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Hiroshima Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno II, n. 10 - Foligno, ottobre 2010

4 pagine di inserto

Piazza del Grano ha compiuto un anno. Due numeri in bianco e nero, dieci numeri a colori; 2.000 copie la prima uscita, 4.000 l’ultimo numero di agosto; 8 pagine, poi 16 ed oggi, con questo numero “speciale”, raggiungiamo 20 pagine, inserendo nuove rubriche e offrendo più spazio ai contributi spontanei a tema libero. Nuove le rubriche “dalla Città” e “scuola”, raddoppiate le pagine della “cultura/e” e dei contributi giovanili e corrispondenze. Ancora, un sito internet ricco, agevole e interattivo. Troppo presto per considerare acquisito il radicamento del giornale nella città e nel territorio; sufficiente, tuttavia, per provare a trarre alcune considerazioni consuntive sulle quali immaginare gli sviluppi futuri. Nel tempo il numero dei collaboratori, per così dire “fissi” o meglio “affezionati”, è cresciuto notevolmente e sempre più abbondanti sono i contributi che pervengono spontaneamente agli indirizzi e-mail. Ciò ha consentito di estendere progressivamente la distribuzione del giornale oltre Foligno, nei Comuni di Nocera, Spello, Cannara Gualdo Tadino, Montefalco. Il giornale non riceve (e non richiede) contributi, finanziamenti, sponsor e non raccoglie pubblicità, è stato pensato e voluto per una distribuzione gratuita basata sulla partecipazione spontanea dei collaboratori e interamente autofinanziato. L’impronta ideologica dell’editore è ben chiara; è a Gramsci, il più grande personaggio della cultura non solo italiana ma forse mondiale del ‘900. E’ al suo insegnamento che si ispira il progetto del giornale. Un “operatore culturale” concepito come una “piazza” non virtuale, ma reale, tangibile e fruibile con la carta stampata del giornale e la sede multimediale della Associazione, oltre al sito internet, nella quale dare spazio e strumenti per l’espressione delle voci più diverse per generazioni, provenienze culturali ed etniche, categorie sociali, con assoluta priorità al mondo del lavoro, al quale è dedica-

to il “centro” del giornale, e al territorio, al quale è dedicata la prima pagina. Forse, però, proprie queste due “centralità” del progetto, a consuntivo del primo anno di pubblicazione, sono quelle che manifestano una maggiore “sofferenza”, almeno in termini di non adeguata soddisfazione rispetto alle aspettative. Il mondo del lavoro, a cominciare dalle organizzazioni sindacali, a quelle variamente associative e sino ai singoli lavoratori, stenta a recepire e, quindi, a utilizzare l’opportunità di luogo di confronto, ma anche di tribuna, offerto sia dal giornale che dalla sede multimediale (anche se una iniziativa di dibattito organizzata nella sala conferenze della Associazione nello scorso mese di luglio, “Fondata sul Lavoro”, ha incontrato una significativa partecipazione). Il territorio sicuramente è più recettivo, come dimostra la sempre maggiore richiesta di copie che ci ha indotto a incrementarne significativamente il numero, tuttavia stentano ancora a manifestarsi risposte, che siano di condivisione o anche di critica, che ci aiuterebbero a migliorare sotto ogni aspetto il giornale al fine di renderlo sempre più aderente alle aspettative e sempre più funzionale alle esigenze di dialogo ed espressione dei cittadini lettori. Rivolgiamo quindi un invito “forte” a tutti i lettori, singoli cittadini, associazioni volontarie, culturali e soprattutto sindacali, a voler partecipare attivamente alla costruzione del nostro giornale, inviando contributi, corrispondenze e materiali in genere, sia alle email della redazione (redazionepiazzadelgrano@alice.it) e della Associazione (associazionefittaioli@yah oo.it), sia al sito internet (www.piazzadelgrano.org) nel quale abbiamo predisposto una scheda informativa che Vi pregiamo di voler riempire rispondendo alle poche e semplici domande che ci aiutino a migliorare il giornale. Grazie sin d’ora a tutti coloro che vorranno in ogni modo partecipare alla vita e alla costante crescita del nostro giornale e buona lettura.

all’interno Gruppi di Potere Conflitto d’iteressi Respingimenti illegittimi Orti sociali L’amore non carnale La giusta direzione Comitato Lavoratori Merloni Il lavoro “bene comune” Ancora sul codice della strada “Dieting” una nuova dipendenza Sopportare se stesso Riforma della scuola Frantoi Aperti

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PUBBLICAZIO NE GRATUITA

1 anno!

Tr ev i

La “Città del buon vivere” che coniuga la cura del tessuto urbano con la salvaguardia dell’ambiente, orgogliosa del suo passato ma nello stesso tempo aperta al presente VALENTINO BRIZI

A Trevi crediamo nella idea di “città del buon vivere”. La abbiamo adottata a modello di sviluppo verso il quale ormai da tempo la Città si è indirizzata con convinzione, cercando di compitare nel miglior modo possibile le parole difficili di un linguaggio derivato dalla tradizione ma non per questo immutabile, né fuori dal tempo e insensibile alla contemporaneità. Trevi giustamente esibisce la storia delle sue pietre conce e dei suoi palazzi con orgoglio magari un po’ patriottardo, ma prende sul serio anche le buone pratiche quotidiane che il vivere nel presente impone alle società di oggi, ed è capace di accogliere il nuovo senza pregiudizi e ovunque esso si manifesti. Non trova distanza né separazione tra le sue antichissime origini preromane e l’avere oggi un grande e prestigioso spazio museale destinato esclusivamente alle espressioni artistiche della contempora-

neità, e si riconosce pienamente nei simboli e nei valori culturali espressi dall’essere Città Slow, Bandiera Arancione del TCI, uno dei Borghi più belli d’Italia, luogo di produzione del Sedano Nero di Trevi presidiato da Slow Food, Città certificata EMAS per il rispetto ambientale, primo Comune italiano vincitore del premio nazionale “Progetti sostenibili e Green Public Procurement 2010”, indetto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e da CONSIP. Cerchiamo di tradurre in azioni concrete queste idee e questi modelli, pensando che il buon vivere abiti in quella città che meglio riesca ad aver cura di se stessa, a partire dal tessuto urbano medievale e rinascimentale, dalla salvaguardia dell’ambiente naturalisticamente ancora integro, dalla educazione al gusto e alla buona tavola, dall’accoglienza, dal grado di civiltà e di accoglienza verso gli “altri” di ogni provenienza, dalla valorizzazione delle produzioni autoctone, che hanno radici così profonde nella cultura e nelle tradi-

zioni locali da costituirne marcatori efficaci di tipizzazione del territorio, dalla promozione del contatto diretto tra consumatori e produttori di qualità, dalla storia e dalle tradizioni, dalle bellezze architettoniche e artistiche, antiche e contemporanee, che sono cifre ineliminabili di identità locale. E’ in questa prospettiva di ampio raggio che si collocano Il Mercatino del Contadino, con prodotti della filiera corta, che si tiene ogni quarta domenica del mese, con le eccellenze orticole a chilometri zero delle Canapine, la Mostra Mercato del Sedano Nero e la Sagra della Salsiccia della terza domenica di Ottobre (che quest’anno cadrà il 17), dedicata al Sedano Nero di Trevi, cultivar presidiata da Slow Food. E poi ancora Pic&Nic, evento primaverile dedicato ai tanti prodotti dell’agroalimentare d’eccellenza, all’ambiente e alla natura, all’arte e alla musica, che si svolge nella magnifica cornice della cinquecentesca Villa Fabri e del suo parco. Tra pochi giorni, e per tutto il mese di ottobre,

avranno inizio le numerose e suggestive iniziative ispirate alla storia e alla cultura medievale, che culminano con il corteo storico e la disputa del Palio dei Terzieri la sera di sabato 2 ottobre e con le Scene di Vita Medievale sabato 23 e domenica 24 ottobre. Meritano una serata le proposte gastronomiche delle tre taverne, aperte tutto il mese, nelle quali viene servito il sedano “alla trevana”, uno dei più tipici ed esclusivi piatti della cucina locale. E infine l’evento autunnale clou di FestivOl, che quest’anno si svolgerà nei giorni del 30 e 31 ottobre e 1° novembre, dedicato all’eccezionale olio extravergine di oliva del nostro territorio comunale e ai suoi produttori locali, al buon bere e al buon mangiare con Laboratori del Gusto e degustazioni del top dei prodotti tipici nazionali, rappresentati dai presìdi Slow Food di molte Regioni italiane, all’arte contemporanea, alla grande musica e alle magnifiche dimore storiche del centro città, aperte dai proprietari a tutti i visitatori.

Il giornale è “on line” al sito www.piazzadelgrano.org


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Leggi e diritti

FOLIGNO OTTOBRE 2010

“Affinché niente cambi, bisogna che tutto cambi” Semplificazione o riforme fantasma? MARCO MARIANI

Nella articolazione delle deleghe ministeriali, quella della semplificazione amministrativa è stata attribuita al Ministro Roberto Calderoli. Si tratta senza dubbio di una delega pesante, nel senso che effettivamente lo Stato-apparato ha urgente bisogno di essere ammodernato, insieme al rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. L’obiettivo della semplificazione passa anche attraverso l’introduzione di radicali riforme delle Istituzioni rappresentative e dei regolamenti parlamentari, oltre che della giustizia, del governo del territorio, dell’economia, della finanza e della materia fiscale. Nella sostanza non si tratta solo di abrogare leggi o regolamenti obsoleti e farraginosi, ma piuttosto di innovare il sistema delle leggi dalla fase della produzione a quella dell’applicazione (riforma) nei maggiori comparti di interesse e competenza dell’attività dello Stato e del sistema delle autonomie. Qualche tempo fa il Ministro ha presentato una sorta di libro bianco sull’abrogazione di centinaia e centinaia di atti legislativi e normativi.

Ora, a mio avviso sarebbe il caso di presentare anche il libro bianco sulle annunciate, auspicate e promesse riforme, senza le quali la semplificazione diventa una pura invenzione propagandistica. Allora forse è il caso di domandarci che fine hanno fatto i diversi disegni di legge presentati dal Governo e all’esame del Parlamento, che hanno condizionato fortemente nell’ultimo anno l’agenda politica e polarizzato freneticamente l’attenzione dei media, dell’opinione pubblica, quasi a rappresentare una sorta di emergenza riformista. Che fine ha fatto, per esempio il disegno di legge approvato dal governo nel pieno della polemica sulla privatizzazione della protezione civile per i grandi eventi e in presenza delle numerose iniziative giudiziarie che hanno coinvolto ed indagato uomini di governo, parlamentari e funzionari pubblici, quel disegno di legge che sanciva senza appello l’ineleggibilità degli amministratori corrotti, come risposta politica forte ad un sistema di corruttela diffuso e permeato nei vari livelli dello Stato e della pubblica amministrazione. O forse tale importante iniziativa ha rappresentato sol-

tanto la reazione del sistema al clamore del momento, salvo poi a non veder mai luce. Così, per fare altro esempio, come quando il governo si appropria indebitamente degli arresti, pur importanti e significativi nella lotta alla criminalità organizzata, dei capi delle varie mafie, senza precisare che la paternità di quei risultati è da attribuire in maniera prevalente al lavoro della magistratura e alle forze di polizia, mentre il Governo non riesce, nonostante l’ampia maggioranza, ad approvare una legge dallo stesso promossa e voluta, peraltro condivisa anche dalla minoranza, che impedisca ai collusi di rappresentare il popolo sovrano. Ancora,che fine a fatto il disegno di legge approvato da un ramo del parlamento sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, alla luce della manifesta opposizione di ampi settori della classe politica, di opposizione e persino di maggioranza. Dovremmo forse concludere che una legge non troppo condivisa e a tratti punitiva del lavoro della magistratura o degli organi di informazione non può’ essere modificata tenendo conto degli apporti della discussione parlamentare e così ragionando, si lascia vivere la legge vigente

che pure, per molti profili, non è più adeguata e garantire un giusto equilibro tra diversi diritti e interessi costituzionalmente garantiti. Che fine ha fatto, ancora, il disegno di legge sul processo breve, anch’esso approvato da un ramo del Parlamento con voto di fiducia e testo blindato. Forse anche qui non è possibile discutere in parlamento con il contributo di tutte le forze politiche per fare una legge “generale e astratta” in grado di contribuire al superamento della paralisi della giustizia italiana. No, i cosiddetti riformatori o semplificatori auspicano forse leggi solo ad personam per risolvere i loro problemi di parte: prendere o lasciare. Qualcuno forse ha visto la riforma della professione forense, approvata alla Camera e abbandonata al Senato, la famosa legge sulla concorrenza, quella che dovrebbe avere, per decisione del governo, cadenza annuale con lo scopo di rimediare alle storture del mercato denunciate dall’Antitrust o la legge contro l’usura già approvata dal Senato, o la nuova normativa sulle fondazioni. L’elenco potrebbe essere lungo, addirittura lunghissimo, se si comprendessero anche i decreti e i regolamenti che il governo deve emanare in esecuzioni delle leggi già approvate, ma che non ha ancora emanato.

Le conclusioni che possiamo trarre dagli esempi portati sono diverse. La prima è che la semplificazione intesa come mera abrogazione delle norme o come razionalizzazione dell’ordinamento giuridico, obiettivo pur nobile e condiviso, da sola non porta a risultati apprezzabili sotto il profilo della riforma dello Stato e della Pubblica amministrazione. La seconda è che dietro la cancellazione di norme confuse e obsolete occorre riscriverne altre chiare e semplici. La terza è che senza riforme organiche dei diversi settori delle Istituzioni, della giustizia, del sistema fiscale e contributivo il nostro paese non è in grado di reggere la sfida internazionale e di ammo-

dernare gli strumenti di intervento in favore dello sviluppo economico e sociale. Ma tali riforme non possono essere l’espressione di una parte o peggio ancora di interessi particolari ed è forse arrivato il momento che la politica si riappropri del proprio ruolo e che le forze politiche riscrivano le regole dei loro rapporti nell’interesse del paese e dei cittadini, come fecero i padri costituenti nella stesura della Carta costituzionale. Riformare lo Stato è possibile e doveroso, a condizione che la classe politica sia all’altezza del proprio ruolo. Sbandierare la semplificazione senza mettere in campo le vere riforme è un modo per far rimanere le cose come stanno.

CAI - Centrale di Allarme Interbancaria Gruppi di Potere Strumento volto a prevenire l’utilizzo anomalo di assegni e carte di credito ROBERTO FRANCESCHI

A distanza di circa dieci anni (con continui chiarimenti forniti dalla Banca d'Italia) la materia è oramai sufficientemente chiara agli addetti ai lavori, continua a essere fumosa proprio ai soggetti destinatari-utilizzatori dei provvedimenti. E' da chiarire pertanto la logica della normativa. Il legislatore ha voluto prevenire utilizzi anomali degli assegni e delle carte di credito con la diffusione presso tutti gli intermediari finanziari dei dati del soggetto che ha utilizzato in maniera illecita i mezzi di pagamento e con una disciplina sanzionatoria molto più efficace. La finalità ovviamente è quella di aumentare la sicurezza di sistemi di pagamento nel mondo commerciale e delle famiglie, altrimenti esposti (a volte senza alcuna tutela) a significativi danni patrimoniali. Nel passato la certezza del pagamento di un assegno poteva raggiungersi in tempi relativamente lunghi (ricordate gli otto o quindici giorni da me indicati sul mio precedente articolo, tempo che anche oggi decorre per la levata del protesto?). Oggi invece grazie alla C.A.I. entro tre giorni dal regolamento in “stanza” dell’assegno (per stanza si intende il

luogo dove vengono scambiati tutti gli assegni fra le banche), la banca è tenuta ad inviare con un messaggio elettronico la comunicazione dell’eventuale impagato dell’assegno. La banca inoltre è tenuta a informare, con lettera raccomandata, il traente dell'assegno che, se il pagamento del titolo non avvenga entro sessanta giorni (comprensivo di una penale del dieci per cento, oltre ad alcuni oneri aggiuntivi), verrà definitivamente iscritto in C.A.I. (“preavviso di revoca”), con effetti veramente penalizzanti che di seguito indicherò. La definitiva iscrizione in C.A.I., comporta la cosiddetta "revoca di sistema" con il ritiro degli assegni da parte di tutto il sistema bancario e la divulgazione a tutto il sistema. Il nominativo rimarrà iscritto nella C.A.I. per sei mesi. Se in detto periodo dovessero pervenire assegni, questi non potranno essere pagati, neppure in presenza di fondi. L’efficacia sanzionatoria è da considerare particolarmente grave in considerazione del fatto che il soggetto, colpito da questo atto pregiudizievole con la relativa pubblicità, si troverà di fatto espulso dal sistema bancario, non potendo ovviamente accedere a forme di credito e privo inoltre di sistemi di pagamento che non siamo contanti e/o titoli cam-

L’organo di autogoverno della giurisdizione amministrativa si dota di un codice etico e “inventa” una nuova categoria di rapporti economici SALVATORE ZAITI

biari (anch'essi difficilmente accettati vista la conclamata insolvenza del debitore). Simile disciplina sanzionatoria è prevista per l’utilizzo improprio di carte di credito, che comporta l’obbligo dell’istituto emittente di ritirare la carta di credito e iscrivere il cliente in un apposito registro C.A.I. “carter” che segnala a tutto il sistema bancario e finanziario l'anomalia che rimarrà in evidenza per due anni. Concludo tornando alla termine “stanza” sopra citato per un motivo non tanto tecnico, ma per spiegare la provenienza di alcune parole usate oggi senza sapere la loro origine e per un pò....di nostalgia. Una volta gli assegni fra banche venivano letteralmente scambiati in una stanza fisica, generalmente nella banca più rappresentativa di una piazza o in quella che di fatto dispo-

neva di una stanza. Ci si riuniva a una data ora, a volte in tanti nelle piazze con molte banche, e fra due chiacchiere e un caffè, in attesa del solito ritardatario che sbuffando accampava le scuse più astruse, si scambiavano gli assegni. “Allora? Ti vuoi muovere, mi dai i miei assegni che ho fretta? Ciao ci vediamo domani ...fossi matto,sono in ferie ...e chi viene? La collega quella bella?” Sembrerà strano, considerato il luogo, ma ricordo anche qualche fidanzamento (non so se poi si sono sposati). Ora di fatto le stanze sono virtuali "Roma/Milano", più efficienti e veloci, a prova di errore. Ma non ci si può più fidanzare con un computer o prendere un caffè con un monitor. Concludo come sempre: eventuali domande o chiarimenti potranno essere rivolti via e-mail alla redazione del

Pochi giorni prima della pausa estiva di ferragosto è stato pubblicato (G.U. n. 185 del 10 agosto 2010) il Codice etico dei componenti il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa. Sorprende come l’organo di autogoverno dei giudici amministrativi (TAR e Consiglio di Stato) abbia sentito la necessità di dotarsi di un tale strumento. Innanzitutto perché dei quindici componenti ben undici sono magistrati, per i quali la condotta di vita non può che essere ispirata ai più alti principi e rigori morali e l’esercizio delle funzioni non può che essere svolto con spirito di autonomia, indipendenza ed imparzialità. In secondo luogo perché già il nostro ordinamento giuridico appresta gli strumenti idonei a far rispettare quell’insieme di regole di condotta nel segno di una ordinata convivenza civile. Ciò che, però, colpisce più l’attenzione è la direttiva che vieta al componente del C.P.G.A. la partecipazione “ad associazioni, circoli o al-

tri organismi, ovvero a gruppi di potere ove possa subire condizionamenti per la sua attività”. Sebbene le regole del Codice etico non abbaino natura ed efficacia di norme giuridiche e, pertanto, a queste non siano tenute a fare riferimento, desta tuttavia interesse l’introduzione nel panorama “normativo” dei gruppi di potere. Se le scienze sociali ed economiche conoscevano già da tempo questi centri di riferimento o di interessi, quelle giuridiche non hanno ancora prodotto puntuali elaborazioni al riguardo, se non per gli aspetti connessi e conseguenti a comportamenti aventi rilevanza penale. L’avere, quindi, riposto l’attenzione su tali fenomeni, ancorché in un testo non normativo, è certamente segno di una mutata consapevolezza e sensibilità di cui dovrà tenerne conto pure il legislatore in sede di revisione della legge Anselmi (25 gennaio 1982, n. 17) in tema di associazioni segrete oggi, purtroppo, tornate improvvisamente alla ribalta delle cronache giudiziarie e politiche.


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Politica ed Etica

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Risoluzione del conflitto di interessi e potenziamento dei sistemi di istruzione per un programma alternativo LUIGI NAPOLITANO Spesso per critica si sottende che in essa si debbano riportare, prevalentemente, pareri antitetici e negativi. Al contrario, ho sempre considerato la critica elemento non solo positivo, ma anche stimolante ed ho cercato di finalizzarla ad una più attenta riflessione per il miglioramento delle idee che ne siano state oggetto. A seguito del garbato invito di un amico ad essere propositivo, e non solo testimone della situazione politica di cui ho denunciato alcune degenerazioni nell’ultimo numero di questo giornale, ho pensato a lungo su quali siano gli elementi che avrei posto alla base di un ipotetico programma di cui dovrebbe farsi fautrice la parte politica che contende il governo del paese a quella che attualmente lo gestisce. Non potendo esaurire, per ovvie ragioni di spazio, tutti gli argomenti mi limiterò a citarne due tra quelli che a mio av-

viso meriterebbero una considerazione primaria. Al primo posto e senza alcuna esitazione, anche per la relativa facilità di compilazione, porrei la promulgazione di una legge che non permetta il verificarsi di un conflitto di interessi in quei soggetti chiamati a ricoprire incarichi che comportino alte responsabilità decisionali nella gestione della cosa pubblica. E ciò a prescindere dalla circostanza che il soggetto che si trovi in tale condizione, persegua o meno un interesse personale. Non è infatti concepibile che, nella stessa persona, si sommino la titolarità di funzioni pubbliche e la titolarità, anche indiretta, di attività imprenditoriali, aventi ovvia rilevanza patrimoniale, rispetto alle quali esiste la possibilità di legiferare. Non a caso il nostro codice civile prevede nell’ipotesi in cui si realizzi un conflitto di interessi tra i genitori e i figli minori la nomina di un curatore speciale oltre il controllo del giudice. E se una siffatta norma esiste, al fine di tutelare i fi-

gli nei confronti dei genitol’insieme delle istituzioni ri, non si capi-sce perché che forniscono l’istruzione e non ne debba esistere una la formazione alle nuove gealtrettanto rigorosa a tutela nerazioni, ossia la scuola, ridell’interesse pubblico. Il comprendendo in tale termiregolamento del conflitto si rende necessario non solo per regolamentare un’anomalia in atto, ma anche per evitare o almeno tentare di evitare, anche in un futuro più o meno prossimo, qualsiasi commistione tra il mondo della politica e quello degli affari che dovrebbero essere asintotici. Ulteriore priorità è costituita dalla conoscenza inteMichelangelo Merisi, sa come motore il Caravaggio della crescita. Uno dei modi più efficaci per lottare contro la povertà e la disuguaglianza consiste nel pone le università, tecnicamentenziare i sistemi d’istruziote anch’esse scuole, seppure ne. E in tale ambito non si di alto livello. Solo la conopuò che far riferimento alscenza, acquisita con lo stu-

dio, può dare ai giovani maggiori possibilità di trovare un impiego e permettere loro di inserirsi, una volta terminati gli studi, nel mondo

del lavoro, riducendo così la possibilità di esserne esclusi ed il rischio di emarginazione sociale. Un siffatto

programma richiede non solo investimenti ma anche un’apertura ai cambiamenti in atto nella società. E com-pito della politica, questo si molto complesso, è quello di strutturare la scuola in maniera da rendere possibile a chiunque di scegliere, secondo le proprie attitudini, la classe sociale a cui appartenere, dando un’equa dignità al corpo insegnante e rendendo consoni alla funzione i luo-ghi ed i mezzi necessari alla realizzazione di un siffatto progetto. Concludo con una personale considerazione. Eviterei di fare eccessivo affidamento sulle parole e gli atteggiamenti di politici che, dopo anni di vita in comune, scoprono nei loro compagni di vi-aggio la mancanza di qualsiasi rispetto per le istituzioni.

