Marzo 2013

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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno V, n. 3 - marzo 2013 - distribuzione gratuita

“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)


2 Sommario del mese di marzo Lavoro: da dove si riparte? Combattere il sistema FIAT di Andrea Tofi

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Mai come l’Occidente Ricchezza: produrre per distribuire di Sandro Ridolfi

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Legislatori illusionisti e funamboli Il comma scomparso e le stellette di Salvatore Zaiti

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Per non cedere Resistere all’agonia della scuola pubblica di Annarita Falsacappa

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da Costantino I a Benedetto XVI La fine del Cesaropapismo di Sandro Ridolfi

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Contro il tabagismo Il vizio che manda in fumo la salute di Sibilla Mearelli

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Mille Miglia Lontano Un film sui sentimenti a cura della Redazione

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Il teatro amatoriale Non per mestiere di Loretta Ottaviani

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L’arcobaleno I colori in tutte le lingue del mondo di Sara Mirti

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Fiori d’Acciaio Il coraggio di conoscere di Catia Marani

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Butterfly, Farfalla Puccini, un dramma moderno di Chiara Mancuso

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Redazione: Corso Cavour n. 39 06034 Foligno redazionepiazzadelgrano@yahoo.it

Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maria Carolina Terzi Sito Internet:

Andrea Tofi Stampa: GPT Srl Città di Castello Chiuso: 24 febbraio 2013 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”


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Editoriale

Nel nostro futuro… solo passato DI

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LUIGI NAPOLITANO

er un lungo periodo, se rapportato ai tempi di una campagna elettorale, ho volutamente chiuso gli occhi sugli avvenimenti della politica del nostro paese. Appena li ho riaperti mi sono sentito come quegli spettatori di soap opere che perdono un certo numero di puntate dello sceneggiato e si accorgono che nulla di importante è successo. Quando ho cominciato a riprendere coscienza dei fatti della politica, mi sono reso conto che nessuna novità che possa far ben sperare i cittadini è stata introdotta nel dibattito preelettorale. I termini della discussione mi son suonati come quelli sentiti nelle campagne elettorali degli ultimi vent’anni e per di più pronunciati, con qualche eccezione non voluta dall’ambiente, dalle stesse persone. La principale preoccupazione degli attori, anche di questa vicenda elettorale, è quella di rimarcare le incongruenze e l’inadeguatezza di questo o quell’altro antagonista, senza porre in maniera chiara sul tavolo della contesa le proprie proposte. Con la conseguenza che siamo costretti ad assistere ad una campagna elettorale giocata su colpi bassi, assurde promesse e argomenti infimi che arroventano sempre più il clima, senza tener conto che il comune sentire del paese è cambiato, soprattutto a causa della morsa di

una crisi che non accenna ad allentarsi. Aggiungo di non condividere la linea politica di chi, cavalcando l’onda del malcontento, si scaglia contro tutto e tutti, non dà alcuna indicazione concreta dei suoi progetti, rifiuta qualsiasi confronto con le persone a cui dice di voler sbarrare il passo verso il governo e, per di più, si nega al fondamentale (per un politico) dovere di rispondere alle domande di un giornalista. Tuttavia trovo tardiva e inappropriata qualsiasi denuncia da parte di quei politici che vedono in questo fenomeno una deriva antidemocratica e il pericolo di ritorno a sistemi dittatoriali. E’ proprio la loro inettitudine ad aver dato vita e fatto crescere a dismisura il consenso elettorale intorno all’invettiva fine a se stessa. embrano, poi, quasi essere entrate a far parte della normalità le inchieste giudiziarie relative agli scandali che toccano, senza eccezione alcuna tutte le parti politiche. Sono anni che un’assurda commistione tra politica e finanza speculativa ci ha abituati a vedere dilagare la corruzione, se non la concussione, e politici indagati per vicende di malaffare di cui i cittadini sono costretti a pagare il peso. Le dimissioni, anche laddove dovute in un anelito di dignità, come atto sono ignote a questo mondo. Eppure, in questi giorni, l’argomento di cui tutti si sentono in dovere di discettare è legato ad

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un siffatto gesto, questo si epocale, che mette in discussione non un compito, un’attività, ma l’essere stesso, dato, per chi è credente, dalla trascendenza divina. E in questo contesto, continuamente mi frullano per la mente tre argomenti che valuto di primaria importanza, ma verso i quali pare esserci, da parte dei protagonisti di questa elezione, scarsa attenzione: il lavoro, l’etica e la formazione. l lavoro è alla base della nostra Carta Costituzionale. L’articolo 1, infatti, lo pone a fondamento della Repubblica, lasciando intendere che tutti gli altri elementi tra cui l’economia e la finanza vengono dopo e ne dipendono, non potendosi considerare vero il contrario. Con la conseguenza che dovrebbe essere il primo a determinare l’andamento e le vicende degli altri. A tacere della considerazione che il lavoro continua ad essere il riferimento più importante della società per l’attribuzione di un prestigio sociale nella considerazione collettiva. E non è un caso che solo il lavoro di “politico”, in questo periodo che, peraltro, dura da parecchio, non solo non gode di alcuna considerazione ma, anzi, è guardato con avversione. Va sempre ricordato che il lavoro non è solo fonte di reddito, ma dà dignità, riconoscimento e identità, per cui, come è stato autorevolmente affermato, se è vero che lavorare stanca, non lavorare umilia.

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’etica come studio dei fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno stato deontologico, individuando quelli giusti o moralmente leciti, deve intendersi come prescrittiva di indicazioni sui comportamenti e finalizzata a dare un indirizzo oggettivo allorquando l'azione personale è relazionata ai valori comuni ed alle istituzioni. Deve risultare inaccettabile qualsiasi atteggiamento inappropriato, in particolare se anche solo potenzialmente ingenerativo di conflitti tra gli interessi del soggetto agente e quelli dell’istituzione che rappresenta o di un dubbio circa l’assoluta imparzialità delle scelte che, nell’interesse della collettività che si rappresenta, si è chiamati a compiere.

Editoriale

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a formazione professionale dovrebbe fondare la sua identità nel rispondere in modo adeguato e convincente da un lato alla domanda di professionalità espressa sia dal mondo economico e produttivo che dalle strategie di sviluppo territoriale e dall’altra alla domanda sociale emergente dai giovani e dalle loro famiglie. E’ a questa esigenza che dovrebbe adeguarsi la scuola attraverso un percorso pedagogico che faccia acquisire livelli intellettuali e culturali sempre maggiori, capaci di assecondare le vocazioni dei discenti e indirizzarne le attitudini dovendo costituire una fondamentale leva per l’occupabilità e l’adattabilità delle persone, per la mobilità sociale, per la crescita e la competitività del nostro Paese.

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ualora, come sembrano indicare gli ultimi sondaggi, si realizzi una parità che bloccherebbe qualsiasi attività parlamentare e di governo e anche laddove una parte dovesse conseguire una maggioranza risicata, auspico che i politici, con un atteggiamento di buon senso fin qui raramente mostrato, trovino il coraggio di compiere quale ultimo atto della loro vita politica quello di unirsi nell’interesse del paese per realizzare quelle riforme utili ad uscire dalla situazione nella quale siamo precipitati, forse anche per colpa nostra, consentendo un corso politico finalmente “nuovo”.

Nota della redazione Come avrete potuto vedere leggendo il precedente e il presente numero, questa Rivista non ha voluto prendere parte alla bagarre elettorale che si è conclusa lunedì scorso e della quale non conoscevamo ancora gli esiti al momento dell’invio in tipografia del numero la domenica precedente. Ciò non perché questa non sia una Rivista “politica”, al contrario, ma perché quella bagarre elettorale aveva ben poco a che fare con la “Politica”, quella con la “P” maiuscola, quella si occupa e cura la partecipazione all’amministrazione del bene comune della “polis”, della società. L’editoriale sopra esprime con grande chiarezza il sentimento della distanza che separa i bisogni e le aspettative della società, dagli interessi dei circoli elettorali che si contendono un potere di governo privo di proposte, perché ancor prima privo di conoscenze e di competenze. Il lavoro, la sua mancanza, il suo degrado quantitativo e qualitativo, sono il problema centrale, oggi sempre più un dramma, di questa nostra “polis”. Chiunque sarà uscito vincitore dalla bagarre elettorale di potere dovrà fare i conti con questo problema drammatico; tutto il resto è coreografia, gossip e perfino cialtroneria. Al “LAVORO” abbiamo quindi voluto dedicare la copertina, per invitare tutti a tornare con i piedi in terra, nel mondo concreto, nei suoi problemi reali. Su questo tema, sul come affrontarlo, gestirlo e risolverlo si misurerà la”politica” futura.


Lavoro

Ed adesso come si riparte?

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Lavoro

Combattere il sistema “FIAT” Marchionne è stato capace di illudere i vecchi governi ed alcune delle forze sindacali presenti nei nostri luoghi di lavoro, promettendo investimenti mai realizzati ma concretizzando un forte attacco ai diritti dei lavoratori. DI ANDREA TOFI

Più flessibilità e produttività in cambio della speranza di un lavoro ed un calcio nel sedere! “E’ vergognoso vedere come i diritti degli operai vengano levati via in virtù di una produzione che deve andare avanti per generare profitti e dividendi. Ancora una volta, ci si mette di fronte alla crisi con l’argomento “o scegli di lavorare a meno di tutto (diritti, salario, pausa pranzo, pausa bagno perfino), o niente”. L’uscita dalla crisi la si vede solo in termini economici e di PIL, con la salute delle persone non si fa cassa, fa solo spese. Che tristezza…”, questo intervento della signora Giovanna estrapolato da un blog di una nota trasmissione nazionale in onda su rai Tre “Agorà”, racchiude lo stato d’animo della classe operaia di oggi. La speranza di trovare una qualsiasi occupazione che possa garantire un minimo sostegno economico è venuta oltre alla garanzia del diritto al lavoro sancito dall’articolo 1 della nostra Costituzione. I nostri giovani hanno perso oramai ogni speranza, molti rinunciano a proseguire anche gli studi universitari, perchè consapevoli che il lavoro che gli riserverà il futuro sarà caratterizzato da precarietà ed assenza di diritti. Quanto accaduto nello stabilimento di Pomigliano in questo ultimo periodo è

l’ennesima dimostrazione che l’atteggiamento assunto da Marchionne e dal gruppo dirigenziale della Fiat in generale è puramente ideologico: distruggere il contratto collettivo nazionale che disciplina i vari settori del mercato del lavoro. La decisione del Lingotto di contravvenire all’ordinanza del Tribunale che obbligava il gruppo FIAT alla riassunzione dei 19 operai iscritti alla FIOM ingiustamente lasciati ai margini dell’azienda è veramente abominevole. Tenere fuori dalla fabbrica gli operai a tutti i costi, arrivando a pagargli lo stipendio pur di farli stare fermi, è uno schiaffo alla dignità del lavoro. Dov’è il rispetto per la costituzione, qual’è l’organo giuridico preposto a far applicare le “nostre regole costituzionali”, c’è qualcuno che ha il coraggio di schirarsi apertamente dalla parte dei cittadini e dei lavoratori? Pochi politici se la sono sentita di esprimere giudizi in merito alla vicenda che rappresenta secondo me un evidente colpo basso all’articolo “18” dello statuto dei lavoratori, che tanto preoccupa i liberaldemocratici del nostro paese, da Monti a Berlusconi attrverso la complicità del Partito Democratico che nulla ha fatto per ostacolare la riforma del lavoro voluta dalla Fornero. In questo torpido scenario, ho trovato conforto nelle parole di Antonio Ingroia leader di rivoluzione civile: “Marchionne si crede superiore alla legge e continua a com-

portarsi come il padrone delle ferriere, secondo il modello berlusconiano, ma in un Paese civile le sentenze si rispettano” ed in quelle di Stefano Fassina candidato emarginato nelle fila del PD: “La scelta della Fiat e' grave e preoccupante e colpisce la dignita' della persona che lavora, si umiliano uomini che non chiedono l'elemosina, ma vogliono ricevere una retribuzione per quanto contribuiscono alla produzione". Ma possono due voci fuori dal coro sovvertire un processo la cui sentenza sembra essere già scritta? Se Marchionne e la FIAT rappresentano il meglio del nostro sistema imprenditoriale nel mondo, non dobbiamo andare molto lontano per trovare il fattore che ha innescato la crisi produttiva nel nostro paese. Il nostro sistema produttivo “fa schifo”, non si investe nella ricerca, nell’innovazione, nell’ammodernamneto degli stabilimenti, si punta a demolire la formazione scolastica, ed i nostri imprenditori continuano ad addossare le colpe ai lavoratori che non sono capaci di produrre abbastanza per fronteggiare la concorrenza. Se negli stabilimenti della FIAT si continua ha produrre la Panda mentre i concorrenti Europei sfornano nuovi modelli e nuove tecnologie applicate anche sulle utility car, non è colpa lavoratore che tutte le mattine si alza per recarsi negli stabilimenti di Pomigliano, Melfi o Mirafiori.


Lavoro

La mappa della crisi in Umbria L’elenco delle principali vertenze nel nostro territorio fornito dalla CGIL per l’ultimo trimestre 2012 Settore Metalmeccanico: per la provincia di Perugia Antonio Merloni (Nocera Umbra) – Cig straordinaria (350 tra quelli entrati; tutti altri 6-700 a zero ore) e accordo di programma, Porcarelli non ancora a regime, molto distanti da attività normale. Faber (Fossato Vico) - Cassa integrazione ordinaria, a ottobre straordinaria e poi mobilità, esubero 50% dipendenti (su 190, rioccupati 98). TrafomecEuroTrafo (Tavernelle-Fabro) – Cassa integrazione in deroga, su 157 dichiarazione esubero di 105. Ims (Spoleto) – Cassa integrazione ordinaria per circa 400 dipendenti. Giannelli Silencer (San Giustino) – 58 dipendenti 30 esuberi, cigs fino a fine anno. Omc – Cfm – Omp (Perugia) – Circa 100 in cassa integrazione ordinaria per le tre aziende. Solfer Termovana – Arietana (Umbertide) – Cassa integrazione ordinaria per 130. Sacofgas – Fonderie 3M (Città Castello) 120 cassa integrazione ordinaria. Rigel (Gubbio) 40 cassa integrazione ordinaria. Gruppo Sintesi (Perugia) – Cassa integrazione ordinaria per tutto il personale. Preoccupazione molto seria per settore automotive, collegata anche ai fermi di Fiat, probabilmente che nelle prossime settimane si accentui problema cassa e mancanza lavoro. Per la provincia di Terni AST/ThyssenKrupp – Fusione con Outukumpu. Società delle Fucine – Contratti di solidarietà. Faurecia – Cassa integrazione ordinaria. IlServ – Tutti i contratti in scadenza al 31-12, fortemente interessata a progetto fusione AST. Settore della meccanica e caldareria in cui ci sono varie situazioni di crisi, ristrutturazioni e ricorso agli ammortizzatori sociali. Per quanto riguarda il settore del commercioterziario-servizi la fotografia della crisi è questa: per la provincia di Perugia Modi & Moda (Perugia) chiusa a gennaio, chiesta cassa integrazione straordinaria, ma lavoratori senza reddito da gennaio. Wonderful (Umbria), chiusi

tutti i negozi, con 200 lavoratori fuori. Settore concessionari auto, molta cassa integrazione. Brico (Ellera di Corciano) chiuso. Eldo (Perugia) chiusura e riapertura con nuova proprietà. Per la provincia di Terni Wonderful – Chiusi 5 punti vendita, lavoratori in cassa integrazione e mobilità (circa 25 lavoratori). Unicoop Tirreno (TerniNarni) – Chiusura punto vendita negozio Narni e centro amministrativo Terni (mobilità per 31 lavoratori). Cna (Terni)– Apertura cassa integrazione in deroga. Usi ex Multimediale

(Terni) – Cassa integrazione in deroga (42 lavoratori coinvolti). Gruppo Centralmotor (Terni)– Contratti solidarietà e apertura procedure cassa integrazione straordinaria (circa 80 lavoratori coinvolti). Gruppo Rossi Mercedes – Apertura procedure cassa integrazione straordinaria. Società di servizi e appalti – Procedure di cassa integrazione, soprattutto per appalti pubblici, con ulteriori rischi legati agli effetti della spending review. Si segnala un abuso del ricorso al part time che determina una forte contrazione dei redditi dei lavoratori del settore. Fortissima è anche la crisi nel settore edile: per la provincia di Perugia crollo di quasi il 50% degli addetti dal 2008 e

7 10mila lavoratori in meno. Dai 22mila del 2007 agli attuali 12mila, di cui molti ancora in cassa integrazione. Sentore che prossimo anno si rischi un’ulteriore caduta. Anche negli impianti fissi, praticamente la quasi totalità delle aziende ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali. Solo per citare le aziende principali: Grifo Cornici (Magione) – Cassa integrazione in deroga in attesa del concordato (40 lavoratori). Cementerie Barbetti (Gubbio) – Cassa integrazione ordinaria e mobilità (120 lavoratori coinvolti). Colacem (Gubbio)– Mobilità (8 dipendenti). Fbm (Marsciano) – Cassa integrazione ordinaria (250 lavoraori). Fbm (Bevagna) – Cassa integrazione straordinaria (130 lavoratori). Manini (Bastia) – Cassa integrazione ordinaria (circa 100 lavoratori). Pucciarini (Perugia) – Cassa integrazione a zero ore (circa 40 dipendenti). Nella provincia di Terni dai 4.600 dipendenti del 2009 si è scesi ai 2.100 di marzo 2012. Nello stesso periodo le imprese sono passate da 846 a circa 620: Pallotta (Terni) – Riduzione personale. Fornace Salan (Terni)– Fallimento e chiusura (2011). Fbm (Terni) – Cassa integrazione ordinaria rotazione (52 dipendenti). Wiennerberger (Terni) – Cassa integrazione straordinaria e procedura mobilità. Celi (Stroncone) – Cassa integrazione in deroga. Poi c’è tutto il settore del polo chimico anch’esso in crisi nera con la Meraklon Yarn e Meraklon Spa (Terni) Cig straordinaria per amministrazione straordinaria 230 lavoratori, la Drai Cost (Terni) – concordato preventivo e cig straordinaria (25 lavoratori), la Basell (Terni) – Chiusura con ipotesi acquisizione da parte Novamont per nuovo progetto (70 lavoratori in mobilità), la Mmanifatture (Orvieto) – Cassa integrazione ordinaria (30 lavoratrici), la Sirap-Gema (Perugia) - 50 lavoratori in CIGS, l’Ingram (S. Giustino) – di 100 dipendenti 60 sono in CIGS, la Tecnosistemi (Città di Castello) - 70 lavoratori in CIGS ed altre piccole realtà. La crisi non fa sconti nemmeno nella Cartotecnica, nei Trasporti, nell’industria e nella rete di distribuzione Alimentare, ma sopratutto nelle cooperative sociali che hanno subito un crollo occupazionale piuttosto rilevante.


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Lavoro

Foligno spera di ripartire con i “Caccia F-35” Combattere la crisi sperando nei fondi destinati alla difesa militare: è questa la fotografia del nostro comprensorio Mentre la politica avanza dubbi e medita marce indietro (si attendo risposte dal nuovo governo), militari ed industrie della Difesa sono compatti: il programma dei caccia F-35 è “indispensabile” per la sicurezza futura del Paese ed anche per i ritorni occupazionali e l’affermazione del made in Italy in un settore strategico come quello degli armamenti. Il mega-programma (15 miliardi di euro per 90 velivoli a livello nazionale, 4.000 aerei complessivamente nel resto del mondo) è oramai stato avviato e tornare indietro sarà difficile, anche perchè la posta in gioco è davvero alta. In Italia dovrebbero essere assemblati nell’aereoporto militare di Cameri, nel novarese, oltre i 90 aerei prenotati dal nostro governo, anche altri velivoli destinati all’Europa. I 90 F-35 sono destinati a sostituire nei prossimi 15 anni 253 aerei ormai vicini all’età della pensione: gli AV8-B della Marina Militare e gli AM-X e Tornado dell’Aeronautica.

Avete capito bene, noi possediamo 235 velivoli militari! Per fortuna che l’articolo 11 della nostra Costituzione cita: “l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Finora l’Italia ha investito 2,5 miliardi dollari nel programma, con un ritorno di 807 milioni di dollari. Sono 60 le aziende italiane coinvolte a vari livelli, dal Nord al Sud del Paese, capofila Alenia Aermacchi. Le stime proposte dal colonnello Giuseppe Lupoli, segretariato generale della Difesa indicano che nei prossimi anni gli occupati potrebbero essere circa 10mila, quelli che attualmente lavorano al programma Eurofighter. Tra le imprese coinvolte nel programma c’è di sicuro uno dei nostri fiori all’occhiello nel settore aereonautico: l’Oma spa che ha per ora 50 dipendenti dedicati all’F-35 (costruzione ala e fusoliera), con la previsione di impiegarne ulteriori 150.

