Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno III, n. 6 - giugno 2011
Votare è un diritto e un dovere morale MAURA DONATI
ell’anno dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia cade anche il sessantacinquesimo anniversario della nascita della Repubblica Italiana che si celebra il 2 giugno, appunto, Festa della Repubblica. Si tratta ufficialmente della principale ricorrenza nazionale civile italiana che ricorda il referendum istituzionale indetto a suffragio universale il 2 e il 3 giugno del 1946 con il quale gli italiani vennero chiamati alle urne per esprimersi sulla forma di governo, monarchia o repubblica, da dare al Paese, in seguito alla caduta del fascismo. Dopo 85 anni di regno, con 12.717.923 voti contro 10.719.284 l'Italia sceglieva la repubblica e i monarchi di casa Savoia venivano esiliati. Una data storica, un momento epocale, non solo perché ha rappresentato il passaggio verso una forma di governo repubblicana fondata sulle solide basi di “una delle migliori costituzioni al mondo” ma anche perché ha segnato lo spartiacque tra il prima e il dopo la libertà di espressione politica e di voto per tutti. Oggi viene sottovalutata l’importanza di questa libertà perché viene data per scontata e non le si attribuisce la rilevanza che merita. Sono passati “appena” 65 anni da quel momento (l’età di una persona matura della nostra epoca) eppure, solo in pochi portano con sé il senso profondo e il valore di un diritto conquistato in anni e anni di sacrifici, lotte, tormenti e ingiustizie. Nei primi anni del ‘900 non era per nulla scontata “l’opportunità” di prender parte alle decisioni del proprio paese attraverso appositi strumenti di partecipazione popolare. Per questo, la gente era disposta a lottare e a scendere nelle piazze pur di conquistare questo diritto di cui aveva compreso le potenzialità e la valenza sociale. D’altronde, andando a ritroso nel tempo, ci si accorge che già dal 1848 fu riconosciuto il potere di voto, ma solo ai cittadini di sesso maschile con un’età superiore ai 25 anni, che sapessero leggere e
N
scrivere e pagassero almeno 40 lire di imposte: numericamente, questo portava il 2% della popolazione italiana alle urne. Il 1860 istituisce una limitazione al corpo elettorale portando alle urne solo l’1,89% degli italiani. Poi, nel 1872, la sinistra parlamentare abbassa la soglia della maturità elettorale da 25 a 21 anni ammettendo al voto anche tutti i cittadini in grado di leggere e scrivere ma la situazione cambia poco visto l’alto livello di analfabetismo. La legge Zanardelli del 1882, invece, fa più che triplicare il corpo elettorale e, addirittura, nel 1912, con la legge promulgata da Giovanni Giolitti arriva un suffragio quasi universale per gli uomini. Ma le donne non sono ancora considerate di pari diritti rispetto agli uomini e rimangono a casa. Intanto, la situazione va migliorando negli anni fino a che, nel 1945, il consiglio dei ministri emana il decreto di “Estensione alle donne del diritto di voto”. Pensate, solo 66 anni fa il mondo femminile conquistava quella libertà di espressione politica attraverso il voto che oggi si dà genericamente per scontata, quasi snobbandola, valutando con superficialità se è il caso o meno di andare a votare. Nel 1946, per la prima volta, arriva in Italia il voto universale per donne e uomini: il primo appuntamento è con le elezioni amministrative fra marzo e aprile, il secondo è con il referendum istituzionale tra monarchia e repubblica e l’elezione dell’assemblea costituente. Gli italiani partecipano entusiasti, coraggiosi e volenterosi. Oggi, i figli di quegli stessi italiani sono chiamati a esprimersi su tematiche di grande rilevanza sociale partecipando ai referendum popolari sull’acqua, sul legittimo impedimento e sul nucleare. Chiedere lo stesso entusiasmo a una società disincantata come la nostra sarebbe forse troppo, ma partecipare al voto percependo il senso civico di quest’azione e avendo rispetto per il valore che ha in sé questo atto democratico conquistato con i sacrifici di una vita è il minimo che ci si può aspettare da ognuno di noi, ricordandoci sempre che votare è un diritto e un dovere morale.
Comunicazione della Redazione Da questo numero la direttrice responsabile del nostro giornale è la “giovane” (vero!) amica Maura Donati. Avremmo voluto dire di più per manifestarle il nostro ringraziamento e l’augurio di buon lavoro, ma... già con il suo primo intervento in prima pagina si è presa tutto lo spazio (quasi)... Grazie e auguri Maura
Iraq, Falluja, 2004
Referendum nucleare Un piccolo “si”, un grande “MA”... SANDRO RIDOLFI “Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere”. Questo insegnamento di Antonio Gramsci può essere considerato il “manifesto” di questo giornale. Improntato alla diffusione del pensiero e dell’azione comunista, questo giornale si è posto l’obiettivo di stimolare l’interesse alla conoscenza, al confronto, al ragionamento, “seminando” idee, provocazioni e informazioni. Coerentemente con tale fine il giornale è aperto a ogni contributo, da chiunque provenga purché con onestà mentale e trasparenza morale, che possa contribuire, attraverso l’arricchimento critico delle conoscenze, alla crescita qualitativa (e anche quantitativa) della partecipazione alla vita politica. Il 12 giugno si svolgeranno alcuni referendum abrogativi, frutto di iniziative popolari e perciò dimenticati, per non dire persino oscurati, dalla politica così detta “di palazzo”. Due i temi principali: la difesa della natura pubblica dell’acqua e l’opposizione alla (re)introduzione nel nostro Paese della produzione di energia nucleare. Sul primo tema possiamo dire che non c’è discussione, altri articoli lo tratteranno in questo numero e al “bene comune” acqua è dedicata la contro copertina. Quanto al secondo tema,
invece, la questione è più “controversa”; non tanto sull’opzione del voto, poiché indiscutibilmente si dovrà esprimere anche in questo referendum un “si” abrogativo, quanto sulle motivazioni e soprattutto sulle responsabilità morali di tale rifiuto. Alcuni decenni or sono l’Italia era all’avanguardia mondiale nella ricerca della produzione di energia nucleare per fini civili. Allora però, in un contesto di forte partecipazione consapevole, dovuta anche alla presenza di un grande Partito Comunista, gli italiani dissero un netto “no” all’energia nucleare. Il nostro Paese aveva però un bisogno di risorse energetiche enormemente superiori alle proprie capacità di produzione autoctona. Lontano dall’immaginare la riconversione della avanzatissima ricerca sull’energia nucleare verso quella su fonti alternative, l’opzione politica ed economica fu allora di accentuare l’approvvigionamento dall’esterno di petrolio e gas in due direzioni, che il particolare contesto degli equilibri geopolitici dell’epoca singolarmente consentivano al nostro Paese di frontiera cerniera, dall’Unione Sovietica e dal mondo arabo. L’Eni, il piccolo gatto schiacciato dai mastini delle “Sette Sorelle” che monopolizzavano il mercato del petrolio descritte da Enrico Mattei, è divenuto così una delle più grandi “sorelle”, la quinta o persino la quarta. L’Italia allora non ha invaso o colonizzato i paesi produttori, ma ha pagato con la moneta peggiore
che sia mai stata coniata: la vendita delle armi. E’ in quegli anni che si è sviluppata una tra le più avanzate industrie belliche del mondo che ha portato l’Italia, nel 2010, a divenire il secondo esportatore di armi subito dietro gli USA. Quell’ignobile sistema di scambio, che condannava i paesi esportatori a bruciare tutte le loro ricchezze in beni assolutamente inutili e così a rimanere sottosviluppati, da circa un ventennio è ulteriormente degenerato. Il collasso del sistema sovietico, ponendo fine all’equilibrio dei due blocchi, ha radicalmente cambiato le regole del gioco, anzitutto per l’Italia. Al mercato “armi contro petrolio” si è sostituito il più semplice “bombe per il petrolio”. Jugoslavia, Iraq, Afganistan e oggi Libia sono altrettanti scenari di guerra nei quali il nostro Paese è stato costretto a entrare per non restare tagliato fuori dall’approvvigionamento delle risorse energetiche. Dire “no” oggi al nucleare significa dunque dire “si” alle guerre di aggressione ai paesi produttori o anche sfortunati soli transiti di condotte di petrolio e gas. Questo lo dobbiamo sapere. Dobbiamo sapere che se giustamente non vogliamo che i nostri figli siano esposti ai rischi del malfunzionamento di un sistema di produzione di energia nucleare dimostratosi ancora molto insicuro, i figli dei paesi produttori di energia dovranno subire violenze, devastazioni, miseria e, se non bastasse, anche un forte inquinamento nucleare
dall’uranio impoverito utilizzato nelle armi più moderne. E qui si impone il “MA”. No al nucleare, certamente, ma a condizione che cambino radicalmente sia la nostra politica economica e sociale interna, che la nostra politica estera nei confronti dei paesi produttori del terzo mondo. “MA” (a condizione che) che lo Stato, e solo lo Stato, riprenda in mano totalmente la ricerca e la produzione di energie alternative, a uno stesso tempo imponendo la più drastica possibile riduzione dei consumi energetici superflui. “MA” (a condizione che) ancora lo Stato, e solo lo Stato, cessando la produzione e la vendita di armi, scambi tecnologie, infrastrutture, beni e strumenti produttivi in grado di aiutare realmente lo sviluppo dei paesi produttori, nonché ponga termine, subito e incondizionatamente, a qualsiasi politica di aggressione mascherata sotto ridicoli veli umanitari. Non è impossibile, qualcuno lo sta già facendo. La Cina, il paese che si avvia a essere il più grande consumatore di energia del mondo, approvvigiona enormi quantità di risorse dall’estero, ma non vende armi e non bombarda, non invade, non devasta alcun paese. Un altro modello di sviluppo è possibile, “ma” occorre averne coscienza e consapevolezza collettiva e quindi occorre che la collettività, cioè lo Stato, ri-assuma il suo ruolo di unico titolare e tutore dei beni e dei diritti fondamentali dell’uomo. Un solo “si” senza “MA” è un atto di egoismo vergognoso.
DISTRIBUZIONE GRATUITA
Guerra
2
Leggi e diritti
Il factoring ROBERTO FRANCESCHI
Il factoring, come il leasing già trattato nel precedente numero del giornale, è una pratica contrattuale di matrice anglosassone, non riconducibile a schemi previsti dal nostro codice civile pertanto classificato come contratto atipico o innominato lecito. Tralascio considerazioni di natura strettamente giuridica se non facendo riferimento al principio generale del nostro ordinamento riferito alla autonomia negoziale (art. 1322 cod. civ.) per affrontare la dinamica del contratto. Con il contratto di factoring un imprenditore (altri requisiti obbligatori sono che i crediti siano pecuniari e riferibili alla sua attività di imprenditore) si impegna a cedere i suoi crediti futuri ad un altro soggetto (factor) che dietro una commissione ed un corrispettivo finanziario, si assume lobbligo di fornire una serie di servizi, che poi dettaglierò, ma che in particolare si rende disponibile ad anticipare i crediti ceduti. Il credito potrà essere ceduto pro solvendo, lasciando al cliente il rischio di insolvenza dei crediti ceduti o pro soluto; in questa seconda fattispecie la società di factoring si assume l'onere del rischio di eventuale insolvenza dei crediti, non potendo richiedere la restituzione delle anticipazioni già effettuate. Questa modalità trova ovviamente una significativa minore diffusione ed in ogni caso è generalmen-
te più onerosa. Torno ora a indicare gli altri servizi che può fornire il factor: gestione e incasso dei crediti, assistenza legale nella fase di recupero crediti, valutazione dell' affidabilità della clientela ceduta, garanzia del buon fine delle operazioni. Il factoring quindi non dovrebbe essere classificato come una semplice alternativa al credito bancario ma utilizzato in via complementare ad altre forme di finanziamento. Purtuttavia, pur valutando apprezzabili i servizi ulteriori offerti, probabilmente con una mia considerazione eccessivamente semplicistica, è da considerare una semplice operazione di finanziamento, generalmente con costi superiori ad analoghe operazioni di anticipazioni bancarie (sconto, anticipo fatture, sbf, anticipo contratti, ecc.), che dovranno essere ben valutati dall’imprenditore. Il maggior costo risulta scaturire sia dal puro interesse applicato per il finanziamento, ma anche dalla commissione relativa al costo amministrativo (relativo come sopra indicato agli altri servizi offerti). Bisogna poi considerare che il contratto generalmente viene preso in considerazione per importi di fascia medio alta (oltre i 50/100.00 euro) pertanto non utilizzabile per microaziende o crediti ultrafrazionati. Secondo una indagine statistica sulla domanda
FOLIGNO GIUGNO 2011
“Gli rubano l’identità e ci comprano un’auto” SALVATORE ZAITI
di factoring, solo le imprese più esperte e/o strutturate lo utilizzano in maniera sistematica e ne valutano correttamente la convenienza confrontando il costo medio dei finanziamenti ed il costo di gestione del credito commerciale. In effetti il factoring comporta una modifica delle funzioni dedite al rapporto con la clientela concentrando l’azione dell’impresa sugli aspetti produttivi e commerciali. Il panorama delle società di factoring è veramente ampio (ogni istituto di credito ha come referente una società di leasing/factoring), oltre a società nate e direttamente collegate a grandi strutture commerciali/produttive (Fiat, Coop) che si sono dotate di proprie società di factoring per agevolare lo smobilizzo e l’assistenza dei crediti dei propri fornitori. Se l’argomento dovesse interessare in modo particolare sarà sufficiente segnalarlo via mail la redazione per ritornare sull' argomento in un prossimo articolo.
Sempre più spesso i quotidiani titolano così la notizia di cittadini oggetto di truffe commesse a loro insaputa mediante l’indebita appropriazione dei dati relativi alla loro identità o al loro reddito. Per prevenire queste frodi, soprattutto nel settore del credito al consumo, con particolare riferimento al furto d’identità, anche il nostro Paese si è dotato di un sistema pubblico di prevenzione, dando così attuazione alla Direttiva comunitaria 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. Nella Gazzetta Ufficiale del 10 maggio 2011 è infatti, stato, pubblicato il Decreto Legislativo 11 aprile 2011, n. 64 che istituisce il sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, di questa particolare frode. Il sistema è basato su un archivio centrale informatizzato e su un gruppo permanente di lavoro. La regia è affidata al Ministero dell’economia e delle finanze che si avvarrà della Consap s.p.a. quale ente gestore dell’archivio. Partecipano al sistema di prevenzione delle frodi: a) le banche e gli intermediari finanziari; b) i fornitori di servizi di comunicazione elettronica; c) i fornitori di servizi interattivi associati; d) i gestori di sistemi di informazioni creditizie. Ma come funzione-
sultante dai registri anagrafici della persona fisica titolare del rapporto. L’ente gestore, una volta ricevuta la richiesta di verifica, provvederà informaticamente ad assoggettare a riscontro, con i dati detenuti da organismi pubblici e privati: a) i documenti di identità e riconoscimento, comunque denominati o equipollenti, ancorché smarriti o rubati; b) le partite IVA, i codici fiscali e i documenti che attestano il reddito; c) le posizioni contributive e previdenziali. Il sistema di prevenzione avrà inoltre il compito di memorizzare, in forma aggre-
gata ed anonima, i casi il cui riscontro abbia evidenziato la non autenticità di una o più categorie di dati permettendo, così, al titolare dell’archivio e al gruppo di lavoro lo studio del fenomeno delle frodi, ai fini dell’esercizio della prevenzione, anche mediante la predisposizione e pubblicazione periodica di specifiche linee guida nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti. E ancora, mediante un modulo informatico di allerta, il sistema dovrà memorizzare le informazioni trasmesse dagli aderenti relative alle frodi subite o ai casi che configurano un rischio di frodi, nonché le segnalazioni di specifiche allerta preventive trasmesse dal titolare dell’archivio agli aderenti. Infine, nell’ambito del sistema di prevenzione, verrà istituito un servizio gratuito, telefonico e telematico, che consentirà di ricevere segnalazioni da parte di quei soggetti che hanno subito o temono di aver subito frodi configuranti ipotesi di furto di identità. Non resta, quindi, che attendere la compiuta messa in opera del sistema che dovrà vedere la partecipazione attiva e concreta dei diversi soggetti coinvolti, primi fra tutti i cittadini – consumatori, sempre più consapevoli dei nuovi strumenti a disposizione e, forse, sempre meno ignari.
dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale”. La norma attuale permette al Presidente del Consiglio e ai Ministri di non essere costretti a comparire in Tribunale per un'udienza penale se
sopraggiungono impegni di carattere istituzionale. La Corte Costituzionale ha già recentemente ridimensionato la norma, ma un’eventuale vittoria del “si” la cancellerebbe del tutto.
rà davvero il sistema? Innanzitutto gli aderenti dovranno trasmettere all’ente gestore una richiesta di verifica dell’autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita dalla persona fisica che richiede una dilazione di pagamento o un differimento di pagamento, un finanziamento o altra analoga facilitazione finanziaria oppure un servizio a pagamento differito. Inoltre gli aderenti dovranno inviare, in forma scritta, una comunicazione riguardante l’avvenuta stipula del contratto all’indirizzo ri-
I quattro quesiti referendari ELISA BEDORI
Il 12 e il 13 giugno gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi sui quattro quesiti referendari riguardanti il legittimo impedimento, la privatizzazione dell’acqua e l’energia nucleare. Ma andiamo ad analizzarli. Con il primo quesito si chiede l’abrogazione delle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica previste dal decreto Ronchi. Infatti, l’art. 15 del decreto afferma che la gestione di tali servizi sarà conferita “in via ordinaria” attraverso gare ad evidenza pubblica (esclusa la distribuzione dell’energia elettrica, del trasporto ferroviario regionale e delle farmacie comunali) da parte delle amministrazioni, mentre la gestione in house sarà consentita soltanto in de-
roga e “per situazioni eccezionali”. Pertanto, votando “no” si confermerebbe quanto stabilito dal menzionato decreto, votando “si”, invece, tale norma verrebbe abrogata sbarrando così la strada al percorso di privatizzazione dell’acqua. Con il secondo quesito si chiede se si è favorevoli o meno all’abrogazione parziale di una norma che stabilisce la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. In pratica il cittadino votando “no” accetta che il prezzo dell’acqua potrà essere deciso dal gestore del servizio in base agli investimenti fatti, votando “si” esprime invece il proprio dissenso alla libera scelta da parte del gestore del servizio idrico del costo da far pagare agli utenti e la volontà di abrogare la normativa in questione. Il terzo quesito si riferisce alla realiz-
zazione di nuovi impianti nucleari, ma tale materia ha suscitato recentemente un acceso dibattito. Andando per ordine, si ricorda che la normativa sulla ripresa del programma nucleare in Italia è contenuta nella L. n. 99/2009 e nel D. Lgs. n. 31/2010. Nel mese di Marzo, nel corso della campagna referendaria e a seguito del disastro nucleare di Fukushima, il Governo ha emanato il D.L. n. 34/2011, il cui art. 5 (“sospensione dell’efficacia di disposizioni del D. Lgs. n. 31/2010”) include una moratoria di un anno sull’avvio del programma nucleare. Successivamente, nel mese di Aprile, il Governo ha presentato un emendamento al decreto omnibus 2011, in via di conversione da parte del Parlamento entro il 30 Maggio. L’emendamento, pur abrogando diverse disposizioni, tra cui quelle relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari,
concede all’esecutivo di tornare in seguito sulla questione dell’uso dell’energia nucleare in Italia. Tuttavia la moratoria non corrisponde ad una abrogazione per via parlamentare delle norme oggetto di referendum. Pertanto, a seguito dell’eventuale approvazione di tale normativa, la Corte di Cassazione dovrà stabilire se tale abrogazione delle norme sulla realizzazione di nuove centrali sia sufficiente a soddisfare lo stesso obiettivo ricercato dai promotori del referendum. In alternativa, potrebbe essere modificato dalla Corte e trasferito sulla nuova normativa. Quindi, solo a distanza di pochi giorni dal voto si saprà se gli italiani dovranno votare anche per il tema sul nucleare. Il quarto e ultimo quesito referendario è denominato: “abrogazione della L. n. 51/2010 in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio
FOLIGNO
Politica ed Etica
GIUGNO 2011
Il vento del Nord La scaramanzia e il vento che soffia da Milano LUIGI NAPOLITANO
Una sorta di messaggio subliminale, quasi un codice cifrato della mente, mi ha creato una forma di resistenza dal mettere per iscritto queste brevi considerazioni. La telefonata, come sempre garbata dell’editore, che mi chiedeva come mai non avessi ancora provveduto a trasmettergli il solito scritto, mi ha risvegliato da una sorta di torpore che ho, finalmente, individuato in un fenomeno connaturato, probabilmente, alle mia origini: la scaramanzia, ossia l’assurda idea che eventi futuri possano essere influenzati da particolari comportamenti senza che vi sia una relazione causale. Quasi superfluo dire, a questo punto, che l’argomento sul quale mi arrovellavo e che tratterò sono le elezioni amministrative dello scorso 15 maggio ed i prossimi ballottaggi. Pur trattandosi di elezioni amministrative, che avrebbero dovuto sottoporre all’attenzione e al giudizio dell’elettorato i problemi di quei Co-
muni le cui amministrazioni dovevano essere rinnovate, come al solito abbiamo assistito ad una campagna elettorale basata su un presunto scontro, né ideologico né costruttivo, tra moderati (?) e, secondo i primi, adepti dell’Armata Rossa (?) il cui apice è stato toccato a Milano dove le elezioni sono state trasformate in una sorta di referendum pro o contro il Governo e la sua politica (quale?). Per cui abbiamo visto manifesti inneggianti alla cacciata delle Brigate Rosse dalle Procure. Sentito Sottosegretari di Stato definire i magistrati come metastasi. Assistito ad un dibattito televisivo nel quale la candidata a Sindaco, già Sindaco uscente ha accusato l’avversario, che non ha avuto possibilità di replica, di essere un ladro e per giunta condannato. Poiché per il passato, campagne elettorali siffatte
hanno premiato gli autori, è apparso come un terremoto quello uscito dalle urne domenica 15 e lunedì 16 maggio. E’ stata, infatti, premiata la buona Amministrazione di Torino con la conferma di un
quest’ultima che, da sempre, rappresenta il prodromo degli eventi destinati a diffondersi a macchia d’olio, influenzando così l’intera politica nazionale. Il 25 aprile ricorda l’insurrezione genera-
sindaco dello stesso schieramento di quello uscente, è stato eletto al primo turno il sindaco a Bologna che pur era stata teatro di un notevole travaglio politico e, infine, è stato premiato il candidato dell’opposizione (bolscevica) a Milano. Città
le partigiana del 25 aprile 1945 che ha portato alla liberazione della città. Nel 1961 la sua giunta fu il laboratorio per i nuovi governi di centro-sinistra. E’ qui che si svolsero i primi ed alcuni dei maggiori scontri del 68 italiano. Sempre Milano è stata al
La “Gazzetta dello Show” Mistificazione di una tragedia e oculata indifferenza per la dignità umana CRISTIANO DELLA VEDOVA
Giusto perché oggi, nel mondo del “tutto e il contrario di tutto”, del “…più o meno” e del “in realtà intendevo dire…”, le parole, soprattutto quelle scritte, sono necessariamente propedeutiche all’analisi di un qualsiasi concetto. Art. 21 della Costituzione Italiana: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…». Tale norma tutela sia il diritto di esprimersi liberamente sia il diritto di utilizzare ogni mezzo per diffondere il proprio pensiero. La Costituzione, quindi, non prevede in modo esplicito il diritto all’informazione. Tuttavia, la Corte Costituzionale lo ha definito affermando che la libertà di manifestare il proprio pensiero ricomprende tanto il diritto di informare quanto il diritto ad essere informati. La norma in analisi copre tutte le possibili manifestazioni del pensiero, in particolare la libertà di stampa, che, al momento dell’approvazione del testo costituzionale, era considerata
come il mezzo principale di esercizio della libera manifestazione del pensiero. La libertà di manifestazione del pensiero incontra due tipi di limiti: quello del buon costume, e quello dell’esigenza di tutelare altre libertà costituzionalmente rilevanti, che possono entrare in conflitto con la libertà di espressione. E ancora. Art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ratificata dall'Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera…». Ebbene, incontrovertibile appare la definizione del diritto di informazione quale diritto fondamentale e inviolabile di ogni cittadino. Diritto di cronaca e diritto di informazione! Martedì 10 Maggio 2011. Prima pagina della nostra amata “Gazzetta dello Sport”: “IL GIRO PIANGE. Il belga Weylandt è morto nella discesa del Passo del Bocco. Immediati ma inutili i soc-
corsi. Aveva 26 anni, stava per diventare padre”. Titolo questo, accompagnato scenograficamente da una gigantografia di un ragazzo come me, come noi, a torso nudo, circondato dai suoi soccorritori, che tentano invano di rianimarlo. Il petto inerme del Weylandt appare sporco, sporchissimo di sangue. Un’immagine, madre dell’audience. Sì, c’è chi ha avuto la freddezza professionale di scattare una foto del genere. Sì, c’è chi avuto l’ardire di pubblicare questa scena sulla prima pagina del “proprio” quotidiano, il più famoso quotidiano sportivo. Diritto di cronaca, diritto di informazione, e non diritto di show! La Gazzetta dello Sport. Basta fare mente locale o una breve ricerca per accorgersi che ogni progetto, manifestazione o evento legato al mondo dello sport è supportato, giustamente, dal concetto di rispetto. Rispetto delle regole di lealtà, rispetto dell’avversario e di se stessi. Lo sport è rispetto nella sua essenza. Totale, indiscriminato. Non trovo giusto che un giornale, peraltro intestato come giornale sportivo, sia artefice di tale mancanza di rispetto! Nei confronti di chi? Appare retorico e
inutile dirlo, perché in realtà è nei confronti di tutti. E allora non contano i limiti imposti dalla Costituzione al diritto di cronaca e di informazione, perché è stato varcato con leggera sfrontatezza il limite dell’umano rispetto. Per il dolore. Per tante lacrime. Per la dignità. Pagine e pagine sulla vita privata di quest’uomo. Interviste su interviste sulle potenzialità tragicamente disattese di questo futuro campione, su questo “bravo ragazzo”. E’ semplicemente un uomo, cari direttori! E’ un uomo, care redazioni! Diritto di informazione e non diritto di gossip! Sempre perché le parole sono importanti. Ed è proprio questa sfrenata mercificazione del dolore che inevitabilmente conduce ad una oculata, voluta indifferenza verso il bene più prezioso: la dignità, la libertà di soffrire in silenzio. Per non parlare del turismo della tragedia. Orde di esseri bipedi, purtroppo viventi, che scattano o si fanno scattare foto davanti ad una casa, in via Deledda, ad Avetrana, provincia di Taranto. Sorridenti. “Fanne un’altra, magari questa non è venuta bene”! Non credo si debba, si possa andare oltre. Con tali modalità, io non mi sento informato, ma violato. Nella mia innata sensibilità. Caro direttore, non credo che noi, veri sportivi, avevamo bisogno di questo scempio per acquistare il “suo” storico gioiello rosa, diventato per un giorno
centro della politica italiana con l’ascesa al governo della classe dirigente del P.S.I. locale, poi con lo scandalo di Tangentopoli ed infine con l’apparizione sulla scena dell’attuale leader di Governo. Per cui il successo del candidato dell’opposizione, seppur ad oggi nel primo turno, appare come il segnale che l’elettorato ha deciso di voltare pagina e che il cambiamento è possibile. Nel momento di difficoltà, che non solo il nostro Paese sta vivendo, è indispensabile una classe politica che sappia ridare vigore all’azione di Governo, anche cittadino, nell’interesse di tutti, liberando energie utili per la ripartenza di una politica economica e imprenditoriale che sappia garantire, nel rispetto delle esigenze di tutti i ceti sociali, un necessario e corretto dinamismo. E’ questo il segnale che milanese l’elettorato sembra aver dato. Tuttavia la strada per perseguire simili obbiettivi, non appare né semplice, né
31 agevole. Sarebbe un’imperdonabile leggerezza pensare che l’attuale compagine governativa ed i suoi componenti sgomberino il campo, per cui bisognerà che le forze di sinistra sappiano canalizzare anche quell’ampia fascia di elettorato che, pur essendo politicamente collocabile su posizioni più o meno simili alle sue, anche in questa circostanza, si è mostrata fortemente insofferente nei confronti di entrambi gli schieramenti. E chissà che, come Totò e Peppino de Filippo in un loro indimenticabile film superarono la convinzione che a Milano facesse sempre e comunque freddo, anche i rappresentanti della sinistra non riescano a scrollarsi di dosso la convinzione che sia indispensabile arruolare chiunque si dichiari di centro per battere questa destra! P.S. Non ho parlato di proposito di Napoli in quanto la condizione di degrado in cui versa questa splendida città meriterebbe un discorso a parte e troppo lungo. I problemi napoletani sono di ordine sociale, politico, morale, giudiziario ed economico ed affondano le radici in un tempo lontanissimo. Pur avendo una loro fortissima valenza, non giustificano l’incapacità mostrata, fino ad oggi, di proporre e scegliere una adeguata classe dirigente.