Antonio Gramsci, nato per l’azione «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani» MARIO TRONTI (Tratto da “L’uomo che ha afferrato il fulmine a mani nude” 2007) Antonio Gramsci - da mettere in una ideale galleria di grandi italiani del Novecento politico, di tradizione cattolica e liberale, da Sturzo a Dossetti a Einaudi questi uomini postumi per le loro virtù, servono, vanno fatti servire, come vaccino contro le malattie contagiose delle democrazie contemporanee: l'antipolitica, il populismo, il plebiscitarismo. La personalità democratica come personalità non carismatica e tuttavia demagogica, eterodiretta dalla sua immagine, in sudditanza rispetto alla dittatura della comunicazione, onnipresente come figura, inconsistente come persona. A questo punto vorrei non dare l'impressione di edulcorare il personaggio Gramsci, iscrivendolo nel ruolo non esaltante di Padre della Patria. Non si può parlare di Gramsci restando neutrali. Scrisse di sé, dal fondo del carcere fascista: «Io sono un combattente, che non ha avuto fortuna nella lotta pratica». Non era un'anima bella. Nato per l'azione, circostanze esterne lo costringono a diventare uomo di studio. Se dovessi riassumere in una definizione l'insegnamento che Gramsci ci lascia, direi così: come un uomo di parte possa diventare risorsa della nazione, senza dismettere

la propria appartenenza, ma agendola nell'interesse di tutti. Gramsci ci dice che, machiavellianamente, la politica non ha bisogno dell'etica per nobilitarsi. Si nobilita da sé, sollevandosi a progetto altamente umano. Gramsci non è solo i Quaderni del carcere. C'è un Gramsci giovane che si fa amare, se possibile, ancora di più. Lo scoprimmo nei magici an-

Città futura numero unico della Federazione giovanile socialista piemontese. Qui quell'articolo (febbraio 1917) che comincia con le parole: «Odio gli indifferenti»: «Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo». O gli articoli su Il grido del popolo, quello fa-

Antonio Gramsci ed Emilio Lussu

ni Sessanta, quando fummo forse ingenerosamente ostili alla sua linea culturale «nazionale-popolare», la famosa linea De Sanctis- LabriolaCroce- Gramsci, a cui rivolgevamo l'accusa di aver oscurato la grande cultura novecentesca mitteleuropea, che fummo costretti a scoprire per altre vie. Ci bevevamo gli articoli scritti per la rubrica «Sotto la mole» per l'edizione piemontese dell'Avanti! O sulla

moso e scandaloso: «La rivoluzione contro il Capitale». La rivoluzione dei bolscevichi contro Il Capitale di Carlo Marx. Se si potessero rileggere, oggi, senza il velo delle ideologie dominanti, quelle righe in Individualismo e collettivismo! «All'individuo capitalista si contrappone l'individuo-associazione, al bottegaio la cooperativa: il sindacato diventa un individuo collettivo che svecchia la li-

bera concorrenza, la obbliga a forme nuove di libertà e di attività». E soprattutto gli articoli de L'ordine nuovo, settimanale di cultura socialista, che Gramsci fonda il 1° maggio 1919 e che poi diventerà quotidiano. Lì si organizza il gruppo che darà vita al Partito comunista d'Italia, che come si vede non subito ma fin dalle tesi di Lione del 1926, nascerà non solo contro i riformisti ma anche contro i massimalisti. Gramsci nasce, politicamente e intellettualmente, a Torino. Davanti a lui, il biennio rosso, l'occupazione operaia delle fabbriche, l'esperienza dei consigli operai. La vera università: la grande scuola della classe operaia. Del resto, ormai lo sappiamo: o si parte da lì, o si raggiungono solo quelli che oggi si chiamano non-luoghi. L'ordine Nuovo, settembre 1920: «L'operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni, disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto ore per il Partito, per il sindacato, per la cooperativa, è, dal punto di vista della storia dell'uomo, più grande dello schiavo o dell'artigiano che sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera». Già Togliatti, nel ricordo che scriveva, nel 1937, appena dopo la morte di Gramsci, diceva: «Il legame di Antonio Gramsci con gli operai di Torino non fu soltanto un legame politico, ma un legame personale, fisico, diretto, multiforme»

ANTONIO GRAMSCI Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi,che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia brutta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva,e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era attivo e chi era indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano

oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano, se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo; perché mi da fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.


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dal Mondo

In gommone verso una nuova vita Sguattero, badante e infine artigiano piccolo imprenditore ROBERTO FRANCESCHI

E' una semplice intervista, di un uomo normale, che racconta una storia simile a migliaia di casi analoghi, non tutti però a lieto fine. La particolarità è che racconta una storia che ho appreso direttamente, non vista in televisione con il giornalista che cerca di fare più ascolti, enfatizzando gli aspetti negativi o positivi. "Ho trentotto anni e sono nato a Durazzo, Albania. Da tempo sentivo alcuni miei amici che parlavano dell'Italia, della possibilità di ricostruirsi una vita nuova... Ma avevo 23 anni (era il 1995), non avevo un mestiere, e in italiano sapevo solo qualche parolaccia. Qualcuno faceva tutto facile, altri più prudenti mi descrivevano le difficoltà che avrei incontrato. Ma a ventitre anni non si pensa più di tanto e poi ... ma qui che faccio? E allora via, inizio a cercare come arrivare in Italia. Naturalmente in gommone, di notte, insieme ad altri diciannove albanesi, prezzo un milione e seicentomila lire e non ti dico quello che mi sono in-

ventato per trovarle. Un freddo che ancora ricordo, ma il mare era calmo, e un rumore assordante del motore. Con me avevo un sacchetto con una maglietta, un paio di calzoni corti, i sandali. Il resto addosso, vestito a strati (ma non era certo un gran corredo) e basta. Ci hanno fatto sbarcare praticamente al porto di Bari, con tutte le notizie ricevute sui controlli serrati della polizia che ci sembrarono favole. A Bari viveva un mio cognato, ma prima di ritrovarlo passò quasi una settimana: dormivo alla stazione o dove capitava. Trovato finalmente! E subito iniziai a fare qualche piccolo lavoro (sbucciare patate). Poi nel 1996 uscì una sanatoria e con mille peripezie riuscì a trovare un posto regolare come domestico presso un anziano. Ma non ero venuto per sbucciare le patate e nel 1998, sempre su indicazione di altri albanesi, arrivai a Foligno (dormendo due settimane alla stazione). Ho iniziato a lavorare presso un artigiano pittore edile che mi ha insegnato un po’ il mestiere. Due anni ancora e ho preso la mia

partita iva (2000). Ho fatto venire la mia attuale moglie ed è iniziata la mia attuale vita. 2001 primo figlio, 2002 seconda figlia, 2009 terzo figlio. Ho una piccola impresa di pitture edili, un nuovo furgone e

italiano, ma piena di gestualitaà, di esclamazioni, sorrisi, sospiri. Un racconto interrotto solo dai numerosi saluti scambiati dal narratore con persone di Foligno che camminavano veloci nella via centrale.

svolgo la mia professione in tutto il centro Italia . Se propongo ai miei figli o a mia moglie di tornare in Albania, mi guardano come se fossi pazzo, ridendo. E domani devo correre a Spoleto per imbiancare un appartamento." Tutto qui, è difficile rendere in scrittura le sensazioni che si ricevono quando una storia è raccontata dal suo autore, in un discreto

Una frenesia quotidiana che ci lascia poco tempo per conoscere più in profondità delle "semplici conoscenze", poco tempo per invogliarci ad andare oltre ai soliti filtri con cui ci rapportiamo agli altri. Ma l'entusiasmo irraggiato dagli occhi brillanti di quest'uomo mi ha scosso ed ha reso per me questa "storia uguale a mille altre" davvero unica.

FOLIGNO OTOBRE 2010

Il Comitato per la Prevenzione della Tortura della CEDU condanna i respingimenti dell’Italia Il 28 aprile 2010 il Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT) del Consiglio d'Europa (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo - CEDU) ha depositato il rapporto con il quale ha condannato la politica dei respingimenti adottata dall’Italia a partire dal 2009 e ha invitato il governo italiano a riesaminare immediatamente e in modo sostanziale la prassi delle intercettazioni in mare. Il CTP della CEDU ha chiesto l'apertura di un'inchiesta per verificare quanto avvenuto durante alcune operazioni di respingimento del maggio 2009; richiesta condivisa anche dall'alto commissario ONU per i rifugiati. Nel rapporto il CTP ha accertato maltrattamenti avvenuti su navi italiane e il rinvio di persone che potevano avere diritto a richiedere asilo, condannado il rifiuto del governo italiano di fornire le informazioni richieste, nonché un uso “pretestuoso” di leggi e accordi per sostenere la politica dei respingimenti adottata nel 2009. Nel rapporto il CTP parla di calci, pugni e colpi di remo inferti dalla polizia libica su due navi della Guardia Costiera italiane attraccate a Tripoli per costringere i migranti a scendere, ma anche

di maltrattati da parte del personale della marina italiana ai danni di alcuni migranti, tra i quali anche una donna incinta, perché si rifiutavano di trasbordare dalla nave italiana a una libica. Il CTP aggiunge che non è stato possibile sapere con assoluta certezza quanti potenziali richiedenti asilo, minori e donne incinta, siano stati respinti durante le operazioni condotte tra il 6 maggio e il 30 luglio del 2009 dalla marina italiana. L’Italia ha sempre negato la presenza tra i migranti respinti di richiedenti asilo, ma le indagini eseguite dal CTP hanno evidenziato che c'erano molte persone in possesso di documenti rilasciati dall'Unhcr e che, inoltre, molti dei migranti non erano stati messi a conoscenza del loro diritto di richiedere asilo, anche perché il personale delle navi italiane non è istruito sulle norme e procedure di asilo. Secondo il CTP la politica dei respingimenti adottata dall'Italia viola i principi dettati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo che impone di non rinviare persone in Paesi dove rischiano tortura e maltrattamenti, con l’obbligo di identificare i migranti respinti.

Belèm do Parà

Chico Mendes

Un luogo indimenticabile soggetto al rischio di distruzione sociale e ambientale

Raccoglitore di caucciù (seringueiro), è stato Segretario generale del Sindacato dei lavoratori rurali di Brasiléia dal 1975 e promotore della nascita del sindacato a Xapuri (1976), lega il proprio nome alla lotta contro il disboscamento della foresta amazzonica, condotta dai contadini con metodi assembleari ed utilizzando con successo la pratica dell'empate ("impedimento, stallo"). Nel 1980 con Lula e altri partecipò alla nascita del Partito dei Lavoratori che sarà il braccio politico della CUT, la federazione sindacale generale di cui faceva parte il sindacato dei lavoratori rurali. Nel 1985 Chico Mendes guidò per acclamazione degli oltre 4.000 delegati presenti il primo congresso nazionale dei seringueiros, durante il quale venne creato il Consiglio Nazionale dei Seringueiros, che diventerà il soggetto politico e sindacale che porterà le rivendicazioni dei contadini e delle popolazioni indigene dell'Amazzonia all'attenzione dei media internazionali. Nel 1987 una delegazione delle Nazioni Unite verificò direttamente a Xapuri le accuse rivolte da Mendes alle grandi finanziarie statunitensi che appoggiavano i progetti di disboscamento che causavano la di-

OSVALDO GUALTIERI

Belèm è la capitale dello Stato del Parà, nord ovest del Brasile. Ha all’incirca 1.500.000 abitanti e si trova a 220 km dalla foce dell’Amazzonia che, nel complesso di fiumi e isole, raggiunge la larghezza di 120 km tra una riva e l’altra. Quando questa impressionante quantità di acqua sfocia nell’Atlantico il colore del mare diventa marrone chiaro e l’acqua è ancora dolce fino a un centinaio di km nel mare. Belèm è senza dubbio una delle più affascinanti città da me conosciute, con un insieme architettonico e culturale tra l’antico e il moderno e tra le diverse culture di origine europea e indigena. Oltre all’originalità degli edifici antichi, il rapporto con la foresta, i fiumi e la natura è veramente unico e la fa diventare indimenticabile. Sarà che da quelle parti non sono arrivati molti spagnoli che, tra le passioni che più li hanno caratterizzati, hanno avuto quella di distruggere alberi, piante, erba, semi e tutto quello che gli assomiglia anche lontanamente. Così è stato in tutta l’America Latina dopo il loro devastante passaggio.

Particolarissimo il fatto che tutta la città è alberata solo con piante di “Mango” e perciò viene chiamata “a cidade da mangueira”, piante così alte che arrivano a formare dei veri e propri tunnel. Bellissimo! Una gran parte degli edifici più antichi è stata disegna-

della “borracha”, ossia del caucciù. Finita questa era con la scoperta dei materiali sintetici, l’attuale economia è basata principalmente sullo sfruttamento, ovviamente illegale e sfacciato, di legni pregiati e prodotti minerari. L’escavazione delle miniere,

ta da architetti italiani, però non presentano originalità di stile, anche se in questo contesto sono molto belli. Tuttavia, neanche a dirlo, si tratta quasi sempre di fortezze militari e di chiese. All’inizio del 900 Belèm, insieme a Manaus, era diventata una potenza economica grazie allo sfruttamento

insieme allo sfruttamento incontrollato del legname e alla coltivazione intensiva di soja, provocano una situazione devastante nella foresta. Il governo del nostro “amico” Lula se ne frega puntando alla macro economia, mentre durante il suo mandato la distruzione dell’Amazzonia è au-

mentata del 22%. Marina Silva, compagna di lotte del leggendario Chico Mendes, ministro dell’Ambiente durante alcuni anni di governo Lula, s’è stancata di denunciare questo scempio e ha dovuto dimettersi per formare un nuovo Partito con l’intenzione di fermare questo disastro ambientale. Il livello di massacro sociale, culturale e anche fisico delle 42 etnie indigene ancora sopravvissute nella Stato del Parà, lo sfruttamento dei lavoratori nelle miniere e nelle “carboneiras” e la distruzione dell’ambiente sono veramente spaventosi. Lì la vita di quelli che si ribellano non vale niente, anzi, vale 50 dollari che costa pagare un sicario per far fuori chiunque si ribella. Su questo tragico tema si consiglia di vedere il documentario “Manda Bala” (comanda pallottola). Comunque quella zona, dove ho vissuto recentemente per oltre due anni, è veramente interessante da conoscere. I fiumi, la foresta, le barchette di legno di tutte dimensioni e colori, unico mezzo di trasporto in tutta quell’area, le diverse espressioni culturali, il folclore, la musica, la danza e il fascino dell’Amazzonia la fanno diventare un luogo indimenticabile.

soccupazione forzata dei seringueiros, l'esilio forzato dei contadini indios dell'Amazzonia e un danno ecologico di dimensioni planetarie. Le reazioni internazionali che fece seguito obbligarono per certo tempo, ma solo temporaneamente, le banche degli USA a sospendere i propri investimenti in Amazzonia. Il 22 dicembre 1988 Chico Mendes venne ucciso davanti alla porta di casa dai sicari dei proprietari terrieri ostacolati dalle rivendicazioni degli indios. Nonostante gli assassini fossero ben noti, furono necessarie forti pressioni internazionali per portarli in tribunale dove furono condannati a 19 anni di carcere. Calata l’attenzione internazionale ripresero gli omicidi dei dirigenti sindacali e di quanti si opponevano alla devastazione dell’Amazzonia, ma non vi furono mai più processi; gli stessi assassini di Chico Mendes vennero poi assolti nel febbraio del 1992 dalla corte d'appello statale. A Chico Mendes è dedicato il parco comunale di Spoleto.


FOLIGNO OTTOBRE 2010

dalla Città

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Cooperativa ONLUS “ARIEL” Progetto “prendersi cura”: come oltrepassare la bar riera dell’assistenzialismo ANDREA TOFI Nel 1995 a seguito della preziosa esperienza maturata nel servizio civile, come alternativa alla leva obbligatoria, durante la quale viene a contatto realtà che ne formano la coscienza, Fabrizio Dionigi decide di avviare un progetto ambizioso e difficile da raggiungere fondando la cooperativa sociale Ariel che è una ONLUS, il cui scopo è quello di valorizzare a fondo le potenzialità di tutti quei soggetti svantaggiati, per colmare la distanza che esiste tra il mondo dell’assistenzialismo e il mondo del lavoro. Per raggiungere questo obbiettivo si è cercato di realizzare un percorso finalizzato all’inserimento nel mondo del lavoro della persona svantaggiata attraverso un processo continuo tale da creare la consapevolezza nelle proprie potenzialità e nei propri limiti. Attualmente nella cooperativa che opera in un’azienda di circa 5 ettari sita nelle campagne limitrofe alla frazione di Sterpete, lavorano 15 persone di cui la maggioranza è costituita da ragazzi e ragazze che hanno delle difficoltà ad inserirsi facil-

mente nel percorso lavorativo perché svantaggiate o anche per semplici problemi relazionali frutto di esperienze di vita difficili che segnano profondamente il carattere della persona come il carcere o la droga. Il progetto “prendersi cura”al quale sta lavorando oggi Fabrizio insieme ai suoi più stretti collaboratori vuol raggiungere l’obbiettivo attraverso un percorso di crescita nel quale ad ogni singolo viene affidato un qualcosa di cui prendersi

cura, che possa essere una pianta, un fiore o un giardino cercando di valorizzare ciò su cui si opera in base alle proprie capacità ed attitudini, formando così delle professionalità che possano in futuro trovare spazio o nella cooperativa stessa o in altre realtà lavorative dello stesso settore, con la consapevolezza comunque di aver ridato alla società persone che credono nei propri mezzi pur conoscendo i propri limiti. La cooperativa opera in

due settori ben distinti pur avendo lo stesso fine, il primo comparto si occupa del vivaio per la produzione di essenze vegetali di ogni tipo, dagli arbusti ornamentali agli alberi, dalle siepi alle erbacee perenni, della progettazione, realizzazione e manutenzione di giardini ed impianti di irrigazione e tutto ciò che rappresenta l’arredo da esterno oltre a coltivare ortaggi e verdura biologica certificata che vendono direttamente nel negozio insie-

me ad altri prodotti biologici non di produzione propria, ma provenienti possibilmente dalla filiera corta; l’altro settore si occupa invece di pulizie civili ed industriali con addette che oramai hanno un’esperienza decennale e quindi altamente qualificata. Tra le opere di maggior rilievo dal punto di vista qualitativo sicuramente il parco dei Canapè rappresenta il fiore all’occhiello, ma numerosi sono i lavori eseguiti sia per il pubblico realizzando gli spazi verdi negli asili che per il privato(agriturismi, alberghi ect..). La fine del 2009 e l’inizio del 2010 hanno rappresentato un periodo davvero difficile per la cooperativa perché gli aiuti economici dal sociale che dovrebbero contribuire a portare avanti questo progetto che permette il recupero di molte persone che vivono oggi una situazione

di disagio tardano ad arrivare, in più la perdita di alcune manutenzioni come quella dei Canapè e lo stallo di alcuni lavori a seguito della recente crisi hanno pesato e non poco nel bilancio. Mi preme sottolineare però come la mancata riconferma nella manutenzione del parco dei Canapè da parte dell’amministrazione comunale, come sottolinea lo stesso Fabrizio, rappresenti una bocciatura che è stata mal assorbita soprattutto dal punto di vista professionale per l’eccellente lavoro svolto dai ragazzi e ragazze della cooperativa, sia nella fase di progettazione e realizzazione che nella manutenzione, nella quale tutti erano finalmente riusciti ad esprime davvero il massimo delle loro potenzialità ottenendo davvero un ottimo risultato. Per informazioni e contatti: www.arielcoop.it ; info@arielcoop.it

Orti sociali: una zona franca, un’oasi culturale e “genuina” in cui far rivivere, all’interno delle città, le antiche tradizioni contadine CRISTIANO DELLA VEDOVA

Gli orti sociali sono appezzamenti di terreno da coltivare ad orti, posti all’interno di aree di proprietà pubblica che vengono concessi a cittadini anziani, pensionati e invalidi, in uso gratuito, con l'obiettivo di favorire un impegno a carattere ricreativo del tempo libero. Questo fenomeno ha cominciato a svilupparsi da qualche anno nelle grandi metropoli di tutto il mondo, e sta sortendo degli effetti interessanti sotto il profilo sociale e culturale. In generale gli orti sociali rappresentano una delle vie per rivitalizzare socialmente le metropoli e riappropriarsi come cittadini anche di quegli spazi verdi abbandonati e spersonalizzati. Quindi, oltre ad un importante sito di aggregazione sociale essi costitui-

scono una grande occasione di riscoperta del legame con la terra e con i frutti che essa produce. Mi piace pensare che a due passi dal Colosseo, dal Duomo di Firenze o dalla piazza centrale di una qualsiasi cittadina possano esistere e vivere queste piccole oasi in cui la routine quotidiana si mescola con le antiche tradizioni contadine. D’altra parte, i ritmi che caratterizzavano l’ambiente rurale possono essere nuovamente assimilati solo se vissuti in prima persona attraverso la cura di una coltura: il legame terra-uomo risulterà rafforzato e valorizzato, in un contesto in cui la crescita dei prodotti agricoli è assistita e favorita dal consumatore stesso. La sfera della socialità ha un’ importanza preponderante. L’orto diventa infatti luogo non solo di produzione ma anche di svago e di ritrovo: accanto alle proposte forma-

tive (come ad esempio la scuola di compostaggio e di agricoltura biologica) si possono organizzare feste campestri dal sapore antico, che potranno coinvolgere però tutte le generazioni. Chi si occupa di un piccolo appezzamento di terreno è inoltre responsabilizzato nei confronti di tutto il territorio pubblico, l’allestimento di orti sociali infatti è una delle occasioni più importanti per consentire ad ogni cittadino di percepire il terreno come bene comune che va salvaguardato e tutelato; per queste ragioni oltre alla funzione ricreativa per gli ortolani gli orti sociali rappresenteranno un centro di cultura agricolosocio-ambientale di notevole interesse. Il successo di questo tipo di proposta è confermato dalla crescente richiesta di orti sociali in tanti Comuni in tutta Italia. Molti di questi Comuni, al

fine di favorire lo sviluppo di questo fenomeno hanno creato dei Regolamenti di concessione e di gestione di questi spazi adibiti a coltura. Occorre avere determinati requisiti (ad es. aver compiuto 60 anni di età, essere pensionati, non essere in possesso di alcun appezzamento di terreno nel Comune in cui si presenta la richiesta o in zone limitrofe, etc.) e presentare una domanda al Comune, che provvederà ad inserire il richiedente in una graduatoria di assegnazione. Sono tante le realtà cittadine che hanno favorito la

nascita e lo sviluppo di questo fenomeno, ma sono tante anche quelle che poco hanno fatto da questo punto di vista. Come sempre una parola scritta vuole essere uno spunto di riflessione e di studio al fine di rendere concreta un’idea, un’ esperienza appresa magari in

un'altra realtà. Quale scena potrebbe essere più bella di vedere un bambino che aiuta il nonno ad innaffiare i pomodori in un luogo che fino a poco tempo prima era in completo degrado e ricoperto da sterpaglie?


