supplemento al numero 6 - Anno III - giugno 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
Quale Onore?
La guerra è un’attività bestiale che trasforma gli uomini in bestie Dalla Libia alla Libia, passando per Etiopia, Amba Aradam, Slovenia, Grecia, Jugoslavia, Somalia e Iraq una strage italiana nascosta Viviamo in un secolo di pace, si sente spesso ripetere, la guerra è lontana, appartiene al nostro passato e non ci toccherà più. Non ci toccherà più, appunto, perché toccherà altri popoli, altre realtà, una volta lontanissime ma via via sempre più vicine a noi. La guerra ci sta girando intorno. Viviamo ancora in un’ “isola felice”, ma sino a quando? E soprattutto, quanta parte di responsabilità abbiamo noi stessi in quelle guerre, nel provocarle, nel sostenerle, nell’entrarci dentro, anche! A noi non può accadere, si sente ancora ripetere, noi non scivoleremo mai nelle barbarie delle pulizie etniche, dei massacri religiosi, delle dittature militari, noi siamo “diversi”, noi siamo più “civili”, noi siamo “buoni”. La storia non ci dice affatto questo. La nostra storia ci tramanda al contrario testimonianze di un’indole violenta e sanguinaria del popolo italiano che nulla ha da invidiare (se si può usare questo termine) alla ferocia nazista, al razzismo dei colonialisti inglesi, francesi, portoghesi e altri, o all’odierno bestiale all’imperialismo nord americano. In questo inserto vogliamo ricordare alcuni episodi che dimostrano come la guerra, le situazioni cioè in cui alla politica negoziata si sostituisce quella combattuta, è stata in grado di tra-
sformare dei “normali” contadini, operai, giovani studenti, in bestie feroci e sanguinarie. “Eseguivo gli ordini”, “Difendevo la mia patria”, “Lo imponeva la mia religione”, sono alcune tra le tante giustificazioni che i criminali di guerra hanno sempre cercato di addurre a discriminante delle loro inescusabili responsabilità, fino a giungere alla più grave, perché più subdola e ipocrita giustificazione: “Lo facevano anche loro, anzi loro erano peggiori”, che pone le basi per la finale conclusione “liberatoria”: “tutti i morti sono uguali e tutti i morti vanno onorati”, meglio ancora se “ignoti”. La foto che apre questa pagina è forse l’esempio più espressivo ad uno stesso della bestialità della guerra e della follia della sue (di qualsiasi) giustificazioni. Per cinque anni dal 1914 al 1918 milioni di europei si sono massacrati lungo le linee di immaginari confini dei rispettivi Stati, tutti e ciascuno per difendere il sacro territorio delle rispettive patrie. Quelle linee immaginarie e innaturali sono state “santificate” da milioni di ragazzi morti e oggi non esistono neppure più; i popoli dei due versanti appartengono (o almeno aspirano ad appartenere) a un unico grande Stato/patria unitario. Perché allora quel massacro? E ancora perché tutti quegli altri in-
numerevoli e interminabili massacri che insanguinano la storia dell’umanità? Per questa volta, in questo inserto, non parleremo delle ragioni economiche che ne costituiscono le reali ragioni storiche. Vogliamo guardare all’indole umana, alla “sovrastruttura” culturale ed etica che muove e condiziona i comportamenti degli esseri umani. Se è vero, come dice il Presidente Mao, che almeno il 90 cento degli uomini sono “buoni”, dobbiamo concludere che é la guerra che, segnando la fine della convivenza civile e sociale, produce questa “mutazione genetica”. Se è la guerra che trasforma l’uomo in bestia, allora nella guerra non può esserci alcun onore, ma solo miseria, disgusto e vergogna. Nel 1910 l’Italia invase la Libia e diede inizio a un massacro delle popolazioni indigene che si protrasse per decenni, dalla monarchia costituzionale illuminata (governo Giolitti), alla conversione fascista dei re piemontesi. Nel 2011 l’Italia sta di nuovo bombardando la Libia, uccidendo uomini, donne e bambini. Allora si parlava di una di una missione “civilizzatrice”, oggi si parla di una missione “democratica e umanitaria”. Le bombe e i proiettili sono sempre gli stessi. Domani onoreremo altri morti, tutti uguali, tutti eroi, tutti ignoti.