Piccola ma doverosa precisazione “etica” Carta lucida, carta riciclata, carta ecologica Più volte abbiamo ricevuto osservazioni sulla qualità e sulla natura della carta che utilizziamo per il nostro giornale: qualità “lussuosa”, ovvero “costosa”; natura “non ecologica”, ovvero “non riciclata”. Premesso che il “lusso” non è un peccato, ma un bene della vita al quale tutti abbiamo diritto di aspirare (purché non sia un “privilegio” a danno di coloro che non se lo possono permettere), precisiamo che questo “lusso” NON è costoso: circa 50 centesimi a copia per 20 pagine a colori (circa la metà dei costi “correnti” del bianco e nero). Questo è l’unico costo che sostiene il nostro giornale costruito con l’impegno volontario di tutti i collaboratori, senza accesso a contributi e vendita di pubblicità. Quanto alla natura della carta utilizzata dobbiamo fare un chiarimento: “riciclato” NON vuol dire “ecologico”, così come “non riciclato” NON vuol dire “dannoso”. La carta è bene totalmente di provenienza vegetale, NON è inquinante e NON danneggia l’ambiente in quanto normalmente proviene da coltivazioni dedicate di alberi per cellulosa. La carta riciclata, invece, richiede procedimenti di lavaggio e sbiancatura con notevoli consumi di acqua e di energia e produzione di significativi residui per discarica. Altra cosa è la carta “ecologica”, che segue procedure di produzione non totalmente da riciclo, minimizzando sia lo sfruttamento ambientale che gli oneri di smaltimento. Quest’ultimo prodotto è però ancora oggi assai raro e soprattutto veramente costoso, con la precisazione che il costo “eccessivo” per buona parte è dovuto all’abuso di posizioni dominanti dei produttori che, sfruttando il ricatto “morale” della protezione dell’ambiente, impongono prezzi ingiustificatamente elevati. A questo “gioco” il nostro giornale non ci vuole stare e quindi, sino a quando non sarà possibile governare politicamente il processo di produzione di carta REALMENTE ecologica, continueremo a utilizzare il nostro materiale decisamente più bello e, per di più, meno costoso.
4
Dalle Città
Officina 34 Retròscena Paradigma di una Foligno inedita LORENZO BATTISTI Tutto nasce in una New York anni settanta, dove alcuni intellettuali trasformarono in abitazioni officine e fabbriche abbandonate, determinando la rinascita di intere aree urbane e rivitalizzando gli edifici centrali industriali dismessi. Nel panorama culturale folignate questa esperienza è stata proposta da Officina 34 Retròscena che ha allestito nel cuore del centro cittadino un ”open space” ricavato da un’ex officina meccanica, volutamente lasciata intatta nella sua struttura. Cuore e mente del progetto è Roberta Rotoloni, trentenne imprenditrice che dopo aver trascorso oltre 10 anni lavorando a contatto con stilisti e fashion victim, respirando sin da giovanissima ambienti innovativi dall’università, agli showroom, stylist, fotografi, vivendo tra Milano Firenze e Roma, ha deciso di tornare nella “sua” Foligno e condividere il suo sogno. Così nasce la sorprendente Officina 34, non solo uno spazio commercialeespositivo per la vendita di capi di abbigliamento ed accessori, collezionismo di moda e arredamento con pezzi unici di
modernariato, ma la trasformazione del concetto tradizionale di vecchia officina meccanica in un luogo nuovo, dove l’artisticità è parte integrante e motore di ogni progetto. L’intero spazio è fruibile nella sua totalità anche come sala lettura sfogliando le pagine di edizioni pregiate di arte, design, grafica e arte contemporanea nelle sue più varie espressioni. Rispettando in pieno la sua
vocazione di luogo dedicato alla creazione di prodotti culturali, l’Officina periodicamente si trasforma in uno spazio performativo con un vero e proprio cocktailsbar, dei veri e propri bar men, che creano al momento dei veri e propri long drink che regalano insieme alla musica un
sapore diverso alle spesso vuote serate folignate. Tutto questo, mi conferma Roberta, per realizzare il desiderio di proporre e dare spazio a giovani performer, artisti con la voglia di mostrare i propri sogni e le proprie passioni. Così nasce il locale all'interno del negozio che, per ora, una volta a settimana al massimo due, si apre e diventa un vero e proprio spazio performativo. La città – ma senza esagerare la regione tutta - ha risposto con grande entusiasmo, non solo per le sempre numerosissime presenze, ma anche per la varietà di gente che lo frequenta, dagli stili e le età molto differenti. Il fatto poi che si trovi proprio nel centro di Foligno non si è rivelato per nulla un limite e, al contrario, si è rivelato un punto di forza, ennesima testimonianza che per far vivere il centro cittadino è necessario proporre qualcosa di interessante. Una scommessa vinta anche con chi era scettico che la mentalità folignate potesse concedersi a tali esperienze culturali e che invece ha dimostrato l’interesse di tanti giovani per un modo diverso di divertirsi, lontanissimo dalle aride discoteche di periferia.
COMUNI DELLUMBRIA - CERRETO DI SPOLETO Nell'ultimo numero del giornale sono andato a Sellano. Ora dove andare? Naturalmente rimango in Valnerina e allora proseguo in discesa e vado a Cerreto di Spoleto, circa 10km. Ma al bivio di Ponte Sargano ho un piccolo dubbio, giro a sinistra per andare subito sul colle di San Sebastiano o tiro dritto, oltrepasso il cartello Madonna di Costantinopoli, per fare prima una visita a Borgo? Si va a Cerreto, sperone di roccia naturale in posizione meravigliosa che guarda contemporaneamente la valle del fiume Nera e del Vigi. Ora comprendo perché nel medioevo fu così contesa dalla citta' di Norcia e Spoleto e perché la leggenda vuole che sia stata fondata dai Franchi al seguito di Carlo Magno: guardare Cerreto o anche guardarla dal basso è un quadro naturale unico per la sua bellezza. Vediamo ora qualche dato statistico. Circa 1.100 abitanti a 557 m.s.m. si estende su una superficie di 74
FOLIGNO GIUGNO 2011
Omaggio alla Quintana SALVATORE MACRÌ
Da sempre l’uomo ha avvertito il bisogno di far festa: per esprimere la voglia di vivere, l’entusiasmo di un momento, la gioia di una circostanza, la passione di un impegno… scongiurando la paura della morte. Parimenti, fare festa ha richiesto sempre la condivisione con i propri simili per rinsaldare sentimenti di solidarietà e di cooperazione, elementi di sicurezza e fondamento del vivere associato. Con la nascita della civiltà la celebrazione festiva ha visto la presenza, accanto all’uomo, dell’animale, divenuto compagno di fatica e di svago, elemento necessario all’equilibrio della vita in comunità. Il rapporto uomo-animale si è trasformato nel tempo ed oggi, nelle società evolute, i due esseri condividono momenti importanti dell’esistenza divenendo l’uno sostegno e complemento dell’altro. Le manifestazioni popolari rientrano pienamente nel rapido excursus abbozzato che traccia, sia pure superficialmente, la storia delle espressioni corali di gioia, momenti importanti del vivere sociale. Soltanto dallo stato di benessere condiviso può scaturire la matrice della vita pacifica: è l’interculturalità vera, che travalica anche i confini di specie, realizzando la piena sintonia tra uomo e uomo e tra uomo e animale. E’ que-
sta l’essenza del bene comune che supera le differenze e aiuta a comprendersi dandosi una mano. La Giostra della Quintana, evento popolare di spicco per la città di Foligno, contiene i presupposti della coralità che accomuna superando, nella gioiosità dei momenti, le distanze sociali e culturali molto spesso origine di dolorose lacerazioni del tessuto sociale. La sana competizione tra i rio-
ni diventa sprone all’impegno per l’eccellenza e non scade nella rivalità che inaridisce gli animi alimentando tensioni che dividono. I processi di inclusione hanno chiaro sopravvento sugli atteggiamenti negativi che allontanano fomentando tensioni disfunzionali e la festa si consuma nel ricordo orgoglioso del passato e nella fiduciosa speranza di un futuro che ne sia degno in un instancabile carosello evolutivo. Il legame tra l’uomo e l’animale diventa il
fulcro di una spettacolarità che non è finzione fantastica riflettendo sentimenti ed emozioni autentici e profondi. Il cavallo non è più semplice strumento da consumare antropocentricamente, diventa, piuttosto, il compagno di un’impresa, l’amico con cui condividere pensieri, emozioni e sentimenti. Ecco perché la cura e la tutela della salute degli animali diviene il presupposto essenziale e indispensabile all’armonia dell’evento. Le norme e i provvedimenti che a tal fine concorrono risultano provvidenziali. Quel che conta è la reciprocità che consente all’uomo di collegarsi empaticamente al cavallo cogliendone appieno i bisogni e le aspettative. E’ qui il valore impareggiabile di questa bella festa di gente, testimonianza della nobiltà di un popolo che così esprime il suo amore per la vita. Ecco allora il nostro impegno di oggi: moltiplicare, con diligente competenza, lo sforzo di garantire il benessere pieno dell’animale divenuto francescamente fratello. E dove se non in questa terra, ricca di fervore spirituale, poteva radicarsi un simile atteggiamento di sensibilità per i bisogni altrui? Uomo e cavallo capaci di condividere ansie, timori, perplessità, incertezze, entusiasmi, passioni, gioie. Il fantastico centauro riaffiora dalla notte del mito e la straordinaria creatura biforme rivive nella splendida unione simbiotica che la Quintana ripropone.
I meravigliosi inglesi della Scuola Media “Storelli” SALVATORE NUTI
km2. Come altri comuni montani ha subito nel tempo una costante diminuzione della popolazione (dal 1860 il suo picco massimo è stato raggiunto nel 1921 con circa 2.300 abitanti). Le principali frazioni sono : Borgo Cerreto, Buggiano, Colle, Macchia, Nortosce, Ponte, Rocchetta e Triponzo con acque termali famose fin dall' antichità. Santo protettore San Nicola, giorno festivo Pentecoste. Cerreto trae il nome dall'abbondanza di alberi di cerro e gli abitanti chiamati cerretani, per lungo tempo furono mercanti di spezie e girovaghi, venditori di medicine miracolose e pozioni magiche. Il Sindaco del comune è la Sig.ra Forti Giovanna (a
Lei vanno i miei saluti ed i migliori auguri di buon lavoro per la sua comunità). Il paese ha sicuramente conosciuto momenti di particolare splendore come viene confermato dalla presenza di palazzi gentilizi ed una citazione particolare è d'obbligo per la piazza dedicata a Giovanni Pontano, poeta umanista, nato a Cerreto e successivamente vissuto alla corte degli Aragonesi a Napoli. Ci sarebbero tante altre cose da descrivere...ma voglio incuriosirvi...programmate subito una visita a Cerreto, frazioni comprese, con annesso un buon pranzo per gustare l'ottima cucina dei suoi ristoranti.
Anche quest’anno è giunto a conclusione con successo il Corso “Trinity”, in lingua inglese, alla Scuola Media “Franco Storelli” di Gualdo Tadino, che ha visto l’indistinta, facoltativa, partecipazione di studenti del tempo “normale” e del tempo “prolungato”. L’Istituzione, pur tra le innumerevoli difficoltà economiche, dovute all’esiguità del proprio bilancio, con le Docenti Teresa Scattolini (Referente del Progetto) e Donatella Gentilucci, ha comunque preparato con successo gli allievi all’esame finale che è risultato motivante, centrato sul candidato, il quale ha partecipato attivamente scegliendo parte degli argomenti da presentare al colloquio orale, proprio come accade in una conversazione reale. L’esame finale è stato presieduto da un’Insegnante di Madre Lingua, giunta appo-
sitamente dall’Inghilterra. Hanno ottenuto la valutazione massima, corrispondente ad “A”, n° sette alunni (Francesca Cappelletti, Roberta Nuti, Emanuele Scatena, Giovanni Pennoni, Dalal Menjra, Sara Ricci, Andrea Pasquarelli). Inutile sottolineare l’importanza della lingua inglese su scala europea e mondiale e come, a fronte dell’esborso di una piccola quota d’iscrizione, sia stato possibile ricevere una istruzione adeguata ai tempi, con esame sostenibile nelle classi di abilità miste, consono alle proprie capacità individuali e una certificazione
“spendibile” in futuro e adatta a qualsiasi livello. Attraverso “Trinity” si sono valutate in modo diretto le competenze comunicative che trovano riscontro nell’uso pratico della lingua, utilizzando prove di produzione. L’auspicio è che si possa anche in futuro proseguire nell’esperienza, da anni intrapresa con risultato positivo! Complimenti vivissimi ai “meravigliosi” sette e a tutti gli altri partecipanti (ben diciotto alunni con valutazione “B” e nove con valutazione “C”) che hanno saputo cogliere questa importante opportunità!
FOLIGNO
Campionato Volley S’infrange sul muro della Scavolini Pesaro Filer il sogno delle ragazze under 16 della Vis Fiamenga volley ANDREA TOFI
Si infrangono al palasport di Campanara di Pesaro le speranze tricolore delle giovani ragazze di mister Marco Taba, recenti vincitrici del campionato regionale umbro di categoria, la cui finale contro la Brum Passeri di Bastia Umbra vinta con un perentorio 31 si è disputata presso la palestra comunale di Foligno, giovedì 28 Aprile. Le atlete under 16 della Vis volley Fiamenga, pur dimostrando notevoli capacità nel fronteggiare squadre del calibro della Scavolini Pesaro, devono alzare bandiera bianca e rinunciare a disputare le finali nazionali che si svolgeranno a Firenze dal 2 al 5 di Giugno. Il mini torneo interregionale che si è svolto il 14 e 15 Maggio, proprio nella capitale marchigiana della pallavolo, ha visto fronteggiarsi squadre di buon livello come l’Antoniana di Pescara, la nuova pallavolo Campobasso e per l’appunto la Scavolini Pesaro Filer. Le nostre ragazze iniziano male l’avventura, affrontando con leggerezza e scarsa incisività il primo incontro contro le campionesse abruzzesi dell’Antoniana Pescara, che risulterà poi decisivo per il prosieguo del torneo, non conquistando un solo set, met-
tendo in evidenza i limiti caratteriali di una squadra non abituata a calcare palcoscenici così importanti. Il secondo incontro ha segnato invece una decisa inversione di marcia, le ragazze hanno trovato i giusti stimoli ed una rabbia agonistica che gli ha permesso di giocare a buoni livelli, liquidando con un combattuto 3-2 le giovani promesse del Molise che si sono dimostrate le più deboli del torneo, perdendo tutti e tre gli incontri. Dopo la difficile ma esaltante vittoria con la nuova pallavolo Campobasso, c’era d’affrontare le più blasonate giocatrici della Scavolini Filer che negli ultimi anni, a partire dal campionato under 14 hanno dominato la scena a livello nazionale, sotto l’attenta guida del mister Matteo Costanzi. Durante la prima parte dell’incontro le ragazze di mister Taba disputano una
gara eccezionale, vincendo con relativa facilità, ma con grande tenacia il primo set, dimostrando di non essere inferiori qualitativamente alle campionesse marchigiane, purtroppo però con il proseguio della gara hanno prevalso la fisicità e le doti atletiche della Scavolini che hanno giocato ad altissimi livelli sino all’ultimo punto, grazie anche ad una preparazione atletica degna di una società che disputa il campionato di seria A. L’evidente espressione malinconica e frastornata sul volto delle campionesse umbre a fine torneo ha lasciato l’amaro in bocca anche numerosi sostenitori che avevano seguito la squadra sino al Palacampanara di Pesaro, perché c’era la consapevolezza che dopo ventidue anni ci si giocava la possibilità ed il sogno di accedere alla finale nazionale per l’assegnazione del tricolore Under 16. Per le giovanissime atlete della Vis Fiamenga, fra le quali hanno giocato anche delle Under 13, è stata comunque un’esperienza indimenticabile che permetterà al gruppo di crescere ed alla società di guardare al futuro con la consapevolezza che nessun traguardo è impossibile con queste baby promesse della pallavolo locale.
Festa dei Bambini Organizzata dal Comitato Permanente per l’Integrazione dei Migranti di Spoleto Il giorno 8 maggio 2011, presso la sala Monterosso di Villa Redenta a Spoleto, si è tenuta la I° Edizione della “Festa della Mamma”, promossa dall’associazione “Ucraini per l’Integrazione” e dal Comune di Spoleto. La presenza delle mamme di varie etnie, soprattutto Ucraine, è stata rilevante e significativa. Di fronte ad un pubblico numeroso ed attento si sono esibite poetesse, cantanti, testimoni di vicende umane legate all’immigrazione. Si è respirata un’aria amichevole e leggera, che è la riprova che l’interazione favorisce l’integrazione mentre viene salvaguardata la cultura
delle etnie presenti sul nostro territorio, che registra una popolazione migrante superiore al 10%. Alla presenza di rappresentanti delle Istituzioni locali e provinciali, con l’esposizione di un bel quadro raffigurante la mamma e il bambino, firmato da Esmeralda, la festa si è protratta fino alle ore
5
Dalle Città
GIUGNO 2011
20.00, suscitando vive emozioni. Il prossimo appuntamento del Comitato è per il 5 giugno 2011, ancora a Villa Redenta, in occasione della IV° Festa Multietnica dei Bambini, che vede tra i partner la Banca popolare di Spoleto e la Fondazione Carispo. La festa con ingresso gratuito è aperta a tutti.
“CONOSCI IL TUO FEGATO” Sabato 14/05, in Piazza della Repubblica, si è svolta la manifestazione “CONOSCI IL TUO FEGATO”, organizzata dalla ASL 3 UMBRIA, nella persona del Dott. Paride Trampetti, responsabile della Struttura di Epatologia dell’Ospedale di Foligno.Tale manifestazione consisteva nel determinare tramite il prelievo di una goccia di sangue da un polpastrello di un dito, il valore delle transaminasi del fegato; la risposta veniva consegnata in due minuti. Tale esame è molto importante, in quanto un aumento delle transaminasi potrebbe essere un campanello di allarme per una malattia epatica misconosciuta, ad esempio una epatite B o C, una steato-epatite, un abuso di alcol ecc. A chi risultava positivo, veniva proposto l’esame, tramite saliva, del anti-HCV, cioè l’anticorpo anti epatite C , il cui risultato veniva consegnato nel giro di 20 minuti. Sui circa 200 test eseguiti, circa 10 persone hanno presentato transaminasi elevate, e tra queste tre sono state riscontrate positive per l’epatite C (infezione
che i pazienti non sapevano di avere). La cittadinanza ha risposto con grande interesse, e ci è stato chiesto più volte di ripetere tale “esperimento” nel prossimo futuro. Il Dott. P. Trampetti ringrazia tutti i cittadini che si sono sottoposti al test, ringrazia inoltre la ROCHE, la Protezione Civile di Foligno, il Corpo dei Vigili Urbani, il Comune di Foligno che ne hanno reso possibile lo svolgimento.