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In treno per Cuba

Cultura/e

quasi salvo che nelle riserve per i turisti. Tornando alla stazione di Avana, ad una specie di banco informazioni posto al lato esterno verso il piazzale di partenza dei treni, probabilmente per problemi od opportunità di ventilazione naturale dato il caldo soffocante dell’atrio, c’era un enorme scurissimo impiegato (“negro” scuro) che, a richiesta del pubblico, declinava gli orari e le destinazioni dei treni in partenza per l’intera settimana. La cosa non sarebbe stata sorprendente più di tanto se non fosse stato che ad ogni successiva richiesta di ripetizione o di chiarimento o dettaglio tutto cambiava, giorni, orari e destinazioni. Problema di memoria o sfogo di fantasia creativa dell’addetto? Quella volta non lo ho approfondito avendo poi scelto di partire da Avana verso Cienfuegos con un altro mezzo di trasporto, però una conferma dell’originalità del sistema informativo cubano (non certo informatico o informatizzato!) la ho avuta qualche anno più tardi ripetendo l’esperimento dal capo opposto della linea ferroviaria alla stazione di Santiago. La stazione ferroviaria della città “ribelle, ospitale e sempre eroica” è invece una struttura molto moderna, anche se già un poco andante, ma il sistema di quelle che qui chiameremmo le “relazioni con il pubblico” è lo stesso. Dietro il vetro un poco appannato della porta d’ingresso all’atro passeggeri c’è un signore, appena un poco più chiaro del suo collega “avanero” ma molto più piccolo di statura che, socchiudendo appena il necessario la porta sbarrata agli utenti non già muniti di biglietto, fornisce cortesemente le informazioni richieste sugli orari e le destinazioni dei treni in partenza. Ebbene per Avana parte un solo treno al giorno, ma in orari diversi per i giorni pari e per quelli dispari; il punto è ricordarsi quale è l’orario dei giorni pari e quale quello dei giorni dispari. In conclusione (o almeno alla fine questa è stata la mia personale conclusione) si tratta di andare presto la mattina alla stazione ed aspettare pazientemente per scoprire a quale ora parte il primo (solo) treno per Avana in quel giorno e salirci sopra, ovviamente, prima della sua partenza. S.R.

OTTOBRE 2010

L’amore non carnale, ovvero il linguaggio della parola “muta” IOLANDA TARZIA

Poter utilizzare il mezzo di trasporto ferroviario nel mio primo viaggio che mi ha portato a percorrere in ambedue le direzioni l’Isola di Cuba, facendo centro ad Avana, è stata una mia “fissazione” che, alla fine, sono riuscito a soddisfare seppure per la breve tratta da Holguin a Santiago. Ma cominciamo dall’inizio, da quando cioè per soddisfare tale desiderio mi sono recato per la prima volta alla Stazione Centrale del “Ferro Carril” di Avana. La stazione ferroviaria si trova a ridosso della Avana Vecchia, sul fronte del mare interno alla baia, ed è costituita da un notevole complesso di stile ottocentesco molto simile alle nostre più antiche ed un poco sontuose stazioni ferroviarie europee. Un edificio monumentale con ampie scalinate di accesso ad un vastissimo atrio, con lunghe tettoie che si proiettano dalla testa dei binari lungo il loro percorso verso l’esterno della città, costeggiando dapprima il mare e poi all’interno, lungamente fiancheggiando la Carretera Central che da Avana conduce a Santiago all’altro capo orientale dell’isola. Il primo obiettivo, una volta verificata l’esistenza di un sistema ferroviario niente affatto promosso per l’uso dei turisti stranieri e quindi ignorato dalle relative guide, è stato quello di conoscere l’orario dei treni, le possibili destinazioni, le modalità, infine, di prenotazione dei biglietti ed i relativi costi. Un orario dei treni effettivamente esiste ma, contrariamente a quanto si possa immaginare sulla base della nostra esperienza e conoscenza, questo non è rappresentato in un tabellone luminoso e comunque stampato e leggibile al pubblico, l’orario dei treni in partenza dalla stazione centrale di Avana è rappresentato da un enorme signore nero. Nero a Cuba si dice semplicemente e spontaneamente “negro”, così come bianco è “blanco”, mulatto è “mulato” e se ci si riferisce a donne graziose si dice “blanchita” o “negrita”, “mulata” invece resta sempre uguale seppure alcune molto articolate precisazioni sulla gradazione verso il bianco o il nero Diversamente nella ipocrita cultura nord americana i bianchi sono caucasici, i neri afro-americani, i messicani ispanici e gli indiani? Quelli non ci sono più o

FOLIGNO

Nelle mie lunghe giornate estive ho avuto il piacere di rileggere “Le lettere a Felice” di Franz Kafka (Ed. Mondadori – Coll. I Meridiani). Trattasi di un romanzo epistolare che raccoglie le lettere d’amore scritte da Kafka fra il 1912 e il 1917 alla fidanzata Felice. Le numerose lettere racchiudono in sé una storia d’amore durata 5 anni: dal primo incontro, alle tormentose vicende del fidanzamento, sino alla fine della storia. Un amore nato da un solo incontro – che Kafka descrive minuziosamente, attimo per attimo, riuscendo quasi a renderci partecipi di quell’incontro – e alimentato da Kafka attraverso una seduzione epistolare (60 lettere nei soli primi 4 mesi) dapprima timida e discreta e successivamente manifesta e intima. Un amore nato, vissuto e finito quasi esclusivamente attraverso le parole “mute” affidate a numerosi fogli di carta (i due in cinque anni si erano incontrati solo pochissimi giorni). Un amore che unisce l’anima di due persone senza mai coinvolgerne la carne.

Un amore, si potrebbe pensare, assolutamente anacronistico in un’epoca in cui ogni pulsione amorosa attraversa il corpo prima – forse - di arrivare nell’anima. Eppure, uno sguardo

che sempre più spesso si sceglie il linguaggio della parola “muta” per emozionarsi ed emozionare. Quante anime si saranno incontrate sul web senza che i corpi si siano mai conosciuti? Quante storie di

più attento ci rivela anche oggi una realtà in cui alla parola è ancora – o nuovamente – affidato il compito di traghettare le emozioni e i sentimenti da un’anima all’altra. E’ il mondo delle chat, dei social network, degli sms. Senza entrare nel merito delle ragioni psico/sociologiche per cui detti strumenti di comunicazione hanno acquisito così tanto spazio nella vita di tanti, è un fatto

amore saranno disperse nell’etere? La lettera d’amore, quella con cui Kafka esprimeva il suo amore a Felice, ha oggi la foggia di una e-mail o di un sms. “Raccontare” se stessi ed i propri desideri, “esprimere” i propri sentimenti e le emozioni attraverso le parole scritte è certamente più facile. Le parole possono sedurre, possono confondere, possono aprire dei varchi nelle

chiusure emozionali, possono portare nuova acqua nei deserti sentimentali. Ma non sempre le parole – soprattutto se “mute” - comunicano la realtà. E non solo perché spesso attraverso le parole si racconta un “io” che non è, bensì la proiezione di quello che si vorrebbe essere, o si esprimono sentimenti che esistono solo in quanto “parola”. Quante volte le parole comunicate arriverebbero all’udito di chi le ascolta con un significato diverso se solo fossero accompagnate dall’emozione della voce che le esprime o se si potesse guardare negli occhi chi le pronuncia? E’ fuor di dubbio che attraverso la parola “muta” nei secoli sono state elaborate e tramandate le rappresentazioni più poetiche dei sentimenti e delle emozioni regalando loro l’immortalità.Ma può la parola – soprattutto “muta” - comunicare e trasmettere ad un’altra anima i sentimenti e le emozioni al pari e con la stessa intensità di uno sguardo o un semplice contatto fisico? Quante parole sono necessarie per tentare solo di descrivere le sensazioni che si possono provare per un semplice abbraccio?

Gli inediti di Pergolesi al Festival di Segni Barocchi LUCA MARZETTI

Verchiano, Chiesa di S. Maria Assunta. In occasione del III centenario della nascita del compositore Giovanni Battista Pergolesi (Jesi 1710 Pozzuoli 1736), il Festival Segni Barocchi, in collaborazione con “Isole – Eventi e tramiti verso la capitale europea della cultura” della Provincia di Perugia, ha voluto rendere omaggio al celebre compositore jesino, dedicandogli, il giorno 19 settembre, il concerto di chiusura del festival, affidandone l’esecuzione all’ensemble barocco con strumenti originali MUSICA PERDUTA. La presentazione di opere inedite del Pergolesi, riportate alla luce dal Dott. Renato Criscuolo e dal Dott. Luca Marzetti, del gruppo di ricerca di MUSICA PERDUTA, presso il Sacro Convento di Assisi hanno sedotto il pubblico giunto al concerto. Tra esse sono risultate di notevole interesse le cantate “Luce degli occhi miei” e il lamento di Orfeo “Nel chiuso centro” , nelle versioni per baritono, archi e basso continuo. E’ stato inoltre brillantemente eseguito quello che può essere considerato il se-

quel del celebre ‘Stabat Mater’ di Pergolesi, ovvero la cantata “La Maddalena al Sepolcro”, recuperata anch’essa dai due ricercatori, i quali hanno partecipato anche all’esecuzione degli inediti. Tale manoscritto risulta essere una variante ‘sacra’ della già citata “Nel chiuso centro”, per soprano, archi e basso continuo, definita nel frontespizio ‘Cantata spirituale à canto solo del sig. Gion. Battista Pergolese’ e riportante anche la data dell’anno di copiatura 1743. Benché si tratti di una copia postuma, non se ne mette in dubbio l’autenticità dal momento che potrebbe essere stata redatta da un originale autografo, essendo passato, al momento della copiatura, relativamente poco tempo dalla scomparsa del maestro jesino. Risulta inoltre interessante vedere come il parallelo fra Orfeo e Cristo sia un tema ricorrente nell’estetica del XVII e XVIII secolo, già all’epoca di Monteverdi, essendo entrambi i personaggi coloro che vincono le porte degli Inferi; il primo attraverso la musica, la

bellezza e il canto, il secondo attraverso il sacrificio e l’amore. Chicca della serata è risultata essere la versione per mandolino, anchi e basso continuo del celebre “Concerto in Sib maggiore”, composizione originariamente destinata al violino. Questo fortunato ritrovamento, contenuto in un libro di un mandolinista napoletano del ‘700, si deve al M° Mauro Squillante, il quale sta curando inoltre l’edizione critica della partitura. Riguardo al concerto, protagonisti della serata i tre solisti: il soprano cristallino Valentina Varriale, l’impeccabile baritono Mauro Borgioni e il mandolinista virtuoso Mauro

Squillante. Da non sottovalutare l’apporto dell’ensemble MUSICA PERDUTA: i violinisti Monika Toth e Alessandro Ratti, Pasquale Lepore alla viola da braccio, Renato Criscuolo al violoncello barocco, Luca Marzetti al contrabbasso e i tiorbisti Michele Carreca e Simone Vallerotonda, i quali, nella cornice della Chiesa di S. Maria Assunta, sono riusciti a ricreare la magia e l’atmosfera dell’epoca di Pergolesi grazie non solo all’utilizzo di strumenti originali, ma anche alla loro impeccabile perizia tecnica e interpretativa, estremamente rispettosa dei fraseggi e degli slanci ‘sonori’ del maestro jesino.


FOLIGNO OTTOBRE 2010

Cultura/e

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La giusta direzione MARIA SARA MIRTI “Com’è gentile e addirittura geniale da parte Vostra voler venire alla stazione: io ho il senso della direzione assolutamente falsa (no: il senso dell’orientamento assolutamente falso o falsato, è ancora un’altra cosa!) e non trovo mai niente, trovo il contrario di quello che cerco, e la mia grande preoccupazione è sempre stata e sarà sempre di arrivare non all’anima delle persone, ma davanti alla loro porta. Non scherzo, è una cosa molto seria: è idiozia topografica e fatalità.” (da Lettere ad Adriadna Berg, di Marina Cvetaeva) È abbastanza facile arrivare fino alla porta di qualcuno e chiedere di entrare, oppure entrarci per errore, e uscirne senza neanche essersi prima guardati intorno. Il difficile è ritrovare la propria strada dopo essersene allontanati troppo e senza aver avuto la premura di sparpagliare delle briciole lungo il cammino. Certo, nessuno si perde di proposito, né evita di proposito di mancare la propria destinazione, e più in generale, stando a Socrate, nessuno, ma proprio nessuno, fa del male di proposito. Ma allora, si potrebbe dire, cosa ci fanno tutti questi questuanti di affetto lungo il nostro campo visivo, cosa ci fanno tutti questi immigrati, neri, cinesi, zingari, in giro, lontano da casa, senza meta? Cosa chiedono? Non sanno forse di provocare imbarazzo? Cosa cercano? A quale

sconosciuto universo simbolico rimandano i loro gesti? Essi scontano la sola colpa d’incutere paura. Visto che, secondo Socrate, il male non si fa di proposito, certo di proposito nemmeno lo si subisce. Essi non sanno di far paura, di trasmettere un malessere indefinito. Il male, comunque lo si intenda, è indipendente dai singoli, piuttosto si manifesta come una sostanza venefica che, profusa in piccole, potentissime gocce, viene costantemente diluita attraverso il contagio degli elementi e degli esseri viventi che in essi e per essi vivono. Il bene e il male vengono stabiliti quasi esclusivamente dal proprio cedere a se stessi, ai propri limiti e a quel veleno, dal personale modo che ognuno ha di cadere e di rialzarsi, dalla lotta impari degli uomini con il proprio sentimento. Il sentimento, infatti, è un miscuglio insolubile di fisicità e trascendenza in cui qualsiasi veleno può penetrare, un “organo fluido” che si muove come fosse nebbia, lì, tutt’intorno al cuore, fino a salire in gola, fino a raggiungere le tempie. Il sentimento è la porta che ci sbarra l’ingresso all’anima, tale spirito errante infatti, se non trovasse la porta ben chiusa, scivolerebbe via. L’immancabile contrattazione tra noi e il nostro sentire, tra noi e il nostro thymos, direbbe Omero, ci costringe comunque a dominarlo, per non uscire né di senno né dal tracciato sociale, per non dover ospitare nel torace un organo estraneo e problematico quale è il cuore. Tutta

Luca si sveglia ANGELO DI MICHELE Luca si sveglia di colpo, Erica dorme dandogli le spalle come al solito, il letto è appena tiepido dal suo lato, segno che è tornata da poco anche se non l’ha sentita rientrare, allunga la mano verso il comodino per cercare il telefono senza riuscire a trovarlo, impreca sottovoce mentre si alza alla ricerca di un orologio. Sono già due volte che arriva tardi a lavoro questa settimana. Luca è un abile fresatore, l’azienda per cui lavora ha un cantiere in una fabbrica a una quarantina di chilometri da casa. L’azienda ha messo a disposizione del gruppo, un furgone mezzo scassato. Gianni il capo squadra è il custode di questa reliquia sgangherata. Gianni è uno stronzo. Gianni odia Luca, perché è distratto e irriverente, se ritarda di un momento il furgone è già partito, se arriva in anticipo il furgone giunge quando è ormai assiderato. Per questo e altri motivi Luca odia Gianni, il fatto di avere una giustificazione plausibile per odiarlo lo fa stare bene e lo fa sentire migliore del rivale. Luca odia anche Erica che è sua moglie da qualche anno e con cui è stato fidanzato a lungo. Erica ha ventinove anni e fa

la parrucchiera, ha dei begli occhi azzurri e un bel sedere. Erica ha ventinove anni e odia Luca, un tempo aveva amato i suoi ricci castani, la pelle liscia e scura, la dolcezza che aveva lui, amava dire. Erica esce sola con le amiche, Luca solo con i suoi amici. Erica ha una storia con un ragazzo di un paese vicino che gli fa rivivere la sua adolescenza, Luca passa le sere a sballarsi con gli amici, come gli capita di fare da quando è un adolescente. Ora Erica gli chiede cosa stia facendo, Luca non risponde e scruta il display del videoregistratore in cucina. 6:20 Torna in fretta in camera, raccoglie i vestiti, “merda! È tardissimo”. 6,26 lancia un’altra occhiata all’orario e vola per le scale, se ha letto bene è in orario. Raggiunge la strada e pensa che sicuramente deve essere in orario, solitamente non impiega più di un minuto ad uscire. Quindi sono al massimo le sei e ventotto quando si accende la sigaretta. Luca fuma l’intera sigaretta con una paura dentro che sale ad ogni boccata di fumo, Gianni lo odia ed è tutta la settimana che gli rompe i coglioni. Sono due volte che è costretto a prendere la sua auto per andare a lavorare, Gianni non aspetta, due tre minuti al massimo. Gianni dice sempre: “ti ho aspettato pensavo non saresti venuto”.

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Born in the USA Bruce Springsteen - 1984

la nostra vita è incentrata intorno all’educazione (o alla diseducazione), al dominio quanto più totale possibile di noi stessi. Ormai sappiamo istintivamente su che parte di mondo poggiano i piedi e, una volta in cammino, conosciamo sempre la nostra meta (per esempio il luogo di lavoro), sappiamo misurarne la distanza così come sappiamo misurarci in duello con i gesti quotidiani. Tuttavia, lungo tale nostro calcolato cammino, che ci dovrebbe condurre in luoghi e situazioni altrettanto determinati, sempre più spesso ci ritroviamo davanti visi, gesti e parole ai quali, istintivamente, non siamo in grado di dare un verso, strade nuove, nuove biforcazioni che ci fanno girare intorno, che ci fanno sentire perduti, ci fanno temere che l’anima stessa ci abbandoni. Qual è, dunque, il giusto verso delle cose, quello che ci consente di dominare la paura? I bottoni della camicia vanno da destra verso sinistra, il primo fiocco dei lacci delle scarpe, invece, da sinistra verso destra, inoltre ogni capo ha un suo diritto e un suo rovescio, un davanti e un dietro, un angolo perennemente scucito e un lato migliore dell’altro. Poi bisogna trovare la giusta punta di colore, il giusto appaiamento di calzini, fragranze. Anche le parole hanno un lo-

ro verso: vanno usate nel tono più adeguato e nella giusta accezione, e poi vanno scritte nel modo giusto, in un modo leggibile, sempre da sinistra verso destra se è possibile. Inoltre, quando ci si sveglia la mattina è necessario spegnere la sveglia nel momento giusto, cioè quando le porte del sonno e della veglia sono ambedue socchiuse allo stesso modo: lo scopo è riuscire a portarsi addosso, sotto le civili vesti d’ordinanza, almeno qualche piccolo amuleto onirico. Una volta alzati, bisogna aprire e chiudere le manovelle di acqua e gas senza confondere una manovra con l’altra, e stringere la moka senza esagerare, altrimenti si rischierebbe di far esplodere quel piccolo mondo compatto e apparentemente perfetto. Il vero motivo per cui ripetiamo questi gesti tutte le mattine è che così facendo possiamo, almeno per un po’, far finta di non avere paura. (continua nel prossimo numero di ottobre)

Luca pensa che in realtà Gianni non lo aspetti neanche un secondo, che ogni mattina scruti l’orologio sperando di non vederlo arrivare in tempo. Luca spegne la sigaretta in terra, si stringe tra le braccia per scaldarsi, batte i piedi, pensa a che ore saranno. Luca torna correndo all’ap-

scatto di nervi accendendo la luce. Luca raccoglie le chiavi che dormono nascoste sul tappeto, lancia un’occhiata a sua moglie e sorride salutando. Lascia la casa concentrandosi sul momento in cui sarà faccia a faccia con Gianni, cercando di togliersi dalla testa quel segno che Erica ha sul collo.

partamento, affronta le scale con impeto, alla seconda rampa di scale ha già il fiatone. Sulla porta si ferma a riprendere fiato, mentre fruga nelle tasche alla ricerca delle chiavi, pensa che fino a poco tempo prima sapeva correre veloce senza stancarsi, pensa che ha trentatre anni e che inizia a sentirli. Entra di corsa e guarda di nuovo l’ora, 6,40. Fruga al buio tra i vestiti, non ricorda dove ha lasciato le chiavi della sua panda. Erica si solleva su con uno

Il motore stenta sempre a mettersi in moto con il freddo, la panda tossisce farraginosa poi sussulta e con due grosse scoregge di fumo bianco si accende. Luca aspetta meno del solito prima di “togliere l’aria”, poi alza il riscaldamento dell’auto e parte. “Mai speso più di seicento euro per una macchina” aveva detto solo due giorni prima in mensa a un collega che continuava a parlargli della sua nuova Audi. Solitamente con seicento euro era riuscito sempre a trovare un’auto

Nato in una cittadina morta Il primo calcio l'ho preso quando caddi per terra Finisci come un cane troppo picchiato Fino a che passi metà della tua vita cercando di nasconderti Nato negli USA - Sono nato negli USA Sono nato negli USA - Nato negli USA Ho avuto dei guai nella mia cittadina, cosi mi hanno messo un fucile nelle mie mani e mi hanno mandato in un paese straniero per andare ad uccidere l'uomo giallo Nato negli USA - Sono nato negli USA Sono nato negli USA - Sono nato negli USA Nato negli USA Tornato a casa alla raffineria L’uomo che assume mi dice "ragazzo se fosse per me" Sono andato a trovare l'impiegato dell'ufficio veterani Lui mi ha detto "ragazzo non capisci adesso" Ho avuto un fratello a Khe Sahn combattendo i Viet Cong Loro sono ancora lì e lui non c'è più Aveva una donna che lui amava a Saigon Ho una sua foto fra le sue braccia adesso Giù nelle ombre del penitenziario Fuori dai fuochi dei gas della raffineria Sono dieci anni bruciando sulla strada Senza posti dove correre e senza posti dove andare Nato negli USA Sono nato degli USA Nato negli USA Sono un uomo irrecuperabile negli USA Nato negli USA Nato negli USA Nato negli USA Sono un mito negli USA

con accendisigari e orologio, non questa volta, la vecchia Panda rossa dentro è fredda e buia e scricchiola ad ogni sollecitazione. Luca sente la macchina scaldarsi e inizia a premere sull’acceleratore. Vuole riprendere il furgone che non può avere un grande vantaggio, Gianni solitamente ha il passo di una lumaca. Luca pensa che quando lo raggiungerà gli sbarrerà la strada come nei film, tirerà fuori Gianni di peso e gliene canterà quattro, questa volta è sicuro, non può sbagliarsi, ha tutto il diritto di piantare un casino. Luca arriva in centro città, non c’è altra soluzione che fare il viale dei semafori, Luca spera di trovarli tutti verdi, come capita di rado e puntualmente quando non ne ha bisogno. La Panda ha come un singhiozzo proprio all’ingresso nel viale, Luca sorride e pensa che per una volta è fortunato, stranamente non c’è nessuno in giro, i semafori sono tutti in tilt, un fiume di occhi lampeggianti gialli accompagnano la sua furia, è il segno che stava aspettando, il motore ruggisce anche lui di un vigore mai visto prima.

