Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno IV, n. 6 - novembre 2012 - distribuzione gratuita
“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)
piccola e povera città
Le Pubblicazioni di Piazza del Grano La critica marxista deve porsi questa parola d’ordine: studiare, e deve respingere ogni produzione di scarto e ogni arbitraria elucubrazione del proprio ambiente. (Lev Trotsky) La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, é conquista di coscienza superiore. Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. (Gramsci) Basta un profumo di rosa smarrito in un carcere perché nel cuore del carcerato urlino tutte le ingiustizie del mondo. (Ho Chi Minh)
Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano! Il nostro obiettivo è la creazione di una società di liberi e di eguali. (Togliatti) Alcuni piagnucolano, altri bestemmiano ma pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere sarebbe successo ciò che è successo? Perciò odio gli indifferenti. (Gramsci) Siate tutti degli amministratori. Accanto a voi si troveranno i capitalisti stranieri, si arricchiranno accanto a voi. Si arricchiscano pure; ma voi imparerete da loro ad amministrare. (Lenin)
Sono come l’ingombro al centro di un incrocio, dovrei svoltare e l’unica cosa che mi viene da fare è solo ridere L'amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile.(T.W. Adorno) Fin da quando era piccolina la bimba mi ha chiesto di raccon! tarle delle favole e io mi sono inventata storie di draghi, ecc.
Chi ha il cuore bambino vede da un'altra angolazione la realtà, perché non volge gli occhi in basso ma li rivolge al cielo “Siamo realisti, esigiamo l’impossibile”, può dare forse, più d'ogni altra argomentazione so! ciologica, filosofica o politica, una idea corretta della realtà cubana.
nel sito www.piazzadelgrano.org ! inediti
L’Editoriale
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Presunzione, arroganza, ignoranza le doti per essere un “manager globale” DI SANDRO RIDOLFI
Gli americani, si sa, sono un popolo fondamentalmente ignorante, che supplisce alle gravissime carenze culturali con la bovina convinzione di vivere nel posto migliore, più ric! co, più libero e quindi più felice del mondo. Essi non sanno che l’indice di mortalità infantile degli Stati Uni! ti è più alto di quello della Malesia, che l’indice di aspettativa di vita è in! feriore di 10 anni rispetto a quello eu! ropeo, che l’indice di livello scolasti! co è inferiore a quello di molti paesi del terzo e del quarto mondo. Non sanno che in molti altri paesi del mondo, persino del terzo mondo, la salute è un diritto che viene assicura! to dallo Stato con servizi sanitari pubblici; non sanno che l’istruzione è un diritto che viene assicurato a pa! rità di accesso dallo Stato con strut! ture di istruzione pubbliche; non sanno che l’associazione sindacale, l’associazione politica, l’espressione del dissenso è un diritto di tutti i cit! tadini in molti Stati costituzional! mente garantito. Essi non sanno che in molti Stati la libertà personale, la riservatezza della corrispondenza anche elettronica, l’inviolabilità del domicilio, sono diritti costituzionali che neppure le più gravi esigenze di difesa nazionale possono violare o anche solo compromettere. Essi non sanno che un evento catastrofico co! me l’allagamento di New Orleans, con le sue migliaia di morti, distru! zioni e devastazioni, può trovare pa! ragoni d’incuria e di mancanza di di! fese sociali solo in Paesi del profondo terzo mondo estremamente poveri. Essi non sanno che la discriminazio! ne razziale, il sequestro di persone,
la tortura, sono pratiche d’inciviltà condannate sostanzialmente in tutti i Paesi del mondo (anche se non in tutti realmente rispettate). E così via. Ma questa drammatica ignoranza, non colpisce in verità tutti gli strati sociali. Ben altro e ben di più sanno i ricchi e potenti componenti dei ri! stretti circoli oligarchici che domina! no il loro Stato dove il 5% della po! polazione possiede l’80% della ric! chezza nazionale. Questi padroni sanno bene dell’ignoranza e dell’ar! retratezza alla quale condannano il loro popolo, proprio per poterlo istu! pidire e quindi dominare ciecamen! te. Questi padroni conoscono e capi! scono l’importanza strategica di sac! cheggiare e importare da qualsiasi al! tra parte del mondo teste pensanti e preparate dalle quali “estrarre” le ec! cellenze in tutti i campi, potendo mettere a loro disposizione strumen! ti tecnici, tecnologici ed economici in genere poderosi. E’ storia secolare oramai che le migliori “teste” del mondo riescono a esprimere appieno le loro capacità nel ricco Paese nord americano, ulteriormente arricchen! dolo di quella cultura che non è in grado di produrre al suo interno. Ra! ramente è accaduto che un “testa pensante” (o almeno ritenuta tale all’importazione, salvo il legittimo dubbio di un errore di valutazione a monte) importata dagli Stati Uniti per far crescere e arricchire quel Pae! se sia stata al contrario contaminata dall’ignoranza endemica dello stesso e sia divenuta, anziché intelligentis! sima, stupidissima. Eppure sembra che, almeno in un caso, quest’evento anomalo si è effettivamente verifica! to. Qualche anno fa gli Stati Uniti hanno “rubato” al nostro Paese una splendida mente manageriale, l’ec! cellenza stessa dell’imprenditoria
italiana, l’erede ideale del “mitico” Valletta, il super manager della Fiat Sergio Marchionne. Lo hanno “rapi! to” e con lui, o grazie a lui, si sono “rubati” la più grande azienda indu! striale italiana. L’operazione, almeno da questo punto di vista, è perfetta! mente riuscita per i padroni del mondo, l’industria automobilistica nord americana ha ripreso respiro e quella italiana è stata definitivamen! te affossata. Il super manager, ora! mai amerikano, scorrazza però anco! ra per il nostro Paese, seminando a generose manciate lezioni di econo! mia, minacce sindacali e perle di sag! gezza. L’ultima più geniale esterna! zione l’abbiamo scritta in copertina. Battibeccando con il lupetto sindaco di Firenze e autocandidato leader del centrosinistra, il piccolo Matteo Renzi, Sergio Marchionne ha defini! to Firenze una piccola e povera città. Alla faccia! (direbbe Totò). E’ vero che la Firenze di oggi che riesce a esprimere come suo primo cittadino niente meno che un Matteo Renzi di passi indietro ne ha fatti e davvero tanti (inciso: se molti vecchi e consu! mati politici sono indubbiamente da rottamare, non è meno vero che a volte i “pezzi” nuovi possono nascere fallati e andrebbero rottamati da su! bito prima di metterli in circolazio! ne), ma definire Firenze piccola e po! vera, può affermarlo un bruto ameri! cano che confonde la città toscana con l’omonima Firenze dello Stato dell’Alabama (esiste davvero!). Se Sergio Marchione è esperto di indu! stria automobilistica così come è fer! rato in storia, ecco svelato il mistero della Panda (riciclando una vecchia battuta dei tempi della mitica Duna: “Vendesi Panda usata ottimo stato, telefonare a Giovanni ore pasti”... (Giovanni, mangia tranquillo!).
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Sommario del mese di novembre Le forme della Democrazia Le “non dittature” popolari di @barberini.it
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Spoleto nel mondo Il successo dello SpoletoFestivalArt di Jacopo Feliciani
pagina 13
Altro consumo Racconti di scelte differenti di Danilo Santi
pagina 17
Dalla “triade” alla “diade” Il Principio della “Contraddizione” di Sandro Ridolfi
pagina 21
La coseddetta “malattia mentale” I luoghi di cura “alternativi” di Giampiero Di Leo
pagina 25
Teatro... cioè Auto-intervista di Roberto Ruggieri a cura di Roberto Ruggieri
pagina 29
L’autunno d’oro Se esistessero le ninfe dell’autunno di Sara Mirti
pagina 33
Festival di Venezia 2012 Vincono due registi comunisti a cura della Redazione
pagina 37
Inediti Favole al femminile di Isabella Caporaletti
pagina 39
La lista a cura di Sandro Ridolfi
pagina 43
Redazione: Corso Cavour n. 39 06034 Foligno redazionepiazzadelgrano@yahoo.it
Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maria Carolina Terzi Sito Internet:
Andrea Tofi Stampa: GPT Srl Città di Castello Chiuso: 24 ottobre 2012 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”
Figli
Il diritto ad essere figlio
Articolo 155 del codice civile: "Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da en! trambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale"
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Figli
Figli contesi DI IOLANDA
TARZIA
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n figlio viene portato via con modalità forzose per essere re! cluso in una sorta di “casa/prigione” da un padre crudele; una madre piange disperata perché le hanno portato via il figlio. E’ questa la vi! cenda di straordinario dolore che si è consumata in una scuola di un pic! colo centro del padovano. Le imma! gini di quel dolore sono state divul! gate attraverso tutti i network per giorni suscitando reazioni di sde! gno, rabbia, dolore, pietà. La dispe! razione andata in onda ha portato istintivamente a colpevolizzare, senza se e senza ma, il padre, le for! ze pubbliche, gli assistenti sociali e chiunque in video è apparso l’esecu! tore dell’arresto di un innocente. La madre è apparsa in questa vicenda vittima, insieme al figlio, della cru! dele esecuzione di un provvedimen! to giudiziale voluta da un padre im! pietoso. La realtà dei fatti, però, e ben diversa e molto più complessa di quella rappresentata dalla dispera! zione materna. Il provvedimento giudiziale eseguito forzosamente è stato emesso dalla Corte di Appello
di Venezia nel mese di luglio 2012 all’esito di una vicenda giudiziaria lunga e complessa. Nel corso del giu! dizio la Corte ha accertato che, inve! ro, gli incontri tra il figlio e il padre “…erano stati del tutto sospesi per iniziativa della madre nel 2010 e da al! lora rifiutati sino alle operazioni di consulenza…” e ripresi per qualche ora in ambiente neutro. La stessa Corte ha definito il comportamento della madre ambiguo, “…in questa ambiguità continua a permettere al bambino comportamenti irrispettosi verso gli adulti, che arrivano ad esse! re inaccettabili nei confronti del pa! dre”. La madre, ha specificato la Cor!
Documento psico-forense sull!alienazione genitoriale Un documento a firma dei più grandi esperti italiani in materia. «Di fronte al dilagare delle polemiche e delle discussioni intorno al caso del bambino allontanato dalla madre a Cittadella riteniamo opportuno, in qualità di esperti e docenti universitari in psicologia giuridica ed in psichiatria forense, specie dell!età evolutiva, autori di pubblicazioni su questi argomenti, compiere alcune precisazioni in nome delle buone prassi e delle fondamenta scientifiche del nostro operato. Quello che stampa e TV hanno divulgato ha rappresentato il punto finale di un percorso psicologicamente violento, a partire da una situazione fortemente patologica e patogena, il quale ha determinato una reazione che è stata oggetto di troppi commenti estrapolandola dal contesto che l!ha generata. La manipolazione sensazionalistica del reale e la costruzione di una “verità” e di una “storia” a partire dall!enfatizzazione di alcuni suoi frammenti rappresentano una forzatura della quale rischia di rimanere vittima proprio il bambino che si intende proteggere. In accordo con il recente comunicato dell!As-socia-
te, “…non ha saputo tutelarlo fino ad assumere immotivati atteggiamenti di evidente maleducazione, disprez! zo, minacce, aggressività e violenza fisica”. Per tali ragioni il Collegio giu! dicante ha evidenziato “la necessità di un allontanamento del minore dalla madre, fino ad aiutarlo a cre! scere, imparare, e non certo da ulti! mo, a resettare e riassestare i propri rapporti affettivi in ambiente conso! no al suo stile di vita, accogliente e specificatamente preparato a tratta! re le sue involontarie problematiche che, anche comportamentali, equidi! stanti dai genitori e nel contempo ad entrambi ugualmente vicino”.
zione Italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia e con il comunicato dell!Unione Nazionale Camere Minorili del 13.10.12, sottolineiamo la grave violazione a livello giornalistico della normativa a tutela del diritto alla privacy dei minori (Carta di Treviso), essendo stati divulgati dati ed immagini che hanno facilmente portato all!identificazione del bambino coinvolto secondo modalità lesive della sua dignità e del suo diritto alla riservatezza. Va chiarito che la professione dello psicologo giuridico e/o dello psichiatra forense dell!età evolutiva si fonda su metodologie e su criteri di valutazione consolidati da un!abbondante letteratura scientifica e considera sempre prioritario l!interesse superiore del minore e la tutela dei suoi diritti relazionali. Per questo, riteniamo che talune pubbliche affermazioni rese in questi giorni da chi si è occupato della vicenda possano ingenerare pericolose confusioni, errori di giudizio e generalizzazioni. Gli interventi di protezione rivolti ad un bambino possono infatti a volte richiedere azioni volte a rendere esecutiva una decisione giudiziaria, quando si ravvisino condizioni di emergenza e di rischio di danno a partire da gravi disfunzioni nelle relazioni familiari.
Figli
I giudici hanno, pertanto, disposto che “…i genitori daranno attuazione a questo provvedimento…” e si atter! ranno “… scrupolosamente e puntual! mente alle frequenze, agli orari di vi! sita, al programma educativo… in mancanza di spontaneo accordo ed esecuzione le decisioni del caso e le attuazioni delle disposizioni saranno adottate dal padre affidatario, che potrà avvalersi, se strettamente ne! cessario, dell’ausilio del servizio so! ciale e della forza pubblica”. Il prov! vedimento della Corte d’Appello, dunque, descrive una realtà in cui il rapporto del figlio con la madre e l’ambiente familiare della stessa co!
stituisce una sorta di prigione emoti! va da cui il minore deve essere allon! tanato; una realtà in cui il figlio non ha un rapporto con il padre; una re! altà in cui il padre è colui che si batte affinchè al figlio sia restituita la li! bertà emotiva e sia data la possibilità di scegliere se avere anche un padre accanto. Questo provvedimento po! teva essere attuato volontariamente dalla madre ma così non è stato; anzi, la stessa ne ha reso impossibile l'ese! cuzione per ben due volte, oltre a proporre ricorso per ottenerne la so! spensiva. Per tali ragioni nella matti! nata del 10 ottobre scorso, avendo la Corte di Appello di Venezia rigettato
Azioni che richiedono specifiche competenze ed un coordinamento tra i diversi operatori chiamati ad occuparsene. In questa prospettiva, il problema del quale si discute, riguardo la maggiore o minore fondatezza del fenomeno noto come “alienazione genitoriale”, ci pare mal posto. La comunità scientifica è concorde nel qualificare le dinamiche psicologiche che conducono all!alienazione di un genitore come un disturbo della relazione e non come un disturbo individuale: un disfunzionamento familiare al quale contribuiscono tre soggetti: il genitore “alienante”, quello “alienato” ed il figlio, ciascuno con le proprie responsabilità e con il proprio contributo che può variare di caso in caso. Per tale motivo, andrebbe evitato il termine “sindrome di alienazione genitoriale”, nota con l!acronimo PAS, come proposto da Gardner, in quanto il fenomeno in questione non corrisponde ad una “sindrome” clinica; risulta preferibile sostituirlo con il termine “Alienazione Parentale”, con il quale sarà probabilmente introdotto nel DSM V tra i “Disturbi Relazionali”. Il dibattito sull!esistenza o meno della PAS appare però, in questa prospettiva, del tutto fuorviante, come se l!esistenza del costrutto giustificasse gli interventi a riguardo e la sua insussistenza li dovesse escludere. I dati
7 il detto ricorso, l'ufficio minori ha preso contatti con i servizi sociali del comune, incaricati dell’esecuzione del provvedimento, per eseguire im! mediatamente l'intervento. L'assi! stente sociale, dopo aver contattato il padre del minore e lo psichiatra con! sulente tecnico della Corte d'Appello, ha ritenuto di procedere all'esecuzio! ne individuando, d'intesa con il me! dico, l'area antistante la scuola quale luogo più idoneo per l'intervento perché considerato neutro rispetto alla casa familiare. Il resto della vi! cenda è fin troppo noto. Quella anda! te in onda sono, dunque, solo una parte delle violenze che quel figlio ha dovuto subire e, da quanto si legge nel provvedimento della Corte di Ap! pello di Venezia, non sono neppure le più devastanti. Le violenza con cui un figlio è stato allontanato dalla madre è stata resa nota e fortemente condannata dall’opinione pubblica; non altrettanto nota, invece, è la vio! lenza con cui quello stesso figlio era stato allontanato dal padre. Certo è che la madre che non è vittima, in! sieme al figlio, della crudele esecu! zione di un provvedimento giudizia! le. Il provvedimento della Corte di Appello di Venezia, infatti, è stato adottato per tutelare quel figlio pro! prio dai comportamenti di una ma! dre che, volendo alienarlo dal padre, stava gravemente danneggiando il benessere psico!fisico del bambino.
che emergono dagli studi e dalla pratica peritale sul campo convergono infatti nell!indicare che l!alienazione parentale rappresenta un fattore di importante rischio evolutivo per l!instaurarsi di diversi disturbi di interesse psicopatologico. Sebbene essa non determini necessariamente ad un!evoluzione psicopatologica in età adulta, ne è spesso l!anticamera e comunque risulta essere un minaccioso ed invasivo fattore di disagio e/o di disturbo a causa dei profondi conflitti di lealtà che nel figlio si sviluppano. Non è quindi in discussione la necessità di intervenire, sul piano psicosociale e giudiziario, allorquando si realizzi l!esclusione immotivata di un genitore dalla vita di un figlio non legata a comportamenti realmente maltrattanti o trascuranti da parte del genitore stesso, ma a partire da induzioni dirette o indirette provenienti dall!altro genitore. Possono quindi rendersi necessari, al fine di tutelare la salute mentale di un minore, interventi preventivi volti ad evitare il radicamento della sua situazione e/o ad attenuarne gli effetti dannosi, rivolti anche alle problematiche presenti nei genitori. Si tratta inoltre di tutelare i diritti relazionali dei soggetti coinvolti ed in questo senso l!alienazione parentale rappresenta una condizione di interesse non solo clinico, ma giuridico e sociale.
8 Purtroppo, il provvedimento è arri! vato quando il danno sul figlio era già stato fatto. L’unica vittima di questa vicenda è il figlio. Lui è una delle tante vittime prodotte dalle ostilità e dal rancore fra genitori che un sistema giuridico, lento, attento più a valutare le ragioni e le lacune dei coniugi che l’interesse e le emo! zioni dei figli ed incapace di mettere sullo stesso piano i diritti delle ma! dri e i diritti del padre nonostante l’introduzione del regime di affida! mento condiviso, ha dimostrato di non essere in grado di tutelare. Tem! po fa scrissi delle mie personali ri! flessioni sul diritto di “essere mam! mo” in una realtà socio!giuridica!
