva o da un pensiero pio", scrivono Newberg e d'Aquili "scaturisce invece da eventi neurologici". La neuroteologia spiega come il comportamento rituale susciti stati cerebrali da cui deriva una vasta gamma di sensazioni, dal sentirsi parte di una comunità, all'avvertire un'unione spirituale profonda. Le nenie infondono un senso di quiete che i credenti interpretano come serenità spirituale. Al contrario, le danze dei mistici Sufi provocano una ipereccitazione che può dare ai partecipanti la sensazione di incamerare l'energia dell'universo. Questi rituali riescono ad attingere proprio a quei meccanismi cerebrali che fanno sì che i fedeli interpretino le sensazioni come prove dell'esistenza di Dio. I rituali quindi tendono a focalizzare l'attenzione sulla mente, bloccando le percezioni sensoriali, incluse quelle che la zona deputata all'orientamento utilizza per stabilire i confini dell' “io”. Ecco perché persino i non credenti talune volte possono anche commuoversi durante riti religiosi ai quali non credono. "Finché il nostro cervello avrà questa struttura", conclude Newberg, "Dio non andrà via".

La manna, il cibo di Dio che porta alla visione di Dio (tratto da John Allegro – “Il fungo sacro e la croce”) Più volte nell’Antico Testamento viene citata la “manna”, in riferimento al cibo di cui si nutrì il popolo d’Israele durante il cammino nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto. Il primo riferimento della Bibbia alla manna è nel libro dell'Esodo. Qui infatti è scritto che dopo sei settimane di vagabondaggio gli ebrei iniziarono a lamentarsi con Mosè di essere stanchi ed affamati. Allora il Signore disse a Mosè: "Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no” (16:4). “Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco che sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. A tale vista i figli d'Israele si chiesero l'un l'altro: “Che cos'è questo?” perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: “Questo è il pane che il Signore vi ha dato per cibo”. (16:14,15) La descrizione della manna coincide facilmente con la

descrizione dei funghi psilocibinici. I funghi magici sono piccoli e rotondi e poiché germogliano così velocemente sembrerebbero comparire durante la notte, come se venissero dal cielo. Inoltre, chiunque li raccolga immediatamente noterebbe che si colorano d'azzurro e non hanno radici, ragioni in più per pensare che i funghi fossero d'origine celeste. Si noti che la manna non cade dal cielo, ma è descritta come un qualcosa che viene con il gelo e l'umidità, durante le stagioni delle piogge. Queste sono le condizioni atmosferiche precise affinché i funghi prosperino. E' inoltre interessante notare che Mosè dica agli ebrei che la manna viene direttamente dal cielo e se non la mangeranno non cammineranno nella legge del Dio. Questa è la prova che la manna è dotata di un potere spirituale insolito. Tuttavia, la manna non conferisce automaticamente potere spirituale. Invece, serve da prova. I funghi magici fornirebbero le esperienze visionarie che certamente assicurerebbero che tutti se ne sono cibati. Mosè inoltre ha detto che la manna è letteralmente "pane del signore", il che è notevolmente simile al nome azteco per i

funghi psilocybe: "carne degli dei". Che cosa è stato detto da Mosè a proposito della manna che deve essere messa da parte per le generazioni future? In Ebrei 9:3-4 troviamo: Dietro il secondo velo poi c'era una Tenda, detta Santo dei Santi, con l'altare d'oro per i profumi e l'arca dell'alleanza tutta ricoperta d'oro, nella quale si trovavano un'urna d'oro contenente la manna. La manna doveva essere mantenuta nel più santo di tutti i luoghi: l'arca del patto! Gli ebrei, i cristiani e i musulmani devono dunque le loro radici ai figli d'Israele, che per quaranta anni hanno mangiato la manna e si sono visti come il popolo scelto da Dio. Se la manna è effettivamente un fungo psilocibinico, allora questo significa che il Corano, la Bibbia e la Torah sono stati ispirati dalle esperienze indotte dai funghi magici. E i fondamenti stessi su cui queste religioni si basano derivano dall'esperienza col fungo. Mosè ed i figli d'Israele avrebbero usato i funghi come sacramento per comunicare con una più alta potenza, anche conosciuta come Allah, Dio e Yahweh.