Pozzi inquinati Orticoltura in crisi e tante incertezze LUISITO SDEI Come è noto, una seconda ordinanza del Sindaco (4 maggio), dopo la prima del 27 dicembre scorso, ha allargato i confini della zona inquinata dal tetracloroetilene, in cui è vietato utilizzare l’acqua dei pozzi a scopi idropotabili ed irrigui. Il percloroetilene (o tetracloroetilene) è un alogenuro organico che trova largo impiego, come detergente, in trattamenti cosiddetti "a secco" (lavanderie a secco), come sgrassante nell'industria metalmeccanica (lavaggio metalli), come solvente nelle industrie di vernici ed infine nell'industrie chimiche e farmaceutiche. E’ già scattata la caccia al colpevole. L’ordinanza è stata emanata in quanto la concentrazione della sostanza supera quella consentita dalla Tabella 2 - Allegato V alla Parte Terza del D.Igs. 3 aprile 2006 n° 152 e s.m.i.;. Si tratta, in sostanza, della soglia determinata per l’uso idropotabile, laddove il valore-limite del tetracloroetilene è di 1,1 u/L (micron per litro). Non ci sono dubbi sul fatto, dunque, che l’acqua dei pozzi, in presenza di tali valori, non si possa bere. Qualche dubbio in più si è posto per l’uso irriguo. Tuttavia, l’Istituto Superiore di Sanità, nel parere rilasciato all’A.S.L. n. 3, sostiene che “la non idoneità delle acque è da estendere, nella fattispecie, anche all'uso irriguo, dal momento che le sostanze contaminanti possono essere assorbite sia dalle radici di specie vegetali ed arboree sia dalle foglie delle piante a seguito della volatilizzazione delle sostanze nell'atmosfera ”. Peccato che, invece, secondo il DM 185/03, sarebbe consenti-
to il riutilizzo ad uso irriguo di acque reflue con una presenza di tetracloroetilene fino a 0,01 mg/L, equivalente a 10 u/L. Ossia, un altro provvedimento ministeriale decreta che, per l’uso irriguo, sono ammessi valori 10 volte superiori a quelli consentiti per l’uso idropotabile. In sostanza, la frutta e la verdura in vendita negli ortofrutta e nei supermercati può essere irrigata con acqua dieci volte più inquinata rispetto a quella dei nostri pozzi. Non solo: Per quanto riguarda l'acqua potabile l'OMS ha stabilito per il PCE un valore di linea guida di 40 µg/L (0,04 mg/L) per un consumo di acqua a lungo termine: 4 volte più alto di quello della legge italiana. Questo valore è stato ottenuto considerando i dati inerenti le intossicazioni e l’insorgenza dei tumori. In questo caso l'OMS ha ritenuto possibile dedurre un valore di linea guida, in quanto i risultati degli studi effettuati sugli effetti tumorali indicano che il PCE non provoca un danno diretto alla cellula umana ma agisce indirettamente. I valori di linea guida dell'OMS sono molto
inferiori alle concentrazioni capaci di produrre un danno per la salute umana ed, in genere, le leggi italiane che riguardano le acque potabili e ambientali sono più conservative rispetto ad essi. L’ordinanza del Sindaco giunge poi ai primi di Maggio, quando si è ormai conclusa la stagione dei trapianti delle colture orticole estive. Le piantine sono in sede; per le imprese non irrigare vuol dire perdere tutto, per le famiglie rinunciare ad investimenti iniziali ormai non trascurabili. E’ facile immaginare che, in questo quadro di incertezza, ben pochi si rassegneranno a veder morire le piantine trapiantate con tanta fatica e tanta spesa. E’ altrettanto facile immaginare che, così stando le cose anche negli anni futuri, il divieto di attingimento si trasformerà nella Waterloo dell’orticoltura in Valle Umbra. Ovviamente, di fronte ai pareri pervenuti, le autorità sanitarie locali non potevano agire diversamente. Speriamo che le già previste iniziative di informazione possano portare ulteriore chiarezza sui rischi reali e sui possibili rimedi.
61
Cultura/e
“A cobra fumou”
FOLIGNO GIUGNO 2011
Apocalisse Pakistan di Beniamino Natale e Francesca Marino
OSVALDO GUALTIERI
(Seconda parte, la prima è stata pubblicata nel numero di maggio e sul sito internet) All’arrivo a Napoli, la gente non capiva niente su cosa stesse succedendo vedendo arrivare e sfilare in fila indiana degli uomini in divisa verde oliva simile a quella tedesca, disarmati e molti di carnagione scura. Al riguardo si raccontano un sacco di barzellette tipiche dei napoletani. Fino a quel momento, l’esercito brasiliano era armato con armi tedesche, italiane e francesi perciò non avevano dimestichezza con la armi americane. Nell’esercito brasiliano mancavano stenografi, chimici, elettricisti, radio-operatori, conducenti di autocarri e trattori, meccanici, ecc. Dopo un primo periodo nei dintorni di Napoli, per continuare l’addestramento alle nuove armi e mestieri, i soldati brasiliani furono spostati a Tarquinia e da lì a Vada, nei pressi di Livorno. La partecipazione militare alla guerra del contingente brasiliano non è stata molto intensa e meno ancora eroica. Si raccontano un sacco di aneddoti sulla loro disciplina, preparazione militare e coraggio, non tutti lusinghieri. Comunque, dopo le prime batoste ricevute dai tedeschi, con conseguenti dietrofront, tra febbraio e marzo del 1945, la FEB ha partecipato attivamente nella conquista di Monte Castello, Castelnuovo e Montese, dovendo superare il freddo e la
neve alla quale non erano abituati e che è stato un grosso problema per loro. Un altro grosso problema è stato che gli ufficiali, come già detto tutti appartenenti alle classi privilegiate del Brasile, erano razzisti e despoti con i loro stessi soldati, provocando con questo atteggiamento delle rivolte e diserzioni. Alla fine della guerra la FEB aveva avuto in tutta la campagna 465 morti, 2.722 feriti e 23 dispersi. I morti furono sepolti nel cimitero appositamente realizzato alle porte di Pistoia. Tra luglio e settembre del 1945 i sopravvissuti tornarono in Brasile. Al loro arrivo, senza grandi onori né riconoscimenti, il governo fece scomparire per sempre le divise utilizzate e lo stemma del serpente fumante, che era stato il loro orgoglio. Durante la mia recente missione come Cooperante del CISS a Belèm, nello Stato del Parà, mi sono interessato a questo tema e ho fatto una ricerca. Ho scoperto che in pieno centro di Belèm c’era una bellissima sede dei reduci della FEB. Questa sede è quasi abbandonata e solo ogni tanto è presente un ex
combattente molto deluso per la mancanza di riconoscimento da parte di nessuno. A quel punto ho organizzato una cerimonia con la presenza dei quasi 100 ex “pracinhas” che ancora vivono a Belèm e le loro famiglie. Il giorno della cerimonia, nel corso della quale ho consegnato a nome del CISS delle pergamene di riconoscimento, erano tutti contenti ed emozionati. Era presente anche il Segretario della Cultura dello Stato del Parà e il Generale capo della regione militare del Parà, questi ultimi li hanno invitati loro… Alla fine ho offerto un ricevimento con tanto di vino italiano e salatini. Più contenti ancora! Mi facevano tenerezza. Alcuni di loro mi hanno raccontato che la popolazione italiana che abitava nei dintorni delle loro basi era affamata e che i ragazzini e le donne venivano a raccogliere gli avanzi del loro cibo. Con molto orgoglio mi hanno detto che si erano organizzati meglio e che questi avanzi “li mettevano in dei bidoni fuori della base per favorire i locali….”. Uuum… che facciamo? Ma sì, dai: li perdoniamo… L’importate è che a cobra fumou!
Cosa succederà nelle relazioni tra Stati Uniti e Pakistan, dopo il fulminante attacco dei Navy Seals americani contro il rifugio di Osama bin Laden? Continueranno i doppi e tripli giochi che caratterizzano da più di 20 anni le relazioni tra questi due Paesi? Washington e Islamabad dicono di essere alleate ma la vicenda dell’eliminazione di bin Laden ha dimostrato con chiarezza alcune cose. In primo luogo, che gli USA non hanno alcuna fiducia e alcun rispetto per la sovranità del Pakistan, mentre la classe dirigente pakistana ha visto scoperto il proprio doppio gioco di alleata dell’Occidente e di protettrice degli estremisti musulmani. E che succederà delle centinaia di ordigni nucleari sparsi per il territorio del Pakistan e controllati dallo stesso esercito, dagli stessi servizi di sicurezza che hanno ospitato per almeno cinque anni l’ideatore degli attacchi dell’11 settembre 2001? Domande alle quali é estremamente difficile rispondere. Per cercare di capire qualcosa di questo rebus – due Paesi allo stesso tempo alleati e nemici mortali - può essere utile il libro Apocalisse Pakistan (ed. Memori), una storia del Pakistan dagli anni Settanta ai giorni nostri. Gli autori, i giornalisti Beniamino Natale (ANSA) e Francesca Marino (Il Messaggero, Limes), cercano di spiegare la situazione del Paese guardan-
www.memori.it
duti: dal dittatore Zia ulHaq, che depose e poi fece uccidere Bhutto, alla figlia dello stesso Bhutto, Benazir, dal “dittatore democratico” Pervez Musharraf all’attuale presidente Ali Asif Zardari. Tutti questi governi hanno avuto gli stessi obiettivi fondamentali: strappare all’India il territorio conteso del Kashmir e controllare l’Afghanistan che – secondo gli strateghi di Islamabad – garantirebbe al Paese una “profondità strategica” in caso di guerra con l’India. Il doppio gioco della classe dirigente pakistana – un ristretto gruppo di persone che comprende gli alti
gradi dell’esercito e della burocrazia oltre ad alcune delle “grandi famglie” latifondiste – é cominciato negli anni Settanta, con la jihad, la guerra santa contro gli invasori sovietici dell’Afghanistan. I Paesi occidentali, USA in testa, furono lieti di fornire alla resistenza afghana finanziamenti e appoggio diplomatico lasciando ai pakistani – e in particolare al servizio segreto militare, chiamato Inter Service Intelligence (ISI) – la gestione sul terreno della guerra. Seguendo l’intuizione di Bhutto – che per primo aveva ospitato, finanziato e addestrato gli estremisti islamici afghani nemici dei governi filosovietici – l’ISI favorì la crescita dei gruppi di estremisti di confessione sunnita e di etnia pashtun che avevano più affinità con le popolazioni di frontiera. Più tardi, negli anni Novanta, gli stessi estremisti furono usati dall’ISI per rafforzare la guerriglia dei nazionalisti del Kashmir che si battevano per la secessione dall’India. L’altra intuizione di Bhutto fu di stabilire un’alleanza strategica con la Cina, la potenza “naturalmente” rivale dell’India, che ha fornito al Pakistan un aiuto decisivo nello sviluppo del programma di armamento nucleare e che, a differenza degli USA, non avrà mai alcun interesse a un rapporto di amicizia con quello che rimane il “nemico n.1”, l’ India degli “odiati hindu.
ver essere uccisi in un modo selvaggio, quasi animalesco: a suon di sassi e bastoni. Mi chiedo come ci difenderemo noi una volta divenuti “invincibili”: ci ricorderemo ancora come nasconderci da pietre e bastoni, da sguardi di odio? Non bastano certo le armi contro il panico notturno, non bastano i vestiti, trop-
po facili da strappare via, a farci sentire abbastanza nascosti da sguardi indiscreti, e non basta il corpo intero, con i suoi nascondigli più remoti, a proteggere da un contatto esterno tutti i nostri desideri e il nostro orgoglio. Dopo una tragedia regna solo l‘attesa: si aspetta solo la pace.
do agli ultimi decenni della sua tormentata storia. Una storia che comincia con l’ascesa al potere di Zulfikar Ali Bhutto, il visionario leader che indirizzò la politica del Pakistan in una direzione da allora perseguita ostinatamente da tutti i governi che si sono succe-
I cavalieri vanno alla guerra MARIA SARA MIRTI
La tragedia è il semplice pianto che può diventare un’inondazione sul viso altrui; è una morte violenta, è la vita che sfugge senza rimedio, è il dissolversi dei corpi, delle immagini e dei racconti. La tragedia è la guerra, è la mancanza di pudore che spinge la morte, così come la vita, a mostrarsi senza veli al nostro sguardo. Per lo più rimaniamo ciechi, sordi, impauriti di fronte alla notizia di un evento tragico, sentiamo il dolore e la paura ma non sappiamo da quale parte, da quale istante, con esattezza, essi provengano. Se è vero che la nudità dell’uomo è più evidente, più esposta al ludibrio, di quanto non lo sia per la totalità della natura, se è vero cioè che la natura è portatrice di una nudità impossibile da scoprire, da sorprendere, da far vergognare, mentre l’uomo è vittima della sua
stessa autoaffermazione di nudità e di colpa, del suo bisogno di rivestirsi di un ruolo, allora si può affermare che il dolore e la paura veicolati da un evento tragico causino lo stesso tipo di disagio, la stessa perdizione che prova il nostro corpo nel sentirsi denudato. Per ovviare a tale nudità teoretica, gli uomini ricoprono i propri corpi di armature, costruiscono nuovi ordigni e chiamano tutto questo progresso, sicurezza. Se qualcuno ci attacca, o ci minaccia, fino a che punto è lecito difendersi? Almeno fino al limite della nostra sicurezza. Quando si compiono “sacrifici umani“, ogni vittima diviene tale nell’illusione di allungare, migliorare e glorificare la vita che resta ai carnefici. Nessuno, vorrebbe trovarsi mai nel ruolo di vittima, allora, in nome della propria sicurezza, tanto vale diventare buoni carnefici. Se necessario si procederà alla disumanizzazione del cosiddetto nemico, si cercherà di distin-
guere tra una violenza giusta, o comunque giustificabile, e una violenza insostenibile; la paura e il dolore, allora, saranno aggravanti per una parte e attenuanti per l’altra. I cavalieri senza macchia che immaginiamo un giorno ci vengano a salvare dalla nostra quotidianità su altrettanto bianchi destrieri, appariranno per quello che sono: burattini di carta pirandelliani, sagome bianche come sudari, come lo stupore che ha sostituito l’empatia nei nostri occhi, come lo spazio lasciato bianco sulle mappe a indicare un mondo ignoto, ancora da esplorare. Mi viene in mente un’affabulazione ellenistica che parla di Bellicosa, una delle molte città dell’immenso, immaginario, continente situato al di là delle terre e dei mari conosciuti. I suoi abitanti
erano costantemente in guerra coi paesi limitrofi, inoltre pur possedendo oro e argento in abbondanza, ritenevano più prezioso il ferro a cui i loro corpi erano invulnerabili. I Bellicosi, avrebbero dovuto essere capaci di difendersi in ogni circostanza, eppure il proprio eccesso di difesa li ha ridotti a do-
Miglior attrice protagonista: LA MORTE! IOLANDA TARZIA
“Cercò un posto dove poter sedere tranquillo, lontano dagli uomini. Lo trovò presto: la biblioteca piccola, silenziosa, illuminata e vuota. Si mise a guardare un quadro che gli stava di fronte: era una buona copia della “Morte del giusto” di Greuze. Il vegliardo stava spirando nel suo letto, tra sbuffi di biancheria pulitissima, circondato dai nipoti afflitti e da nipotine che levavano le braccia verso il soffitto. Le ragazze erano carine, procaci, il disordine delle loro vesti suggeriva più il libertinaggio che il dolore [...]. Subito dopo chiese a se stesso se la propria morte sarebbe stata simile a quella: probabilmente sì, a parte che la biancheria sarebbe stata meno impeccabile [...] e che era da sperare che Concetta, Carolina e le altre sarebbero state più decentemente vestite. Ma, in complesso, lo stesso. Come sempre la considerazione della propria morte lo rasserenava tanto quanto lo aveva turbato quella della morte degli altri.” (G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo - Ed. La Biblioteca di Repubblica). In questi ultimi anni si è assistito al cambiamento dell’immagine della Morte sino ad arrivare, oggi, al Suo trionfo mediatico. E’ Lei attualmente la protagonista indiscussa degli
spettacoli che ci vengono sempre più di frequente offerti da televisione, cinema, giornali, web. L’immagine della Morte che ci viene proposta, però, non è più – o non solamente quella a noi più nota in cui interpreta il ruolo - da attrice non protagonista di “assenza di vita”. Le immagini dei cadaveri che ci vengono mostrati dai mezzi di comunicazione non attraggono più l’attenzione né colpiscono più così facilmente la sensibilità media dello spettatore; sono ormai parte dell’informazione quotidiana. Ci hanno abituati allo spettacolo del corpo privo di vita: ora è un singolo corpo sezionato e ricucito dopo un’autopsia; ora, invece, tanti corpi che si decompongono in una fossa comune. Allora anche la Morte si è fatta il lifting e si è adeguata ai tempi. Sempre più spesso, infatti, possiamo ammirarla in un altro ruolo, quello in cui recita da attrice protagonista del film che racconta gli ultimi momenti di vita delle persone. In questo ruolo, che Le consente di esprimere al meglio tutto il Suo macabro orrore mentre prende il sopravvento sulla vita, viene esibita, raccontata, fatta reci-
tare, omaggiata e festeggiata. E così è stata ripresa e mostrata dalle telecamere mentre accompagna il volo verso il vuoto di coloro che volevano sfuggire al fuoco che stava consu-
mando le Torri. Alla Morte violenta riservata a tante giovani vite da una mano assassina vengono dedicate ore ed ore di talk show televisivi in cui la curiosità morbosa dei telespettatori viene soddisfatta con i resoconti anche dei particolari più crudi di quegli incontri mortali. I corpi trascinati via dall’onda dello tsunami sono stati ripresi e immortalati negli obiettivi di telecamere e macchine fotografiche che le hanno diffuse in tutto il
mondo e sono stati consacrati come attori da Clint Eastwood. La Morte si è potuta scorgerla nella pozza di sangue che imbrattava l’asfalto della strada che ha interrotto per sempre la corsa di Weylandt. Si potrà vederla al cinema nella pellicola “Unlawful Killing” mentre si appropria del volto di Lady Diana. E poi, come dimenticare le immagini, offerte in mondo visione, del trionfale omaggio e dei festeggiamenti che sono stati riservati da migliaia di persone a Colei che ha finalmente liberato l’occidente da Osama Bin Laden. Certo, questo suo ruolo e questa sua immagine non piacerà a tanti. Qualcuno certamente preferirà non assistere alle sue esibizioni in questa nuova veste di attrice protagonista. C’è chi vorrà continuare ad avere di Lei l’immagine fumettistica dello scheletro coperto da un manto nero che incede tenendo in mano la sua minacciosa falce. Ma è un’immagine irreale ed obsoleta che non si addice ai tempi moderni in cui l’evolversi della comunicazione, il reality show, pretende che anche la Morte cambi look per catalizzare l’attenzione dello spettatore ormai stanco dei soliti cadaveri inermi.
Come eravamo
È successo, sembrava impossibile ma è successo! Questa mattina mi sono svegliato, come tutti gli altri giorni, ho fatto colazione, mi sono custodito, ma ecco, il cellulare comincia a emettere il suono del “messaggio ricevuto”, una, due, tre... volte. Apro i messaggi, il ritornello è sempre lo stesso… tanti cari auguri. È successo, oggi, ho compiuto 60 anni. Sessanta anni, non è possibile. Io, che ancora inconsciamente, mi immagino un ragazzo, timido, insicuro, sempre pronto a ricevere i suggerimenti dei più grandi, ...60 anni. Mi guardo allo specchio, vedo un uomo, abbastanza ben
mantenuto, con i capelli bianchi, lo sguardo interrogativo, si sono io. Quando compii 40 anni pensai “sono un uomo”, quando compii i 50 anni “sono un uomo arrivato”, e adesso ai 60 che devo pensare, “l’inizio della vecchiaia”, “gli anni dell’abbandono (lavoro)”, “gli anni del declino (fisico)”? No mi rifiuto. Come potremmo definirli…” gli anni della consapevolezza, gli anni da dedicare a se stesso, gli anni della seconda giovinezza! Vedremo. Dunque che fare? Chiudersi in una stanza al buio e disperarsi per il tempo che passa? Fare finta di niente; come se nulla fosse successo; andare in giro per la strada cercando di indovinare gli anni degli altri dai capelli, le rughe, le pance, le chiappe cadenti? Nulla di tutto ciò. Festa! Una bella festa di compleanno, non invitando i soliti quattro amici con cui ci si vede tutto l'anno. No, una bella festa
71
Cultura/e
FOLIGNO GIUGNO 2011
invitando più o meno tutti coloro (poi senza dubbio ne ho dimenticati alcuni) che in questi anni mi hanno accompagnato. Quindi tutti quelli che se uno ti chiede: conosci il Tale, potresti rispondere, si è un amico. Che c'entra, un AMICO è qualcosa di diverso, è quello che ti conosce bene, che conosce i tuoi difetti, che ti vuole bene per questo. Gli AMICI non possono essere tanti, due, tre, quattro, basta. Ad un AMICO perdoni tutto, le idee, i comportamenti, le stramberie... Pensa, ho un AMICO che adesso nel 2011 è ancora comunista, ma non comunista illuminato, ma legato ancora agli anni 50, uno stalinista; per lui la caduta del muro di Berlino è stata una delle nefandezze della storia, Pol Pot è stato un esempio, l'invasione dell'Ungheria e della Cecoslovacchia una necessità. Abbiamo sempre litigato per queste idee, e sempre litigheremo, ma è un AMICO, allora... collaboro ad un giornale da lui pubblicato, un giornale comunista stalinista. Che si fa per un AMICO! Torniamo a noi. Quanti sono gli amici di un uomo? Sono fortunato, io ne
ho tanti. Ho fatto un elenco... forse cento. Certo non posso invitarli tutti, ma una buona parte, i più vicini (nel senso della residenza) sì. Saremo circa ottanta. Ci sono amici che ho conosciuto all'asilo (Marco), altri all'elementari (Carlo); altri alle medie, liceo ecc... alcuni che bazzico settimanalmente, altri più raramente. Durante la festa mi piacerebbe fare un bel discorso, sì un discorso come quelli che si vedono nei film. Un discorso serio; mi ci vedo, io in piedi, davanti a tutti che mi stanno a sentire, seri, ma contenti. Un discorso sull'amicizia, sui momenti che negli anni abbiamo vissuto insieme, io con ciascuno di loro. Come al Giro d'Italia, i corridori partono insieme, poi ogni tanto uno si stacca, ma la mattina dopo sono tutti di nuovo tutti insieme. Si vorrei ringraziare tutti i miei compagni di strada, tutti coloro che negli anni hanno saputo trasformare la mia vita. Che sarebbe la vita senza gli altri, non sarebbe vita, sarebbe un trascinarsi di giorno in giorno in attesa della fine. Invece la condivisione dei problemi, dei momenti, degli in-
All You Fascists Woody Guthrie 1936 (Billy Bragg 2000) Sto per dirvi una cosa, fascisti che potrebbe sorprendervi la gente di questo mondo si sta organizzando e voi perderete, sì, fascisti, voi perderete L'odio razziale non può fermarci sappiamo solo questa cosa la vostra tassa nominale, la vostra ingordigia devono sparire e voi perderete, sì, fascisti, voi perderete Tutti voi, fascisti, perderete: L'ho detto: tutti voi, fascisti, perderete Sissignore: tutti voi, fascisti, perderete, perderete! Voi fascisti perderete! Gente d'ogni colore che marcia fianco a fianco che marcia per questi campi dove un milione di fascisti muore e voi perderete sì, fascisti, voi perderete! Sto andando a questa battaglia e prendo la mitraglia la faremo finita con questo mondo di schiavitù e prima che questa battaglia sia vinta voi perderete, sì, fascisti, voi perderete!
teressi, delle vacanze, dell'attività sportiva questo è il sale della vita. Mi ci vedo con un bicchiere in mano in piedi tra di loro. Un breve ricordo di chi non c'è più, delle persone più care, di coloro che ogni volta che ci pensi ti viene un groppo alla gola. Due parole anche per loro, sperando che la voce non venga strozzata dall'emozione. Due parole per Antonio un parente/AMICO che ci ha lasciato pochi mesi fa, sicuro che se fosse stato alla festa, avrebbe apprezzato la compagnia e il mangiare. Due parole per i figli, sempre al centro dei miei pensieri. Due parole per mia moglie, che da oltre 43 anni mi sopporta e... Un bel brindisi e il discorso si chiude con un applauso e un tintinnare di bicchieri. Questo è il discorso che avrei voluto fare, ma che non farò mai, data la mia riservatezza, e un senso di pudore, che mi impedisce di esternare come vorrei i miei sentimenti. Chissà perché è così difficile dire cose belle, mentre a volte è facile dirne di brutte. Diceva la zia Melania, morta a 101 anni, “la vita è come un battere di ciglia, quando le riapri è già finita”. Forse aveva ragione, mi sembra ieri che stavo sui banchi di scuola, mi sembra ieri che tornavo
a casa dai genitori, con quella sensazione di tornare in un porto sicuro, mi sembra ieri che mi sono laureato, che mi sono nati i figli, ecc. A me piacciono molto le fotografie, da sempre; ho il computer intasato da migliaia di foto, spesso mi piace cliccando sulla tastiera rivedere volti antichi, situazioni famigliari. È una magia vedere gli amici lì, sullo schermo eternamente giovani, i genitori eleganti mentre si recano al veglione, i figli che giocano al mare, la moglie giovane, bella, sinuosa, desiderabile. Si è veramente bello, è una illusione meravigliosa. Sessanta anni... che ci riserverà il futuro? Bando alla malinconia, anche se la festa in parte è stata rovinata dalla pioggia, non ci importa, che gli anni che ci restano siano come una festa, con buon cibo, buon vino, buona conversazione. Sempre con il sorriso, la voglia di stare insieme. E quando sarà il momento dell'ultimo brindisi, leviamo in alto i bicchieri, e con un sorriso guardiamoci negli occhi per l'ultima volta, abbracciamoci, così che il calore che ci trasmetteremo ci riscaldi il cuore, e ci convinca di non aver vissuto inutilmente, perché saremo stati capaci di amare. p.t.