“Noi – avverte il presidente Umberto Nazzareno Tonti – abbiamo già investito 5 milioni e ne investiremo altri 30, abbiamo scommesso sul futuro e sarebbe un disastro ridimensionare ancora il programma”. Sembra che anche la NCM abbia acquisito commesse in relazione alla produzione di alcuni componenti e la stessa Umbra Cuscinetti leader a livello mondiale nel suo settore penso che non si farà scappare questa chance. Oltre questa “opportunità”, se così si può chiamare, il nostro comprensorio ricalca l’andamento economico ed occupazionale della nostra regione. Per un’altro paio di anni ci sarà ancora la SS77, che se pur poco ha permesso a qualche azienda locale di lavorare, la ricostruzione post-terremoto è praticamente giunta al capolinea, le piccole aziende stanno chiudendo favorite anche dalla “morsa delle banche” che non erogano più credito, le attività commerciali (anche storiche) cessano la propria attività. Quale futuro per la nostra città? Come rilanciare l’economia del territorio senza far affidamento sulle risorse destinate agli armamenti?


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Ricchezza

“Noi mai come l’Occidente”

Il Segretario del PCC e prossimo Presidente della Repubblica Xi Jimping in visita in una regione rurale povera

(parte seconda)

DI SANDRO RIDOLFI

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el numero di dicembre scorso avevamo dedicato la copertina e l’articolo di fondo al XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese che segnava il passaggio della guida del Partito dalla così detta quarta alla quinta generazione. Scadevano infatti i dieci anni dei mandati (5 + 5) affidati a Hu Jintao, segretario generale del Partito e presidente della Repubblica, e a Wen Jiabao, primo ministro (presidente del Consiglio di Stato). Nel rispetto del limite del doppio mandato e della soglia dei 70 anni di età, stavano uscendo di scena due personaggi solo poco tempo prima definiti dalla stampa USA come i più potenti del mondo. Il percorso della successione, secondo una prassi graduale, si completerà nel prossimo mese di marzo 2013 con la successione di Xi Jinping, già segretario generale del Partito e comandante dell’esercito, a Hu Jintao nella carica di presidente della Repubblica, e di Li Keqiang a Wen Jiabao nella carica di primo ministro. L’evento aveva provocato una particolare attenzione da parte di tutto il mondo, poiché prospettava le linee della

futura condotta non solo della seconda potenza economica del mondo, ma di quella ancora in piena espansione in un contesto di collasso generale e drammatico delle economie dell’occidente capitalista. “Capitalista”, era la chiave di lettura che l’occidente dava al sistema economico cinese, seppure con irrisolti problemi schizzofrenici tra accuse di totalitarismo statalista e, di contro, di sfrenato consumismo mercantile. Comunque dalla nuova potenza economica, oramai uscita dai propri confini territoriali e dilagata con le proprie imprese economiche e finanziarie in tutto il mondo, ci si aspettava una scelta di cambiamento radicale che finisse per trasportare direttamente il continente Cina all’interno dello storico sistema capitalista, quasi augurandosi di poterlo infettare con tutte le patologie malariche che stanno affondando quest’ultimo. Rinuncia dello Stato al controllo dell’economia e della finanza, liberalizzazioni, libero mercato, globalizzazione del disastro, queste le aspettative dei guru della politica e della finanza occidentale. Le aspettative dei profeti

del disastro sono andate deluse e il segnale forte uscito dal passaggio delle consegne tra le due generazioni è stato invece: “Noi mai come l’occidente”, nessuna liberalizzazione, nessuna globalizzazione, ancora più Stato nell’economia e nella società per guidare e garantire uno sviluppo sostenibile verso la creazione della società armoniosa, con l’enunciazione dell’obiettivo temporale di realizzare entro il 2020 una società “mediamente benestante”. Nel Congresso le parole d’ordine sono state quelle della lotta alla corruzione dentro e fuori del Partito, eliminazione delle diseguaglianze economiche e territoriali ancora presenti, ampliamento della partecipazione del Popolo al governo del proprio Stato, rispetto e occorrendo ripristino delle condizioni ambientali, ecc. Alla vigilia del completamento del passaggio delle consegne dell’amministrazione dello Stato, il Consiglio di Stato, cioè il governo cinese, ha fatto proprie e tradotte in un documento guida le direttive emerse dalle conclusioni del Congresso del Partito Comunista.


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l 6 febbraio scorso il Consiglio di Stato (in composizione ancora integrata con la generazione uscente e quella entrante a significare la piena condivisione e la continuità delle linee politiche, ideologiche ed economiche del decennio concluso), ha, infatti, pubblicato un documento intitolato “Linee-guida di una riforma fiscale e di ridistribuzione del reddito” articolato in 35 punti di attuazione progressiva, con un primo orizzonte temporale al 2015. Va precisato che non è stato possibile, al momento, reperire il testo integrale del documento del Consiglio di Stato del 6 febbraio scorso, i punti salienti che verranno di seguito trattati sono stati quindi ricavati da estratti e commenti del documento apparsi sulla stampa ufficiale cinese edita anche in lingua inglese. Ben poca (per non dire nessuna) affidabilità va, infatti, accreditata alle notizie che appaiono sulla stampa e sui siti internet italiani in quanto, anche quando si tratta di testate primarie di rilievo nazionale, le ricerche eseguite hanno condotto a verificare che la grandissima parte dei sedicenti esperti “sinologi” italiani (inviati speciali, studiosi, ecc.) in verità si limitano a copiare (spesso malamente) le già scarne sintesi della stampa estera in lingua inglese.

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rima di entrare nel merito dei provvedimenti principali individuati dal documento del Consiglio di Stato cinese occorre fare un breve punto sullo stato e sull’andamento dell’economia cinese. Della crisi della nostra economia occidentale sappiamo abbastanza, ma non tanto perché ci viene comunicato dagli “esperti”, che clamorosamente continuano a sbagliare previsioni (la ripresa del 2011, poi 2012, poi 2013 si sta spostando sempre più avanti mentre i dati reali annotano una continua, costante e apparentemente inarrestabile caduta della produzione mondiale), ma perché la vediamo e viviamo nella vita quotidiana. Dell’economia cinese gli “esperti” avevano pronosticato una “brusca frenata” e poi una inevitabile caduta, aggravata dal manifestarsi di un fenomeno di inflazione interna elevato e pericoloso. L’economia cinese non cresceva più a “due numeri” (sopra il 10%), mentre l’inflazione sfiorava il 5% (dati 2011). Indubbiamente la Cina esporta meno, ma molto banalmente perché l’occidente è in condizioni di crisi che gli consentono di importare

Ricchezza sempre meno, mentre ha enormemente aumentato le importazioni, soprattutto su prodotti di fascia alta (vedi il boom delle esportazioni di prodotti di più alta tecnologia e qualità tedeschi). Secondo i nostri parametri economici (le teorie dei nostri “esperti” – sempre tra virgolette ovviamente) l’economia cinese dovrebbe essere entrata in una crisi recessiva: meno produzione, più importazioni, inflazione. Ebbene i dati conclusivi del 2012 parlano invece di una crescita attorno all’8% (contro un 7% stimato) e attestano di un costante calo dell’inflazione scesa al di sotto del 2%. L’economia cinese cresce (più produzione) e l’inflazione decresce (più offerta di prodotti e servizi). Dov’è la risposta? Semplice: nell’autoconsumo. I cinesi hanno sviluppato, e stanno fortemente incrementando, il così detto “mercato interno”: producono per il loro consumo e importano in grandi quantità quei beni che il loro mercato interno richiede e che non sono ancora in grado di produrre direttamente. L’economia della Cina cresce perché cresce il livello della qualità della vita dei propri cittadini. Come può verificarsi questo fenomeno assolutamente in controtendenza con le nostre politiche di recessione economica e sociale, lo troviamo proprio nelle “Linee guida” del documento del Consiglio di Stato del 6 febbraio scorso.

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ome indica lo stesso titolo, il documento si suddivide in due parti: una riforma del sistema di contribuzione fiscale e un processo di ridistribuzione del reddito/ricchezza. Le due parti sono ovviamente strettamente collegate e in particolare la prima, quella fiscale, è specificamente funzionale alla seconda, la redistribuzione della ricchezza. Tra i temi principali del Congresso del Partito era stato trattato quello della persistenza di una area della popolazione cinese, prevalentemente rurale, ancora attestata a livelli di povertà, inaccettabili non solo sotto il profilo umano in via pregiudiziale, ma tanto più nello specifico di una fortissima crescita economica che aveva invece visto la nascita di classi di reddito elevatissime, oltre a una sempre più forte disparità tra le condizioni economiche, sociali e culturali tra le zone rurali e le sempre più imponenti megalopoli urbane. La prima “Linea guida” del Consiglio di Stato è stata fissata nell’aumento immediato

dei redditi marginali del 40%, con l’obiettivo intertemporale di eliminare la povertà, che tocca circa il 6% della popolazione cinese (circa 80 milioni), entro il 2015. Nei prossimi 3 anni, dunque, non solo non ci saranno più poveri in Cina ma, seguendo il criterio scientifico della “marginalità”, avrà inizio un percorso di progressivo incremento dei redditi più bassi verso il raggiungimento di una sostanziale parità con quelli medi, statuita nell’obiettivo della società “mediamente benestante” fissato al 2020. All’intervento sui redditi si affiancano, quindi, una serie di interventi sullo stato sociale: dopo il lancio della campagna di costruzioni di case popolari (40 milioni in tre anni, 10 milioni già costruite nel 2012) e della realizzazione del sistema sanitario pubblico totale, il futuro presidente del Consiglio di Stato, Li Keqieng, ha lanciato la nuova politica urbanistica incentrata sul freno delle avveniristiche urbanizzazioni iper moderne in favore del recupero pregiudiziale delle aree urbane degradate. La seconda parte del documento, quella fiscale, individua la provenienza delle risorse economiche necessarie per sostenere il deliberato forte incremento della spesa pubblica, principalmente: tassazione supplementare delle imprese pubbliche che dovranno devolvere il 5% dei ricavi alla politica sociale dello Stato e, soprattutto grande novità, tassazione delle imprese straniere insediate in Cina, fino ad oggi esenti, con un prelievo fiscale del 20% dei ricavi. La terza misura, sicuramente più “etica” che quantitativa, ma estremamente significativa, concerne la deliberazione del taglio di tutte le spese voluttuarie dell’apparato, sia politico che pubblico: vietati i “tappeti rossi”, i “bambini con fiori”, i ricevimenti, le trasferte di “massa”, l’uso degli alberghi e ristoranti di alto livello (n.b. un’agenzia ribattuta dalla stampa inglese informa che negli ultimi giorni vi sono state cancellazioni pari al 60% delle prenotazioni di cerimonie in alberghi e ristoranti). Si riafferma così il principio dettato dal Presidente Mao (ripetutamente citato in tutti i documenti ufficiali del Partito e dello Stato), secondo il quale “I comunisti sono popolo in mezzo al popolo”, anche ricchi, perché no (la povertà non è un merito ma una dannazione, la modestia sì), ma solo e quando anche il popolo sarà ricco (mediamente benestante).


Ricchezza

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“Il socialismo non è una società di beneficenza, non è un regime utopico basato sulla bontà dell'uomo come uomo. Il socialismo è un sistema sociale che si basa sull'equa distribuzione delle ricchezze della società, ma a condizione che tale società abbia ricchezze da spartire. Nella misura in cui aumentiamo quei prodotti per distribuirli fra tutta la popolazione andiamo avanzando nella costruzione del socialismo.” (Ernesto Guevara de la Serna - Che) Gli ignoranti del marxismo (assai più pericolosi dei suoi nemici dichiarati), confondendo idealismo con scienza, imputano alla Cina di non essere un paese comunista, ma di sviluppare il più becero e spinto capitalismo produttivo e consumista. La frase del Che sopra chiarisce l’equivoco tra governo dell’economia (struttura) e destinazione della stessa (sovrastruttura). Ma diamo qui per un attimo acquisito che la Cina

sia un paese “capitalista” (d’altra parte il più grande studioso del capitale è stato senza discussione Marx) e poniamoci il dubbio: perché quel paese capitalista cresce e il nostro collassa? Non ci starà “sfuggendo” qualcosa? Forse avremo qualche lezione da imparare? Vediamo in parallelo i due differenti modi di affrontare alcuni cardini del governo dell’economia nel nostro paese e in Cina, poi traiamo delle conclusioni.

Imprese pubbliche L’Italia sino a pochi anni fa aveva uno straordinario sistema di imprese pubbliche che si estendeva sostanzialmente a tutti i settori dell’economia. Le imprese spesso erano in perdita, ma davano una vasta occupazione e soprattutto raggiungevano, quasi tutte, l’eccellenza mondiale. Il trionfo dell’ideologia liberista le ha quasi tutte “smantellate” perché oggi non solo non sono più pubbliche ma, in molti casi, non ci sono proprio più. L’occupazione è caduta, l’eccellenza è morta. Lo Stato italiano non è in grado di intervenire nella produzione e l’imprenditoria privata è al collasso: improduttiva e non concorrenziale.

Imprese pubbliche Il sistema produttivo cinese, soprattutto nei settori strategici dell’industria pesante, tecnologica e infrastrutturale, è sostanzialmente quasi tutto nelle mani dello Stato che è in grado di dirigerne gli sviluppi e le politiche degli investimenti. In Cina lo Stato può utilizzare la capacità produttiva delle proprie imprese sia all’interno del paese per riequilibrare situazioni di svantaggio, sia all’estero per reperire le materie prime, che i mercati di sbocco delle produzioni. Le politiche del risanamento ambientale intraprese con il principio dello “sviluppo scientifico” hanno trovato nelle imprese pubbliche gli strumenti di attuazione.

Finanza e moneta Anche nel settore della finanza, che costituisce una infrastruttura fondamentale di un sistema economico, lo Stato Italiano aveva un sostanziale monopolio, possedendo direttamente i maggiori Istituti di Credito e in via indiretta con la rete delle banche territoriali comunque in mano pubblica. La Banca d’Italia, istituto di emissione della moneta, benché formalmente istituzione privata e sottratta al controllo diretto del Governo, era però partecipata dalle banche pubbliche e anche dai più importanti Istituti previdenziali e assicurativi pubblici. Oggi tutte le banche, nazionali e locali, sono state privatizzate e in alcuni casi cedute a proprietari esteri; la Banca d’Italia non è più l’istituto di emissione della moneta, compito oggi attribuito alla BCE. Le banche privatizzate sono tutte sostanzialmente fallite e la BCE, con la sola politica puramente valutaria, domina i governi degli Stati.

Finanza e moneta In Cina il sistema bancario, anche se in parte privato (ma non privatizzato), è totalmente sotto il controllo dello Stato che, soprattutto, controlla l’emissione della moneta e stabilisce i saggi d’interesse dei prestiti. Resistendo alle pressioni internazionali che avrebbero voluto una forte rivalutazione della moneta cinese per abbattere la competitività economica delle esportazioni, la Banca di Stato cinese è riuscita nel compito assai difficile secondo le nostre conoscenze scientifiche ed esperienze in materia valutaria, di frenare bruscamente l’inflazione (in un solo anno scesa da circa 5% a meno di 2%) e sostenere comunque la crescita della produzione (n.b. qualsiasi testo scientifico ci ha sempre insegnato che una politica monetaria deflattiva di contenimento dell’inflazione ha inevitabilmente l’effetto perverso di ridurre la produzione; questo in Cina non è successo).

Spesa pubblica Viene affermato (ma abbiamo pubblicato motivate opinioni contrarie) che a monte dell’odierna crisi economica che colpisce il nostro Paese insieme a tutto l’Occidente c’è l’eccessivo indebitamento dovuto alla spesa pubblica. Le politiche economiche di tutti i governi europei si sono dunque sostanzialmente concentrate sulla più violenta possibile riduzione della spesa pubblica che, ben lontano da una diversa idea di pur legittima “razionalizzazione”, si è concentrata su tagli sempre più gravi e profondi allo stato sociale (istruzione, sanità, servizi pubblici, ecc., “settori” ritenuti improduttivi e dispendiosi). Il risultato, al di là del dato morale di macroscopica “inciviltà”, è stato il crollo della domanda interna e dunque della produzione. Siamo entrati in una spirale a decrescere apparentemente senza fine.

Spesa pubblica Già a partire dai primi segnali dell’inizio della crisi economico dell’Occidente il governo cinese ha reagito lanciando grandi, in verità grandissimi, piani di investimenti pubblici miratamente su settori che noi in Occidente stiamo oggi definendo improduttivi: l’ambiente (piantumazioni di milioni di ettari), la casa (40 milioni di case popolari, 10 milioni già realizzate nel primo anno), la sanità (estensione del servizio sanitario pubblico, quella “demonizzata” dal Parlamento USA), l’istruzione, la ricerca, ecc. Oltre a ciclopiche opere infrastrutturali viarie, ferroviarie, aeroporti, centrali elettriche, ecc. Di fronte al pericolo della recessione (pericolo, perché l’economia cinese continua a crescere) il governo ha aumentato fortemente la spesa pubblica, a uno stesso tempo migliorando lo stato sociale, ma anche sostenendo la domanda.


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Ricchezza

Politica dei redditi Al di là delle solite enunciazioni propagandistiche sulla competitività, innovazione, ecc. ecc., l’unica politica di “immaginario” sostegno alla ripresa economica (che fa specchio con il taglio della spesa pubblica) negli interventi del governo del nostro Paese è stata quella della riduzione del costo dell’unica merce riducibile: la “merce lavoro”. Ciò ha portato, e sta sempre più portando, a un abbassamento dei redditi da lavoro a vantaggio di un innalzamento dei profitti, con una sostanziale politica di redistribuzione dei redditi di segno negativo. Ancora una volta a parte l’ “inciviltà” di tali politiche inique, il risultato è una sempre maggiore caduta del mercato a causa della riduzione, sia qualitativa che quantitativa, della massa dei consumatori.

Politica dei redditi La fortissima crescita dell’ultimo ventennio dell’economia cinese, oltre ad avere innalzato oggettivamente il livello di vita dell’intera popolazione, ha creato le condizioni per la formazione di settori sempre più ampi di popolazione con redditi elevati, processo che ha innestato la formazione di un mercato interno sempre più vasto e importante. Con l’ultima deliberazione del Consiglio di Stato il governo cinese ha avviato una radicale politica di ridistribuzione della ricchezza, stabilendo l’aumento del 40% dei redditi minori al fine di avvicinarli sempre più, e più velocemente a quelli maggiori. Il risultato è quello di una corrispondente crescita del mercato interno che, in Cina, è oggi divenuto forse il primo mercato di sbocco della produzione.

Politica fiscale Se da un lato le politiche di austerità si fondano sul perverso meccanismo della riduzione della spesa pubblica e della compromissione dello stato sociale, dall’altro le “immaginarie” politiche di rilancio dell’economia nel nostro Paese sembrano avere come unico strumento a disposizione quello della riduzione della così detta pressione fiscale come se, esentando le imprese dal pagamento di imposte (che peraltro già non pagano “di principio” e oggi anche “di diritto” se sono in perdita) le stesse potessero miracolosamente riprendere le loro produzioni. Il secondo “scongiuro” riguarda poi la paura della fuga (o della non venuta in Italia) di immaginari investitori (imprenditori?) stranieri spaventati dal peso del fisco italiano. Si parla dunque di sgravi fiscali per le imprese, ma poi si finisce per dire IMU perché, semplicemente, le imprese da sgravare non ci sono, mentre le case da tassare invece sì.

Politica fiscale Una delle critiche di scorrettezza concorrenziale imputate al sistema economico cinese è sempre stata quella della esenzione/elusione fiscale a vantaggio delle imprese sia nazionali che estere, queste ultime fortemente incentivate proprio da questo vantaggio fiscale a stabilirsi in Cina. Vero o non vero storicamente questo assunto, è oggi un fatto, con l’ultimo documento programmatorio del Consiglio di Stato il governo cinese ha imposto una sovrattassa del 5% sui redditi delle imprese pubbliche e ha imposto una tassa del 20% sui profitti delle imprese straniere sinora esenti, espressamente al fine di finanziarie la nuova politica di redistribuzione dei redditi. L’economia cresce, l’inflazione decresce, le imprese pagano imposte per sostenere le politiche sociali. Non ci sono notizie (serie) di imprese straniere in fuga dalla Cina (anzi da noi Marcegaglia e Marchionne si vantano di aprire stabilimenti in quel Paese).

Rapporti di lavoro Il “chiodo fisso” dell’ultimo governo è stato quello della riforma del lavoro, che si è poi tradotta in un solo concetto/criterio: riduzione, sino alla eliminazione, dei diritti dei lavoratori, sia sul piano economico, che giuridico e sindacale. L’assunto (tanto falso quanto ipocrita) era (è!): l’eccesso dei diritti dei lavoratori penalizza la competitività delle aziende, cioè meno diritti (economici e sindacali) dei lavoratori, più produzione e quindi più lavoro. Il fallimento sostanziale (non parliamo dell’aberrazione morale) della così detta “Riforma Fornero” è già stato certificato a pochi mesi distanza dalla sua entrata in vigore con il mancato rinnovo della gran parte dei nuovi contratti atipici. Le assunzioni immaginate non ci sono state, i licenziamenti, le chiusure, i fallimenti, la cassa integrazione (sino a che regge) ecc. invece sì e proseguono. Oggi nell’Italia che all’articolo 1 della propria Costituzione enuncia il principio del “lavoro”, a un sindacato con più di 100 anni di storia (la Fiom) è interdetto l’ingresso in una fabbrica nonostante l’ordine di un giudice. La fabbrica è territorio sottratto alla giurisdizione dello Stato italiano!