Figli culturale nella quale il desiderio/bi! sogno di un padre di essere partecipe alla vita di un figlio non è ancora considerato legittimo e naturale co! me quello della madre, in cui sono ancora sempre i soli diritti del padre ad essere vagliati, giudicati, sintetiz! zati ed infine formalizzati in un provvedimento giudiziale, mentre il ruolo, le qualità e i diritti della ma! dre non sono mai – o quasi ! messi in discussione; in cui “[….] Al padre è ancora riservato se non sempre, spes! so ! il ruolo di non protagonista nella vita e nella crescita del figlio. Se ciò sia giusto o meno non è dato saperlo per certo a nessuno se non a quel fi! glio cui solo spetterebbe il diritto di
Il diritto alla bigenitorialità del figlio minore è definito dalla legge in tema di affidamento condiviso con preciso riferimento alla trasformazione delle sue relazioni familiari in occasione della separazione dei genitori; in tale prospettiva, un approccio corretto e scientificamente fondato nel valutare le capacità genitoriali onde decidere le condizioni di custodia dei figli impone di considerare la disponibilità da parte di ciascun genitore di rispettare il ruolo e le funzioni dell!altro. La comunità scientifica ritiene di doversi assumere la responsabilità di rilevare e promuovere buone prassi affinché ogni intervento di tutela, non solo in ambito clinico e forense ma anche psicosociale, si dimostri idoneo alla piena tutela dell!infanzia. A tale proposito, si rende opportuno operare, nelle sedi di competenza, affinché tutte le persone coinvolte si assumano le responsabilità specifiche per ruolo e mandato (genitori, parenti, avvocati, periti, assistenti sociali, operatori delle forze dell!ordine e della magistratura). La finalità è quella non solo di valutare correttamente le capaci-
decidere se avere, sempre e comun! que, come compagno del proprio viaggio, il padre. Certamente non do! vrebbero essere le ostilità fra coloro che quel figlio hanno generato a deci! dere se un padre potrà accompagnar! lo nel viaggio che lo porterà a diven! tare Uomo. Certamente quelle ostilità e la mancanza di un padre accanto renderanno più difficile a quel figlio il cammino per diventare un Uomo”. E’, dunque, questo diritto del figlio e questo desiderio/bisogno del padre, certamente contrastati dalla madre, che nella vicenda de qua il provvedi! mento della Corte di Appello di Ve! nezia ha voluto tutelare da una pree! sistente forzata reclusione emotiva.
tà genitoriali secondo protocolli conosciuti e condivisi ma anche di ridurre il livello di conflitto troppo spesso non trattato (o addirittura accentuato) in sede peritale. Come è stato saggiamente suggerito da autorevoli giuristi, si auspica inoltre una riforma specifica della esecuzione civile che preveda forme peculiari (da stabilire attraverso una collaborazione interdisciplinare) nella esecuzione dei provvedimenti rivolti ad un minore, in modo che essi siano realizzate da soggetti esperti e secondo modalità adeguate come avviene, per analogia, nella audizione protetta del testimone minore.» 15 ottobre 2012 Renato Ariatti" Cristina Cabras" Giovanni Battista Camerini Daniela Catullo" Adele Cavedon" Sara Codognotto Antonietta Curci" Rubens De Nicola" Renzo Di Cori" Guglielmo Gulotta" Moira Liberatore " Tiziana Magro" Marisa Malagoli Togliatti" Daniela Pajardi" Patrizia Patrizi" Luisa Puddu" Severo Rosa " U go Sabatello" Luca Sammicheli" Giuseppe Sartori" Gilda Scardaccione" Magda Tura Matteo " Villanova Laura Volpini" Georgia Zara
Democrazia
Le forme della Democrazia le “non dittature” popolari
Il Primo Trebbiatore (Radiocronaca dell’Istituto Luce) “Alle otto del mattino del 27 giugno 1935 Mussolini arriva a Borgo Pasubio, nel cuore dell’Agro Pontino, appena bonificato, trebbia il grano nel podere che riporta il numero 1.316. Il tempo trascorre veloce, impegnato nel lavoro. Alle nove, la sire! na avverte che è l’ora della colazione per i trebbiatori. Mussolini si avvia verso il tavolo disposto sotto il porticato per la colazione dei trebbiatori e dei macchinisti. Poco più in là occhieggia il classico forno dei trebbiatori sull’aia. Ma prima della colazione, il Duce vuole rendersi conto del lavoro compiuto. Si fa la conta dei sac! chi: ci sono già sette quintali di ottimo grano. Al Duce viene porto il foglio della paga: lo firma, soddisfatto e felice. La richiesta di un discorso viene seccamente interrotta dalla risposta del Duce: “Si lavora oggi, non si parla!”.
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Democrazia
Il lato oscuro della democrazia: la “potenza della massa” DI @BARBERINI.IT
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ramontati da tempo i regimi au! tocratici (re e imperatori) o teo! cratici (papa re e simili) nel lin! guaggio comune siamo soliti definire dittature (più raramente diciamo ti! rannidi) i regimi non democratici, avendo come riferimento i sistemi di governo basati su processi elettorali periodici per la scelta della classe diri! gente, sistemi identificati, non casual! mente, nelle attuali democrazie parla! mentari dell’occidente capitalista. Il passare del tempo, misurato in termi! ni di millenni, ha radicalmente modi! ficato il significato originario di tali termini. Nella scheda in basso rico! struiamo la nascita e il significato che, nei primi secoli della loro introduzio! ne, ebbero i termini “dittatore”, roma! no, e “tiranno”, greco, significato tut! t’affatto diverso da quello attualmente in uso, per non dire persino opposto. Del termine democrazia abbiamo par! lato in un precedente articolo sulla na! scita della democrazia ateniese (vedi numero 1, giugno 2012, Politeia), quando a quella forma di governo ve!
niva attribuito un significato negativo, per alcuni persino dispregiativo. Para! dossalmente però, per quanto appres! so diremo, il termine democrazia non si è totalmente ribaltato dal negativo al positivo, come è avvenuto in senso inverso per dittatore e tiranno, anzi potremmo dire che ancora oggi convi! vono due interpretazioni assai diffe! renti di questo termine: l’una “edulco! rata”, e perciò fortemente sospetta di ipocrisia, che definisce democrazia la “libera a paritaria partecipazione di tutti i cittadini alla amministrazione della cosa pubblica”; l’altra decisamen! te più “dura” e sincera, che attribuisce invece a democrazia il senso materiale di “forza incontenibile della massa”. In questo inserto parleremo di questa se! conda forma di democrazia, così lon! tana dal politically correct (espressio! ne americana che significa dire ciò che secondo le circostanze appare oppor! tuno e nascondere invece il proprio pensiero sincero), ma così vicina nella realtà di un tempo non solo passato, ma forse nuovamente presente. Prima però dobbiamo fare un breve passo in! dietro e tornare alla definizione che oggi comunemente diamo al termine dittatura.
Dittatore si ritiene che fosse una magistratura straordinaria dell!epoca repubblicana romana che, tuttavia, difettava di due delle caratteristiche essenziali della collegialità e della elettività. Il dittatore non aveva alcun collega e nominava come proprio subalterno il magister equitum (comandante della cavalleria). Il dittatore non veniva eletto dalle assemblee popolari, ma veniva dictus, cioè nominato, da uno dei consoli, di concerto con l'altro console e con il senato. Alla dittatura si faceva ricorso solamente in casi straordinari e il dittatore durava in carica fino a quando non avesse svolto i compiti per i quali era stato nominato e, comunque, non più di sei mesi. Il dittatore era dotato di summum imperium, e cumulava in sé il potere dei due consoli. I più noti dittatori furono Cincinnato e Fabio Massimo. Dopo di allora la dittatura cadde in disuso. Successivamente Silla si fece eleggere dittatore dai comizi, ma questa nuova dittatura non corrispondeva a quella tradizionale, perché non aveva alcun limite temporale e non era basata su una dictio. Giulio Cesare ripristinò la dittatura, ma la modificò e fu designato per dieci volte consecutive a questa carica. Dopo l'assassinio di Cesare, Marco Antonio fece approvare una lex Antonia che abolì la dittatura e la espulse dalla costituzione repubblicana. La carica fu successivamente offerta ad Augusto, che la rifiutò ed optò invece per la potestà tribunizia e per l'imperium consolare con le stesse funzioni di dittatore ma senza doverne tenere il discutibile titolo.
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remesso che nel nostro linguag! gio politico democrazia è quella forma di governo dello Stato ca! ratterizzata dalla presenza di libere ele! zioni periodiche, usiamo definire ditta! ture le situazioni nelle quali non c’è più appello al consenso elettorale e i gover! nanti detengono il potere a tempo in! determinato per diritto sostanzialmen! te divino (anche se, in genere, il dio che li ha incoronati parla una lingua vicina all’inglese). I dittatori (chiamiamoli “non elettorali” per distinguerli da quel! li “popolari” di cui parleremo più avan! ti) conquistano il potere con la forza militare e con quella stessa forza lo con! servano. In sostanza, dunque, usiamo chiamare dittature i regimi governati da militari. Poiché appartiene al noto! rio che la caratteristica principale dei militari è quella della scarsa preparazio! ne in qualsiasi campo culturale o scien! tifico, nonché della scarsa capacità di gestire qualsiasi cosa che non sia un grilletto da tirare, è un dato di fatto che i dittatori militari non sono altro che dei “pupi” nella mani di “pupari” assai più intelligenti e potenti che li utilizza! no per controllare situazioni non gesti! bili con i soli “giochi” elettorali e le “te! levisioni”. Le dittature militari centro e sud americane manipolate dai pupari di Washington, come le dittature africane e del lontano oriente manipolate dai pupari di Bruxelles, Londra o Parigi, ne sono esempio, in alcuni casi, ancora attuale.
Tiranno è il termine con cui si indicava nella Grecia dei secoli VII - VI a.C. chi si impadroniva del potere con sistemi rivoluzionari, opponendosi al re o al capo eletto, sostituendo al governo oligarchico delle Città-Stato un personale dominio. Il tiranno, molto spesso otteneva il potere con l'appoggio delle classi popolari. Quindi governava senza stravolgere sostanzialmente le leggi e le istituzioni preesistenti. Inoltre promuoveva lo sviluppo dei commerci, delle opere pubbliche e dell'agricoltura, generalmente nell'interesse del popolo sottomesso ed in contrapposizione ai privilegi dell'aristocrazia. I più noti tiranni furono Policrate di Samo, Clistene di Sicione, Pisistrato ad Atene, Dionisio I di Siracusa. La tirannide come forma di governo viene trattata per la prima volta nell!opera di Platone "La Repubblica". Il termine "tiranno" è di origine microasiatica e significa letteralmente "signore". Nelle Storie di Erodoto, il termine "tùrannos" non ha ancora accezione negativa, ed è da intendersi come "signore della città”. Si ricorse alla figura del tiranno a causa dei frequenti contrasti tra le ricche famiglie aristocratiche dell'antica Grecia, che erano causa di guerre civili ed erano il motivo principale della crisi, e della decadenza, dell'aristocrazia greca. La tirannide ebbe successo perché i suoi rappresentanti seppero sfruttare il desiderio di riscossa sociale del popolo e delle classi meno abbienti.
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Democrazia Per restare più vicini al! la nostra area geografica basterà ricordare la dit! tatura del generalissimo Francisco Franco, co! mandante delle truppe mercenarie spagnole in Africa, che nel 1939, sot! to la guida degli agrari e della chiesa cattolica spagnola, ha abbattuto, con la violenza militare, il governo repubblicano legittimato da un esito elettorale, imponendo decenni di dittatura mi! litare e di polizia alla Spagna. Molti anni più tardi, nel 1967, altri mi! litari, peraltro non più generalissimi ma sem! plici colonnelli, mani! polati dagli Stati Uniti d’America, rovesciaro! no il governo democraticamente eletto della Grecia, imponendo una lunga dittatura militare e di polizia. Alcuni di questi governi dittatoriali sono caduti travolti dalla contesta! zione popolare; la grande maggio! ranza, in verità, si è invece più sem! plicemente estinta per avere esaurito quel compito di emergenza (a volte anche assai lunga, si veda Pinochet in Cile o Videla in Argentina) che gli avevano assegnato i pupari, tornati in grado di gestire con altri strumen! ti, detti democratici, il loro dominio. I tempi correnti sembrano rendere assai improbabile un ennesimo ri! corso a metodi di governo militare, sostanzialmente in tutte le parti del mondo anche le più arretrate e pove! re (si veda il caso della Birmania! Myanmar). Assai più alto è invece il rischio del ritorno di un’altra forma di dittatura “non dittatura”, ovvero di “democrazia dittatoriale” basata sul vasto e forte consenso della mas! sa. Per giungere al presente, occorre richiamare e analizzare eventi analo! ghi non molto remoti.
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arlando dell’Italia parleremo del fascismo, ma analogo, per non dire identico, discorso po! tremmo farlo per il nazismo tedesco (di quando in quando lo richiamere! mo). Partiamo dell’assunto che sarà anche la conclusione di questo in! serto: il fascismo (lo stesso vale per
il nazismo) “non” è stata una dittatu! ra, sicuramente nel senso sopra de! scritto delle dittature dei pupi mili! tari. Il fascismo (come il nazismo) è stata una forma di governo sostan! zialmente “democratica” in quanto indiscutibilmente caratterizzata da una vasta e convinta partecipazione popolare. Una “demo!crazia” (te! stualmente dal greco: “potenza del popolo”) in quel significato di “forza incontenibile della massa” sdegno! samente e con radicale ostilità av! versata dai grandi filosofi greci della nuova classe borghese nascente, Platone e Aristotele. Il fascismo (co! me il nazismo) non ha, infatti, con! quistato e poi conservato il potere con la forza delle armi. In ambedue i casi l’esercito, la polizia, i carabinie! ri reali, ovviamente a livello di verti! ci di comando, hanno sempre preso e tenuto le distanze sia dai movi! menti della “massa”, che dagli stessi capi. La ridicola parodia della “mar! cia su Roma”, dell’ “Armata Branca! leone” delle camice nere, si sarebbe risolta in una fuga disordinata se l’esercito reale avesse avuto ordini in tal senso e persino in una situazione umanitaria se lo stesso esercito non fosse intervenuto per fornire alla banda carnevalesca, armata di pochi vecchi moschetti, fucili da caccia e coltelli, persino un sostengo alimen! tare dal momento che i fascisti era! no giunti alle porte di Roma senza
nessuna organizzazione logistica. Ad aprire le porte al fascismo (e in Germania al nazismo) furono in ve! rità i vertici delle classi dominanti: la casa reale, i banchieri e soprattut! to gli agrari, ma anche gli industriali e la piccola borghesia disastrata dal! la guerra e terrorizzata dall’insorge! re di un forte e pericoloso antagoni! smo operaio con l’occupazione delle fabbriche e la nascita delle forme di autogestione (i consigli di fabbrica). Assunto il potere per delega degli al! lora potenti, ambedue i movimenti hanno poi trovato un crescente con! senso popolare, assolvendo anzitut! to a una funzione di ordine e di sicu! rezza.
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l Duce italiano, così come il Fu! hrer tedesco, impersonavano, con evidente diversa teatralità, il modello immaginario del cittadino medio italiano o tedesco. Il “primo trebbiatore”, dell’immagine di coper! tina, il “primo muratore” e, non gua! sta mai, il “primo amante”, altro non erano che il pessimo modello ideale della maggioranza della popolazio! ne. Certamente c’erano oppositori, ma quelli “veri”, e dunque assai po! chi, ben presto finirono al muro, nel! le carceri o in esilio, quelli “ideologi! ci” rapidamente si adeguarono, bensì mantenendo distanze formali dai ri! spettivi regimi, ma pur sempre in at! tesa di ritornare al potere.
12 Così accadde che in Italia i poteri straordinari al primo ministro Mus! solini, in quel momento a capo di un piccolo partito da poco uscito da un grande insuccesso elettorale, venne! ro votati dalla grande maggioranza delle forze così dette liberali del! l’epoca, con nomi che poi diverran! no illustri nel dopoguerra così detto “liberato dalla dittatura fascista”: Enrico De Nicola, poi Capo Provvi! sorio dello Stato, Giovanni Gronchi, poi Presidente della Repubblica, Al! cide De Gasperi, poi primo ministro a vita della Repubblica, e ancora tanti altri. La grande maggioranza degli italiani ben presto abbracciò in “massa” il fascismo, assorbendo! ne con sincero entusiasmo tanto i lati goliardici, quanto quelli violen! ti, nazionalisti e razzisti. A bombar! dare con il gas all’iprite gli etiopi, a saccheggiare le case e imprigionare donne, bambini e vecchi sloveni, a massacrare intere comunità greche, a consegnare ai tedeschi gli ebrei italiani dalla cui case prelevavano giocattoli e monili da riportare ai lo! ro amati bambini e alle loro rispet! tabili mogli, non furono solo o tanto i gerarchi fascisti, ma soldati di leva italiani, onesti e miti cittadini e con! tadini divenuti belve feroci nella conquista del pane, perché in fondo di quello si trattava.
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l fascismo (così come il nazismo) non è caduto per l’opposizione o la rivolta popolare, né per il ri! pensamento di quei poteri forti che gli avevano aperto le porte del go! verno, è caduto per la sconfitta mili! tare che, in Italia, venne persino an! ticipata con l’armistizio segreto e l’opportunistica presa di distanze dalla “passata dittatura” con l’arre! sto e il confino al Gran Sasso di Mus! solini. In Germania il popolo tede! sco andò assai oltre e difese fino alla fine, fino al sacrificio dell’ultimo ra! gazzo in grado di tenere in mano un’arma, la vita del Fuhrer. La Ger! mania ha pagato a lungo (anche se sempre tropo poco) la resistenza di! sperata alla sconfitta militare e alla fine del mitico “Terzo Reich”; l’Italia ha rapidamente cambiato camicia e la grande massa del popolo fascista, sotto la guida della millenaria Chie! sa Apostolica Romana, ha indossato subito quella democristiana. Milita!
Democrazia
ri, poliziotti, carabinieri, ma anche magistrati, insegnanti, funzionari pubblici di provata fede fascista, ben presto giurarono fedeltà alla nuova Repubblica e lo fecero in certo senso “giustamente”, poiché non si tratta! va in verità di una nuova Repubblica “anti fascista”, ma più semplicemen! te dello stesso Stato, ancorché senza più il re, “post fascista”. Nel 1946 il Ministro della Giustizia Palmiro To! gliatti, capo del Partito Comunista tornato alla legalità e rientrato in Italia dopo venti anni dall’esilio, pro! mulgò l’amnistia per tutti i cittadini compromessi con il “cessato” regime fascista che non si erano macchiati di crimini “particolarmente” efferati; fu un’amnistia generale perché di! versamente non sarebbe stato possi! bile governare un’Italia senza ex fa! scisti, perché equivaleva a dire un’Italia senza italiani.
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’ ora tempo di tirare alcune conclusioni; “alcune”, ovvia! mente, perché la materia è as! sai più ampia e complessa per avere la pretesa di riassumerla e risolverla in queste brevi pagine che vogliono costituire un semplice invito alla ri! flessione. Il fascismo, come afferma! to in apertura, non fu una dittatura, bensì una forma di democrazia po! polare che, al più, potremmo defini! re “deteriore”, il così detto “lato oscuro” della coscienza popolare, perché si fondò e visse sulla ampia e consapevole condivisione di un po! polo spesso incolto, sicuramente
spaventato e soprattutto affamato. Il “lato oscuro” però, proprio perché è nascosto e spesso solo formalmente negato, è sempre vivo e in agguato, sicché può riemergere in ogni luogo e in ogni tempo, seppure sicuramen! te con manifestazioni esteriori di! verse. L’Italia di oggi è in piena crisi economica, sotto pressione della competitività deteriore delle così dette nuove democrazie post sovie! tiche, interessata da una invasione di potenziali masse di disperati del sud sempre più povero del mondo. L’Italia è l’unico Paese dell’occidente capitalista (né si rinvengono prece! denti almeno nella storia più recen! te) il cui governo non è stato eletto democraticamente. In tutti i Paesi dell’Europa, tanto più in questa si! tuazione di crisi drammatica, i go! vernanti si sono sottoposti alla veri! fica elettorale, la disastrata Grecia per ben due volte consecutive; l’Ita! lia no. Al primo mietitore Mussolini, al sagrestano infido Andreotti, al ricchissimo “escortiere” Berlusconi, si è oggi sostituito un contabile tri! ste e maleaugurante, anche lui però forte di un vasto consenso popolare. Il Paese è “salvo”. Certo c’è la reces! sione, la crisi della produzione, la di! soccupazione, la caduta dello stato sociale, ma siamo fuori dal baratro, così afferma il Capo delegato a pen! sare per il popolo, per la massa, non bisogna disturbare il manovratore così bravo, serio e generoso... ma questo, in fondo in fondo, non è fa! scismo?
Spoleto
SpoletoFestivalArt 2012
Quando, nel marzo del 1962, Giovanni Candente invitò Alexander Calder a partecipare al! l’evento “Sculture nella città”, gli chiese di realizzare un Mobile che avesse svolto la fun! zione di arco trionfale all’ingresso della città e che ne fosse divenuto il simbolo. Lo scultore americano rispose realizzando un bozzetto in lamiera, conservato all’interno della Galleria Civica d’Arte Moderna di Spoleto, che venne ingrandito 27 volte, dando così origine al pri! mo di tanti Stabiles presenti oggi in molte città d’Europa e d’America. Il nome dell’opera deriva da quello di un duca longobardo che in una antica stampa è rappresentato con una corona dalle punte aguzze che ricordano quelle dello Stabile spoletino.