81
FOLIGNO
Lavoro
GIUGNO 2011
“COLLEGATO LAVORO”
ELEZIONI AMMINISTRATIVE E REFERENDUM 2011
NOVITÀ IN MATERIA DI DIFFIDA E VERBALIZZAZIONE
PERMESSI ELETTORALI RETRIBUITI
NICOLA CELANO
L’art. 33 del c.d. Collegato Lavoro sostituisce integralmente l’art. 13 del D. Lgs n. 124/04, fissando nuove regole riguardanti l’accesso ispettivo, il potere di diffida e la verbalizzazione finale da parte degli organi di vigilanza. In particolare, il nuovo comma 6 dell’art. 13 estende il potere di diffida agli ispettori e ai funzionari degli enti previdenziali, nonché a qualunque ufficiale o agente di polizia giudiziaria che esegua accertamenti in materia di lavoro e legislazione sociale. E’ previsto, poi, che alla conclusione delle attività di verifica compiute nel primo accesso ispettivo debba essere rilasciato un verbale il cui contenuto minimo è previsto dalla stessa disposizione. Ad esempio l’identificazione dei lavoratori trovati intenti al lavoro o la descrizione delle modalità di impiego dei lavoratori stessi, anche con riferimento all’abbigliamento da lavoro, agli attrezzi ed ai macchinari impiegati. Secondo la vecchia disciplina gli elementi oggi obbligatori nel primo verbale venivano indicati nei verbali successivi, ciò potrebbe far sembrare che la nuova disposizione ingessi il procedimento, è innegabile, però, che, di contro, la stessa assicuri una trasparenza maggiore. Il verbale di primo accesso deve contenere, inoltre, la specificazione delle at-
tività compiute dagli ispettori stessi. La lettera a) del nuovo comma 1 prevede, poi, che l’ispettore verbalizzi le eventuali dichiarazioni rese dal datore di lavoro o da chi lo assiste, ovvero dalla persona presente all’ispezione. Da ultimo, il verbale di primo accesso deve essere obbligatoriamente consegnato al datore di lavoro o alla per-
sona presente all’ispezione, sulla quale grava l’obbligo di tempestiva consegna al datore di lavoro. Il verbale di primo accesso formalizza soltanto l’apertura del procedimento ispettivo. Esso procede, poi, con l’acquisizione degli elementi utili all’accertamento ispettivo nelle sedi e con le modalità ritenute opportune dagli ispettori e con la visione ed analisi della documentazione richiesta nel verbale di primo accesso. Qualora alla conclusione dell’accertamento emergano violazioni di legge o di contratto collettivo, punite da sanzioni amministrative, gli ispettori devono procedere a diffidare il trasgressore e l’eventuale obbligato solidale alla regolarizzazione, entro il termine di trenta giorni dalla notifica, delle inosservanze che risultino ancora materialmente sanabili. L’ottemperanza
della diffida comporta l’estinzione del procedimento sanzionatorio tramite il versamento di una somma pari al minimo fissato dalla legge ovvero ad un quarto delle sanzioni stabilite in misura fissa. La diffida prevista dall’art. 13 ha perso il carattere di discrezionalità: è, ora, condizione procedibilità per di l’esercizio del potere sanzionatorio in caso di illeciti amministrativi. Il nuovo comma 2 dell’art. 13 prevede che la diffida debba essere rivolta ai trasgressori ed agli obbligati solidali. Ulteriore importante novità è dettata dal 4° comma: la diffida avviene con la notifica di un unico verbale d’accertamento e notificazione di illecito, essa, cioè, non è contenuta in un atto separato. In conclusione, l’art. 33 del Collegato Lavoro ha apportato importanti novità: ha semplificato e positivizzato il procedimento. Sotto il primo profilo, infatti, sono ora presenti sostanzialmente solo 2 atti: un verbale di primo accesso ed un atto di chiusura non frammentabile. Per quanto riguarda la forma, poi, mentre prima era regolata mediante circolari interne, la cui violazione poteva al massimo costituire sintomo di eccesso di potere, ora l’art. 13 definisce normativamente il procedimento: una eventuale carenza di un atto, riguardante la sua forma vincolata, può integrare direttamente il vizio di violazione di legge.
Il 15 e 16 maggio 2011 si sono tenute le elezioni amministrative 2011, il 29 e 30 maggio si è svolto l’eventuale turno di ballottaggio e il 12 e 13 giugno si voterà per il referendum 2011. Per lo svolgimento delle procedure di elezioni moltissimi cittadini italiani sono chiamati a svolgere le funzioni presso gli uffici elettorali, a seguito di nomina e per questi cittadini, nel caso in cui siano lavoratori dipendenti, c’è la possibilità di fruire di permessi elettorali retribuiti. Tutti i lavoratori diche pendenti sono stati nominati scrutatore, segretario, presidente, rappresentante di lista o di gruppo presso seggi elettorali, in occasione di qualsiasi tipo di consultazione, hanno diritto di assentarsi dal lavoro per il periodo corrispondente alla durata delle operazioni elettorali, di preparazione al voto, di voto e di scrutinio. L’assenza del lavoratore per l’esercizio delle funzioni elettorali viene considerata come attività lavorativa a tutti gli effetti ed, essendo quindi equiparata, non è consentito richiedere prestazioni lavorative nei giorni coincidenti con le operazioni elettorali (da sabato a lunedì/martedì), anche se l’orario delle elezioni
pensativo deve essere goduto con immediatezza, cioè subito dopo la fine delle operazioni al seggio. In sintesi: - le giornate trascorse al seggio, coincidenti con l’orario lavorativo, danno diritto ad una assenza retribuita per le singole giornate di partecipazione al seggio, a prescindere dal numero di ore; - per i giorni festivi, (la domenica) o non lavorativi (il sabato, in caso di settimana corta) il lavoratore ha diritto di usufruire di altrettante giornate di riposo compensativo ovvero di ul-
teriori quote di retribuzione in aggiunta alla retribuzione mensile; operazioni di scrutinio che si protraggono oltre la mezzanotte: nel caso in cui le operazioni elettorali si protraggano, anche solo per poche ore, dopo la mezzanotte del lunedì i lavoratori hanno diritto di assentarsi per l’intera giornata lavorativa del martedì e spetta loro l’intera retribuzione. Le retribuzioni corrisposte dal datore di lavoro per le giornate di presenza al seggio elettorale sono considerate normali retrib u z i o n i , quindi assoggettate a contribuzione previdenziale e all’imposizione fiscale. I lavoratori dipendenti chiamati a svolgere le funzioni nel seggio elettorale devono consegnare al proprio datore di lavoro il certificato di chiamata, per attestare il diritto alle giornate di permesso per le elezioni. Successivamente, dovranno presentare la copia dello stesso certificato di chiamata, firmata dal presidente di seggio, e con timbro della sezione, con l’indicazione delle giornate di effettiva presenza nel seggio e l’orario di inizio e chiusura delle operazioni (dal sabato al lunedì o martedì). La documentazione firmata dal presidente di seggio dovrà essere vistata dal vice presidente di seggio.
tervallo fra mezzanotte e le cinque del mattino; - lavoratori notturni: i lavoratori a turni che prestano la loro attività nel periodo notturno, per almeno 6 ore per un numero minimo di giorni lavorativi all’anno non inferiore a 78 per
coloro che maturano i requisiti per l’accesso anticipato nel periodo compreso tra il 1° luglio 2008 e il 30 giugno 2009 e non inferiore a 64 per coloro che maturano i requisiti per l’accesso anticipato dal 1° luglio 2009. Al di fuori
di questi casi sono considerati tali i lavoratori che prestano la loro attività per almeno tre ore nell’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per periodi di lavoro di durata pari all’intero anno lavorativo.
LORETTA OTTAVIANI
fosse compatibile con il normale orario di lavoro svolto dal lavoratore. Essendo, i giorni di assenza per svolgere gli incarichi elettorali, considerati giorni di attività lavoratovi, i lavoratori dipendenti hanno diritto al pagamento della retribuzione nei giorni di permesso elettorale. In alternativa, hanno diritto a delle giornate di riposo compensative, per i giorni di mancato riposo. In base ai principi in tema di riposo settimanale il riposo com-
LAVORI USURANTI ANTICIPO DELLA PENSIONE La G.U. n. 108 del 11/05/2011 ha pubblicato il D.Lgs. 67/2011 contenente le disposizioni per il pensionamento anticipato a favore dei lavoratori impiegati in attività usuranti. Dal 26 maggio 2011 scattano nuovi obblighi di comunicazione per il datore di lavoro che impiega lavoratori in orario notturno o in lavorazioni "a catena". In particolare la nuova normativa riconosce il diritto ad accedere anticipatamente alla pensione ai lavoratori che hanno svolto (per almeno sette degli ultimi dieci anni e, a partire dal 2018, per almeno metà della vita lavorativa) alcune attività lavorative specifiche: - lavori in galleria, lavori nelle cave (ad alte temperature), - lavorazione
del vetro, addetti alla catena di montaggio, conducenti di autobus e pullman turistici. Sono ammessi al beneficio anche i lavoratori notturni, a condizione che abbiano svolto lavoro notturno per almeno 64 notti l'anno (che diventano 78 per chi matura i requisiti pensionistici tra il 1° gennaio 2008 e il 30 giugno 2009). Inoltre: - il datore di lavoro deve comunicare con cadenza annuale ed esclusivamente per via telematica, alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio e ai competenti istituti previdenziali, l’esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, nel caso in cui occupi lavoratori notturni così come definiti
all’articolo 1, comma 1, lettera b): - il datore di lavoro che svolge le lavorazioni indicate dall’articolo 1, comma 1, lettera c), è tenuto a darne comunicazione alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio e ai competenti istituti previdenziali entro trenta giorni dall’inizio delle medesime. In sede di prima applicazione della presente disposizione, la comunicazione è effettuata entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo in argomento. E' considerato, a questi fini: - lavoratore a turni: qualsiasi lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni; - periodo notturno: periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’in-
FOLIGNO
91
Lavoro
GIUGNO 2011
Merloni, prorogate amministrazione straordinaria e cassa integrazione Comunicato del Comitato dei Lavoratori A. Merloni
Il ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani ha prorogato l'amministrazione straordinaria del gruppo elettrodomestico Antonio Merloni sulla base della legge Marzano, che implicherà anche la proroga della cassa integrazione in scadenza per i circa 2.200 dipendenti degli stabilimenti di Fabriano e Nocera Umbra. La notizia era molto attesa, anche perché è ancora aperta la trattativa per la cessione del ‘comparto bianco’ del gruppo. In corsa per l'acquisizione ci sono gli iraniani della Mmd, società che ha versato la cauzione richiesta dai tre commissari governativi che gestiscono da tre anni l'Antonio Merloni, e i cinesi della cordata G8. Nei giorni
scorsi è avvenuto il primo contatto tra la holding iraniana Mmd e i commissari straordinari della Merloni. Sarebbe quindi iniziata la trattativa con quello che al momento è l'unico potenziale acquirente per la totalità degli asset produttivi dell'impresa di elettrodomestici in regime di amministrazione controllata. Nel primo incontro i commissari avrebbero chiesto agli iraniani di alzare il numero dei dipendenti (al momento 400 sui 2.300 complessivi) da reinserire nel ciclo produttivo dell'impresa asiatica. Dalla stessa Mmd sarebbero arrivati segnali di apertura e di disponibilità di massima, a patto però di avere accesso ad una serie di agevolazioni e sgravi fiscali.
Il Comitato dei Lavoratori Merloni dello stabilimento di Colle di Nocera Umbra, avuta la notizia della concessione della proroga dell’Amministrazione Straordinaria di un ulteriore anno non può che manifestare la propria soddisfazione. La riapertura della procedura di vendita per gli stabilimenti rimasti invenduti della A. Merloni in AS fa, infatti, rinascere le speranze dei 2.300 lavoratori umbri e marchigiani, anche perché le proposte di interesse già pervenute ai Commissari Straordinari, ancora in fase di valutazione, non sono l’ultima possibilità per il destino dei loro posti di lavoro. Nonostante l’ulteriore possibilità data dalla riapertura dei bandi di interesse, c’è ancora chi continua a richiedere l’attivazione della fase B dell’Accordo di Programma che prevedrebbe, al contrario, la ces-
nel permettere quanto sta succedendo nella maggioranza delle aziende, ove non si realizzerà la seconda fase della valutazione, cioè quella approfondita, per mezzo della assunzione della percezione soggettiva del rischio di stress da parte dei lavoratori,
in quanto le aziende valutano il rischio inesistente o talmente basso che non è necessario passare alla seconda fase. Per questi motivi vi chiediamo di informare tutti gli Rls della Fiom di non firmare i verbali che attestino l’inesistenza del rischio laddove non si è realizzato l’effettivo coinvolgimento degli Rls nella valutazione. Al
nale metta a disposizione tutti gli strumenti necessari. Ciò che è accaduto nei giorni scorsi al Tribunale di Ancona non ci può lasciare indifferenti, tutt’altro. La Gierre srl ha infatti impugnato l’aggiudicazione della Tecnogas alla Mmd General Trading con sede a Dubai, che se la era aggiudicata con un’offerta di gara superiore di un milione di euro rispetto all’offerta presentata dalla Gierre srl. Ricordando che la stessa Mmd ha presentato il piano industriale per l’acquisizione dell’intero perimetro rimasto invenduto della A. Merloni in AS, che comprende gli stabilimenti di Nocera Umbra - Santa Maria e Marangone, avendo anche già versato la fidejussione richiesta dai Commissari, c’è ragione di temere che il ricorso presentato dalla Gierre srl possa spingere la società Iraniana a rivedere i propri piani, rinunciando definitivamente all’acqui-
sizione anche della Ardo. La possibilità che tutto ciò sia un’azione di disturbo per la trattativa, così come lo sono state le notizie distorte date alla stampa dai sindacati dopo l’incontro del 27 Aprile al Ministero dello Sviluppo Economico circa la minore capacità di riassorbimento della manodopera da parte della Mmd (dati subito smentiti dallo stesso Younes Zaeripour mananger della società Iraniana), non fa che aumentare le preoccupazioni. Per questo il Comitato dei Lavoratori ha formalmente chiesto, con una lettera ai Commissari Straordinari consegnata anche al Ministro dello Sviluppo, un incontro chiarificatore tra istituzioni regionali, sindacati, aperto a tutti i lavoratori. Siamo in attesa che il Ministero ci comunichi la data. Nocera Umbra, 24 .05.11 Il Comitato dei Lavoratori
Lavoro, 800 mila donne licenziate per gravidanza
Valutazione dello “stress correlato” In questi giorni molte aziende stanno concludendo la valutazione circa l’esistenza o meno del rischio di stress correlato al lavoro, che doveva essere stato avviata dal 31 dicembre 2010. Tale valutazione doveva avvenire secondo le indicazioni previste dalla Commissione consultiva del Ministero del Lavoro ed emanate il 17 novembre 2010 che prevedevano la costituzione di un gruppo di lavoro aziendale e la consultazione degli Rls. La consultazione è necessaria per la valutazione anche nella fase preliminare, la prima delle due fasi previste, per la rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili quali gli eventi sentinella (assenza per malattie, indici infortunistici, turnover…), i fattori di contenuto del lavoro (carichi e ritmi di lavoro…) e i fattori di contesto del lavoro (autonomia decisionale evoluzione di carriera…). La mancanza della consultazione degli rls è stata decisiva
sione ad Invitalia del complesso industriale con la conseguenza della chiusura definitiva dello stabilimento di Colle di Nocera Umbra, senza alcuna garanzia in termini di rioccupazione, ma con la messa a disposizione dei circa 50 milioni di euro inseriti nell’Accordo di Programma, della cui spesa dovranno darci spiegazioni. Il Comitato dei Lavoratori sta da lungo tempo denunziando il fatto che da più parti non c’è una reale volontà di trovare una soluzione per la cessione in continuità per il comparto del bianco, cioè per gli stabilimenti rimasti invenduti della A. Merloni in AS. Visto però che sono state riaperte le procedure di vendita per un ulteriore anno, chiediamo che tutti i soggetti interessati alla trattativa, Istituzioni Regionali, locali e sindacati lavorino affinché si raggiunga l’obiettivo di una cessione in continuità e che il Governo Nazio-
contrario è necessario che sia verbalizzato il dissenso degli Rls rispetto a tale modalità di valutazione aziendale e annunciare alle aziende stesse che di tale giudizio negativo sarà data informazione ai Servizi di Protezione e Prevenzione delle Asl. Una valutazione che si conclude con la dichiarazione di inesistenza del rischio da stress correlato all’attività lavorativa non solo identifica il lavoratore, con eventuali disagi e malesseri, come solo responsabile di queste patologie, a causa delle sue caratteristiche personali,ma dall’altra potrebbe condizionare negativamente la contrattazione sull’organizzazione del lavoro e pregiudicare anche l’eventuale richiesta di riconoscimenti di malattie professionali a causa di patologie determinate da quei processi produttivi. Il Responsabile Ufficio SAS Maurizio Marcelli
E’ sempre più difficile conciliare l’attività lavorativa con la nascita di un figlio, anche perché spesso le madri sono spinte alle dimissioni sul posto di lavoro Il 15% delle donne italiane smette di lavorare in seguito alla nascita di un figlio, spesso non per scelta ma per decisione del datore di lavoro, un fenomeno che colpisce più le giovani generazioni rispetto alle vecchie e che appare particolarmente critico nel Mezzogiorno, dove ”pressoché la totalità delle interruzioni può ricondursi alle dimissioni forzate” scrive l’Istat. Tra il 2008 e il 2009, infatti, circa 800 mila donne sono state licenziate o costrette a dimettersi a causa di una gravidanza. Si tratta dell'8,7% delle madri che lavorano o che hanno lavorato in passato e la percentuale sale al 13,1% per le donne giovani nate dopo il 1973. A segnalare la difficile conciliazione tra figlio e carriera è l’Istat che, in base a un’indagine condotta tra il 2008 e il 2009, nel suo rapporto annuale 2010 ha realizzato un capitolo sulla vita lavorativa della donne. Il capitolo figli, non è l’unico dato negativo per il gentil sesso: nel 2010, infatti, peggiora la qualità del lavoro e rima-
ne la disparità salariale rispetto ai colleghi uomini (-20%). La retribuzione netta mensile delle lavoratrici dipendenti è in media di 1.077 euro contro i 1.377 euro dei colleghi uomini, in termini relativi circa il 20% in meno. Il divario si dimezza considerando i soli impieghi a tempo pieno (rispettivamente, 1.257 e 1.411 euro). Un fattore di peggioramento è dato anche dalla crescita del part time (+104 mila unità rispetto a un anno prima), ”quasi interamente involontaria e concentrata nei comparti di attività tradizionali” (commer-
cio, ristorazione, servizi alle famiglie e alla persona) che presentano orari di lavoro poco adatti alla conciliazione con i tempi di vita. Un altro indicatore del ”peggioramento della qualità del lavoro femminile secondo l’Istat, riguarda la crescita delle donne sovraistruite, ovvero quelle con un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta”. Fra le laureate, il fenomeno della sovraistruzione interessa il 40% delle occupate (31% tra gli uomini) e abbraccia tutto il ciclo della vita lavorativa.
101
FOLIGNO
Beni Comuni
GIUGNO 2011
UNIVERSITÀ
POLITICA
FUTURO E RICERCA
“SCONFIGGERE QUESTO CANCRO”
MARIA BALEANI
VINCENZO LAZZARONI
L’università è un punto di arrivo per molti di noi, la laurea è un sogno scintillante che da subito costringe allo scontro con una dura realtà. In molti si dedicano allo studio per poter entrare nel mondo della ricerca, che in realtà è praticamente blindato. Non basta eccellere per essere notati, solo con una buona dose di fortuna potrei conoscere un gruppo di ricerca ancora in grado di mantenere assegnisti e borsiti. Ma per i pochi eletti che hanno la fortuna, nonostante tutto, di realizzare in Italia il loro desiderio di provare a far ricerca, di cercare di fare qualcosa per migliore il proprio futuro, lavorare si traduce in una guerra quotidiana. Guerra in tutti i sensi e a tutti i livelli, dalle difficoltà a reperire i materiali e le strumentazioni per il proprio lavoro, alla costante incertezza sul proprio futuro. Si tratta di un senso costante di insicurezza, perché non si è certi se il mese venturo verrà percepito uno stipendio, e quindi se si potrà continuare a pagare l’ affitto dell’ appartamento di seconda scelta in cui si vive. Ora in
Un giornalista chiede: “ma cosa manca alla sinistra per battere Berlusconi?” A questa domanda mi sono stupito perché io avrei risposto molto semplicemente: “solo i voti”. Cioè il consenso della maggioranza degli elettori. Cosa è mancato al PCI per oltre quaranta anni per battere la DC? Solo i voti. Ma ciò non ha impedito alla sinistra di contribuire a scrivere la costituzione repubblicana, né ha impedito, alla rappresentanza di un terzo dell’elettorato italiano, di esercitare un ruolo fondamentale nella vita politica del paese, sì da condizionare fortemente i partiti di governo e portarli a fare leggi di grande progresso. Me ne viene a mente una per tutte: lo statuto dei lavoratori del 1970. Ma al governo c’era la DC rappresentata da uomini di grande cultura e di grande lungimiranza, che avevano rispetto per gli avversari (non nemici politici, con i quali, se pure con contrasti a volte forti, erano usi dialogare, consapevoli come erano questi statisti, che non si può governare a dispetto di un terzo del popolo italiano. E allora nessun giornalista si poneva il problema di cosa mancasse alla sinistra per battere il governo democristiano, giacché era a tutti chiaro che la maggioranza dell’elettorato sceglie-
pochi sanno l’ impatto devastante che la riforma Gelmini avrà su un settore che già adesso é in condizioni tutt’ altro che prospere. In Italia 12000 giovani ricercatori, con contratti annuali non vedranno più la fine di questo incubo. Infatti con la riforma cesserà di esistere la figura del ricercatore a tempo indeterminato (alla quale era comunque –quasi- impossibile accedere anche per persone eccellenti nei loro settori) in quanto verrà sostituito da una nuova figura, quella del ricercatore a tempo determinato. Il nuovo profilo avrà l’accesso al mondo della ricerca per un tempo massimo pari a 6 anni. Tradotto in termini pratici, significa che un neolaureato, dopo 3 anni di dottorato di ricerca e 6 anni di ricercatore a tempo determinato si troverà
a 34 anni con niente in mano. Infatti non saranno certo disponibili adeguati posti da professore associato per coprire questo mondo sommerso di nuovi schiavi e mancheranno le possibilità di costruirsi una strada nel luogo dove sono nati e cresciuti un futuro. L’Italia non è in grado, in questo momento, di offrire alcuna opportunità reale. Si parla molto, e a sproposito, di precariato, ma quello che si vive all’interno dell’Università è forse più umiliante che altrove, perché si tratta di persone che veramente amano quello che fanno e rinunciano a tanto pur di cercare di cambiare qualcosa. In fin dei conti, grazie alla riforma, da adesso non ci sarà nessuna scelta: si è costretti a scegliere di rinunciare ai propri sogni o alle proprie radici.