Rapporti di lavoro L’accusa moralmente (ma anche molto ipocritamente) più forte che viene ancora oggi rivolta al sistema produttivo cinese è quella della mancato rispetto dei diritti dei lavoratori (bassa retribuzione, ritmi altissimi, nessuna tutela sociale, sanitaria, legale, sindacale). Negli ultimi giorni la nostra stampa ha dato, invece, grande risalto alla notizia di imminenti elezioni sindacali nelle più grande fabbrica cinese (oltre 500mila dipendenti) da svolgere secondo le regole sindacali internazionali. Finalmente, si declama, grazie alla pressione morale dell’Occidente anche nelle fabbriche cinesi entra la democrazia sindacale! Ora, a parte che in Cina i sindacati ci sono da sempre e che la legislazione del lavoro è sostanzialmente identica alla nostra ante Riforma Fornero (vedi i siti della Camera di Commercio italiana in Cina che danno informazioni “serie” agli imprenditori italiani intenzionati ad investire in quel Paese), cosa significa tutto questo? Che la Cina è competitiva e produttiva grazie all’aumento dei salari e alla sindacalizzazione dei lavoratori, mentre in Italia per essere competitivi dobbiamo ridurre i salari e cancellare i sindacati?

PIL ITALIA 2012 – 3%

PIL CINA 2012 + 8%


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Leggi tra illusionismo e funambolismo Qualche giorno fa, in una delle tante esibizioni televisive pre elettorali, un marziano da poco atterrato nel nostro paese, raccontando che con le sole leggi approvate dall’ultimo governo tecnico si sarebbero potuti coprire quaranta campi di calcio, ha denunciato l’esistenza in Italia di un numero eccessivo di leggi, che spesso si duplicano, si contraddicono e, infine, confondono non solo i cittadini comuni, ma anche gli stessi operatori del diritto. Il marziano si chiamava Giulio Tremonti, ma qualcuno dice di averlo già visto prima in giro per il nostro paese, anzi, i più attenti analisti, dicono persino che sia stato ministro di qualche governo passato. Scherzi a parte, la malattia della produzione di leggi è endemica nel nostro paese quasi come la malaria in Africa centrale. Chiunque si siede al governo (n.b. le leggi dovrebbe emanarle il Parlamento, il potere legislativo, ma da tempo questo compito lo

Il Comma Ritrovato Ricordate il “comma scomparso”? Nel numero di ottobre 2012 avevamo raccontato su queste pagine di come un mero errore informatico avesse potuto cancellare una norma e sostituirsi al legislatore quasi automaticamente. In sostanza, nel pieno fervore delle varie spending review, si rinunciava ad ottenere un risparmio per le casse pubbliche di almeno 75 milioni di euro l’anno. E questo, solo per mantenere fermo il diritto (?) delle concessionarie di pubblicità (gli editori?) a pubblicare sulla stampa quotidiana gli avvisi e i bandi per i pubblici appalti. Riassumiamo le fasi principali della vicenda. Venerdì 6 luglio 2012 la Gazzetta Ufficiale pubblica il Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”. L’art. 1, al comma 5, dispone la soppressione dell’obbligo di pubblicazione sui quotidiani dei bandi ed avvisi dei pubblici appalti. Questa semplificazione – secondo la

ha espropriato il governo, il potere esecutivo, che usa il Parlamento solo per le ratifiche formali) la prima cosa che fa, non è governare, ma riformare, cioè produrre leggi, spesso ignorando quelle già esistenti, magari del tutto uguali, e sempre dimostrando una scarsa dimestichezza con la scienza del diritto (se pensiamo che la legge sul servizio televisivo è attribuita a Gasparri!). Da questo numero iniziamo una rubrica fissa dedicata alle ultime più “brillanti” trovate legislative, andando a scovarle nei “commi aggiunti”, magari sotto titoli impensabili, negli “errata corrige” che non correggono ma cambiano tagliando e aggingendo, nei risvolti, insomma, delle maniche delle giacche dei nostri legislatori illusionisti e funamboli. La rubrica è curata da Salvatore Zaiti che si è assunto (volontariamente!) un compito di ricerca davvero impegnativo (e triste!).

relazione tecnica predisposta dal Governo e che accompagna il testo del Decreto – viene ritenuta indispensabile perché la pubblicazione cartacea di tali documenti è ormai superata dalla evoluzione tecnologica legata alla diffusione delle procedure telematiche. Inoltre, i benefici per il pubblico erario – sulla base di stime fornite dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici – ammonterebbero a circa 75 milioni di euro l’anno. Inaspettatamente, però, il lunedì successivo, 9 luglio 2012, sempre nella Gazzetta Ufficiale è pubblicato un avviso di rettifica secondo il quale il comma 5 che contiene questa norma “per mero errore informatico…deve ritenersi non pubblicato”, scomparendo, così, nell’oblio dei server. Ora, quel comma è stato ritrovato; un ravvedimento operoso del legislatore, penserete voi? In un mondo dove la tecnologia informatica e la digitalizzazione si fanno strada e si impongono sempre più quali principali strumenti di conoscenza, sarebbe davvero incomprensibile impegnare cospicue risorse finanziarie per continuare a pubblicare sulla stampa gli avvisi e i

bandi pubblici! E’ tutto on line! Niente di questo. Il Parlamento, il 17 dicembre scorso, in sede di conversione del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, ha introdotto una disposizione (art. 34, comma 35) secondo la quale le spese per la pubblicazione dei bandi saranno rimborsate alla stazione appaltante (pubblica amministrazione) dalla impresa aggiudicataria entro il termine di sessanta giorni dalla aggiudicazione. Semplice! La pubblicazione dei bandi dovrà sempre aver luogo sui quotidiani (nazionali e locali), però la spesa non graverà più sulle casse della pubblica amministrazione, bensì su quelle delle imprese. Nulla da dire, ottima manovra, il risparmio per il pubblico erario è stato conseguito, gravando le imprese di un altro onere (o balzello). Ma, l’obiettivo sempre dichiarato da tutti i governi che si sono succeduti (compreso l’ultimo, c.d. tecnico) non era quello di abbattere i costi e gli oneri burocratici a carico delle imprese? Certamente sì, la norma in questione è rubricata sotto la voce “ulteriori misure per la crescita del paese”; di quale paese, però, non è dato sapere.


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Dalle faccette di Brunetta alle stellette Michelin Rating a “stellette” per le imprese virtuose

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e imprese con almeno un fatturato di due milioni di euro potranno ora fregiarsi delle “stellette” sul modello Michelin.E’ quanto prevede la delibera 14 novembre 2012 con la quale l’Antitrust (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha approvato il regolamento di attuazione dell’art. 5-ter del decreto liberalizzazioni (D.L. n: 1/2012). Così, richiamando termini ai quali ormai ci siamo assuefatti, nel nostro ordinamento è stato introdotto il rating di legalità. La finalità è quella di promuovere l’applicazione di principi etici nei comportamenti aziendali, anche in rapporto alla tutela dei consumatori; a fronte di ciò, del rating attribuito si terrà conto in sede di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché in sede di accesso al credito bancario. Quest’ultimo beneficio è poi reso dal legislatore ancora più stringente, in quanto gli istituti di credito che omettono di tenere conto del rating attribuito in sede di concessione di finanziamenti alle imprese sono tenuti a trasmettere alla Banca d’Italia una dettagliata relazione sulle ragioni della decisione assunta. Insomma, il principio ispiratore della norma è rendere conveniente per le imprese l’attività legale e l’adozione di comportamenti virtuosi mediante l’apertura in loro favore di corsie preferenziali, soprattutto con riguardo all’accesso ai finanziamenti pubblici e al credito. Veniamo ora alle modalità. Potranno richiedere l’attribuzione del rating le imprese operative in Italia che abbiano raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso l’anno precedente alla richiesta e che siano iscritte al registro delle imprese da almeno due anni. Il rating avrà un range tra un minimo di una “stelletta” ad un massimo di tre “stellette”. Per ottenere il punteggio minimo l’azienda dovrà dichiarare che l’imprenditore o i suoi soci, rappresentanti e dirigenti apicali se impresa collettiva non hanno ricevuto sentenze di condanna per reati tribu-

tari e reati contro la pubblica amministrazione; per i reati di mafia, oltre a non avere subito condanne, non dovranno essere in corso procedimenti penali. L’impresa, inoltre, non dovrà, nel biennio antecedente la richiesta di rating, essere stata condannata per illeciti antitrust gravi, per mancato rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, per violazioni degli obblighi retributivi, contributivi, assicurativi e fiscali nei confronti dei propri dipendenti e collaboratori. Non dovrà avere subito accertamenti di un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato, né avere ricevuto provvedimenti di revoca di finanziamenti pubblici per i quali non abbia assolto gli obblighi di restituzione. L’impresa dovrà pure dichiarare di effettuare pagamenti e transazioni finanziarie di ammontare superiore alla soglia di mille euro esclusivamente con strumenti di pagamento tracciabili. Il regolamento poi prevede sei ulteriori requisiti che, se rispettati, garantiranno alle imprese il punteggio massimo di tre stellette. Se ne verranno rispettati solo tre, si otterranno due stellette. In particolare le aziende dovranno: rispettare i contenuti del Protocollo di legalità sottoscritto dal Ministero dell’interno e da Confindustria e, a livello locale, dalle

Prefetture e dalle associazioni di categoria; utilizzare sistemi di tracciabilità dei pagamenti anche per importi inferiori rispetto a quelli fissati dalla legge; adottare una struttura organizzativa che effettui il controllo di conformità delle attività aziendali a disposizioni normative applicabili all’impresa; adottare processi per garantire forme di corporate social responsability; essere iscritte in uno degli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa; avere aderito a codici etici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni di categoria.. Infine sarà valorizzata anche la denuncia all’autorità giudiziaria o alle forze di polizia di reati previsti da regolamento commessi a danno dell’imprenditore o dei propri familiari e collaboratori, purché alla denuncia sia seguito l’esercizio dell’azione penale. Il rating ha durata di due anni ed è rinnovabile. L’Autorità pubblicherà sul proprio sito web l’elenco delle imprese cui il rating di legalità è stato attribuito, sospeso, revocato, con le relative decorrenze. Non resta ora che attendere il successivo decreto attuativo (Mef e Sviluppo economico) che dovrà indicare in concreto le modalità applicative dei benefici in favore delle imprese con le stellette.


Agonia

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Per non cedere

Per una scuola che, nonostante tutto, funzioni, che possa lasciare un bel ricordo negli studenti e, soprattutto sia qualificata e dia anche a noi lo stimolo giusto per non essere ripetitivi, noi docenti del Liceo Scientifico ed Artistico di Foligno ci mettiamo in gioco, realizzando dei percorsi interessanti. Al settimo anno è il progetto Il Liceo Scientifico interpreta l’attualità. Giornate informative. Si tratta di quattro giorni, in cui vengono interrotte le attività didattiche e si realizzano dei laboratori di educazione alla salute, scientifici, di

orientamento universitario, di letteratura e di arte, di educazione alla legalità, di volontariato, con la partecipazione di professionisti, personale medico, enti, associazioni, politici, giornalisti… Con grande senso di responsabilità gli alunni scelgono i laboratori e partecipano alle lezioni, arricchendo ulteriormente le proprie conoscenze. Il progetto è interessante anche perché è il risultato del lavoro degli studenti rappresentanti di Istituto e degli insegnanti ed è un modo per dialogare ed insieme essere operativi.


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Agonia

L’agonia di un nume DI ANNARITA FALSACAPPA

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l malcontento serpeggiante è sempre latente nel mondo della scuola e accomuna tutti noi insegnanti per un senso di insoddisfazione, la cui causa affonda le radici in una riforma tanto attesa e mai realizzata seriamente, in un fantomatico ammodernamento in nome della qualità della scuola pubblica, iniziato con la Moratti e proseguito con i tagli indiscriminati della Gelmini, tra la pressoché totale indifferenza, come se tagliare sulla scuola potesse essere indolore, o accorpare le classi fosse una questione unicamente di numeri, in barba alla sicurezza, alla effettiva capienza delle aule, ad un’adeguata offerta formativa. L’anno 2012 si è concluso con un calendario nutrito di riunioni sindacali. Era un po’ che le snobbavo ma con mia sorpresa mi sono accorta che le cose non sono cambiate: si fanno proclami, si cade su casi inascoltati di singole situazioni, si danno perentorie soluzioni a problemi irrisolvibili, si fa un bagno di buona e salutare speranza, che dura fino a che giri l’angolo e poi ti accorgi che la realtà è ben diversa, che il problema della nostra categoria è da sempre la mancanza di unità, che oggi, anche se ci fosse, sarebbe comunque difficile ottenere qualcosa, perché ci sono questioni più urgenti e forse anche più serie, dal momento che la cultura non è pane. Difficile contrastare un modo di pensare ormai così radicato! Per noi insegnanti la difficoltà è quotidiana, consiste nel comunicare altro da quanto i giovani assaporano di buon grado dalle nuove tecnologie, dagli strani modelli di vita che abbinano potere e ricchezza, incuranti del come e del poi; consiste nello scavare dentro di sé, leggere nei volti, spiegare l’onestà, la responsabilità, la fatica della conquista, il senso del sacrificio e dell’attesa, lo sforzo dello studio in vista di… una preparazione personale, che ti possa gratificare. A volte ci sentiamo diversi, in una società che parla un’altra lingua ma può

succedere che quello studente un po’ sordo, torni per caso a scuola e ti dica, seppure laureato in matematica, che non ha smesso mai di leggere o ti porti su un discorso che apparentemente esula dalla didattica e che è pregnante di vita o ancora un altro ex alunno ti inviti alla presentazione di un suo libro di poesie. Da questi e tanti altri fatti, per alcune persone magari di poco conto, riacquistiamo la spinta per continuare a sentirci insegnanti, nella convinzione che ancora possiamo fare qualcosa per una società che stritola e consuma i suoi giovani. E’ proprio dall’aver chiaro questo atteggiamento di irriverenza, che nutre false speranze, di fronte ad una scure che limita la cultura, taglia le opportunità di crescita ed il lavoro, in particolare per i giovani, che, unitamente ai motivi che creano la nostra insoddisfazione atavica, dobbiamo trovare i nostri naturali alleati: gli studenti, le famiglie, la società civile. a nostra protesta dovrebbe unirsi a quella di chi ha capito il gioco delle parti, del più debole, per il quale la scure è così tagliente! Soprattutto oggi in cui la situazione è diventata insopportabile. In realtà protestare, tagliando le attività aggiuntive, non dando la disponibilità per effettuare i

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Laboratorio di Fisica

viaggi d’istruzione, non realizzando i progetti, che spesso rendono interessante la scuola, ne colpisce il funzionamento e soprattutto gli alunni, in una parola divide più che accomunare. La protesta degli insegnanti invece non deve colpire la scuola pubblica, già martorizzata da tagli inveterati, già per altro barcollante, che a stento cerchiamo di rendere presentabile; la nostra protesta non deve far apparire il corpo insegnante come quello che lavora poco, spesso malvolentieri, che non vuole ore aggiuntive, perché non ha voglia di impegnarsi seriamente nel proprio lavoro; la nostra protesta non deve ripercuotersi contro le famiglie e soprattutto contro gli alunni, che si vedono, loro malgrado, defraudati di quello che per altri loro colleghi è stato un diritto assodato e riconosciuto, come poter partecipare a un viaggio d’istruzione o a un progetto; la nostra protesta non deve essere contro gli utenti, bensì contro i tagli del governo, che vanno a colpire ancora una volta la scuola pubblica, creando un divario incolmabile tra tutti quei giovani, le cui famiglie possono permettersi una scuola privata, che ha tutte le carte in regola per aprire le porte a prestigiose università e ad un sicuro ingresso nel mondo del lavoro.


Agonia

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ecidere di sospendere le attività non obbligatorie tutto sommato è facile e proponibile da parte di chi non è in prima linea, di chi non vive all’interno delle scuole e nelle classi a stretto contatto con gli alunni, di chi di quegli alunni non sa nulla, non li chiama per nome e non li ha seguiti nel loro percorso di crescita. Per altro siamo consapevoli di quanto questi stessi studenti siano penalizzati solo per essere nati in questo periodo e di quante possibilità siano defraudati per i continui tagli alla spesa pubblica. Per questo motivo non dobbiamo dividerci ancora, ma, alzando la guardia, fare fronte comune con gli studenti e le loro famiglie. Trattando con gli alunni le problematiche della scuola, che non riguardano solo i docenti, li responsabilizziamo e li rendia-

mo consapevoli della situazione reale, mettendo anche le famiglie nella condizione di sentire finalmente la verità sulla scuola. Potrebbe essere un modo per sperare di avere dalla nostra parte l’opinione pubblica, sorda da tempo alle problematiche della scuola, perché falsamente dichiarate e sempre nell’ottica di un riconoscimento a metà della professionalità docente. Si deve aver chiara l’idea che le difficoltà gestionali e di programmazione delle attività degli istituti dipendono dalla discontinuità delle erogazioni economiche da parte del governo. otivo di preoccupazione è anche il fatto che il fondo d’istituto fisso e in particolare il MOF, già notevolmente inadeguati per una scuola che possa dirsi al passo con i tempi e veramente di qualità,

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17 risultino ad oggi particolarmente incerti ma certamente di entità inferiore rispetto agli anni precedenti, così da non consentire quella competizione virtuosa, sancita dall’autonomia scolastica, che si rispecchia nel piano dell’offerta formativa di ogni istituto. In questa situazione di crisi noi docenti della scuola superiore, già chiamati a prestazioni che vanno ben oltre la quantificazione delle 18 ore di insegnamento riconosciute dal contratto ai fini dello stipendio, ci troviamo a cercare di far funzionare la scuola in nome della nostra buona volontà, preoccupati di non far ricadere sui giovani le colpe di un sistema classista ed ingiusto, che penalizza il pubblico, in particolare la scuola pubblica, che è ancora l’unica possibilità per sperare nell’uguaglianza.


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Agonia

Le Giornate Informative DI

ANNARITA FALSACAPPA

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conclusione del progetto scolastico Il Liceo Scientifico ed Artistico interpretano l’attualità si tirano come sempre le somme. Nei quattro giorni del progetto la nostra scuola ha visto avvicendarsi nei quaranta laboratori frequentati dagli studenti, politici, giornalisti, volontari, medici; abbiamo avuto l’intervento dell’USL, della Cooperativa La Tenda di Foligno, dell’Associazione Lions, di dietisti e psicologi, che hanno incontrato tutti gli alunni nei laboratori di Educazione alla Salute, in cui si è parlato di doping, di salute e sport, prevenzione, di educazione alimentare, di dipendenza dall’alcool, dal fumo, dai medicinali, dal gioco, dai videogiochi e dai nuovi strumenti tecnologici, di educazione sentimentale e sessuale e di neoplasie giovanili. Alcuni laboratori sono stati realizzati per orientare la scelta universitaria ed hanno contribuito alla loro realizzazione dei professori delle facoltà di Ingegneria e di Scienze dell’Università di Perugia e dell’ università Luiss di Roma. Altri hanno visto l’intervento del Capitano dei Carabinieri di Foligno, che ha parlato di legalità e rispetto delle regole; del Comune di Foligno, di politici di orientamenti diversi. L’Associazione Informagiovani ha fatto riflettere sull’importanza del volontariato, invitando anche dei volontari, che operano sul territorio in diversi ambiti. Non potevamo non invitare le Associazioni Libera contro le mafie ed Emergency con il loro messaggio di pace e di rispetto della legalità. Alcuni laboratori si sono incentrati su argomenti scientifici, come quello che è stato realizzato al planetario sul geocentrismo ed eliocentrismo, o l’altro sulla struttura dell’universo. Anche la scuola musicale di Foligno ha avuto il suo spazio, accanto a tanti altri laboratori di arte, di musica e di letteratura. Si è realizzato anche un laboratorio sulla Divina Commedia, che, come al solito, ha riscosso un grande successo. L’attualità ha spaziato dalle scoperte scientifiche recenti all’epistolario di Aldo Moro, suscitando curiosità ed interrogativi negli alunni. La palestra e la palestrina hanno ospitato il laboratorio teatrale e quello dei balli di gruppo e di hip-hop, mentre un’aula al terzo piano è stata adibita a stanza di yoga. Gli insegnanti referenti del progetto hanno collaborato con gli studenti, sia i rappresentanti d’Istituto che gli alunni responsabili di alcuni laboratori, di cui hanno sottolineato la serietà nello svolgimento dei compiti e nella capacità organizzativa. Per questa attività, come riconoscimento dell’impegno in questo progetto, che muove circa ottocento alunni, dislocati nelle aule ma anche in spazi esterni alla scuola, come il Laboratorio di Scienze Sperimentali e la CNOSFAP, avranno il credito scolastico. Il 9 Febbraio, a conclusione delle giornate di attualità, presso il Palazzetto dello Sport abbiamo festeggiato il carnevale: dopo la preparazione delle masche-

re a scuola, i ragazzi hanno allestito una vera discoteca, divertendosi tra di loro ed hanno ballato con la partecipazione anche di alcuni insegnanti. Per noi dello Scientifico vale molto l’idea che a scuola bisogna andarci volentieri e che è importante lo studio ma anche la crescita consapevole del futuro cittadino ed è per questo che offriamo ai giovani delle opportunità che rendono la nostra scuola piacevole ed unica. Come ogni anno, inoltre, una cena sancisce la fine di questa divertente e faticosa follia, che tanti alunni di altre scuole ci invidiano e che sorprende ogni anno i nostri ospiti, per la partecipazione dei giovani e la serietà con cui seguono i numerosi seminari proposti. E sorprende anche noi, che, seppure immiseriti non lo siamo ancora nello spirito e la curiosità dei giovani, nonché la nostra voglia di imparare ci imbarcano in situazioni straordinarie, che, nonostante tutto, rendono unico il nostro lavoro di insegnanti.