Una endemica ignoranza della cultura occidentale per tutto ciò che non è, per l’appunto, occidentale, ha condotto a uno scarso interesse e attenzione per il pensiero buddhista che, nei duemilacinquecento anni dalla predicazione del Buddha, si è diffuso e ha permeato l’intero continente orientale, vasto almeno la metà dell’intera popolazione mondiale. Il buddhismo, erroneamente inteso come una religione alternativa a quelle monoteiste mediorientali e politeiste diffuse un poco in tutto il mondo (il buddhismo è una filosofia e Buddha non è divino, né profeta di un dio), è stato sostanzialmente scoperto dall’occidente dopo la fuga del Dalai Lama dal Tibet integrato nell’ “unico cielo” della Cina Popolare. Ambasciatore e propagatore del buddhismo in occidente è stato proprio l’ultimo Dalai Lama Tenzin Gyatsu, grazie anche alla sua conoscenza della lingua inglese e all’ambiguo ruolo svolto, consapevolmente o meno, nel complesso giochi della politica mondiale. Il buddhismo propagandato dal Dalai Lama è, tuttavia, solo una versione assolutamente minore del vastissimo universo delle scuole di pensiero che si rifanno all’insegnamento di Siddhartha Gautama, il Buddha storico nato nel 566 avanti Cristo. Per dare un ordine di misura si potrebbe dire che il buddhismo tibetano, quello che fa capo al Dalai Lama, sta all’intero buddhismo come la Chiesa valdese sta al cristianesimo nella somma delle sue innumerevoli sette. Nessun rapporto organico, fatta eccezione per il riferimento al comune “maestro”, sussiste infatti tra la guida del Dalai Lama e i monaci birmani, tailandesi o giapponesi. Il buddhismo tibetano è sostanzialmente diffuso solamente in Tibet e negli stati limitrofi dove, alcune centinaia di anni prima, migrarono un grande numero di tibetani sotto la spinta dell’invasione mongola che fece del Tibet una provincia dell’impero mongolo e istituì, per la prima volta nel 1578, la figura del primo Dalai Lama, Sonam Gyatso, feudatario del sovrano mongolo Altan Khan. Fu proprio quest’ultimo che, nello scegliere quale governatore del Tibet il monaco buddhista di più alto rango e riconoscimento locale, coniò il termine Dalai Lama, variamente tradotto in “oceano di saggezza”. Da allora il feudatario dei monarchi mongoli conservò, anche durante le alterne vicende dell’impero mongolo, il ruolo di suprema autorità politica e amministrativa e, nello stesso tempo, quello di suprema autorità spirituale; in sostanza un ruolo e un potere affatto simile a quello del “Papa Re” della chiesa cattolica romana sino alla “breccia di porta Pia”. Diversamente dalla vicenda italiana, tuttavia, quando l’esercito del Popolo cinese aprì la “breccia” dell’altopiano tibetano, il Dalai Lama non venne rinchiuso nel suo palazzo del Potala, come avvenne per Pio IX dentro le mura del Vaticano, ma, deposto come autocrate, venne inserito nel governo dello Stato autonomo del Tibet, parte in-

scindibile della Repubblica Popolare cinese. In tale ruolo il giovane Dalai Lama, appena incoronato monarca all’età di 15 anni, restò per 9 anni, dal 1950 al 1959, quando si mise (o fu messo) a capo di una rivolta nazionalista tibetana che provocò la reazione cinese e lo costrinse a emigrare in India con poche centinaia di seguaci dei ranghi più alti del vecchio regime. Proseguendo con il parallelismo con le analogie di “casa nostra” va detto che, se quando i bersaglieri italiani entrarono con le baionette in canna nella città santa (eterna), Roma era poco più di un grande paesone tutto all’interno delle mura aureliane, il Tibet era sostanzialmente ancora in pieno medio evo. A parte una spaventosa povertà, in qualche modo coerente con l’asperità e la povertà agricola e produttiva dell’immenso ma sterile altipiano tibetano, nel 1950 (per intenderci gli anni del boom economico italiano) in Tibet vigeva la “servitù della gleba”, un regime di sostanziale schiavitù che legava a vita uomini e famiglie ai terreni, e quindi ai proprietari dei terreni, nei quali vivevano e lavoravano. Non c’era alcun sistema sanitario, l’istruzione era esclusivamente riservata ai monaci (o percorsi di istruzione simili a quelli dei seminari cristiani) e comunque dalla stessa erano escluse le donne. Vigeva in sostanza un sistema pienamente feudale dove i feudatari, i padroni delle terre, degli armenti, degli esseri umani dedicati alla coltivazione o all’allevamento, erano i monaci buddhisti, secondo un sistema rigorosamente gerarchico che conduceva al potere assoluto, temporale e spirituale, del Dalai Lama. Oggi il Tibet, lo Stato Autonomo del Tibet, è forse uno dei territori più sviluppati del mondo grazie a investimenti enormi fatti dalla Repubblica Popolare in quella come nelle altre regioni a minoranza etnica, collegato alla capitale Pechino con treni pressurizzati come aeroplani che viaggiano a 5.000 metri di altitudine, autostrade e aeroporti internazionali collocati a oltre 4.000 metri di quota (come dire... in cima al Monte Rosa). Un solo dato sarà sufficiente per dare l’idea dello sviluppo di cui il Tibet ha goduto negli oramai 60 anni dall’unificazione con la Repubblica Popolare cinese: l’aspettativa di vita della popolazione tibetana è salita dai 30 anni del 1950 agli attuali 70 anni (e oltre). Il Tibet, o meglio la questione tibetana/cinese, è stato tuttavia da subito un terreno di aspro scontro, ancorché indiretto e sotterraneo, tra la visione politica del mondo delle vecchie e nuove potenze colonialiste occidentali, e la emergente politica rivoluzionaria della Cina comunista. Attorno alla figura e al ruolo “carismatico” del Dalai Lama sono state giocate molte “partite politiche”, che a volte lo hanno visto docile strumento, altre volte parte consapevole e attiva. E’ un dato certo che il Dalai Lama ha ripetutamente accettato consistenti aiuti economici dalla CIA americana per sostenere e finanziare un

