Inserto "Partito comunista" - Febbraio 2011

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PARTITO COMUNISTA supplemento al numero 2 - Anno III - febbraio 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

“Sono stato comunista non solo perché avevo in tasca una tessera di partito. E oggi non sono un ex comunista solo perché non ho in tasca una tessera di partito” (Diego Novelli)

Il 21 gennaio del 1921 si consuma la scissione della Frazione Comunista dal Partito socialista italiano. Nello stesso giorno nasce il Partito Comunista dItalia, sezione dellInternazionale Comunista. Livorno è la città che ospita il congresso del Partito socialista. Il teatro Goldoni è lo scenario nel quale avviene la clamorosa rottura che era da tempo nellaria. Sarà la minoranza comunista a lasciare la sede del congresso per trasferirsi in un altro teatro, il San Marco. La minoranza del Partito socialista rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, faceva capo ad Amedeo Bordiga che guidò per primo il nuovo partito, al gruppo dellOrdine Nuovo di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, e alla corrente massimalista di Andrea Marabini e Antonio Graziadei, con la stragrande maggioranza della Federazione giovanile socialista con il suo segretario, Luigi Polano, che qualche giorno dopo darà vita alla Federazione giovanile comunista.

Partigiano, Partito, Comunista: Partito Comunista Premessa Con questo inserto vogliamo iniziare a ricordare, anzitutto (via via la criticheremo anche), la grande storia del Partito Comunista in Italia. Inizieremo con brevi articoli su alcuni personaggi ed eventi che hanno segnato con maggiore forza la storia del comunismo italiano. Lo scopo è quello di stimolare l’interesse e l’attenzione su questo tema imprescindibile nella storia del nostro paese e quindi anche nel nostro presente e per il nostro futuro. In successivi inserti procederemo a più accurati approfondimenti. A questo fine vogliamo sollecitare il contributo e la partecipazione di quanti siano in grado di apportare i propri ricordi, documenti e conoscenze. Gli inserti, com’è stato sempre doverosamente chiarito, rispecchiano la posizione ideologica dell’editore e quindi fanno esclusivamente capo alla sua responsabilità morale e, all’occorrenza, giuridica. Ciò non di meno anche gli inserti, come ogni altra rubrica del giornale, sono aperti alla partecipazione e collaborazione di chiunque lo voglia e si faccia parte diligente nel farlo. La pagina si apre con la foto dei fondatori del Partito Comunista d’Italia sezione dell’In-

ternazionale Comunista, avvenuta a Livorno il 21 gennaio del 1921. La storia del comunismo in Italia non nasce con quell’evento, né finisce con le leggi fasciste del 1926 che hanno sciolto (messo fuori legge) il PCd’I, né con il Congresso del 1991 che ha (di)sciolto il Partito Comunista Italiano, né tanto meno con l’esperienza suicida dell’Arcobaleno bertinottiano. Del pari la storia del comunismo in Italia non corre solo dentro quella del partito che ne ha portato il nome e a volte (almeno per taluni e non pochi) non ne ha invece più interpretato le idee. L’universo del pensiero e del movimento comunista è assai più ampio, vasto e variegato. Nel procedere degli inserti cercheremo di dare conto anche di questo “altro” enorme patrimonio storico,

“Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.” (Gramsci) Essere comunisti significa essere partigiani, significa avere deciso di stare con una parte e contro un’altra parte. Stare con la parte dei “più”, con la “maggioranza”, con le grandi masse di esseri umani che vivono, o comunque vogliono vivere una vita sostenibile e dignitosa con il lavoro, con il proprio lavoro. Significa stare contro quei “meno”, quei “pochi”, quella “minoranza” che vive sulle spalle e sulla pelle della maggioranza. La Storia, con la “S” maiuscola è storia di scelte di parte; chi non “parteggia”, chi non sceglie e partecipando non si espone non solo non fa la Storia, quella con la “S” maiuscola, ma non fa neppure la propria di storia, per quanto piccola sia comunque parte dell’unica grande Storia dell’umanità, ma si limita a sopravvivere trascinato dalla corrente delle scelte degli altri. Per essere parte occorre partecipare e quindi divenire partigiani di una idea, di un progetto, di una speranza, di un diritto. E questo fa paura a coloro che vogliono governare le scelte (non scelte) degli altri. La storia ci ha insegnato due scenari (perfettamente intercambiabili in relazione alle condi-