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Cesaropapismo

Da Costantino I a Benedetto XVI

DI SANDRO RIDOLFI

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’evento delle “dimissioni” (abdicazione) di Benedetto XVI al soglio di Papa della Chiesa Cattolica Apostolica Romana ha aperto uno scenario epocale. Tuttavia, un radicato provincialismo della nostra visione delle “cose” del mondo che non va oltre il nostro orizzonte mediterraneo, nonché una contiguità fisica che ci fa ritenere “nostro” un gigante mondiale quale la chiesa romana, rischia di ridurre l’analisi di una evidente crisi dell’intero sistema dell’organizzazione bimillenaria del cristianesimo ecclesiale, nella migliore delle ipotesi in un fatto di coscienza individuale, nella peggiore in meschini giochi di potere curiale. Per intendere veramente cosa sta accadendo al vertice (in verità nel “cuore” profondo) della Chiesa Cattolica romana occorre forse leggere questo evento dentro quello della crisi che sta devastando l’intero sistema capitalista occidentale. La crisi del capitalismo non è (solo) crisi economica, cioè delle sue capacità di produzione, consumo, evoluzione e crescita; è una crisi molto più profonda e radicale, è una crisi di civiltà. Un’era sta finendo,

la struttura economica del capitalismo non riesce più a dare supporto e credibilità alle sue sovrastrutture ideologiche, ai suoi falsi valori costruiti a misura delle sue esigenze produttive. Le illusioni di un mondo migliore e più libero perché più ricco e globalizzato hanno perso oramai la loro credibilità ed emerge, con grande crudezza, una realtà mondiale fatta di una sempre più diffusa povertà, di guerre permanenti neppure più camuffate sotto gli esili veli della esportazione di civiltà e di democrazia, di razzismo e intolleranza diffusa sia etnica, che religiosa, che culturale. La nave del sistema economico, e quindi politico, del capitalismo moderno sbanda e affonda, rischiando di trascinare con sé la Chiesa Cattolica, la sua storica (infra)struttura ideologica, la religione di Stato, o meglio la Chiesa di Stato. Per duemila anni la Chiesa cristiana ha, infatti, costituito l’ossatura non solo ideologica, ma anche organizzativa ed economica, di tutti i sistemi di dominio che si sono susseguiti nella storia. Forte di una organizzazione capillare nell’intero mondo conosciuto,

fortemente militarizzata e centralizzata, economicamente poderosa, oltre che per secoli e secoli padrona assoluta del “sapere”, la Chiesa cristiana ha garantito la sopravvivenza dei sistemi di potere attraversando le più gravi crisi e le nascite di nuovi sistemi produttivi. Stato, in termini di dominio dei popoli, e Chiesa hanno costituito un unico indissolubile, in rapporto anche dialettico, a volte difendendo il primo la “unicità” della seconda, a volte sostenendo la seconda la stabilità e la continuità del primo. Una simbiosi che ha attraversato epoche ed ere. Oggi lo Stato collassa e la Chiesa sta subendo il peso del crollo, infettata lei stessa dalla quella stessa crisi di valori, di civiltà. Nei consueti limiti di “provocazione” al ragionamento e alla discussione, senza voler enunciare “verità”, proviamo a ricostruire le origini della Chiesa cristiana, per leggerne il suo presente e il futuro (se ci sarà! Scusate l’ironia di un marxista ateo, ma vedere collassare in una unica vita terrena sia il capitalismo che il cattolicesimo è davvero un dono divino... se ovviamente ci fosse un dio)


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Paolo, l’uomo che inventò il cristianesimo Ricostruire la vicenda della nascita e della strutturazione della religione cristiana è una operazione estremamente difficile e dagli esiti assai incerti, anzitutto perché i materiali documentali, tanto quelli acquisiti all’ufficialità delle innumerevoli chiese cristiane, quanto quelli giudicati apocrifi, sono tutti molto successivi agli eventi narrati e, soprattutto, fortemente e più volte manipolati nel tempo. La ragione di questa difficoltà è proprio nella peculiarità di una religione che, nata da un sentimento di intolleranza etnica e di ribellione politica, diviene invece patrimonio universale plurietnico e soprattutto viene acquisita proprio da coloro che all’origine ne erano i nemici destinati. Tale evoluzione ha comportato la necessità di apportare ripetute modifiche sia ai contenuti dei messaggi religiosi, che alle stesse vicende storiche o leggendarie presupposte. Del Gesù di Nazaret, poi identificato con il Cristo, non v’è alcuna documentazione storica; circostanza che non colpisce più di tanto trattandosi della vita e della morte del figlio di un falegname, avvenuta peraltro in circostanze e con modalità assai diffuse in quel contesto geo-politico caratterizzato da diffusi focolai di rivolta, prevalentemente attuata con tecniche terroristiche e fanatismo religioso sacrificale. Se è mai esistito un Gesù di Nazaret, o forse meglio i tanti Gesù realmente vissuti in quell’epoca, erano sicuramente dei ribelli, o terroristi secondo la legge degli invasori romani, che predicavano, anzi incitavano, sino al martirio, alla lotta armata di liberazione dagli invasori. Di questo (o questi) Gesù ribelle e combattente sino alla pena della crocifissione applicata agli insorti (terroristi, secondo la lingua degli occupanti che, come sempre nella storia, non riconoscono la dignità di combattenti ai sudditi ribelli), vi sono ancora testimonianze sino quasi alla definitiva omologazione del cristianesimo come religione di Stato da parte dell’imperatore Costantino. La figura del Gesù propagandata dall’attuale religione cristiana, predicatore mite e pacifico, vittima di un tragico errore giudiziario incolpevolmente commesso dei dominatori romani ingannati dalla falsità e dal tradi-

San Paolo con libro e spada, di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino

mento degli ebrei irriducibili, è una creazione attenta, consapevole e lungamente elaborata proprio da Paolo, Saul di Tarso, l’apostolo “non apostolo”, l’ebreo cosmopolita convertito alla cultura della convivenza con i “gentili”. Con Paolo, Gesù, da icona di rivolta, diviene messaggero di convivenza, termine che per le classi e per i sistemi politici dominanti significa sottomissione e obbedienza delle classi e dei popoli dominati. L’opera di revisione e ricostruzione della figura universalistica del Gesù ebreo, divenuto il Cristo figlio di dio, si realizza proprio con la collocazione a Roma, nel cuore e nel cervello dell’impero dominatore, della sede della chiesa cristiana strutturata e militarizzata. Il modello di organizzazione gerarchica militarizzata e soprattutto la tecnica dell’occultamento e dell’infiltrazione Paolo la trae proprio dalla sua precedente esperienza di ebreo ribelle, aderente a una delle diverse formazioni insurrezionali terroristiche operanti nella Palestina all’epoca della sua giovinezza (anche se in verità, e anche questo è un mistero non di poco conto, della vita di Saul/Paolo si sa bene

poco e la sua vicenda storica scompare d’improvviso, così com’era apparsa, senza lasciare tracce). La costruzione dell’organismo strutturato della chiesa universale cristiana si compie trecento anni dopo il presunto evento della predicazione del Cristo, a opera dell’imperatore Costantino che, da universale, rende la religione, cioè la chiesa cristiana, unica e che, con il primo concilio di Nicea da lui stesso organizzato e presieduto, da il via alla persecuzione delle eresie, con tale termine indicandosi tutte le altre correnti del cristianesimo non omologate alla lettura e nella chiesa ufficiale. Come la storia successiva ci ha insegnato la pretesa della affermazione e della conservazione della unicità e unitarietà della chiesa cristiana è stata fonte di violenze indescrivibili che forse non hanno avuto paragone in alcuna altra vicenda di estremismo etnico o politico: dai barbari invasori dell’impero romano, ai mongoli di Gengis Kahn, sino all’ultima follia collettiva fascista e nazista. Chissà se Paolo quando ha creato la religione/chiesa cristiana poteva immaginarne le tremende conseguenze


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Costantino I, il primo “Papa” della Chiesa Universale (cattolica) e Unica “di Stato” Costantino “il Grande” (274-337 d.C.) è stato l’Imperatore che ha riunificato per l’ultima volta il governo dell’Impero romano d’oriente e d’occidente, seppure spostandone la capitale, il centro del potere politico e amministrativo, da Roma a Bisanzio, che lui stesso ridenominò Costantinopoli, nome che conservò sino 1930 quando lo mutò nell’attuale Istanbul. La leggenda attribuisce la vittoria militare di Costantino sull’altro pretendente all’Impero, Massenzio, alla sua improvvisa conversione alla nuova religione cristiana. Si narra che alla vigilia della battaglia decisiva, svoltasi il 28 ottobre 312 alle porte di Roma, in località Saxa Rubra, a Costantino fosse apparsa l’immagine di una croce con la scritta “in hoc signo vinces” (con questo simbolo vincerai). Costantino fece disegnare una croce sulle armi dei suoi soldati e vinse la battaglia. In verità mentre è molto probabile che le truppe di Costantino avessero effettivamente disegnato sulle loro armi quel simbolo, lo stesso andava riferito al culto del dio Mitra (divinità orientale che condivide con il Cristo dei cristiani molti passaggi analoghi), credenza molto diffusa soprattutto tra le legioni orientali. Costantino forse si convertì effettivamente alla nuova religione cristiana, ma lo fece in punto di morte e, peraltro, abbracciando la “versione” del vescovo Ario, dichiarato eretico dalla chiesa ufficiale. Ciò che invece fece realmente Costantino fu di inserire stabilmente l’organizzazione della chiesa cristiana, oramai solidamente ramificata in tutti i territori dell’Impero dall’oriente all’occidente, nel sistema politico, economico e organizzativo dell’apparato statale. Costantino fu effettivamente il primo Imperatore/Papa, fondando il “cesaropapismo”, la strategia di governo che attribuisce al capo dell’amministrazione politica anche il controllo dell’organizzazione religiosa. L’operazione venne compiuta nel 325 con il primo concilio ecumenico della storia della Chiesa Cattolica (Chiesa Universale) il Concilio di Nicea (città prossima a Costantinopoli). Nei circa tre secoli dall’inizio della fondazione della nuova religione

giudaico-cristiana, attraverso il veicolo della diaspora ebraica e grazie alla sua organizzazione paramilitare ideata da Paolo, la stessa si era diffusa in tutte le città dell’Impero, realizzando una rete ramificata lungo la quale correvano non solo le informazioni, ma anche soprattutto i commerci. Nelle maggiori città la nuova chiesa si era strutturata in vertici decisionali, i vescovati, che nel tempo avevano sempre più assorbito funzioni di amministrazione e controllo delle collettività, finendo col costituire una forma di autorità parallela a quella statale. Il declino dell’occidente e la crescita d’importanza di nuovi centri economico-politici nord africani e orientali, aveva fortemente sminui- L’Imperatore Costantino al centro del sinodo dei Vescovi del Concilio di Nicea to il ruolo guida del vescovo di Roma che, appunto, non costituiva meremmo l’ordine dei lavori e presiepiù il centro reale politico, economico dendola personalmente. L’Imperatore, e amministrativo dell’Impero. Que- il capo dello Stato, presiedeva dunque st’ultimo, benché pacificato con l’ulti- il primo sinodo ecclesiale della Chiesa ma riunificazione di Costantino, aveva Cattolica, il Concilio ecumenico di Nifortemente spostato il suo asse politi- cea. Il Vescovo di Roma, il Papa Silveco-economico in oriente e attraversava stro, non vi partecipò, formalmente grandi difficoltà di coordinamento e rappresentato da due sacerdoti che cocontrollo delle innumerevoli etnie e noscevano il greco (il Concilio si svolse culture che lo componevano, con il ri- in oriente in lingua greca e molti dei schio di continui focolai di rivolta e vescovi dell’occidente non la conosceistanze di autonomia, una volta venuta vano più). A svolgere le funzioni di Pameno la schiacciante supremazia ro- pa fu dunque proprio l’Imperatore in mano-italica. La grandezza di Costan- persona, il primo vero “Capo” unico e tino consisté proprio in questo: rinfor- incontestato, nonché da qual momenzare la struttura di controllo dell’am- to incontestabile, della Chiesa Cattoliministrazione dello Stato, appoggian- ca. Da quel momento le sorti dello Stadola alla rete, solida, ramificata e mili- to e quelle della Chiesa di Stato si letarizzata, della Chiesa cristiana. Ma gheranno con vincolo indissolubile, per fare ciò Costantino dovette prima sicché ogni volta in cui, nei secoli futuriconsolidare la stessa Chiesa, elimi- ri, lo/gli Stati si separeranno intraprennando i fenomeni di autonomia inter- dendo storie e vicende differenti, anna e ricondurla sotto un’unica guida, che la Chiesa si divederà con i suoi riun unico capo, assoluto e infallibile. petuti scismi, perché ciascuna chiesa Costantino convocò pertanto, con l’au- territoriale seguirà la vicenda politica torità dell’Imperatore, la prima riunio- della suo territorio. Oggi l’occidente ne sostanzialmente totalitaria di tutti i politico sta crollando o comunque mavescovi delle principali città dell’Impe- nifesta sintomi di profonda divisione, ro, stabilendone quello che oggi chia- che ne sarà della sua Chiesa di Stato?


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Cesaropapismo

Alcuni numeri della Chiesa Cattolica Apostolica Romana La stima aggiornata dei costi annui della Chiesa è di euro 6.277.375.437 Cattolici nel mondo Su una popolazione mondiale calcolata in 6.848.550.000 persone, alla data del 31 dicembre 2010, il numero dei cattolici era pari a 1.195.671.000 pari al 17%. Con riferimento alle diverse sette crisiane che sommano circa 2,1 milioni di aderenti, la chiesa romana supera il 50%. Ad eccezione dell’Europa dove la percentuale di cattolici rispetto alla popolazione è in calo, in tutti gli altri continenti è in crescita. Va notato che i dati rilevati dall’Annuario Pontificio (una specie di ISTAT vaticano) considerano tutti i battezzati, quindi, ad esempio, in Italia viene calcolato tra i cattolici il 98% della popolazione Clero Il numero totale dei sacerdoti nel mondo è di 412.236.Il numero totale dei Vescovi ha raggiunto la quota di 5.104. Sono cresciuti i religiosi non sacerdoti complessivamente a 721.935, con un fenomeno di grande crescita in Africa e Asia e un crollo in America ed Europa. Ci sono inoltre 335.502 missionari laici nel mondo. Scuole cattoliche Nel campo dell’istruzione e dell’educazione, la Chiesa dispone di un patrimonio enorme, educa e forma più di 61 milioni di studenti. Istituti sanitari, di beneficenza e assistenza Gigantesca l’opera di assistenza, beneficenza e cura svolta dagli istituti cattolici nel mondo: 5.305 sono gli ospedali con le presenze maggiori in America e Africa; 17.223 case per anziani, malati cronici ed handicappati, per la maggior parte in Europa e America; 9.882 gli orfanotrofi per circa un terzo in Asia. Le Ricchezze della chiesa Immobili Il Vaticano è il più grande possessore di beni immobili rispetto a qualunque altra organizzazione o

governo del mondo, con proprietà ‘visibili’ per circa 280 miliardi di euro (chiese, scuole, ospedali, ecc.), e con circa 2.300 miliardi di euro in investimenti immobiliari occultati tramite complesse reti costituite da centinaia di migliaia di fiduciarie e compagnie “schermo”. Il valore corrente di mercato della proprietà relativa a Città del Vaticano, nel cuore di Roma, singolarmente considerata, vale tra 1 e 2 miliardi di euro. Tale cifra viene valutata escludendo le opere d’arte inestimabili e i beni di valore conservati tra quelle mura. Le proprietà immobiliari di maggiore valore per la Chiesa Cattolica, con riferimento alle singole nazioni, sono rappresentate in primo luogo da quelle presenti negli Stati Uniti, con circa 45 miliardi di euro in proprietà immobiliari ‘visibili’ e circa 470 miliardi di euro in investimenti immobiliari occultati tramite una rete enormemente complessa di compagnie fiduciarie. Il paese successivo, in termini di valore riferito al possesso di beni immobili, è la Germania (260 miliardi di euro dei quali soltanto 25 è costituita da proprietà immobiliari ‘visibili’), quindi la Francia (260 miliardi di euro, dei quali 25 di proprietà immobiliari ‘visibili’), l’Italia (200 miliardi di euro, dei quali circa 18 di proprietà immobiliari ‘visibili’), il Brasile (180 miliardi di euro, di cui circa 22 di proprietà immobiliari ‘visibili’), e la Spagna (140 miliardi di euro, dei quali circa 12 di proprietà immobiliari ‘visibili’). Le proprietà ‘visibili’ sono quelle proprietà chiaramente ‘visibili’ ed innegabilmente facenti capo alla Chiesa Cattolica, mentre le proprietà ‘non visibili’ o occultate finiscono col rappresentare l’85% e il 90% del totale dei beni immobili di proprietà della Chiesa. Per proprietà ‘visibili’ si intendono scuole, chiese, proprietà immobiliari dirette, eccetera. Per proprietà invisibili (occultate o

occultabili) si intendono campi da golf, grattacieli e palazzi adibiti ad uffici, parchi industriali, appartamenti residenziali, eccetera. Il Vaticano è anche il maggiore e singolo detentore di lingotti d’oro rispetto a qualsiasi altra organizzazione nel corso dei trascorsi 1.000. Oro La Chiesa Cattolica Romana controlla approssimativamente 60.350 tonnellate d’oro, due volte la dimensione delle riserve ufficiali totali di oro di tutto il mondo o, approssimativamente, il 30,2% di tutto l’oro mai estratto/prodotto. A prezzi correnti, è possibile stimare il valore di tali beni che costituiscono il più grande tesoro della storia dell’umanità in oltre 1.100 miliardi di euro. Ai nostri giorni, la Chiesa Cattolica Romana è tornata a numeri che l’hanno condotta nuovamente ad una posizione dominante nel settore dell’oro di cui non si era testimoni dalla caduta del Sacro Romano Impero (intorno al 1100), fase in cui Essa controllava poco meno del 30% dell’oro complessivamente presente nel mondo. Tale tesoro nella sua totalità è stato suddiviso tra numerose riserve dichiarate ed altrettanto numerose riserve non dichiarate. Soltanto il 20% delle riserve d’oro totali è immagazzinato in riserve ufficiali; la maggiore riserva dichiarata è rappresentata dalla Federal Reserve Bank, seguita dalle riserve presenti in Italia, Svizzera, Germania e Francia. Le più importanti riserve private non dichiarate sono sconosciute, ma paiono essere collocate anche in paesi dell’Occidente e a quanto pare risulterebbero associabili alle più importanti riserve private delle più antiche banche private e società finanziarie d’Europa. Potrebbero inoltre esistere riserve private gestite direttamente dal Vaticano, seppure quest’ultima resti un’ipotesi poco probabile.


Tabagismo

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Tabagismo

quel vizio fastidioso che manda in fumo la salute

A che punto siamo, cosa fare e cosa migliorare: conoscere il problema per contrastarlo. DI SIBILLA MEARELLI

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ome afferma l’OMS il tabagismo è una patologia cronica recidivante e globale con gravi ripercussioni socio sanitarie. Alcune proiezioni di dati attuali, stimano che, se non verranno al più presto intraprese iniziative importanti ed urgenti, nel 2030 ci saranno più di 8 milioni di morti l’anno per il tabacco. In Europa 1,2 milioni di decessi l’anno sono attribuibili al fumo di tabacco e il 20% di tutte le cause di morte sono dovute dal tabagismo. Di queste il 35% sono dovute a tumori collegati al consumo di tabacco

e il 56% a malattie cardiovascolari e respiratorie. Inoltre un quarto delle morti per malattie cardiovascolari sono imputabili proprio al fumo di sigaretta. In Italia circa 80.000 decessi l’anno sono riconducibili al consumo di sigarette. Molto curioso, come emerge dal “Rapporto sul fumo in Italia 2012” dell’OSSFAD (Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’Istituto Superiore di Sanità), è il pesante ruolo di interferenza dell’industria del tabacco che sembra proprio volto a minare la cultura antitabacco istituzionale.