irredentismo etnico, potenzialmente capace di destabilizzare la presenza cinese in quella vastissima area a ridosso del sub continente indiano. Al Dalai Lama, critiche interne allo stesso movimento buddhista tibetano, hanno più volte imputato il vizio, per così dire “tipico” della chiesa cattolica, della vendita delle indulgenze necessarie a finanziare il sostentamento economico della sua vasta organizzazione religiosa, ma anche opportune per entrare nelle stanze del potere occidentale, pur sempre nella speranza di riuscire e rinegoziare un rientro ufficiale nel nuovo Tibet cinese. Se al Dalai Lama si può riconoscere l’oggettiva debolezza di una condotta sovente molto ondivaga (in passato in occasione di negoziati con il governo cinese che sembravano riaprirgli le porte del Tibet il Dalai Lama si era perfino dichiarato un buddhista marxista), assai più grave è la sfacciata ipocrisia della grande parte della politica occidentale, prima tra le quali quella italiana. Encomiato di lodi per la sua lotta pacifica, premiato con Nobel, lauree honoris causa e cittadinanze (Roma e Torino), il Dalai Lama è stato altrettante volte “scartato” quando la sua vicinanza poteva mettere in discussione gli interessi economici e di setta dei così detti poteri forti; e ciò tanto dal governo Prodi che dal sindaco di Milano Moratti, sino soprattutto al Papa cattolico, assai più interessato a concordare i termini di convivenza della chiesa cattolica con il governo popolare cinese che a difendere la altrui libertà religiosa (concorrente). Il più eclatante esempio di ipocrisia lo ha comunque rappresentato la “martire dei diritti civili”, tale Emma Bonino, ministro dei governi di destra come di sinistra, commissaria europea dei governi di destra e candidata governatrice del Lazio per la sinistra, eroica combattente per i diritti del popolo tibetano sotto la luce dei riflettori delle Olimpiadi di Pechino e poi, a fotoelettriche spente, ...in fin dei conti in Italia siamo cattolici, ai monaci tibetani ci pensino i buddhisti... Queste falsità dell’occidente l’oramai settantacinquenne Tenzin Gyatso forse le ha capite quando, avendo probabilmente perso la speranza di rientrare in Tibet da Dalai Lama, ha annunciato che forse non rinascerà più e che questo è il suo ultimo ciclo di vita terrena. Speriamo.

III


Una grande proposta per la PACE nel Mondo

ABOLIAMO LE RELIGIONI

La critica della religione è il presupposto La religione è una forma di oppressione di ogni critica spirituale che grava sulle masse KARL MARX L'esistenza profana dell'errore è compromessa dacché è stata confutata la sua celeste oratio pro aris et focis. L'uomo il quale nella realtà fantastica del cielo, dove cercava un superuomo, non ha trovato che l'immagine riflessa di se stesso, non sarà più disposto a trovare soltanto l'immagine apparente di sé, soltanto il non-uomo, là dove cerca e deve cercare la sua vera realtà. Il fondamento della critica irreligiosa è: l'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell'uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l'uomo non è un essere astratto, posto fuori del mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, Stato, società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point d'honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne compimento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell'essenza umana, poiché l'essenza umana non possie-

de una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l'aroma spirituale. La miseria religiosa è insieme la espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola. La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illu-

sorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso. È dunque compito della storia, una volta scomparso l'al di là della verità, quello di ristabilire la verità dell'al di