Uscito dalla città imbocca la statale a velocità massima è ancora buio e la sensazione di freddo cresce con la neve che ammanta i campi immediatamente fuori dal centro abitato. Le mattine che riesce a non farsi lasciare a piedi, solitamente si addormenta quasi subito, talvolta però, durante il tragitto gli capita di svegliarsi e puntualmente avviene sempre nello stesso punto. Lui si spiega la cosa con il fatto che, quando la statale inizia ad arrampicarsi verso il passo attraverso l’Appennino, è possibile scorgere la casa di Giancarlo. Giancarlo era suo padre ed era un agricoltore. Giancarlo conosceva la vita e il mondo, da giovane aveva viaggiato. Giancarlo conosceva le grandi fabbriche del nord dove aveva lavorato, la sera amava frequentare le bettole per immigrati, dove giocava a carte e beveva con i paesani. Giancarlo era tornato al paese e aveva comprato un terreno con una vigna, lavorava la terra e produceva un buon vino. Giancarlo potava la vite, Luca gli si fece sotto con un groppo in gola e gli disse di voler abbandonare gli studi per andare a lavorare in fabbrica, con sua grande sorpresa, Giancarlo invece di adirarsi acconsentì; poi con quel modo scaltro che aveva di sorridere gli disse “dove vuoi andare a lavorare tu? In fabbrica?” terminò la frase con una risata sinistra. (continua nel prossimo numero di ottobre)


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Lavoro

FOLIGNO OTTOBRE 2010

Si apre la strada Iraniana Orario di lavoro Vertenza del personale sanitario per la Antonio Merloni Dopo l’interessamento della multinazionale China Machi altri due gruppi internazionali mostrano interesse per gli asset rimasti invenduti del gruppo fabrianese ALFREDO TRADOSSI Il silenzio di questi mesi da parte delle OO.SS. ed R.S.U. (che organizzano incontri con i soli iscritti e da tre mesi non convocano più un’assemblea di fabbrica), delle istituzioni regionali, nonché del Ministero dello Sviluppo Economico e Produttivo che non ha ancora un nuovo ministro (dopo le dimissioni di Scajola), ha portato il Comitato dei Lavoratori dell’Antonio Merloni di Colle di Nocera Umbra ha promuovere un’assemblea pubblica per conoscere la reale situazione del gruppo Umbro-Marchigiano. Durante l’incontro, che si è svolto presso il circolo Acli di Colle di Nocera Umbra il 23 Settembre scorso, è stato confermato dal responsabile della Regione Umbria per lo sviluppo economico e per le attività produttive, dott. Luigi Rossetti, l’interessamento da parte di due multinazionali, una iraniana e una cinese, oltre il già noto interesse della China Machi Holdings Group. Il gruppo iraniano Mcc ha già presentato un piano industriale per l’acquisizione degli stabilimenti di Nocera Umbra e Fabriano, oltre a quelli della Tecnogas di Reggio Emilia; i cinesi della Zonfai hanno visitato o lo faranno a giorni gli stabilimenti dell’Antonio Merloni. Pur lavorando per questo progetto lo stesso Rosseti non esclude il passaggio alla seconda fase dell’accordo di programma siglato il 19 Marzo 2010 che prevede la “cessione di uno stabilimento per

23 settembre 2010 assemblea convocata dal Comitato dei Lavoratori A. Merloni discontinuità”, con il rischio di una frammentazione senza garanzie occupazionali. Angelo Costantini, assessore del comune di Fabriano per le politiche del lavoro ed attività produttive, ha affermato durante il suo intervento che da parte loro non c’è l’interesse a frammentare il gruppo industriale (con il rischio di scissione dello stabilimento di Colle di Nocera Umbra), in quanto le proposte di acquisizione da parte delle multinazionali prevedono tutte un forte investimento nel “bianco” ma con un sguardo rivolto anche verso il “nero”; un appunto invece sulla riapertura dei bandi per raccogliere manifestazioni di interesse la cui bozza, già presentata dai commissar,i deve avere il via libera dal Ministero. Gli interventi da parte degli altri invitati, tra i quali: il sindaco di Gubbio Maria Cristina Ercoli, il primo cittadino di Spello Sandro Vitali, gli assessori

Francesca Campanella di Nocera Umbra e Federica Lambertucci di Gualdo Tadino, oltre al Mons. Francesco Santini, possono essere sintetizzati in una forte preoccupazione per questa grave situazione che si protrae oramai da due anni e che investe l’intero territorio, facendo un plauso al Comitato dei Lavoratori che si fa promotore di queste iniziative, auspicando però un’unità d’intesa con tutte le rappresentanze sindacali. L’incontro si è concluso con l’intervento del portavoce del Comitato, Gianluca Tofi, che, nel ribadire la situazione di estrema incertezza in cui versa il gruppo Antonio Merloni, ha denunciato il fatto che le rappresentanze sindacali rifiutano un confronto democratico (organizzando assemblee di fabbrica), ma promuovendo incontri separati con i soli iscritti aggravando ancor di più la situazione e renden-

do difficile il dialogo. “Noi - continua il portavoce speriamo che queste nuove proposte siano valutate opportunamente in base ai progetti industriali presentati ed alle garanzie occupazionali, senza porre alcun veto; ribadismo inoltre la necessità di riaprire al più presto i bandi per la manifestazione d’interesse scaduti a Maggio, facendo un’appello alla regione Umbria ed alle OO.SS. perché sollecitino il Ministero competente, non essendo affatto d’accordo nel passare alla fase “B” che prevede la cessione di uno stabilimento per discontinuità, affidando ad Invitalia il compito di indire un’asta pubblica per la vendita dell’immobile anche frammentato. Il Comitato - ha concluso Tofi - intende inoltre promuovere una manifestazione regionale, invitando tutte le istituzioni locali presenti e non, oltre alle OO.SS ad aderire”.

Le implicazioni, politiche e sindacali, relative alle novità (non tutte positive), introdotte dal D. Lgs 66/03, sono state politicamente e sindacalmente ignorate e sepolte dal crollo dell'ipotesi di introduzione nella legislazione italiana delle 35 ore lavorative (...) Il "fronte sindacale", così attento a non contraddire i propri referenti politici, persegue la politica della concertazione, sull'altare della quale accetta di dilatare l'orario di lavoro, a partire dai primi anni 90, inserendo questo concetto nei contratti nazionali di categoria sia pubblici che privati. La contropartita sono incentivi economici così modesti che, dopo 15 anni, possiamo valutarne, senza timore di essere smentiti, l'impatto fortemente negativo sul potere d'acquisto delle retribuzioni rovinate agli ultimi posti in Europa (...) Le potenzialità del D. Lgs 66/03 sono state colte da alcune professioni sanitarie il cui orario di lavoro prevede turni e pronta disponibilità con la possibilità molto concreta di prestare servizio anche per più di 24 ore consecutive per ciascun operatore, pressato dalla necessità di dover assicurare la continuità assistenziale o in caso contrario risponderne penalmente. Questo sottile ricatto permette a molte Regioni (...) di assicurare ai cittadini l'operatività delle strutture sanitarie con dotazioni organiche largamente insufficienti (...) La finanziaria 2008, con l'articolo 3 comma 85, precisa che la norma, che prevede 11 ore di riposo ogni 24 ore di lavoro, prevista dal D. Lgs 66/03, non si applica alle aziende sanitarie. Una decisione così netta che nasconde l'intento di sterilizzare tutte le azioni legali promosse per l'applicazione di parti importanti del D. Lgs 66/03, suscita le proteste di tanti operatori sanitari ed an-

che della Federazione Nazionale dei collegi IPASVI che rappresenta oltre 300.000 infermieri in Italia. Successivamente, con il CCNL della sanità parte normativa 2006/09 all'articolo 5 vengono operate delle modifiche ai precedenti contratti relativamente all'orario di lavoro; finalmente si menziona il D. Lgs 66/03, ma si introduce una possibilità di deroga dell'articolo 7 (riposo consecutivo giornaliero), previo accordo aziendale tra Rsu e Direzione (...) Il recepimento della normativa nel CCNL nazionale di categoria è dovuto soprattutto alla spinta dei lavoratori di alcune nazioni (20.000 hanno sfilato a Strasburgo il 16/12/08) in difesa del tetto massimo di ore settimanali (48) che alcuni governi Europei volevano modificare portando il limite a 65 ore. In Italia, grazie all'azione rivendicativa di alcune sigle del sindacalismo extraconfederale, tra cui la nostra, a tutela di infermieri, medici e tecnici di radiologia, si sono presentate istanze presso i competenti uffici provinciali del lavoro per il recupero dei riposi compensativi pregressi e per l'applicazione di importanti aspetti del D. Lgs 66/03. Inoltre sono state inoltrati agli uffici ispettivi degli uffici provinciali del lavoro esposti per la mancata applicazione della normativa in vigore, nazionale e comunitaria, in merito all'orario di lavoro e relativi riposi (...) L'azione rivendicativa di figure centrali del sistema sanitario, supportate da organizzazioni sindacali extraconfederali, è un primo importante segnale di consapevolezza dei lavoratori pubblici che escono dalla schema rivendicativo incentrato su minime richieste economiche, ovvero la prassi sindacale che la concertazione esige. SLAI COBAS Perugia

Unione Sindcale di Base - USB Al termine di due anni di lavori preparatori, dalla fusione delle Rappresentanze di Base (RdB), Sindacato dei Lavoratori (SdL) e Confederazioe Unitaria di Base (CUB) nasce il nuovo sindacato di base Il 23 maggio 2010, al Teatro Capranica a Roma, oltre 600 delegati, di tutti i settori del mondo del lavoro e provenienti da ogni parte d’Italia, hanno scelto di dare vita alla USB, Unione Sindacale di Base. Nucleo centrale della nuova organizzazione RdB, SdL e consistenti realtà della CUB, che insieme ad altre organizzazioni sindacali di base sono giunte al termine del processo costituente iniziato due anni fa; un processo che ha coinvolto nella discussione migliaia di delegate e delegati, che sono riusciti a superare vecchi steccati ed hanno avuto la capacità e l’entusiasmo di progettare il futuro del sindacalismo indipendente dal quadro politico, istitu-

zionale e padronale. Hanno partecipato con interesse alla nascita di USB anche Snater e Or.S.A., che hanno portato i loro contributi al dibattito congressuale confermando la volontà di prendere parte al processo di unificazione, anche se con tempi diversi. Numerosi gli interventi nelle tre giornate congressuali, che hanno evidenziato le caratteristiche genetiche della nuova confederazione. USB non sarà semplicemente un’organizzazione che va ad aggiungersi a quelle esistenti, ma ha l’ambizione e la possibilità di costituire il sindacato maggioritario che oggi serve ai lavoratori ed ai settori popolari. USB sarà intercategoriale, con l’obiettivo di contrapporsi alla frammentazione dei lavo-

ratori connettendo le lotte nei luoghi di lavoro, sul territorio e nel sociale. Attraverso una capillare diffusione sul territorio nazionale (90 sedi in tutte le regioni), USB intende infatti rappresentare ed organizzare i soggetti del lavoro e del non lavoro, essere accogliente alle nuove istanze sociali, essere "meticcia", contaminandosi con le esperienze provenienti da altre realtà di lotta: per la casa, per l’ambiente, per i beni comuni, per i diritti uguali dei migranti. USB rifiuta inoltre lo "sviluppismo", che distrugge vite umane e territori, genera guerre, razzismo e miseria. Vuole infine porsi come un sindacato capace di attivare un cambiamento generale nel nostro paese. In continuità con la storia delle or-

ganizzazioni costituenti la nuova confederazione, nella USB saranno centrali la democrazia e la partecipazione attiva dei lavoratori attraverso una forma organizzativa orizzontale in tutte le sue articolazioni. Ancora, USB sarà il sindacato del conflitto, finalizzato all’acquisizione di nuovi diritti e nuove tutele, per una contrattazione che abbia come presupposto il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita per milioni di lavoratori non finalizzata unicamente alla riduzione del danno. L’assemblea ha eletto i membri dei nuovi organismi confederali, i 154 componenti del Consiglio Nazionale, 55 del Coordinamento Nazionale e 13 dell’Esecutivo. Grande importanza è stata riservata dal dibattito ai temi

internazionali, con particolare attenzione alla situazione dell’America Latina e della Grecia. All’assemblea sono giunti i messaggi di auguri provenienti da molte organizzazioni sindacali interna-

zionali, fra cui quello della Confederazione sindacale mondiale WFTU (World Federation of Trade Unions), dal PAME, il sindacato combattivo greco che sta guidando le lotte in quel paese, e dal LAB,


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Lavoro

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Verso la manifestazione nazionale del 16 ottobre. SI ai diritti, No ai ricatti

Il lavoro è un bene comune Diritti, Democrazia, Legalità, Lavoro, Contratto

Sono queste 5 parole la base della manifestazione nazionale indetta dalla Fiom e aperta a coloro che sentono la necessità e l’urgenza di rispondere all’attacco e alla prepotenza di chi sta utilizzando la crisi per annullare le conquiste sociali, a partire da quelle ottenute con le lotte del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, e riportare la società in un passato in cui vale solo la legge del più forte. Una regressione materiale, civile, culturale, in cui le disparità e gli egoismi crescono senza limiti e la finanza decide sulla materialità delle condizioni di vita. Sarà una manifestazione di parte, dalla parte di chi ha pagato questa globalizzazione dei mercati e delle merci secondo un modello di consumo inarrestabile delle persone e dell’ambiente. Sarà la manifestazione di chi rifiuta di considerare lo sfruttamento e l’impo-

verimento come conseguenze inevitabili della concorrenza fra imprese e del diktat del pareggio di bilancio per gli Stati. Diritti Quella del 16 ottobre è una manifestazione per i diritti dentro e fuori i luoghi di lavoro. Non è accettabile lo scambio lavoro diritti che la Fiat di Marchionne vuole imporre e che questo Governo e la Confindustria hanno considerato come modello generale da estendere a tutto il mondo del lavoro. Rifiutiamo la logica per cui si è tutti precari, per tutta la vita, perché il lavoro è solo un costo e non invece il valore che si dà all’operare collettivo e individuale per contribuire al miglioramento sociale. Noi siamo perché si rafforzino i legami di solidarietà, rivendicando pari diritti e dignità per tutte e tutti, al di là dell’azienda o servizio in cui si lavora, del tipo di rapporto di lavoro, della na-

zionalità. Democrazia La democrazia non è una perdita di tempo per chi ha il compito di decidere e produrre. Senza di essa c’è l’imposizione autoritaria che porta alla regressione e all’imbarbarimento dei rapporti sociali; così Federmeccanica pretende di cancellare il contratto nazionale di lavoro conquistato con decenni di lotta, negando ai lavoratori la possibilità di pronunciarsi. Noi rivendichiamo il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di decidere sulle piattaforme e sugli accordi che li riguardano attraverso il referendum e di partecipare con pari dignità nella definizione delle proprie condizioni, facendo pesare il proprio punto di vista. Perciò ci opponiamo all’attacco al diritto di sciopero garantito dalla Costituzione e avanziamo una proposta di legge su rappresen-

tanza e rappresentatività delle organizzazioni sindacali nei luoghi di lavoro. Legalità Vogliamo una legalità che sia certezza di parità di diritti, che liberi lo Stato, l’economia, i servizi pubblici, i beni comuni dal peso insopportabile della connivenza fra interessi mafiosi e criminali con affari e finanza e ci opponiamo alla logica delle leggi fatte per garantire privilegi ai potenti e per opprimere i più ricattabili, a partire dai migranti. Siamo per una legalità a sostegno della democrazia e dei diritti cominciando dal diritto al lavoro in uno sviluppo sostenibile nel Mezzogiorno d’Italia e nel resto del paese. Lavoro Il riconoscimento del valore sociale ed economico del proprio lavoro è alla base del rispetto della dignità della persona; il diritto al lavoro è l’e-

lemento che unifica e ribalta il paradigma della concorrenza fra poveri per rivendicare giustizia sociale. Non si possono considerare le donne e gli uomini che lavorano come una merce, da usare finché serve e buttare quando è logorata. La precarietà è diventata il tratto distintivo dello sfruttamento di questo secolo, sia per chi ha un’occupazione stabile ma sempre a rischio secondo le convenienze di mercato, sia per chi ha rapporti di lavoro a termine come condizione normale, sia per chi il lavoro non lo trova. L’effetto di tanta precarietà nel lavoro è una insicurezza sempre più estesa e l’attacco ai diritti e alla democrazia. Contratto La logica delle deroghe, ultima fase dell’attacco al contratto nazionale di lavoro, porta alle estreme conseguenze di un suo vero e proprio superamen-

to. Senza il contratto collettivo i rapporti di lavoro diventano rapporti di tipo commerciale, il proprio lavoro si vende come un qualsiasi oggetto materiale in un rapporto fra il singolo lavoratore e chi lo assume. È la fine del diritto del lavoro come si è sviluppato in quasi due secoli di storia. L’obiettivo di questo Governo, attraverso gli interventi legislativi sostenuti dalla Confindustria, è l’attacco allo Statuto dei lavoratori. La contrattazione prevede il confronto fra parti a pari dignità, conflitto e mediazione sociale; il contratto collettivo riconosce pari diritti a parità di lavoro, respinge i ricatti e costringe le imprese a misurarsi su convenienze fondate sulla qualità e non sul peggioramento delle condizioni di vita e lavoro. Per questo la difesa del contratto collettivo è la priorità per salvaguardare i diritti, la democrazia, la legalità, il lavoro.

