supplemento al numero 3 - Anno III - marzo 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
Nè con lo Stato borghese Nè con le Brigate Rosse I Comunisti non debbono mai tagliarsi fuori dalla maggioranza del popolo e, dimenticandosi di essa, andare alla ventura capeggiando qualche minoranza avanzata; ma staranno sempre attenti a stabilire stretti legami tra gli elementi avanzati e la grande massa del popolo. Questo vuol dire pensare alla maggioranza. Noi Comunisti siamo come il seme e il popolo è come la terra. Dovunque andiamo, dobbiamo unirci al popolo, radicarci e fiorire in mezzo al popolo. MAO Gettare la sola avanguardia nella battaglia decisiva prima che tutta la classe, prima che le grandi masse abbiano preso una posizione o un appoggio diretto allavanguardia, non sarebbe soltanto una sciocchezza, ma anche un delitto. Affinché effettivamente le grandi masse dei lavoratori e degli oppressi dal capitale giungano a prendere tale posizione, la sola propaganda, la sola agitazione non basta. Per questo è necessaria lesperienza politica delle masse stesse. LENIN
Comunismo contro terrorismo Marx contro Mazzini Il tema “terrorismo” è quanto mai “delicato” (ma d’altronde non lo sono stati meno diversi dei temi già trattati e che saranno trattati in futuro negli inserti di questo giornale). Affrontarlo richiede pertanto una premessa ideologica, politica, culturale e morale estremamente chiara. Le due citazioni a fianco del simbolo della BR dovrebbero da sole già dare sufficiente conto di quanto l’idea stessa del terrorismo sia estranea al pensiero comunista. Varrà di aggiungere che non è con Lenin, prima, e con Mao, poi, che il partito comunista (inteso come unico soggetto politico mondiale) ha sancito la sua distanza da ogni forma di insurrezionalismo elitario, marginale e/o emarginato, escluso ed estraneo dalla lotta di classe che è il vero motore del processo che conduce alla realizzazione della società comunista. La prima lezione in tal senso la troviamo già in Marx ed Engels, nella loro severissima critica alle teorie insurrezionali mazziniane e di quella nutrita schiera di ideologi borghesi che nella metà dell’ottocento progettavano, attraverso velleitarie iniziative di ribellioni assolutamente minoritarie e singole azioni “bombarole” regicide, la costruzione di una Europa repubblicana che avrebbe sancito (parole testuali di Marx) l’avvento di una Europa democratica con l’ “imbecillità decretata in permanenza”.
L’esaurimento della spinta rivoluzionaria del 1948 aveva aperto alla analisi dei meccanismi di funzionamento del nuovo sistema capitalista. E’ nel decennio seguente, nel così detto “decennio fecondo”, che Marx ed Engels elaborano la teoria del capitale, ne analizzano e svelano i meccanismi di formazione e di conservazione, di presa e di gestione del potere dapprima economico e poi politico. Emerge e si definisce il concetto di classe, ovvero delle classi sociali create dal nuovo sistema di economia capitalista che stabilisce un nuovo rapporto di dominio dell’uomo sull’uomo, basato non più sul privilegio della nascita e sulla forza delle armi, ma sulla proprietà dei mezzi di produzione. E’ sulla lotta di classe che si svolgerà la futura storia dell’umanità e l’esperienza del primo governo popolare della Comune di Parigi del 1870 (profondamente avversata da Mazzini) ne costituirà la prima testimonianza; ma sarà anche la prova della immaturità di un progetto rivoluzionario vincente e, dunque, durissima sarà la posizione dei fondatori del comunismo scientifico avverso il così detto “terrorismo democratico italiano” ispirato da Mazzini nella totale indifferenza delle classi popolari che, fallimento insurrezionale dopo fallimento, ne subiranno le conseguenze devastanti. Mazzini era un terrorista,
spinto sino alla organizzazione di attentati bombaroli regicidi, i comunisti ne hanno da subito denunciato la imbecillità e la pericolosità. Marx ed Engels combatterono tutta la vita contro questa concezione soggettivistica della politica, contro questa concezione settaria. Essi operarono per una rivoluzione sociale che avesse per protagonista non una minoranza che incute “terrore”, ma la classe del proletariato, la massa degli sfruttati. Scriveva Marx già nel 1851: “Ritengo che la politica di Mazzini sia fondamentalmente sbagliata. Col suo insistere affinché l’Italia si metta ora in movimento, egli fa il gioco dell’Austria. D’altra parte trascura di rivolgersi a quella parte dell’Italia che è oppressa da secoli, ai contadini, e in tal modo prepara nuove riserve alla controrivoluzione. Il signor Mazzini conosce soltanto le città con la loro nobiltà liberale e i loro citoyen éclairés (cittadini illuminati). Naturalmente i bisogni materiali delle popolazioni agricole italiane dissanguate e sistematicamente snervate e incretinite come quelle irlandesi sono troppo al di sotto del firmamento retorico dei suoi manifesti cosmopolitico – neocattolico – ideologici ... Per il rimanente la rivoluzione italiana supera di gran lunga quella tedesca per la povertà di idee e l’abbondanza di parole”.
