l’Oppio dei Popoli supplemento al numero 1 - Anno III - gennaio 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
“La religione è l’oppio del popolo” (Karl Marx)
Questo inserto è dedicato al tema della religione, o più esattamente al passaggio dalla religiosità alla religione, alle innumerevoli religioni intese come organizzazioni strutturate del potere spirituale, cioè di quel potere che domina i corpi soggiogandone le menti. A queste “organizzazioni” si riferisce precisamente l’affermazione di Marx. Altra cosa è la religiosità quale tensione, quasi naturale, dell’uomo a trascendere dalla materialità contingente e quotidiana verso aspirazioni per così dire più elevate, emotive e sentimentali. Credere è legittimo e naturale come mangiare o pensare; istituzionalizzare, disciplinare, catechizzare le credenze, qualunque esse siano (profezie, divinità, extraterrestri) è innaturale, è contro natura, come violentare, sottomettere e sfruttare. Questo inserto, come tutti gli altri d'altronde, non ha alcuna pretesa scientifica in termini di esaustività e completezza espositiva dei diversi argomenti che verranno di seguito trattati. Come tutti gli inserti si propone un obiettivo molto più modesto ma, almeno a giudizio dell’estensore, assai più importante: quello di “provocare”, di stimolare interessi e curiosità, ma anche dibattiti e confronti. Il taglio è inequivoco e rispecchia l’impostazione culturale e morale dell’editore, può quindi essere legittimamente considerato “di parte”, ma tutti gli argomenti, i dati, le notizie, le informazioni utilizzate hanno un preciso riscontro documentale. Ben vengano repliche e contestazioni purché assistite dallo stesso rigore mentale e documentale (documentato). Ancora una avvertenza e una considerazione. Potrà sembrare che un tema così vasto e importante venga affrontato con eccessiva semplicità, non sostenuta da una adeguata competenza di studi e di titoli accademici. La religione, o più correttamente in questo caso la religiosità, è patrimonio comune e uguale di tutti gli esseri umani, come la vita o la libertà; possono esserci sicuramente degli studiosi dell’una o dell’altra materia più preparati e ferrati, ma nessuno studio, nessun titolo accademico sposta di un’unghia (uno “iota” direbbero gli studiosi della Bibbia) l’eguaglianza dei diritti di credo, pensiero e negazione (se del caso). Infine, non se ne abbiamo a male gli studiosi delle scienze divine (teologi, teosofi, ayatollah, guru o quanti altri) ma per chi scrive, comunista e quindi inconciliabilmente ateo, appare assai difficile riconoscere una pur minima dignità scientifica a discipline fondate su “ciò che non esiste”.
Dalla religiosità alla religione L’eterno (e alterno) scontro tra il potere laico e il potere religioso Pressoché tutti i testi sulla storia delle religioni affermano che lo spirito religioso comincia a manifestarsi nel momento del passaggio dall’uomo “habilis” a quello “sapiens” sotto la spinta di due sentimenti: lo stupore e la paura. Stupore davanti alla consapevolezza di fenomeni misteriosi: il sole che rinasce tutte le mattine, il fuoco che illumina e scalda; paura davanti magari a quegli stessi fenomeni, ma visti dal lato negativo: il sole che muore al tramonto e viene sopraffatto dalla notte buia, il fuoco che brucia e devasta. L’evoluzione, anche organica, del corpo e della mente dell’uomo “sapiens” divenuto “sapiens sapiens” (la nostra specie attuale) nel tempo ha svelato la naturalità di alcuni misteri e dissipato talune paure dell’ignoto, ma nello stesso tempo ha fatto spazio a uno stupore e a una paura sempre più grandi: il mistero della vita e il dramma della morte. L’atteggiamo dell’uomo di fronte a questi fenomeni, tanto magici che paurosi, è
tuttavia sostanzialmente rimasto lo stesso: gratitudine per le cose belle; paura e soggezione per quelle brutte. Il canto, la danza, la festa in segno di gratitudine per le cose belle; il pianto, la preghiera, il sacrificio per la paura di quelle brutte. Alla madre terra, a Cerere o Vesta e ancora a Maria precristiana il ringraziamento per la fertilità, cioè per la bellezza della vita; ai vari demoni del cielo e degli inferi i sacrifici di sangue, cioè l’offerta del bene massimo della vita, sia essa animale o umana (Abramo che offre a Jehovah la vita del figlio legittimo Isacco, sino allo stesso Dio dei cristiani che sacrifica a se stesso la vita del proprio figlio Cristo). Gestire questi sentimenti, soprattutto quelli dettati dalla paura, è ben presto apparso un elemento di potere per il governo laico degli uomini. E’ in quel momento che la religiosità si è (è stata) trasformata in religione, in un sistema, cioè, di regole e di riti dialetticamente creati e creatori di loro interpreti, depositari e tutori.