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Il successo dello Spoleto Festival Art 2012 DI JACOPO FELICIANI
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poleto Festival Art è una manife! stazione che consiste in un pre! stigioso Premio assegnato in mag! gio e un grande Expo d'Arte con! temporanea che si svolge in settem! bre, ed è nato dall'idea del Prof.Lu! ca Filipponi, che si avvale di colla! boratori eminenti come quella del Prof. Sandro Trotti. La forza della manifestazione è la comunicazione, che non solo permette di richiama! re molto pubblico, ma consente al! l'organizzazione di fare una scre! matura molto qualitativa a seguito delle numerose richieste degli arti! sti di proporsi per l'Expo. Chiostro di San Nicolò Via Gregorio Elladio Spoleto (Pg), 28 settembre!1 otto! bre 2012: l'edizione 2012 dell'Expo di Arte Contemporanea Spoleto Festi! val Art consacra la Manifestazione come evento a carattere internazio! nale, in repentina ascesa nella qua! lità, nei numeri, nelle preferenze della critica, dalla stampa, del pub! blico, dei collezionisti e degli espo! sitori. Oltre 1000 gli Artisti presen! ti, provenienti dai più diversi Paesi. Il coinvolgimento delle realtà locali insieme al contesto internazionale degli artisti fornisce forza, sinergia, idee e innovazione creando un abi! tat ideale e perfetto per l'Arte. Ogni centimetro dell'Expo, qualsiasi evento in programma è curato con enorme scrupolo e meticolosità dal! l'organizzazione. E' questo che ren! de la perfezione del Chiostro !delle altre location (Ex Museo Civico con la storico!antologica del Maestro Giuseppe Menozzi e il Teatrino del! le sei con l'antologica di Mario Pic! chi) abbiamo già avuto modo di parlare ampiamente! unanimamen! te e indiscutibilmente, confermato
dai sensibilissimi visitatori ed espo! sitori. Nata dall'intuizione del Prof.Luca Filipponi che si arricchi! sce quest'anno, terza edizione, della preziosa collaborazione con il Prof.Giammarco Puntelli*(1), tra i massimi esperti internazionali d'Ar! te contemporanea. In esposizione prevalentemente molte tele, scultu! re e installazioni molto ingegnose e curiose. ul palcoscenico in grande evi! denza le tele del Maestro Menoz! zi in un allestimento che percorre i principali periodi di produzione dell'Artista: Cavalieri dell'Apocalis! se, Evento e Tau. Il Maestro Giusep! pe Menozzi occupa gli spazi privile! giati dell'expo visti notevole talento e affermazione. Una delle sue opere del Tau andrà sul Catalogo interna! zionale d'arte Mondadori 2012 in prima di copertina. Quest'opera è stata esposta, insieme alle altre 70 tele della storico!antologica, in Mo! stra all'Ex Museo civico fino al 15 ot!
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*(1)Gianmarco Puntelli proviene dalla Città di Carrara (MS), Amante dell'Arte prima che della critica, giornalista, docente di Storia dell'Arte all'Università di Zurigo e Master Practitioner di PNL. Tra i suoi artisti spiccano i maggiori nomi dell'Arte contemporanea Antonio Nunziante, Luca Alinari, Marco Lodola, Bruno Donzelli, Moshkalo Gennady, Giulio Greco, Giuseppe Menozzi, Alessandro Giorgi, Piero Guccione, Agostino Bonalumi, Domenico Monteforte e Giampaolo Talani, poi Armando Xhomo, Otello Ceccato, Salvo Lombardo, Salvatore Magazzini e tra i giovani Maestri Davide Foschi, Elisa Donetti e Rubens Fogacci.
tobre 2012. Quest'anno l'Expo vede dei preparatissimi critici che pro! pongono la selezione più rigorosa dei propri artisti. E' il caso dei critici d'Arte le Dr.sse Alessandra Lupo e Sonia Terzino onnipresenti nei loro stands e in tutti gli spazi espositivi con la propria professionalità. Da ri! marcare "Bella da morire" la sedia elettrica dell'Architetto Alessandro Giorgi. Le sculture in pietra leccese fissate con il latte della scultrice An! namaria Polidori, le opere del Pitto! re iraniano Ahmad Al Shahabi !arti! sta molto apprezzato a livello inter! nazionale attivo dal 1972, porta sulle tele gli elementi della Cultura araba fondendo Stilemi Orientali con quelli Occidentali del Cubismo, del Futurismo e delle Avanguardie eu! ropee, privilegiando il costante ri! chiamo alla fecondità! e del Pittore us Evans, la triade della Polid'Arte. Le ingegnose Sculture pirandelliane di Guasca, l'opera sabbia colorata su tavola di G.De Bartolo, i prestigio! sissimi spoletini Bizzarri (che ricor! da il Maestro Menotti) e Campus, la Galleria Laudicina, i nudi della Pier! sigilli, le raffinate tele della Grey Est, Michele Greco che rappresenta lo zio, autore del Manifesto dello SpoletofestivalArt 2012 e tanti altri. Non passa inosservata neppure la partecipazione del Pittore spoletino
Spoleto Luigi Piccioni. Con il grande ritor no alla sala espositiva OSMI dello scorso anno dopo un periodo di inattività di 15 anni, la partecipa zione alla Biennale guidato dal Cri tico Alberto D'Attanasio, lo ritro viamo con i suoi studi sui materiali allo SpoletoFestivalArt. In queste sue opere utilizza la schiuma poliu retanica espansa, acrilici e ferro spinato, uscendo inge gnosamente e comple tamente fuori degli schemi dalla pittura tradizionale. Piccioni ha presentato le sue opere sia nello stand dei sessanta artisti di Massimo Bigioni, Presi dente del Festival della Pace sia allo stand della prestigiosa galleria bo lognese WikiArte. Di notevole interesse lo stand della Baronessa Soares che riunisce nel suo Circolo milanese grandissimi pittori in ternazionali, come del resto lo stand del Mae stro scultore Ottaviani, Presidente del Festival di Salvador de Baia, con artisti tutti internazio nali. Presenti anche stamperie, Editoria vo cata e dedicata espres samente all'Arte. remio letterario, 29 settembre ore 21:00 Teatro San Nicolò: una conduzione davvero coinvolgente quella di Roberto Mattioli, mat tatore del Premio Spo leto LetteralArt 2012 che ha scavato con le sue domande audaci i pre miati. Grande risalto per Simone Fagioli per le Poesie Inedite; curio sità del romanzo di Alfonso Mar chese "La Grande beffa" che riper corre un episodio storico del recen te passato di Spoleto. Notevole in teresse per il romanzo storico di Annalisa Alfano che incrociava la Storia di Federico II nell'ideazione della Città dell'Aquila con un per sonaggio inventato, Bonaventura. Ad animare ulteriormente la serata il Filosofo Valerio Giuffrè che con il suo saggio sull'Antimetafisica,
edito da Sì Edizioni, spaccava in due i consensi della platea. L'inver sione filosofica instaurata dopo i presocratici condannerebbero l'uo mo alla sopraffazione rispetto al potere, un tema non accettato da tutti che ha infiammato la polemi ca. Molta attesa per la premiazione del critico, saggista, narratore e poeta romano Claudio Angelini,
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vincitore assoluto del LetteralArt 2012 con il Libro "La Donna D'Al tri" edito da Graus Editore. Nella sua veste di saggista ha presentato in accattivante simpatia il proprio lavoro in un finale che finisce come consuetudine peninsulare. Il sem pre brioso Mattioli rilanciava ov viamente con le sue domande sem pre molto piccanti e stimolanti; av valendosi della collaborazione di una valletta d'eccezione, l'attice Krizia Scognamillo. ive performances: Spoletofesti valart è stata anche l'occasione di sperimentare dal vivo perfor
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15 mances artistiche in diretta. Si so no avvicendate due live performing una con due enormi tele nel prato del chiostro, su cui il Maestro Otta viani ha fissato i colori di impor tanti personaggi dello spettacolo Brasiliani davanti ai visitatori. La seconda live performance riguarda va il ritratto della splendida attrice Eleonora Albrecht fissato anche questo dallo stesso Ottaviani. Un totale di 10 minuti tondi per una tela delle dimen sioni 150x200, ripreso in diretta dalle teleca mere di Tef e Sky con il commento della giornalista Martina Timperi. La sfilata di moda con abiti ispira ti all'artista Mirò di pinti a mano e con dotta da Stefania Montori, dal titolo "Suggestioni e Armo nie", è stata realizzata da Alessandra Cilento e Nadia. Le 16 model le tutte giovani e bel le spoletine hanno preso completo pos sesso del Teatro a par tire dal palcoscenico, scendevano le scalet te per sfilare i capi in sala lungo i corridoi in mezzo agli spetta tori, con enorme di sinvoltura e profes sionalità. La sfilata era intervallata dagli intermezzi coreogra fici del Tango argenti no di Giovanni e Pa trizia, professionisti del ballo suda mericano che insegnano nella Scuola di Colle Val d'Elsa, Oblivon. Tutto l'evento era stato preceduto da un concerto musicale. La visita inaugurale aveva enumarato tra le Istituzioni, il Presidente del Consi glio Comunale di Spoleto Patrizia Cristofori e quello di Firenze Euge nio Giani, l'Ambasciatore dell'Iraq presso la Santa Sede, grande appas sionato d'Arte e insieme a Massimo Bigioni artefici del Festival della Pace. Interesse da parte della criti ca con la presenza di Giorgio Pa lumbi.
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'interesse è sempre maggiore per! ché l'Arte contemporanea è con! siderata sempre di più un settore al! ternativo d'investimento. A tirare di più essenzialmente i nomi più presti! giosi in quanto gli investitori posso! no concentrare in pochi esemplari il proprio patrimonio. Il successo che sperimenta l'Arte contemporanea è dovuto insomma all'attenzione sem! pre maggiore da parte di investitori che cercano come soluzione l'acqui! sto dei talenti contemporanei come alternativa d'investimento. Grandi numeri continuano ad avere le prin! cipali mostre internazionali a partire dalla più prestigiosa come Art Basel partita negli anni '70, per proseguire con le Internazionali italiane come la Biennale di Venezia, di Firenze, l'Ex! po di Bologna, quello di Torino, Mi! lano, Bari, Padova, la quadriennale di Roma e giungere alla più giovane e dinamica SpoletoFestivalArt che si è ricavato lo spazio dell'Expo di Firen! ze. Spoleto insomma è diventata una tappa obbligata dell'Arte contempo! ranea (http://www. spoletofestiva! lart.com/). Il successo artistico della manifestazione funziona come vola! no per l'economia della città perché Spoleto nelle giornate dell'Expo ha registrato un turismo di elevata qua! lità con enorme dinamica nei risto! ranti, locali, hotel, esercizi commer! ciali e nelle vie del centro. Per questi motivi la vocazione Contemporanea viene rilanciata ulteriormente dalla coppia Puntelli!Filipponi, con un nuovo progetto denominato in codi! ce "SIAF" che sta per Spoleto Inter! national Art Fair. Un percorso conti!
nuativo d'arte contemporanea in! centrato proprio in quella Spoleto scelta da Menotti negli anni '60 che proiettava nell'Autostrada Spoleto! Usa. Spoleto un volano d'attrazione indiscutibilmente internazionale che l'artista deve percorrere per il lancio e utilizzare le location sussidiarie più facoltose per la realizzazione defini! tiva dell'Artista. L'altro progetto è
Anno della Cultura Italiana in USA Promozione di Spoleto a New York Spoleto sarà protagonista a New York di una serie di iniziative che rappresentano un'anteprima di quello che le Istituzioni italiane stanno preparando negli Stati Uniti per il 2013, anno dichiarato dal Governo italiano "Anno della Cultura Italiana in USA". Si tratta di una notevole opportunità per promuovere le eccellenze di Spoleto e del suo territorio in USA. La missione a New York è stata organizzata dall'ambasciata d'Italia a Washington, in collaborazione con la Fondazione Villa Firenze, che ha organizzato a New York una serie di iniziative promozionali di grande rilievo. Il sindaco di Spoleto Daniele Benedetti porterà il saluto ufficiale della città di fronte ad una platea di circa 300 invitati selezionati dall'ambasciata. Seguirà la proiezione del film "Amalia al Ballo", opera di Gian Carlo Menotti, e il concreto del noto flautista Andrea Griminelli. Si terrà poi al Columbus Circle, un incontro di gala, per circa 200 VIP di New York, sotto il patrocinio
quello di portare nelle piazze nel Ca! poluogo umbro dell'Arte e della Cul! tura il lavoro delle prestigiose azien! de di marmo di Carrara, dedicare uno spazio alla Scultura contempo! ranea con l'esposizione di grandi Maestri come Yoshin Ogata, Igor Mi! toraj, Aron Demetz, Alba Gonzales, Mohammad Sazesh, Luciano Massa! ri, Luciano Preti…
dell'Ambasciata d'Italia, alla presenza dell'ambasciatore Claudio Bisogniero e di molte personalità e autorità della metropoli americana. Sempre in questi giorni il sindaco Benedetti, accompagnato dal responsabile delle relazioni internazionali Gilberto Giasprini, incontrerà presso la sede del Consolato Generale di New York il Console Generale e l'ambasciatore d'Italia. Parteciperà inoltre ad incontri ed azioni promozionali organizzati dalla Fondazione in collaborazione con un importante studio di Pubbliche Relazioni della Grande Mela e con Amici Americani del Festival e di Spoleto. Tutte le iniziative promozionali sono finanziate dall'Ambasciata d'Italia e dalla Fondazione Villa Firenze, che, grazie ad azioni fund raising, hanno attivato vari sponsor statunitensi ed italiani per finanziare gli eventi. Si tratta del secondo evento promozionale del territorio dello spoletino e, più in generale, di tutta l'Umbria realizzato dall'Ambasciata d'Italia e dalla Fondazione Villa Firenze dopo quello realizzato a Washington nel 2011, nel celebre centro - museo della stampa.
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Racconti di scelte differenti
VenerdĂŹ 3 Febbraio , a Milano, presso la sede dell'Unicredit leasing, l'Associa! zione di volontariato Jerry Essan Masslo , ha ricevuto il premio per il suo pro! getto " Vestiamo la LibertĂ ", che sarĂ realizzato , con la collaborazione della Coop Sociale " Nuovi Orizzonti", presso la Casa di Alice , bene confiscato alla camorra, ed ora sede dell'osservatorio sul disagio, e presidio per donne vittime di sfruttamento. A ricevere il premio il Presidente dell'Ass. Masslo, Renato Na! tale, e il Presidente della Cooperativa Altri Orizzonti, Anna Cecere.
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Una giornata ad Altrocioccolato DI DANILO SANTI
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he bello interessarsi di qualcosa di diverso dal solito tran!tran della vita di ogni giorno dove ci so! no parecchi momenti di alienazione dovuti, secondo me, alla meccani! cizzazione delle nostre esistenze. Sono un po' esagerato? Beh, il fatto è che sono sempre più frequenti quelle situazioni dove la nostra umanità viene messa alla prova da certe ossessioni convulsive che ci spingono a consumare senza crite! rio ad esempio cibi che appagano ossessivamente il palato, utili come una droga per il drogato. Beh, pur! troppo sono un po' fuori da quel cir! cuito che vede in cose per me assur! de, come per esempio Eurochocola! te, quali esempi di sballo puramen! te epicureo. Che ci volete fare, quel! lo che ho fatto è un percorso perso! nale di autocoscienza che non può essere insegnato e nemmeno indi! cato, ma semplicemente iniziato, sperando che la piantina cresca sen! za incidenti, di fronte alle varie in! temperie e alla crudeltà del caso.
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uesta giornata è cominciata con la bella presenza di amici a me cari che alla fine si sono uniti alla comitiva e che hanno reso la giorna! ta ancor più degna di essere vissuta. Abbia! mo fatto compere in quel di Castiglione del Lago, sulle rive del Lago Trasimeno, domenica 14 Ottobre 2012, ultimo giorno della manifestazione Altrocioccolato, mes! sa in piedi e organiz! zata dalle Botteghe del Mondo che operano nel Com! mercio Equo e Solidale; si Equo e Solidale in quanto alla normale ne! cessità di consumare cibo a fini di sostentamento si unisce anche una eticità del normale rapporto acqui! rente!produttore che svicola dagli odierni rapporti di sfruttamento dell'uomo e della terra, ormai co! muni nell'economia mondiale, do! minata da multinazionali sempre
Rosarno, Piana di Gioia Tauro. Arance etiche della Piana per un futuro d!integrazione e solidarietà A un anno e poco più dalla rivolta di Rosarno, nulla è sostanzialmente cambiato. Certo, gli africani presenti nella piana di Gioia Tauro sono di meno. Certo, la militarizzazione ha fatto sì che ci fosse qualche contratto di lavoro in più. Certo, a breve saranno disponibili i container per 120 regolari, selezionati tra la massa di almeno 800 lavoratori del continente nero. Ma la sostanza resta uguale: 20, al massimo 25 euro al giorno per sgobbare al freddo e all!umido, senza garanzia alcuna di essere retribuiti, e tornare la sera in ricoveri di fortuna, malsani, privi di acqua ed elettricità, con il rischio di essere sgomberati dalla polizia e se irregolari addirittura arrestati. Una sostanza di sfruttamento e abbandono ch!è l!altra faccia dei sette centesimi al Kg pagati dall!industria del succo d!arancia, quella che assorbe l!80% dell!agrumicultura pianigiana, o dei 20 centesimi offerti dalla Grande Distribuizone Organizzata per le arance da tavola. E allora meglio non raccogliere, dice qualcuno. O ancora comprare direttamente il succo o gli agrumi che arrivano al porto dal Brasile, da Israele, o dal Marocco e poi rivenderli alle grandi catene. E infatti il lavoro diminuisce e le condizioni di sfruttamento peggiorano man mano che l!economia di questo territorio degrada. Meglio venderli, i terreni, magari a qualche multinazionale che ci fa un inceneritore o una centrale… Altro che agricoltura di qualità, altro che made
più grandi e sempre più lontane da considerazioni etiche. a manifestazione che quest'anno si intitola 'Si può fare … il lavoro nella rete solidale' ha presentato nella sua ultima giornata di domeni! ca un incontro aperto sullo stato dell'economia solidale, presenti as! sociazioni e progetti che operano in 'zone di confine' quali Cerignola con la coop Pietr di Scarto, Castel
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in Italy! Tanto, per i succhi vanno bene pure le arance alla diossina e i grandi gruppi d!entrambi i settori possono continuare a lucrare con la complicità d!affaristi locali e la protezione degli "ndranghetisti. Noi non ci vogliamo stare. Per questo insieme ad alcune realtà locali della solidarietà con gli immigrati abbiamo deciso che bisogna rompere questo circolo vizioso, che dal malessere crescente fa nascere il razzismo e mette poveri contro poveri a nascondere le reali Abbiamo deciso di mettere i poveri con i poveri e lottare: - Per il recupero dell!agricoltura, quella sana, quella che si regge sui piccoli produttori, fondata sul rispetto verso la terra e verso l!uomo.- Per la difesa del nostro territorio, ch!è premessa indispensabile a qualunque sviluppo sostenibile.- Per la solidarietà e l!accoglienza verso chi viene a lavorare nella nostra terra e costituisce non solo una risorsa per la sopravvivenza dell!economia rurale ma anche una grande possibilità d!arricchimento umano e civile per un territorio sempre più spopolato e impoverito. Per tutto questo abbiamo messo insieme alcuni piccoli produttori della piana di Gioia Tauro, già da tempo avviati a metodi di produzione biologici e fermi nel rifiuto di qualunque sfruttamento dei lavoratori, siano italiani o immigrati. E li abbiamo messi a confronto con chi da anni, a Rosarno e dintorni, lotta a fianco dei lavoratori africani, in un contesto sociale a dir poco difficile. Abbiamo unito chi fino ad oggi ha resistito da solo, per portare avanti un!altra possibilità di futuro nella piana di Gioia Tauro.