Anni di piombo, cellule eversive, anarco-insurrezionalisti e altre pericolose imbecillità Quattro (o cinque o sei, il numero non conta) ragazzi di provincia inviano una busta con due proiettili alla Presidente della Regione, bruciano un paio di centraline elettriche e imbrattano dei muri con scritte “eversive”. Piovono dal cielo le “forze speciali” e la televisione (tutte le televisioni) rimbombano la minaccia del “ritorno agli anni di piombo”; anni (3, 4 decenni in verità) nei quali, secondo politici, politologi e giornalisti d’avanspettacolo l’Italia avrebbe vissuto nel terrore di attentati terroristici “rossi” (o rosso-neri se anarchici). Nell’articolo a fianco abbiamo chiarito l’estraneità, anzi l’incompatibilità tra qualsiasi organizzazione sedicente rivoluzionaria pensata su azioni paramilitari individualistiche e l’universo del pensiero filosofico, scientifico e morale del comunismo. Vogliamo qui dedicare alcune brevi considerazioni all’uso scientifico, politicamente criminale, che viene fatto di false evocazioni emotive per creare invece emozioni reali; del parlare cioè di un “antico” terrore inesistente per indurne invece uno attuale e reale. Utilizzeremo dei numeri ribadendo che i dati che citeremo, come sempre, hanno fonti sicure e comunque sono verificabili da parte di chiunque lo voglia. Utilizzeremo dei numeri, in qualche modo violando un
principio al quale vorremmo sempre attenerci, quello delle “ragioni” che danno “qualità” alle “quantità”, per cercare di dare con maggiore immediatezza il senso delle proporzioni, ovvero delle “sproporzioni”. Con “anni di piombo” in Italia ci si riferisce all’oramai circa quarantennio che va dalla prima comparsa delle Brigate Rosse torinesi e genovesi agli ultimi allarmi della ridicola (il termine non si riferisce e non vuole assolutamente offendere i ragazzi coinvolti) cellula eversiva spoletina. Le vittime imputabili a questo quarantennio di violenza sono state circa 85 (ripetiamo: ne sarebbe bastata una per qualificare ignobile quel fatto, anzi quel reato, ma un numero ha pur sempre un significato). Nello stesso quarantennio le vittime imputate alle azioni paramilitari dell’ETA basca sono state circa 850, tra le quali lo stesso primo ministro spagnolo Carrero Blanco. Ancora nello stesso periodo di quaranta anni le vittime della guerra indipendentista dell’IRA irlandese sono state circa 3.500 delle quali, precisano gli stessi irredentisti, 700 non combattenti. Tra le vittime “eccellenti”: il vice re dell’India lord Louis Moutbatten e, salva, la primo ministro Thatcher. Recentemente il Ministero dell’Interno italiano ha pubblicato una riclassifica-
zione degli omicidi in Italia per il quindicennio 19922006; complessivamente alla mafia siciliana, alla ndrangheta calabrese, alla sacra corona pugliese e alla camorra campana sono stati attribuiti ben 3.000 omicidi. Se il dato viene rielaborato per l’intero quarantennio considerato nei casi precedenti appare assai verosimile la cifra di 10.000 morti diffusa da Saviano in alcune interviste televisive. Inutile citarne le vittime così dette “illustri” (tutte le vittime sono illustri se ovviamente non sono della stessa “famiglia”) dalla magistratura, alle forze dell’ordine, alla politica e alla stampa “buone”, a tanti cittadini “onesti” laici e religiosi. Una guerra civile, tre volte più violenta dell’irredentismo irlandese e dieci volte più sanguinaria di quello basco, più di 100 volte il terrorismo così detto rosso. Perché allora solo l’evocazione degli anni di piombo genera (si vuole che generi) terrore, mentre il termine mafia finisce non raramente a coniugarsi con quello di “uomo d’onore”? Perché basta una sola stella a cinque punte malamente schizzata su di un muro di Torino per demonizzare un’intera classe lavoratrice e piegare, o almeno provare a piegarla alle volontà del padrone dei mezzi di produzione. Con la mafia si tratta, ai lavoratori si impone.
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