E’ nata l’area programmatica della CGIL, primi firmatari Gianni Rinaldini e Giorgio Cremaschi Pubblichiamo un estratto del documento programmatico approvato dalla Assemblea Costitutiva del 6 luglio 2010 La CGIL deve affrontare una fase di straordinaria gravità sul piano economico, produttivo, politico e sociale. E' il modello economico neoliberista che, accentuando le disuguaglianze e svalorizzando il lavoro, porta in pieno la responsabilità dell'esplodere devastante della crisi finanziaria ed è a questo modello che occorre contrapporre una strutturata alternativa. I rimedi fin qui adottati dai Governi di tutto il Mondo non hanno né aggredito in profondità le cause, né tanto meno impostato una radicale trasformazione di equilibri e assetti sociali; i reiterati fallimenti dei vertici internazionali continuano a registrare difformità profonde su come equilibrare politiche di bilancio e sviluppo, su quali nuove regole dettare ai mercati. Servirebbe, invece, la definizione di un nuovo ordine mondiale fondato sulla riforma delle grandi istituzioni finanziarie, sulla definizione di regole dei mercati globali, per realizzare uno sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale. Riduzione delle disuguaglianze tra le diverse aree geografiche e all'interno delle stesse, emancipazione dalle condizioni di estrema povertà, estensione dei diritti sociali e del lavoro devono essere obiettivi da perseguire con determinazione. L'Europa dimostra una pesantissima arretratezza sul piano politico,

economico e sociale; l'eurozona non ha autorevolezza e sovranità politica da spendere coi mercati, non riesce a trasformare il rigore di bilancio in politiche per la crescita, è solo disposta a sacrificare il proprio modello sociale (...) Il caso di Pomigliano d'Arco è assolutamente emblematico. La grande impresa decide definitivamente di competere sulla riduzione dei costi e dei diritti, il Governo cavalca questa sciagurata strategia per incassarne il risultato sul piano dell'impianto legislativo e degli assetti contrattuali, l'opposizione commette il grave errore politico di circoscrivere e sottovalutare la portata politica dell'operazione. In questo scontato scenario ha fatto irruzione il voto dei lavoratori in carne e ossa: non si regge un'alternativa tra diritto al lavoro e diritti sul lavoro, si può lavorare e produrre senza derogare leggi e contratto nazionale, non è inseguendo la Polonia che insegue la Cina che si costruisce il futuro. La nettezza della posizione della FIOM è stata premiata da questa espressione di voto. La CGIL ha confermato la sua tendenza ai continui aggiustamenti tattici, ondeggiando in dichiarazioni ambigue e possibiliste, quando non esplicitamente favorevoli, prima, durante e persino dopo il referendum (...) Si prepara un autunno particolarmente duro, nel quale arriveranno a definizione le scelte del Governo e della Confindustria, col sostanziale assenso di

CISL e UIL, tese a ulteriormente svalorizzare il lavoro, a ridurre diritti e tutele, a vanificare la contrattazione. A questi obiettivi di fondo corrispondono, in una logica sequenza, l'accordo separato sul modello contrattuale, la riforma del processo del lavoro, il collegato lavoro, le ipotesi sullo Statuto dei Lavori che di fatto di segnano con organica strategia un nuovo modello neocorporativo che modifica profondamente ruolo e funzioni del sindacato e destruttura i diritti individuali e collettivi dei lavoratori. Restringere gli spazi di democrazia nel lavoro si inserisce in un attacco senza precedenti nella storia repubblicana alla democrazia rappresentativa alla Costituzione, alle Istituzioni e all'equilibrio dei poteri, alla libertà di stampa (...) Alle grandi priorità di questa fase, riduzione delle disuguaglianze, incremento dei redditi da lavoro dipendente e delle pensioni attraverso politiche fiscali e contrattuali, riunificazione del mercato del lavoro, difesa dell'occupazione, democrazia e rappresentatività sindacale, si risponde con le seguenti proposte. - Occorre riconquistare un nuovo sistema di regole contrattuali, stante l'inemendabilità dell'accordo separato del 22 gennaio, attraverso un'incisiva unificazione dei contratti, la riconferma del contratto nazionale come strumento universale di difesa ed espansione dei diritti del lavoro e di raffor-

zamento delle retribuzioni, l'estensione e la qualificazione della contrattazione di azienda, di filiera, di sito, una nuova relazione tra contrattazione e legislazione, il voto democratico dei lavoratori su accordi e piattaforme. - Occorre individuare la priorità della lotta alla precarietà. Vanno semplificati e riunificati i canali di accesso al lavoro ridando centralità al contratto di lavoro a tempo indeterminato, senza distinzione di tipologia e dimensione aziendale nell'esercizio di tutti i diritti previsti dallo Statuto dei lavoratori, a partire dall'art. 18. La nuova centralità del lavoro a tempo indeterminato, è garanzia di diritti e tutele e vero indicatore di stabilizzazione dell'economia e dello sviluppo del Paese (...) - In questo passaggio storico, ogni ipotesi di rilancio del ruolo e del potere contrattuale della CGIL e del sindacato confederale tutto, di una nuova definizione rei rapporti con CISL e UIL non può che avere come precondizione la definizione di modalità certe e pienamente democratiche nella misurazione della rappresentatività e nella validazione di piattaforme e accordi tramite il voto referendario dei lavoratori. ... - Occorre superare decisamente il perdurare di una negativa specularità tra un sindacato debole all'esterno e autoritario all'interno. E' assolutamente necessario rivitalizzare con discussioni, confronti la democrazia interna agli organismi, che risulta invece troppo spes-

so ingessata da conformismi, opportunismi, schieramenti pregiudiziali, etichettature (...) “La CGIL che vogliamo” è uno spazio libero, cosi abbiamo detto nella nostra mozione congressuale. Se questa opzione caratterizza la nostra idea di CGIL a maggior ragione deve valere per la nostra organizzazione interna (...) Non pensiamo a un'organizzazione verticale che a cascata e automaticamente riproduca se stessa in tutte le articolazioni della CGIL. Non pensiamo che a Roma sia allocata la centralizzazione della decisione, alla quale uniformare i comportamenti diffusi. Non pensiamo a iscrizioni d'ufficio né meno che mai di gruppi, l'adesione non può che essere individuale e volontaria, motivata da interesse per i nostri contenuti e le nostre battaglie. Non pensiamo a una coincidenza automatica tra l'appartenenza alla mozione dei singoli delegati e dirigenti e la struttura sindacale nella quale la mozione ha prevalso. E' nostro primo interesse, al contrario, che tale struttura continui a mantenere in quanto tale la sua autonomia. Non pensiamo esista contraddizione tra il voto finale del Congresso e la gestione unitaria in quelle strutture che manifestino sensibilità politica e interesse organizzativo per l'esercizio del pluralismo. In ragione di queste convinzioni pensiamo che: 1.La nostra organizzazione interna dovrà essere assolutamente democratica, nella

profonda convinzione che costituire uno spazio di estensione della partecipazione e della democrazia sia un vantaggio per la vita interna e le scelte di tutta la CGIL. 2. Tale democrazia si sostanzia nell'attribuire la titolarità di orientamento e scelte ai delegati che si riconoscono nell'Area. 3. L'Area agisce con la più ampia autonomia ad ogni livello confederale e categoriale ove essa si organizzi, anche per attivare i diritti statutariamente previsti (...) 4. L'adesione all'Area avviene con la sottoscrizione individuale del documento costitutivo. ... 5. Le decisioni vengono prese con il principio del largo consenso ed in ogni caso senza alcuna forma di disciplina centralistica (...) 6. Tutte le nostre attività sono aperte alla partecipazione e ai contributi di tutti i militanti e i dirigenti interessati: vogliamo aprire davvero il confronto sul piano del merito, della coerenza, dell'efficacia delle soluzioni, nella convinzione che un clima meno burocratizzato e sclerotizzato sia un indubbio vantaggio per tutti. 7. Il documento programmatico che aggiorna la mozione congressuale sarà definitivamente varato, dopo un'ampia consultazione di delegati e iscritti a tutti i livelli dell'organizzazione e sulla base delle conclusioni dei gruppi di lavoro, nell'assemblea programmatica da tenersi nel prossimo autunno e sarà sottoposto a revisioni e aggiornamenti periodici.


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Enti locali e servizi

Legge “taglia assessori”

FOLIGNO OTTOBRE 2010

Il nuovo Codice della Strada

A partire dalle elezioni del 2011 ci saranno 40.00 Multe “a rate”, ma meno punti e revisione obbligatoria poltrone in meno per assessori e amministratori SILVIA PROSAICI Martedì 23 marzo 2010 il Senato ha definitivamente convertito in legge il decreto legge n. 2 dello scorso gennaio, in materia di enti locali e regioni. Le norme relative alla composizione degli organi eletti dai cittadini entreranno in vigore nel 2011, Tagli sono previsti alla composizione dei vertici di Comuni e Province, soppressione delle Comunità Montane e delle Circoscrizioni, razionalizzazione delle spese. Con il decreto legge di gennaio il Governo ha semplicemente differito al 2011 la riforma (relativamente a sindaci, presidenti delle province e relativi consigli), fatta passare all’interno della Legge Finanziaria per il 2010. Tranne che per alcuni passaggi. In particolare, già a partire dal prossimo giugno il numero dei componenti delle giunte comunali e provinciali non dovrà superare il limite di un quarto dei componenti dei rispettivi consigli, i quali però manterranno lo stesso numero di eletti. In base all'ultima interpretazione del testo del 3 giugno 2010, sindaco e presidente della Provincia rientrano nel conteggio Questo significa che l'applicazione delle disposizioni relative alla riduzione di consiglieri comunali e provinciali, alla soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale, alla delega ai consiglieri in alternativa alla nomina degli assessori e alla soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali avverrà per tutti gli Enti locali in occasione della tornata elettorale del 2011. Vengono invece soppressi

fin da ora, o alla scadenza naturale del mandato, il difensore civico comunale, le cui competenze passano al difensore civico provinciale (che però è facoltativo) e il direttore generale nei comuni con popolazione inferiore ai 100mila abitanti A pieno regime salteranno complessivamente 40mila poltrone, con una riduzione degli incarichi elettivi pari al 20 per cento. Rimarrà per alcuni anni un doppio binario: tutte le amministrazioni che votano o hanno votato prima del 2011 manterranno le vecchie composizioni. Sono inoltre previste l’esclusione dal patto di stabilità per le spese degli Enti locali per le opere collegate ai grandi eventi, escluse anche le risorse che ven-

gono dall'Ue e la soppressione delle ATO, mentre il taglio che dovrebbe toccare ai consorzi di bonifica è demandato al Codice delle Autonomie. Per quanto riguarda, invece, i fondi per i piccoli Comuni, previsti fino a 45 milioni per interventi di natura sociale destinati ai comuni fino a 5mila abitanti nei quali il rapporto tra la popolazione over 65 e il totale dei residenti è più del 25%; fino a 81 mln per quelli con bambini sotto ai 5 anni pari al 4,5%. E ancora 42 milioni per investimenti per i comuni sotto i 3.000 abitanti. Una norma di solidarietà Regioni-Comuni prevede una maggiore agibilità per le spese dei Comuni nell'ambito del Patto se le Regioni compensano.

Seconda parte. La prima è stata pubblicata nel numero di agosto Permesso di guida Chi subisce una sospensione della patente, ma solo nel caso che non abbia provocato un incidente, può presentare istanza al prefetto per ottenere un permesso di guida in determinate fasce orarie, e comunque di non oltre 3 ore al giorno per ragioni di lavoro, qualora risulti impossibile o estremamente gravoso raggiungere il posto di lavoro con mezzi pubblici o non propri. Qualora questa sia stata accolta, il periodo di sospensione è aumentato di un numero di giorni pari al doppio delle ore per le quali è stata autorizzata la guida, arrotondato per eccesso. Tale permesso può essere concesso una sola volta. Multe a rate Chi deve pagare una multa per una o più violazioni accertate con uno stesso verbale di importo superiore a 200 euro e versa in condizioni economiche disagiate può richiedere il pagamento in rate mensili. Ha diritto chi è titolare di un reddito imponibile non superiore a 10.628,16 euro. Se convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi di ogni componente e i limiti di reddito sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi. Si può ottenere un massimo di 12 rate se l’importo dovuto non supera 2.000 euro, fino a 24 rate se l’importo dovuto non supera euro 5.000 e un massimo di 60 rate se l’importo dovuto supera 5.000 euro. Limiti di velocità e punti I tagli ai punti della patente per eccesso di velocità vengono adesso modulati in maniera graduale, ma le

sanzioni pecuniarie e le sospensioni si fanno più dure: 3 punti se si superano i limiti massimi di oltre 10 km/h con sanzioni confermate da 155 a 624 euro; 6 punti con multa da 500 a 2.000 euro se si superano di oltre 40 km/h; 10 punti, multa da 779 a 3.119 euro patente sospesa da 6 a 12 mesi se si superano i limiti di oltre 60 km/h. Sulle autostrade a tre corsie più corsia di emergenza per ogni senso di marcia, dotate di Tutor, gli enti proprietari o concessionari possono elevare il limite massimo di velocità fino a 150 km/h. Revisione della patente Alla revisione della patente di guida sarà sottoposto anche chi dopo la notifica della prima violazione che comporti una perdita di almeno 5 punti, commetta altre due violazioni non contestuali, nell’arco di 12 mesi dalla prima violazione, che comportino ciascuna la decurtazione di almeno 5 punti. Sono previsti i corsi di guida sicura avanzata che potranno essere utili al recupero di punti decurtati, fino ad un massimo di 5. È introdotto l’obbligo di un esame alla fine dei corsi per il conseguimento di 6 punti patente. Rinnovo patente dopo gli 80 anni

Chi ha superato gli 80 anni di età può continuare a guidare solo se consegue uno specifico attestato di idoneità alla guida rilasciato dalla commissione medica locale a seguito di visita medica specialistica biennale, con oneri a carico del richiedente. Soccorso animali Se si investe un animale, “d’affezione, da reddito o protetti” recita il nuovo articolo 189, si ha l’obbligo di fermarsi e di assicurare un tempestivo intervento di soccorso agli animali che abbiano subìto il danno. Chi si sottrae, se è responsabili dell'incidente, è soggetto a una sanzione amministrativa da euro 389 a euro 1.559. Chi ne è solamente coinvolto, ma non interviene, dovrà pagare una somma da 78 a 311 euro. Le autoambulanze per uso umano sono equiparate a quelle adibite al soccorso di animali o ai servizi di vigilanza zoofila. Decoro urbano Chiunque sporca le strade pubbliche gettando rifiuti od oggetti dai veicoli in movimento o in sosta è punito con la sanzione amministrativa da 100 a 400 euro. Si tratta di un ammorbidimento della norma precedente che prevedeva multe da 500 a 1.000 euro.

Accertamento della guida sotto effetto di droga: il drug-test da solo non basta Si inaspriscono sempre di più le sanzioni per chi guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, ma i controlli eseguiti non sempre sono sufficienti a determinare se il conducente è, appunto, “sotto l’effetto”. Il tema, purtroppo, è molto sentito e, frequentemente, se ne discute. Il punto è verificare la legittimità delle modalità attraverso le quali si debba accertare quando una persona sia in stato di alterazione psico-fisica per aver assunto stupefacenti. Gli agenti di polizia, quando hanno il “ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto l’effetto conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope”, procedono ad accompagnare il conducente del veicolo “presso strutture sanitarie fisse o mobili ... ovve-

ro presso le strutture sanitarie pubbliche o comunque a tali fini equiparate”, per procedere a due attività: il prelievo di campioni liquidi biologici e la visita medica. Il prelievo di campioni liquidi biologici è finalizzato all’effettuazione degli esami necessari ad accertare la presenza di sostanze stupefacenti nell’organismo della persona fermata, individuandone tipologia e, in teoria, quantità, mentre la visita medica ha l’evidente scopo di appurare lo “stato di alterazione psico-fisica”. In definitiva, lo stato di alterazione del conducente deve essere accertato attraverso un esame tecnico su campioni di liquidi biologici, senza poter far ricorso ad elementi sintomatici esterni (per intenderci, non basta avere gli occhi “rossi”). Peraltro, l’accer-

tamento richiede conoscenze tecniche specialistiche sia in relazione alla individuazione e alla quantificazione delle sostanze, sia alla relativa visita medica. Ai fini della configurazione della contravvenzione, pertanto, una volta che si è risultati positivi al drug-test, generalmente effettuato sulle urine, occorrerà che un medico sottoponga a visita il conducente per certificarne lo stato di alterazione psico-fisica riconducibile all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Ora, quel che accade nella maggior parte dei casi è che gli agenti, una volta che l’esame di liquidi biologici da esito positivo, considerano conclusa la fase di accertamento e procedono alla contestazione della contravvenzione. Ma ciò, seguendo anche alcuni

orientamenti giurisprudenziali, non può essere condiviso. La contravvenzione in discorso, infatti, presuppone l’attualità dell’uso e l’esame tossicologico effettuato sui liquidi biologici del conducente non può rappresentare la prova del fatto che l’assunzione dello stupefacente sia avvenuto immediatamente prima del rilascio dei campioni di urine, ben potendo la rilevata positività significare che l’assunzione era risalente nel tempo. In conclusione, il risultato positivo ottenuto esclusivamente sull’urina del conducente può essere indubbiamente interpretato come riscontro di assunzione pregresse più o meno recenti, ma nulla dice sulle condizioni in cui lo stesso si trovava al momento in cui è stato sorpreso alla guida del veicolo.


FOLIGNO OTTOBRE 2010

Salute

Una nuova dipendenza: il “Dieting”

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Tumore al seno: una vera e propria patologia sociale

Diete incontrollate, il corpo si difende Nuove sfide terapeutiche, il farmaco proteggendo la massa grassa e sacrifi- Herceptin cando i muscoli FRANCA BUTTARO

LEONARDO MERCURI É il “Dieting” un nuovo fenomeno legato ai disturbi del comportamento alimentare, negli USA è stato definito come “la tendenza a stare sempre a dieta”. Questo fenomeno purtroppo ha trovato riscontro anche nel nostro paese, tanto che all’ultimo congresso nazionale dei Dietisti italiani, la presidente, dottoressa Giovanna Cecchetto, ha svolto un bellissimo intervento su questa crescente e preoccupante problematica. L’intervento mirava a farci capire come l’adesione a un regime troppo severo in cui ci si priva di alimenti non solo troppo ricchi di calorie, come i dolci, ma anche di gruppi di alimenti necessari alla salute, come i carboidrati, possa portare a seri problemi di salute. Regimi alimentari di questo tipo sono molto difficili da seguire nel lungo periodo, perché implicano un astrazione dalla vita reale, escludono dalla partecipazione a situazioni conviviali e ci danno come risultato un dimagrimento veloce e consistente che nella realtà viene inquadrato dai professionisti del settore come un deperimento e non un dimagrimento. Questo perché quando un dietista effettua una valutazione corporea di un soggetto che si è sottoposto a questo tipo di regime alimentare, evidenzia solamente una rilevante perdita di masse muscolari e non di quella lipidica, quindi il soggetto ha perso prevalentemente i muscoli e non il grasso, quindi non è dimagrito ma è deperito. Questo succede quando si cerca il minimo sforzo e il

massimo rendimento, è inevitabile che poi si sfocia in momenti in cui la dieta viene interrotta e si riprende un alimentazione poco controllata. La conseguenza è che si riprende peso molto in fretta, e spesso anche salendo ben sopra al livello iniziale. Questo induce a mettersi di nuovo a dieta, e in modo ancora più rigoroso, innescando il circolo vizioso della dipendenza, questo porta inevitabilmente ad una sindrome chiamata “sindrome dello yo-yo” che ha come caratteristica principale quello di far comparire nei soggetti forti oscillazioni di peso anche in breve tempo. Più numerose e drastiche sono le oscillazioni, più comportano nel tempo difficoltà a perdere altro peso, quindi il soggetto va mano a mano assestandosi su livelli di peso sempre più alti che lo porteranno a cronicizzare il problema entrando in una patologia oramai nota come l’obesità. Immagino quanto sia difficile accettare una verità scientifica che ci propone

una realtà in cui mangiare poco possa farci ingrassare, ma è cosi; anzi per essere più precisi non ci fa ingrassare, ci impedisce di dimagrire. Questo perché ai circoli viziosi si associano diversi livelli di conseguenze. La più importante è di tipo metabolico in cui l’eccessiva restrizione calorica porta il corpo ad un adattamento che scatta al di fuori della volontà, un adattamento genetico ha salvato la specie umana dalle carestie. Il corpo si adatta a sopravvivere con pochissime calorie , di conseguenza se vi è un eccesso di massa grassa stoccata, non la brucia (brucia però massa magra!) o lo fa lentamente, perché la difende riducendo il consumo di energia. In conclusione l’alimentazione è una cosa seria e non può essere affrontata in maniera semplicistica o riduttiva, altrimenti rischieremo di ritrovarci ben diversi da ciò che ci immaginavamo.

Contro la neoplasia più frequente nelle donne, con un trend di incidenza sempre maggiore, la strategia terapeutica può oggi contare su approcci innovativi, basati sulla target therapy, terapia mirata, in grado di colpire con precisione le cellule malate, che, insieme a screening sempre più diffusi e sensibili e alla diagnostica d’avanguardia, hanno rivoluzionato la prognosi delle donne colpite da malattia. Anche se l’incidenza di tale neoplasia aumenta di anno in anno, diminuisce la mortalità; le percentuali di guarigione e di sopravvivenza hanno raggiunto livelli una volta impensabili. Questo è dovuto all’introduzione dello studio degli anticorpi monoclonali che rivestono ad oggi un ruolo fondamentale nel trattamento di tale tumore e hanno costituito una svolta soprattutto nelle forme più aggressive, rappresentando una rivoluzione nella storia della terapia oncologica. L’HER2 è stato identificato, già nel 1977, come oncogene, ovvero un gene che quando si presenta porta alla formazione di tumori; tuttavia ci sono voluti ancora 10 anni per identificare la proteina associata e il suo ruolo Ora oltre ai classici indicatori prognostici (stato recettoriale, tipo istologico, grading, ki 67, stato dei linfonodi) viene utilizzato quindi anche l’hercept test, che permette di caratterizzare da un punto di vista biologico un tumore della mammella. In particolare identifica e quantifica l’espressione del gene c-erb B2 (detto anche HER2) sulla membrana del-

le cellule neoplastiche. Il CerB2 è un oncogene localizzato nel cromosoma 17. L’amplificazione di tale gene determina una sovra espressione del recettore sulla membrana delle cellule tumorali. L’amplificazione del gene e la sovra espressione del relativo prodotto sono associate a cattiva prognosi. In particolare la positività per HER2: -si correla a resistenza a terapia ormonale; è predittiva della risposta a diversi regimi di chemioterapia; -nello stesso tempo, pur essendo le neoplasie HER2+ a prognosi peggiore, risultano verso di esse molto efficaci farmaci diretti contro lo stesso gene.

La Cinetosi

Come prevenire un’esperienza a volte drammatica che trasforma il viaggio in un incubo SIBILLA MEARELLI Viene comunemente detta “malattia da movimento”, o cinetosi, o chinetosi quel quadro di malessere generale caratterizzato da un complesso di disturbi che insorgono a causa di spostamenti o viaggi su mezzi di trasporto come automobili, treni, navi, aerei. Si tratta di una sindrome acuta i cui sintomi principali comprendono pallore, ipersudorazione, sonnolenza, ipersalivazione, senso di vertigine, ansia, cui seguono nausea e vomito anche violento e, a volte, alterazione pressoria e del ritmo cardiaco, diarrea e disidratazione.

All’origine del disturbo c’è un’eccessiva stimolazione del sistema vestibolare dell’orecchio interno scatenata da diversi stimoli visivi, olfattivi, gastrointestinali e propiocettivi . Sicuramente la cinetosi è più semplice da prevenire che da curare. Per questo si possono suggerire dei piccoli accorgimenti come posizionarsi nella zona meno sollecitata del veicolo, evitare eccessivi movimenti del capo, la lettura e lo sguardo su oggetti fissi, o su elementi del paesaggio che hanno un proprio movimento, evitare l’affollamento e il caldo, assicurarsi un continuo ricambio d’aria; per quanto riguarda l’alimentazione prima

di partire un pasto leggerissimo e durante il viaggio non bere e, quando se ne ravvisi il bisogno, mangiare del pane o un grissino. Va ricordato anche che esistono dei rimedi alternativi, che a volte possono evitare l’assunzione di farmaci, un esempio sono i polsini che sfruttando l’acupressione sul punto P6 della medicina cinese a 4cm dalla piega del polso, controllano la nausea e il vomito indipendentemente dalla causa. Per quanto riguarda invece i rimedi fitoterapici il più noto è lo zenzero (Zingiber Officinalis) la cui radice è dotata di attività antinausea e antivomito grazie ad effetti diretti sul sistema digerente, miglio-

rando cioè la motilità gastrointestinale, e per azione diretta e selettiva su certi recettori del sistema nervoso centrale senza quindi dare sonnolenza. Quando però il viaggiatore già sa, per esperienza personale, che tutto ciò è insufficiente, occorre ricorrere ai farmaci anticinetosici (che sicuramente sono i più efficaci) da assumere, anche essi, in tempo prima di iniziare il viaggio.