Consumare Volturno con la coop Altri Orizzonti e l'ass. Jerry Essan Masslo per il pro! getto 'Vestiamo la Libertà', Ora d'Aria Lab, Gioia Tauro, Rosarno con l'ass. EquoSud e AfricaLabria per la campagna SOS Rosarno. l tema principe di questa dodicesi! ma edizione di Altrocioccolato è stata il Lavoro nelle Reti Solidali, co! me luoghi dove il rapporto lavoro! dignità umana viene proposto in contesti 'difficili' quali in quei terre! ni e beni confiscati alle mafie e nelle economie carcerarie e di integrazione, disabilità ed emarginazione, partendo sempre dalla tutela dei diritti dei produttori, fino a formare le filiere della legalità ed equo!solidali contro una so! cietà 'civile' ed 'istituzionale' che invece 'rema' contro. Ovviamente nella manifesta! zione non poteva mancare il cacao, ma un cacao che ha un sapore ben diverso dalla (per esempio) diffusissima 'Nutel! la' in quanto portatrice di va! lori etici e solidali ben diversi dal prodotto della multina! zionale, e valori anche saluti! stici che non sono frutto della necessità di massimizzarne il guadagno netto. Perché in fin dei conti la parola Etica signi! fica anche questo, anche Sa! lute, e il prodotto che ne deri!
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va è anche più buono al gusto e …. semmai costasse un po' di più, impa! reremmo a consumarne meno e a prediligere la qualitù, nonostante il costo.. entre ce ne stavamo andando sono intervenuti altri relatori che ci hanno parlato della moneta comparativa che deve soppiantare l'Euro e della necessità di cambiare l'attuale sistema perverso del debito pubblico che, come un buco nero,
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Castel Volturno (Campania) con il progetto Vestiamo la Libertà, finanziato da Unicredit Leasing La tanto vituperata, maltrattata, calpestata Castel Volturno; la città teatro della strage degli immigrati africani del 2008 a opera di un commando camorristico, delle cave abusive di sabbia, della illegalità diffusa e dei continui diritti negati ai suoi cittadini arriva a Milano ed è addirittura celebrata e premiata. Protagonisti dell!evento ideato e sponsorizzato dalla Unicredit Leasing, i volontari dell!associazione Jerry Masslo e gli immigrati che seguono i loro corsi e progetti di recupero e reinserimento sociale. La Unicredit leasing, infatti, sosterrà con un assegno da ottantamila euro il progetto “vestiamo la libertà”, che l!associazione di Renato Natale e Anna Cecere portano avanti a “Casa Alice”, un bene confiscato alla mafia nel territorio di Castel Volturno e che da due anni è diventato un laboratorio sartoriale per donne sottratte alla tratta degli esseri umani. Qui, nella cosmopolita costa della provincia di Caserta, dove si trovano immigrati provenienti da decine di Paesi dai quattro angoli
19 inghiotte miliardi e miliardi e non è capace di creare sviluppo come in passato. Tra me e me ho pensato che è tutta colpa della crisi dell'attuale sistema di Liberismo senza regole che ha permesso ad enti privati, qua! li le Banche, anche le Banche Nazio! nali, controllate da capitali delle Multinazionali e dalle Finanziarie e di chissà quali altri enti, di impos! sessarsi della vita politica e di gestire la nostra vita economica e sociale ....
del mondo, quasi tutti sprovvisti di regolare permesso di soggiorno, si sta riuscendo nel miracolo di trasformare quello che per tanti è un problema in risorsa. Non a caso, il prodotto sartoriale confezionato a Casa Alice, che esce dal villino gestito dalla Jerry Masslo col marchio “Made in Castel Volturno”, è stato molto apprezzato dai dipendenti della Unicredit, che in massa lo hanno votato e hanno permesso che si aggiudicasse il premio in denaro. “Sostenere lo sviluppo dell!impresa sociale è fondamentale – ha sottolineato durante la premiazione Ivan Lo Bello, presidente di UniCredit Leasing – in quanto strumento di coesione delle comunità e di rafforzamento della legalità. La lotta alla criminalità organizzata, infatti, non è solo compito degli organi di polizia e della magistratura. Senza creare solidi argini, in primo luogo culturali, tra i cittadini, non riusciremo mai a sconfiggere definitivamente le mafie che minacciano la crescita civile ed economica della nostra società”. La Jerry Masslo, i suoi immigrati, ma tutta Castel Volturno, quella sana che ha voglia di fare muro e gruppo contro ogni tipo di sopraffazione, quella che non ha paura della condivisione e del cosiddetto diverso, ringrazia.(Enzo Ammaliato)
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Consumare
Cer ig nol a (Pug l ia), l a c oop er ativ a soc ial e ' Pietr a d i S c ar to' “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo" (Salmo 117). Questo breve passo biblico racchiu! de in sé l'essenza dell'opera della no! stra cooperativa: dal 1996 lavoriamo per rendere possibile e praticabile la filosofia, molto pragmatica, che ri! siede nel nome che abbiamo scelto per la nostra organizzazione: ridare, nel nostro piccolo, dignità e diritti a coloro ai quali sono stati tolti. Per questo la "Pietra di Scarto" ha deciso di intraprendere un cammino che ha per interlocutori privilegiati gli emarginati vicini e lontani, siano la! voratori sfruttati nell'emisfero de! predato del Mondo o uomini e donne che quotidianamente ci capita di in! contrare sul nostro cammino. Il no! stro progetto vive della convinzione di poter essere protagonisti del so! gno concreto del cambiamento so! ciale, passando attraverso l'econo! mia di giustizia, il diritto al lavoro e l'integrazione sociale. Il Commercio Equo e Solidale, l'inserimento lavo! rativo di uomini e donne normal! mente emarginati dal mondo del la! voro, l'attenzione ai migranti e ai lo! ro diritti violati rappresentano le pie! tre angolari del nostro agire, la no! stra voglia di esserci perché, anche a Cerignola – luogo di lotte per la ter! ra, sfruttamento e battaglie sindacali – un altro mondo sia possibile. Ecco uno dei nostri prodotti: Vino Hiso Telaray Rosso. Abbiamo scelto di metterci in gioco, senza eroismi e clamori, con l'amore per la nostra terra e la serietà del lavoro quotidia! no. Lavoriamo con umiltà e respon! sabilità perché abbiamo avuto dei maestri importanti. Hiso Telaray era un giovane migrante albanese che si ribellò al caporalato dei campi pu! gliesi, e fu per questo ucciso nel 1991 in provincia di Brindisi, poco distan! te da dove lavoriamo. Abbiamo toc! cato con mano la possibilità del cam! biamento. A Hiso e a tutti coloro che non chinano la testa dinanzi all'arro! ganza mafiosa, dedichiamo questi vi! ni. (Emiliano Moccia)
“Hiso è stato riconosciuto vittima di mafia” – ha spiegato qualche mese fa a FrontieraTv Alessandro Leo, presidente della cooperativa che opera sui terreni confiscati alla Sa! cra Corona Unita nei comuni di Me! sagne, Torchiarolo e San Pietro Ver! notico " . “Viveva da un paio di anni in Italia e si era sempre impegnato nella raccolta dei frutti della terra. Ma poi si ribellò, non volle più dare parte della sua paga ai caporali. Pa! gò con la vita la sua scelta. Fu ucciso da caporali albanesi aiutati da un italiano. Entrarono di notte nella sua abitazione di fortuna, un casola! re abbandonato nelle campagne dell’Incoronata, e lo spararono". Hi! so aveva solo 22 anni quando è stato ucciso nel settembre del 1999. “No! nostante le minacce, Hiso non ha mai ceduto al ricatto dei caporali. A lui e a tutti coloro che non chinano la testa dinanzi all’arroganza mafio! sa, dedichiamo questo vino". Questa la dedica riportata sull’etichetta del vino realizzato dalla cooperativa Terre di Puglia " Libera Terra su ter! reni confiscati a boss della Sacra Co! rona Unita. Ed anche a Cerignola, in occasione del passaggio della Caro! vana Antimafia, si è parlato del! l’esperienza portata avanti dalla cooperativa Pietra di Scarto che da qualche anno gestisce un terreno appartenuto al boss Rosario Giorda! no, arrestato nell’ambito dell’opera! zione ‘Cartagine’. Da quel terreno, da quell’uliveto un tempo apparte! nuto alla mafia, oggi grazie al lavoro degli operatori si produce la Bella di Cerignola, venduta nel circuito dell’Altro Mercato. Una risposta di riscatto e di rinascita, di sviluppo sociale ed economico. Al termine dell’incontro, ‘Tracce di Cerignola’ resteranno nei ‘diari di bordo’ che la Carovana raccoglie a conclusione del suo viaggio di 96 giorni in giro per l’Italia ed in altri Paesi europei. Infine, un pezzo di stoffa con il no! me della città sarà aggiunto alla bandiera della legalità democratica, simbolo della Carovana.
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Contraddizione
Dalla “triade” alla “diade” il principio della “Contraddizione”
DI SANDRO RIDOLFI
La conoscenza è un formidabile stru! mento di potere e le classi dominanti nei secoli, anzi nei millenni, l’hanno scrupolosamente tenuta per se stesse, escludendone l’accesso alla classi domi! nate, o, al più, confezionando per que! ste ultime formule e conclusioni già pronte, da assorbire rigorosamente sen! za comprenderle appieno e, dunque, senza poterle giudicare e all’occorrenza criticare. Il progetto che motiva la rea! lizzazione di questa rivista marxista se! gue il primo insegnamento di Gramsci: rivolgersi all’intelligenza dei lavoratori per aiutarli a prendere coscienza di sé, del loro valore storico, della loro funzio! ne nella vita e con essa dei loro diritti e dei loro doveri. Istruirsi per capire, co! noscere per agire. Ci è stato più volte
criticato di utilizzare, per i nostri artico! li politici, economici e culturali in gene! re, materiali “popolari”, facilmente re! peribili in internet o in pubblicazioni di vasta diffusione. Non è una critica; è la verità. Per i nostri interventi seguiamo consapevolmente due criteri: fornire, e indicare per la ricerca, materiali di co! noscenza per la riflessione e il ragiona! mento senza proporre conclusioni; sce! gliere quindi fonti e materiali di facile reperimento e di semplice comprensio! ne. Non c’è argomento filosofico o scientifico che non possa essere tradot! to in termini, vocaboli e frasi, semplici e comprensibili. “Popolarizzare” la cultu! ra, come insegnava Togliatti, per ren! derla realmente accessibile ai lavoratori è un impegno difficilissimo; tuttavia non c’è argomento esposto in mille pa! role che non possa essere esposto con la stessa chiarezza in cento sole parole. Ci
proviamo. In questo articolo affrontia! mo un argomento apparentemente di altissimo livello scientifico, ma che in realtà è estremamente semplice e persi! no intuitivo, proprio perché è “reale”, cioè verificabile nella vita di ogni giorno da chiunque “senza presupporre la co! noscenza nemmeno dei concetti più ele! mentari” (Marx). Il tema che vogliamo trattare riguarda il passaggio dalla con! cezione sostenuta dalle classi dominan! ti della “triade”: ove “tesi” e “antitesi” si conciliano nella “sintesi”, alla concezio! ne del materialismo scientifico comuni! sta della “diade”: ove “tesi” e “antitesi” non si conciliano mai e generano la “contraddizione”. Qualcuno ora dirà che ci siamo già “persi” nel progetto di popolarizzazione. Non è così, o meglio confidiamo che non sia così. Vi invitia! mo a voler proseguire nella lettura del! l’inserto sperando di avere ragione.
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Contraddizione
Base (struttura) e sovrastruttura Prima di entrare nella discussione del tema dell’inserto occorre richiamare il “caposaldo” del pensiero scientifico marxista: la distinzione tra “base” e “sovrastruttura”, ove la “base” è il mondo reale, quello dei rapporti di dominio economici; la “sovrastruttu! ra” è il mondo delle idee, quello della elaborazione dei rapporti reali sotto! stanti. Il marxismo ci insegna che è la struttura economica del mondo reale a produrre le sue ideologie conformi e che, conseguentemente, pretendere di invertire l’ordine e ritenere che siano le idee a caratterizzare la realtà economica, oltre ad essere scientifi! camente errato, è manifestamente strumentale a voler inculcare nelle classi dominate le idee di dominio delle classi dominanti. “Tesi” e “anti! tesi” appartengono alla “base”, la “sintesi” appartiene alla sovrastruttu! ra; nel mondo “reale” c’è “contraddi! zione” e non “composizione” (sintesi). Ma “contraddizione” non vuol dire necessariamente “antagonismo”; tra “tesi” e “antitesi” c’è un rapporto dia! lettico di interscambio che fa della “contraddizione” tra i due opposti il motore dello sviluppo. Individuare la “contraddizione”, distinguerla nelle sue diverse caratteristiche: universale o particolare, principale o seconda! ria, e soprattutto distinguere l’ “anta! gonismo” (contro natura) dalla “con! traddizione” (naturale) è il percorso di indagine e ragionamento che ci in! segna il materialismo scientifico. Avevamo scritto in un precedente in! serto (Centralismo Democratico, ot! tobre 2012) “La scienza e la pratica comunista non si pongono che un principio: armonizzare le contraddi! zioni che sono nella realtà materiale e farne fattore e motore stesso di cresci! ta della società degli uomini”. Entria! mo nel merito del tema seguendo due testi fondamentali “Materialismo ed Empiriocriticismo” scritto nel 1908 da Lenin, che rappresenta il saggio fondamentale dell’approccio comu! nista al mondo della scienza, e “Sulla contraddizione” scritto nel 1937 da Mao, che rappresenta il testo più evo! luto e più divulgativo del pensiero scientifico comunista.
Tesi, antitesi e sintesi Il bianco e il nero sono gli opposti, l’uno la tesi l’altro l’antitesi. Tra di loro c’è la vasta gamma dei grigi, ma il grigio non è la sintesi del bianco e del nero, perché questi ultimi resteranno sempre netti e distinti e non si perderanno mai nel gri! gio; ma anche, in senso inverso, il bian! co e il nero non discendono dal grigio, bensì è il loro interscambio che genera il grigio. Il grigio non è un colore natu! rale, ma è un’idea che nasce dalla (con)fusione del bianco e del nero. Il giorno e la notte sono gli opposti, tesi e antitesi; l’alba o il crepuscolo non sono la loro sintesi, né dall’alba o dal crepu! scolo nascono il giorno o la notte. L’in! terscambio tra giorno e note da vita al! l’alba e al crepuscolo. Maschio e femmi! na (termini scientifici e non sociali: uo! mo/donna) sono tesi e antitesi perché, benché nati da un identico percorso ge! nerativo, assumono caratteristiche del tutto diverse. I figli non sono la sintesi del maschio e della femmina, ma sono l’inizio di una nuova tesi e/o antitesi. I genitori non si dissolvono nei figli per! ché mantengono una loro precisa iden! tità, così come i figli non sono la somma dei genitori perché a loro volta sviluppe! ranno una loro identità. Certamente il bianco può essere scolorito dal nero, co! sì come il giorno scurito dalla notte e i figli influenzati nella loro formazione dai genitori, ma ciascuno dei compo!
nenti della realtà materiale manterrà la propria identità naturale. Non è ragio! nando sul grigio, o sull’alba!crepuscolo, o sul legame biologico o anche affettivo genitori!figli che si può modificare la re! altà. Per cambiare lo “stato di cose pre! sente” occorre agire sulle “cose” e non sulle idee soggettive che possiamo avere delle “cose”. Se vogliamo combattere il buio occorre accendere la luce, se vo! gliamo far crescere l’essere umano dob! biamo operare sulle condizioni di con! testo materiali nelle quali si trova a vive! re. Cultura e ignoranza sono tesi e anti! tesi, ma la sintesi non è nella delega alle persone colte alla gestione delle cose complesse o difficili; la contraddizione si combatte agendo sull’ignoranza per! ché si identifichi nella cultura di tutti in grado di gestire anche le cose più difficili (“Noi insegneremo anche a una cuoca a governare lo Stato” ha detto Lenin). Ric! chezza e povertà sono anch’esse tesi e antitesi, ma la sintesi non è né nella be! neficienza delle opere umanitarie, né nell’eliminazione della ricchezza con l’equa divisione della povertà; la con! traddizione si risolve con la creazione di altra ricchezza per tutti (“Siate tutti am! ministratori, imparate ad amministrare, per dare al socialismo una base econo! mica” diceva ancora Lenin). La sintesi, dunque, è un’operazione ideologica che nega, o meglio opportunisticamente nasconde, la non conciliabilità della tesi con l’antitesi, cioè degli opposti, che so! no elemento naturale della realtà.
Contraddizione
Contraddizione, unità e antagonismo La contraddizione è nella natura del! le “cose”, cioè è “universale” (“Non esistono cose che non contengano contraddizioni, senza contraddizioni non esisterebbe l’universo” ha scritto Mao); la contraddizione genera il movimento e il movimento è il prin! cipio stesso della vita e dell’evoluzio! ne. Ma la contraddizione, come det! to più sopra, non significa necessa! riamente antagonismo, anzi l’oppo! sizione tra tesi e antitesi è indispen! sabile per dare vita al movimento e, dunque, tra gli opposti c’è ad uno stesso tempo contraddizione e unità; l’uno non può esistere senza l’altro e il loro insieme è il principio della vi! ta. La notte non può esistere senza il giorno e il loro succedersi alimenta la vita sul pianeta (prima non “era il buio”, “non era” e basta, è stata la lu! ce a creare il buio e non l’opposto). Maschio e femmina non possono esi! stere l’uno senza l’altro perché il loro incontro (confronto!scontro) da luo! go alla vita. La contraddizione è però anche “particolare” quando l’opposi! zione è destinata a essere superata dall’assorbimento della tesi nell’an! titesi che diventano identità. La cul! tura è opposta all’ignoranza, ma la trasformazione dell’ignoranza in cul! tura risolve la contraddizione ren!
dendo identici i due opposti. La ric! chezza è opposta alla miseria, ma an! che la miseria è destinata a scompa! rire nella ricchezza diffusa. L’opposi! zione in questo caso è transitoria o contingente, genera un movimento che finisce per risolverla. C’è poi la contraddizione antagonista quando tra i due opposti non solo non c’è unità, ma neppure il progetto di identità; gli opposti sono inconcilia! bili, tra i due c’è guerra e l’antitesi prevarrà solo se avrà sconfitto e an! nullato la tesi. Malattia e salute sono antagonisti e inconciliabili; la loro opposizione genera la ricerca scien! tifica, lo stato sociale, ecc., ma la so! luzione è solo nella sconfitta della malattia e quindi nella cancellazione della contraddizione. Così conclude Mao il suo saggio “Sulla contraddi! zione”: “La legge della contraddizione inerente alle cose, cioè la legge del! l’unità degli opposti, è la legge fonda! mentale della natura e della società e quindi anche del pensiero. Essa è l’op! posto della concezione metafisica del mondo. La sua scoperta ha costituito una grande rivoluzione nella storia della conoscenza umana. Secondo il materialismo dialettico, la contraddi! zione esiste in tutti i processi che si verificano nelle cose oggettive e nel pensiero soggettivo, essa percorre tutti i processi dal principio alla fine: in questo consiste il carattere univer! sale e assoluto della contraddizione.
23 Ogni contraddizione e ciascuno dei suoi aspetti hanno le loro proprie ca! ratteristiche: in questo consiste il ca! rattere particolare e relativo della contraddizione. In determinate con! dizioni gli opposti sono caratterizzati dall’identità e quindi possono coesi! stere in un’entità unica e trasformar! si ciascuno nell’altro: questo è ancora il carattere particolare e relativo della contraddizione. Ma la lotta degli op! posti è ininterrotta; essa continua sia quando gli opposti coesistono sia quando stanno trasformandosi l’uno nell’altro: questo è ancora il carattere universale e assoluto della contraddi! zione. Quando studiamo il carattere particolare e relativo della contraddi! zione, dobbiamo tener presente sia la differenza fra la contraddizione prin! cipale e quelle secondarie, sia la diffe! renza fra l’aspetto principale e quello secondario della contraddizione; quando studiamo il carattere univer! sale della contraddizione e la lotta degli opposti, dobbiamo tener presen! te le differenze fra le varie forme di lotta; altrimenti gli errori sono inevi! tabili.”