CONTRO IL RAZZISMO E PER LA PACE 25 ANNI DI “CITTÀ NUOVA” LUIGI SAMMARCO
Il Centro Culturale “Città Nuova” è nato a Spoleto nel novembre 1986. In occasione della sua presentazione pubblica, che coincise con l’organizzazione del primo convegno su “ I quarantenni della Repubblica e la salute della democrazia”, intervenne anche l’on. Stefano Rodotà che ne è stato il primo presidente effettivo e poi onorario sino ancora oggi. In verità la genesi del Centro culturale si deve alla volontà di Pietro Conti che fu sindaco di Spoleto e “padre” della neonata Regione dell’Umbria. Il centro ha cercato sempre di porsi in continuità con la linea di indirizzo del suo ispiratore, sempre al servizio delle istituzioni, nell’intento di interpretare, al si sopra delle parti politiche, i bisogni dei cittadini. Pietro Conti era convinto che “il bisogno fondamentale dei nostri tempi è la partecipazione attiva e consapevole da parte di tutti alla vita pubblica: le istituzioni democratiche non devono rappresentare strutture centralistiche o burocratiche, ma essere interpreti dei bisogni e dei problemi di tutti; ad esse tutti devono dare un contributo
va la DC perché nel bene e nel male sapeva governare, sapendo anche concedere qualcosa alle opposizioni quando era chiaro che questo qualcosa rappresentava l’interesse del paese. Certo che la sinistra si poneva l’obiettivo di vincere le elezioni, e per questo lavorava caparbiamente tra la gente per far comprendere le differenze, presentando
programmi, progetti e proposte alternative che potessero raccogliere un sempre più ampio consenso; ma sapeva anche che, pur perdendole, in un paese democratico c’era comunque la possibilità di battersi in Parlamento per raggiungere obiettivi di interesse generale dialogando con la maggioranza. Se mi leggono giovani delle classi 1980 e seguenti mi considereranno certamente un nostalgico della “prima repubblica”, ed io invece scrivo anche e soprattutto per loro che, raggiunta l’età della ragione, hanno conosciuto solo la politica della cosiddetta seconda repubblica, quella del berlusconismo e pensano che la politica si possa fare solo come si fa da 16
anni a questa parte e ne hanno, giustamente, repulsione. Spero di deluderli, perché non è così. Ciò a cui stiamo assistendo da 16 anni in qua non si può definire politica, bensì il subdolo tentativo di un mitomane di sovvertire tutti i canoni della legalità e della democrazia per poter governare il paese senza vincoli, senza controlli, se potesse senza elezioni; né più né meno come Gheddafi che ammirava soprattutto perché gli invidiava il potere assoluto. Dunque le opposizioni di destra, di centro e di sinistra sono un ostacolo e per questo vanno demonizzate; come sono un ostacolo il Presidente della Repubblica, la Magistratura, il Parlamento, cioè tutti quei poteri che la Costituzione ha previsto proprio per evitare che il paese si potesse ritrovare sotto un'altra dittatura. La conclusione di questo ragionamento è che i voti della destra liberal-democratica, del centro e della sinistra da soli non bastano a sconfiggere i progetti di potere di Berlusconi, ma sono comunque una maggioranza, che ne dica il cavaliere, e quindi, prima che sia troppo tardi, bisogna salvare il paese con gli strumenti della democrazia, mettendo da parte gli interessi di parte e gli egoismi e costruendo le condizioni perché le opposizioni possano vincere le elezioni e sconfiggere questo cancro.
UN TRIBUTO ARTISTICO AL MONDO FEMMINILE LA POESIA DELA PITTURA DI “ESMERALDA”
con proposte, sollecitazioni, iniziative dal basso, intendendo il “basso” come base e non come subalternità al potere. Partecipare, condividere, interrogare e interrogarsi, riuscire a scrivere in un orizzonte nazionale e sopranazionale i problemi della realtà locale: in una parola produrre cultura, realizzare giorno per giorno democrazia e libertà; questa la necessità di tutti noi, oggi, in un mondo sempre più aperto ma sempre più complesso e contraddittorio, diviso tra riflusso del privato e ansia di solidarietà planetaria”. Il 2011 segna per Centro culturale “Città Nuova” un traguardo significativo. Nei 25 anni dalla sua fondazione il suo impegno ha registrato momenti importanti nell'ambito dell'Associazionismo democratico, dal Pacifismo all'Ambientalismo, dalle Politiche Culturali a quelle Giovanili e
per l'Infanzia, dalle Tematiche e Problematiche dell'Immigrazione alla Nuova Cittadinanza e alla tutela della Costituzione Repubblicana. Riconosciuto dalle Istituzioni (Comune di Spoleto, Asl3, Provincia di Perugia, Regione dell'Umbria e Ministero delle Politiche Sociali). E' iscritto all'Albo Nazionale dell'Immigrazione, è ammesso come parte civile nei processi di razzismo e svolge un ruolo dignitoso a favore della società civile. I 25 anni coincidono con i 150 anni dell' Unità d'Italia e i 50 anni della Marcia della Pace Perugia - Assisi: su queste tematiche verterà l’impegno del Centro culturale per il 2011, e non solo, coinvolto nel Consiglio Comunale dei Bambini e negli incontri genitoriali nella Scuola Primaria e dell'Infanzia, nonché nella tutela del territorio e nella salvaguardia della salute dei suoi abitanti.
Esmeralda (Cristina Marchionni), è nata a Spoleto (Italia), ha vissuto e operato in Italia, Francia, Spagna e Stati Uniti. Nomade dell’arte, innamorata della vita, archetipo di donna determinata a vivere a pieno la sua vita e la sua dote senza compromessi e senza dilazioni, le sue opere rappresentano donne di qualunque tempo, di qualunque razza e di qualunque religione, un tributo artistico al mondo femminile. E’ nata per essere artista e crescendo imbocca la strada delle arti figurative, sicuramente con molti contrasti interiori, ma in una costante esigenza di coerenza. Prevalgono le esigenze del suo carattere, che la spingono verso realtà diverse, compiendo un atto di fedeltà verso se stessa. In piena libertà d’animo, esprime il suo stile ed il fa-
scino delle sue opere, esercitando verso di noi un richiamo irresistibile. Di anno in anno, studiando i lavori di Cristina Marchionni, sicuramente potremo capire i suoi stadi d’animo, quindi tradurre le atmosfere più o meno incantate che la vita le ha saputo riservare. Dagli anni ’90 ad oggi ha allestito numerose mostre personali e ha partecipato su invito a vari workshop e performance in varie parti del globo (Spoleto, Trevi, Assisi, Perugia, Roma, Firenze, Milano, Tolosa, Parigi , Antregues, Sargumin, Pazilos, Collioure, Port Vendres, Begur, Barcellona ,Santa Julia de Lorià, New York, alla 11° edizione mmart a Medana Slovenia) Danilo Gasperini
FOLIGNO
Salute
GIUGNO 2011
111
L’anestesia generale Certezze e luoghi comuni ALVARO CHIANELLA
Tutti, chi in prima persona o chi in assistenza di qualcuno, siamo stati, almeno una volta nella vita soggetti interessati dall’anestesia generale. E tutti ci siamo fatti a riguardo le nostre convinzioni più o meno fondate. Cominciamo dal termine “anestesia” che per gli antichi medici greci significava “assenza di sensibilità”. Per essere più precisi e aderenti ad un concetto
più moderno è più opportuno parlare di “sonno anestetico” cioè di “narcosi”. La narcosi è un sonno parafisiologico differente sia dal sonno fisiologico che dal coma. Viene indotta da farmaci detti “anestetici” che, iniettati per via venosa o inalati attraverso la respirazione, sono capaci di determinare il sonno in poco tempo. Queste sostanze agiscono principalmente a livello della “sostanza reticolare”, una componente del Sistema Nervoso Centrale, la cui depressione inibisce
“M EDICINA I N P ILLOLE ” A CURA DI
PARIDE T RAMPETTI
LATTE bere un bicchiere di latte al giorno da bambini , preferibilmente per tutta l'infanzia, abbassa fino al 40% il rischio di ammalarsi di tumore del colon da adulti. Un articolo pubblicato su American Journal of Epidemiology, da ricercatori neozelandesi dimostra che un consumo quotidiano e costante di latte sul lungo periodo ha conseguenze benefiche sulla prevenzione del tumore del colon, probabilmente legate al fatto che si accumulano nell'organismo alti livelli di calcio che potrebbero proteggere l'intestino dalla formazione di una neoplasia. Gli scienziati hanno calcolato che la riduzione del rischio di insorgenza del tumore colon rettale in età adulta si attestava al 20% negli individui che avevano assunto almeno un bicchiere di latte al giorno per 4-6 anni e aumentava al 40% in caso di assunzione per 6 anni e oltre. SONNO dormire meno di 6 ore a notte aumenterebbe del 50% il pericolo di sviluppare adenomi del colon (lesioni che possono portare al cancro). Si evince da un articolo pubblicato su “cancer” secondo cui l'incidenza di adenomi del colon retto è nettamente superiore nei soggetti che dormono poco, rispetto a chi dorme almeno 7 ore. SPORT uno studio ha mostrato che gli adulti che praticano una regolare attività fisica abbiano meno rischi di morire per un tumore del colon. La studiosa Kathleen Wolin delle Washington University School of Medicine afferma che “i benefici maggiori sono evidenti in chi ha fatto sport per la maggior parte della vita, ma questo non significa dover fare maratone o sudare per ore ogni giorno; bastano 30 minuti di camminata al giorno per tenere lontano il cancro, ma anche il diabete e le malattie cardiache.” Gli effetti positivi valgono anche se si inizia a fare esercizio dopo aver ricevuto la diagnosi di cancro; diverse ricerche hanno infatti dimostrato l'utilità della ginnastica per limitare i pericoli di una recidiva o per migliorare la propria salute durante le terapie, con effetto di prolungare la sopravvivenza dei pazienti. PASTA (a cena per dimagrire) Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica OBESITY, da ricercatori di Gerusalemme, dimostra che l'assunzione di carboidrati la sera determinerebbe un dimagrimento. 78 obesi sono stati divisi in due gruppi uguali, che hanno seguito per sei mesi lo stesso tipo di dieta ipocalorica (1300 o 1500 Kcal al giorno (20% delle calorie da proteine; 30-35% dai grassi, 40-45% da carboidrati). Unica differenza era che in un gruppo i carboidrati (sotto forme di pasta, riso, pane, patate yogurt alla frutta, e due biscotti) venivano assunti, con altri alimenti, prevalentemente alla sera; nell'altro gruppo venivano distribuiti nella giornata. Dopo sei mesi si è osservata una maggiore perdita di peso (in media 11.6 Kg contro 9 Kg) nei pazienti che assumevano carboidrati la sera. Lo spostamento dei carboidrati la sera potrebbe modificare in modo favorevole la secrezione degli ormoni LEPTINA e ADIPONECTINA. La prima è detta l'ormone della sazietà, la seconda porta alla riduzione dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue, migliora la sensibilità all'insulina ed ha azione antiinfiammatoria. In effetti tale dieta modifica i livelli di tali ormoni. Durante il riposo notturno gli zuccheri vengono temporaneamente immagazzinati per essere poi rimessi in circolo, sotto forma di glucosio, nel corso della giornata, specialmente quando serve energia per sforzi fisici.
i rapporti con le altre “stazioni” dell’encefalo e principalmente con la corteccia cerebrale che è sede della coscienza , della veglia, dell’affettività e della vita di relazione. Con l’utilizzo dei farmaci iniettabili, quali il Propofol, il Penthotal, il Midazolam e la Ketamina, o di farmaci inalatori, il Sevoflurano, il Desflurano e il Protossido d’azoto, il paziente dorme profondamente. E’ questa una condizione indispensabile, ma non sufficiente per l’inizio dell’intervento chirurgico. Il paziente, pur essendo privo di coscienza mantiene la sensibilità allo stimolo doloroso che va annullata somministrando farmaci analgesici. Le sostanze principalmente utilizzate per questo fine sono gli Oppiacei che altro non sono che i derivati di sintesi della Morfina. Per rendere possibile l’atto chirurgico è però necessario che il soggetto sia “paralizzato” dal punto di vista muscolare con farmaci miorilassanti detti più comunemente “curari” (derivati di sintesi del
curaro degli Indios dell’Amazzonia). La paralisi muscolare, determinando l’assenza della respirazione spontanea, richiede l’intubazione tracheale e il conseguente collegamento al respiratore automatico per tutta la durata dell’intervento. Nella prima fase dell’anestesia, detta induzione, con la somministrazione dei farmaci su descritti, anestetico, analgesico, curaro, il paziente dorme profondamente, non sente nessuno stimolo doloroso, è “paralizzato” e respira artificialmente: si è pronti per l’inizio dell’intervento chirurgico. Durante l’intervento, di durata chiaramente variabile, si realizza la seconda fase dell’anestesia, il “mantenimento”, che consiste nel mantenere stabili, con adeguate somministrazioni suppletive di farmaci, il sonno, l’analgesia e la
curarizzazione. Segue la terza fase, il risveglio, che consiste, alla fine dell’intervento, nel riportare il soggetto allo stato di veglia interrompendo la somministrazione di anestetici, mantenendo l’analgesia “preparandosi” per un buon post-operatorio e, eliminando il curaro, facendogli riprendere il respiro spontaneo, staccarlo dal respiratore automatico ed estubarlo. Il paziente operato è sveglio e cosciente, non ha dolore e respira autonomamente. Può così tornare al suo letto di degenza ove, con varie modalità, gli si continueranno a sommini-
strare farmaci analgesici per il controllo del dolore. L’anestesia generale, con gli attuali farmaci e le attuali tecniche, può essere definita una pratica clinica sicura praticata quotidianamente in una miriade di interventi in tutto il mondo. Tale sicurezza viene assicurata dalla presenza fisica dell’anestesista e dall’accuratezza dei sistemi di monitoraggio che nel tempo garantiscono una sorveglianza attenta della funzionalità cardiaca, respiratoria, metabolica e renale del paziente nel pre, nell’intra e nel post- operatorio.
Cibi Impoveriti La nostra società si arricchisce di tecnologie innovative, e intanto impoveriamo ciò che mangiamo e quindi ciò che siamo LEONARDO MERCURI
Con i vari e moderni sistemi tecnologici di conservazione , si verifica una considerevole perdita vitaminica, legata alle diverse tecniche di conservazione o, in particolare circostanze, il contenuto vitaminico finale è ridotto a quantità addirittura trascurabili, pari cioè al 6%. Nel caso dei cereali, il processo di raffinazione, comporta una perdita notevole di contenuti non solo vitaminici, ma anche minerali, tanto che, per esempio, il pane bianco rispetto al pane integrale, ha un contenuto in vitamine B1 B2 -PP ma anche in ferro, di gran lunga inferiore. Naturalmente, accanto all’impoverimento di minerali e vitamine, si ha anche un impoverimento di fibra, cioè della componente indigeribile della dieta, se oggi si dà grande importanza alla esagerata riduzione delle
fibre nell’alimentazione, ciò è peraltro correlato alle malattie da malnutrizione; la riduzione della fibra comporta, infatti, una consistente riduzione volumetrica degli alimenti ingeriti, perché assai poveri di scorie, e spesso veri e propri concentrati di energia, per
in fretta, ma il segnale di sazietà da ripienezza gastrica, interviene circa 20 minuti dopo che si è verificata una consistente assunzione di cibi, cioè in ritardo e dopo una introduzione esagerata di principi nutritivi energetici. Infine, la mancanza di fibra grezza, quindi la
cui scatta molto più tardivamente il segnale di sazietà e ripienezza gastrica. A tutto ciò è da aggiungere che, molto spesso, per la vita frenetica e stressante che caratterizza la società meccanizzata, si è portati a mangiare con voracità ed
ridotta volumetria, comporta un tempo di svuotamento gastrico accelerato: ne consegue che si è portati ad introdurre, più rapidamente ed in tempi più brevi, altro cibo. In definitiva, l’apporto di calorie è notevolmente aumentato e superiore ai
fabbisogni, perché gli alimenti sono dei concentrati energetici e tutto questo può essere alla base o contribuire alla più frequente insorgenza delle cosiddette malattie da benessere: obesità, diabete, dislipidemie, ecc. che ci troviamo di fronte ad uno stato di malnutrizione per eccesso, risulta confermato, per l’intero paese, dall’andamento dei consumi degli ultimi 30 anni. Tutto ciò non è rimasto senza conseguenze, difatti, si calcola che almeno 22 milioni di italiani adulti vorrebbero dimagrire, ma solo 8 cercano di fare qualcosa, il 14% segue una dieta e soltanto il 5% pratica attività sportive. In conclusione non lasciamo che le moderne tecnologie ci tolgano di mano la nostra salute, che la vita frenetica ci precluda di invecchiare con successo, perche tutto ciò che ora facciamo di corsa, non servirà a nulla se nella nostra vecchiaia non ci ricorderemo neanche come ci chiamiamo.
121
FOLIGNO
Pensieri e Parole
GIUGNO 2011
M AHMOUD D ARWISH “AVEVA DENTRO DI SÈ UN MILIONE D'USIGNOLI PER CANTARE LA SUA CANZONE DI LOTTA”
SYLVIA PALLARACCI
Il poeta palestinese Mahmoud Darwish è uno dei più grandi poeti contemporanei in lingua araba, con una produzione straordinaria segnata dai drammi dell'esilio e dell'occupazione vissuta dal popolo palestinese. Il suo poema "Identità", sul tema del formulario israeliano che i palestinesi erano obbligati a compilare, è diventato un inno per il mondo arabo. Darwish nasce nel 1941 in Galilea. Nel 1948 vive la tragedia del suo popolo, il suo villaggio è attaccato dai sionisti e la gente costretta all’esilio. La famiglia lascia la Galilea e si trasferisce in Libano, sfuggendo all’occupazione israeliana. Al rientro in Palestina trova il villaggio raso al suolo e al suo posto un insediamento ebraico. Il senso di smarrimento assale il poeta in tenera età e da allora si sentirà sempre
un profugo nella sua patria. Nel 1960 pubblica la sua prima raccolta poetica,”Uccelli senza ali”. Per i suoi scritti e la sua attività patriottica è detenuto per lunghi periodi nelle carceri israeliane e spesso costretto agli arresti domiciliari. La lirica di Darwish è un canto impregnato di amore per la patria perduta e dolo-
re per la prigionia, le privazioni, i tormenti. Inizia a scrivere su quotidiani e riviste, acquistando importanza nel movimento poetico palestinese, entra nella redazione giornalistica del partito comunista e si stabilisce ad aifa, dove trascorre anni durissimi di povertà che lo costringono a dividere una sola camera con il poeta Sami al-Qasim. Entrambi subiscono la persecuzione dell’autorità israeliana e sono obbligati alla permanenza in casa dal tramonto all’alba, oltre che a recarsi a una postazione di polizia cinque volte al giorno per dimostrare la loro presenza. In quegli anni Darwish aderisce al
STORIE DI DONNE CASI DI “FEMMINICIDIO”: 127 DONNE UCCISE NEL 2010 IN ITALIA ARIANNA BOASSO
Il ruolo delle donne all’interno della società è indubbiamente cambiato rispetto a 50 anni fa, sicuramente l’emancipazione femminile si sta completando nelle sue molteplici espressioni anche se c’è ancora molta strada da fare, soprattutto nei settori dirigenziali della società e nella politica. Per molte donne il cammino verso la totale indipendenza e autodeterminazione viene interrotto per sempre, troppe donne vengono uccise, e non da serial killer, pazzi o stupratori, ma dai loro mariti, compagni, ex, tutte persone di cui si fidavano profondamente e che amavano. Marianna Vecchione è morta a 35 anni, a Terni, finita da un colpo di fucile sparato dal compagno, perché, a detta del suo assassino, lei avrebbe voluto lasciarlo. Guai a chiamarlo amore, ma deprecabile possesso che legittima troppi uomini a considerare le proprie mogli o fidanzate degli oggetti, titolari di un diritto di proprietà , di un “ius utendi et abutendi” che giustifica anche un danneggiamento della cosa pro-
pria. Ma tristi storie come quelle di Marianna ce ne sono state tante e continuano a susseguirsi: per descrivere questo fenomeno è stato coniato il termine “femminicidio” che descrive questi delitti profondamente connotati dal genere, da parte di un uomo, spesso estremamente vicino alle vittime,anche il padre dei loro figli a volte, e quasi sempre sono questioni di onore.
L’associazione “Casa delle donne” di Bologna ha compiuto uno studio sul fenomeno e i dati che ha raccolto sono sconvolgenti: nel 2010 le donne uccise sono state 127, di cui 8 si aggiungono alla stima dell’anno precedente, e l’associazione ha rilevato che il più delle volte gli omicidi si consumano in ambienti domestici, proprio dove ci si dovrebbe sentire più pro-
tetti : nel 54 % dei casi le donne vengono uccise dall’uomo che amavano, il 31% dei casi è rappresentato dai partners , e il restante 23 % dagli ex. Un intervento è d’obbligo, soprattutto a livello culturale, che insegni agli uomini a rispettare la libertà di autodeterminazione delle proprie compagne o mogli, le quali non sono oggetti di proprietà ma esseri umani che hanno il sacrosanto diritto di essere libere e indipendenti; è necessario recidere del tutto i vincoli di una cultura patriarcale, che in apparenza potrebbe non rilevarsi ma che riappare inesorabilmente nei rapporti domestici, dove permane l’idea di donna massaia, dedita alla famiglia e alla casa. Molti dei casi di “femminicidio “ hanno come movente la voglia di autonomia e indipendenza delle donne, che avevano deciso di lasciare il marito o il partner, gli stessi uomini che non si sono rassegnati a un simile abbandono e che hanno fatto di tutto per imporsi, per imporre un’ultima volta la loro virilità.
Partito comunista d'Israele e partecipa a missioni del partito nell’Europa dell’Est. Nel 1970 si reca in Libano e qui si unisce all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), mentre questa è in guerra con Israele. Durante l’invasione israeliana nel Sud del Libano e l’assedio alla capitale Beirut, il poeta rimane fra la sua gente per infonderle speranza e fiducia con le sue parole potenti. Raggiunto l’accordo fra le parti, lascia Beirut insieme ai combattenti e al comando superiore dell’OLP per un altro luogo d’esilio, la Tunisia. Darwish non accetta fin dall’inizio gli accordi di Oslo fra OLP e governo israeliano: secondo lui non avrebbero mai risolto la questione totalmente né dato una “pace giusta” ai palestinesi, avrebbero anzi messo fine al sogno stesso palestinese, per cui molti, lui compreso, avevano dedicato la vita. Quindi lascia Tunisi per trasferirsi a Parigi; qui scrive
“Quando ero giovane e bello la rosa era la mia dimora e il mio mare erano le sorgenti. Ma la rosa è diventata una ferita e le sorgenti un’arsura. Forse sei cambiato molto ? No, non sono cambiato molto Quando torneremo come il vento verso la nostra terra guarda bene la mia fronte vedrai le rose diventare palme e le sorgenti diventare sudore. Mi troverai come ero prima giovane e bello” poesie che risvegliano i sentimenti del popolo arabo, lasciandovi una ferita aperta, come una finestra da cui poter volgere uno sguardo alla coscienza del mondo. Il poeta abbandona l’OLP nel 1993 e nel 1995 torna a Ramallah, in Cisgiordania, dopo l'avvento dell'Autorità palestinese. Nel 1996 viene autorizzato a entrare in Israele e in questi ultimi anni fa il pendolare tra Ramallah e Amman. La sua morte, 9 agosto 2008, è vissuta con sgomento nei territori e nei campi profughi palestinesi sparsi nei Paesi arabi. Il leader del movimento islamico, K.Mashaal, ha definito Darwish una delle «massime espressioni della cultura e della identità
palestinesi». Molti e prestigiosi i riconoscimenti da lui ottenuti: dall'ex Urss è insignito del Premio Lenin, la Francia lo nomina Cavaliere delle Arti e delle Lettere, l’'Aja gli conferisce il prestigioso premio Prince Claus per la «sua opera impressionante». Di tutte le splendide poesie che ci ha lasciato, ho scelto per voi “Straniero in una città lontana”, in cui il poeta ricorda la sua casa, incantevole nel suo immaginario di fanciullo, poi invasa d’amarezza per l’occupazione straniera. Ma lui, figlio di una rigogliosa terra, rimane giovane e bello nonostante il buio, le spine e i segni delle ferite che si imprimono sulla sua fronte.
RITRATTO DI UN GIOVANE TOSSICO
SAMANTHA PASSERI
Molti sono i libri che per anni se ne stanno su scaffali grigi a raccogliere e richiamare polvere, a passare inosservati, a fare numero, come direbbe il vecchio amico Bukowsky. Sicuramente non sarà questo il destino di “Ritratto di un tossico da giovane” di Bill Clegg, opera prima di uno degli agenti letterari più famosi di New York e destinato a diventare, secondo il parere di un altro grande scrittore contemporaneo, tale Irvine Welsh (autore di Trainspotting), “un vero e proprio classico della letteratura sulla droga”. La droga. La dipendenza. La vita infame che circonda tutto questo. Sono argomenti ormai sdoganati sia nel cinema che nei libri che in tv, su questo si può essere d'accordo, ma restano comunque dei tabù difficili da comunicare, difficili da sfatare, da affrontare per quello che sono. Affascinanti e terribili. Distruttivi e divini. Si può liberamente condannare l'immorale condotta dei tossici, rifiutando la comprensione o il guardare oltre i giudizi lapidari che spesso menti superficiali si limitano a farneticare rapidamente. La droga problema
generazionale, di quei giovani che verranno, che sono. La storia che ci racconta Bill Clegg ha per protagonista proprio Bill Clegg. Le vicende che si intrecciano, si sovrappongono in un gioco di passato e presente, senza mai nomi-
nare la parola futuro se non per associarla a una probabile fine, possono essere lette esattamente come si berrebbe un bicchiere di vodka. Tutto d'un fiato o sorseggiato a più riprese. La tossicodipendenza che travolgerà improvvisamente la vita di questo giovane agente letterario in carriera, sprofondandolo in un'esistenza fatta di stanze d'albergo, paranoie allucinate, sesso consumato come
un prodotto materiale acquistabile in qualunque supermercato, non è un'autobiografia fine a se stessa o commemorativa. E' un memoir graffiante che lacera chiunque lo legga. Perché racconta di come le paure, la routine e il personaggio che spesso ci viene imposto dalla società, dai familiari, dagli amici, insomma questa recita che troppo spesso chiamiamo vita e che tentiamo goffamente di interpretare come attori sul palcoscenico di un teatro, possa improvvisamente soffocare quello che veramente una persona è. Il suo Io più profondo e reale. E la droga spesso è l'uscita di sicurezza, la boccata d'aria. Clegg racconta tutto questo impietosamente e lucidamente. Senza esaltare la condizione di tossico e senza rinnegarla. Una dipendenza assoluta. Che vi terrà incollati a un libro che negli Stati Uniti è già un successo. “All'altro capo di quella bustina c'è o una giornata di stordimento e un ritorno illeso alla vita, o una specie di apocalisse. Perdere tutto o non perdere niente. E perdere tutto sembra quasi un sollievo.”