Nascono così le figure e i ruoli culturali e sociali degli “intermediari” con le divinità: i “religiosi”. Resta l’aspetto politico, la relazione cioè tra il potere laico del governo delle comunità con il nuovo potere religioso che di quelle comunità, ovvero dei singoli componenti di quelle comunità, governa il lato emotivo delle menti. La storia ha tramandato, con alterna fortuna ancora oggi assolutamente attuale, almeno tre modelli principali di relazioni tra i due poteri laico e religioso. Un primo modello, certamente il più remoto, vede il potere laico controllare il potere religioso e farne strumento di consolidamento per il proprio controllo sulle comunità. E’ questo, tra i tanti, il modello adottato dai romani che, dal secondo re di Roma Numa Pompilio creatore della istituzione religiosa del “pontefice massimo” nel 700 circa avanti Cristo, sino all’imperatore Costantino artefice e supervisore del primo Concilio ecumenico di Nicea del 325 dopo Cri-
sto, hanno sottoposto la religione al controllo del potere statuale laico, tecnicamente aggiungendo alla massima carica laica (reale, consolare o imperiale) anche quella religiosa. In epoca molto più recente lo stesso modello è stato adottato dall’Inghilterra, che non a caso è la più diretta e fedele erede della cultura giuridica romana occidentale, con lo scisma della chiesa anglicana voluto nel 1.500 da Enrico VIII, proclamatosi ad uno stesso tempo re d’Inghilterra e capo della chiesa cristiana anglicana. Il secondo modello consiste nell’esatto opposto, e cioè nel potere religioso che si fa anche potere laico o temporale, a volte sovrapponendo a tutti gli effetti le due funzioni, altre volte sminuendo quella laica in dipendenza assoluta da quella religiosa. E’ questo il modello adottato, sempre tra i tanti, dalla Chiesa cattolica romana con il Papa Re, dal buddhismo tibetano con il Dalai Lama, da taluni stati d’area musulmana con ayatollah, capi supremi religiosi, sovraordinati ai po-
teri politici anche laddove di origine elettiva. Nel terzo modello di relazioni laico/religiose i due poteri, giuridicamente e strutturalmente ben distinti e reciprocamente autonomi nei loro specifici ambiti, convivono in un regime di costante scontro/confronto che vede il primo potere, quello laico, cercare ripetutamente il necessario supporto del potere religioso per il rafforzamento del proprio controllo della comunità amministrata e, viceversa o reciprocamente, quest’ultimo tentare continuamente di interferire nelle prerogative e nell’autonomia del primo per indirizzarne la condotta verso i propri precetti morali/religiosi, pur senza realizzare una totale confessionalità del potere laico. E’ questo il modello adottato, tra i tanti, dallo Stato italiano con la sottoscrizione nel 1929 dei Patti lateranensi tra la Chiesa cattolica romana e lo stato fascista, poi rimasti confermati dall’art. 7 della Costituzione repubblicana, in virtù del quale, ad esempio, l’attuale presidente della Conferenza Episco-
pale Italiana (CEI), di nomina diretta del Papa romano, è anche un generale (a tutti gli effetti anche retributivi e pensionistici) dell’esercito italiano quale comandante dell’ordine (arma?) dei cappellani militari. C’è però anche un quarto modello che circa un ventennio fa sembrava sconfitto, ma che invece conferma il suo valore sempre più valido ed esemplare, che vede in uno Stato laico e aconfessionale la possibilità della libera espressione di qualsiasi pratica religiosa, alla sola condizione che resti rigorosamente confinata nel proprio ambito puramente spirituale, esterna ed estranea rispetto a qualsiasi interferenza nella vita sociale laica. In questo caso, diversamente dal citato modello romano, lo Stato non assume alcuna posizione, né stabilisce alcuna relazione organica con le varie religioni e le loro chiese, restandone esterno ed estraneo nello stesso modo reciprocamente imposto a queste ultime rispetto alle questioni non religiose. E’ questo il modello applicato, con maggiore o minore attenzione e successo, nelle esperienze dei dissolti sistemi del socialismo reale, ma pienamente riuscito e funzionante in quelli emergenti del comunismo dell’estremo oriente e centro-sudamerica.
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