Tra questi la scopolamina, in commercio in forma di cerotto transdermico da applicare integro,con le mani pulite e asciutte, solamente dietro il padiglione auricolare su cute glabra, pulita, perfettamente integra e non infiammata 2 ore prima del viaggio. Dopo l’applicazione e la rimozione, lavare bene le mani per evitare il contatto della sostanza con gli occhi. L’efficacia massima si raggiunge dopo 6-8 ore dal-

Il farmaco Herceptin è anticorpo monoclonale che migliora la risposta al trattamento, rallenta la progressione della malattia e migliora la sopravvivenza. Quindi l’Herceptin rappresenta la terapia di elezione per i tumore HER2+, perché in grado di bloccare le cellule con elevata espressione del recettore HER2. Obbiettivo nel trattamento e cura del tumore della mammella è innanzitutto guarire le donne, ma anche salvaguardarne la qualità di vita. In questo senso gli anticorpi monoclonali permettono di limitare al massimo i numerosi effetti collaterali della chemioterapia classica.

l’applicazione e l’effetto dura 3 giorni e siccome è impermeabile si può fare il bagno e la doccia, inoltre se occorre una copertura più prolungata, dopo la rimozione del cerotto esaurito, se ne può applicare un secondo sempre in un nuovo punto della zona retroauricolare. Tra gli antistaminici il più utilizzato è il dimenidrinato in forma di compresse, capsule, supposte e gomme da masticare (queste ultime utilizzabili all’insorgenza dei primi sintomi). Dotato di un’efficacia assimilabile alla scopolamina, ma di una durata inferiore, circa 4-6 ore, va assunto circa mezz’ora prima della partenza e, se occorre, è risomministrabile dopo 4 ore. Come tutti i farmaci la scopolamina, il dimenidrinato, come anche i fitoterapici, hanno controindicazioni ed effetti collaterali anche gravi per i quali è sempre bene consultare il medico o il farmacista.


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“E! DIFFICILE PER UN UOMO SOPPORTARE SE STESSO” ARIANNA BOASSO

Lo sballo promette felicità evanescente e il suo richiamo è assordante. Marco Aurelio ha ragione, sopportare i propri pensieri, tormenti, angosce è la cosa più complicata che ci sia, specialmente a vent’anni , quando si è ancora tanto confusi. A questa età la tentazione dello sballo è forte, in particolare si fa sentire la curiosità, quasi morbosa, di scoprire cosa riserva questo mondo colorato, scintillante e pulsante di ecstasy, cocaina, eroina, il tutto miscelato con cocktail dai nomi accattivanti ed esotici. Lo sballo seduce, il suo richiamo a volte sembra farsi quasi assordante, il gruppo di amici che ci casca, tanto una volta sola cosa vuoi che sia, ma poi la dipendenza dalla felicità artificiale è inevitabile; le droghe sintetiche portano in paradiso, ma poi si riscende in terra e spesso cadere fa male. Molto male. Resistere è fondamentale, godere di una sana emarginazione è presupposto per

non essere omologati in una massa indistinta e per avere la dignità di essere se stessi. Il consumo di droghe sintetiche cresce sempre di più, secondo le statistiche sarebbero circa ottantacinquemila i consumatori, tra i quindici e i venticinque anni, dati allarmanti per gli esperti, soprattutto perché in questo vortice sono coinvolti i giovanissimi. Le angosce della

giovinezza, gli amici che spingono a provare, e nessuno a casa che chieda delle spiegazioni, creano una miscela esplosiva. Un dato da non tralasciare è che molto spesso questi ragazzi sono lascati soli, non hanno alle spalle genitori o

chi per loro, che si preoccupano, che fanno domande, che chiedono chiarimenti sul perché i loro figli siano apatici, in uno stato depressivo, che rappresenta una delle fondamentali conseguenze dell’euforia provocata dall’ecstasy, e trepidamente in attesa del sabato successivo. Bisogna avere il coraggio di tenere duro, di resistere al desiderio di vedere cosa si prova. Pandora lo sapeva bene, lei che con la sua curiosità ha aperto il vaso e ha fatto uscire i mali del mondo. Rifiutare le facili euforie è segno d’intelligenza, di forza d’animo che permette di sentire le proprie sensazioni, le più elementari percezioni, come il caldo, il freddo, il piacere di divertirsi e ballare senza lasciarsi obnubilare e stordire. Il mondo dello sballo promette incanti, colori, luci sfavillanti, vortici di pura euforia ma ciò che rimane è un senso di vuoto, l’amarezza di aver vissuto una serata della propria vita e non ricordarsela. “A che serve passare dei giorni se non si ricordano?” diceva Cesare Pavese.

FOLIGNO PARANOICAO FOLIGNO ECOLOGICA? NICOLETTA ZOCCO Scappare da Foligno e poi ritornare ha sempre un buon odore e un buon sapore. Il profumo dell'aria un po’ più libera dallo smog, l'aroma e il sapore di cibo e soprattutto di un vino che altrove è difficile da trovare. Ultimamente poi, i più attenti forse ci avranno già fatto caso, un pullulare di ecologicissime biciclette un po’ dappertutto. Strano no? E pensare che io, sul finire degli anni '90, scappavo dalla provincia meccanica e dalle sue mandrie di macchinoni esibiti ad ogni costo e in ogni dove... così ho iniziato a chiedermi cosa mai avesse spinto tanti folignati per lo più giovani a cominciare a battersi contro uno dei mali più rovinosi della nostra epoca, l'inquinamento... così fra un vi-

nello bianco freddo e un sagrantino, una sera propongo a chi era con me di andare un po’ in collina... NOOOOOO non si può!! Sei pazza!! Per spostarci bisogna prendere la macchina, sono dappertutto, vuoi farti togliere la patente? Al massimo in bici possiamo arrivare sul fiume, magari andiamo al parco... Cominciate a capire? Ecco perché tutte queste biciclette!! Certo, siamo a Foligno, e chi la conosce bene sa che non si può eliminare l'agonismo estetico che da sempre la contraddistingue e quindi ecco una bici vintage anni'40, quella di titanio, quella rossa e quella blu. Ma mi chiedo, non sarebbe comunque una bella trovata riuscire a capovolgere controllo e repressione trasformandoci sempre in super eroi dal mantello verde?

FOLIGNO

Pensieri e Parole

E dunque grazie e ancora grazie a tutte le folignati e a tutti i folignati che per sfuggire al famigerato etilometro ci regalano un po’ d'aria buona in più con le loro biciclette!

OTTOBRE 2010

LAFINESTRASUL PONTE GENERAZIONALE SAMANTHA PASSERI

E' un'altra umida mattina. Le mie ossa sembrano avere 80 anni o poco più. Di certo dormire sulla scrivania avendo come cuscino le pagine 41 e 42 delle “Epistulae ex Ponto” di Ovidio, non è il massimo del comfort. Niente a che vedere con le televendite dei materassi. Sì quelle che riciclano i personaggi spazzatura della tv. Abito molto lontano da qui. Talmente tanto che non sento più l'odore di caffè appena fatto da mia madre alle 7 di mattina o i passi già stanchi di mio padre che va al lavoro in fabbrica. L'angosciante paura del domani a volte si fa opprimente. Che farò? Chi sarò? Ma soprattutto... quando sarà il mio futuro? La mia storia è quella di tanti altri, dei giovani che scappano dalla provincia per rincorrere sogni e aspettative, per cambiare la storia familiare, per “elevarsi” al di sopra di un ceto sociale di medie ambizioni. L'università. Già. Sono una studentessa universitaria con disturbo bipolare della personalità. Di giorno studio, di notte lavoro. Dottor Jekyll and Mister Hide. No, no, non quel tipo di lavoro che credete voi. Non c'entrano niente marciapiedi o quant'altro. Cameriera in un pub per 5 euro l'ora. Et voilà. L'affitto è pagato. 250 euro al mese per una stanza (spese escluse), e passa la paura. Perchè la scalata verso il futuro è dura. Ma soprattutto costa. Come tutto in Italia, d'altronde. Andatelo a dire ai politici che vendono il loro didietro per un posto e un po' di euro mensili, andatelo a dire ai furbi delle aziende che ti fanno entrare se fai la tesserina magica per questo o quel partito, per questo o quel sindacato. Test d'ingresso alle facoltà degli svariati atenei. Devo aggiungere qualcosa?Oh si forse una nota in inglese poiché i nostri cugini europei poco capirebbero. Quanto astio, quanta rabbia. Ci vuole un Malox per digerire un articolo così.

MA È NORMALE TUTTO CIÒ? BARTOLO Partendo dal presupposto che non deve essere la chiesa, ma principalmente lo Stato a garantire assistenza sotto qualsivoglia forma, appare inaccettabile il comportamento della curia folignate riguardo alla somministrazione di pasti gratuiti per i bisognosi. Appare inaccettabile come l’universalità dell’uomo, in quanto tale, venga messa in discussione dalla provenienza geografica di chi chiede aiuto, con la sola vergognosa giustificazione che non ci sono abbastanza fondi per sfamare tutti.

A Foligno, terra francescana caritatevole e accogliente, se sei indigente ma forestiero non hai diritto ad essere aiutato.

E’ davvero una scusa tremenda perché s’introduce una distinzione nell’essere povero. Una discriminazione.

Pensate a viverlo. Che vuol dire essere poco più che ventenni nell'italica nazione del 2010? Non saprei. Cioè non saprei da dove cominciare. Il fatto è che tu parti motivato, veramente. A 20 anni lasci tutto, la tua famiglia, i tuoi amici, gli amori talvolta, sacrifichi tutta la tua vita di adolescente bambino e parti. Ti senti un po' nonno emigrante a cercar fortuna. La prima volta che metti piede in una università ti rendi conto che sei fottuto. Che non c'è speranza. Se anche lotterai e sgomiterai e urlerai più forte, nessuno correrà a soccorrerti. A meno che non ti asciughi le lacrime con dei bigliettoni verdi. Sei figlia di un operaio? Peggio per te. E in più sei anche poco attraente? Allora tornatene in fabbrichetta a fare l' “operaia” silenziosa che si busca i suoi bei 1000 euro tondi tondi, che va a casa a vedere i reality show sognando la svolta della sua vita, che si gioca tutto all'enalotto e ai gratta e vinci, e chiama le trasmissioni dei pacchi per partecipare come concorrente. Meglio di così, che altro si può sognare? Oh si un cellulare di ultimissima generazione e una vacanza pagata con il mutuo a Porto Cervo o che so io al Billionaire. Da soli non ce la si può fare. Eppure. Eppure eccomi qua. Appena sveglia dopo una notte di studio dopo una se-

rata di lavoro. Fa freddo e mi infilerò il giubbotto di pelle per andare a lezione stamattina. Darò un saluto veloce alla mia coinquilina e scapperò a perdere l'autobus. Le scarpe mi si slacceranno a metà strada e quando entrerò il professore si interromperà un attimo e dovrò sedermi per terra perchè non ci sono abbastanza posti per seguire le lezioni seduti. Oh accidenti. Che futuro posso avere? Uno di cui sarò orgogliosa comunque vada. Uno in cui mi ricorderò di oggi, ieri e domani. Del freddo, del caldo, dell'autobus puzzolente, del cibo del discount, degli abiti comprati alle svendite. Dei 5 euro guadagnati ogni ora di lavoro, dei calli alle mani, del mal di schiena. Della profonda ingiustizia che regna nella società verso i giovani. Io voglio lottare e fallire e non ringraziare. Anzi, qualcuno voglio ringraziare. Ringrazio tutte le mamme e i papà, che come i miei, fanno sacrifici e buchi in più alla cintura, per far studiare i figli all'università. Ringrazio quelli che come me credono ancora che questa nazione possa cambiare e faranno di tutto per toglierla dagli artigli dell'avvoltoio manierismo politico. In the end, I love you Italy. Un bacio che ti mando attraverso un ponte generazionale.

SE L!È CERCATA... Ma perché allora, si continuano a inaugurare nuove chiese, sfarzose e griffate, che dovrebbero essere la casa del Signore e dei suoi figli ma non ci sono abbastanza soldi per una minestra?. Qualcuno, qualche tempo addietro, si spogliò degli abiti e li vendette proprio a Foligno, facendo uno dei più grandi gesti che la cristianità conosce; c’è anche una lapide che ricorda questo evento. Sarà mica il caso di dargli una lucidatina?. Oppure è stata presa in parola; meglio una chiesa che una minestra? Meditiamo.

La vignetta è stata reperita in internet come “inedita”. La pubblichiamo senza avere richiesto il consenso dell’autore che speriamo (anzi siamo certi) non se ne avrà “a male”


FOLIGNO

Scuola a cura di Maura Donati

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La scuola pubblica di chi ci crede ancora Una storia extra-ordinaria di donna, madre e insegnante precaria che non molla In un momento storico di profonda crisi dei valori che da sempre sorreggono la scuola pubblica come pilastro di una società forte, democratica e libera, ho avuto l’occasione di dialogare con una insegnate capace di trasmettere una piacevolissima sensazione di “stabilità” interiore e professionale. Il fatto strano è che questa insegnante non vive affatto una condizione di “stabilità” perché a cinquant’anni compiuti si ritrova ad avere sulle spalle 16 anni di precariato, un futuro ancora più incerto e una famiglia da gestire. Se non ci avessi parlato di persona non avrei potuto capire da dove arriva questa sua forza. Lei si chiama Patrizia Puri, insegna scienze alle superiori e fa parte da due anni del Coordinamento precari scuola e da tre anni del Coordinamento “Viva la scuola pubblica”. Il suo impegno in questi ambiti è costante perché la sua vita le ha insegnato quanto sia importante l’istruzione come forma di riscatto sociale e crescita della persona. Nata in una famiglia semplice e vissuta all’interno di un paese dove l’unico possibile obiettivo da raggiungere era un posto di lavoro nella fabbrichetta della zona, Patrizia ha preferito seguire una strada diversa per non rimanere semplicemente se stessa, ma aprire gli occhi sul mondo e acquisire una più profonda consapevolezza di sé e della vita. “Mi è stata data la possibilità di studiare, di crescere, di maturare attraverso la cultura acquisita negli anni – ha precisato Patrizia – lo studio ha cambiato realmente le prospettive della mia vita e la motivazione che sento oggi dentro di me, nasce dalla consapevolezza che i sacrifici fatti e gli anni passati sopra i libri hanno fatto la differenza, regalandomi quel valore aggiunto che mi permette di vivere ogni giorno in modo costruttivo, critico e analitico”. La scuola come forma di liberazione dalle catene dell’ignoranza intesa nel senso della non consapevolezza, dell’incapacità di analizzare le problematiche del mondo senza subirle in maniera immobile e inconsapevole. “Dal momento che comprendo bene la funzione della scuola come riscatto sociale per provenienze socio culturali molto diverse, mi rapporto serenamente e con passione anche ai ragazzi stranieri che ormai in grande percentuale varcano le soglie delle nostre scuole. Avendo come punto di riferimento la mia esperienza di vita, riesco a trasmettere loro quegli stessi valori che mi hanno portata ad essere la persona che sono oggi”. Ma Patrizia è figlia degli anni ’70 quando il cantautore Paolo Pietrangeli diceva che “anche l’operaio vuole il figlio dottore”, quando lo

studio era considerato come il percorso necessario per “uniformare verso l’alto”, quando i libri “assicuravano” un lavoro e la professione era per sempre. Figlia di quei tempi, ne ha tratto uno sguardo positivo sulla vita e sul futuro da costruire. Una forza interiore che si legge nei suoi occhi brillanti quando parla del mondo scolastico, quello stesso mondo che qualche decennio dopo ha sfornato studenti scorag-

Scuola Pericolo

sanno bene che la professione, se anche si trova, non è per sempre. In questa mescolanza di due generazioni, stupisce ancora vedere che è la donna di cinquant’anni precaria e con famiglia a carico ad avere voglia di combattere, di portare avanti una battaglia in cui crede da sempre, mentre, dalle cronache dei giornali si leggono spesso storie di giovani disamorati che smettono di lottare e rimangono a casa in attesa di qualcosa o di nulla. Di certo, non sanno neanche loro di cosa. Intanto, nelle piazze d’Italia esce a protestare il precariato scolastico che cerca di tenere duro in questa fase discendente di assoluta gravità per l’istruzione pubblica. Fra di loro vi è anche Patrizia Puri perché

Ministro Mariastella Gelmini giati e dallo sguardo perso perché privati di quegli ideali che hanno reso forte la generazione dei loro padri e delle loro madri. Studenti che non vedono più nei libri “un’assicurazione” per il futuro e

oggi, il precario non è più solo il giovane neolaureato che anche se non trova subito un lavoro stabile può rimettersi in moto per trovarne un altro anche modificando o ampliando le proprie competenze a

seconda delle richieste del mercato. Oggi, i precari della scuola sono di tutte le età, anche persone di 40, 50 o più anni che lavorano da una vita nella speranza di essere stabilizzati. Ma quella che fino a prima della riforma del ministro Mariastella Gelmini era una speranza, oggi è una mera illusione. “Ci sono varie tipologie di precariato – ha chiarito Patrizia - innanzitutto ci sono i precari che sono ai primi posti nella graduatoria permanente e che quindi rientrano in quelle cattedre che vengono rese disponibili dall’Ufficio scolastico regionale. Se non rientri in quelle perché ti trovi in una posizione inferiore rientri invece nelle graduatorie dei singoli istituti dove vieni chiamato con le cosiddette supplenze brevi cioè, ad esempio, se il collega si ammala o se la collega va in maternità. Negli anni ’90, dopo tre o quattro anni di questa condizione lavorativa, si entrava di ruolo. Poi la situazione è cambiata. Soprattutto da quindici anni a questa parte, il precariato non è più quella condizione temporanea (quasi di gavetta) che poi ti permette l’immissione in ruolo, ma è diventata strutturale. Cioè, il precario può rimanere tale anche a vita. Dopo la riforma Gelmini, però, anche il precario storico non lavorerà più e si trasformerà in disoccupato”. Ma perché anche chi ha un posto di lavoro come Patrizia, si ritrova a discutere e a far parte dei coordinamenti per la scuola e a lottare nelle piazze e nei tavoli con i sindacati e gli amministratori? “In realtà, protestano tutti coloro che hanno perso qualcosa da questa riforma perché in verità non c’è nessuno che

non abbia perso qualcosa – ha tenuto a sottolineare Patrizia – con questa riforma Gelmini, io che sono prima da anni in graduatoria ho perso l’immissione in ruolo, chi aveva i contratti annuali (dal primo settembre al trenta giugno) è diventato a supplenze brevi (di qualche mese), chi lavorava già 5 o 6 mesi e basta, non lavora più per niente. Quindi, ognuno di noi ha perso qualcosa e gli ultimi in questa condizione di precariato, sono diventati già disoccupati. L’anno prossimo può darsi che anche io diventi disoccupata visto che già quest’anno erano pochissime le disponibilità per le nomine. In ogni caso, anche chi non ha perso il lavoro e anzi può contare su un posto fisso, manifesta perché comunque perde tutta l’impostazione dell’istruzione pubblica per come da sempre è stata pensata e strutturata”. In questo senso, il rapporto annuale sull’istruzione pubblicato recentemente dall’Ocse, dimostra chiaramente su che terreno si erge la scuola pubblica italiana. Secondo i dati rilevati dall’organizzazione, la nostra nazione è fra quelle che investe meno Pil per la formazione: 4,5% contro una media europea del 5,7% e punte di spesa del 7,8% come in Islanda. Tra i paesi industrializzati, solo la repubblica Slovacca spende meno di noi. Tutt’altro che incoraggiante anche la spesa pubblica nella scuola che raggiunge solo il 9% della spesa pubblica totale inclusi sussidi alle famiglie e prestiti agli studenti. Anche in questo caso il livello più basso tra i paesi industrializzati contro il 13,3% della media Ocse. Più nello specifico, inoltre, gli insegnanti italiani guadagnano meno

rispetto alla media europea già a inizio carriera per vedere poi ampliare questo divario con il passare degli anni. “Eppure, il ministro Gelmini continua a ripetere che bisogna tagliare sulle spese per il personale a cui va il 90% delle spese destinate alla scuola, senza capire che il problema va visto da un altro punto di vista – ha dichiarato Patrizia Puri – il fatto è che gli stanziamenti per l’istruzione sono talmente bassi da bastare a malapena per la gestione del personale. Sulla base di questo esempio mi preme sottolineare che l’obiettivo che ci siamo posti come coordinamento è proprio quello di ribaltare completamente questo tipo di propaganda e far capire alle persone che le cose stanno diversamente da come viene detto. Non si può continuare a giustificare i tagli con aspetti positivi e propagandistici che fanno conoscere solo una parte della realtà dei fatti”. Sentiamo parlare di razionalizzazione, scuola meritocratica, eliminazione degli sprechi, ma mai delle difficili condizioni in cui versano gli edifici scolastici in cui manca perfino la carta igienica, delle classi superaffollate e fuori norma fino a 35 alunni, della diminuzione del tempo scuola, dell’aumento delle cattedre orarie distribuite su più scuole per il medesimo insegnante, della chiusura delle scuole e dei plessi nei comuni montani e di tutte le conseguenze causate irrimediabilmente da queste condizioni di precarietà della scuola italiana. “E’ difficile far comprendere quello che sta succedendo dal momento che viviamo in una società dove gli stessi valori buoni del rispetto, della conoscenza e della cultura hanno lasciato il posto a mentalità che guardano al guadagno facile, alla superbia e all’arroganza come atteggiamenti accettabili socialmente per arrivare dove si vuole con più facilità e meno impegno – ha concluso Patrizia – neanche chi ricopre dei ruoli di rappresentanza istituzionale si sente più in dovere di rispettare quei valori su cui si fonda la nostra democrazia. Le stesse famiglie e anche gli insegnanti hanno perso autorevolezza di fronte a questa forza dirompente che fa vedere tutto apparentemente più semplice. Di conseguenza, per noi genitori, insegnanti o cittadini rispettosi in genere, è diventato veramente difficile ribaltare questa condizione di cecità che sta mettendo in ginocchio anche la scuola pubblica che è uno dei pilastri della nostra democrazia. Quello che è sicuro, però, è che dobbiamo continuare a lottare per i valori in cui crediamo”.