L’impotenza della classe sfruttata nella lotta condotta contro gli sfruttatori inevitabilmente rafforza la credenza

qua. È innanzi tutto compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell'autoestraneazione umana, quello di smascherare l'autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.

in una vita migliore dopo la morte, così come l’impotenza dell’uomo primitivo nella battaglia con la natura rafforza la credenza nell’esistenza di dei, demoni, miracoli, e così via. Coloro che lavorano duramente e vivono nel bisogno sono persuasi dalla religione a essere pazientemente sottomessi su questa terra, e a trarre conforto dalla speranza nella ricompensa divina.

VLADIMIR ILIC LENIN

Lettera sulla Felicità Abbiamo già pubblicato questo capolavoro di Epicuro nell’inserto del mese di luglio. La bellezza e l’eternità del suo messaggio ci spinge a riproporlo, a quanti non avessero avuto l’occasione di leggerlo o l’attenzione di apprezzarlo, come augurio finale di questo, indubbiamente difficile, ma intenso inserto sulla inutilità delle religioni

IV

Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c'è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla. Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita felice. Prima di tutto considera l'essenza del divino materia eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre viven-

te o contrario a tutto ciò che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità. Gli dei esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune, la quale è portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha. Perciò non è irreligioso chi rifiuta la religione popolare, ma colui che i giudizi del popolo attribuisce alla divinità. Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni false. A seconda di come si pensa che gli dei siano, possono venire da loro le più grandi sofferenze come i beni più splendidi. Ma noi sappiamo che essi sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo. Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l'ingannevole desiderio dell'immortalità. Non esiste nulla di terribile nella vita per chi dav-

vero sappia che nulla c'è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l'affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste

per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive. Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo

La religione è l’oppio dei popoli, una sorta di “liquore” spirituale in cui gli schiavi del capitale fanno annegare la loro immagine umana, la loro richiesta di una vita più o meno dignitosa. Ma uno schiavo che è divenuto conscio della propria schiavitù ed ha alzato la testa nella lotta per la propria emancipazione, non è più uno schiavo. Il lavoratore moderno, con un’elevata coscienza di classe, cresciuto dall’industria su larga scala e illuminato dalla vita di città, con sdegno mette da parte i pregiudizi religiosi, lascia il paradiso al clero e ai borghesi bigotti, e cerca di ottenere per sé una vita migliore, su questa terra. Il proletariato moderno difende le ragioni del socialismo, che combatte la nebbia della religione con la scienza, e libera i lavoratori dalle loro credenze in una vita dopo la morte, unendoli nella lotta presente per una vita migliore sulla terra. La religione deve essere dichiarata affare privato. Lo Stato non deve occuparsi della religione, e le associazioni religiose non devono avere alcun legame con le autorità di governo. Quello che richiede

il proletariato socialista è la completa separazione della Chiesa dallo Stato. Ma per quanto ci riguarda, la battaglia ideologica non è un affare privato, è questione di tutto il Partito, dell’intero proletariato. Il nostro programma è interamente basato su una concezione del mondo scientifica, e, in particolare, materialista. Dunque, una spiegazione del nostro programma include necessariamente un’analisi delle reali radici storiche ed economiche della nebbia che la religione diffonde. Ma in nessuna circostanza dobbiamo cadere nell’errore di porre la questione religiosa in forme astratte ed idealiste, come dibattito intellettuale slegato dalla lotta di classe, come fatto di dibattito tra i radicali e la borghesia. L’unità delle classi oppresse in questa lotta rivoluzionaria per la creazione del paradiso in terra è molto più importante per noi dell’unità del pensiero del proletariato riguardo al paradiso nei cieli. Il proletariato rivoluzionario otterrà che la religione diventi un affare privato, per ciò che concerne lo Stato. E in questo sistema politico, privato da residui medievali, il proletariato intraprenderà una lotta di ampio respiro per l’eliminazione dell’oppressione economica, la prima fonte delle menzogne con cui la religione confonde l’uomo.

riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E' bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire. Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile è difficile. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei

goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa - la divinità non fa nulla a caso - e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali. Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali.


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