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ttualmente uno degli obiettivi OMS è quello di denunciare e contrastare i tentativi sempre più aggressivi dell’industria del tabacco di indebolire la Convenzione quadro sul controllo del tabacco (WHO-FCTC). Purtroppo ci troviamo di fronte ad eventi sconcertanti in tutto il mondo, che testimoniano un a sorta di revival del mito del fumo, come l’apertura da parte di alcuni prestigiosi hotel europei di sale dedicate ai fumatori, oppure il permesso di fumare nelle proprie stanze da parte di altri, o l’autorizzazione da parte di alcune importanti aziende di moda dell’uso del loro logo per creare dei pacchetti di sigarette più accattivanti destinate soprattutto al mercato asiatico, per non parlare poi di nuove serie televisive statunitensi ambientate negli anni cinquanta con protagonisti fumatori di successo e protagoniste fumatrici emancipate e così via. Tutti scenari che si credevano oramai superati, ma che in realtà si stanno subdolamente insinuando nella nostra quotidianità, basti pensare come i nuovi media possono aggirare i divieti di pubblicità, infatti nel 2010 sono stati esaminati su You Tube 163 video legati a marche di industrie del tabacco in cui è emerso che il 71% ha un contenuto “protabacco”! Non si dimentichino le vendite via internet che celano numerose problematiche, infatti spesso i prodotti che vi si reperiscono non rispettano le diverse regole della Comunità Europea, come per esempio non presentano le avvertenze sanitarie (immagini o messaggi) che enfatizzino la pericolosità del consumo, oppure superano abbondantemente i livelli di catrame e condensato stabiliti in Italia. Il costo di tali prodotti poi è inferiore a quello imposto dalla Comunità Europea e dalla Finanza italiana incentivando l’acquisto di maggiori quantità. Non mancano le controffensive istituzionali come per esempio quella del Governo australiano che ha approvato una legge che obbliga la vendita delle sigarette in pacchetti di color verde, senza marchi e con immagini esplicite sui danni provocati dal fumo e nonostante le lobby del tabacco abbiano presentato ricorso, il Governo ha vinto la causa. Questo è importante perché testimonia non solo come il Governo abbia il potere e gli strumenti per piegare la

Tabagismo disinvoltura delle lobby del tabacco a favore della tutela della salute pubblica, ma che soprattutto debba intervenire. ttualmente, in seguito alla Decisione della Commissione Europea del 5 settembre 2003 di introdurre sui pacchetti anche le avvertenze sanitarie illustrate, solo tre Paesi dell’Unione Europea le hanno introdotte: Regno Unito, Belgio e Lettonia e sono in procinto di attuare la Direttiva Francia e Germania. In Italia purtroppo mancano ancora notizie relative ad un recepimento totale di tale Direttiva. Secondo l’indagine DOXA “Il fumo in Italia 2012” effettuata per conto dell’ISS in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, l’età media in cui si inizia a fumare si aggira attorno ai 17 anni ed il principale motivo per il quale si inizia a fumare è l’influenza degli amici. Un dato ancora più allarmante e che scoraggia e vanifica ogni sforzo è che sin dal 2007 sono diminuiti i tentativi di smettere di fumare, senza annoverare poi quel colossale 90,1% di tentativi senza successo privi ovviamente di un adeguato supporto. Poche ed economiche sarebbero le azioni per sensibilizzare la popolazione sulla prevenzione, sull’importanza di smettere e sull’esistenza di realtà territoriali dedicate alla disassuefazione dal fumo. Per iniziare, molto utile è far capire cosa contiene il fumo di sigaretta e cosa comporta l’inalazione delle relative sostanze.

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I principali componenti del fumo di sigaretta

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er dedurre quanto sia dannoso fumare basta elencare solo alcune delle molte sostanze che si sprigionano durante la combustione di una sigaretta e che venendo inalate danneggiano l’organismo. Tra queste basti

pensare alla nicotina che è la sostanza che da’la dipendenza nei fumatori, proprio questa aumenta la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna, riduce l’appetito ed ha un generale effetto stimolante psico-motorio. Poi c’è il catrame, che è formato essenzialmente da idrocarburi cancerogeni, che depositandosi nei bronchi e negli alveoli polmonari aumentano il rischio di tumori. Tra le sostanze irritanti vanno annoverate l’acroleina, la formaldeide e gli ossidi di azoto, che inibiscono il movimento delle ciglia della parete delle vie respiratorie, favorendo così infezioni, bronchite cronica ed enfisema. Il monossido di carbonio invece, legandosi all’emoglobina, riduce il trasporto dell’ossigeno dai polmoni ai tessuti. Sono numerosi i tipi di cancro correlabili in vario grado all’inalazione di diverse sostanze del fumo di sigaretta, andando da quello ovvio ai polmoni, a quello del rene, quello mammario, della vescica, del pancreas e dello stomaco. Non va mai dimenticato quindi che le sostanze che si liberano da una sigaretta accesa, inalata o no, inquinano comunque l’ambiente.


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Tabagismo Il fumo passivo

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n una società civile è inevitabile parlare anche del fumo passivo, che oltre ad essere un indice di cattiva educazione e di mancanza del rispetto altrui, costituisce ad oggi una seria problematica igienico sanitaria. In inglese si identifica come passive smoke o second hand smoke e consiste nell’inalazione involontaria di non fumatori di sostanze di combustione provenienti dalla pratica di fumatori. Costituisce un vero e proprio problema ubiquitario da inquinamento ambientale da tabacco. Recenti ricerche hanno evidenziato come il fumo passivo apporti all’inquinamento dei locali confinati significative concentrazioni di nicotina, irritanti, tossici e cancerogeni risultando addirittura il principale inquinante, per altro evitabile, degli ambienti chiusi. Il fumo passivo contiene quasi le stesse sostanze di quello attivo, ma in proporzioni diverse, infatti contiene il doppio della nicotina e numerose altre sostanze, estremamente dannose in proporzioni decisamente maggiori! Senza annoverare i numerosi rischi collegati all’inalazione del fumo passivo soprattutto nelle fasce più vulnerabili come bambini, anziani e donne in gravidanza che spesso trascorrono molto tempo in ambienti chiusi! La Convenzione Quadro dell’OMS sul tabacco in merito ha obbligato gli Stati Membri anche ad adottare provvedimenti efficaci volti alla protezione dal fumo passivo nel posto di lavoro, in spazi chiusi, nei mezzi pubblici, così come negli spazi e nelle strutture pubbliche, ciò che si è verificato infatti da tempo anche nel nostro Paese. E’ lodevole inoltre come in alcune realtà italiane ci si sia spinti oltre fino ad arrivare al divieto di fumare anche in luoghi aperti come per esempio in parchi pubblici, etc. Tuttavia nonostante gli sforzi istituzionali, volti alla protezione della salute pubblica, il problema permane silente nella sfera privata dove solo il comportamento personale e responsabile può tutelare le persone più prossime, quindi solo la presa di coscienza dei gravi effetti del fumo non solo attivo, ma anche passivo del singolo fumatore su chi lo circonda e dell’importanza della prevenzione primaria e secondaria sulla propria salute e quella altrui, può incidere in maniera decisiva sulla sanità pubblica.

I vantaggi della disassuefazione dal fumo

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mettere di fumare è importante, infatti i benefici vanno dal miglioramento della performance fisica, del gusto, dell’olfatto, della stima di sé, al senso di libertà dalla dipendenza e al non indifferente risparmio economico; questi benefici si hanno a qualsiasi età e prima si smette e più aumentano. Nello specifico i vantaggi della cessazione del vizio tabagico a breve termine sono importantissimi come per esempio il miglioramento della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della circolazione periferica, inoltre addirittura a 12 ore dall’ultima sigaretta fumata si normalizzano i livelli plasmatici di monossido di carbonio ed in 48 ore viene eliminata la nicotina. I benefici più interessanti si hanno nel medio e lungo periodo cioè a distanza di mesi e di anni. Infatti da uno a 9 mesi si evidenzia la riduzione della tosse e della dispnea, dopo un anno si ha addirittura la riduzione del 50% del rischio di coronaropatia rispetto ad un fumatore, a dieci anni si riduce del 50% il rischio di cancro polmonare rispetto ad un fumatore e a quindici anni addirittura il rischio di eventi cardiovascolari diviene pari a quello di un non fumatore! Quindi oltre ad affermare che è cruciale sensibilizzare la popolazione a tappeto impedendo l’iniziazione al fumo, è importante riuscire a convincere a smettere di fumare coloro che non manifestano

ancora patologie gravi, ma che sono ancora in tempo per revertire il loro stato di salute a non fumatore. n questo difficile percorso, il problema più grande è il fallimento della maggior parte di coloro che tenta di smettere di fumare. Infatti l’80% dei fumatori è riuscito a smettere per qualche giorno, per qualche settimana, per qualche mese, ma pochissimi, meno del 20%, per qualche anno. Questo fenomeno, non a caso, ha basi scientifiche infatti il fumo di tabacco conferisce una dipendenza fisica e psicologica, perciò, nonostante i danni del fumo sull’organismo, smettere di fumare richiede un impegnativo processo di cambiamento, che passa attraverso la conoscenza degli effetti nocivi delle sigarette, la motivazione a smettere e il ricorso, quando necessario, a terapie farmacologiche e di sostegno psicologico. Per l’85,3% la modalità con cui si tenta di cessare il vizio tabagico purtroppo è quella priva di qualsiasi tipo di supporto, testimoniando l’inevitabile alto tasso di fallimento, quando invece solo l’associazione del supporto psicologico a quello farmacologico risulta essere il più efficace in assoluto. A tal proposito va ricordato che esiste il servizio del numero verde dell’ISS: 800554088 anonimo e gratuito che offre informazioni sui Servizi Territoriali, su come operano ed aiuta a comprendere se il problema tabagico di ogni soggetto è risolvibile in autonomia o se occorre invece l’intervento di uno specialista.

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Uno degli input più efficaci per ciale intra-trattamento) e come contributo al consolidamento del supporto smettere.

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urtroppo, nella maggior parte dei casi, l’essere fumatore non viene percepito ancora, soprattutto dai fumatori, una patologia a tutti gli effetti, infatti solo il 4,3% chiede aiuto al proprio medico di famiglia per smettere di fumare, che invece risulterebbe veramente fondamentale! Dall’altra parte purtroppo però risulta notevolmente basso il numero dei medici che si fa parte attiva nel diagnosticarlo e nel fornire consigli per smettere di fumare! Questa andamento non tende comunque a migliorare visto che sono sempre meno i fumatori a cui è capitato recentemente di ricevere un suggerimento spontaneo in tal senso dal proprio medico di famiglia! Proprio le linee guida ed una guida rapida promosse dall’Istituto Superiore della Sanità per la cessazione dall’abitudine al fumo evidenziano l’importanza cruciale di un intervento proattivo del medico di famiglia stesso e del ruolo dei Centri Antifumo già operanti su tutto il territorio nazionale. Queste linee guida esplicitano una forte raccomandazione, relativamente ad interventi brevi finanche ad una semplicissima domanda che il medico generico dovrebbe rivolgere a tutti i soggetti che si presentano in ambulatorio riguardo al fatto se sono dei fumatori. Questo tipo di domanda si è dimostrata essere la più efficace nello stimolare un senso critico nei non fumatori e una volontà a smettere nei fumatori. Quindi solo dopo un primo approccio si potrà parlare di vera e propria terapia.

Le terapie per la disassuefazione al fumo.

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n Italia esiste una rete molto importante di professionisti in grado di aiutare i fumatori a smettere, che costituiscono I Servizi Territoriali per la Cessazione dal Fumo di Tabacco, in Italia ce ne sono circa 350 e si avvalgono di medici e psicologi per la scelta della strategia migliore e personalizzata. Le terapie non farmacologiche consistono in importanti forme di counselling, sia individuale che di gruppo. Per quanto riguarda il counselling e le terapie comportamentali, è importante ricordare l’efficacia di quelle che si basano sul counselling pratico del problem solving e skill training, sul supporto sciale come parte del trattamento (supporto so-

sociale al di fuori del trattamento (supporto sociale extra-trattamento). Per quanto riguarda invece la terapia farmacologica, la prima opzione resasi disponibile è stata la terapia sostitutiva con nicotina. Questa si basa su un concetto molto semplice cioè somministrare al fumatore la stessa sostanza alla quale è divenuto dipendente. Questo approccio, nonostante la dannosità della sostanza stessa, ha il vantaggio immediato di sottrarre il soggetto dai danni derivati dall’assunzione di molte altre sostanze tossiche della sigaretta, molte delle quali come detto cancerogene. Quindi il razionale farmacologico dell’uso della nicotina nel progressivo processo di disassuefazione dal fumo risiede nella capacità di ridurre la sintomatologia da sospensione. In commercio si trova in diverse formulazioni farmaceutiche come i sistemi trans dermici a lunga durata d’azione, le classiche gomme da masticare e pastiglie di breve durata d’azione, e la soluzione per inalazione utile anche per la gestualità. La terapia farmacologia sia avvale anche di altri farmaci, con meccanismo d’azione aspecifico oppure con meccanismo d’azione specifico, sicuramente più impegnativi, per l’utilizzo dei quali è obbligatoria una prescrizione ed un follow-up medico. Non va mai dimenticato che qualsiasi farmaco, anche quello per la disassuefazione dal fumo, anche quello da banco, presenta numerose controindicazioni, effetti collaterali ed interazioni, per i quali va sempre chiesto il consulto del medico o del farmacista perché va sempre saputo gestire con responsabilità e consapevolezza.

Conclusioni

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l tabagismo è un fenomeno multifattoriale e l’arma più importante per combatterlo è un approccio integrato che si avvale di diverse figure professionali per agire su più fronti, ciò evidenzia come sia cruciale non cadere nella trappola del fumo per evitare di arrivare a degli estremi che richiedono soluzioni a volte complesse. Fondamentale è sottolineare l’importanza dell’incisività degli interventi legislativi, ma anche come essi debbano essere selezionati oculatamente per colpire i punti più critici della catena del fumo, proprio per evitare l’inefficacia degli stessi o peggio ancora la dispersione delle relative risorse. La prevenzione primaria va potenziata anche nelle scuole dove si concentra il più importante bacino di potenziali fumatori del domani. Non può bastare un semplice divieto di vendita ai minorenni per risolvere il problema, ma solo una didattica che coinvolga la comunità studentesca, corpo docenti e famiglie, supervisionata da medici e farmacisti, può rafforzare un circolo virtuoso e durevole nel tempo. er concludere va rilevato come sia cruciale l’educazione della popolazione non tanto al rispetto di un divieto o di un consiglio di un medico, quanto riuscire a far percepire il perché e l’importanza di certi divieti e di certe pratiche cliniche, per poterne condividere le finalità e le dinamiche nella propria quotidianità, con un unico grande scopo: evitare, come sempre, di ricorrere ai ripari quando spesso è troppo tardi.

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Mille Miglia Lontano

"Le persone che si vogliono bene non dovrebbero mai mascherare i loro sentimenti"

Il viaggio di un giapponese nella vastitĂ della Cina dove trova usi e costumi molto diversi dai suoi, ma una cosa unisce i personaggi del film e li unisce a tutti noi, a tutti gli uomini, i sentimenti. Viviamo con tradizioni diverse, con capacitĂ differenziate, siamo piĂš ricchi piĂš poveri, abbiamo religioni diverse, ci muo-

viamo dentro regole codificate in modo differente che ci costringono a costumi anche contrapposti, ma al nostro interno abbiamo tutti gli stessi sentimenti, amiamo i nostri figli, abbiamo bisogno di rapporti sociali, vogliamo essere considerati, abbiamo bisogno di amare qualcuno.

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“Mille Miglia Lontano” un film di Zhang Yimou, Roma 2005 Trama La storia narra le vicende di Tataka Gouichi, pescatore giapponese che per la prima volta a bordo di un treno superveloce, lascia il suo piccolo villaggio per giungere a Tokyo, dove sua nuora Rie lo aveva chiamato, dicendogli che suo figlio Kenichi era gravemente malato e voleva vederlo. Giunto a destinazione, scopre in realtà che il suo ragazzo è in ospedale, ricoverato per un cancro irreversibile al fegato, e che ancora rifiuta di vedere suo padre dopo anni di distacco forzato e doloroso. Rie, la moglie di Kenichi, dà a Gouichi una videocassetta realizzata dal marito in modo tale che egli possa saperne di più del figlio. Il nastro contiene un servizio audiovisivo di Li Jiamin, un artista di un villaggio nella provincia cinese dello Yunnan. Nella registrazione, Li promette a Kenichi di eseguire l'opera “Mille miglia lontano” per lui se ritornerà il prossimo anno. Quindi Gouichi decide di andare in Cina al posto del figlio malato per filmare la prestazione artistica di Li. Così intraprende un lungo e difficile viaggio fin nel cuore del Paese di Mezzo alla disperata ricerca di suo figlio e nel tentativo di riconciliarsi a lui ormai mo-

rente. Il suo viaggio lo porta ad incontrare molte persone, a provare molte emozioni forti ed è una metafora di un più profondo percorso all’interno della propria coscienza, che gli fa prendere atto dei problemi quotidiani, dell’incomunicabilità nello stesso ambito familiare, dei piccoli ed umani gesti che dovrebbero essere fatti da un padre verso un figlio e della grande difficoltà di essere un buon padre. Magistrale l’interpretazione del protagonista Ken Takakura, che riesce a far partecipare lo spettatore al suo intenso cammino introspettivo, il resto del cast è costituito da attori non professionisti, che riescono proprio per questo a rendere e a ben tracciare con molta eleganza ed immediatezza lo spirito neorealista tipico del cinema di Zhang Yimou. Il regista mette in evidenza nel film le grandi difficoltà linguistiche, il senso di isolamento e l’impotenza di questo piccolo pescatore che giunge prima nella grande capitale giapponese e poi nell’enorme e dispersiva Cina.

Critica Il messaggio che dà al suo pubblico è che bisogna sempre ascoltare il cuore, far parlare i sentimenti, senza perdere

un attimo, perché la vita è “qui ed ora”, messaggio importantissimo, in quanto nella frenetica vita quotidiana non si dà peso ai più piccoli/grandi incontri. Un altro personaggio diventa protagonista nelle scene ambientate al villaggio di pietra ed è la natura, il paesaggio, che rende l’uomo una pedina in movimento. Per esempio, nella scena in cui il bambino si allontana dalla vettura in panne, tutti sono relegati nello sfondo, il signor Takata fa eccezione, fino al momento in cui non lo ritrova, poi diventa anche lui una piccola parte della natura. Il regista racconta il proprio paese dal punto di vista di uno straniero che non conosce il cinese. È, in fondo, un racconto di formazione affidato alle immagini e ai silenzi più che alle parole. Zhang Yimou torna ad un cinema più intimo ed umanista in cui l’uomo con i suoi sentimenti e contraddizioni torna in primo piano. Il valore della famiglia come nucleo su cui fondare la società, la trasmissione della tradizione da generazione in generazione attraverso i legami patriarcali sono alcuni dei temi toccati da questo intenso dramma di amore incondizionato che procede per ritmi lenti ma inesorabili, e ci suggerisce di imparare a vedere cose e scenari diversi dai nostri,


Mille a pensare che il mondo è molto più complesso di quello che conosciamo e se siamo saggi, reagiamo con curiosità e passione pronti ad aprire la nostra mente, affascinati da come l’uomo nella storia, di fronte probabilmente ad una stessa necessità, la sopravvivenza, si è organizzato nelle varie parti del mondo in modo così differente. Zhang racconta di alcuni incontri difficili ma possibili, quello tra un padre e un figlio, la Cina e il Giappone, la tecnologia moderna e la tradizione più antica, la vivacità di un ragazzino e l'arida corteccia di un uomo temprato dal dolore. Il viaggio di un giapponese nella vastità della Cina dove trova usi e costumi molto diversi dai suoi, ma una cosa unisce i personaggi del film e li unisce a tutti noi, a tutti gli uomini, i sentimenti. Viviamo con tradizioni diverse, con capacità differenziate, siamo più ricchi più poveri, abbiamo religioni diverse, ci muoviamo dentro regole codificate in modo differente che ci costringono a costumi anche contrapposti, ma al nostro interno abbiamo tutti gli stessi sentimenti, amiamo i nostri figli, abbiamo bisogno di rapporti sociali, vogliamo essere considerati, abbiamo bisogno di amare qualcuno. Takakura Ken, il personaggio di Takata indossa una maschera perenne, una copertura dai sentimenti esterni, dal contatto con le persone e dalla comprensione di esse. Come un filo sottile che lo riconduce al ragazzo Takara si rende conto di come si somigliano e di quanto abbia perso non avendo più contatti con lui. Man mano che la vicenda si snoda però, ci si accorge che siamo di fronte ad una delicata parabola sull'incomunicabilità tra le persone, a partire dall'ambito familiare, quello che più riguarda da vicino e che non a caso più fa soffrire. Come ogni esperienza on the road, tutti gli incontri che il protagonista fa lo aiuteranno ad intraprendere (e noi spettatori con lui) un imprevisto viaggio all'interno della propria coscienza, sì da scoprire e ri-scoprire inesplorati sentieri personali. Per magari rendersi conto che il motivo per cui si era partiti non era poi così determinante e che strada facendo si cambiano impercettibilmente prospettive, per cui non si torna più indietro.