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LAVORO PRECARIO Promuovere la conversione del lavoro precario in lavoro con diritti Il Programma Progress finanzia un progetto pilota destinato a promuovere la conversione del lavoro precario in lavoro con diritti. L'invito a presentare progetti - dotato di un budget pari a 650.000 euro- spiega che gli obiettivi dell'iniziativa sono quattro: migliorare la conoscenza delle misure adottate di recente dagli Stati membri per ampliare i diritti dei lavoratori precari; migliorare la comprensione della diffusione del lavoro precario e del suo ruolo nel funzionamento globale dell'economia; promuovere lo scambio di informazioni e di esperienze fra i partecipanti; promuovere la cooperazione transnazionale fra

le parti interessate e la diffusione delle migliori pratiche. Possono essere cofinanziate - all'80% dei costi ammissibili- indagini, studi, seminari, conferenze, e brevi azioni di formazione concentrate sulla conversione dei rapporti di lavoro precari in contratti che includono più diritti sociali, inclusi studi preparatori, l'organizzazione di tavole rotonde scambi di esperienze e di migliori pratiche, studi di casi che esaminano tematiche connesse al lavoro precario per quanto riguarda specifiche categorie di lavoratori ed iniziative per continuare la raccolta, l'uso e la diffusione delle informazioni sulla conversione del lavoro precario in lavoro con diritti, quali siti web, pubblicazioni, bollettini di

Consorzio “Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica”, hnno introdotto il tema il Prof. Fabrizio Figorilli, in qualità di Vice Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo ospitante, il Dott. Franco Tomassoni, Assessore al Bilancio della Giunta regionale, il Dott. Leopoldo di Girolamo, Sindaco di Terni, nella sua qualità di Presidente del Consiglio delle Autonomie Locali dell’Umbria e il Prof. Marco Versiglioni, Presidente della Sezione Umbria dell’A.N.T.I. Hanno quindi partecipato con relazioni il Prof. Franco Gallo giudice della Corte costituzionale, membro dell’Accademia dei Lincei e, in passato, Ministro delle Finanze nel Governo Ciampi; il Prof. Andrea Fedele, professore ordinario di diritto tributario nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma, La Sapienza; il Prof. Guglielmo Fransoni, ordina-

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SCUOLA, SI RIPARTE CON LA RIFORMA ELISA BEDORI Al via il nuovo anno scolastico fra tagli, precari e classi sovraffollate

informazione e altri mezzi di diffusione di informazioni. Il termine per la presentazione delle domande è il 30 settembre 2010. Tutta la documentazione utile per la presentazione di un progetto è disponibile nel sito ufficiale della Commissione europea : http://ec.europa.eu/employment_social/index_en.html. Fondamentale controllare in questo sito eventuali avvisi o integrazioni alla documentazione

L!AUTONOMIA TRIBUTARIADI REGIONI ED ENTI LOCALI: PREROGATIVE E LIMITI Presso la sede della Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica – “Villa Umbra” – lo scorso venerdì 24 settembre 2010 si è svolto un importante convegno dedicato allo studio dell’autonomia tributaria di regioni ed enti locali. L’iniziativa, oltre che dalla stessa Scuola di Villa Umbra ospitante l’evento, è stata promossa dalla cattedra di diritto tributario della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia e della Sezione Umbria dell’A.N.T.I., l’Associazione Nazionale dei Tributaristi Italiani. Il convegno, nell’approfondire un tema di notevole complessità e rilievo scientifico, risulta poi di evidente attualità. Infatti, in attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (c.d. “legge di delega in materia di federalismo fiscale”), risultano proprio in questo periodo in corso di approvazione i relativi decreti legislativi volti a disciplinare, nel dettaglio, l’autonomia tributaria di comuni, province e regioni, secondo il nuovo assetto federale della Repubblica, a sua volta introdotto dal riformulato testo dell’art. 119 Cost., all’indomani dell’approvazione della riforma del Titolo V parte seconda della Costituzione. Dopo i saluti del Dott. Alberto Naticchioni, in qualità di Amministratore Unico del

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Corrispondenze e Informazioni

rio di diritto tributario nell’Università di Foggia, il Prof. Franco Fichera, ordinario di diritto tributario presso l’Università di Napoli – Suor Orsola Benincasa; il Prof. Adriano Di Pietro – ordinario di diritto tributario presso l’Università di Bologna e Direttore della Scuola Europea di Alti Studi Tributari ;il Prof. Leonardo Perrone, ordinario di diritto tributario presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma, La Sapienza; il Prof. Andrea Giovanardi dell’Università di Trento; il Prof. Lorenzo del Federico, ordinario di diritto tributario presso l’Università di ChietiPescara; il Prof. Giuseppe Tinelli, ordinario di diritto tributario presso la Facoltà di Giurisprudenza della Terza Università di Roma; il Prof. Simone F. Cociani, titolare della cattedra di diritto tributario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo ospitante.

Questa volta tocca agli studenti delle scuole superiori. I licei diventano 6: classico, scientifico, artistico, linguistico, musicale-coreutico e delle scienze umane. Negli istituti tecnici ci sono 2 ambiti di studio (economico e tecnologico), suddivisi in 11 indirizzi, mentre gli istituti professionali si compongono di 2 settori per un totale di 6 indirizzi. Si comincia dalle sole prime classi, ma il Ministero dovrà comunque effettuare i tagli imposti dalla legge 133 del 2008. Perciò, già dal prossimo anno, negli istituti tecnici e professionali seconde, terze e quarte avranno un taglio dell'orario: da 36 a 32 ore. Gli studenti coinvolti dal taglio di ore avranno una rimodulazione del percorso di studi. In tutti gli indirizzi viene rafforzata l’area scientifica, tanto che al liceo scientifico diminuiscono le ore di latino e al classico la geografia dà la precedenza alla matematica. Potenziato anche lo studio delle lingue straniere, obbligatorio in tutti e cinque gli anni dei licei. Quest'anno inoltre entra in vigore la norma transitoria contenuta nel Regolamento sulla valutazione che introduce la stretta sulle assen-

ze. Gli studenti che superano le 50 ore di assenza nel corso dell’anno saranno bocciati automaticamente, a prescindere dai voti. A conti fatti, però, la modifica delle materie e la diminuzione delle ore di lezione in aula non eliminano i problemi, anzi li aumentano. Cresce il numero delle classi "fuorilegge". Secondo un decreto ministeriale del 1992, infatti, sono da considerarsi non in regola quelle

classi composte da oltre 25 alunni. Per l'anno scolastico appena iniziato, invece, si arriva ad oltrepassare i 30 studenti per aula e non potrebbe essere diversamente. La legge finanziaria prevede il taglio di 3.700 classi, nonostante ci siano 20 mila alunni in più. E la sicurezza? Altro punto dolente: su 40 mila edifici scolastici circa 15 mila non sono a norma. Quasi uno su due.

Ma non è tutto. Visto l’aumento degli studenti disabili, il Ministero ha ben pensato di assegnare sempre lo stesso numero di insegnanti di sostegno, così che le ore di sostegno per ogni alunno saranno destinate a calare. La riapertura delle scuole vede, inoltre, l’introduzione della figura del preside part-time. Oltre 1.500 delle 10 mila istituzioni scolastiche presenti in Italia sono state affidate a dirigenti scolastici reggenti: presidi che hanno già una scuola da dirigere, ma che dovranno occuparsi anche di un altro istituto lasciato vacante da un collega andato in pensione. Per non parlare poi dei 20 mila precari che rimarrano senza posto e stipendio, già più volte scesi in piazza per protestare. Non curante delle manifestazioni, il Ministro della Pubblica Istruzione definisce questa riforma “storica”, messa in atto per garantire agli studenti una scuola di qualità. Peccato che da uno studio Ocse, pubblicato di recente, emerge che l’Italia non investe in istruzione, che spende solo il 4,5% del pil nelle istituzioni scolastiche, contro una media Ocse del 5,7%. Solo la Repubblica Slovacca spende meno tra i paesi industrializzati.

SIGNORI SI NASCE ...eD IO modestamente lo naqui...

LE RICETTE DEL MESE : PIZZOCCHERI MELE E NOCI - RISO ALLE ERBE Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione tribunale di Perugia n° 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Grupo Poligrafico Tiberino srl, Città di Castello Chiuso in redazione il 27/09/2010 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione ”Luciana Fittaioli”

Pizzoccheri con mele e noci I pinzoccheri di solito si condiscono con verdure

(per es. le coste) ma in questo caso le vogliamo sostituire con mele e noci. Vi servono 350 gr. di pizzoccheri, una cipolla, due mele, 100 gr. di pancetta, i gherli di cinque/sei noci, mezzo bicchiere di vino bianco e 30 gr di grana. In una padella mettete 3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva e soffriggete la cipolal tritata e la pancetta tagliata a dadi-

ni; sfumate con il vino e quindi aggiungete le mele a tocchetti (devono cuocere ma non sfaldarsi). Lessate i pizzoccheri e scolateli al momento opportuno lasciandoli un po’ umidi, aggiungeteli al sugo e fateli saltare con le noci tritate e il formaggio grana grattugiato a scaglie. Riso e fagioli delle mondine Ingredienti per 4 persone: 500 gr. di riso, 300 gr. di fagioli, 50 gr di lardo, passata di pomodoro, una cipolla, uno spicchi d’aglio e

sale. Tritate il lardo insieme alla cipolla e all’aglio. Fate rosolare il tritato e il pomodoro con i fagioli precedentemente cotti in acqua salata. Lasciate passare il tutto per pochi minuti. Cuocere il riso il abbandante acqua; scolare un po’ prima del punto di cottura, lasciando però il riso abbastanza morbido. Aggiungere il soffritto e riportare a cottura definitiva. Riso proletario alle erbe Per quattro persone vi ser-

vono 350 gr. di riso, due mazzetti di basilico e due di prezzemolo, salvia, menta e rosmarino, una cipolla, uno spicchi d’aglio, una costa di sedano, due piccole zucchine, una piccola bieta, sale, pepe, burro e formaggio pecorino. Tagliate sottili e rosolate, in un paio di cucchiaini colmi d’olio estravergine d’oliva, la cipolla, l’aglio, le zucchine e il sedano. Aggiungete tutti gli altri odori e il brodo. Portate a cottura il riso, mantecate con il burro e il formaggio grattugiato.


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Spettacoli ed eventi a cura di Piter Foglietta

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“FestivOl - Trevi tra olio, arte, musica e papille” IV edizione dal 30 ottobre all’ 1 novembre 2010

Assieme ai presid Slow Food umbri, saranno presenti rappresentanze di prodotti tipici di sette regioni dal Piemonte alla Puglia. Tra gli eventi culturali la performance di Moni Ovadia in programma il 31 ottobre 2010 al Teatro Clitunno L’attrazione verso i piaceri del gusto, la voglia di convivialità, lo spirito della scoperta e la sensibilità artistico sensoriale sono le qualità che verranno messe in evidenza ancora una volta, per la quarta edizione, durante “FestivOl - Trevi tra olio, arte, musica e papille”, evento che si svolgerà nella cittadina umbra dal 30 ottobre al 1° novembre 2010. L’invito è quindi quello di venire a gustare e ad ammiMoni Ovadia

rare i vari volti di Trevi (Pg), una città che sposa “la filosofia della decrescita”. Trevi si animerà per tre giorni attraverso un’esplosione di gusti, suoni e colori con una serie di iniziative dedicate alle eccellenze alimentari ed artistiche della città. “Festivol” vuole creare “il senso del luogo” svelando le peculiarità agroalimentari, paesaggistiche e culturali della città e del territorio circostante. Quella in programma nell’affascinante borgo umbro è la quarta edizione di un evento (quest’anno ha avuto anche il riconoscimento di “Evento

Nazionale”) che si conferma punto di arrivo di un’intensa attività di promozione che nell’ultimo decennio ha portato questo territorio, ad alta vocazione olivicola, a far parte di importanti associazioni e consessi di livello nazionale, quali I Borghi più belli d’Italia, Città Slow, Città del Bio, Slow Food, Bandiere Arancioni. Tale sforzo di promozione turistica e culturale ha toccato anche i temi ambientali, producendo fin dal 2008 per Trevi la certificazione di qualità UNI EN ISO 14001-2004 e l’iscrizione nel registro europeo della Certificazione EMAS. A Trevi, capitale dell’oro verde e comune capofila della Strada dell’Olio Dop Umbria, si festeggerà in questo modo l’olio nuovo e la prima spremitura. La fragranza dell'Olio Extravergine d'Oliva Dop Umbria, in particolare di quello trevano, insieme al sapore inconfondi-

bile del Sedano Nero, l’altra eccellenza di Trevi, saranno sotto i riflettori, per un abbinamento che da queste parti ha contribuito a generare un forte e diffuso senso di rispetto per la natura e per l’ambiente. Grazie all’iniziativa “Palazzi & Gusti”, oli, vini e presidi Slow Food (insieme ai presidi umbri ci saranno anche quelli di altre 7 regioni ospiti) potranno essere degustati, in abbinamento a momenti musicali, attraverso percorsi itineranti tra gli incantevoli palazzi nobiliari del centro storico. La collaborazione con Slow Food permetterà così di coinvolgere attraverso i loro presidi regioni come Umbria (Sedano Nero di Trevi, Fagiolina del Lago Trasimeno, Roveja di Civita di Cascia), Lazio (Caciofiore della campagna romana, Marzolina), Campania (Pomodoro San Marzano, Provolone del

Monaco), Abruzzo (Canestrato di Castel del Monte, Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, Mortadella di Campotosto), Emilia Romagna (Sale di Cervia, Culatello di Zibello), Puglia (Pomodoro Fiaschetto di Torre Guaceto), Trentino (Ur paal Pane di segale aromatizzato al finocchio) e Piemonte (Cardo Gobbo di Nizza Monferrato). Ma durante i tre giorni di “FestivOl” numerosi eventi culturali si alterneranno in varie zone della città attraverso iniziative culturali e

concerti. Da segnalare, tra i tanti appuntamenti, l’esibizione del celebre ensemble I Solisti di Perugia e la performance di Moni Ovadia in programma il giorno 31 ottobre alle ore 18,00 al Teatro Clitunno. Ricordiamo, infine, che “FestivOl” è inserito all’interno di Frantoi Aperti, manifestazione che a partire dal 30 ottobre all’8 dicembre si svilupperà come un itinerario oleoturistico toccando tutta l’Umbria. Per informazioni: www.festivol.it

Segni Barocchi Festival Torna “Frantoi Aperti” Al termine della XXXI edizione del Festival Segni Barocchi, il direttore artistico del Festival, Massimo Stefanetti, ha tracciato un bilancio della manifestazione

Dal 30 ottobre all’8 dicembre la manifestazione offrirà 6 suggestivi weekend da non perdere per ritrovare il “gusto” della scoperta di un prodotto unico

La manifestazione si è conclusa, in collaborazione con “Isole” della Provincia di Perugia, domenica 19 settembre, nella chiesa di Santa Maria Assunta di Verchiano, gremita di cittadini residenti in Umbria e di turisti. “E’ stato un grande successo per l’Ensemble con strumenti originali “Musica Perduta”, che nel terzo centenario della nascita di Giovanni Pergolesi ha voluto ricordare il compositore marchigiano eseguendo composizioni inedite pergolesiane contenute nell’archivio musicale del Sacro Convento di Assisi, ha dichiarato il direttore artistico della manifetsazione Massimo Stefanetti. Anche quest’anno nonostante le ridotte risorse finanziarie, la “Luce” delle arti barocche e neobarocche ha trasformato piazze, chiese e luoghi di spettacolo a Foligno e a Montefalco, proponendo 22 iniziative culturali, dal teatro alla musica, dal cinema alle attività espositive, dalle conferenze agli incontri di carattere scientifico realizzati in collaborazione con il Laboratorio di scienze sperimentali e con l’associazione Antares. Accanto alla consacrazione di compagnie e gruppi come “Notte Barocca Veneziana”, la compagnia “Des Quidams” e l’Ensemble “Terra d’Otranto”, il festival ha proposto spettacoli ideati e realizzati per Segni Barocchi: “Dove elce verdeggia”, “Barca di Venetia per Padova”, “1610-2010.

Un gustoso filo di olio nuovo è quello che per 6 imperdibili weekend condurrà di frantoio in frantoio, di paese in paese, di borgo in borgo, attraverso sagre, mostre, concerti, spettacoli. E poi tante degustazioni nelle piazze, nei palazzi e principalmente nei frantoi, aperti per tutto il periodo della manifestazione. Lunga, ricca e suggestiva si preannuncia in Umbria la XIII edizione di “Frantoi Aperti”. Più di un mese sarà il tempo da passare all’insegna dell’olivicoltura, del suo eccezionale prodotto e dei suoi speciali territori. Il periodo che va dal 30 ottobre all’8 dicembre si caratterizzerà come la lunga “stagione” dedicata all’olivo e all’olio, con tante iniziative che verranno organizzate dai comuni dell’Umbria ad alta vocazione olivicola. Si parte il 30 ottobre, quando ancora una volta per prima sarà l'Umbria e la Strada dell’Olio a diventare la capitale italiana dell'Olio Extravergine d'Oliva Dop. Tanti saranno i frantoi aperti che nei 10 comuni aderenti all’iniziativa (Trevi, Spoleto, Giano dell’Umbria, Castel Ritaldi, Valtopina, Gualdo Cattaneo, Castiglione del Lago, Spello, Montecchio, Campello sul Clitunno) organizzeranno degustazioni e momenti di spettacolo dedicati alla promozione della Dop Umbria.

Teatro Lirico Sperimentale Belli Foto di Roberto Testa

Il neo barocco” hanno conquistato pubblici differenziati, e per qualità e rarità, potrebbero, a mio avviso, essere ospitati, in altri festival e rassegne. Un pubblico attento e motivato ha assistito a “Sonorità visive”, evocatrici della vita e delle opere del grande regista russo Andrej Tarkowskij. Giunta ala quinta edizione la “Notte barocca” ha affascinato con 11 appuntamenti culturali, tanti spettatori, alcune migliaia, che hanno scoperto o riscoperto le bellezze della città di Foligno. In particolare, a Palazzo Trinci, residenti e turisti sono entrati in contatto con “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile, attraverso le illustrazioni, le figure e le maschere di Mariella Carbone. La mostra “Grottesco incanto de li cunti”, tenuto conto degli apprezzamenti ricevu-

ti, è stata prorogata fino al 3 ottobre prossimo. In conclusione possiamo affermare che il bilancio della XXXI edizione di Segni Barocchi è indubbiamente positivo: arrivederci al 2011 per la XXXII edizione del festival, nell’ambito della quale verranno consolidate, tra l’altro, la quarta edizione di “Barocco e neo barocco in vetrina” e la seconda edizione di “Barocco in libreria”. Ma se vogliamo che la “Notte Barocca” torni a volare nel cielo della rinnovata Piazza Grande occorre trovare maggiori risorse”. L’assessore alla cultura, Elisabetta Piccolotti, ha espresso “soddisfazione” per “l’ottimo esito della manifestazione che ha proposto momenti di sperimentazione nel settore della contemporaneità del barocco e che dovranno essere portati avanti anche nel futuro”

Sarà possibile raccogliere le olive, assistere alla frangitura e partecipare a singole iniziative culturali, fare percorsi di trekking tra gli ulivi, visite ai musei, iniziative didattiche per imparare ad utilizzare l'olio in cucina, oltre a quelle dedicate ai più piccoli. All’evento aderiranno anche strutture ricettive (hotel, agriturismi, country house, B&B) selezionate per la qualità e l’accoglienza. I turisti avranno così uno sconto sul

pernottamento durante il periodo dell’evento e riceveranno in omaggio una bottiglia del prezioso “oro verde” dell’Umbria. Per l’occasione sono previsti vantaggiosi e allettanti pacchetti viaggio (info: Try Travel - 0742 356784 - www.trytravel.it). Attraverso 6 intensi fine settimana si potrà quindi scoprire l'intera regione attraverso cinque itinerari ideati per conoscere le altrettante sottozone dell'Olio Dop Umbria: Colli del Trasimeno, Colli Orvietani, Colli Amerini, Colli Assisi-Spoleto, Colli Martani. Oltre agli itinerari geografi-

ci, molto interessanti saranno anche gli “itinerari” artistici previsti (musica, gusto, teatro, arte e cultura, natura, benessere, folklore, musei aperti), i quali affiancheranno alla conoscenza e alla degustazione dell’olio umbro, momenti di cultura e di spettacolo in grado di coinvolgere un pubblico variegato amante sì della buona tavola, ma anche dell’arte e del bello. Vasta sarà l’offerta delle iniziative culturali, soprattutto quelle nei teatri e nelle sale delle varie città, che permetterà la realizzazione di un ampio ventaglio di eventi. Grazie al supporto della Regione Umbria, come lo scorso anno in tutti i comuni aderenti all’iniziativa per tutta la durata di Frantoi Aperti ci saranno balletti, concerti di musica classica e lirica. La direzione artistica della rassegna teatrale nei luoghi di Frantoi Aperti è a cura di Stefano Cipiciani del Teatro Fonte Maggiore, che proporrà spettacoli di innovazione legati al tema dell’alimentazione e del cosa e del come si mangia per crescere in un modo o in un altro. Maggiori informazioni e programma completo su www.frantoiaperti.net Organizzazione: ADD Comunicazione ed Eventi Daniela Tabarrini - info@stradaoliodopumbria.it; ufficio stampa Danilo Nardoni


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FOLIGNO OTTOBRE 2010

un lupo potrà anche perdere il “pelo” non perderà mai il “vizio”!


supplemento al numero 10 - Anno II - ottobre 2010 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

Hiroshima Il fungo atomico della bomba lanciata su Nagasaki

Il 6 e l’8 agosto 1945 gli Stati Uniti compirono uno dei più grandi crimini della storia dell’umanità facendo cadere due bombe atomiche sulle città indifese di Hiroshima e Nagasaki. Sono passati oltre sessanta anni da quei fatti, ma i responsabili hanno ancora il dominio del mondo e rifiutano di essere giudicati, continuando sempre loro a scrivere la storia. I crimini contro l’umanità non sono soggetti a prescrizione e resta dunque la speranza che un giorno verrà

fatta verità e giustizia. L’importante è non dimenticare. Ma c’è un’altra lezione non meno grave e importante da apprendere da quell’episodio e ricordare, è quella della condanna incondizionata della scienza che si fa strumento di guerra, di distruzione, di omicidio di massa. Del crimine di Hiroshima e Nagasaki non sono responsabili solo i governanti degli Stati Uniti, ma anche tutti quegli scienziati che, venendo meno al primo principio di ogni disciplina

scientifica che pone l’essere umano, la sua crescita, il suo benessere, la sua felicità, al centro della propria ricerca, hanno venduto le loro conoscenze e competenze agli assassini dell’umanità. “Ho fatto il più grande errore della mia vita quando ho firmato la lettera al presidente Roosevelt chiedendogli di finanziare la ricerca per la costruzione della bomba atomica” (Albert Einstein)