zioni di contesto): il primo è quello di un divieto formale alla partecipazione che si esprime con la dittatura; il secondo è quello di una espropriazione surrettizia del diritto di partecipazione che si realizza con la così detta democrazia delegata. E’ in questo secondo scenario che emerge la figura, irragionevole e antistorica, del “super partes”, di colui (coloro, persone fisiche o giuridiche, individui o collettività) che non si schiera con alcuna delle parti in campo e ciò non per affermare e difendere una propria specifica parte, ma per neutralizzare tutte le altre. Ma se è possibile che vi siano realmente figure, istituzioni, funzioni o ruoli “super partes”, allora vuol dire che le parti in campo in realtà tali non sono, non sono cioè antagoniste portatrici di differenti posizioni, ma semplici “frazioni”, “sette”, “club” di una stessa parte sostanziale. Giacomo Brodolini, il ministro al quale si deve lo Statuto dei Lavoratori, non era il “Ministro del Lavoro”, ma lui stesso si definiva il “Ministro dei Lavoratori”; Cordero di Montezemolo, semmai dovesse ricoprire quella stessa carica, parimenti non sarebbe il “Ministro del Lavoro”, ma il “Ministro dei datori di lavoro”, cioè dei padroni. Perché

un Ministro del lavoro possa qualificarsi tal quale senza ulteriori distinzioni, e dunque sentirsi o almeno affermarsi “super partes” rispetto al mondo del lavoro, occorre che lo stesso (o gli stessi sia che si chiamino Damiano o Sacconi) abbia già scelto di stare da una sola parte e certamente non da quella dei lavoratori. Un partito raccoglie i partigiani sostenitori delle istanze di una parte e se ne fa portatore collettivo. Ma se non ci sono più partigiani, perché è una sola parte ad esprimere le proprie istanze, allora i partiti non hanno più senso d’esistere nella loro funzione e identità storica. Nel 1991 la sinistra parlamentare italiana ha iniziato un percorso di “restyling” formale (che in verità svelava una sostanziale mutazione genetica già completata) che la ha portata dapprima a sostituire il termine “comunista” con la più “moderna” definizione di “democratico”, poi a cancellare totalmente il termine “partito” (PCI-PDS-DS), con ciò allineandosi all’altra grande componente della politica parlamentare italiana che sin dall’immediato dopo guerra aveva “abiurato” il termine “partito” (popolare) per assumere una definizione “ecumenica”, aperta a tutti i credenti, Democrazia Cri-

stiana. Gradualmente sono poi scomparse anche le indicazioni per così di orientamento (destra, sinistra, centro), sostituite da immagini di vegetali o animali (querce, margherite, trifogli, asinelli, ecc.) o descrizioni più diverse (alleanze, unioni, popoli, ecc.). Il tempo è passato e ha cancellato la memoria della definizione lessicale del termine “partito” che oggi può riapparire (PD, PdL) ma non più per identificare una “parte”, un insieme di istanze e progetti di cambiamento o almeno di sviluppo della società, bensì per essere lui stesso la “parte”, non più antagonista ma semplicemente alternativa ad un’altra “parte”. Partito Comunista identifica un insieme di uomini e donne che hanno una loro storia, un loro presente e un loro progetto ben definito. Partito Comunista identifica una comunità di partigiani che propone una scelta antagonista e progetta il cambiamento rivoluzionario del futuro. Se quella comunità di uomini e di donne sottomessi, sfruttati, esclusi ed emarginati non si è “dissolta”, ed è evidente che non lo è, allora il ruolo e la funzione storica del Partito Comunista non è cessata e il suo spirito vive immutato nei bisogni delle masse. Riaffiorerà!

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