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Intervista al regista Zhang Yimou Con due Leoni d’oro a Venezia e un Orso d’oro a Berlino, Zhang Yimou è uno dei registi cinesi più apprezzati in Europa. L’abbiamo incontrato alla presentazione del suo ultimo film, Mille miglia… lontano. Da dove nasce il progetto di questo film? Dietro la genesi di questa storia c’è il mio desiderio di lavorare con Takakura Ken, uno degli idoli della mia giovinezza, con cui avevo sempre sognato di fare un film. Ho incontrato Takakura per la prima volta dieci anni fa a un festival cinematografico nippo-cinese e abbiamo subito iniziato a discutere della possibilità di lavorare insieme. E per sei anni abbiamo continuato a parlare di Mille miglia… lontano. Lavorare con Takakura è stata una esperienza meravigliosa: è una persona stimolante, ma anche un attore appassionato e generoso. Raramente ho visto la troupe affezionarsi così ad un attore. Sul set Takakura era davvero popolare. Che differenze ci sono state nella realizzazione di Mille miglia… lontano rispetto ai suoi ultimi film? I miei due film precedenti, Hero e La foresta dei pugnali volanti, prevedevano numerose sequenze di azione e effetti speciali su larga scala. Così, da un punto di vista tecnico, Mille miglia… lontano è molto più semplice. Ma allo stesso tempo, io e Takakura volevamo girare un film che parlasse di amore incondizionato e di

semplici rapporti fra persone vere, per cui dovevamo scavare a fondo sul lato delle emozioni. Inoltre, a differenza di Hero e La foresta dei pugnali volanti, per esprimere questi sentimenti così leggeri abbiamo scelto un cast composto per la maggior parte di attori non professionisti. Sono abituato a lavorare con attori alle prime armi ma cerco di fare uno sforzo supplementare per assicurarmi che sul set ciascuno sia soddisfatto e convinto della propria parte. Qual è il tema principale che ha voluto trattare in Mille miglia… lontano? Mentre Hero e La foresta dei pugnali volanti narravano leggende storiche, questo film è assai diverso. La storia fa riferimento a Lord Guard e al Romanzo dei tre Regni, ma questo è solo un piccolo dettaglio in una storia contemporanea che si focalizza soprattutto sui rapporti fra le persone. È una sorta di indagine sulle interazioni fra le persone ed un tentativo di studiare l’irripetibile sentimento di amore incondizionato fra un padre e un figlio. Qual è il motivo della scelta dello Yunnan come luogo per le riprese? Ho girato Mille miglia… lontano nella provincia dello Yunnan perché volevo che il film avesse un’atmosfera da dipinto di natura morta. È il ritratto di un amore filiale e lo Yunnan offriva tutto quello che desideravamo, a iniziare da paesaggi e atmosfere particolarmente adatti alla nostra storia.


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Zhang Yimou, vita e filmografia Figlio di un ufficiale dell'esercito di Chiang Kai-Shek, per motivi politicomilitari, la sua famiglia viene messa al bando durante la Rivoluzione Culturale. Così un giovanissimo Zhang Yimou viene mandato a lavorare come contadino nei campi e poi in una filanda, insieme a migliaia di studenti. Nel 1978 Zhang decide di entrare alla Beijing Film Academy di Pechino. Disgraziatamente, non supera l'esame di ammissione. Causa: è troppo "vecchio" (ormai ha già 27 anni e aveva superato di ben 5 anni l'età limite). Ma, nel 1982 riesce finalmente a ottenere l'ammissione ai corsi di fotografia dell'Accademia. Mentre studia conosce alcuni dei registi della cosiddetta "Quinta Generazione", che diverranno poi i suoi migliori amici: Chen Kaige e Zheng JunZhao. Diplomatosi, viene assegnato agli studi cinematografici Guangxi Film Studio per lavorare come assistente regista e direttore della fotografia in pellicole come: Yi ge he bag ge (1983) dell'amico Jun-Zhao, Huang tu di (1984) e Da yue bing (1986) di Chen Kaige, Lao jing (1986) di Wu Tian-Wung, dove pure recita e tanta è la sua bravura che inaspettatamente viene anche premiato in alcuni dei Festival più noti dell'Asia. Sempre in quegli anni, Zhang accetta di andare a lavorare alla Xi'an Film Studios, sotto richiesta di uno dei registi della Quarta Generazione, Wu Tian-Ming. Si mette subito a lavoro, dirigendo “Sorgo rosso” (1987), pellicola drammatica, con Gong Li come protagonista, che racconta la storia di una giovane che è costretta a sposare un uomo ricco e anziano, affetto da lebbra. La pellicola lo impone all'attenzione internazionale, vincendo l'Or-

so d'Oro al Festival di Berlino, ma soprattutto fa scattare la scintilla fra lui e l'attrice Gong Li, per la quale divorzierà dalla moglie Xie Hua e che sarà la protagonista di tutti i suoi film, almeno fino al 1995 (anno in cui i due artisti si lasceranno). Firma il suo secondo lungometraggio “Ju Dou” (1990) che ha parzialmente le stesse tematiche dell'opera prima da lui firmata, oltre ad avere la stessa protagonista, poi arriva il capolavoro (inaspettato) il poetico “Lanterne rosse” (1991). L'ennesima storia di una donna che viene comprata da un marito che diverrà suo padrone (tratto dal romanzo "Moglie e concubine" di Su Tong) conquista tutto l'Occidente, vincendo un BAFTA e un David di Donatello come miglior film straniero, ma anche il Leone d'Argento al Festival di Venezia. Il Leone d'oro lo aspetta con “La storia di Qiu Ju” (1992) ritratto al femminile di una contadina che cerca giustizia. Esplora i meccanismi del potere in “Vivere!” (1994), che racconta vent'anni di storia della Repubblica Popolare Cinese attraverso le vicende di una famiglia e che vince il secondo BAFTA come miglior film straniero, nonché il Gran Premio della Giuria a Cannes. Divenuto lui stesso un membro di una giuria quando il Festival di Berlino del 1993 lo chiama a valutare le pellicole partecipanti alla competizione, poi torna immediatamente a lavoro, firmando il bellissimo “La triade di Shangai” (1995), narrazione delle vicissitudini di un ragazzino che viene messo al servizio di una cantante di night, amante di uno dei capi della mafia cinese. Scontato dire che sarà un altro trionfo a Cannes. Ma il secondo Leone d'Oro arriva nel 1999 con “Non

uno di meno”, dove per la prima volta firma un soggetto contemporaneo (la storia di una bambina-maestra che perde uno dei suoi studenti e deve ritrovarlo). Lo stesso anno, firma anche “La strada verso casa” con Zhang Ziyi, facendo incetta di premi al Festival di Berlino. Poi, con l'arrivo del nuovo millennio, Zhang ha una svolta: vuole che più grandi orizzonti facciano parte del suo cinema e comincia a raccontare e firmare i memorabili wuxia (film d'avventura cinesi). Comincia con il bellissimo “Hero” (2002), che è uno dei film più costosi della storia del cinema cinese, e che non sarebbe mai arrivato in Occidente se, due anni dopo la sua distribuzione in Asia, Quentin Tarantino (grande estimatore di Yimou) non avesse convinto la Miramax ad acquistare le copie della pellicola per poi diffonderla anche in America. Ma Hero, almeno secondo il suo autore, altro non era che un esperimento portato a buon fine. Infatti, eccolo di nuovo calarsi nello stesso genere firmando il medievale “La foresta dei Pugnali Volanti” (2004), che bissa il successo di Hero, e che impone Zhang Ziyi a livello internazionale. La trilogia dei wuxia si chiude con “La città proibita” (2006) dove Yimou torna a dirigere la sua ex compagna di vita Gong Li. Ed è proprio alla Città Proibita di Pechino che Yimou ha diretto l'opera musicale "Turandot" di Puccini, come solo un cinese sa fare e non dovrebbe mai smettere di fare. Gli stessi personaggi dell'opera italiana diventano così una prosecuzione dei suoi figli audio-visivi, che hanno dentro di loro la forza delle grandi esperienze. Nel 2008 gli viene affidata la regia delle Olimpiadi di Pechino e sarà un trionfo. Il "palcoscenico" della spettacolare cerimonia è stato il "Nido d'uccello".


Fare teatro

...non per mestiere, ma per passione...

"Lo sforzo disperato che compie l'uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è TEATRO": sono parole di Eduardo De Filippo, parole che fanno capire come il teatro sia una forma di comunicazione tra le piÚ grandi e complete. Il teatro aiuta a riflettere su di noi, su aspetti importanti della vita e del rapporto tra le persone, a volte in maniera drammatica, a volte con leggerezza, a volte con un po' di ironia velata di amarezza. Il teatro richiede passione, sia che lo si voglia solo ascoltare sia che lo si voglia fare "dal di dentro" come attori, registi o scenografi.

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Fare teatro

Il Teatro Amatoriale DI LORETTA OTTAVIANI

I "grandi" del teatro lo sanno bene chè al teatro hanno dedicato e dedicano una vita intera ma lo sanno bene anche moltissime altre persone, sconosciute ai più, che fanno teatro come hobby ma che impiegano la stessa passione e dedizione, perché accanto al teatro fatto da professionisti, quello che si conosce e si pubblicizza, esiste anche un altro teatro minore, ma non meno grande: quello filodrammatico o amatoriale. Esistono molte forme di teatro amatoriale, quello stile "parrocchiale", di gente che, senza grande preparazione, sceglie un copione e si improvvisa, mettendo su uno o più spettacoli a beneficio di un pubblico ridotto, con mezzi improvvisati e costumi e scenografia "fai da te", a volte con risultati più che buoni. A loro va riconosciuta molta buona volontà, e bisogna ringraziarli perché svolgono il compito fondamentale di diffondere la cultura teatrale anche in quelle fasce di persone che, per vari motivi (economici o culturali), non ne sono attratte. Esiste anche un teatro amatoriale di enorme livello, fatto da persone che di "amatoriale" hanno solo il fatto che il lavoro che procura loro da vivere non è quello dell’attore: sono insegnanti, operai, impiegati, gente che, dopo una pesante giornata di lavoro, rinuncia a riposarsi in poltrona davanti alla TV ed esce, col freddo dell'inverno o con l'afa dell'estate, per ritrovarsi in posti più o meno accoglienti per lavorare ancora, e più intensamente, anche oltre la mezzanotte. Non si improvvisano: sono persone che la loro passione ha portato a frequentare corsi di dizione, di recitazione, di regia. Gli attori amatoriali sono pieni di questa passione e, ritengo, non sono meno bravi degli attori professionisti, almeno molto più motivati. In una compagnia amatoriale le persone e le braccia che lavorano e collaborano, ognuna dando il proprio contributo per quello che meglio sa fare, sembrano tante ma il lavoro da svolgere è ancora di più: gli allestimenti scenici da ultimare, le prove dei costumi dalla sarta, decidere per le acconciature e il trucco, le prove generali dello spettacolo, le luci, il suono…….ma tutti sempre pronti a superare

difficoltà e intoppi con la voglia e la speranza di comunicare e trasmettere attraverso il loro operato la propria passione per il teatro. La giornata di un professionista, nel giorno dello spettacolo, la immagino così: una rilettura al copione, provare qualche battuta difficile, poi in camerino dove qualcun altro ha fatto arrivare costumi di scena e dove c'è una truccatrice pronta a prepararti per lo spettacolo e quindi si va in scena. Per un attore amatoriale è diverso: lo spettacolo inizia almeno il giorno prima, quando, a volte litigando col datore di lavoro, va a chiedere uno-due giorni di ferie, poi ci si vede tutti insieme per caricare il camion di tutta la scenografia e costumi. Il giorno dopo sveglia all'alba per farsi un po' di chilometri in autostrada per raggiungere la destinazione ed è lì che inizia il lavoro: si scarica il camion, si porta tutta la scenografia sul palcoscenico (molto spesso non ci sono né ascensori né montacarichi) ed inizia il lavoro di montaggio, fatto di chiodi, di viti, di trapano: è un lavoro delicato e di volta in volta reinventato perché i palcoscenici sono sempre diversi, e quindi bisogna adattare il proprio materiale alle dimensioni del palco che si ha a disposizione. Si va infine in scena, senza il tempo materiale di rileggere il copione: deve essere già tutto perfetto nella mente di ognuno. Infine, lo spettacolo che… purtroppo non finisce quando si chiude il palcoscenico con gli inchini di ringraziamento; dopo un attimo di

pausa c'è tutto il lavoro all'inverso: togliersi i costumi di scena, smontare la scenografia e ricaricare il camion. Si finisce non prima dell'una di notte, e finalmente ci si rilassa davanti ad una pizza ed una birra, ma non a lungo: l'indomani mattina si riparte presto per tornare a casa. E’ ben chiaro che ciò che spinge una compagnia di teatro amatoriale a fare tutto questo non è l’aspetto economico ma è la passione e l’emozione: ogni fatica viene dimenticata quando si accendono i riflettori e si va in scena, la ricompensa sta tutta nell'applauso caloroso che ricevono dal pubblico. Un’esperienza teatrale fatta a questo livello, a livello amatoriale insegna un sacco di cose, un po' in tutti i campi. Insegna che portare in scena uno spettacolo è una faccenda che sta in stretta relazione col sudore e la fatica; insegna che cos'è un'"americana", un "dimmer", un "golfo mistico", un "occhio di bue"; insegna come si fa a stare assieme; che la nostra memoria è molto più potente di quanto non pensiamo; insegna ad “osservare” uno spettacolo quando si va a “vedere” uno spettacolo; che la gelosia, l'amore, la morte, i sogni per il modo che abbiamo di viverli oggi non sono poi così diversi da quelli di gente vissuta secoli fa; insegna come si fa ad usare il diaframma; che le vocali sono sette e non cinque come ci hanno insegnato alla scuola elementare; che la lettera S e la Z hanno due suoni, uno sordo e uno sonoro;


Fare teatro che per quanto uno si sforzi non ci sarà mai un giorno in cui tutti gli attori potranno venire a provare; che si può davvero trasformare uno scolapasta in un elmo; che le gelatine che si mettono davanti alle luci a volte si sciolgono o prendono fuoco; che il pubblico non ride mai sulle battute che fanno ridere a te e che ride sempre su quelle che non ti piacciono (e che, a volte, sono battute non sono proprio); che si può sbagliare tanto “il pubblico il copione non lo sa”; insegna a fidarsi degli altri; a concentrarsi; che bisogna sempre portarsi dietro scotch, forbici, spille da balia, ago e filo; che le scenografie troppo grosse non entrano nel furgone

ma ce le mettiamo lo stesso; che il regista brontola sempre; che lo spazio deve essere occupato, il ritmo tenuto e che bisogna spingere la voce; ed in definitiva l'esperienza teatrale insegna che quando uno guarda indietro agli spettacoli che ha fatto, a com'era preoccupato prima di entrare in scena, a quando ha sbagliato una battuta, a quando ha preso gli applausi, gli viene da sorridere e pensa che ha fatto proprio un bel lavoro. Fare teatro non è una medicina e nessun dottore la prescrive come cura, fare teatro non è una legge dello Stato che va osservata pena ammende o sicure carcerazioni e neppure un dogma di Santa Romana Chie-

33 sa la cui inosservanza attiri scomuniche e fulmini celesti. Insomma, nessuno è obbligato a fare teatro… è una libera scelta e facendolo occorre assumersi dei doveri: il più importante è nei confronti del pubblico pagante che si merita uno spettacolo accurato e ben fatto, che susciti passioni, sentimenti, emozioni e allora vedremo che la gente tornerà a frequentare i teatri, perchè in questi tempi di multisala e televisioni digitali e al plasma, i nostri teatri hanno perduto ruolo. Torniamo a frequentarli e, come ad uno specchio, ci parleranno di noi stessi e di cosa siamo diventati. Se sono chiusi o vuoti non è buon segno

Un esempio di teatro amatoriale a Foligno: la Compagnia Teatrale Al Castello

Una realtà che ha inizio diversi anni or sono, quando a Foligno, nel 1990, con un atto notarile, viene costituita l’Associazione Culturale “Al Castello”, tra le cui attività c’è quella teatrale. Varie, infatti, sono state le iniziative dell’Associazione all’inizio della sua esistenza: organizzazione di serate musicali e realizzazione di cortometraggi cinematografici. Ma l’attività predominante di questa Associazione è stata da sempre il teatro ed è per questo che al suo interno è stata costituita la Compagnia Teatrale “Al Castello” che, oltre al bravo regista Claudio Pesaresi, si avvale di un nutrito cast di attori non professionisti e validi collaboratori tecnici. Essa è nata con lo scopo di continuare “Il Teatrino del Circolo” fondato, in seno al Circolo Cittadino di Foligno, dal compianto Dott. Mauro Antonini, venuto a mancare nel 1988. La Compagnia durante la propria attività ha realizzato spettacoli notevoli sotto tutti i punti di vista, tutti rigorosamente in lingua. Il repertorio è vario ma sempre circoscritto al teatro classico: si passa dal dramma, al vaudeville, al giallo. Le riduzioni e gli

adattamenti dei testi, fatti dal regista, sono sempre in linea con lo spirito dell’autore e nel rigoroso rispetto del testo originale. Per molti anni la Compagnia ha organizzato corsi di formazione teatrale di vario livello, tenuti sia da componenti della stessa che da professionisti esterni. Nel corso degli anni ha acquisito esperienza anche per la definizione e realizzazione in proprio delle scenografie e dei costumi. È inoltre autonoma per quanto riguarda luci, audio e altri servizi tecnici di palcoscenico…insomma ha tutte le caratteristiche di una compagnia amatoriale che ama il teatro, che manifesta la propria passione in tutti gli aspetti e che può vantare di essere una Compagnia di non professionisti “professionisti”. Ogni anno la Compagnia al Castello debutta con un nuovo spettacolo teatrale che mette in scena per tutti i fine settimana del mese di novembre e organizza, nei mesi di gennaio e febbraio, una rassegna teatrale a carattere nazionale “Teatro alle 5” presso i teatri “Clitunno” di Trevi e “Torti” di Bevagna. Si tratta di una piccola stagione di prosa cui

intervengono compagnie amatoriali da tutta Italia: un’occasione quindi per conoscere e farsi conoscere. In particolare quest’anno la rassegna ha ospitato la fase della selezione interregionale del Festival Nazionale della Uilt (Unione Nazionale Libero Teatro) che vede concorrere compagnie teatrali amatoriali delle regioni Emilia Romagna, Toscana e Umbria. La giornata finale della selezione sarà il 17/03/2013 che vedrà premiare due compagnie con il passaggio alla fase nazionale del Festival. In quell’occasione verrà rappresentato lo spettacolo “Il Crogiuolo” di Arthur Miller, prodotto dalla Compagnia al Castello. Questi sono due appuntamenti fissi a cui il numeroso pubblico della Compagnia è abituato ad attendersi ogni anno in quanto è una promessa fatta e rinnovata di anno in anno. E’ anche una realtà contraddistinta da notevoli riconoscimenti e tappe importanti a livello nazionale ottenuti in concorsi teatrali prestigiosi, a cui partecipano compagnie amatoriali, che non hanno meno professionalità di una compagnia di professionisti.