FOLIGNO
Scuola a cura di Maura Donati
GIUGNO 2011
131
Il Consiglio d’Europa boccia l’uso dei cellulari a scuola Non sono trascorsi neppure due decenni da quando è entrato a far parte del nostro vivere quotidiano ma lentamente e inaspettatamente si è impadronito di un’importante fetta del nostro tempo regalandoci soddisfazioni ma anche scocciature a non finire oltre alla progressiva perdita di tranquillità. Stiamo parlando dell’amato e odiato cellulare che silenziosamente è entrato a far parte della nostra vita rendendoci schiavi delle sue potenzialità e della sua apprezzatissima capacità di unirci istantaneamente a chi ci è lontano. Inizialmente è diventato l’amico prediletto degli adulti, soprattutto quelli di mezza età e con una professione dinamica. Con il passare del tempo ha saputo avvicinarsi alle esigenze di tutte le generazioni conquistando piccoli, grandi e anziani. Insomma, da tecnologia per pochi eletti si è trasformato in mezzo di comunicazione di massa. Per tutti e per tutte le età. Inizialmente è risultato strano (ma anche in-
congruente) vederlo nelle mani delle persone di una certa età ma poi è diventata un’immagine usuale. Oggi, anche i nonni meno tecnologici e all’avanguardia chiamano i nipoti utilizzando il cellulare con una certa scioltezza rispetto al passato (non troppo lontano) in cui non sapevano neppure cosa fosse questo strumento o come si utilizzasse (è un classico l’immagine della persona anziana che chiede dove deve parlare o ascoltare!). Lo stesso fenomeno di una iniziale diffidenza nei confronti di questo mezzo di comunicazione di massa è accaduto nei confronti dei più piccoli, i bambini. In principio, chiunque si sia espresso in materia, ha tenuto a precisare la propria contrarietà motivandola con la sensazione di un mezzo inadatto e fuorviante. Vedere i bambini a scuola con i cellulari in mano sapendo che prima di loro nessuno ne ha avuto mai bisogno perché per ogni necessità c’è la maestra pronta a intervenire, ha indotto molti
a ritenerli fuori luogo. Tra l’altro, sono sempre stati considerati fonti di distrazione oltre che di insicurezze per coloro che non possono permetterseli. Nonostante tutto, i bambini di oggi hanno il cellulare personale e lo portano con sé anche a scuola. Sta di fatto, però, che un altro importante dubbio ha iniziato a fare capolino nella quotidianità dell’uso di questa tecnologia: gli effetti sulla salute dell’uomo. Forse non sapremo mai o passeranno anni e decenni prima di avere certezze su tali effetti. Intanto, però, le ricerche su telefonini e Wi-Fi vanno avanti e l’atmosfera dubbiosa intorno a questo argomento fa sospettare che in quest’oggetto che ha rivoluzionato la nostra esistenza ci sia qualcosa che non va. Così, tra l’incertezza generale, arriva come un fulmine a ciel sereno un documento approvato addirittura dal comitato sull’ambiente, l’agricoltura e gli affari regionali e locali del Consiglio d’Europa che invita a bandire cel-
In vacanza a scuola Non è un paradosso e neppure un incubo. E’ quello che sta accadendo in molte scuole italiane a causa di un disequilibrio tra le ferie dei genitori e quelle dei figli. Nonché per evidenti e non trascurabili motivi economici. Le vacanze scolastiche sono alle porte e i tre mesi senza scuola degli alunni si scontrano con una media di 26 giorni di ferie degli adulti che lavorano e che, molto spesso, non possono permettersi di pagare delle strutture private per gestire in tutta sicurezza l’estate dei propri figli. Per questo, un istituto su quattro rimarrà aperto per ferie trasformandosi in una sorta di campus estivo economico ma sicuro e attrezzato per queste giovani generazioni figlie di una società vorticosa e in perenne ricerca di una stabilità. D’altro canto, anche le richieste di supporto da parte delle famiglie sono aumentate di circa il 15% inducendo i comuni, sempre più zoppicanti e bisognosi essi stessi di un supporto economico e non solo, a collaborare nei limiti del possibile. Insomma, ci si dà una mano a vicenda e si va avanti. Della serie, insieme ci si aiuta reciprocamente. Una scuola su quattro, dalle materne alle medie, rimarrà aperta consentendo ai genitori in affanno di continuare a lavorare fino al momento della meritata va-
canza. Negli ultimi due anni, la richiesta di luoghi atti a un servizio di “parcheggio” garantito e possibilmente qualificato, è aumentata un po' ovunque in Italia e il personale che si occupa dei bambini o ragazzi arriva dalle cooperative o dalle associazioni (solitamente del mondo cattolico) del territorio. Normalmente, il periodo di riferimento è giugno-luglio per ritrovarsi poi a settembre con la partenza del nuovo anno scolastico. Così, in tempi di crisi generale, è nato questo nuovo modo di vivere l’estate italiana. Rimanere a scuola significa vivere soprattutto nuove esperienze che in gran parte esulano dallo studio e abbracciano soprattutto il gioco, il divertimento e la socializzazione. Alcuni hanno criticato questo tipo di fenomeno vedendo in esso una non conclusione dell’anno di studi e una mancanza di distacco mentale dell’alunno dalle atmosfere e dalle dinamiche
lulare e dispositivi wireless dalle scuole. Il motivo di tale documento sta nell’eventuale possibilità di effetti nocivi di queste tecnologie sulla salute dell’uomo. Per questo, il comitato chiede agli stati membri di intervenire legiferando in materia di dispositivi wireless: fissando limiti di esposizione, campagne di sensibilizzazione e prevenzione degli effetti del wireless sulla salute umana ed etichettando con precisione ogni dispositivo dotato di supporto wireless. L’invito a sospendere l’uso di cellulari o apparecchiature Wi-Fi nella scuole è comunque solo a scopo preventivo e precauzionale perché quello che si vuole evitare sono errori del passato quando non si diede troppo peso per esempio ai danni causati dal fumo e dall’amianto. L’introdu-
zione del documento dice infatti: “bisogna rispettare il principio di precauzione e revisionare i limiti correnti all'esposizione, aspettare prove certe potrebbe portare a grandi costi per la salute, come successo in passato per l'amianto, il fumo di sigaretta o il piombo nella benzina”. Questo documento seguirà un iter procedurale ben preciso ma, intanto, la posizione della commissione del Consiglio d’Europa ha stupito molte realtà di ricerca e istituzionali che si stanno occupando da tempo dell’argomento. Il documento va infatti
contro l’Organizzazione mondiale della sanità che invece ha definito il wireless sicuro e va anche contro l’orientamento dell’UE in merito all’utilizzo del wireless nel settore della banda larga mobile. Oltre tutto, in Italia, se dovesse avere seguito ed essere individuato come principio da seguire e tutelare, anche il progetto del ministro Brunetta di portare il WiFi in tutte le scuole italiane andrebbe a decadere. Di certo, i genitori dei piccoli alunni sarebbero ben felici di adeguarsi ad un “anacronismo” che va a tutto vantaggio della salute dei propri figli.
“Senza oneri per lo Stato” L’ “anomalia” della Costituzione italiana
dell’apparato scolastico. Altri, invece, hanno trovato in questa formula della scuola-campus una perfetta soluzione al problema della gestione dei figli sia in termini economici che di educazione qualificata e sicura. D’altro canto, anche le scuole vi ritrovano i propri vantaggi e si crea una sintonia tra risposte e necessità dall’una e dall’altra parte. Allo stesso tempo, i bambini delle famiglie oberate dal lavoro durante i mesi estivi, potranno crescere senza dover trascorre gran parte della propria giornata davanti a una televisione poco attenta alle esigenze dei più piccoli.
Se è vero che è il sole a questa posizione non è ordinaria amministragirare attorno alla ter- affatto fondata. Il com- zione, conduzione ecc.) ra, come dice la Bibbia, ma in questione presen- che sono successivi e perché mai allora non ta infatti due parti. Nel- ben diversi dalla istitupotrebbe essere corret- la prima, afferma un di- zione della scuola. La to affermare che quan- ritto: quello di enti e di clausola è restrittiva e, do lo Stato finanzia le privati a “istituire” scuo- secondo la corretta inscuole private non si le e istituti di educazio- terpretazione insegnasta caricando di “one- ne. Nella seconda, pone ta in qualsiasi scuola ri”, ma paga solamente un divieto: quello di da- giuridica, soggiace a delle semplici “spese” re ai predetti soggetti stretta interpretazione. che, “si sa”, sono cosa contributi finanziari per Leggervi pertanto diben diversa dagli “one- la “istituzione” delle loro vieti al di là di quello ri”? Non è chiaro se an- scuole. Tali contributi, che essa dispone, signiche questa “vefica maniporità” è scritta lare il testo nella Bibbia, costituzionaqualcuno però le. In breve: la fa propria e gli eventuali la diffonde. contributi staAlla creatività tali non sono e alla fantasia “oneri”, ma non c’è limite. semplici “speNe diamo di se”. La seconseguito un da osservaesempio evizione è che i tando di citare due sostantivi la fonte per – oneri e spe“pudore”, ma se -, non sono assicuriano affatto equiche la citaziovalenti. L’onene è vera e non re è un agfrutto di fantagravio, un coGiosuè ferma il sole su Gabaon sia sto aggiuntivo in un qual“L’ostacolo per la elimi- infatti, sarebbero per lo siasi bilancio: familianazione di questa ano- Stato degli “oneri”. Cir- re, aziendale, statale malia italiana nel pa- ca questo divieto presen- ecc. La spesa è invece norama legislativo eu- to due osservazioni. La un costo previsto. Per ropeo deriverebbe, se- prima è che la clausola la clausola in oggetto condo alcuni, dalla no- tratta del momento “isti- sono da considerarsi ta clausola contenuta tutivo” delle scuole, cioè oneri inammissibili soall’art. 33 della Costi- della loro concreta fon- lo i contributi per la tuzione: “Enti e privati dazione giuridica (istitu- “istituzione” delle scuohanno il diritto di isti- zione, erezione, costru- le non statali, non antuire scuole ed istituti zione materiale) e non che gli eventuali contridi educazione senza degli altri aspetti della buti erogati per la loro oneri per lo Stato”. Ma vita scolastica (gestione, “gestione”.
141
FOLIGNO
Sport, oroscopo e cucina
GIUGNO 2011
G IUGNO 2011 O ROSCOPO SEMI - SERIO
SILVY'S UNITED CAMPIONE
PAOLO AZZARELLI
Cala il sipario sul campionato di calcio a 7 UISP che si conclude con il successo dei nerocelesti del Silvy's United. Prevale la compagine probabilmente meglio attrezzata per questa impresa, certamente la più motivata dopo le due sfortunate finali degli ultimi due anni, quella che alla vigilia era la più indicata nei pronostici. A guardare bene, il verdetto espresso premia squadra che ha anche offerto il rendimento più costante. Se si escludono, infatti, le prime tre giornate di campionato dove lo United ha dovuto far fronte ad evidenti problemi di organico, i nerocelesti nelle successive 22 gare hanno messo insieme qualcosa come 19 successi, un solo pareggio e soltanto due sconfitte, play-off compresi! Non sempre nello sport numeri e statistiche possono spiegare tutto, ma in questo caso evidenziano senz'altro la superiorità del complesso guidato da mr. Bonci. Insomma, un successo ampiamente meritato, giunto al termine di una stagione disputata sempre ai massimi livelli e che ha visto sempre protagonista la compagine del presidente Morosi che ora cercherà di bissare il successo nel torneo che assegnerà il titolo di campione regionale. Nel torneo di consolazione dei play-out, si confermano vincenti i campione uscenti del Porco Alegre. Con questo secondo successo consecutivo, gli "orange" segnano un piccolo record, dimostrano di trovarsi evi-
dentemente a proprio agio in questo torneo e di poter aspirare, a partire dalla prossima stagione, a qualcosa di più che non il tabellone dei play-out. Ma andiamo con ordine e vediamo come le due compagini sono giunte alle rispettive finali. Nelle semifinali del tabellone dei play-out, erano di fronte Spartak Foligno e S. Magno Caffè, mentre nell'altro incontro il Porco Alegre era opposto alla sorpresa Equilibri Estetica. Rispettando il pronostico, gli orange del Porco Alegre volavano in finale con un eloquente 6-1, mentre lo Spartak Foligno, una delle formazioni più accreditate del torneo play-out, si faceva inopinatamente imporre lo stop da S. Magno Caffè. Nel torneo per il titolo assoluto, semifinali da brivido con Silvy's United-Asso Computer e Cecconi Impianti-Bacaro Parrucchieri. Nel primo incontro, successo per la matricola Cecconi Impianti, certamente squadra rivelazione del torneo, ma il risultato finale di 5-1 non deve trarre in inganno: la gara è stata in bilico fino a metà della ripresa quando, sul risultato di 2-1 per Cecconi Impianti, un calcio di rigore con conseguente espulsione del portiere, ha dato il colpo di grazia alle ambizioni di successo di Bacaro Parrucchieri, spingendo i "verdi" verso un successo peraltro pienamente meritato. Nell'altra semifinale, gara dagli elevati contenuti tecnici ed agonistici tra Silvy's United e Asso Computer. Vittoria dei nerocelesti che hanno complessivamente meglio saputo gestire l'incontro, dimostrandosi superiori in
Silvy's United campione calcio a 7 UISP 2010-11
SARA DONATI
Andrea Morosi matchwinner della finale ogni zona del campo. Lo United ha saputo capitalizzare l'ottima prima frazione di gara, chiusa sul punteggio di 3-1, rintuzzando senza soffrire più di tanto il prevedibile forcing finale di Asso Computer. Si è così giunti alle finali con Porco Alegre e S. Magno Caffè nel tabellone dei play-out e Silvy's United e Cecconi Impianti per l'assegnazione del titolo di campione. Buon avvio dei nerocelesti che hanno cercato di imprimere subito un ritmo elevato alla partita senza però riuscire a mettere a frutto una certa supremazia territoriale.Nella seconda metà del primo tempo, è venuto fuori il maggior possesso palla del Cecconi Impianti che però non si è quasi mai reso pericoloso dalle parti del portiere neroceleste. E così, si è andati al riposo a reti inviolate, dopo 30 minuti intensi ma avari di emozioni. La svolta della partita dopo 7 minuti della ripresa: Morosi è lesto a mettere in rete una corta respinta del portiere avversario dopo una conclusione dal limite. Sarà il gol che regalerà il successo ai nerocelesti. Inutile il serrate finale del Cecconi Impianti che produrrà solo molte mischie ed improduttivi calci piazzati, lo United riesce a tenere il minimo ma prezioso vantaggio e a condurre in porto una sofferta quanto meritata affermazione. Al triplice fischio è solo tripudio e gioia neroceleste. L'obiettivo ora si sposta alla fase regionale del torneo: l'appuntamento è presso gli impianti della Nuova Fulginium di Corvia il 4 e 5 Giugno.
Ariete Un cielo prevalentemente favorevole si presenta per voi in questo mese. L’amore vi vede attraenti e magnetici, e dotati di una insolita dolcezza. Ci sarà qualche giornata impegnativa nel lavoro ma in generale riuscirete a cavarvela bene e a tenere le posizioni, magari servirà un po’ di socievolezza in più. Solo i nati tra marzo e aprile risentiranno dell’opposizione di Saturno… calma! In generale sarete rilassati, positivi e ottimisti, con una buona forma fisica. Toro Il mese si apre con una bella notizia: arriva Giove e rimarrà con voi per molti mesi! E considerato che nel segno ci sono anche Venere e Marte, la fortuna sta arrivando. Possono nascere legami duraturi o migliorare quelli esistenti. Anche nel lavoro dovete essere intraprendenti e darvi da fare. E poiché Giove significa fortuna ma anche espansione, iniziate a tenere d’occhio la bilancia. E’ il momento giusto per iniziare a fare sport. Gemelli Nel mese di giugno la maggior parte di voi festeggia il compleanno: auguri! E poi c’è anche Saturno che continua ad appoggiarvi sia sul fronte personale che professionale. In amore il trend è molto positivo: in vista incontri interessanti per i single e tendenza a consolidare per chi è in coppia. Nel lavoro siete simpatici e disinvolti, e con il vostro sorriso farete breccia in ogni ambiente. Anche la forma fisica sarà buona: scattanti e dinamici avrete l’argento vivo. Cancro Finalmente dopo un periodo di confusione, le cose tornano a girare bene un po’ in tutti i settori e voi tirate un sospiro di sollievo. In amore ritroverete la sintonia con la persona amata e, nel caso foste single, scoprirete che c’è chi vi ama. Con Giove e altri pianeti a favore potrete prendere l’iniziativa nel lavoro e avere nuove gratificazioni, con un aumento della voglia di fare e della creatività.
Anche la salute migliora e ritorna la gioia di vivere! Leone In questo mese Giove entrerà in una posizione che si rivelerà piuttosto dispettosa. In amore sarete troppo impazienti per amare… sarà quindi meglio puntare su duttilità, autocontrollo e dolcezza. Nel lavoro ci saranno rallentamenti ed equivoci che potranno essere superati con un atteggiamento controllato, per non essere troppo polemici e irritabili. In vista dell’estate sarà bene non trascurare il corpo, per non appesantirvi: occupatevi di più di voi! Vergine Inizia per voi un periodo eccellente. Giove in trigono promette fortuna e miglioramenti negli affari di cuore o addirittura l’arrivo del grande Amore! Anche il lavoro procede bene e, anche se ci sarà qualche intoppo, non mancheranno occasioni, contatti e nuove idee. La salute è buona: sarete dinamici e scattanti ma, per evitare piccoli disturbi, sarà bene che mangiate molta verdura e beviate molta acqua. Bilancia E’ un ottimo mese per quasi tutti voi e sotto praticamente tutti i punti di vista. Venere e Marte vi aiuteranno a scacciare la malinconia e in amore potrete avere molte soddisfazioni, grazie al dialogo e ad una crescente sensualità. Nel lavoro, grazie alla comunicazione e alla professionalità, il bilancio sarà positivo, soprattutto per i nati di ottobre. L’arrivo dell’estate vi vede in ottima forma psico-fisica: pieni di energia sarete attivi e sorridenti. Scorpione Da questo mese ha inizio una serie di opposizioni planetarie che vi renderà più irrequieti del solito e porterà qualche intoppo; i nati in ottobre sono i primi a risentirne. In amore impazienza e litigi porteranno incomprensioni: è consigliato l’autocontrollo. Il lavoro sarà contrassegnato da fatiche e ritardi, e forse uscite di denaro extra. Anche il settore della salute richiede un occhio di riguardo: non esagerate con lo sport e fate attenzione a ciò che mangiate.
Sagittario Anche se il Sole è opposto al vostro segno, il cielo di giugno è molto positivo per tutti voi. In amore siete ormai usciti da un periodo nebbioso e vi aspettano incontri fortunati e momenti positivi; equilibrio nelle coppie di lunga data. Nel lavoro anche se ci sarà qualche giorno no, è meglio che pazientiate e teniate a freno la vostra voglia di partire. Anche la salute risente delle tante opposizioni e quindi è meglio rallentare un po’ e prendersela comoda. Capricorno Anche per voi l’arrivo di Giove è sinonimo di festa! Sentirete migliorare la vostra situazione affettiva, che diventerà più scorrevole, e potranno nascere anche nuovi amori. I primi a sentirsi meglio sono i nati a dicembre. E anche se i nati i primi di gennaio dovranno essere prudenti un po’ in tutti i settori, ci sarà per tutti una ripresa anche nel lavoro, dove si presenteranno occasioni fortunate e nuove entrate di denaro. Per ciò che riguarda il fisico, sarete belli dentro e fuori! Aquario Un cielo contraddittorio è quello che avrete sopra di voi questo mese. Giove insieme a Venere e a Marte in posizione scomoda comporteranno una fase di chiusura nei rapporti intimi: parlate di più. I nati i primi di gennaio sono quelli con la situazione più serena. Nel lavoro piccoli ritardi e qualche complicazione porteranno un po’ di irrequietezza. Anche la forma fisica non sarà sempre al top: mantenete uno stile di vita regolare e non fate scendere l’umore troppo in basso. Pesci L’arrivo di Giove a favore segna l’inizio di un’ottima fase della vostra vita. I primi ad avvertire questo stato di benessere saranno i nati in febbraio. Nei rapporti affettivi sarete più determinati e capaci anche di manifestare i vostri sentimenti; oltre all’eventualità di incontri fortunati. Anche nel lavoro Giove vi sosterrà: prendete l’iniziativa, cominciate qualche nuovo progetto! La forma fisica sarà ottima e bevete molta acqua.
RICETTE DEL MESE TAGLIERINI IN SALSA CRUDAIOLA E BOCCONCINI DI PETTO DI POLLO Redazione: Via del Grano 11 06034 Foligno - tel. 0742510520 e-mail: redazionepiazzadelgrano@yahoo.it Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maura Donati Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Del Gallo Editori Srl loc. S. Chiodo - Spoleto Chiuso: 25 maggio 2011 Tiratura: 3.500 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”
ANTONIETTA STADERINI Taglierini in salsa crudaiola Per 6 persone. Ingredienti: gr 400 farina 00, 4 uova, sale q.b., 2 cucchiai olio di oliva, gr 500 pomodorini ciliegini, un mazzo di basilico, gr 100 ricotta salata, uno spicchio di aglio. Procedimento: disporre a fontana la farina, al centro aggiungere le uova, un pizzico di sale e un cucchiaio di olio. Con una forchetta sbattere le uova e, un poco alla volta, incorporare
la farina; continuare ad impastare sino a quando il composto non risulterà liscio ed omogeneo, lasciare riposare per qualche minuto. Stendere la pasta e la-
sciarla asciugare, ripiegarla e tagliarla. Mettere in un contenitore alto e stretto l'aglio, il basilico, i pomodorini tagliati a metà, gr 60 di ricotta e un pizzico di sale, frullare il tutto. Cuocere i taglierini in abbondante acqua salata per pochi minuti, scolare e condire con la salsa crudaiola e un filo di olio, decorare con scaglie di ricotta salata e una foglia di basilico
Bocconcini di petto di pollo in salsa al parmigiano Per 6 persone. Ingredienti: una cipolla, kg 1,2 di petto di pollo tagliato in piccoli bocconcini, sale q.b., gr 500 panna da cucina, gr 150 parmigiano, olio di oliva q.b. Procedimento: in una padella mettere una piccola cipolla tritata finemente e un filo di olio, lasciare riscaldare sulla fiamma, aggiungere i bocconcini di pollo e salare; lasciare rosolare pochi minuti, aggiungere poi la panna e il parmigiano grattugiato,
aggiustare il sale e cuocere per circa 15 minuti. Servire i bocconcini con la salsa al parmigiano e un contorno di verdure cotte, come, ad esempio in questa stagione, asparagi coltivati o agretti.
FOLIGNO GIUGNO 2011
...questa pagina scrivetela Voi...
151
Non è un errore di tipografia, è proprio quello che vedete, è una pagina bianca. Non è neppure una “stranezza” editoriale (di questa particolare linea editoriale) anche se c’è chi dice che per essere comunisti e credere ancora in quegli ideali un poco “strani” bisogna pure esserlo. E’ il “messaggio” di questo giornale. Di più, è la nostra campagna pubblicitaria. Una pagina bianca, da riempire, con i Vostri pensieri, con i Vostri progetti, con le Vostre richieste. Approfittatene; basta poco, una penna (se non si ha pratica con il computer), una busta e un francobollo (se non sieti pratici di posta elettronica), una cassetta della posta (o un click sul computer). Le idee certamente non Vi mancano: Voi tiratele fuori, noi le pubblichiamo e così le mettiamo a “patrimonio comune”.