Alcune applicazioni in concreto La caratteristica qualificante del marxismo!leninismo è di essere una scienza politica, una scienza nata e destinata ad indagare e apprendere i meccanismi di funzionamento della realtà per mutarla, “chiamiamo co! munismo – scrive Marx – il movimen! to reale che cambia lo stato di cose presente”. La teoria del materialismo scientifico è pratica di costruzione della società comunista. Aprendo questo inserto abbiamo detto che l’argomento di cui volevamo parlare, dietro l’apparenza di un complesso ragionamento scientifico, in verità riguardava una realtà estremamente semplice perché concreta, visibile e verificabile nella vita di ogni giorno da chiunque “senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari”. Ora proviamo a di! mostrarlo con alcuni esempi che po! tranno essere replicati fedelmente nei più diversi casi della vita “reale”. Faremo due esempi: la fabbrica e l’ambiente, e una proposta!provoca! zione.
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Contraddizione
La fabbrica
Viviamo in una società capitalista caratterizzata da una contraddizione “universale”: la separazione tra i pro! prietari dei mezzi di produzione, i capitalisti, e gli addetti a quei mezzi, i lavoratori. Questa contraddizione è antagonista perché non solo è falsa la pretesa ideologica della sintesi del “vivere civile” imposta dalle classi dominanti per perpetuare il loro dominio, ma neppure è possibile l’unità degli opposti, perché la con! traddizione si risolverà solo con la cancellazione di uno dei due termi! ni, ovvero dell’unico possibile: i pro! prietari dei mezzi di produzione, i quali ultimi dovranno essere nelle mani dei lavoratori. Questo però potrà avvenire solo quando i lavora! tori saranno in grado di prendere in mano e gestire efficacemente i mezzi di produzione. Qui nasce la contrad! dizione “particolare”. Tra “macchina” che affatica e a volte aliena il lavora! tore e il suo diritto alla qualità della vita c’è contraddizione, ma il lavora! tore non potrebbe vivere senza il lavoro, senza la macchina, quindi tra i due opposti c’è anche unità. Questa contraddizione che non è destinata a risolversi con la distruzione della macchina, non si concluderà neppu! re con l’identificazione tra macchina e lavoratore; sarà dunque una con! traddizione permanente, rispetto alla quale si potrà e si dovrà agire sul miglioramento della macchina e del suo rapporto con il lavoratore. Ecco ora un’applicazione concreta contin! gente del principio marxista!lenini! sta: la Fiat di Marchionne è una fab! brica “ignobile” sotto tutti i profili, qualità dell’ambiente di lavoro, negazione dei diritti del lavoro, sino alla scarsa qualità dello stesso pro! dotto. La fabbrica è però lo strumen! to che consente di vivere ai lavorato! ri e alle loro famiglie. Marchionne va abolito, la fabbrica va difesa. Se i lavoratori non sono ancora in grado di prenderne il controllo e gestirla in una società socialista, dovranno allo! ra difenderla fosse anche nelle mani del nemico di classe. In concreto, se siamo in una società capitalista e non ne possiamo uscire (almeno per ora), allora che ci siano i capitalisti, ma quelli veri, quelli che investono i loro capitali (“loro” anche se “legal! mente” rubati alla collettività che li
ha in realtà prodotti). I comunisti non opereranno mai per la distruzio! ne della fabbrica del loro padrone, ma dovranno difenderla, sostenerla, fare in modo che cresca e prosperi, fino a che non saranno in grado di appropriarsene. Questo non è opportunismo né socialdemocrazia, questa è la corretta applicazione dei principi sulla contraddizione: l’op! posizione capitale/lavoro è antago! nista, l’opposizione lavoro/qualità della vita è naturale e fa parte dell’in! finita evoluzione della vita.
L’ambiente
La crescita della qualità della vita di immensi strati di popolazione mon! diale, da sempre condannati alla povertà più miserabile, richiede consumo di energie, questo consu! mo modifica l’ambiente vitale fino al rischio di comprometterlo. Tra qua! lità primaria della vita (alimentazio! ne, salute, istruzione, ecc.) e qualità dell’ambiente c’è contraddizione, ma l’opposizione non è antagonista, bensì particolare. Per alimentare moltitudini di uomini e sollevarli dalla miseria al benessere di una vita vivibile occorre bruciare fossili e forse anche ricorrere all’atomo. L’ambiente ne subisce indubbia! mente conseguenze gravi, a detta di taluni persino devastanti, ma la con! traddizione non ha soluzione: occorre anzitutto bruciare per vivere e poi progettare di vivere in un
ambiente risanato. I comunisti non si oppongono quindi ad un uso dell’ambiente che dia priorità alla difesa della vita umana, ma cono! scono la contraddizione e lavoreran! no per superarla.
La politica
Potremmo andare avanti con tanti altri esempi di applicazione concreta del materialismo scientifico, della scienza comunista, alla vita reale attuale; proponiamo l’inizio di un ultimo esempio lasciando ai lettori il compito, se vorranno, di portarlo a termine. La politica, intesa come invasione da parte di quel che resta dei partiti degli apparati della pub! blica amministrazione ha oramai superato i limiti estremi della stessa decenza. La politica, quella politica, indubbiamente e giustamente è sporca e rischia di sporcare chi vi si avvicina. Politica partitica e politica intesa come partecipazione consape! vole di tutti i cittadini alle sorti della propria comunità sono tesi e antite! si; tra di loro non c’è possibilità di sintesi, ma solo opposizione inconci! liabile, cioè antagonista. Uno dei due opposti deve dunque essere soppres! so. Che fare? Rinunciare al diritto di partecipare alla amministrazione della nostra società e lasciarla nelle mani dei politici attuali? I comunisti non debbono farlo anche a costo di sporcarsi le mani. E i cittadini in genere?
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Insieme
La cosiddetta “malattia mentale” I luoghi di cura “alternativi”
DI GIAMPIERO DI LEO
Presidente FENASCOP Federazione Italiana Strutture Comunitarie Psicosocioterapeutiche Quando si sente parlare di Comunità terapeutiche, il pensiero va subito alla droga, ai suoi devastanti effetti, alle possibili cure e alle Comunità terapeu! tiche storiche per il "recupero dei tossi! codipendenti ": Muccioli, don Picchi etc.Ma esistono altri tipi di Comunità terapeutiche che non arrivano ad essere rappresentate sui media e non sono presenti quindi nell'immaginario col! lettivo. Le Comunità Terapeutiche per la cura del disagio psichico più o meno grave ( la cosiddetta malattia mentale) sono fra queste e rappresentano una re! altà grandissima ma misconosciuta.
Nessuno vuole far sapere che è in cura psichiatrica, che è "matto" o che lo è stato. Ragione per la quale di questa possibilità di cura, molto diffusa, ma non conosciuta, se ne ha notizia solo a margine del discorso della chiusura dei manicomi, della legge 180, di Franco Basaglia. Eppure esistono luoghi alter! nativi ai ricoveri ospedalieri (TSO; SPDC) e all'internamento nei nuovi manicomi ( case di cura neuropsichia! triche chiuse in alcune delle quali spesso ancora si fa ricorso agli elettro! shock e a terapie farmacologiche che mineralizzano la persona).Le Comuni! tà terapeutiche per la terapia del disa! gio psichico sono luoghi di vita aperti nei quali, in regime di assoluta condivi! sione del progetto di cura, ci si sperime! ta in un cammino di crescita e di uscita dai fantasmi e dalle angoscie di essere
portatori di un male inguaribie e di un handicap esistenziale insuperabile. Certo è un percorso difficile e spesso doloroso, ma "insieme è più facile" po! trebbe essere il motto delle Comunità terapeutiche di qualsiasi tipo. E questo motto è particolarmente adatto al lavo! ro che si fa nelle Comunità terapeuti! che per la cura del disagio psichico/ma! lattia mentale. Matto non è chi soffre di problemi psicolgici anche gravi. Matti ci si diventa se alle nostre richieste di aiuto non viene data alcuna risposta. E la risposta non può essere l'interna! mento alienante in luoghi chiusi dei quali non si possiede la chiave. Nelle Comiunità terapeutiche ( almeno di quelle che io conosco e voglio rappre! sentare), le porte dell'ingresso e del! l'uscita sono sempre aperte ...si sta den! tro se ci si vuol stare!
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Insieme
Al dottor Di Leo, che è anche il fondatore e diret! tore delle più conosciute Comunità terapeutiche in psichiatria del Lazio (quelle della Reverie), ab! biamo fatto alcune domande, le più frequenti che usano fare i famigliari e i sofferenti psichici che chiedono di entrare in Comunità; il dott Di Leo ci ha invitato a visitare il sito della Reverie dal quale abbiamo estratto le FAQ, cioè le domande più fre! quenti che vengono fatte agli operatori incaricati di valutare le domande di ingresso. Le risposte riguar! dano la Reverie, ma anche la maggiorparte delle Comunità terapeutiche in psichiatria: quelle, natu! ralmente, che operano con una metodologia che ha alla base interventi di tipo psicologico!psicotera! peutico e non solo ed esclusivamente interventi di tipo medico!farmacologico. Che cosa è una comunità te! rapeutica? Il concetto originario corretto è "terapia della comunità" o "nella" comunità. Dal punto di vista legale, secondo la vi! gente normativa sanitaria, la Comunità terapeutica è una tipologia di presidio sanitario residenziale extraospedaliero, alternativo cioè al ricovero ospedaliero. La terapia di comunità si colloca in uno spazio intermedio fra l'istituzione ospe! daliera e quella familiare. Di qui deriva che i luoghi di cura collocati nella co! munità dei cittadini vengano definiti anche "strutture intermedie". Secondo la normativa nazionale vigente nelle Comunità terapeutiche vengono eroga! te prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione. I ricoveri, volontari e ob! bligatori, per gli stati di crisi e di acuzie devono invece essere fatti nei presidi psichiatrici ospedalieri: Servizi Psichia! trici di Diagnosi e Cura e cliniche psi! chiatriche autorizzate.
Chi può entrare in comunità? Quanti tipi di Comunità ci sono? Bisogna distinguere fra le varie tipologie di residenzialità psichiatrica cosi come sono regolamentate dalle normative nazionali e regionali. Queste prevedono, accanto alle Comunità terapeutiche vere e proprie, anche Comunità riabilitative, Comunità alloggio, Case famiglia, Residenzialità protette e protratte ecc. (vedi Deliberazione Consiglio Regionale del
Lazio n.ro 1224 del 27/3/85 e regolamenti applicativi del 27/6/85).! Nelle Comunità terapeutiche con approccio psicoterapeutico sono inseriti, a seconda della tipologia del programma, pazienti giovani e meno giovani, per i quali le ASL chiedono un programma di cura e riabilitazione finalizzato ad un cambiamento, che siano in grado di utilizzare le varie tecniche di terapia verbale, individuale e di gruppo, e che siano in grado di gestire il quotidiano attraverso modalità relazionali non sostanzialmente disturbate. L ! a normativa Regionale esclude che nella C.T. possano essere effettuati ricoveri coatti, i ricoveri per patologie organiche, o conseguenti ad abusi di sostanze tossiche, e i ricoveri per patologie geriatriche. !Le Comunità con approccio psicoterapeutico (ai sensi del Decreto legislativo del 16/9/99 n.229 art. 3 septies) sono di due tipi:! a)- la Comunità terapeutica (C.T.) per la cura, il recupero e la prevenzione degli esiti negativi invalidanti!; b)la Comunità Riabilitativa Residenziale (C.R.R.) per la individuazione e il contenimento degli esiti degenerativi invalidanti
Quanto costa? Le rette sono stabilite dalla Regione di appartenenza: occorre informarsi presso i Servizi Dipartimentali di Salute Mentale. Nelle Comunità della Reverie non sono accolti pazienti paganti privatamente, ma solo quelli inviati dalle ASL che garantiscono il pagamento della retta.
Cosa prevede il program! ma terapeutico? I programmi terapeutici delle Comunità della Reverie sono articola! ti e modulati sui bisogni dei pazienti affidatigli in cura. Al programma di base comune a tutte le comunità si aggiungono i programmi relativi allo specifico terapeutico delle comunità stesse. Tutti i programmi sono fonda! mentalmente autogestiti dagli opera! tori addetti all'assistenza terapeutica alla persona, unitamente ai loro affi! dati in cura: gestione della casa, degli spazi personali, della persona, ecc. Queste attività, distribuite nel! l'arco della giornata,occupano soltan! to una parte del tempo a disposizio! ne. L'altra parte del tempo, la più con! sistente, è dedicata alle attività tera! peutiche ad orientamento psicologico e psicoterapico, individuali e di grup! po. Una terza parte è dedicata alle attività artistiche e creative, nonché alle attività ludico!sportive. I tempi di relax e di riposo completano la gior! nata. I tempi morti, non significativi, a differenza di come avviene negli ospedali e nelle cliniche psichiatri! che, sono occasionali e marginali. Gli interventi terapeutici e riabilitativi si misurano non tanto e non soltanto nella quantità, ma nella loro qualità intrinseca e nella possibilità della loro integrazione con tutti gli aspetti della vita comunitaria. Non sono interventi a pioggia (tutti insieme in un perio! do) o a cascata (uno dopo l'altro ma slegati fra di loro), ma un insieme di
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azioni terapeutiche significative lega! te fra loro dalla presenza continua di osservatori che ne colgono il signifi! cato profondo e lo riportano alla ela! borazione e alla integrazione dei momenti di confronto collettivo, ope! rativo e dinamico. Anche gli operato! ri terapeutici possono essere portato! ri di loro dinamiche personali, perciò gli stessi si sottopongono con cadenze regolari alla supervisione di un esper! to in dinamiche gruppali ad orienta! mento psicoanalitico, esterno all'Associazione.
Chi lavora in comunità? Le professionalità coinvolte nello svolgimento del processo terapeuti! co, sono quelle previste dal D.P.R. 7/4/94 sulle attività sanitarie. Fra queste, nella evoluzione del model! lo psico!socio!terapeutico della Reverie, si sono affermate princi! palmente quelle attinenti alle capa! cità a sostenere psicologicamente la persona sofferente di disturbi psi! chici e con problematiche derivate esistenziali. Principalmente, dun! que, psicologi ed educatori profes! sionali; a tutti è richiesta, più che la capacità e facilità di fare le cose, una formazione psicodinamica e /o psicoterapeutica, e comunque la capacità di utilizzare un linguaggio comune (di tipo psicodinamico) e di assumere un atteggiamento interpretativo. Le competenze psi! chiatriche e quelle infermieristiche sono presenti ma stanno sullo sfon! do, pronte ad intervenire nei momenti programmati (per fasce o al bisogno). Il consulente psichia! tra, oltre alla valutazione della patologia, che è alla base della scel! ta del percorso terapeutico, gestisce la terapia farmacologia e mantiene il rapporto con il Servizio inviante attraverso periodiche relazioni psi! chiatriche.
E' possibile scegliere una Co! munità al posto di un'altra proposta dal Servizio? In Italia il diritto alla cura è sancito dalla Costituzione. Il diritto alla cu! ra, perché sia reale, comporta il di! ritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. In psichiatria il di!
ritto alla libera scelta è stato confer! mato da varie leggi (fra le quali: Legge 180/78, 833/78) ed è stato re! centemente ribadito dal DPR del 14/1/97 e dal Decreto legislativo 229 del 19/6/99, art. 8 bis. Nonostante questo, spesso ci si sente rispondere che, in presenza di analoga struttu! ra pubblica, non può essere eserci! tato il diritto di libera scelta rispetto ad altra struttura privata autorizza! ta e/o accreditata. Naturalmente va valutata la qualità della struttura suggerita; nel caso però si preferisca la Comunità liberamente scelta, bi! sognerà operare per ottenere l'auto! rizzazione, utilizzando gli strumen! ti che la ragione o le norme ci met! tono a disposizione.
Come fare per ottenere l'au! torizzazione all'inserimento? Gli inserimenti nelle C.T. avvengo! no con il consenso del paziente e dell'équipe del Servizio di Salute Mentale competente per territorio. Questo significa che bisogna essere un assistito ASL per usufruire delle Comunità Terapeutiche della Reve! rie. Occorre anche che il Servizio di Salute Mentale sia disponibile a fare l'invio in Comunità. Le Famiglie de! vono operare affinché il Servizio, at! traverso il referente psichiatrico che ha in cura il paziente, sia convinto dell'utilità della cura in ambiente comunitario e deliberi di conse! guenza l'inserimento e il pagamento della retta.
Potrò vedere mio figlio dopo che è entrato in comunità? Se previsto nel progetto terapeutico, perché ritenuto utile ai fini della evo! luzione della cura, sono possibili rientri periodici in famiglia e incon! tri programmati in Comunità.
E' possibile ricoverare di for! za mio figlio in comunità ? Se non vuole essere ricoverato, come faccio a convincerlo ? La Legge di riforma psichiatrica vieta i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) nei Servizi e presidi sanitari ex! traospedalieri. I ricoveri di urgenza, coatti o disposti dalle Autorità sanita! rie, devono avvenire nei Servizi Psi! chiatrici Ospedalieri o nelle Strutture autorizzate. Nelle C.T. non si fanno ri! coveri ma inserimenti volontari. La "convinzione" non può essere un im! posta: le équipe del Servizio inviante e quelle delle Comunità operano in sin! tonia e in appoggio alla famiglia per spiegare e far comprendere la necessi! tà ma anche l'utilità di una separazio! ne temporanea . L'inserimento avver! rà comunque gradualmente per dare modo di conoscere l'ambiente della comunità e chi vi risiede, dando al con! tempo modo ai residenti di conoscere chi chiede di entrare. Questo richiede un tempo più o meno lungo in cui l'af! fidato in cura e la famiglia, saranno as! sistiti anche domiciliarmene.
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Insieme
Quanto tempo una persona dovrà trascorrere in comu! nità? I tempi della cura in Comunità sono direttamente proporzionali ai tempi della mancata cura, o della cura inefficace, precedenti all'ingresso in comunità e alla cronicizzazione dei sintomi che durante questo periodo è avvenuta. Più lungo è stato il pe! riodo di sofferenza prima dell'in! gresso in Comunità e più lungo è il tempo di recupero. Più profonde so! no le ferite inferte dalla inefficacia delle cure nel periodo precedente l'ingresso in Comunità, più difficile sarà recuperare tutta l'invalidità che il periodo di sofferenza ha causa! to. La sofferenza psichica presa agli esordi ha un esito favorevole. La malattia mentale cronicizzata con! sente spesso solo recuperi parziali: in questo caso si lavora per stabiliz! zare la situazione ed evitare esiti de! generativi ancora più invalidanti. La normativa della Regione Lazio pre! vede due tipi di esito: 24/36 mesi per la C.T. e tempi più lunghi, legati alla evoluzione del progetto tera! peutico, per la C.R.R. Normal!men! te i tempi di cui sopra ci vogliono tutti.
Che rapporti avete con gli Quando si entra in comunità è vero che si perdono i contatti ? operatori del DSM? La collaborazione con l'équipe tera! peutica del Servizio inviante è di fon! damentale importanza. Le normative prevedono che le procedure di ingres! so e di dimissione siano concordate con il paziente, gli eventuali referenti familiari e il Servizio di salute mentale che fa l'invio.
Una volta terminato il percor! Che rapporti dobbiamo avere so terapeutico in comunità noi con gli operatori del DSM? cosa dobbiamo aspettarci? Tenuto conto di quanto detto so! pra, quello che ci si deve aspettare se la terapia fa il suo corso, è ciò che è previsto nel progetto tera! peutico: a) il recupero, più o meno completo, degli esiti negativi inva! lidanti; b) il contenimento degli esiti degenerativi invalidanti; c) il rientro in famiglia; d) il rientro non protetto sul territorio; e) il rientro protetto in strutture residenziali ti! po casa famiglia o gruppo apparta! mento. Avere chiaro il possibile obiettivo su cui mirare, permette di rendere più efficiente il processo di cura ed evita illusioni e possibili dolorose disillusioni. Per questo, il primo contatto e i colloqui clinici di valutazione che preludono all'in! gresso sono di fondamentale im! portanza.