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Fare teatro

27 marzo: Giornata Mondiale del Teatro

La giornata mondiale del teatro è stata creata a Vienna nel 1961 durante il 9° congresso mondiale dell’Istituto Internazionale del Teatro (ITI). Dal 27 marzo 1962, data di apertura della stagione del Teatro delle Nazioni di Parigi, la giornata Mondiale del Teatro è celebrata tutti gli anni dai Centri Nazionali ITI di un centinaio di paesi nel mondo. L’I.T.I. cerca “di incoraggiare gli scambi internazionali nel campo della conoscenza e della pratica delle Arti della Scena, stimolare la creazione ed allargare la cooperazione tra le persone di teatro, sensibilizzare l’opinione pubblica alla presa in considerazione della creazione artistica nel campo dello sviluppo, approfondire la comprensione reciproca per partecipare al rafforzamento della pace e dell’amicizia tra i popoli, associarsi alla difesa degli ideali e degli scopi definiti. In Italia è stata celebrata per la prima volta nel 2010 su istituzione del Governo con decreto del Consiglio dei Ministri. La “Giornata mondiale del Teatro” è volta a richiamare l'interesse del pubblico sull'importanza del teatro, quale elevata forma di espressione artistica di alto valore sociale, in grado di rafforzare la pace e l'amicizia tra i popoli, a promuoverne la funzione educativa e sociale, in quanto fattore fondamentale di aggregazione e socializzazione delle varie realtà culturali del nostro Paese. Ogni anno, una personalità del mondo del teatro, o un’altra figura conosciuta per le sue qualità di cuore e di spirito, è invitata a dividere le proprie riflessioni sul tema del Teatro e della Pace tra i popoli. Questo, che viene chiamato “il messaggio internazionale”, è tradotto in diverse lingue ed è poi letto davanti a decine di migliaia di spettatori prima della rappresentazione della sera nei teatri nel mondo intero, stampato nelle centinaia di quotidiani e diffuso da radio e televisione sui cinque continenti. Jean Cocteau fu l’autore del primo messaggio internazionale nel 1962


Arcobaleno

L'arcobaleno è sempre l’arcobaleno

La dialettica degli opposti ci insegna che se all'interno di una stessa area linguistica l'accento cade sul diverso, all'interno di aree diverse l'accento dovrebbe cadere sull'eguale. [‌] Ma accanto a questo metodo ben noto ci proponiamo di usarne un altro, meno noto ma a mio avviso non meno importante, e cioè la ricerca del simile, dell'eguale, anche nel campo della semantica, il metodo che potremmo chiamare di semantica comparata. (M. Alinei, Dal totemismo al cristianesimo popolare. Sviluppi semantici nei dialetti italiani ed europei, Edizioni dell'Orso, Alessandria 1984, pp. 127-128)

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Arcobaleno

L'arcobaleno in tutte le lingue (e i col or i) d el m ond o DI

MARIA SARA MIRTI

John Keats ha scritto: "C'era un terribile arcobaleno un tempo nei cieli:/conosciamo il suo ordito, la sua trama; è riposto/ nel catalogo ottuso delle cose comuni"; ma siamo davvero sicuri che tale arcobaleno (che la filosofia non è ancora riuscita a disfare, così come non è ancora riuscita a tagliare le ali di un solo angelo) abbia mai abitato concetti in qualche modo semplici, o che abbia mai avuto nomi "comuni"? Tanto per cominciare ogni arcobaleno ha un nome composto, spesso variabile a seconda che si prenda in considerazione o meno la lingua parlata. Così, per esempio, in francese avremo "arc-en-ciel", fr. dial. "arc de St. Michel", in spagnolo "Arco Iris" (la messaggera degli Dei, a cui certo serviva una strada preferenziale tra la terra e il cielo), oppure "Arco del Señor", e in portoghese, invece, "arco da velha", cioè arco della vecchia (figura di una certa suggestione e pressoché ubiquitaria in diverse culture popolari). In italiano il termine "arcobaleno" sta per "arco della balena", altrimenti detto "arco di Noè", "arco bevente" (termine che potremmo definire "diversamente romantico") e via di seguito. Passiamo ora alle lingue un po' più "ostiche": in gallese si dice "bwa cyfamod" che, ovviamente, vuol dire "arco dell'alleanza", in norvegese è usato "verboge" ("arco del tempo") - termine interessante -, in ucraino e russo parlato viene detto "rajduga" ("arco del paradiso"), in lettone "dieva kuopls" (arco di Dio), in lappone "Tiermaztawk" ("arco del dio Tiermas"), in maltese "qawsalla" ("arco di Allah"), in greco - chiedo scusa per la traslitterazione "doksari tsi kalogrias"("arco della suora"). In inglese "rainbow" significa "arco della pioggia" e in finlandese "vesikaari" sta per "arco dell'acqua" (anche questi sono termini molto interessanti, considerando il fatto che, a causa di un differente indice di rifrazione tra l'acqua del mare e l'acqua piovana, il raggio di un arcobaleno nato dagli

spruzzi marini è più piccolo di quello nato dalle gocce di pioggia), ma l'arcobaleno è anche il vepsiano (linguaggio "finnico", sparso tra Russia, Ucraina, Estonia e Bielorussia) "arco dei morti", o il mordvino (altro gruppo linguistico "finnico", presente nel distretto del Volga) "arco del tuono" (si veda M. Alinei, "Dal totemismo al cristianesimo popolare. Sviluppi semantici nei dialetti italiani ed europei", Edizioni dell'Orso, Alessandria 1984, p. 129), e chi più ne ha più ne metta… Come Gramsci forse per primo aveva intuito, tutto il folclore è pervaso da una forte spinta conservativa tendente a nascondere nei pochi dettagli superstiti una quantità sorprendente di storie, di credenze, di relazioni; le tradizioni, le concezioni popolari, insomma, altro non sono che "un agglomerato indigesto di frammenti di tutte le concezioni del mondo e della vita che si sono succedute nella storia, nella maggior parte delle quali, anzi, solo nel folclore si trovano i superstiti documenti, mutili e incontaminati" (Gramsci 1974: 215). Un "Mozart della psicologia" come Lev Semënovič Vygotskij (russo, fondatore della scuola storico-cultu-

rale - di metodo marxista) ha definito la parola come una "scorciatoia di un concetto", o, potremmo dire, di un'intera concezione esistenziale; questo è tanto più vero quanto più la parola in questione si trova a dover delineare un concetto complesso e quella dell'arcobaleno, in ultima analisi, non si può certo definire un termine semplice, piuttosto si tratta di un concetto ampio, in grado di dare adito a tabù, a leggende, a immaginari rappresentativi tanto diversificati quanto lo sono i popoli e gli individui al mondo. Non è nemmeno del tutto certo, del tutto convincente, il motivo per cui quest'arco di luce, di rifrazione in rifrazione, si trovi ad attraversare il cielo. La "Genesi" (9:13) lo pone come segno visibile del patto tra Dio e gli uomini scampati al Diluvio, estremo, apparentemente fragile, limite posto alla collera divina, ordine sigillato al di sopra di tutti gli elementi affinché si ricordassero di non scatenarsi mai più fino al punto di cancellare il genere umano; tale nobile origine, tuttavia, non ha impedito all'arcobaleno di collezionare altre origini, altri miti. Al principio deve essere sembrato


Arcobaleno simile ad un animale informe, assettato di nuovi spazi, nuove dimensioni, affamato di forme e consistenze; infatti fra i termini che lo denotano quelli zoomorfi (totemismi, indicazioni claniche), che sono i più antichi (a seguire quelli antropomorfici preislamici e precristiani, pagani, e i nomi antropomorfici islamici e cristiani), a mio avviso sono anche i più suggestivi. L'arco, onnipresente come termine in ambito indoeuropeo, è facilmente assimilabile a quello che è stato definito "intestino del cielo", ma anche ad una pompa, ad un sifone, però provvisto di denti, ad una proboscide colta nell'atto di aspirare…ma aspirare cosa? In Russia i bambini dicono: "Arcobaleno, arcobaleno, ti prego non bere la nostra acqua", e infatti in area slava è in uso il detto "bere come l'arcobaleno", vale a dire "bere come una spugna", solo che, a differenza delle "spugne" umane, l'arcobaleno, proprio come il tempo, è un gran "bevitore d'acqua"; non a caso in udmurto (o votiaco, lingua uralica parlata in Russia e Kazakistan) si dice che "il tempo ha bevuto l'acqua". Chi o che cosa si met-

te dunque a bere l'acqua o, peggio ancora, a succhiare tutto ciò che incontra sul suo cammino? Forse un serpente-dragone (il dragone in Italia e Svizzera - dove evidentemente lo stile non è un'optional - diventa una "cintura di dragone"), la cui origine e il cui declinarsi mitico sarebbe qui troppo lungo da spiegare, o forse un'enorme mucca, più esattamente, in sloveno, una "vacca nera", o magari un bue (molto più frequente nel folclore di quanto non lo sia nei nomi di cui è rimasta traccia; anche in greco l'arcobaleno è definito come una testa di toro che beve acqua dai fiumi), o una balena, oppure un delfino (entrambi più docili alle logiche fisiche dell'arco) . In particolare con la forma di cetaceo (balena o delfino) appare probabilmente solo in Italia dove dà il nome anche al lampo; inoltre non appare inutile ricordare il carattere sacro assunto dalla figura del delfino nelle religioni greche e latine, tant'è vero che tale termine può essere tradotto con "fratello uterino" ("delphùs": utero, "adelphòs": fratello). Come scrive Mario Alinei, "il bue è necessariamente

37 collegato con l'introduzione dell'allevamento del bestiame, quindi con un'epoca della preistoria recente, mentre il serpente e il delfino risalgono presumibilmente a un'epoca precedente, ancora legata alla caccia e alla raccolta" (M. Alinei, "Dal totemismo al cristianesimo popolare. Sviluppi semantici nei dialetti italiani ed europei", Edizioni dell'Orso, Alessandria 1984, p. 135). In Svezia si crede che l'arcobaleno raccolga l'acqua dalle proprie estremità, attraverso delle scodelle d'oro che sarebbe persino possibile carpire, a patto che si arrivi al momento giusto e che si usi una certa sveltezza (B. Maitte, "Storia dell'arcobaleno. Luce e visione, tra scienza e simboli", Donzelli Editore, 2006, p. 20). Quindi, forse, quest'essere sospeso tra il sogno e la realtà si trova a bere la stessa acqua in cui si bagna, o forse, come credono altri, il suo è un appetito indistinto che risucchia al proprio interno ogni cosa: animali, piante, case, esseri umani ecc., portandoli, in questo modo, dalla terra al cielo e poi di nuovo dal cielo alla terra così in fretta da non farcene rendere conto.

"Il raggio" Uscito dalla fascia equatoriale, il vecchio cargo avanzava flemmatico in un mare che era come un tino violaceo dalle lente ondulazioni, e sotto una cupola di azzurro. Il cielo e la superficie dell'oceano luccicavano all'infinito; l'immensità, in cui il sole si pavoneggiava, era abbagliante. Gli oggetti non allungavano più alcuna ombra. Tutto ciò che aveva per gli occhi una forma - fosse il parapetto, il cassero, il camminamento, l'albero maestro sembrava trovarsi in fusione e tremolare, ammorbidirsi, dissolversi nel calore: solo lo spazio fuori bordo induriva man mano che si avvicinava alla linea dell'orizzonte, dove assumeva la sembianza e la luminosità di un freddo vetro che dà sull'aldilà. Non ero mai stato così felice di non far niente. Se stendevo una gamba o ci posavo la mano, il ponte bruciava. E quando - in un alone di colori che, tanto la luce era cruda, lo faceva sembrare un arcobaleno sul punto di liquefarsi vedevo passare l'ispettore che si annoiava a bordo e che non sapeva che fare del suo fucile e della sua kodak in quella immensità che gli sembrava vuota e in cui si sentiva perduto, sentivo pietà per il mio nemico. Mi coglieva però anche la voglia di domandargli qualcosa, per prendermi gioco del poveruomo; anta più voglia da quando navigavamo tra due


38 Che dire poi dei suoi colori? Sono gli stessi dello specchio del visibile, certo, eppure rappresentano altrettanti limiti da superare, altrettanti ostacoli, e non necessariamente di ordine visivo: ne sono un esempio i noti problemi esistenziali del giallo (perennemente indicato sì come solare, ma pure nevrotico, malaticcio, perdente e geloso, troppo eccentrico, eppure "caldo", accogliente), le insonnie inguaribili, persino deliranti, dell'azzurro (diviso tra le sue sfumature, capace d'impallidire e di scurire in viso, tanto in cielo quanto in mare), l'estraneità irriducibile dell'indaco (colore, neanche a dirlo, caro all'India, e costola strappata a viva forza dal corpo cangiante del violetto), e via dicendo. Per il grande Leonardo i colori erano presenti nelle pietre, negli oggetti, negli animali, nelle piante, e senza il concorso del sole: "L'occhio non partecipa [nemmeno] all'origine dei colori dell'arco […]. L'arco in sé non partecipa in alcun modo alla produzione di questi colori […]. L'arco in sé non è nella

Arcobaleno pioggia né nell'occhio che lo vede […] del rossore dell'arco sono causa il Sole, la pioggia e l'occhio […] il rossore dell'arco celeste si genera stando l'occhio intra la pioggia e il Sole […]." - come a dire che l'unico sentimento di vergogna degno di essere vissuto appartiene a quello sguardo che osa mettersi in mezzo tra altri due - "Il qual rossore, insieme cogli altri colori, sarà di tanto maggiore eccellenza, quanto la pioggia sarà composta di più grosse gocciole. E quanto tali gocciole sono più minute, tanto essi colori sono più morti; e se la pioggia è di natura di nebbia, allora l'arco sarà bianco, integralmente scolorito" (Leonardo da Vinci, "Trattato sulla pittura", Carabba editore, Lanciano 1947). Verrebbe quasi da pensare che tutti coloro che nell'arco della propria vita sono riusciti a vedere soltanto pochi arcobaleni, magari nessuno doppio o in qualche modo "speciale", debbono in realtà aver visto una vera moltitudine di arcobaleni bianchi. Magari potessero sembrarci bianchi anche i difetti, le

dissonanze che i colori loro malgrado veicolano nei nostri sguardi e, da lì, nelle nostre esistenze: essi, pure inondati dalla luce del Sole, ci sembrerebbero talmente chiari da passare come sott'intesi (seguendo in questo caso la scala dei colori dettata da Aristotele, secondo cui il nero rappresenta l'assenza di colore e il bianco la sua massima attualizzazione). Soltanto un raggio casuale, un lampo dispersosi nell'aria per errore, verrebbe a ricordarceli ogni tanto, magari soltanto in quei rari giorni festivi in cui ci avanzi abbastanza tempo per osservare un intero temporale dall'inizio alla fine. Morale della favola: i colori si sono rivelati volubili, i volumi variabili, le dimensioni niente più che ombre - al punto che persino l'arcobaleno evoca tabù contrastanti (per gli ebrei vige l'interdizione di fissarlo, mentre rappresenta il fulcro del proprio credo sempre per una setta ebraica) -, e fanno apparire le divinità degli elementi naturali quali pittori maldestri (ma irrimediabilmente felici).

tra due specchi, non c'erano più né uccelli né nuvole contro cui sparare per ammazzare il tempo, e l'intruso s'era calzato sul naso degli spessi occhiali neri. - Signor Deloeil! si tolga gli occhiali, faccia una foto, presto,. rischia di perdersi il raggio verde! Era il crepuscolo. La giornata aveva goduto di luce e calore stupefacenti. Davanti a noi il disco del sole, enorme e arrossato, adesso spariva rapidamente dalla vista. Dietro di noi l'orizzonte si appannava d'inchiostro. Già la notte saliva dal mare, invadendo il cielo dall'est allo zenit, dipingendo sulla sua superficie uno strato più cupo di blu, tendente al nero, ma restando trasparente come l'oltremare. Sulla sua superficie si diffondeva del rame in fusione, che si miscelava al luttuoso viola delle acque, i cui solchi, i riflessi, i vortici avevano il prezioso luccichio del lapislazzuli, ma la cui massa agitata era crivellata, impastata e compenetrata da riflessi oro antico e verderame. L'altra parte del cielo, dallo zenit all'ovest, all'estremo ovest, sfumava dal rosa al rosso, diventava cremisi, rosso violetto, arancio, verde indiano, giallo, e il sole - una cui metà fiammeggiava dall'altra parte del mondo e ciò che restava del disco si liquefaceva a vista d'occhio nel tino violaceo - lanciava dei ciuffi, lingue, getti di fuoco, fusi d'oro, d'antimonio e d'argento, delle braci, lava incandescente, raggi di platino, un cono verde. - E' stupendo! gridò il comandante Deloeil che, appollaiato al mio fianco sul parapetto non s'era perso nulla dello spettacolo, ma aveva scordato di scattare una foto. E' stupendo… Si, è ancora più bello che in Jules Verne!(Blaise Cendrars, "Il raggio verde", Via del Vento, 2011)


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Fiori D’Acciaio

“Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella “ zona grigia” in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi”

(Rita Levi Montalcini)

Ogni mese Piazza del Grano offre questo spazio a tutte le donne. Manda la tue mail a “parliamone” : pp.zzadelgranodonne@libero.it


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PARLIAMONE… “Il coraggio di conoscere” DI

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CATIA MARANI

l 30 gennaio è morta Rita Levi Montalcini. Sua la citazione: “quando muore il corpo sopravvive quello che hai fatto, il messaggio che hai tramandato”. Una donna che ha goduto di una immensa popolarità, la cui intelligenza era accreditata in tutto il mondo con premi e riconoscimenti. Nel 1986 le fu assegnato il premio Nobel per la medicina. Grazie al suo serio lavoro di ricerca, che perseguirà anche fra mille difficoltà, anche mettendo a rischio la sua stessa vita, nel 1951 scoprì l’esistenza del fattore NGF. Scoperta che è stata fondamentale per gettare le basi della moderna neurobiologia. Si tratta di una proteina in grado di regolare lo sviluppo del sistema nervoso, presente nei vertebrati. Una donna che aveva saputo farsi strada in un mondo piuttosto chiuso al genere femminile, come quello della ricerca scientifica, specie nel passato, specie per un’ebrea italiana negli anni della persecuzione razziale. Chi ha avuto la fortuna di conoscerla più da vicino, riferisce che ha lavorato e studiato fino agli ultimi giorni della sua vita, con la stessa costanza e perseveranza degli esordi. Una donna che vale la pena ricordare, non solo per il ricco curriculum scientifico, ma anche per la serenità del sorriso, con il quale si presentava ad ogni pubblica apparizione. Per la sua proverbiale autoironia, per il suo animo speciale ed umano, prima che per il ruolo di scienziata. Non a caso era soprannominata la “Signora della scienza italiana”. Diversi anni fa fu l’unica donna insieme a Ines Colnaghi, Direttore Scientifico dell’AIRC, ad essere premiata a Bevagna dal Comitato Scientifico dell’Associazione Giuseppe Corradi, attualmente presieduto dal Prof. Silvio Garattini, con il Premio “Ercole Pisello”. Manifestazione scientifica che ormai si svolge puntualmente dal 1989, data della sua fondazione, contribuendo così ad attribuire all’evento una visibilità nazionale. Fu molto disponibile e cordiale con tutti, intervenne e ringraziò, con la stessa grazia e riconoscenza di quando le fu annunciato che era le era stato assegnato il Nobel per la Medicina. Era stata nominata senatrice a vita nel 2001

dall’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi . Ha destinato molte delle sue risorse fisiche ed economiche per sostenere cause sociali di prioritaria importanza fondando una Onlus che porta il suo nome, e ha l’intento di assicurare un futuro alle donne africane. Premesso che diceva di non essere femminista, ma umile sostenitrice di quei rami del genere umano più deboli, si prodigava a favore delle donne dell’Africa. Si batteva, affinché l’accesso alla conoscenza e al sapere si diffondessero, soprattutto in quei paesi in cui sono più diffuse la miseria e l’ignoranza, dove le donne subiscono di più l’allontanamento alla cultura , senza violare l’identità di quel popolo e delle sue tradizioni. olti conosceranno la storia della giovane Malala Yousafzai, studentessa e attivista pakistana, che si è opposta alle leggi talebane, dopo l’ingiusta abolizione del diritto allo studio per le bambine e le giovani. All’età di tredici anni era diventata celebre per il blog, nel quale documentava il regime talebano, che nella regione dello Swat, dopo una occupazione militare, si era rivelato contrario ai diritti delle donne. Per questa sua attività di sostegno nei confronti di tutte le pakistane, che al pari di lei, avevano il desiderio di istruirsi, il 9 ottobre 2012 è stata ferita alla testa e al col-

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lo, da uomini armati saliti a bordo del suo pullman scolastico, mentre tornava da scuola. Ricoverata nell'ospedale militare di Peshawar, si è salvata dopo la rimozione chirurgica dei proiettili. Ihsanullah Ihsan, portavoce dei talebani pakistani, ha rivendicato la responsabilità dell'attentato, definendo la ragazza “simbolo degli infedeli e dell'oscenità”, aggiungendo che se fosse sopravvissuta, sarebbe stata nuovamente attaccata. Malala è stata in seguito trasferita in un ospedale di Londra, dove è stata accolta per essere curata. IL 1 febbraio scorso, il partito laburista norvegese ha proposto la candidatura di Malala al premio Nobel per la pace 2013. a Montalcini si rivolgeva spesso ai giovani, a quelli come Malala, a quelli che non hanno paura di conoscere dicendo: “Il messaggio più importante che invio, è di affrontare la vita con totale disinteresse alla propria persona, e con la massima attenzione verso il mondo che ci circonda, sia quello inanimato che quello vivente. Questo, ritengo, è stato il mio unico merito”. Sono due storie di donne appartenenti a continenti, culture e generazioni differenti, ma legate da un unico comun denominatore: la forza. All’apparenza fragili fuori, come fiori sbattuti dal vento, dentro, resistenti come l’acciaio.