161
www.piazzadelgrano.org
FOLIGNO GIUGNO 2011
SI I QUESITI REFERENDARI Referendum n. 1 Scheda di colore rosso “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione” Si propone l’abrogazione dell’art. 23 bis della Legge n. 133/2008, cosi come modificato dall'art. 15 del decreto 135/2009 (c.d. Decreto Ronchi) relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, compreso quello idrico. Fermare la privatizzazione dell’acqua. Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese, restituendo potere decisionale ai Comuni Cascata delle Marmore - Terni
Referendum n. 2 Scheda di colore giallo “Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma” Si propone l’abrogazione dell'art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico sia determinata tenendo conto dell’“adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Fuori i profitti dall'acqua. Abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si elimina il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici: si impedisce di fare profitti sull'acqua, si riduce la bolletta del 7%.
supplemento al numero 6 - Anno III - giugno 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
Quale Onore?
La guerra è un’attività bestiale che trasforma gli uomini in bestie Dalla Libia alla Libia, passando per Etiopia, Amba Aradam, Slovenia, Grecia, Jugoslavia, Somalia e Iraq una strage italiana nascosta Viviamo in un secolo di pace, si sente spesso ripetere, la guerra è lontana, appartiene al nostro passato e non ci toccherà più. Non ci toccherà più, appunto, perché toccherà altri popoli, altre realtà, una volta lontanissime ma via via sempre più vicine a noi. La guerra ci sta girando intorno. Viviamo ancora in un’ “isola felice”, ma sino a quando? E soprattutto, quanta parte di responsabilità abbiamo noi stessi in quelle guerre, nel provocarle, nel sostenerle, nell’entrarci dentro, anche! A noi non può accadere, si sente ancora ripetere, noi non scivoleremo mai nelle barbarie delle pulizie etniche, dei massacri religiosi, delle dittature militari, noi siamo “diversi”, noi siamo più “civili”, noi siamo “buoni”. La storia non ci dice affatto questo. La nostra storia ci tramanda al contrario testimonianze di un’indole violenta e sanguinaria del popolo italiano che nulla ha da invidiare (se si può usare questo termine) alla ferocia nazista, al razzismo dei colonialisti inglesi, francesi, portoghesi e altri, o all’odierno bestiale all’imperialismo nord americano. In questo inserto vogliamo ricordare alcuni episodi che dimostrano come la guerra, le situazioni cioè in cui alla politica negoziata si sostituisce quella combattuta, è stata in grado di tra-
sformare dei “normali” contadini, operai, giovani studenti, in bestie feroci e sanguinarie. “Eseguivo gli ordini”, “Difendevo la mia patria”, “Lo imponeva la mia religione”, sono alcune tra le tante giustificazioni che i criminali di guerra hanno sempre cercato di addurre a discriminante delle loro inescusabili responsabilità, fino a giungere alla più grave, perché più subdola e ipocrita giustificazione: “Lo facevano anche loro, anzi loro erano peggiori”, che pone le basi per la finale conclusione “liberatoria”: “tutti i morti sono uguali e tutti i morti vanno onorati”, meglio ancora se “ignoti”. La foto che apre questa pagina è forse l’esempio più espressivo ad uno stesso della bestialità della guerra e della follia della sue (di qualsiasi) giustificazioni. Per cinque anni dal 1914 al 1918 milioni di europei si sono massacrati lungo le linee di immaginari confini dei rispettivi Stati, tutti e ciascuno per difendere il sacro territorio delle rispettive patrie. Quelle linee immaginarie e innaturali sono state “santificate” da milioni di ragazzi morti e oggi non esistono neppure più; i popoli dei due versanti appartengono (o almeno aspirano ad appartenere) a un unico grande Stato/patria unitario. Perché allora quel massacro? E ancora perché tutti quegli altri in-
numerevoli e interminabili massacri che insanguinano la storia dell’umanità? Per questa volta, in questo inserto, non parleremo delle ragioni economiche che ne costituiscono le reali ragioni storiche. Vogliamo guardare all’indole umana, alla “sovrastruttura” culturale ed etica che muove e condiziona i comportamenti degli esseri umani. Se è vero, come dice il Presidente Mao, che almeno il 90 cento degli uomini sono “buoni”, dobbiamo concludere che é la guerra che, segnando la fine della convivenza civile e sociale, produce questa “mutazione genetica”. Se è la guerra che trasforma l’uomo in bestia, allora nella guerra non può esserci alcun onore, ma solo miseria, disgusto e vergogna. Nel 1910 l’Italia invase la Libia e diede inizio a un massacro delle popolazioni indigene che si protrasse per decenni, dalla monarchia costituzionale illuminata (governo Giolitti), alla conversione fascista dei re piemontesi. Nel 2011 l’Italia sta di nuovo bombardando la Libia, uccidendo uomini, donne e bambini. Allora si parlava di una di una missione “civilizzatrice”, oggi si parla di una missione “democratica e umanitaria”. Le bombe e i proiettili sono sempre gli stessi. Domani onoreremo altri morti, tutti uguali, tutti eroi, tutti ignoti.
Peggio di Marzabotto, perché non fu rappresaglia. Peggio di Sebrenica perché morirono anche donne, vecchi e bambini. Tra il 9 e l’11 aprile 1939 una carovana di «salmerie» dei partigiani di Abebè Aregai, leader del movimento di liberazione etiope, si era rifugiata in un sistema di grotte nella località di Amba Aradam dopo essere stata individuata dall’aviazione italiana. Lì venne circondata da truppe italiane in misura soverchiante per numero ed armamenti. Circa 800 etiopi uscirono dalle grotte e si arresero, ma vennero tutti subito fucilati o gettati vivi in un burrone. Gli altri, in prevalenza vecchi, donne e bambini, che provvedevano alla cura dei feriti e al sostentamento dei partigiani alla macchia, in numero non ancora stimato, rimasero all’interno delle grotte. L’ordine da Roma fu perentorio: stroncare la ribellione che perdurava sulle montagne ancora dopo tre anni dall´ingresso di Badoglio ad Addis Abeba. Ma stanare i ribelli era impossibile, così il 9 aprile la grotta venne attaccata con bombe a gas d’arsina e con la micidiale iprite che devastò le trincee della Grande Guerra. L’Italia aveva firmato il bando internazionale
di queste armi letali, ma le ha poi usate in grande stile nella guerra d’Etiopia. Nella grotta il “bombardamento speciale” venne eseguito dal “plotone chimico” della divisione Granatieri di Savoia, da sempre ritenuta una delle più “nobili” delle Forze Armate italiane, per ordine diretto del generale Ugo Cavallero o dello stesso Amedeo di Savoia, pure lui di “nobile” reputazione. A completare il massacro, nel tentativo di “bonificare” il reticolo di grotte, le
truppe italiane fecero uso di lanciafiamme e infine, fecero saltare gli ingressi delle grotte, sigillando dentro per sempre ogni eventuale superstite. I meticolosi telegrammi scambiati tra i comandi italiani sono istantanee dall’inferno. «Si prevede che fetore cadaveri et carogne impediscano portare at termine esplorazione caverna che in questo sarà ostruita facendo brillare mine. Accertati finora 800 cadaveri, uccisi altri sei ribelli. Risparmiate
altre 12 donne et 9 bambini. Rinvenuti 16 fucili, munizioni et varie armi bianche». La rappresaglia delle Fosse Ardeatine di Kappler non fu peggiore. Il governatore della regione di Gondar, Alessandro Pirzio Biroli, di rinomata famiglia di esploratori, “usava” buttare i capitribù ribelli nelle acque del Lago Tana con un masso legato al collo; Achille Starace ammazzava i prigionieri di persona in un sadico tiro al bersaglio e, poiché non soffrivano abbastanza, prima li feriva con un colpo ai testicoli. Non fu certamente una “missione civilizzatrice” quella italiana in Etiopia, ma il collaudo del razzismo finito poi nei forni di Birkenau. Il generale Badoglio, già tra i responsabili della “rotta di Caporetto” nella prima guerra mondiale e poi, dopo la deposizione di Mussolini da parte del re piemontese e l’armistizio con gli alleati, capo del governo italiano, fece agli etiopi ciò che Saddam fece ai Curdi. Solo che Saddam è stato portato in giudizio, condannato e giustiziato, l’Italia non ha mai risposto dei suoi crimini. E così ancora oggi “ambaradam”, nel lessico familiare, è una parola che fa ridere: vuol dire “allegra confusione” e una importate via di Roma è ancora intitolata a quell’ “allegro” episodio!
I
Un esercito di “morti di fame” che rubava le scarpe ai deportati per non andare a piedi scalzi
II
Nella primavera del 1941 l’esercito tedesco travolge le difese del Regno di Jugoslavia che viene frammentato in una serie di stati e distretti distinti a seconda dell’etnia e dell’influenza politica degli alleati dell’Asse. All’Italia, accorsa con il suo esercito dopo il collasso della Jugoslavia, viene assegnata la Slovenia, parte delle coste dalmate sino a Cattaro e il Montenegro in “onore” della regina Elena. La Croazia viene costituita in regno formalmente incoronando il “nobile” Aimone di Savoia Aosta duca di Spoleto, che in verità non salirà mai al trono, e affidata concretamente al governo del criminale nazista Ante Pavelic. Al momento dell’ingresso dell’esercito italiano nel territorio jugoslavo la presenza di cittadini di origine e lingua italiana era estremamente modesta ed essenzialmente concentrata nell’Istria. Nessuna presenza significativa italiana, così come nessuna influenza economica, commerciale o cultuale intercorreva tra l’Italia e la confinante Slovenia. Nella follia imperiale propria del fascismo, ma pienamente condivisa dalla casa reale piemontese e dalle classi dominanti italiane, nacque allora l’idea della creazione di una provincia slovena parte integrante del territorio del Regno d’Italia. Ebbe così inizio un processo italianizzazione di quei territori che, da culturale con la soppressione della lingua slovena e l’imposizione di quella italiana, l’allontanamento dei non italiani da ogni impiego pubblico e soprattutto dell’insegnamento, ben presto si trasformò in una vera e propria pulizia etnica, portata all’estremo di una folle proposta avanzata a Mussolini da Italo Sauro, figlio dell’eroe Nazario della prima guerra mondiale, di deportare tutti i giovani sloveni ultra quattordicenni in Germania, soluzione “per fortuna” respinta dagli stessi tedeschi. La brutalità e la violenza dell’occupazione italiana provocò una reazione di resistenza nei territori occupati dagli italiani non minore di quella sorta nei restanti territori della ex Jugoslavia sotto il dominio tedesco. L’esercito italiano, nonostante l’impiego di truppe scelte dei granatieri di Sardegna e un consistente numero di Carabinieri Reali, non riuscì mai a tenere testa alla resistenza slava, nonostante tre successive offensive a vasto raggio, alcune con l’impiego dei mercenari cetnici e l’aiuto di reparti tede-
schi. La risposta a tale impotenza fu l’avvio di una strategia di “terra bruciata”, con il sistematico saccheggio dei paesi, la distruzione di interi villaggi e la deportazione massiccia di civili presunti sostenitori della resistenza. Nella quasi totalità si trattava di donne, bambini e anziani non in grado di unirsi alla resistenza. A tal fine vennero creati numerosi
campi di concentramento, taluni anche nell’Italia centrale in Toscana e in Umbria, dove vennero concentrati circa 30.000 deportati. Nel febbraio 1942, al massimo dell’impotenza della guerra contro la resistenza slava sempre più forte e sostenuta dalla popolazione, l’esercito italiano circondò la capitale della provincia, Lubiana, con un reticolato di filo spinato in cerchi concentrici lungo circa 41 chilometri, passando al setaccio quartiere per quartiere la città. Nel corso dei circa 29 me-
si di occupazione italiana della Slovenia, tra fucilati e morti nei campi di concentramento, vennero uccisi circa 13.000 sloveni pari al 2,6% della popolazione. Già prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943 i rapporti di forza tra l’esercito occupante e la resistenza jugoslava unificata sotto la guida di Tito e del partito comunista, erano totalmente cambiati ed ebbe inizio una rotta disastrosa dell’esercito italiano che venne fermata solo dalla durezza dello scontro ancora in corso tra l’esercito di liberazione ju-
goslavo e le truppe tedesche (va ricordato che i partigiani jugoslavi in quegli anni impegnarono da soli un numero di divisione tedesche equivalente a quello di quelle impegnate dal fronte alleato in Italia). Il successivo passaggio dell’Italia dalla parte degli alleati e, soprattutto gli accordi di Yalta, all’epoca rispettati dai comunisti jugoslavi, impedirono l’an-
nessione dell’area di Trieste alla nuova Repubblica Jugoslava, ma invertirono totalmente il processo di italianizzazione della Dalmazia e della Slovenia a vantaggio del ritorno nelle loro case e territori degli slavi deportati dall’esercito italiano. Il revisionismo storico, forte della sottrazione della nuova Italia antifascista e repubblicana ai processi per i crimini di guerra intrapresi a carico dei nazisti tedeschi, ha cercato di “pareggiare” il conto della barbarie dell’occupazione italiana con
le reazioni, certamente non meno dure e vendicative, della resistenza jugoslava vincitrice. E’ nata così la retorica delle “foibe” (cavità naturali del terreno carsico istriano) nelle quali sarebbero state sepolte collettivamente le vittime delle vendetta slava. E’ sicuramente un dato storico e assolutamente (quanto bestialmente) coerente con la barbarie dei tempi, quello di una sanguinosa vendetta della resistenza slava tornata nel possesso dei propri territori liberati dall’occupazione militare straniera, anche se non vi
sono dati certi, cioè reali e verificati, dei numeri di tali ritorsioni (includendovi peraltro anche quelle legittimate dalle responsabilità criminali di molti degli occupanti italiani). Non si tratta qui (e comunque mai) di confrontare numeri, né di cercare giustificazioni di azione/reazione (che pure hanno un loro indubbio significato politico ed etico), quanto di voler richiamare la memoria e la consapevolezza di una responsabilità storica che se non riconosciuta, ammessa e denunciata, può riprodurre nel futuro analoghe, se non proprio identiche, vicende di violenza e bestialità, e questo, purtroppo, è accaduto e non una sola volta e neppure in un remoto passato, anzi forse proprio oggi si sta ripetendo con la follia della guerra “umanitaria” in Libia. Un’ultima nota non di poca importanza. Le vicende narrate sono, come ogni notizia, dato o informazione pubblicata da questo giornale, verificate e verificabili. Se andrete negli appositi siti internet le troverete narrate anche una crudezza e violenza assai maggiore. In quei siti (o almeno in taluni di essi) troverete però anche una “imbarazzante” tesi giustificativa del comportamento della “brava gente” italiana che in brevissima sintesi afferma: gli italiani non sono stati da meno dei tedeschi nel compiere atti di violenza ai danni dei popoli invasi, i tedeschi tuttavia lo facevano perché era nella loro “natura criminale”, gli italiani no, gli italiani lo facevano perché erano dei pezzenti come e forse persino di più dei popoli violentati. Così quando i “bravi” soldati italiani durante un rastrellamento dei villaggi sloveni saccheggiavano le case prima di bruciarle e inviavano ai loro parenti in Italia vecchie scarpe, vestiti usati, pentole e posate, e poi facevano morire di freddo, malattie e fame i vecchie e i bambini nei campi di concentramento, lo facevano perché erano così poveri da dover rubare le scarpe per non andare a piedi nudi e certamente non potevano dividere un pane che non bastava neppure per loro. Domanda: è una giustificazione? O è l’espressione più chiara ed evidente di quanto una guerra può trasformare degli esseri umani, quanto meno normali in condizioni normali, in bestie?
Grecia: una faccia una razza? La strage di Domenikon Dal giugno 1940, al settembre 1943, l'esercito italiano combatté la stessa guerra di aggressione della Germania nazista.! La lotta contro i "banditi" slavi o greci, fu condotta con modalità di guerra dure, talvolta spietate, che in Grecia furono rese ancor più aspre dalla penuria alimentare. Le autorità greche segnalarono stupri di massa. Il comando tedesco in Macedonia arrivò a protestare con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili. Il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce rossa internazionale: "Vi vantate di essere il Paese più civile
d'Europa, ma crimini come questi sono commessi solo da barbari". Fu internato, torturato, deportato in Italia. Il 16 febbraio 1943 a Domenikon, un piccolo villaggio della Grecia centrale situato in Tessaglia, l'intera popolazione maschile tra i 14 e gli 80 anni venne trucidata. Nei dintorni di Domenikon, poco prima della strage, un attacco partigiano aveva provocato la morte di 9 soldati italiani. Il generale della divisione Pinerolo Cesare Benelli, ordinò la repressione: centinaia di uomini circondarono il villaggio, rastrellarono la popolazione e catturarono più di 150 uomini dai 14 agli 80 anni. Li tennero in ostaggio
fino a che, nel cuore della notte, procedettero alla fucilazione. L'episodio rappresenta uno dei più efferati crimini di guerra commessi dall'Italia durante la Seconda guerra mondiale.! Questo episodio non fu sporadico: secondo la storica Lidia Santarelli fu il primo di una serie di episodi repressivi nella primavera-estate 1943 conseguenti a una circolare del generale Carlo Geloso, comandante delle forze italiane di occupazione, in cui per ciò che concerne la lotta ai ribelli si adottò il principio cardine della responsabilità collettiva; per annientare il movimento partigiano, quindi, andavano annientate le comunità locali.
Somalia 1993 Missione “umanitaria” 1
Non è Buchenwald, non è Mauthausen, non è Auschwitz. Le foto provengono dal campo di concetramento e sterminio creato dall’Esercito Italiano nell’isola di Arbe (Rab) durante il tentativo di genocidio etnico del popolo sloveno nella follia della “italianizzazione” delle aree della Slovenia e della Dalmazia lasciate al governo italiano dall’esercito tedesco che aveva travolto le difese serbe. Arbe era uno dei campi “nascosti” d’internamento della popolazione civile slovena creati dall’esercito italiano per rappresaglia alla resistenza partigiana iugoslava che continuava a infliggere pesanti perdite agli invasori. La particolarità di Arbe, come degli altri simili campi di stermino, era data dalla presenza solamente di bambini, donne e anziani, perchè i giovani partigiani non venivano mai catturati. Dalle tombe censite ad Arbe sono stati stimati 1.500 morti su una popolazione di circa 15.000 internati. Simon Wiesenthal, tuttavia, ha stimato le morti in oltre 4.000, circa un terzo degli internati. Le cause delle morti furono essenzialmente la fame, il freddo e le malattie epidemiche per mancanza di qualsiasi cura, considerando che l’occultamento dei campi impediva alla Croce Rossa ogni intervento umanitario. La shoah è stata una tragedia indiscutibilmente enorme alla quale non sono stati estranei il governo e il popolo italiano, il genocidio sloveno è però un fatto totalmente italiano che l’opportunismo del cambio di alleanze da parte dei “reali” piemontesi in fuga e l’eroica resistenza dei partigiani italiani, sottraendo l’Italia al tribunale per i crimini di guerra, ha impedito di accertare e punire. E’ giusto celebrare il “giorno della memoria” dello sterminio ebraico e ricordarlo incessantemente alle nostre nuove generazioni, ma è fuori discussione che ai “figli dei figli” dei criminali di Arbe dovrebbero anzitutto essere ricordati i crimini commessi dai loro avi, motivatamente e documentalmente rifiutando la aberrante logica del “conto pari” delle asseite foibe jugoslave.
Nel 1993 l’Italia partecipò con il suo esercito alla missione IBIS deliberata dall’ONU per ripristinare la pace nella Somalia del dopo Siad Barre, incendiata dalle guerre tribali e religiose. L’Italia vi partecipò dapprima con la divisione di paracadutisti della Folgore, comandata dal colonnello Loi, poi sostituita dal battaglione S. Marco dei Lagunari. L’esito della missione militare, che oltre l’Italia vide l’impiego anche di truppe di altri paesi, fu sostanzialmente nullo nel breve periodo, disastroso in quello lungo che, com’è noto, ci mostra ancora oggi una situazione di guerra civile per bande mercenarie, intrise di fondamentalismi religiosi, fino alla comparsa di stabili e vaste organizzazioni di pirati del mare. Le responsabilità politiche della disastro somalo sono enormi e risalgono già prima della guerra mondiale e poi al decennio di protettorato italiano post bellico. Più gravi ancora le responsabilità morali che hanno visto sotto un forte legame politico tra i socialismo italiano e il sedicente socialismo somalo, una enormità di intrighi econo-
mici, finanziari e commerciali con il pesante coinvolgimento di importanti società italiane. Per chi lo ricorda ancora fu proprio nel corso dell’indagine su queste connivenze trasversali politico economiche italiane che venne uccisa la giornalista Ilaria Alpi. Ma se questo non fosse sufficiente occorrerà ancora ricordare la vergogna del comportamento delle nostre truppe ai danni della popolazione “soccorsa”. Già durante l’intervento “umanitario” emersero documenti che provavano il compimento da parte di soldati italiani di crimini di violenza, torture, sevizie, stupri. Sui fatti ven-
nero aperte diverse inchieste giudiziarie sia da parte della magistratura militare che da quella civile italiano, nonché costituita una commissione d’inchiesta parlamentare. Tutte le inchieste vennero insabbiate. I due comandanti del contingente italiano dapprima si auto sospesero, poi, placate le acque, vennero perfino promossi. L’unico condannato in primo grado, poi prescritto in appello, fu il soldato Emilio Ercole (18 mesi per “abuso d’autorità”) in quanto indiscutibilmente “immortalato” in una foto mentre applicava dei cavi elettrici ai genitali di un ragazzo somalo legato a terra
Iraq 2004 Missione “umanitaria” 2 Sulle ragioni della partecipazione del nostro esercito all’aggressione, invasione e devastazione dell’Iraq abbiamo già scritto in un precedente inserto specificamente dedicato al massacro iracheno. Nel breve articolo dedicato alla presenza del contingente italiano in Iraq abbiamo spiegato, richiamando informazioni rese note dalla stessa ENI, il perché dell’assegnazione proprio agli italiani dell’area di Nassirya dove la compagnia petrolifera italiana aveva ottenuto dal perfido “rais” delle importantissime concessioni per l’estrazione del petrolio. Che non si è trattato di una missione umanitaria, semmai qualcuno avesse avuto all’epoca dei dubbi, i fatti di poi hanno dimo-
strato la sfacciata pretestuosità delle giustificazioni inventate dagli USA. Così com’è oggi chiaro il disastro che l’invasione ha provocato all’intero paese ridotto in miseria, sprofondato nel caos, nell’illegalità e nella violenza praticamente assoluta. Ma che non si era trattato di una missione umanitaria era stato ben chiaro subito anche a nostri soldati, calati una realtà di vera propria guerra di resistenza contro gli eserciti invasori e questo indifferentemente dalle simpatie della popolazione “liberata” dalla dittatura per il rais Saddam. E di vera e propria guerra fu l’approccio della nostre truppe nel controllo del territorio, culminato con la così detta “battaglia dei ponti” quan-
do, nella notte tra il 5 e il 6 agosto del 2004, i soldati italiani, in preda al panico e nella totale impreparazione e disordine organizzativo dei comandi si trovarono a fare fuoco su civili, facendo saltare un’ambulanza e un autobus. Anche questi fatti furono sempre negati dai comandi e dai politici italiani, ma le registrazioni delle comunicazioni audio tra i nostri soldati testimoniano senza ombra di dubbio che vi fu l’ordine di sparare su qualsiasi cosa si muovesse, anzi “annichilire” come ebbe modo di gridare trionfalmente uno dei tiratori italiani dopo avere “steso” qualcuno, qualcuno uomo, donna, civile, terrorista, qualcuno, uno qualsiasi insomma, comunque un iracheno.