Peggio di Marzabotto, perché non fu rappresaglia. Peggio di Sebrenica perché morirono anche donne, vecchi e bambini. Tra il 9 e l’11 aprile 1939 una carovana di «salmerie» dei partigiani di Abebè Aregai, leader del movimento di liberazione etiope, si era rifugiata in un sistema di grotte nella località di Amba Aradam dopo essere stata individuata dall’aviazione italiana. Lì venne circondata da truppe italiane in misura soverchiante per numero ed armamenti. Circa 800 etiopi uscirono dalle grotte e si arresero, ma vennero tutti subito fucilati o gettati vivi in un burrone. Gli altri, in prevalenza vecchi, donne e bambini, che provvedevano alla cura dei feriti e al sostentamento dei partigiani alla macchia, in numero non ancora stimato, rimasero all’interno delle grotte. L’ordine da Roma fu perentorio: stroncare la ribellione che perdurava sulle montagne ancora dopo tre anni dall´ingresso di Badoglio ad Addis Abeba. Ma stanare i ribelli era impossibile, così il 9 aprile la grotta venne attaccata con bombe a gas d’arsina e con la micidiale iprite che devastò le trincee della Grande Guerra. L’Italia aveva firmato il bando internazionale
di queste armi letali, ma le ha poi usate in grande stile nella guerra d’Etiopia. Nella grotta il “bombardamento speciale” venne eseguito dal “plotone chimico” della divisione Granatieri di Savoia, da sempre ritenuta una delle più “nobili” delle Forze Armate italiane, per ordine diretto del generale Ugo Cavallero o dello stesso Amedeo di Savoia, pure lui di “nobile” reputazione. A completare il massacro, nel tentativo di “bonificare” il reticolo di grotte, le
truppe italiane fecero uso di lanciafiamme e infine, fecero saltare gli ingressi delle grotte, sigillando dentro per sempre ogni eventuale superstite. I meticolosi telegrammi scambiati tra i comandi italiani sono istantanee dall’inferno. «Si prevede che fetore cadaveri et carogne impediscano portare at termine esplorazione caverna che in questo sarà ostruita facendo brillare mine. Accertati finora 800 cadaveri, uccisi altri sei ribelli. Risparmiate
altre 12 donne et 9 bambini. Rinvenuti 16 fucili, munizioni et varie armi bianche». La rappresaglia delle Fosse Ardeatine di Kappler non fu peggiore. Il governatore della regione di Gondar, Alessandro Pirzio Biroli, di rinomata famiglia di esploratori, “usava” buttare i capitribù ribelli nelle acque del Lago Tana con un masso legato al collo; Achille Starace ammazzava i prigionieri di persona in un sadico tiro al bersaglio e, poiché non soffrivano abbastanza, prima li feriva con un colpo ai testicoli. Non fu certamente una “missione civilizzatrice” quella italiana in Etiopia, ma il collaudo del razzismo finito poi nei forni di Birkenau. Il generale Badoglio, già tra i responsabili della “rotta di Caporetto” nella prima guerra mondiale e poi, dopo la deposizione di Mussolini da parte del re piemontese e l’armistizio con gli alleati, capo del governo italiano, fece agli etiopi ciò che Saddam fece ai Curdi. Solo che Saddam è stato portato in giudizio, condannato e giustiziato, l’Italia non ha mai risposto dei suoi crimini. E così ancora oggi “ambaradam”, nel lessico familiare, è una parola che fa ridere: vuol dire “allegra confusione” e una importate via di Roma è ancora intitolata a quell’ “allegro” episodio!
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