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Le immagini utilizzate in questo inserto sono particolari di opere di Gustav Klimt


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Le grandi donne della storia Maria Montessori Civico 10 Figlia di Alessandro Montessori, emiliano, e di Remilde Stoppani, marchigiana, Maria nacque in una abitazione al civico 10, di Piazza Mazzini a Chiaravalle. I genitori erano persone istruite e sensibili alle nuove idee politiche che parlavano di unità italiana. Studi Il rendimento della piccola Maria alle elementari non fu particolarmente brillante, a causa di problemi di salute. All’età di 11 anni cominciò ad appassionarsi agli studi, soprattutto divenne una eccellente studentessa in italiano. Si diplomò alla “Regia Scuola Tecnica” con 137/160. Nel 1896 sarà la prima donna a laurearsi in medicina dopo l’unità d’Italia. Parità Partecipa al congresso femminile di Berlino nel 1896 come rappresentante italiana. E’ rimasto famoso un suo intervento in tale sede, sul diritto alla parità salariale fra uomo e donna.

Città di Castello Scrive e pubblica un volume di pedagogia durante il primo corso di specializzazione a Città di Castello. Il testo, “Il metodo della pedagogia scientifica”, viene tradotto e accolto in tutto il mondo con grande entusiasmo. Regime Maria accetta l’appoggio di Mussolini interessato a risolvere il problema dell’analfabetismo con le case dei bambini. Successivamente i rapporti con il regime si deteriorarono, tanto che nel 1933, quando esce “La pace e l’educazione”, Maria Montessori è ormai emarginata dalla cultura fascista. Bambini e genitori Diceva: “Spesso, fra bambini e genitori, si invertono le parti. I bambini che sono degli osservatori finissimi, hanno pietà dei loro genitori e li assecondano per procurargli una gioia.” Noordwiijk Muore in Olanda il 6 maggio del 1952. Sulla sua tomba si legge in italiano: Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo.

41 In Libreria Consigliati e Sconsigliati dalle donne Mainsfield Park di Jane Austen – Garzanti Uno dei romanzi più noti e discussi della Austen. Difficile staccarsi dalla meravigliosa Fanny, difficile non farsi coinvolgere dai suoi amori, dalle passioni e dagli abbandoni sui verdi prati di Mainsfield Park. E’ seria, schiva. Impedisce che l’unità familiare se ne vada in pezzi, non apprezza l’ostentazione. Di Fanny ce ne sono tante anche oggi, eroine dei nostri tempi. Si >>>>> All’indietro sui tacchi a spillo T. Kindrlsley – S. Vine – Einaudi Ginger Rogers faceva tutto quello che faceva Fred Astaire, solo in dietro e sui tacchi a spillo. Non è un manuale di auto aiuto né un libro di consigli. E’ uno sfogo, si discute di tutto come fra amiche, dalle questioni economiche, alle creme per il viso. In conclusione? Questo mondo non è per le donne. Ci sono tante cose da cambiare. Si >>>> Le Prime luci del mattino Fabio Volo – Mondatori Ho finito di leggerlo qualche giorno fa. Mmmhhh, dopo un incipit accattivante, non mi sento di consigliarlo nonostante sia scritto da un uomo che ha cercato di mettersi nei panni di una donna, anzi, di toglierseli, dall’inizio alla fine. La narrazione è abbastanza scorrevole, ma la storia è banale e scontata. Ad un certo punto mi ha “letteralmente” annoiato. Un tentativo fallito di svelare che le donne sanno fare sesso come gli uomini con gli ormoni e non con il cuore? Speravo almeno in una svolta nel finale invece… è solo una operazione di marketing. No> Angelology di Danielle Trussoni – Nord Una lettrice, Marisa, ci segnala di aver letto questo libro che è stato giudicato fra i migliori 100 del 2010. Scrive che oltre alla storia che mescola thriller religioso all’elemento angelico, aggiungendo ad ogni pagina colpi di scena e suspance, è ricco di descrizioni che ne rendono la narrazione piuttosto insolita. Sulla fiducia Si>>>>


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8 marzo 2013 festa della donna! Le origini della festa della donna si fanno risalire al 1908 quando a new York, durante uno sciopero indetto da 129 lavoratrici tessili, scoppiò un incendio che ne causò la morte. Nel 1915 per commemorare le vittime di quella tragedia, Rosa Luxemburg, attivista del socialismo rivoluzionario, propose questa giornata come occasione di lotta internazionale per ribadire i diritti delle donne. Non una festa quindi, ma un giorno per riflettere sulla condizione femminile. Purtroppo nel tempo questa ricorrenza ha perso il suo vero significato, soprattutto nei paesi più evoluti, dove le donne vivono questa giornata come un giorno di aggregazione femminile per girare nei locali, per concedersi una giornata diversa,

magari all’insegna della trasgressione. Per questo molte rifiutano di identificarsi in questa giornata. Quel ramo di mimosa che nel 1946 dalle organizzatrici romane della ricorrenza, venne eletto a simbolo di una giornata di lot-

ta, perché era di stagione e veniva venduto a poco prezzo, oggi è motivo di speculazione per i vivaisti di tutto il paese. Non sviliamo ulteriormente questa manifestazione ed auguriamoci un futuro migliore. Auguri donne!

Benessere al Naturale

Mode & Modi La Camicia

La Donna Pesci 21 febbraio - 19 marzo

H2-0 Bere tanto, circa due litri e mezzo di acqua al giorno, è come spalmarsi una crema idratante. Le donne che bevono, possiedono una pelle più giovane, un derma più spesso e idratato, e traggono maggiori benefici dalle terapie estetiche. Le migliori? Quelle ricche di ferro, zinco e selenio. Contro le doppie punte Se i capelli sono sfibrati e si spezzano, almeno un paio di volte a settimana, fai un impacco naturale mescolando 3 cucchiai di yogurt con uno di miele; applica sui capelli e massaggia delicatamente. Per raddoppiare la capacità del fusto di assorbire i principi attivi, copri la testa con carta d’alluminio e avvolgila poi in un asciugamano caldo. Lascia agire per venti minuti, poi sciacqua con acqua calda. Per evitare le doppie punte, spazzola i capelli dolcemente una sola volta al giorno, evita di usare troppo spesso piastre ed il phon troppo caldo direttamente sulle punte. Maschera idratante per il viso Mescola due cucchiai di miele con la polpa di un’arancia. Metti la pappa in una garza e poggiala sul viso ben deterso. Lascia in posa per 20 minuti circa. Togli la maschera e sciacqua con acqua o con un tonico.

La camicia con il passare del tempo assume ruoli e significati diversi. Nel passato, come si evince dalle antiche fonti latine, col nome subucula, aveva la funzione della moderna biancheria intima. Dal 1300, anche arte e cultura danno risalto a questo capo, tanto che uomini e donne, venivano spesso ritratti e descritti in camicia. Nel 1500 il vero protagonista è il collo, infatti intorno allo scollo comparvero piccoli volant, evolvendosi più avanti nella “gorgiera”, che richiedeva un enorme dispendio di stoffe. La forma attuale con l’abbottonatura avanti è una innovazione del XIX sec. Dal 1930 la camicia con il nuovo collo reversibile, si conquista un posto di primaria importanza nell’eleganza maschile e femminile. Dalla fine della guerra ad oggi essa non ha subito sostanziali modifiche. Le tendenze per l’imminente stagione hanno un po’ accantonato le linee slim. Vengono proposte morbide, in tessuti leggeri, quasi impalpabili. Anche senza strizzare avvolgono il busto, esaltando al tempo stesso eleganza e sensualità. Il collo spesso è impreziosito da perle, pizzo o piccole borchie metalliche, vezzoso contrappunto di una moderna rigidità formale. I colori più chic? Tutte le tonalità fra il bianco e il cipria.

Tradizionalmente l’acqua è collegata alle emozioni della donna Pesci. Ipersensibile e inquieta, ha una ricchissima vita interiore che le procura frequenti e incomprensibili mutamenti di stato d’animo, un alternarsi di eccitazione e depressione. Forte il suo bisogno di vivere le situazioni in comune per rapportarsi soprattutto, con le persone che ama e stima. Il suo timore nell’affrontare le cose importanti si estende anche alle questioni di cuore. Malgrado la sua fortissima capacità di amare, la donna Pesci tende ad essere inafferrabile, all’apparenza mai completamente coinvolta nella relazione. In genere si riconosce per l’armonia del volto caratterizzato spesso dalla presenza di occhi chiari, dolci e languidi. Il suo look esprime la seduzione pura e vincente. Donne Acquario: Anna Magnani – Attrice italiana (7 marzo 1908) Emma Bonino – Esponente del Partito Radicale italiano (9 marzo 1948) Isolde Kostner – Ex campionessa italiana di sci (20 marzo 1975) Senza pretesa scientifica abbiamo riassunto le caratteristiche della donna pesci, abbiamo giocato con gli astri, perché è sempre divertente contrapporre il teorico all’empirico, il sogno alla realtà.


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Madama Butterfly

Ripeto le vostre quattro parole, continuo a ripeterle, mi porto il vostro silenzio nelle notti d’insonnia. Non prego mai, non ho mai paura, non piango per alcun motivo. (Nina Berberova,“Trasmissione oltrecortina”, 1961, da “Antologia Personale, poesie 1945-1983”).

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Farfalla

Un dramma moderno DI CHIARA MANCUSO

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l 17 febbraio 1904 in occasione della stagione di Carnevale e Quaresima, dopo tre anni di studio e preparazione, andava in scena la prima di Madama Butterfly di Giacomo Puccini alla Scala di Milano: un fiasco solenne. Il pubblico e la critica non erano pronti per questa opera “esotica” ben lontana dal classico melodramma Verdiano, sia per il tema che per la musica, volutamente orientale: il maestro Puccini, infatti, si era avvalso perfino della consulenza moglie dell'ambasciatore nipponico e dell'attrice giapponese Sada Yacco per rappresentare nel modo più fedele possibile la storia di Cio-cio-san, ricreando non solo le scene e i costumi tipici giapponesi, ma andando a ricercare le caratteristiche stilistiche della musica orientale, già studiate in quegli anni da Debussy. Le critiche feroci costrinsero Puccini a modificare ben tre volte l'opera, in particolare nel terzo atto, ritoccando l'ultima aria di Butterfly. La storia, scritta dall'americano John Luther Long nel 1898, era già divenuta soggetto teatrale per opera dell'inglese David Belasco: Puccini assistette alla rappresentazione a Londra nel 1900, ne rimase particolarmente colpito e subito, grazie alla collaborazione dei soliti Illica e Giacosa, librettisti storici del maestro, iniziò a lavorare al melodramma. L'opera venne dedicata alla regina d'Italia Elena di Montenegro. La struggente storia della giovane geisha Cio-cio-san apre uno spiraglio in una consuetudine amara che si svolgeva in Giappone alla fine dell'ottocento, anticipando, in un certo senso, quello che nei giorni nostri è diventato il turismo sessuale, che coinvolge soprattutto minorenni: marinai americani si sposavano per gioco con le giovani giapponesi, approfittando del fatto che quel matrimonio non era riconosciuto in America e che per la legge nipponica, il solo abbandono del tetto coniugale equivaleva a tutti gli effetti ad un divorzio. Così l'ufficiale di marina F.B. Pinkerton, con l'aiuto del “nakodo” (sensale) Goro, organizza per gioco il matrimonio con la quindicenne Cio-cio-san. "Vogliatemi bene, un bene piccolino, un bene da bambino". Tutto qui. E' questa l'unica richiesta che la giovanissima geisha fa a F.B. Pinkerton: in fondo è questa la stessa richiesta di tante donne ancora oggi, verso quell'uomo che di tutta risposta ne fa l'oggetto dei propri desideri.

Chiara Mancuso nasce a Palermo, ma dall'età di quattordici anni vive in Umbria. A soli quindici anni viene invitata dal comitato “8 Marzo”, a leggere le sue poesie, in qualità di finalista più giovane al concorso letterario indetto dallo stesso comitato, evidenziando sempre doti e riconoscimenti tanto musicali quanto letterari. Attualmente lavora come insegnante di chitarra classica e moderna e sta completando gli studi di chitarra elettrica presso l’Accademia Lizard. Inoltre dal 2005 insegna alla Libera Università Popolare (AUSER), occupandosi di seminari di storia della musica. La Libera Università Popolare ha sedi in tutta l'Umbria (S.Maria, Spello, Massamartana, Norcia, Montefalco, Spoleto...) e all'interno delle sue strutture vengono svolti programmi su vari argomenti, dalla storia dell'arte alla botanica; vengono organizzate anche visite guidate in musei, gite, cabaret culturali. Uno degli appuntamenti fissi, tutti gli anni, è la visione diretta di un'opera in uno dei teatri più importanti in Italia: quest'anno si vedrà appunto "Madama Butterfly", alla Fenice di Venezia. Chiara Mancuso sarà a Foligno il 30 aprile alle 17 nella sede AUSER di via Raffaello Sanzio, presso il centro commerciale di Sportella Marini, e a S.Eraclio il 2 Maggio, alle 17 utilizzando per la sua lezione sulla Butterfly anche una videoproiezione (fino all'anno scorso questa presentazione veniva fatta in collaborazione con Antonio Lubrano, in un'unica serata).


Farfalla Madama Butterfly è una storia come tante non troppo lontane dalla nostra realtà: una ragazzina di quindici anni, che per vivere fa la Gheisha, e spera di riscattare la sua condizione economica e sociale sposando l'americano, il "mito americano" di fortuna e ricchezza. Ignora i commenti di amici e parenti che già immaginano l'epilogo di un matrimonio finto, fatto solo per gioco; solo l'intervento dello zio Bonzo la fa esitare : Cio-ciosan si era convertita segretamente alla religione cattolica, convinta che Pinkerton l'avrebbe portata con sé in America, e questo affronto alla tradizione di famiglia, non può rimanere impunito. “Kamisarundasiko”, l'imprecazione dello zio Bonzo, rompe l'atmosfera giocosa del matrimonio e fa cadere Cio-cio-san nella realtà cruda della sua solitudine, abbandonata da tutti (“ci hai rinnegato tutti e noi ti rinneghiamo!”). Per la prima volta ha paura di quella nuova realtà, ma si lascia convincere dal suo sposo che "l'amore non ha mai ucciso nessuno". Si convince perfino che lui ritornerà da lei una volta ripartito per l'America, e per tre anni lo aspetterà fedele, rifiutando la proposta di un nuovo matrimonio, custodendo gelosamente l'unico dono che l'americano le ha lasciato: un figlio. Tutte le sere spera di vedere "levarsi un fil di fumo dal-

l'orizzonte" e riabbracciare il suo sposo; finchè dopotre anni Pinkerton ritorna, ma non da solo. Si è risposato, infatti, con una giovane donna americana, Kate, ed è tornato in Giappone, per conoscere suo figlio e portarlo con sé in America; ma "non ha il cuore" di dirlo a Butterfly e lascia che siano il console americano, Sharpless, e la sua serva e amica, Suzuki, a riferire le sue intenzioni. Kate Pinkerton, un personaggio muto, dirà solo pochissime parole, quasi come uno spettro, appare defilata nella scena, prendendola tutta con un silenzio immobile: qui si esprime la genialità innovativa di Puccini, nel proporre la forza del silenzio in un genere musicale in cui la parola aveva avuto fino ad allora il sopravvento sulla musica. Butterlfy, vedendola, capisce tutto e privata ormai d'ogni cosa, fa l'unica scelta che la sua cultura le suggerisce di fare: "con onore muore chi non può serbare la vita con onore", così è inciso nel pugnale che suo padre aveva usato per togliersi la vita e con onore si uccide Madama Butterfly. I librettisti Illica, che curava la “sceneggiatura”, e Giacosa, che metteva le parole in versi, sono abilissimi nel caratterizzare i personaggi nel rispetto maniacale dei costumi nipponici: i modi superficiali e grezzi dell'Americano sono in netto contrasto con l'eleganza e la delica-

45 tezza di Butterfly; i gesti di Pinkerton rasentano l'offesa più di una volta contro le usanze giapponesi intrise di onore e rispetto della tradizione. La musica di Puccini rende perfettamente la drammaticità della storia: si discosta nettamente con l'opera dell'ottocento risentendo dell'influenza Wagneriana, rompendo le forme chiuse (recitativo e aria), dando inizio all'espressionismo musicale sul filone del “poema sinfonico” tipico delle opere del tedesco. Il coro è usato al pari di uno strumento orchestrale, e nel secondo atto scompare del tutto, perdendo "la voce" in una delle pagine più belle della musica operistica con l'esecuzione del famoso "coro muto": questo brano è la musica dell'anima, dell'attesa vana, della notte che non finisce. Straziante la parte di Butterfly in tutto il secondo atto, che culmina nella più alta drammaticità nell'aria un "bel dì vedremo": il dolore di questa ragazzina, strappata dalla sua innocenza, ingannata, condannata ad una attesa inutile, ci coinvolge con commozione e rabbia fino all'epilogo, al tragico finale che contrappone la nobile Butterfly che si uccide come un guerriero sconfitto, alla vigliaccheria dell'uomo inutile, che per gioco e per vanteria ha raccolto una farfalla impedendole per sempre di volare via.


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Farfalla

A scanso di equivoci. Chi è la geisha? Erroneamente si confonde la Geisha con la prostituta: letteralmente la parola geisha vuol dire "persona d'arte". La geisha aveva il divieto assoluto di prostituirsi. Per un occidentale in visita nel Giappone di fine ottocento è molto facile cadere nell'equivoco: apparentemente, infatti, le Geishe e le prostitute differivano solo nel modo di portare l'Obi (il fiocco del Kimono); le prime lo portano sulla schiena, mentre le altre sul davanti. Tuttavia, oltre questo piccolo particolare, la geisha doveva seguire un periodo di addestramento molto duro e lungo: si entrava da bambine nella casa delle geishe, dette okya, e si dovevano superare tre periodi di apprendistato. Nel primo periodo, le ragazze, chiamate Shikomi, si dedicano esclusivamente ai lavori domestici e hanno il compito di aspettare e servire le geishe a tutte le ore del giorno e della notte. Potevano iniziare ad imparare le arti, suonare gli strumenti a

corda (shamisen), a fiato (shakuhachi), canto e danza. Solo dopo aver superato un esame che attestava che la shikomi era sufficientemente preparata nelle arti e nella danza, diventava miranai: in questa fase le miranai venivano dispensate dai lavori domestici, imparavano l'arte di indossare il kimono e affiancavano le geishe nelle loro attività; potevano partecipare alle cene e alle feste, non avendo ancora facoltà di parola, né di espressione. L'ultima fase, la miranai diventa maiko e affiancava una geisha detta onee-san(sorella maggiore) che le insegnava tutto quello che a scuola non poteva essere imparato, come la conversazione e insieme sceglievano il futuro nome della geisha. Le ragazze che sceglievano di fare le geishe, spesso erano costrette a farlo per la mancanza di mezzi della famiglia d'origine, o perché orfane e sole; entrare a studiare nell'okya era molto oneroso e una volta finito il periodo di

apprendistato, le geishe iniziavano a lavorare per ripagare il debito con l'okya. Per questo motivo, accadeva che un uomo, detto “danna”, aiutasse la geisha a ripagare il suo debito. Il danna era un uomo benestante, talvolta,sposato che sceglieva senza alcun fine di aiutare la geisha; tuttavia, non era escluso che fra la geisha e il suo danna nascesse una storia d'amore. La geisha non aveva il permesso di sposarsi e in caso di matrimonio doveva lasciare il lavoro di geisha. Di fatto le geishe venivano pagate per intrattenere gli uomini con danze, musica o semplicemente conversando di letteratura o leggendo poesia, dal momento che le altre donne in Giappone, non avevano la possibilità di studiare: la donna all'interno della società, così come all'interno del matrimonio, spesso combinato, non godeva di alcuna considerazione, non poteva parlare in pubblico, ed era assolutamente asservita all'uomo.


Donne al cinema

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Martedì al cinema. Un altro cinema è possibile L'8 gennaio 2013 è iniziata al Politeama Clarici (durerà fino al 28 maggio) la seconda parte della rassegna cinematografica curata da Roberto Lazzerini e promossa dalla Casa dei Popoli con il patrocinio del Comune di Foligno, Assessorato all’associazionismo. Per molti di noi si tratta di un appuntamento irrinunciabile, attraverso cui culture, famiglie e patrie diverse riescono a incontrarsi e dialogare, allo scopo di arricchire la cittadinanza - e non solo - di nuovi e molteplici punti di vista. Rimangono invariati il giorno della settimana, il martedì, gli orari (17,30- 20,15- 22,30) e il costo del biglietto (ridotto per i soci della Casa dei Popoli a €4,50 e €3 per gli studenti e per gli over 60). Anche quest'anno l'ottomarzo sarà ricordato per tutto il mese con quattro film, per testimoniare attenzione e vigilanza nei riguardi della violenza contro le donne.Quest’anno l’amministrazione Clarici offre a tutte le donne il biglietto a 3 euro per i quattro film di marzo. I programmi si possono trovare nei botteghini del Cinema Politeama e del Supercinema Clarici.



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