E' importante capire che i referenti sa! nitari del paziente sono i medici e gli assistenti sociali del Servizio di salute mentale di appartenenza. Presumibil! mente questa appartenenza terapeuti! ca dura più a lungo di quella che si crea con l'ingresso in Comunità. La comu! nità opera su delega del Servizio di Sa! lute mentale competente per territorio del paziente. E' necessario quindi te! nere informato con continuità il Servi! zio sull'evoluzione del percorso tera! peutico anche quando si sarà lasciata la Comunità.
Si può uscire quando si vuole dalla C.T.? Solo se il progetto terapeutico lo pre! vede, specialmente nelle fasi di prepa! razione all'uscita e in esecuzione di progetti di reinserimento.
I programmi della Comunità si giova! no delle risorse individuali e sociali che non si sono perse con la "malattia": amici, famiglia e territorio, se ben uti! lizzati, sono una risorsa importante per il buon esito della terapia
Come sono i ragazzi in comu! nità? Che problemi hanno? Per quanto possibile, le tipologie di in! tervento sono raggruppate per program! mi affini. Oltre alla distinzione per pre! visione d'esito, gli assistiti sono divisi per fasce d'età e per complessità della pato! logia: sono comunque tutti pazienti con patologia psichica (cioè non organica oppure dovuta ad abusi o dipendenza da droghe, o a demenza senile).
Troverò lavoro stando in co! munità? Riprenderò gli studi? I programmi delle Comunità tendono alla riacquisizione delle capacità non ag! gredite dalla malattia. Spesso si avviano o si riavviano programmi di studio o di piccola professionalizzazione. La Comu! nità non ha però la competenza delle agenzie sociali che svolgono questa fun! zione. Queste Agenzie Sociali sono inve! ce in contatto con i Servizi Sociali della ASL. Per questo è necessario mantenere il contatto con il Servizio di Salute Men! tale di provenienza anche quando si è usciti dai programmi della Comunità.
Lodare
T E A T R O… cioè? auto!intervista di Roberto Ruggieri
“O io m’inganno, o rara è nel nostro secolo quella persona lodata generalmente, le cui lodi non sieno cominciate dalla sua propria bocca. Tanto è l’egoismo, e tanta l’invidia e l’odio che gli uomini portano gli uni agli altri, che volendo acquistar nome, non basta far cose lodevoli, ma bisogna lodarle, o trovare, che torna lo stesso, alcuno che in tua vece le predichi e le magnifici di continuo, intonandole con gran voce negli orecchi del pubblico, per costringere le persone sì mediante l’esempio, e sì coll’ardire e colla perse! veranza, a ripetere parte di quelle lodi. Spontaneamente non isperare che facciano mot! to, per grandezza di valore che tu dimostri, per bellezza d’opere che tu facci. Mirano e tacciono eternamente; e, potendo, impediscono che altri non vegga. Chi vuole innalzar! si, quantunque per virtù vera, dia bando alla modestia. Ancora in questa parte il mondo è simile alle donne: con verecondia e con riserbo da lui non si ottiene nulla.” Leopardi, Pensieri, XXI
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Lodare
Pubblichiamo in questo numero la prima parte dell’intervista (“autointervista” come l’ha qualificata l’autore) che ha cortese! mente rilasciato Roberto Ruggieri alla nostra rivista. Nel pros! simo numero pubblicheremo la seconda parte, sperando che anche per i numeri successivi Roberto Ruggieri vorrà continua! re la collaborazione con la nostra pubblicazione. Vogliamo rin! graziare sinceramente Roberto Ruggieri per il suo contributo che si pone in piena sintonia con lo spirito della nostra rivista di diffondere tra i nostri cittadini elementi di conoscenza, spunti di approfondimento, ma anche informazioni sulla ric! chezza del grande patrimonio culturale della nostra Regione, ricordando che è patrimonio comune di tutti i suoi cittadini Perché ha voluto porre in aper! tura il pensiero leopardiano?
. Il motivo si chiarirà mi auguro nel cor! so del nostro colloquio. Non c’è nulla da spiegare, sono le cose a parlare da sole, non sarebbe piacevole dover dare spiegazioni in merito a ciò che si fa, ai propri pensieri, dover dare chiarimenti in merito alla scelta di un colore anzi! ché di un altro, o di un gesto, di una no! ta, un’espressione ecc.. La confessione è insita in ciò che si fa. Proverò ad allar! gare il tiro, lei mi dirà se è criptico il mio ragionamento. L’immagine artisti! ca non cede alle analisi: se si trova un senso univoco, una rigida interpreta! zione concettuale in merito a ciò che si è visto, allora il risultato è che l’imma! gine diventa un simbolo e il simbolo in! vecchia appena lo si decifra. Tanti spet! tatori sono tornati a vedere le mie per! formance ed è sempre parso loro che
queste esprimessero ogni volta, di sera in sera, cose assoluta! mente diverse; ciò era dovuto al fatto che ogni volta venivano percepite in modo del tutto nuo! vo. L’opera va apprezzata a mo! do proprio, come parte della verità, ov! vero esiste indipendentemente da ciò che le attribuiscono da una parte l’au! tore e dall’altra lo spettatore. Se lo do! vrebbero ricordare i critici, ogni volta che scrivono e sentenziano. I discorsi che vertono sulla comprensione sono per me ingenui, portano con sé una percezione utilitaristica dell’arte. Poi! ché ognuno è inevitabilmente tenden! zioso, ossia difende la propria personale verità, trasferisce questa tendenziosità anche nella valutazione dell’opera d’ar! te, adattandola ai propri bisogni vitali; comincia a interpretarla conforme! mente al proprio ‘tornaconto’. Pone l’opera dentro il proprio contesto esi!
Roberto Ruggeri Docente di teatro dal 1971, è stato pioniere in Umbria della sperimentazione teatrale a partire dai primi anni Settanta. Risalgono a questo periodo i suoi interessi per l!antropologia teatrale (ha promosso con l!Istituto di Antropologia culturale dell!Università di Perugia i primi seminari in Italia di antropologia e pedagogia teatrale negli anni 1981/82) ed è stato tra gli anni Settanta e Ottanta uno degli esponenti di spicco a livello nazionale della corrente teatrale definita “Terzo teatro”. Promotore, regista e direttore artistico, dal 1976 al 1985, del Teatro Studio 3 di Perugia è stato autore e regista di spettacoli teatrali che gli hanno fatto meritare segnalazioni per il Premio Ubu come gruppo sperimentale dell!anno, come migliore spettacolo dell!anno, come migliore allestimento tecnico, per la migliore nuova attrice e migliore disegno luci. Docente/formatore e direttore di corsi, seminari e laboratori sull'arte dell'attore a partire dal 1976, oltre che promotore di incontri pedagogici con numerose personalità teatrali di rilievo internazionale, ha organizzato e diretto festival e rassegne
stenziale, la collega alle proprie formule interpretative: non dimentichiamo che i grandi esempi d’arte sono ambivalenti a priori e si prestano alle più svariate in! terpretazioni. E’ per questo che resisto! no al fluire del tempo, rimanendo per secoli oggetto di studi, interpretazioni e riadattamenti. L’opera esprime la vita, non la simboleggia, non esprime un concetto cifrato, pone problemi di alto calibro. Ed è anche per questo motivo che le arti andrebbero socialmente di! fese e incentivate, anche e soprattutto in tempi bui come il nostro, anziché umiliate o ignorate. Engels diceva che quanto più è nascosto il punto di vista dell’autore meglio è per l’opera d’arte.
teatrali ed è stato promotore e direttore artistico dal 1990 ad oggi dei corsi teatrali biennali di qualificazione professionale promossi per conto della Comunità Economica Europea, della Regione dell!Umbria, della Provincia di Perugia e del T.S.U. – Teatro Stabile dell!Umbria. Dal 1985 al 2004 coordinatore didattico, docente in corsi universitari di educazione e formazione teatrale e di tirocinio per studenti dell!Università degli Studi di Perugia, è stato coordinatore e docente di corsi teatrali per Performers all!Università “La Sapienza” di Roma. Autore e regista di progetti teatrali anche in contesti internazionali, è stato progettista, docente e coordinatore artistico del progetto triennale “Verso una compagnia teatrale atipica” promosso dalla psichiatria umbra in collaborazione con il Teatro Stabile dell!Umbria e con l!Odin Teatret (Holstebro, Danimarca) diretto da Eugenio Barba. Attualmente, dal 1985, direttore artistico del C.U.T. di Perugia., ha tracciato una via originale in ambito performativo definita da lui “Via psiconautica”. Insegna attualmente anche al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto.
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Partiamo allora dall’attualità e da lei… Lei, oggi. Oggi penso al teatro da una certa di! stanza, avendo maturato la decisione pressappoco un anno fa di ritirarmi in sordina dalle scene, dopo oltre 40 anni di esperienze teatrali. Finendo per fa! vorire un ricambio, mi son guardato intorno in cerca di ‘predestinati’. Lo sguardo, sinceramente un po’ sconfor! tato e sgomento, è presto tornato in! dietro verso il C.U.T.: lì, tra i miei ex al! lievi, ho trovato qualcosa di interessan! te, più che fuori. Al C.U.T. attualmente mi sto esclusivamente limitando a svolgere attività di docenza, quando ce ne viene data l’opportunità, visto che tutte le attività che promuoviamo sono sempre gratuite, intendo dire sia per i giovani allievi attori che per gli spetta! tori, ed è sempre più difficile trovare adeguati sostegni economici per sop! perire alle uscite. Quella della gratuità è stata una scelta maturata fin dall’ini! zio, dai primordi di vita del C.U.T.. Mi sono autorottamato da solo, nel 2011, prima che questa sgraziata espressione si diffondesse attraverso il rozzo lin! guaggio politico, e l’ho fatto pubblica! mente (al Festival di Spoleto) elaboran! do una performance (Fade out), back! stage d’autore in dissolvenza (sottoti! tolo dell’opera). La diffusa distrazione dell’ambiente ha favorito l’operazione che è avvenuta tra l’indifferenza gene! rale dei colleghi e il silenzioso sollievo, neanche tanto malcelato a dire il vero, da parte di assessori alla cultura che si son ben guardati dall’approfondire la
questione. Come si sa i posti che si libe! rano sono graditi non solo nell’auto! bus, ma anche e forse più in ambito po! litico e artistico dove spesso possono prevalere sentimenti non proprio ele! vati. D’altronde non è da oggi che ciò avviene; temo che avverrà sempre, chi vivrà vedrà... Questa condizione tutta! via mi dà oggi la possibilità di espri! mermi con la necessaria libertà senza esser mosso in difesa d’alcuno e senza peli sulla lingua. I tabù vanno abbattuti quando è il momento e il momento mi sembra arrivato da tempo.
Bene. Cercherò di approfittarne allora. Che riflessioni va facen! do, che cosa vede da così distan! te? Come le sembra lo stato del! le cose nel teatro e in particolare in Umbria?
Profilo del C.U.T. Il C.U.T. – Centro Universitario Teatrale di Perugia, costituito a Perugia nel 1963 (nel 2013 compirà 50 anni di vita istituzionale), si è andato qualificando negli anni come Centro alternativo di pedagogia e di ricerca teatrale e come tale è attualmente accreditato dal Teatro Stabile dell!Umbria, che l!ha scelto come partner in ATS per la formazione di quadri artistici, e da: Comune di Perugia, Provincia di Perugia e Regione Umbria che lo hanno selezionato come Agenzia per la formazione e il perfezionamento professionale; dalla Comunità Economica Europea, dal Ministero del lavoro e da Istituti Universitari italiani, Accademie teatrali e Centri di ricerca nazionali ed internazionali. Dal 1985, con la direzione artistica del regista Roberto Ruggieri - che da oltre 40 anni si occupa di pedagogia e formazione teatrale - il C.U.T. si è specializzato, in linea con i fini indicati nel proprio statuto, nel “produrre e diffondere la cultura teatrale e più in generale lo studio dell!arte teatrale in ogni sua forma improntando la propria
La condizione non è certo esaltante. Forse la mia è una lettura desolata, ma è la condizione del teatro e della vita nel suo complesso a non sem! brarmi confortante. Non ci sono grandi distinzioni da fare tra quello che avviene in Umbria e ciò che ac! cade nel resto del Paese.Vuole sape! re la prima riflessione? E’ interna al mestiere. Un po’ di male ce lo stia! mo facendo da soli. Prima dobbia! mo guardarci dentro. Stiamo sem! pre più assistendo a un fenomeno veramente preoccupante, che Mario Ferrero, scomparso da poco, uno dei più grandi registi italiani del dopo! guerra, docente dell’Accademia na! zionale e docente anche presso il C.U.T. di Perugia per quasi 20 anni, definiva con tono pacato, rasse! gnato e preoccupato: ‘abusivismo’.
attività a un rigoroso impegno culturale attraverso spettacoli, saggi, corsi di integrazione didattica, laboratori di ricerca teatrale, eventi teatrali ed una attività pedagogica facente capo a una Scuola di teatro articolata in corsi di educazione e formazione teatrale propedeutici e di specializzazione” (art. 1). In particolare dal 1989 in sintonia con la Regione Umbria, attraverso l!utilizzazione del Fondo Sociale Europeo, ha dato il via tra i primi in Italia all'attività di formazione professionale regionale di quadri artistici (Alta formazione) gestendo corsi biennali di alta qualificazione professionale per attori e dal 2003 corsi di aggiornamento e di perfezionamento professionale per attori/performers in collaborazione con il Teatro Stabile dell!Umbria. Ha collaborato con Accademie teatrali europee (polacche, russe, danesi, olandesi e inglesi) e ha partecipato a partire dal 1963 a prestigiosi festival internazionali. Ha promosso, curato e partecipato a convegni, laboratori, progetti pilota e seminari anche di levatura internazionale.
32 E’ un fenomeno ormai dilagante, inarrestabile. Nel teatro contempora! neo, ma non solo, si assiste all’infla! zione dei mestieri di regista e di atto! re: al giorno d’oggi nella società dello spettacolo tutti s’improvvisano attori, tutti sono registi, tutti sono pedago! ghi, tutti ‘sanno tutto’. Così facendo, temo che il caos si vada diffondendo e che questo non favorisca buoni esiti. Ferrero ed io concordava! mo sull’analisi della situazione pur perseguendo sentieri artisti! ci diversi. Ci accomunava, credo, il rigore professionale nel lavoro. Abbiamo sempre condiviso la convinzione che il rigore garan! tisse una certa dose di qualità. Le finanze pubbliche dovrebbe! ro essere destinate giustamente ad offrire occasioni che accre! scano la qualità, a mettere in condizione di operare i soggetti più interessanti, a individuare e a creare spazi espositivi perfor! mativi, a creare servizi di qualità a favore delle strutture del terri! torio e dei singoli cittadini. Ma bisognerebbe anche occuparsi di contribuire ad affinare le sensi! bilità artistiche e culturali. Mi viene da pensare che l’asticella artistica si sia abbassata un po’ troppo, ci si accontenti di poco, segno di una sorta d’intorpidi! mento sia sul versante degli ad! detti ai lavori che degli spettato! ri. Sovente anche questi ultimi infatti, di fronte a risultati artistici non proprio edificanti, si fanno vince! re dalla pigrizia che li assale, si lascia! no andare alla deriva, ‘consumando’ i prodotti, lasciandosi inglobare e cen! trifugare compulsivamente, sempre più passivi: prevale la diffusa e super! ficiale frenesia generale della nostra società, pur sapendo che così facendo si contribuisce a rinvigorire da una parte e dall’altra il degrado sociale e culturale che è purtroppo davanti ai nostri occhi. Insomma se ognuno la! vorasse un po’ più su di sé… Sono le coscienze individuali di tutti noi, nes! suno escluso, che andrebbero rivisita! te. Ma questo non avverrà, si preferi! scono sempre le scorciatoie, pur di evitare le domande salienti. Prevalgo! no gli slogan, come adesso quello di ‘Perugia capitale europea della cultu! ra’… Non so se mi viene da ridere o da piangere…
Lodare In questo caos, ci sarà pure chi ne trae vantaggio… Anche nell’ambiente teatrale rimango! no privilegi tipici di una casta, come in tutti gli ambiti. Ma più che altro, come dire?, attiguamente all’ambito artistico. In questi ultimi decenni se si è verificato uno sbilanciamento egemonico è stato
a vantaggio di coloro che vengono im! piegati con il compito di occuparsi di produzioni e distribuzioni teatrali e a curarne gli aspetti burocratici e ammi! nistrativi, a loro esclusivo favore mi ver! rebbe da dire. Sono più garantiti e rico! nosciuti per il lavoro che fanno, anche sindacalmente. Mi riferisco alle struttu! re professionali di una certa dimensio! ne naturalmente. Mi sembra evidente che questo ‘ceto’ abbia preso il soprav! vento su quello artistico, rendendo que! st’ultimo paradossalmente sempre più precario, secondario, subalterno, mor! tificato a cedere, mi sembra, la propria autonomia direttiva sia in campo eco! nomico che artistico. E’ chiaro che tutta la attività produttiva è condizionata nel bene e nel male dall’economia del mer! cato. I profitti e i contributi pubblici vengono impiegati soprattutto a prote! zione della macchina burocratica, am! ministrativa e organizzativa, apparendo
sempre più impegnata a difesa dei pro! pri privilegi, quelli che le sono rimasti, piuttosto che di quelli dei teatranti, i quali rischiano di diventare soltanto merce di scambio. Naturalmente non voglio nascondere le nostre responsabi! lità di teatranti, anzi, l’ho appena finito di dire. Di fronte a queste contraddizio! ni la risposta di chi opera in questo me! stiere, soprattutto se ‘abusivo’, è stata quella di accettare la logica politica e burocratica e, a forza di arrabattarsi qua e là, contribuire così facendo a confondere le ac! que, purché a vantaggio del pro! prio orticello. Si armeggia pre! tendendo favori, sovente rice! vendoli peraltro, ben acconten! tati non in virtù della propria qualità,, ma in virtù dei martel! lanti arrabattamenti nei corridoi dei Palazzi con la p maiuscola. Palazzi dove spesso imperano tra mille difficoltà politici attenti principalmente a difendere i propri tornaconti elettorali ! e ciò è comprensibile ma forse po! co assolvibile ! se necessario an! che in cerca di facili consensi, in molti casi tuttavia carenti di pro! gettualità, preoccupati come quasi tutti gli amministratori di gestire se stessi e il gramo bilan! cio esistente, distribuendo alla fin fine pressoché in modo linea! re, a pioggia come si dice, le risi! cate risorse economiche, pen! sando più alla ‘quantità’ che alla qualità, per cercare di accontentare tut! ti i soggetti, in numero questi ultimi ogni anno crescente ma purtroppo in modo inversamente proporzionale al! l’entità dei fondi destinati alla cultura, decurtati implacabilmente di anno in anno. Questo è ciò che fotografo quoti! dianamente. Tutto questo avviene sen! za applicare come si dovrebbe alcun cri! terio selettivo meritocratico e sconten! tando così facendo i più meritevoli. Non si tratta di fare antipolitica, come si tende a dire in modo fuorviante, con toni e accenti un po’ rozzi e prevenuti: è la fotografia di ciò che vedo. Si potrebbe tacere, e si tace purtroppo, spesso e vo! lentieri. Quindi, per rispondere alla sua domanda, vantaggi vengono tratti da più parti, a scapito però del valore arti! stico dei soggetti più meritevoli, sem! pre più indignati, del territorio e dei cit! tadini contribuenti. (continua nel prossimo numero)
Autunno
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L’autunno d’oro
In realtà, il fuoco fatuo non è un luccichio istantaneo; può brillare per dieci, venti, trenta secondi e addirittura, anche se di rado, diversi minuti; non produ! ce fumo; non incendia; non bruciacchia nemmeno le erbe secche sulle quali si posa. (Da J. L. Nancy, “Narrazioni del fervore. Il desiderio, il sapere, il fuoco”, Moret! ti&Vitali, Bergamo 2007, p. 44)
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Autunno
Se esistessero le ninfe dell’autunno DI SARA MIRTI
Vengono designate come "nin! fe" tutte quelle antiche divini! tà considerate, a torto, di gra! do inferiore, forse perché pri! mordiale, e immensa era con! siderata la fonte dei loro pote! ri. L'origine di tale potere sembrava attingere dalla forza distruttrice degli elementi stessi. Le ninfe, donne giovani, almeno nell'aspetto, perenne! mente in età da marito (qual! cuno non ha esitato a definirle zitelle), incarnazioni, diviniz! zazioni di una natura benigna e maligna insieme, fonti dalle acque belle e incontaminate, oppure, come diremmo oggi, spiriti dei luoghi, quegli stessi spiriti che ci permettono o me! no di sentirci a casa nostra in un determinato posto e non in un al! tro, possiedono un volto terribile e uno apparentemente mansueto, "di contorno" alle divinità maggio! ri più "razionali". Le ninfe abitano senza alcun ritegno i monti, le val! li, i boschi, i fiumi, i torrenti, le ac! que ferme, i mari, la terra, le grot! te, persino la pioggia, la nebbia, qualsiasi forma di vapore acqueo, le stelle e il cielo profondo. Dan! zando, cacciando, tessendo, can! tando, curando i propri misteri,
esse finiscono per occuparsi indif! ferentemente di ogni creatura mortale, vegetale, animale o uma! na, con estrema arbitrarietà. Sono libere e potenti, capricciose e de! tentrici di una saggezza tanto anti! ca da essere persino antecedente alla nascita degli dèi così come ab! biamo imparato a conoscerli. In! fatti contro la loro furia amorosa e omicida, contro il loro potere vivi! ficante e salvifico, nemmeno gli dèi possono fare qualcosa. Certo, col tempo nel nostro immaginario esse
si sono mutate in fate, in spiritelli dispettosi e nulla di più, ma quan! do ancora gli uomini potevano udi! re la loro voce, erano talmente te! mute, che persino Socrate non di! mentica di rivolgere loro una pre! ghiera. Mentre oggi, in un periodo in cui dal nostro immaginario, dal! la nostra spiritualità sono volati via persino gli angeli, lo stupore, "il ti! more e il tremore" verso il mondo che ci circonda sembrano essere ri! tornati di nuovo a quella natura che li aveva ispirati fin dall'inizio.