III
Un esercito di “morti di fame” che rubava le scarpe ai deportati per non andare a piedi scalzi
II
Nella primavera del 1941 l’esercito tedesco travolge le difese del Regno di Jugoslavia che viene frammentato in una serie di stati e distretti distinti a seconda dell’etnia e dell’influenza politica degli alleati dell’Asse. All’Italia, accorsa con il suo esercito dopo il collasso della Jugoslavia, viene assegnata la Slovenia, parte delle coste dalmate sino a Cattaro e il Montenegro in “onore” della regina Elena. La Croazia viene costituita in regno formalmente incoronando il “nobile” Aimone di Savoia Aosta duca di Spoleto, che in verità non salirà mai al trono, e affidata concretamente al governo del criminale nazista Ante Pavelic. Al momento dell’ingresso dell’esercito italiano nel territorio jugoslavo la presenza di cittadini di origine e lingua italiana era estremamente modesta ed essenzialmente concentrata nell’Istria. Nessuna presenza significativa italiana, così come nessuna influenza economica, commerciale o cultuale intercorreva tra l’Italia e la confinante Slovenia. Nella follia imperiale propria del fascismo, ma pienamente condivisa dalla casa reale piemontese e dalle classi dominanti italiane, nacque allora l’idea della creazione di una provincia slovena parte integrante del territorio del Regno d’Italia. Ebbe così inizio un processo italianizzazione di quei territori che, da culturale con la soppressione della lingua slovena e l’imposizione di quella italiana, l’allontanamento dei non italiani da ogni impiego pubblico e soprattutto dell’insegnamento, ben presto si trasformò in una vera e propria pulizia etnica, portata all’estremo di una folle proposta avanzata a Mussolini da Italo Sauro, figlio dell’eroe Nazario della prima guerra mondiale, di deportare tutti i giovani sloveni ultra quattordicenni in Germania, soluzione “per fortuna” respinta dagli stessi tedeschi. La brutalità e la violenza dell’occupazione italiana provocò una reazione di resistenza nei territori occupati dagli italiani non minore di quella sorta nei restanti territori della ex Jugoslavia sotto il dominio tedesco. L’esercito italiano, nonostante l’impiego di truppe scelte dei granatieri di Sardegna e un consistente numero di Carabinieri Reali, non riuscì mai a tenere testa alla resistenza slava, nonostante tre successive offensive a vasto raggio, alcune con l’impiego dei mercenari cetnici e l’aiuto di reparti tede-
schi. La risposta a tale impotenza fu l’avvio di una strategia di “terra bruciata”, con il sistematico saccheggio dei paesi, la distruzione di interi villaggi e la deportazione massiccia di civili presunti sostenitori della resistenza. Nella quasi totalità si trattava di donne, bambini e anziani non in grado di unirsi alla resistenza. A tal fine vennero creati numerosi
campi di concentramento, taluni anche nell’Italia centrale in Toscana e in Umbria, dove vennero concentrati circa 30.000 deportati. Nel febbraio 1942, al massimo dell’impotenza della guerra contro la resistenza slava sempre più forte e sostenuta dalla popolazione, l’esercito italiano circondò la capitale della provincia, Lubiana, con un reticolato di filo spinato in cerchi concentrici lungo circa 41 chilometri, passando al setaccio quartiere per quartiere la città. Nel corso dei circa 29 me-
si di occupazione italiana della Slovenia, tra fucilati e morti nei campi di concentramento, vennero uccisi circa 13.000 sloveni pari al 2,6% della popolazione. Già prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943 i rapporti di forza tra l’esercito occupante e la resistenza jugoslava unificata sotto la guida di Tito e del partito comunista, erano totalmente cambiati ed ebbe inizio una rotta disastrosa dell’esercito italiano che venne fermata solo dalla durezza dello scontro ancora in corso tra l’esercito di liberazione ju-
goslavo e le truppe tedesche (va ricordato che i partigiani jugoslavi in quegli anni impegnarono da soli un numero di divisione tedesche equivalente a quello di quelle impegnate dal fronte alleato in Italia). Il successivo passaggio dell’Italia dalla parte degli alleati e, soprattutto gli accordi di Yalta, all’epoca rispettati dai comunisti jugoslavi, impedirono l’an-
nessione dell’area di Trieste alla nuova Repubblica Jugoslava, ma invertirono totalmente il processo di italianizzazione della Dalmazia e della Slovenia a vantaggio del ritorno nelle loro case e territori degli slavi deportati dall’esercito italiano. Il revisionismo storico, forte della sottrazione della nuova Italia antifascista e repubblicana ai processi per i crimini di guerra intrapresi a carico dei nazisti tedeschi, ha cercato di “pareggiare” il conto della barbarie dell’occupazione italiana con
le reazioni, certamente non meno dure e vendicative, della resistenza jugoslava vincitrice. E’ nata così la retorica delle “foibe” (cavità naturali del terreno carsico istriano) nelle quali sarebbero state sepolte collettivamente le vittime delle vendetta slava. E’ sicuramente un dato storico e assolutamente (quanto bestialmente) coerente con la barbarie dei tempi, quello di una sanguinosa vendetta della resistenza slava tornata nel possesso dei propri territori liberati dall’occupazione militare straniera, anche se non vi
sono dati certi, cioè reali e verificati, dei numeri di tali ritorsioni (includendovi peraltro anche quelle legittimate dalle responsabilità criminali di molti degli occupanti italiani). Non si tratta qui (e comunque mai) di confrontare numeri, né di cercare giustificazioni di azione/reazione (che pure hanno un loro indubbio significato politico ed etico), quanto di voler richiamare la memoria e la consapevolezza di una responsabilità storica che se non riconosciuta, ammessa e denunciata, può riprodurre nel futuro analoghe, se non proprio identiche, vicende di violenza e bestialità, e questo, purtroppo, è accaduto e non una sola volta e neppure in un remoto passato, anzi forse proprio oggi si sta ripetendo con la follia della guerra “umanitaria” in Libia. Un’ultima nota non di poca importanza. Le vicende narrate sono, come ogni notizia, dato o informazione pubblicata da questo giornale, verificate e verificabili. Se andrete negli appositi siti internet le troverete narrate anche una crudezza e violenza assai maggiore. In quei siti (o almeno in taluni di essi) troverete però anche una “imbarazzante” tesi giustificativa del comportamento della “brava gente” italiana che in brevissima sintesi afferma: gli italiani non sono stati da meno dei tedeschi nel compiere atti di violenza ai danni dei popoli invasi, i tedeschi tuttavia lo facevano perché era nella loro “natura criminale”, gli italiani no, gli italiani lo facevano perché erano dei pezzenti come e forse persino di più dei popoli violentati. Così quando i “bravi” soldati italiani durante un rastrellamento dei villaggi sloveni saccheggiavano le case prima di bruciarle e inviavano ai loro parenti in Italia vecchie scarpe, vestiti usati, pentole e posate, e poi facevano morire di freddo, malattie e fame i vecchie e i bambini nei campi di concentramento, lo facevano perché erano così poveri da dover rubare le scarpe per non andare a piedi nudi e certamente non potevano dividere un pane che non bastava neppure per loro. Domanda: è una giustificazione? O è l’espressione più chiara ed evidente di quanto una guerra può trasformare degli esseri umani, quanto meno normali in condizioni normali, in bestie?
Grecia: una faccia una razza? La strage di Domenikon Dal giugno 1940, al settembre 1943, l'esercito italiano combatté la stessa guerra di aggressione della Germania nazista.! La lotta contro i "banditi" slavi o greci, fu condotta con modalità di guerra dure, talvolta spietate, che in Grecia furono rese ancor più aspre dalla penuria alimentare. Le autorità greche segnalarono stupri di massa. Il comando tedesco in Macedonia arrivò a protestare con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili. Il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce rossa internazionale: "Vi vantate di essere il Paese più civile
d'Europa, ma crimini come questi sono commessi solo da barbari". Fu internato, torturato, deportato in Italia. Il 16 febbraio 1943 a Domenikon, un piccolo villaggio della Grecia centrale situato in Tessaglia, l'intera popolazione maschile tra i 14 e gli 80 anni venne trucidata. Nei dintorni di Domenikon, poco prima della strage, un attacco partigiano aveva provocato la morte di 9 soldati italiani. Il generale della divisione Pinerolo Cesare Benelli, ordinò la repressione: centinaia di uomini circondarono il villaggio, rastrellarono la popolazione e catturarono più di 150 uomini dai 14 agli 80 anni. Li tennero in ostaggio
fino a che, nel cuore della notte, procedettero alla fucilazione. L'episodio rappresenta uno dei più efferati crimini di guerra commessi dall'Italia durante la Seconda guerra mondiale.! Questo episodio non fu sporadico: secondo la storica Lidia Santarelli fu il primo di una serie di episodi repressivi nella primavera-estate 1943 conseguenti a una circolare del generale Carlo Geloso, comandante delle forze italiane di occupazione, in cui per ciò che concerne la lotta ai ribelli si adottò il principio cardine della responsabilità collettiva; per annientare il movimento partigiano, quindi, andavano annientate le comunità locali.
Somalia 1993 Missione “umanitaria” 1
Non è Buchenwald, non è Mauthausen, non è Auschwitz. Le foto provengono dal campo di concetramento e sterminio creato dall’Esercito Italiano nell’isola di Arbe (Rab) durante il tentativo di genocidio etnico del popolo sloveno nella follia della “italianizzazione” delle aree della Slovenia e della Dalmazia lasciate al governo italiano dall’esercito tedesco che aveva travolto le difese serbe. Arbe era uno dei campi “nascosti” d’internamento della popolazione civile slovena creati dall’esercito italiano per rappresaglia alla resistenza partigiana iugoslava che continuava a infliggere pesanti perdite agli invasori. La particolarità di Arbe, come degli altri simili campi di stermino, era data dalla presenza solamente di bambini, donne e anziani, perchè i giovani partigiani non venivano mai catturati. Dalle tombe censite ad Arbe sono stati stimati 1.500 morti su una popolazione di circa 15.000 internati. Simon Wiesenthal, tuttavia, ha stimato le morti in oltre 4.000, circa un terzo degli internati. Le cause delle morti furono essenzialmente la fame, il freddo e le malattie epidemiche per mancanza di qualsiasi cura, considerando che l’occultamento dei campi impediva alla Croce Rossa ogni intervento umanitario. La shoah è stata una tragedia indiscutibilmente enorme alla quale non sono stati estranei il governo e il popolo italiano, il genocidio sloveno è però un fatto totalmente italiano che l’opportunismo del cambio di alleanze da parte dei “reali” piemontesi in fuga e l’eroica resistenza dei partigiani italiani, sottraendo l’Italia al tribunale per i crimini di guerra, ha impedito di accertare e punire. E’ giusto celebrare il “giorno della memoria” dello sterminio ebraico e ricordarlo incessantemente alle nostre nuove generazioni, ma è fuori discussione che ai “figli dei figli” dei criminali di Arbe dovrebbero anzitutto essere ricordati i crimini commessi dai loro avi, motivatamente e documentalmente rifiutando la aberrante logica del “conto pari” delle asseite foibe jugoslave.
Nel 1993 l’Italia partecipò con il suo esercito alla missione IBIS deliberata dall’ONU per ripristinare la pace nella Somalia del dopo Siad Barre, incendiata dalle guerre tribali e religiose. L’Italia vi partecipò dapprima con la divisione di paracadutisti della Folgore, comandata dal colonnello Loi, poi sostituita dal battaglione S. Marco dei Lagunari. L’esito della missione militare, che oltre l’Italia vide l’impiego anche di truppe di altri paesi, fu sostanzialmente nullo nel breve periodo, disastroso in quello lungo che, com’è noto, ci mostra ancora oggi una situazione di guerra civile per bande mercenarie, intrise di fondamentalismi religiosi, fino alla comparsa di stabili e vaste organizzazioni di pirati del mare. Le responsabilità politiche della disastro somalo sono enormi e risalgono già prima della guerra mondiale e poi al decennio di protettorato italiano post bellico. Più gravi ancora le responsabilità morali che hanno visto sotto un forte legame politico tra i socialismo italiano e il sedicente socialismo somalo, una enormità di intrighi econo-
mici, finanziari e commerciali con il pesante coinvolgimento di importanti società italiane. Per chi lo ricorda ancora fu proprio nel corso dell’indagine su queste connivenze trasversali politico economiche italiane che venne uccisa la giornalista Ilaria Alpi. Ma se questo non fosse sufficiente occorrerà ancora ricordare la vergogna del comportamento delle nostre truppe ai danni della popolazione “soccorsa”. Già durante l’intervento “umanitario” emersero documenti che provavano il compimento da parte di soldati italiani di crimini di violenza, torture, sevizie, stupri. Sui fatti ven-
nero aperte diverse inchieste giudiziarie sia da parte della magistratura militare che da quella civile italiano, nonché costituita una commissione d’inchiesta parlamentare. Tutte le inchieste vennero insabbiate. I due comandanti del contingente italiano dapprima si auto sospesero, poi, placate le acque, vennero perfino promossi. L’unico condannato in primo grado, poi prescritto in appello, fu il soldato Emilio Ercole (18 mesi per “abuso d’autorità”) in quanto indiscutibilmente “immortalato” in una foto mentre applicava dei cavi elettrici ai genitali di un ragazzo somalo legato a terra
Iraq 2004 Missione “umanitaria” 2 Sulle ragioni della partecipazione del nostro esercito all’aggressione, invasione e devastazione dell’Iraq abbiamo già scritto in un precedente inserto specificamente dedicato al massacro iracheno. Nel breve articolo dedicato alla presenza del contingente italiano in Iraq abbiamo spiegato, richiamando informazioni rese note dalla stessa ENI, il perché dell’assegnazione proprio agli italiani dell’area di Nassirya dove la compagnia petrolifera italiana aveva ottenuto dal perfido “rais” delle importantissime concessioni per l’estrazione del petrolio. Che non si è trattato di una missione umanitaria, semmai qualcuno avesse avuto all’epoca dei dubbi, i fatti di poi hanno dimo-
strato la sfacciata pretestuosità delle giustificazioni inventate dagli USA. Così com’è oggi chiaro il disastro che l’invasione ha provocato all’intero paese ridotto in miseria, sprofondato nel caos, nell’illegalità e nella violenza praticamente assoluta. Ma che non si era trattato di una missione umanitaria era stato ben chiaro subito anche a nostri soldati, calati una realtà di vera propria guerra di resistenza contro gli eserciti invasori e questo indifferentemente dalle simpatie della popolazione “liberata” dalla dittatura per il rais Saddam. E di vera e propria guerra fu l’approccio della nostre truppe nel controllo del territorio, culminato con la così detta “battaglia dei ponti” quan-
do, nella notte tra il 5 e il 6 agosto del 2004, i soldati italiani, in preda al panico e nella totale impreparazione e disordine organizzativo dei comandi si trovarono a fare fuoco su civili, facendo saltare un’ambulanza e un autobus. Anche questi fatti furono sempre negati dai comandi e dai politici italiani, ma le registrazioni delle comunicazioni audio tra i nostri soldati testimoniano senza ombra di dubbio che vi fu l’ordine di sparare su qualsiasi cosa si muovesse, anzi “annichilire” come ebbe modo di gridare trionfalmente uno dei tiratori italiani dopo avere “steso” qualcuno, qualcuno uomo, donna, civile, terrorista, qualcuno, uno qualsiasi insomma, comunque un iracheno.
III
La guerra, questo mostro che porta gli uomini a massacrarsi gli uni con gli altri, finirà con l'essere eliminata dallo sviluppo della società umana, e in un futuro non molto lontano. Ma per eliminarla vi è un solo mezzo: opporre la guerra alla guerra. La storia conosce solo due tipi di guerre: le guerre giuste e le guerre ingiuste. Tutte le guerre rivoluzionarie sono giuste. ( Mao) Spagna 1937, battaglia di Guadalajara, la prima sconfitta del fascismo da parte della resistenza comunista Di tutti i popoli, di tutte le razze, veniste a noi come fratelli, figli della Spagna immortale, e nei giorni più duri della nostra guerra, quando la capitale della Repubblica spagnola era minacciata, foste voi, valorosi compagni delle Brigate Internazionali, che contribuiste a salvarla con il vostro entusiasmo combattivo, il vostro eroismo e il vostro spirito di sacrificio (Dolores Ibarruri, la “Pasionaria”)
Luigi Longo, Comandante Brigate Internazionali fu il nome collettivo dato ai gruppi di volontari che si recarono in Spagna, per appoggiare l'esercito repubblicano e combattere le forze fasciste comandate dal generale Francisco Franco, durante la guerra civile spagnola. Le Brigate Internazionali si distinsero nella difesa di Madrid e in particolare nella battaglia di Guadalajara. Il 21 settembre 1938 il primo ministro spagnolo Juan Negrín, su pressione delle democrazie occidentali impegnate nella politica di non intervento, decise il ritiro dal fronte delle Brigate internazionali. Il totale dei volontari intervenuti in Spagna sotto l'egida delle Brigate internazionali fu di circa 59.000 unità, di cui circa la metà risultarono alla fine della guerra “dispersi” (verosimilmente passati nelle file dell’esercito regolare o comunque in clandestinità). I primi contingenti delle Brigate Internazionali furono sostenuti logisticamente dal Comintern. I volontari
giunsero da ben 53 nazioni dei cinque continenti. Ogni Brigata era suddivisa in battaglioni. Prima delle Brigate Internazionali si costituirono delle spontanee co“Gallo” lonne, come la Colonna Italiana di ispirazione prevalentemente libertaria e giellista (Giustizia e Libertà) creata da Carlo Rosselli, Mario Angeloni e Camillo Berneri o come la Centuria Gastone Sozzi formata da comunisti che, al suo scioglimento, confluì nel Battaglione Garibaldi formato a fine ottobre '36. Occorre anche ricordare che diversi anarchici, come quelli della Colonna Italiana, non vollero entrare nel ricostituito Esercito Popolare e lasciarono la Spagna. I contingenti più numerosi erano costituiti da: francesi (circa 9.000) tedeschi (circa 5000), Italiani (circa 4050), statunitensi (circa 3000), britannici (circa 2.000) e canadesi (circa 1.000). In rapporto al numero della popolazione del paese d'origine, il contingente più numeroso fu quello cubano: 800 volontari. Fra loro va ricordato l'intellettuale Pablo de la Torriente Brau, caduto in battaglia, che lasciò scritta una delle più calzanti frasi circa l'epopea internazionalista e combattente
in Spagna, "Per noi, oggi, il concetto di Patria è Universale." Nelle Brigate Internazionali militarono molti noti personaggi della politica e della cultura: gli inglesi George Orwell e Stephen Spender, John Cornford; i francesi Tristan Tzara, Simone Weil e André Malraux, organizzatore di una squadriglia aerea di caccia; gli statunitensi Ernest Hemingway e Dos Passos. Molti altri intellettuali appoggiarono le Brigate Internazionali, pur senza intervenire militarmente nella guerra civile, fra questi Samuel Beckett, Bertolt Brecht, Pearl Buck, William Faulkner, Pablo Neruda, Stephen Spender, John Steinbeck e Virginia Woolf. Molti furono gli ebrei che combatterono tra le file delle Brigate Internazionali. Un Battaglione fu formato completamente da ebrei per lo più comunisti. La battaglia più significativa per la difesa di Madrid fu quella di Guadalajara (8 marzo23 marzo 1937). Fu combattuta tra le forze della seconda repubblica spagnola e numerose unità delle Brigate internazionali da una parte, e i nazionalisti di Francisco Franco affiancati dalle unità del Corpo truppe volontarie italiane (CTVI) dall'altra. La battaglia si concluse con il successo dei repubblicani che impedì la caduta di Madrid. La batta-
glia iniziò con un'offensiva fascista italiana; secondo i piani del comandante italiano, generale Mario Roatta, le forze italiane avrebbero dovuto circondare le difese di Madrid da nord-ovest e, dopo essersi riunite con i nazionalisti sul fiume Jarama, insieme avrebbero attaccato la capitale. Dopo 30 minuti di cannoneggiamenti e attacchi aerei gli italiani iniziarono ad avanzare verso la 50ma brigata repubblicana. Grazie anche ai carri leggeri, riuscirono a spezzare le linee nemiche, ma arrivò in rinforzo la XII Brigata internazionale com-
preda al panico e fu solo per la maggiore resistenza della divisione Littorio che i contingente italiano si salvò dal disastro completo, organizzando una ritirata ordinata. La battaglia di Guadalajara fu l'ultima vittoria repubblicana di una certa importanza, anche se inutile per le sorti del conflitto, ed ebbe un grande effetto sul morale delle truppe. Sul piano strategico, la vittoria repubblicana evitò l'accerchiamento di Madrid, mettendo fine alla speranza di Franco di schiacciare la Repubblica con un assalto decisivo alla sua capitale.
posta dai battaglioni Jaros!aw Dabrowski e Giuseppe Garibaldi. A Torija le truppe italiane del CTVI si scontrarono con il battaglione italiano Garibaldi subendo una pesante sconfitta. La controffensiva repubblicana mise in fuga le truppe italiane in
Guadalajara fu invece un duro colpo per il morale dei fascisti italiani, e una pesante perdita di prestigio personale per il dittatore Benito Mussolini, che aveva personalmente orchestrato lo schieramento delle sue truppe, sperando di ricavare gloria in caso di
La Divisione Ravenna “Armata Bulow””
IV
All’inizio nel 1944 nell’area di Ravenna cominciarono a formarsi numerose brigate partigiane che progressivamente confluirono nella 28 Brigata Garibaldi “Mario Gordini”. A organizzarla e comandarla fu Arrigo Boldrini, nome di battaglia “Bulow”. La novità della tecnica di combattimento della 28 Brigata fu nella scelta della discesa dalle montagne in pianura. La Divisione Ravenna, o Armata Bulow, forte di circa 1.000 uomini affrontò ripetutamente scontri in campo aperto con le forze tedesche e le brigate di camice nere che infestavano la Romagna.
La forza di combattimento e la capacità militare dell’Armata fece sì che fu proprio la divisione partigiana a liberare Ravenna con una operazione ideata e diretta dal Comandante Bulow e appoggiata in seconda linea dalle truppe alleate. Con l’avanzare del fronte alleato oltre la “linea gotica”, le brigate partigiane che già operavano dietro le linee tedesche confluivano nel ricostituito esercito italiano, ancora chiamato Corpo dei Volontari della Libertà, costituendo i due gruppi di combattimento Friuli e Cremona (il terzo, Legnano, non farà in tempo a en-
L’ “Armata Bulow” sfila per le vie di Ravenna liberata trare in battaglia). Queste truppe volontarie venivano equipaggiate e armate dagli alleati, ma organizzate e disciplinate sotto il comando di ufficiali del vecchio esercito italiano. Il loro ruolo fu strategico, non solo sotto il profilo politico e morale per dimostra-
te agli alleati che l’Italia, che aveva appena rinnegato l’alleanza con i tedeschi con l’armistizio del settembre 1943 e la fuga del re da Roma, aveva anche un’ “anima” non fascista, ma soprattutto per evitare in moltissimi casi devastazioni alle cittadine occupa-
te dalle truppe tedesche sottoposte a massicci bombardamenti terrestri e aerei dall’esercito alleato. Agli ex partigiani, infatti, gli alleati affidarono compiti di avanguardia e di “stanamento” delle più arroccate postazioni tedesche e fasciste con combattimenti ravvicinati che evitavano l’uso delle armi pesanti nei centri abitati. Per la sua capacità organizzativa e operativa gli alleati consentirono all’ “Armata Bulow” di rimanere inquadrata autonomamente con i propri ufficiali, ai quali riconobbero la parità dei gradi. L’Armata Bulow affiancò la divisione canadese e il gruppo di combattimento Cremona per tutta la risalita del fronte alleato sino all’ultima battaglia del Sennio
successo. Gli italiani persero circa 6.000 uomini e un considerevole numero di carri leggeri e aerei. Inoltre, l'esercito repubblicano catturò una grossa quantità di equipaggiamenti di cui aveva un grande bisogno. Le lezioni tattiche della battaglia furono ambigue e male interpretate. Il fallimento dell'offensiva italiana fu inteso come una dimostrazione della vulnerabilità di attacchi portati avanti da unità corazzate in condizioni sfavorevoli e contro una difesa di fanteria ben organizzata. I comandi militari francesi conclusero che le truppe meccanizzate non fossero un elemento decisivo nella guerra moderna con un'eccezione degna di nota in Charles de Gaulle. I tedeschi, invece, non commisero questo errore, ritenendo il fallimento di Guadalajara frutto di errori ed incompetenze da parte dei comandanti italiani. Gli unici grandi protagonisti della battaglia furono i volontari delle Brigate Internazionali, unitamente agli uomini delle unità repubblicane. In particolare Guadalajara resta negli annali della 12ª Brigata - Battaglione Garibaldi formato dai volontari antifascisti comunisti italiani come la prima vittoria della resistenza italiana contro il fascismo.
Arrigo Boldrini “Bulow” decorato con la medaglia d’oro dal comandante delle truppe alleate che determinò il collasso delle difese tedesche. Dopo il famoso “pernacchio” al re (al luogotenente Umberto) tutte le formazioni di combattimento composte da partigiani comunisti vennero disarmate e smobilitate senza neppure fogli di congedo.