14 settembre C'era una volta una bambina che viveva in una città con pochi alberi e non aveva mai visto l'autunno d'oro. Quando ne sentiva parlare, domandava a suo padre: - Ma è proprio d'oro? D'oro, d'oro, - rispondeva suo padre. E la bambina pensava: "Una volta andrò dove c'è l'autunno d'oro; prenderò un po' d'oro e mi comprerò sette bambole, una per ogni giorno della settimana". Un'altra volta suo padre parlò dell'autunno d'oro e la bambina gli domandò: - Ma sei proprio sicuro che è tutto d'oro? - Tutto d'oro, tutto d'oro, - rispose suo padre. E la bambina pensò tra sé: "Una volta andrò dove c'è l'autunno d'oro; prenderò un po' d'oro e mi comprerò trenta bambole, una per ogni giorno del mese". E un'altra volta pensò: "Forse prenderò un po' più di quell'oro e mi comprerò 365 bambole, una per ogni giorno dell'anno".
Autunno O forse le ninfe, che erano e sono perfettamente in grado di abitare ogni singolo oggetto, ogni irregolarità del terreno, ogni differenza di stato che attraversa la terra e i corpi che su di essa vivono e si muovono, vivono ancora, nascoste insieme ai nostri pensieri più preziosi, celate nei dettagli che ormai non notiamo più. Le mie ninfe preferite sono le Driadi, o Amadriadi che dir si voglia, ninfe delle querce
tanto a lungo quanto la pianta con cui dividono la vita. Esse non sono immortali (capita alle ninfe), ma destinate a deperire. Per questo ogni volta che arriva un nuovo autunno non posso fare a meno di pensare che questa e solo questa sarebbe la stagione più adatta per far rivivere le ninfe. È difficile resistere alla tentazione di dare ad ogni foglia caduta una personalità propria, e, così facendo, attribuirle
o degli alberi più in generale. Le Driadi non sono legate al tronco da cui traggono la propria sussistenza: nessun laccio, nessuna specie d'incantesimo le imprigiona (come invece accade nella selva dei suicidi descritta da Dante) ai tronchi di cui sono anime e custodi; soltanto esse sanno che vivranno
un passo diverso di danza che differenzia la sua caduta da quella di qualsiasi altra. Nei canti partigiani le "foglie tremule" erano paragonate alle vite ancora verdi dei giovani impegnati nella resistenza, ancora indecise se cadere o restare sul ramo in attesa di tempi migliori, ma purtroppo né allora né ora è mai
35 accaduto che una foglia potesse tornare al suo posto una volta che fosse giunta la propria ora per cadere. Non c'è niente di più gradevole della sensazione sottile d'allegria che danno i mucchi di foglie accatastate a terra. Il loro colore acceso, simile all'oro grezzo, brilla in superficie alla minima presenza di luce naturale o artificiale e, rincasando la sera, vedendone l'inizio ma non scorgendone la fine, si potrebbe quasi scambiarli per dei fuochi fatui, per delle pennellate ancora incomplete di una realtà intenta a rimescolare se stessa per poter tornare a sorprendere tutti in primavera. I cumuli di foglie lasciate ad ingiallire agli angoli delle strade richiamano con il loro crepitio il rumoreggiare di bambini indisciplinati, l'immensa ricchezza dello stare insieme, dell'avere qualcuno con cui nascere, crescere e cadere, sia pure in tempi diversi. Il loro disporsi a strati sull'asfalto sembra quasi voler attutire una nostra eventuale caduta. Non vorrei correre il rischio di peccare contro la mitologia, ma ugualmente non posso fare a meno di chiedermi quali nomi avrebbero ora, in un eventuale neodizionario mitologico, le ninfe delle foglie. Comunque sia credo che, in attesa di esistere almeno ai nostri occhi, e visto che novembre è un mese che appartiene più ai morti che ai santi, le ninfe dell'autunno non si offenderanno se nel frattempo daremo loro i nomi dei nostri cari.
Finalmente una domenica suo padre le disse: - Vieni, andiamo a vedere l'autunno d'oro. Il padre la portò fuori città, nei boschi, e non diceva nulla. La bambinaguardava incantata gli alberi dorati, tutti quei milioni e milioni e milioni di foglie color d'oro, gialle, rosse, giallo chiaro, giallo scuro, rosso chiaro, rosso scuro. Per tutta la giornata camminò nel bosco d'oro, giocando con le foglie, accarezzando i funghi e gli scoiattoli che venivano a prendere le noccioline dalla sua mano. Ed era così contenta che si dimenticò delle sue sette bambole, delle trenta bambole, delle trecentosessantacinque bambole, perché ogni singola foglia le pareva più bella di tutte le bambole della terra.[…] 11, 30. "Festa Autunno d'oro" delle terze classi. L'Autunno, "ossien", è femminile (da mettere tra le sorprese della lingua russa), perciò è una bambina che danza, spargendo foglie d'oro. (Da G. Rodari, "Giochi nell'Urss. Appunti di viaggio”, Einaudi, Torino 1984, pp. 53, 56)
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Autunno
“Una donna dipinta su una foglia” “L’ho trovata tra argento e rarità, nella purezza della luce invernale Una donna dipinta su una foglia. Tratti sottili sulla superficie venata In una cornice artigianale. Questo non è il mio viso. Neppure sono l’autrice. In un giardino cade una foglia. La Luna raffredda la sua ultima linfa. S’asciuga il succo dell’estate nella luce stel! lata. Là dentro una donna è prigioniera. Questa non è morte. È terribile sospensione di vita. Voglio una poesia dentro cui invecchiare. Voglio una poesia in cui morire. Voglio raccogliere questo volto inaridito come si prende uno storno dalla trappola e restituirlo al suo elemento d’aria, di fine così che l’Autunno che un tempo fu lo sguardo severo delle stelle, Il cipiglio sul volto del giardiniere, Il graduale brunirsi della distanza, sarà D’ora in poi un tenero crocchiare sotto i piedi. Zigomi. Occhi. Sarà una bocca che grida. Lasciami. Lasciami morire.” (Eavan Boland, da “Falene e altre poesie”, Via del Vento Edizioni, Pistoia 1998, p. 23)
Ruggito
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Comunisti sulla laguna due registi comunisti trionfano a Venezia 2012
KIM KI!DUK “In una società capitalista, il denaro inevitabilmente mette alla prova le persone, e al giorno d’oggi le persone sono osses! sionate dalla fantasia che i soldi possano risolvere tutto. Il denaro è il problema alla base della maggior parte degli episodi spiacevoli che accadono al giorno d’oggi. In questo film, due persone che infliggono e subiscono punizioni legate al denaro, si incontrano, pur avendo poca probabilità di conoscersi, e formano una famiglia. E attraverso questa famiglia, arriviamo a comprendere quanto siamo complici di tutto ciò che accade nel corso della nostra vita. Finché le persone di quest’epoca non muoiono, il denaro continuerà a porci tristi domande. In definitiva, finiremo per essere una moneta agli occhi degli altri e per frantumarci sull’asfalto.” Kim Ki!duk è nato il 20 dicembre 1960 a Bonghwa, Sud Corea. Finita la scuola dell'obbligo, a 11 anni è costret! to ad andare a lavorare come operaio in fabbrica per sostentarsi fino a 20 anni; appena ventenne si arruola in marina per un periodo di cinque an! ni. In quel periodo è colto da una crisi religiosa: la sua strada incrocia quella di una chiesa per non vedenti, con l'intenzione di diventare predicatore. La crisi religiosa termina con la par! tenza dalla Corea e nel 1990 si trasfe! risce a Parigi dove coltiva la sua pas! sione per la pittura e si mantiene ven!
dendo i suoi quadri, avvicinandosi lentamente al cinema. Seppur privo di preparazione accademica, muove i primi passi come sceneggiatore. Il de! butto alla regia nel 1996 è con Croco! dile, ma il successo internazionale ar! riva soltanto nel 2000 con L'isola che partecipa alla Mostra di Venezia. La notorietà in occidente arriva con Pri! mavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, presentato in con! corso al Festival internazionale del film di Locarno nel 2003 e capace di ottenere notevoli risultati al botteghi! no nonostante la firma d’autore. Il
suo film successivo La samaritana partecipa al Festival di Berlino del 2004 dove si aggiudica l'Orso d'Ar! gento per il miglior regista. Con Ferro 3 ! La casa vuota vince il Leone d'Ar! gento ! Premio speciale per la regia al! la 61ª Mostra di Venezia ed è stato vo! tato miglior film dell'anno nella terza edizione degli Italian Online Movie Awards. Il dodicesimo film L'arco è stato presentato al Festival di Cannes 2005. Nel 2012 vince il Leone d'Oro al! la 69/ma edizione della Mostra inter! nazionale d'arte cinematografica di Venezia con il film Pietà.
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Ruggito
KEN LOACH "Ho debuttato da regista nel 1963, allora c'erano tante conquiste, i lavoratori partecipavano alla gestione delle fabbriche. Poi la Thatcher ha spazzato via tutto: si è perso il senso della comunità, e così adesso eccoci qui. Certo il cine! ma non può fare molto, è una piccola voce in un grande coro di voci. La situa! zione è terribile, ma ne possiamo uscire. Dobbiamo liberarci, impegnandoci in prima persona, non delegando più le responsabilità ai politici legati a dop! pio filo al libero mercato. E mi raccomando, iscriviamoci ai sindacati...". Ken Loach, all'anagrafe Kenneth Loach è nato a Nuneaton, Gran Bretagna, 17 giugno 1936. Figlio di operai, ha dedi! cato tutta la sua opera cinematografica alla descrizione delle condizioni di vita della classe operaia. Ha fatto parte del! la corrente artistica inglese del Free ci! nema (i cui leader erano registi come Lindsay Anderson, Karel Reisz, Joseph Losey e Tony Richardson), con film co! me Poor Cow e Kes. Nel 1961 iniziò a la! vorare come aiuto regista per la ABC Television. Passò poi alla BBC quando questa stava per lanciare il proprio se! condo canale. In questi anni ebbe ini! zio la sua collaborazione con Tony Gar! nett, produttore con il quale aveva in comune la cultura politica socialista. Con Garnett, Loach realizzò 10 episodi di The Wednesday Play, che in quegli anni rivoluzionarono il genere del dramma televisivo britannico creando il genere del docu!drama, che utilizza! va tecniche documentaristiche per rac! contare storie di fantasia, con l'obietti!
vo di creare consapevolezza politica negli appartenenti alla classe operaia e al ceto medio. Questo spirito ha poi ca! ratterizzato tutta la sua ampia produ! zione successiva. I suoi primi film per il cinema furono realizzati negli anni ses! santa. Gli anni settanta e ottanta non sono stati caratterizzati per Loach da grandi successi. Negli anni novanta, però, il regista britannico è tornato in auge, ed ha realizzato alcuni film di successo, apprezzatissimi dalla critica (tra questi Terra e libertà del 1995), e per tre volte è stato premiato al Festival di Cannes. Nel 1994 gli viene assegnato il Leone d'Oro alla carriera al Festival di Venezia. Nel dicembre 2003 l'Universi! tà di Birmingham gli ha conferito una laurea honoris causa in Lettere. Il 28 maggio 2006 la giuria del Festival di Cannes conferisce la Palma d'oro al suo film Il vento che accarezza l'erba. Rice! ve l'Osella alla migliore sceneggiatura per In questo mondo libero... alla Mo! stra del cinema di Venezia. Nel 2009
esce Il mio amico Eric. La pellicola vie! ne presentata al Festival di Cannes 2009, aggiudicandosi il premio della Giuria Ecumenica. Nel 2010 esce Route Irish (in Italia con il titolo L'altra veri! tà) presentato in concorso al Festival di Cannes. Il film prende il nome dalla fa! migerata Route Irish: la strada più pe! ricolosa al mondo che congiunge l'ae! roporto di Baghdad con la greene zone della capitale irachena. Sostenitore del movimento politico Respect, a sinistra del New Labour di Blair. Attento osser! vatore della realtà internazionale è in! tervenuto di recente anche sulle vicen! de politiche italiane. È stato infatti (as! sieme a Noam Chomsky, Gino Strada, Marco Revelli, Giorgio Cremaschi ed altri), tra i firmatari di un appello di so! lidarietà nei confronti del senatore di Rifondazione (ora Sinistra Critica) Franco Turigliatto, espulso dal suo par! tito per non aver votato i rifinanzia! menti alle missioni militari voluti dal secondo governo Prodi.
Inediti
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Favole al femminile DI ISABELLA CAPORALETTI
La favola ribelle C’era una volta una favola. Sì, una favola, perché non vi piace una favola di una fa! vola? Beh, non è obbligatorio che la leggiate, ma io già sento la vostra curiosità, la avverto con un prurito die! tro la testa e quindi non avete scelta. Insomma, bam! bini, la favola in questione era abituata a essere rac! contata. Da centinaia di anni volava di bocca in bocca, di mamma in mamma, di nonna in nonna. E ogni vol! ta venivano aggiunti dei particolari, accadevano delle cose nuove e la favola si allungava. Un giorno la favola incontrò una favola scritta. La favola scritta se ne stava tutta tranquilla sulla pagina di un libro aperto. “Orro! re!” esclamò la favola quando vide quell’interminabile sequenza di segni sulla carta. “Ma che ti ha chiuso in quella prigione?” La favola scritta si risentì molto, ma con grande dignità, rispose: “Questa non è una prigio! ne, è un libro! Un libro di favole. Ce ne sono anche al! tre, sai? E sono tutte felici di essere scritte. Noi saremo ricordate per sempre. Tu invece vivrai finché c’è qual! cuno che ti racconta, dopodiché addio!” La favola ci ri! mase molto male e cominciò a parlare con altre favole scritte convincendole a lottare per la propria libera! zione. Era così convinta che un giorno fondò il fronte Il Libro delle “Favole al femminile” è pubblicato per intero, di liberazione delle favole prigioniere. “Mettere una in digitale, nel nostro sito internet all!indirizzo favola sulla carta vuol dire uccidere la fantasia!” diceva www.piazzadelgrano.org, nella sezione Inediti alle sue compagne. La favola riscosse molto successo tra le favole scritte e riuscì a creare un grande movi! ideale per raggiungere il paradiso incantato delle favo! mento che prese subito piede e cominciò ad aumen! le, la favola incontrò un bambino che amava le favole. tare vorticosamente. Molte delle favole scritte abban! Le amava così tanto che, dal momento che non c’erano donarono le loro prigioni, i libri si svuotarono e i bam! più il libri di favole, le scriveva sul suo quaderno per bini trovarono al posto delle favole delle pagine bian! non dimenticarle. A questo punto la favola si arrese e che. “Ben vi sta!” rideva la favola volteggiando nel cielo solo l’idea di non essere dimenticata la convinse a farsi come una farfalla. “Nessuno può intrappolare le favo! scrivere. La favola ebbe la sensazione di un grande be! le! E questo vale per tutte le favole, quelle belle e quel! nessere mentre il bambino la scriveva a mano sul suo le brutte, quelle che vengono dal cuore e quelle che quaderno, chiuse gli occhi e si lasciò andare. La sua vogliono insegnare le cose. Le favole non si possono non fu una rinuncia. Con la sua generosità impaziente, comprare e vendere. Le favole si raccontano.” Passa! dettata dall’amore per la libertà, aveva contribuito a rono molti anni e la favola cominciò a sentire la stan! cambiare il mondo delle favole, infatti da quel giorno chezza della vecchiaia. Aveva trasmesso alle sue ami! le favole si possono scrivere, ma sempre con grande ri! che il so"o del suo spirito indomabile ma ora sentiva spetto, senza avere la pretesa di intrappolarle, e chiun! il bisogno di riposarsi. Cominciò a girare per trovare que le racconti, può cambiarle, giocare con le parole, un posto dove morire in pace ma i libri proprio non le allungarle o accorciarle. Le favole non diverranno mai andavano giù, così, un bel giorno di maggio, davvero lettera morta, perché le favole sono vive!
40 Miwa e il mostro del lago Miwa è una bella bambina che abita vicino a un lago insieme ai genitori e tanti animali. Miwa a volte gioca da! vanti alla sua casa, ma siccome è pic! cina, non le permettono di avvicinarsi al lago. Il lago, si sa, è un po’ buono e un po’ cattivo, dipende da come gli va. Un giorno Miwa giocando con il suo bambolotto preferito, si accorse di una piccola coda sotto un sasso. Miwa prese il sasso con la sua piccola mano e lo alzò. Quello che c’era sotto sem! brava una lucertolina, ma a guardarla bene era una lucertola molto strana. Intanto aveva tutti i colori dell’arco! baleno e poi aveva uno strano modo di guardare Miwa negli occhi. Sem! brava intelligente. Miwa la prese in mano e la nascose sotto una piccola tana ricavata da una buca nel ter! reno, coperta con un po’ di fo! glie. Nel pomeriggio Miwa uscì di casa con la merenda, sempre sotto l’occhio vigile della mamma, ma la mam! ma non si preoccupò più di tanto quando vide che la bambina si era accucciata vicino alla tana del picco! lo rettile. Quando Miwa scoprì la tana dove aveva fatto nascondere la lu! certolina, due occhietti vispi la guardarono fissi nei suoi. Miwa le diede un pezzetto di pane ma quella lo sputò, poi le die! de un pezzetto di prosciut! to. Quello sì che le piacque! La bambina non esitò a darle tutto il prosciutto del suo pa! nino in piccoli pezzetti, finché non fu finito. E così andò avanti per molti giorni, fino a che la lu! certolina non era divenuta grande più di un gatto. Allora sì che era di"! cile nasconderla! La buca non bastava più e Miwa la fece nascondere sotto un grosso e fitto cespuglio. Un giorno Miwa si mise a osservare quello strano animale. Intanto era diventata un’enorme lucertolona dai sette colo! ri dell’arcobaleno, poi, a guardare be! ne, aveva le ali! Miwa le fece una ca! rezza sul muso e due occhi profondi come pozzi la fissarono. La lucertola prese Miwa delicatamente per il grembiule e se la mise in groppa. La bambina si attaccò al collo iridescente
Inediti di quello che, ormai l’aveva capito, era un drago e per la prima volta seppe co! sa significa volare. I due sorvolarono il lago fino a che non divenne una mac! chia blu e Miwa con il vento nei capel! li rideva e si divertiva. A un certo pun! to scesero in picchiata fino a sfiorare la superficie dell’acqua e Miwa si ritro! vò tutti i capelli bagnati ma il drago subito la riportò verso il cielo e i capel! li furono subito asciugati dall’aria cal! da del pomeriggio. Quando atterraro! no il drago prelevò con la bocca la bambina dalla sua groppa e, dopo averla appoggiata delicatamente a ter! ra, le parlò.
“Sei davvero una bambina coraggiosa! Allevare un drago in giardino non è una cosa facile! E tu hai salvato Agatax dalla morte. Mi hai dato il tuo cibo e mi hai fatto le carezze, non hai avuto paura del fatto che sono così diversa da te.” Miwa non poteva credere alle proprie orecchie. Quella lucertola che lei aveva allevato a prosciutto, ma an!
che tonno, uova e pietanze varie, le aveva parlato! Era una femmina e si chiamava Agatax, e parlava! Passaro! no diversi mesi e Miwa ogni tanto an! dava a trovare il drago che aveva sca! vato una specie di caverna nella roc! cia, proprio in riva al lago. Un giorno, Miwa non trovò la sua amica, ma non fece in tempo a preoccuparsi neanche un po’ che la vide volteggiare nel cielo e atterrare a un passo da lei. “Miwa!” la chiamò, “ho bisogno del tuo aiuto, de! vo fare una cosa!” “Cosa?” chiese Miwa con le gambe che le tremavano. E’ normale che una bambina piccola ab! bia un po’ di paura. “Dovrai aiutarmi a liberare le mie amiche Sarah e Rebec! ca che sono tenute prigioniere dagli uomini malvagi!” “E come faccio?” protestò Miwa “sono solo una bambi! na! Mica mi lasciano andare in giro da sola!” “Oh, a questo si può ri! mediare! Fermerò il tempo! Noi draghi siamo specialisti nel fermare il tempo, non so sa! pevi?” “No che non lo sape! vo, sono una bambina pic! cola, devo ancora imparare tutte le cose!” “Bene, allora che hai deciso?” domandò il drago guardandola con i suoi occhi languidi ed enormi. “Voglio aiutarti!” proruppe Miwa tutto d’un fiato. “Allora sali! Si parte!” Si alzarono in volo e nel giro di qualche mi! nuto non furono altro che un puntino minuscolo nel cielo blu. Arrivarono a un vecchio castello e atterraro! no un po’ lontano per non farsi vedere. I draghi erano prigionieri in celle enormi con le sbarre ed erano entrambi ac! cucciati con il muso a terra. Sem! bravano deboli e malati. Le sbarre erano forti e altissime e Agatax e Mi! wa, da sole, non l’avrebbero mai fatta. Decisero di indagare e scoprirono che la gran parte degli uomini viveva ri! dotta in povertà estrema. Non aveva! no da mangiare e da vestirsi, e nean! che i soldi per comprare le cose. Sco! prirono che gli uomini malvagi che te! nevano prigioniere le amiche di Aga! tax, erano un piccolo gruppo di perso! ne ricchissime e tutti gli altri così po! veri che non avevano neanche le scar! pe. I due draghi erano stati fatti pri! gionieri per essere venduti. Miwa e il
Inediti drago si nascosero per riflettere e tro! vare un sistema per liberare i due dra! ghi, ma l’impresa era veramente dispe! rata. Quasi tutti gli uomini erano stati resi schiavi, lavoravano in condizioni disumane per un pezzo di pane secco e molti si ammalavano e non potevano essere curati. Miwa conobbe un bam! bino come lei, solo che lui era uno schiavo. “Tu non sei come me!” le dice! va il ragazzino, “tu sei diversa, sei nata libera!” Miwa lo guardò attentamente. Aveva due mani, come lei, il naso, gli occhi. Cercò di sbirciare sotto i lunghi capelli perché magari poteva non ave! re le orecchie. Invece le aveva, spor! che, ma le aveva. Ma per quanto si sforzasse le sembrava che il bambino fosse proprio come lei. Aveva la pelle un po’ più scura della sua, era un po’ più magrolino, certamente, ma per il resto non c’erano grosse differenze. “Perché siamo diversi?” chiese Miwa incuriosita. “Perché noi siamo schia! vi!” rispose il ragazzino come se fosse una cosa ovvia. “E perché siete schia! vi?” insistette Miwa curiosa. “Perché i Signori ci danno il cibo e noi dobbia! mo lavorare per loro!” disse il ragazzi! no. “E perché?” domandò Miwa. Il bambino non sapeva più cosa rispon! dere, così prese Miwa per mano e la portò a casa sua. Quando i genitori del piccolo videro Miwa si spaventarono ma il bambino, facendo l’occhiolino a Miwa, spiegò che era solo una bambi! na curiosa, così accettarono di rispon! dere alle sue domande. “Miwa vuole sapere perché siamo schiavi!” disse al padre. “Beh, siamo schiavi perché i pa! droni ci comandano e noi dobbiamo obbedire!” “Perché non vi comandate voi?” L’uomo sgranò gli occhi. Era una cosa che non aveva mai pensato. Non aveva mai pensato che gli schiavi era! no molti di più dei Signori e se avesse! ro voluto, avrebbero potuto cacciarli via dalla loro terra, riprendersela e tor! nare liberi. “Agatax e io dobbiamo li! berare i draghi!” disse Miwa allo schia! vo, “dovete aiutarci, da sole non ce la faremo mai!” Miwa provò a convincere gli uomini a ribellarsi. Ciascuno di loro pensava per se stesso, senza preoccu! parsi di nessun altro. Ma è di"cile quando si è schiavi pensare agli altri. Quando una persona non ha da man! giare, cerca di trovare il pane e non gli importa tanto della libertà propria, né di quella di due draghi. Miwa tornò da Agatax sconfitta, così Agatax cercò di
farsi ascoltare dagli uomini. Parlò loro di un mondo giusto, un mondo senza confini dove tutti gli uomini e gli ani! mali possano passeggiare in pace. “Può esistere un mondo dove tutti contribuiscono a creare ricchezza cia! scuno secondo le proprie possibilità e poi la ricchezza viene ridata a ciascu! no secondo i propri bisogni? Un mon! do dove si comprano le medicine per tutti e si mandano tutti i bambini a scuola?”Gli uomini non volevano capi! re. Certo per realizzare un mondo così occorreva lavorare tutti, e quei poveri! ni che da secoli erano schiavi, non vo! levano un lavoro da schiavi. Miwa spiegò loro che se si fossero uniti sa! rebbero stati liberi e che potevano or! ganizzarsi perché il loro lavoro potes! se essere pagato e protetto dai pericoli. Quando gli uomini capirono che i loro
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sogni potevano avverarsi, nessuno riu! scì a fermarli. Cacciarono i governanti e liberarono i due draghi. Erano due creature maestose, una gialla e una arancione. Grandi come un palazzo di dieci piani e con le ali enormi come un circo. Volteggiarono nel cielo azzurro e si fermarono solo a ringraziare Mi! wa. “Ciao soldo di cacio!” la salutò Sa! ra. “Vieni a trovarci!” le gridò dietro Rebecca. “Ogni volta che avrai bisogno di me” le sussurrò Agatax all’orecchio, devi solo chiamarmi. Ora ciao! E gra! zie!” Miwa tornò a casa credendo di prendersi una sgridata ma nessuno si era accorto di niente. Cenò come sem! pre e andò a dormire ma il giorno do! po rise a crepapelle fino alle lacrime. Aveva sentito alla radio che un pesca! tore aveva intravisto un gigantesco mostro del lago…
42 Viola esploratrice
Un giorno, Viola, una vispa bambina di tre anni, prese il suo cappello da esplo! ratrice e andò in esplorazione. Durante il viaggio incontrò la scimmia Berenice. “Ha! Ha! ha!” rise quella “Viola non è viola! Viola non è viola!” Viola ci rimase molto male. Quella scimmia dispettosa l’aveva portata in giro perché il suo no! me è anche quello di un colore. Certo che non è viola! Mica è un disegno! E’ una bella bambina in carne e ossa. Le scimmie sono proprio antipatiche! Vio! la però non si fece scoraggiare dall’in! contro con la scimmia cattiva e conti! nuò il suo viaggio esplorativo. Dopo aver camminato un po’, incontrò le margherite. “Ha! Ha! Ha!” risero quelle “Viola non è una viola! Viola non è una viola!” “E neanche una margherita!” si arrab! biò Viola che cominciava a stufarsi di incontrare solo gente malvagia. Fece per andarsene quando una pic! cola margherita la chiamò. “Non farci caso!” le sussurrò “le mie compagne sono in! vidiose e cattive! Sono pian! tate per terra e guardano solo in terra. Io invece, vorrei tanto viaggiare, alzarmi da terra ed esplorare il mondo”. “Beh puoi venire con me!” esclamò Viola che aveva pro! prio voglia di stare in compagnia. La margherita si fece cogliere, raccoman! dando a Viola di fare attenzione a non danneggiare la pianta e trovò posto tra i capelli della bambina che così divenne ancora più bella. Continuarono il loro viaggio e a un certo punto incontrarono la gatta Liquirizia. La gatta piangeva con certe lacrime così grosse che Viola si ba! gnò i piedi. “Perché piangi?” chiese Vio! la. “Piango perché il cane mi porta in gi! ro. Mi dice che non mi mangia per non farsi venire la bocca nera!” “Non piange! re gattina!” le mormorò Viola facendole una carezza, “hai un nome simpatico e non devi fare caso a quello che dicono gli altri. Vuoi venire con noi? Stiamo esplorando il mondo…” La gattina si ag! gregò e tutti e tre continuarono il viag! gio. A un certo punto si fermarono e ri! masero a bocca aperta. Un grande arco! baleno si stagliava alto nel cielo blu. Co! me per magia il violetto scese dall’arco! baleno e prese Viola in braccio, senza dimenticare Margherita e Liquirizia. Volarono in alto nel cielo. Viola dovette tenere il cappello e Margherita per non
Inediti farli volare via ma non ebbe paura. Vola! rono sempre più in alto fino a raggiun! gere gli altri sei colori dell’arcobaleno e, da lassù, comodamente seduti sul viola, videro il mondo. Le persone erano pic! cole come formiche, le case, gli animali, tutto era così piccolo e così attaccato alla terra che Viola comprese quanto è im! portante vedere le cose da un altro pun! to di vista. Da lassù videro la scimmia Berenice che mangiava le margherite e si arrabbiava con loro, saltellava, gridava e sbraitava, poi se la prendeva col cane cattivo che non voleva uscire con lei. Viola, Margherita e Liquirizia sono an! cora lassù e non c’è verso di farle scende! re! Se aguzzate l’orecchio sentirete che ancora stanno ridendo a crepapelle!
Viola va al mare
Un giorno Viola, armata di paletta e sec! chiello, andò al mare con i suoi genitori. Se ne stava tranquilla sulla spiaggia, quando vide in mezzo all’acqua un pe! sciolino nero. “Oh, che bel pesciolino, vieni che ti prendo!” gli disse. “Fossi matto!” rispose quello “non mi faccio certo prendere dai bambini! Piuttosto, sono io che devo farti venire con me!” “Perché dovrei venire con te?” chiese Viola che in verità non aveva tanta vo! glia di tuffarsi. “Perché la Regina vuole parlarti, perché sennò?” “Ah,” esclamò Viola curiosa “e perché vuole parlarmi?” “Perché c’è un pericolo, è ovvio!” asserì con fermezza il pesciolino. “E io che do! vrei fare?” domandò Viola incuriosita. “Devi aiutarci, mi sembra ovvio! Lo dice il protocollo!” “Il che?” Viola non capiva bene il linguaggio del pesce, anche se ormai, a tre anni e quasi mezzo, il suo vocabolario era veramente molto più nutrito di certe persone grandi… “Oh insomma, quante domande! Lo sapevo io che non ti dovevo venire a chiamare, ma la Regina ha insistito tanto! Secondo me sei troppo piccola per fare qualcosa di buono!” brontolò il pesce. Viola guar!
dò indietro, verso i suoi genitori. Stava! no sdraiati a leggere e in quel momento non la guardavano, così, abbandonati secchiello e paletta sul bagnasciuga, si tuffò dietro al piccolo pesce nero. Quan! do arrivarono dalla Regina, Viola dovet! te immergersi fino alla sua tana, ma si sa, gli umani non possono resistere per tanto tempo sott’acqua, così la Regina si sistemò sotto il pelo dell’acqua in modo che Viola potesse parlare senza proble! mi. La Regina era una piovra gigantesca ma Viola non ebbe paura perché si di! mostrò subito molto gentile. “Allora, Viola, mi sono decisa a chiedere il tuo aiuto perché abbiamo un serio proble! ma: tre tartarughe sono morte. Erano molto giovani, non crediamo che fosse! ro malate. Tu dovrai scoprire perché e dovrai aiutarci a ri! solvere questo problema!” Viola ci ragionò su. Di"cile, molto di"cile. Non sapeva da che parte cominciare. Ma la curiosità prevalse e promi! se che almeno ci avrebbe provato. Il pesciolino nero l’accompagnò al largo e lì Viola si accorse con grande tristezza che il mare era pie! no di immondizia. Buste di pla! stica, tappi di bottiglia, bottiglie e botti! gliette di plastica, insomma una vera pattumiera! Si accorse poi che il vento e le maree trascinano questa robaccia dal! le spiagge verso il largo, le tartarughe marine la confondono con le meduse e la mangiano, così, cercando di inghiot! tirla, muoiono affogate. Viola tornò dal! la Regina con una grande tristezza. Rac! contò quello che aveva visto. Era davve! ro impossibile fare qualcosa subito. La Regina si occupò, con scarso successo, di insegnare alle tartarughe che non tut! to quello che fluttua in acqua si può mangiare, ma Viola, quando tornò in spiaggia, cominciò a raccogliere tutta la plastica e a buttarla nel secchio dell’im! mondizia. Prima i bambini la guardava! no schifati, poi, però capirono che an! che se l’immondizia non è nostra, è no! stro il mondo, e quindi facciamo bene a ripulirlo. Viola continuò imperterrita fi! no a quando la spiaggia non fu comple! tamente ripulita poi, guardò con tristez! za verso il mare, le sembrò di vedere un tentacolo che la salutava, allora prese un impegno solenne. Da grande avrebbe fatto di tutto per far sparire le buste di plastica dalla faccia della terra. Chissà, amici, se ci riuscirà?
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La Lista
Le anime vergini degli uomini di campagna, quando si convincono di una verità, si sacrificano per essa, fanno tutto il possibile per attuarla. Chi si è convertito, è sempre un relativista. Preferisco che al mo! vimento si accosti un contadino più che un professore d'università. (Antonio Gramsci)
ex comunisti, mai comunisti, anti comunisti la Lista Giorio Raggi Nato a Foligno nel 1951, proveniente da famiglia molto vicina alla diocesi, ha militato da gio! vane studente nel movimento cattolico della Gioventù Studentesca. Nella seconda metà de! gli anni settanta il Partito Comunista Italiano, che da sempre ha guidato l’Amministrazione Comunale di Foligno (tranne una breve parentesi di centrosinistra, democristiani e sociali! sti), compie una radicale involuzione a apre le porte, in particolare quelle degli incarichi nell’amministrazione locale, a una nuova generazione di “non comunisti”. A meno di trenta anni Raggi diviene Sindaco della Città per il PCI, carica che lasciarà per iniziare una brillante carriera lavorativa nell’impresa di distribzione alimentare Coop, della quale raggiunge, per indubbi meriti, il vertice. In questa nuova veste l’ex primo cittadino “mai comunista”, com! pleta la sua involuzione politica e da amministratore catto!comunista diviene semplicemen! te manager finanziario, più ancora che commerciale. Negli stessi anni, infatti, le Coop um! bre, poi fuse con quelle senesi, avevano completamente abbandonato la missione sociale di sostegno alimentare alla vasta compagine dei lavoratori che le avevano fondate, per impe! gnarsi prevalentemente nel settore finanziario, avvalendosi di una speciale normativa che consentiva a quel tipo di sostanziali spacci alimentari di funzionare come vera e propria ban! ca, intercettando grandi risorse finanziarie dai clienti, senza dover sottostare alle regole a agli oneri del sistema bancario. Forte della enorme disponibilità liquida proveniente da ver! samenti ancor più che da vendite, l’attuale Coop Centro Italia, gestisce oggi una grande im! presa finanziaria, immobiliare e commerciale, quest’ultima prevalentemente rivolta a una fascia medio alta di consumatori. Coerentemente con la sua natura imprenditoriale, lontana dalla politica militante e dal sociale, la Coop è recentemente entrata in conflitto con la stessa diocesi di Foligno querelandone il giornale, la Gazzetta di Foligno, colpevole di avere (in questo, in verità, ricorrendo a termini scioccamente del tutto impropri ed inutili) pesante! mente criticato il capannone commerciale progettato nell’area dell’ex zuccherificio di pro! prietà della stessa Coop. Tipico della sua cultura squisitamente capitalista la Coop pretende di “lavare l’offesa” subita con un congruo risarcimento economico; si parla di 100.000,00 eu! ro per due stupide parole di una piccola testata locale. Come dire: chi vuole intendere, in! tenda! Noi non intendiamo. Catiuscia Marini Nata a Todi il 25 settembre 1967, ha iniziato la sua attività politica nei movimenti giovanili genericamente di sinistra, aderendo successivamente ai Democratici di Sinistra. Nel 1998 è stata eletta sindaco di Todi alla guida di una coalizione di centro!sinistra con il 53,7% dei vo! ti, riconfermata per un secondo mandato nel 2002 con il 63,8%. Alla scadenza del suo se! condo mandato, sindaco di Todi, roccaforte storica del Partito Comunista Italiano, viene eletto niente meno che un fascista (ex Movimento Sociale Italiano e ora Partito della Liber! tà). Nonostante tale risultato disastroso dei quasi dieci anni di amministrazione di sinistra, Catiuscia Marini viene dapprima eletta al Parlamento Europeo (in realtà subentra al primo eletto passato al Parlamento Italiano) e poi, bucate le nuove elezioni europee del 2009, nel 2010 viene eletta Presidente della Regione dell’Umbria per la coalizione di centro!sinistra, bruciando una imprbabile terza candidatura della governatrice uscente e le infondate am! bizioni di un genuino democristiano di montagna. L’anomalia della promozione di chi è stato capace di far perdere Comuni storici della sinistra comunista, in verità, non è isolata e anzi viene subito replicata con la nomina a segretario della presidenza regionale dell’ex sindaco di Montefalco, Comune anch’esso perso dalla sinistra a favore di una coalizione di centro destra praticamente inconsistente. Viene da pensare che la (con)fusione tra ex co! munisti ed ex democristian,i che ha dato vita al “mostro bicefalo” del Partito Democratico, ha visto trionfare il precetto cristiano dei “Beati gli ultimi che saranno i primi”, anche se in verità il riferimento evangelico era al regno dei cieli e non al governo regionale. La lista” prosegue nei prossimi numeri
a cura di SANDRO RIDOLFI
Il Piccolo Re Vigliacco
Il 28 settembre 1922 una banda di scalmanati armati di fucili da caccia, coltelli da cucina e forconi, tutti vestiti di nero come becchini, si era impantanata in un acquazzone alle porte di Roma. Re Sciaboletta (questo era il nomi! gnolo del “Re di stirpe guerriera” che si era fatto costruire una sciabola più corta a causa della “Sua Altezza”...) temé per il suo trono e aprì le porte al fascismo. 20 anni più tardi, dopo avere segretamente negoziato con i sicuri vincitori l’armistizio che avrebbe fatto salvo il suo trono, nella stessa notte dell’8 settembre 1943 Re Sciaboletta fuggì di nascosto verso il sud Italia già concquistato dagli alleati, abandonando Roma e l’Italia al massacro di altri due anni di quella guerra che, dopo l’Impero di Etiopia, gli era valsa la corona d’Albania. Tra le tante disgrazie che hanno nei secoli colpito in nostro Paese c’è stata anche quella della monarchia sabauda piemontese.