I


La minaccia nucleare come strumento di terrore per il dominio del mondo La vicenda delle due bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki resta una delle pagine più controverse della storia recente nonostante la cortina di prepotenze, omertà e opportunismi che l’ha coperta sin dai giorni immediatamente successivi alle esplosioni. I responsabili del lancio delle bombe atomiche hanno ripetutamente cercato di fornirne articolate ragioni circa la necessità di quell’atto, giungendo sino a bilanciarne, col ricorso alla statistica, i costi e i benefici in termini di morti, militari e civili, nel caso di ulteriore prosecuzione della resistenza militare del Giappone. Ma anche nel fronte USA, sin dall’indomani della conoscenza delle dimensioni della catastrofe umana provocata dalle due bombe, diverse voci si alzarono per contestarne la necessità e per dissociare le proprie responsabilità. Sia il generale MacArthur, comandante dello scacchiere militare del Pacifico, che il generale Eisenhower, comandante di quello europeo, dopo avere dichiarato ambedue di non essere stati preventivamente informati e consultati della decisione presa dal Presidente Truman di lanciare le bombe atomiche, affermarono che, da un punto di vista strettamente strategico militare, non ve n’era affatto bisogno essendo comunque il Giappone sul punto di arrendersi senza la necessità di

quella carneficina di civili. Eppure ambedue, ed Eisenhower in particolare, non avevano avuto remore ad abusare del potere intimidatorio e, in qualche modo, persino vendicativo, di devastanti bombardamenti di città indifese e strategicamente irrilevanti. Basterà ricordare il bombardamento con bombe incendia-

rie di Dresda, che venne trasformata in un unico enorme falò a oltre 300 gradi che carbonizzò la popolazione civile; del bombardamento al fosforo di Francoforte, che ustionò mortalmente decine di migliaia di civili sfollati lungo le rive del Meno le cui acque amplificarono a dismisura gli effetti ustionanti del fosforo; sino al bombardamento di San Lorenzo a Roma, città dichiarata “aperta” e perciò totalmente indifesa, che in due ondate successive uccise circa 3.000 civili (occorrerà ricordare, per onore del vero, che il bombardamento dal cielo di

agglomerati civili indifesi venne “inventato” proprio dagli italiani nella guerra di Abissinia e subito seguito dai tedeschi nella guerra di Spagna con la distruzione della città di Guernica). Nel tempo, ma neanche molto dopo, si è fatta strada un’altra “lettura” delle ragioni di quell’evento che ha trovato

sempre più credito, anche alla luce delle vicende storiche e politiche successive. E’ stato detto che gli “inutili” bombardamenti atomici delle due città giapponesi hanno rappresentato il primo atto esplicito della “guerra fredda” con l’Unione Sovietica; in altri termini era quest’ultima la vera destinataria dell’intimidazione strumentalmente eseguita ai danni della popolazione giapponese. La guerra in occidente era finita, la Germania si era arresa, l’esercito di terra sovietico, in quel momento il più grande del mondo, si era spo-

stato in oriente e aveva attaccato le forze giapponesi in Manciuria letteralmente travolgendole. L’Unione Sovietica si stava dunque affacciando sull’Oceano Pacifico e non escluso, a detta degli stessi strateghi americani, avrebbe anche potuto precedere gli USA nella conquista almeno di parte dell’arcipelago giapponese. Occorreva un segnale forte, un avvertimento che ristabilisse i ruoli e gli spazi del dominio del mondo. Il prezzo è stato cinicamente posto a carico della popolazione civile di uno Stato oramai sconfitto e distrutto. Da allora hanno fatto seguito trenta anni, più o meno, di minacce nucleari; missili sovietici a Cuba, missili USA in Turchia ed Europa. Il patto di non proliferazione e parziale disarmo prima e il collasso del socialismo reale poi, hanno allontanato la minaccia o quanto meno la hanno resa meno attuale, ma nuove minacce nucleari, più false e strumentali che vere, continuano ancora in questi tempi ad affacciarsi dall’estremo oriente (Corea del Nord) o dal medio oriente (Iran) e dunque la “logica” del terrore atomico non si è ancora risolta. Ricordare, riconoscere e soprattutto condannare incondizionatamente, senza dunque spazio a giustificazioni di alcun genere, la follia criminale di quel primo utilizzo delle armi atomiche potrebbe essere utile a rendere concreta e attuale la consapevolezza dell’abnormità della sola idea della minaccia atomica.

Archimede scienziato e militare

Archimede, nato e morto a Siracusa nella Magna Grecia del terzo secolo avanti Cristo, è stato uno dei più grandi scienziati della storia. Fu soprattutto matematico, così avanti nel suo tempo che molte delle sue formule all’epoca non vennero comprese e non ebbero seguito per molto più di un millennio, fino alla riscoperta delle sue opere dovuta alla cultura araba. Archimede fu anche un astronomo e un fisico, sia scopritore di alcune leggi fondamentali della natura, che inventore di congegni e macchinari. Sotto quest’ultimo aspetto si distinse in particolare come ingegnere militare e con sue macchi-

ne belliche contribuì alla lunga resistenza di Siracusa all’assedio dell’esercito romano del console Marcello. Archimede fu ucciso durante il saccheggio che nell’anno 212 a.c. seguì alla caduta di Siracusa. Sulla sua morte si sono create diverse leggende cha hanno cercato di accreditare la tesi di un “incidente” della sua uccisione da parte di un legionario romano che, invece, avrebbe avuto il compito di trovarlo e portarlo al console Marcello, grande ammiratore dello scienziato greco. La storiografia scientifica non offre alcun riscontro a queste leggende, confermando solamente che lo scienziato venne effettivamente ucciso nel saccheggio di Siracusa e che il console Marcello riportò con sé, come trofei di guerra, alcuni strumenti recuperati nella casa di Archimede. Della sepoltura di Archimede l’unica notizia storica la tramanda Cicerone che, di persona, un se-

colo e mezzo dopo ne scoprì la tomba tra i grovigli di rovi del vecchio cimitero di Siracusa. Si propone dunque un’altra lettura della morte violenta del grande scienziato. E’ noto che una delle principali ragioni della straordinaria fortuna dell’Impero romano poggiava sulla singolare capacità dei romani di coniugare una ferocia senza paragoni del proprio esercito, con l’intelligenza di non distruggere, ma anzi di appropriarsi di tutti gli elementi di superiorità dei nemici vinti. Per i greci che consideravano sdegnosamente i romani dei barbari, questi ultimi avevano invece una incondizionata ammirazione. Quando i romani conquistavano le città greche ne facevano salve le ricchezze artistiche, culturali e scientifiche che cercavano, in ogni modo, di riportare o almeno di riprodurre in patria. In questo quadro l’uccisione di Archimede costituisce una anomalia che, però, può trovare una

spiegazione proprio nell’ottica pregiudizialmente militare, e solo poi culturale, romana. Infatti Archimede era un grande e già allora notissimo scienziato, ma nell’assedio di Siracusa era stato fondamentalmente un ingegnere militare e i militari sconfitti venivano inesorabilmente giustiziati. In qualche modo potremmo affermare che Archimede è stato il primo scienziato che, avendo prestato le proprie conoscenze ai signori della guerra, è stato posto sul loro stesso piano, pagandone le conseguenze. Per chiarezza va detto che, in verità, chi aggrediva erano i romani e i siracusani, anche grazie all’aiuto dello loro concittadino Archimede, semplicemente si difendevano; ma poiché, come è noto, i tribunali li istituiscono i vincitori, Archimede è stato giudicato e punito per avere causato, con le sue macchine belliche, la morte di molti “eroici” soldati romani.

Enrico Fermi lo scienziato che ha ordinato il lancio delle bombe atomiche

II

Dopo la resa della Germania molti degli scienziati impegnati nel Progetto Manhattan sollevarono forti dubbi sulla opportunità dell’uso della bomba atomica, pubblicando il “Rapporto Franck”, col quale sconsigliavano l'uso delle bombe atomiche contro il Giappone e suggeriva-

no una dimostrazione incruenta della nuova arma. Al rapporto venne allegata una petizione redatta da Leo Szilard e sottoscritta da altri 53 scienziati con la quale veniva espressa la ferma “opposizione per motivi morali all'uso di queste bombe nell'attuale fase della guerra”. La petizione non ebbe seguito e il governo americano decise il lancio delle bombe. Nel processo decisionale Fermi e gli altri leader scientifici del Progetto Manhattan svolsero un ruolo determinante. Nel maggio del 1945 Truman

aveva infatti creato un'apposita commissione, nota come Interim Committee, per affrontare la questione dell'eventuale uso della bomba atomica. L'Interim Committee fu affiancato da una commissione scientifica composta da quattro scienziati di primo piano del Progetto Manhattan: Oppenheimer, Fermi, Lawrence e Compton, con la responsabilità delicatissima di dare consigli tecnici sull'uso dell'arma nucleare contro il Giappone. I quattro scienziati ricevettero il Rapporto Franck e la petizione

di Szilard, ma non le condivisero, sostenendo la necessità del lancio delle bombe atomiche. Sulla base del parere scientifico di Fermi e degli altri leader del progetto Manhattan i membri dell'lnterim Committee approvarono all'unanimità i seguenti provvedimenti: 1) la bomba dovrà essere usata contro il Giappone al più presto; 2) dovrà essere usata su un doppio bersaglio, cioè su installazioni militari o impianti bellici adiacenti ad abitazioni; 3) dovrà essere usata senza preavviso sulla natura dell'arma.

Costituzione della Repubblica Italiana - Art. 11 “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” "Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea" (On. Massimo D'Alema) La questione dell’intervento della aviazione e della marina italiana nella guerra così detta del Kossovo non è mai stata portata all’attenzione del Parlamento della Repubblica

Distruzione della fabbrica di automobili Zastava. 36.000 operai rimasero senza lavoro. Un numero imprecisato morirono successivamente nel corso dei lavori di ricostruzione dello stabilimento, contaminati dall’uranio impoverito usato dalle forze della Nato nel bombardamento “umanitario”

Negli anni '80 si stimava in 600.000 il numero degli scienziati dedicati alla ricerca militare sui 2 milioni e più del totale; nei venti anni successivi la percentuale, almeno in occidente, ha superato il 50%. La presenza massiccia di questi scienziati cambia radicalmente l'immagine ingenua della scienza come impresa dedicata al benessere dell'umanità.

La guerra condotta con armi sempre più sofisticate contro le strutture civili di un paese tecnologicamente sviluppato diviene automaticamente guerra di distruzione di massa e crimine contro l'umanità La guerra viene definita dal Dizionario della lingua italiana Zingarelli come: lotta di popoli attuata mediante le forze armate. L'uso di armi, oggetti usati dall'uomo per offesa o difesa, determina che nella definizione di guerra vi sia l'annientamento di una popolazione, cioè la sua morte. L'obiettivo organizzativo della guerra è proprio la distruzione della salute della popolazione. Nella storia recente gli USA hanno combattuto quattro guerre atomiche: contro il Giappone nel 1945, in Kuwait e Iraq nel 1991, in Bosnia nel 1995 e in Jugoslavia nel 1999. Questi quattro conflitti sono stati tutti caratterizzati dall'uso bellico di innovazioni e tecnologie acquisite nell'ambito della fisica nucleare. In Giappone sono state usate due bombe basate, rispettivamente, sulla fissione del plutonio e dell'uranio arricchito. Per i tre interventi più recenti, invece, sono state usate bombe contenenti uranio impoverito, senza il ricorso al fenomeno della fissione nucleare. Già da molti anni gli Stati Uniti hanno utilizzato l’uranio impoverito per la costruzione di capsule, proiettili e armamento protettivo dei carri armati pesanti. Questo materia-

1999, bombardamento di Belgrado le, a basso costo, possiede la proprietà di essere molto denso, e quindi in grado di penetrare corazze e schermi antiproiettile di spessore notevole. Questa capacità penetrante è stata ampiamente dimostrata nel corso della Guerra del Golfo: la parola massacro definisce gli effetti di queste armi assai meglio della parola guerra. Tuttavia l’uranio impoverito possiede un'altra proprietà

che dai militari viene considerata altrettanto "desiderabile": infatti esso brucia spontaneamente al momento dell'impatto, fromando minute particelle di aerosol, del diametro di meno di 5 micron, così leggere da poter essere inalate. Le particelle vengono inoltre trasportate dai venti per decine di chilometri. Fra le 300 e le 800 tonnellate di uranio impoverito sono state rila-

sciate sul suolo e nelle acque di Kuwait, Arabia Saudita e Iraq, colpendo centinaia di migliaia di soldati e civili. Alle vittime straniere si sono aggiunte quelle delle stesse forze armate alleate: dei 697.000 soldati americani stanziati nel Golfo, 90.000 hanno riportato sintomi che riguardano disfunzioni respiratorie, affezioni gravi al fegato e alla milza, perdita della memoria, emicranie, febbri

e abbassamenti della pressione sanguigna. Alla nascita dei figli si riscontrano inoltre effetti generati dai disturbi citati. L'insieme di questi disturbi e malesseri è stato classificato sotto il nome di "Sindrome del Golfo" e, anche se ancora non è chiara la genesi dei disturbi, appare probabile che la causa debba essere ricercata nel micidiale cocktail velenoso derivante dalla esposizione a vaccini, gas tossici e uranio impoverito. Gli effetti sulle popolazioni dell'Iraq sono di gran lunga più rilevanti. In una lettera del primo aprile 1999, l'International Action Center, un'organizzazione che si batte contro i crimini della guerra e contro l'uso dell'uranio impoverito, ha detto che "la decisione del Pentagono di usare nel Kosovo proiettili al DU a partire dai jet A-10 Warthog conferisce una nuova dimensione al crimine contro l'umanità commesso dalla NATO in Jugoslavia. L'uso di queste armi è contrario a tutti i principi e le convenzioni internazionali firmate da tutti i paesi nel corso del XX secolo.” (Estratto dagli atti del Seminario sulla guerra dei Balcani “Scienziati e scienziate contro la guerra” Roma, giugno 1999)

minoranza albanese. E’ necessario prima di ogni Era il pretesto per un nuovo considerazione o commento, tentativo da parte degli USA mettere a fuoco quella che fu di penetrare nei Balcani, col la situazione storica nel peduplice scopo di ridimensioriodo che portò alla guerra nare la storica influenza dei Balcani. sull’area di una Russia oraDopo il crollo del muro di mai allo sbando sotto la guiBerlino e la fine dell'Unione da dell’alcoolista Eltsin, ma Sovietica, gli stati della fedeanche di stroncare sul nascerazione jugoslava entrarono re il progetto dell’Europa Uniin fermento. ta di elaborare una propria Il 26 giugno 1991 Croazia e politica estera autonoma da Slovenia dichiararono la loro quella dell’ingombrante alleaindipendenza ottenuta con to d’oltre oceano. molta facilità dalla Slovenia e Non a caso gli USA, totalmencon qualche scontro a fuoco te scavalcando l’ONU, impotra la Croazia e l'esercito fesero l’intervento della Nato, derale jugoslavo, il tutto si obbligando in tal modo tutti i concluse entro agosto. sudditi europei a supportare, La comunità internazionale li anche militarmente ed econoriconobbe in tutta fretta in micamente, la strategia di dobase al Tratto sul diritto alminio del mondo da parte dei l'autodeterminazione dei ponord americani. poli di Helsinki sottoscritto La Nato era un’alleanza milida quasi tutti gli Stati del tare nata con esclusivi scopi mondo nel 1975. difensivi, pensata per interveNell'aprile del 1992 Serbia e nire in caso di aggressione da Montenegro annunciarono parte di qualsiasi nemico a che, vista la dissoluzione delqualsiasi Stato alleato. la vecchia Jugoslavia, si erano Il conflitto etnico kosovaro costituite in un nuovo Stato, era un fatto interno alla Yula Repubblica federale di Jugoslavia e non costituiva atto goslavia, ma la comunità indi aggressione ai danni di alternazionale non volle ricocuno Stato della Nato. noscerlo andando in netto Su falsi presupposti umanicontrasto col diritto all'autotari, in violazione del diritto determinazione dei popoli. internazionale, in spregio Questa fu la causa scatenante della funzione dell’ONU, la della guerra di Bosnia. Nato “amerikana” scatenò In un anno e mezzo di conun attacco aereo con bomflitto i serbi di Bosnia avevabardamenti distribuiti sulno conquistato tutta la regiol’intero territorio jugoslavo ne tranne Sarajevo, dove i per 72 giorni che causarono musulmani bosniaci resistela morte di oltre 5.500 civili, vano anche grazie alle armi e grande parte dei quali furomigliaia di mujaheddin inviano proprio i kosovari che ti dall'Iran. avrebbero dovuto essere A questo punto intervennero i media occidentali che iniziarono a diffondere notizie, in gran parte poi risultate false e costruite ad arte, circa stragi e stupri etnici, in tal modo giustificando l’intervento “umanitario” della Nato, occasione per il nuovo governo fascista della Croazia per aggredire, con l’operazione denominata “Fulmine”, alcune regioni a maggioranza serba dove si compi- 2006 funerali di Slobodan Milosevic rono realmente atprotetti dalle violenze serbe. ti di violenza disumani. All’attacco aereo partecipaNel novembre 1995 grazie rono tutti gli Stati della Nato, alla mediazione di Slobodan in primissima linea l'Italia Milosevic e del presidente del governo D'Alema che, USA Bill Clinton, nell’occanon solo consentì gli spazi di sione ambedue nominati per volo, l’assistenza logistica e i l’attribuzione del Nobel per rifornimenti all’aviazione la Pace (!), si arrivò alla pace USA, ma partecipò intensadi Daytona che portò al ricomente con la propria aviazionoscimento della Bosnia cone e la marina. me Stato autonomo nel quale Sotto gli occhi e con la proteavrebbero dovuto convivere zione delle forze della Nato musulmani, croati e serbi. in Kossovo ha avuto poi luoNel 1998, improvvisamente go una colossale operazione fece la sua comparsa l'indidi pulizia etnica che ha cacpendentismo kosovaro, ficiato dalle loro case circa nanziato e armato dagli Stati 250.000 dei 300.000 serbi Uniti che, con l’ausilio dei loche vi abitavano prima della ro media crearono, del tutto guerra. dal nulla, l’allarme di un geOggi il Kossovo, riconosciuto nocidio etnico in corso da Stato autonomo e indipenparte dei serbi ai danni della

dente, è il porto franco della mafia internazionale, del traffico di droga, di armi, di donne e persino di organi umani, nonché la base di alcune formazioni terroristiche riferibili ad Al Quaida. Occorreva un colpevole, un capro espiatorio, e gli americani chiesero al nuovo governo serbo-montenegrino la consegna dell’ex presidente Milosevic per poterlo tradurre all'Aja e farlo processare per crimini di guerra. Milosevic è morto in carcere nel corso del processo che, conseguentemente, si è estinto per la morte dell’imputato e, quindi, non potrà mai essere accertata la vera responsabilità di Milosevic nelle atrocità di quella guerra combattuta per terra e per cielo. Una precisazione merita tuttavia di essere fatta. Milosevic non era un dittatore ma il Presidente di uno Stato sovrano (almeno sino ai bombardamenti della Nato), eletto per due tornate elettorali consecutive con ampie maggioranze, sconfitto alla terza tornata da un candidato ultranazionalista e fascista che lo ha consegnato agli aggressori del proprio Paese in cambio di consistenti aiuti economici per la ricostruzione post bellica, erogati dal Fondo Monetario Internazionale lunga mano finanziaria degli USA. Qualche hanno più tardi, deluso dalle false promesse degli USA, Mirko Cvetkovic, primo ministro ultra nazionalista della Serbia, commemorando l’anniversario dei bombardamenti ha detto: “L’attacco contro il nostro Paese era illegale, contrario al diritto internazionale e perpetrato senza una decisione dell’Onu. I bombardamenti non hanno risolto i problemi nel Kosovo e non hanno aiutato a instaurare la pace e il rispetto delle leggi. Hanno causato pulizie etniche, violazioni dei diritti umani e delle norme internazionali”.

III


La minaccia nucleare come strumento di terrore per il dominio del mondo La vicenda delle due bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki resta una delle pagine più controverse della storia recente nonostante la cortina di prepotenze, omertà e opportunismi che l’ha coperta sin dai giorni immediatamente successivi alle esplosioni. I responsabili del lancio delle bombe atomiche hanno ripetutamente cercato di fornirne articolate ragioni circa la necessità di quell’atto, giungendo sino a bilanciarne, col ricorso alla statistica, i costi e i benefici in termini di morti, militari e civili, nel caso di ulteriore prosecuzione della resistenza militare del Giappone. Ma anche nel fronte USA, sin dall’indomani della conoscenza delle dimensioni della catastrofe umana provocata dalle due bombe, diverse voci si alzarono per contestarne la necessità e per dissociare le proprie responsabilità. Sia il generale MacArthur, comandante dello scacchiere militare del Pacifico, che il generale Eisenhower, comandante di quello europeo, dopo avere dichiarato ambedue di non essere stati preventivamente informati e consultati della decisione presa dal Presidente Truman di lanciare le bombe atomiche, affermarono che, da un punto di vista strettamente strategico militare, non ve n’era affatto bisogno essendo comunque il Giappone sul punto di arrendersi senza la necessità di

quella carneficina di civili. Eppure ambedue, ed Eisenhower in particolare, non avevano avuto remore ad abusare del potere intimidatorio e, in qualche modo, persino vendicativo, di devastanti bombardamenti di città indifese e strategicamente irrilevanti. Basterà ricordare il bombardamento con bombe incendia-

rie di Dresda, che venne trasformata in un unico enorme falò a oltre 300 gradi che carbonizzò la popolazione civile; del bombardamento al fosforo di Francoforte, che ustionò mortalmente decine di migliaia di civili sfollati lungo le rive del Meno le cui acque amplificarono a dismisura gli effetti ustionanti del fosforo; sino al bombardamento di San Lorenzo a Roma, città dichiarata “aperta” e perciò totalmente indifesa, che in due ondate successive uccise circa 3.000 civili (occorrerà ricordare, per onore del vero, che il bombardamento dal cielo di

agglomerati civili indifesi venne “inventato” proprio dagli italiani nella guerra di Abissinia e subito seguito dai tedeschi nella guerra di Spagna con la distruzione della città di Guernica). Nel tempo, ma neanche molto dopo, si è fatta strada un’altra “lettura” delle ragioni di quell’evento che ha trovato

sempre più credito, anche alla luce delle vicende storiche e politiche successive. E’ stato detto che gli “inutili” bombardamenti atomici delle due città giapponesi hanno rappresentato il primo atto esplicito della “guerra fredda” con l’Unione Sovietica; in altri termini era quest’ultima la vera destinataria dell’intimidazione strumentalmente eseguita ai danni della popolazione giapponese. La guerra in occidente era finita, la Germania si era arresa, l’esercito di terra sovietico, in quel momento il più grande del mondo, si era spo-

stato in oriente e aveva attaccato le forze giapponesi in Manciuria letteralmente travolgendole. L’Unione Sovietica si stava dunque affacciando sull’Oceano Pacifico e non escluso, a detta degli stessi strateghi americani, avrebbe anche potuto precedere gli USA nella conquista almeno di parte dell’arcipelago giapponese. Occorreva un segnale forte, un avvertimento che ristabilisse i ruoli e gli spazi del dominio del mondo. Il prezzo è stato cinicamente posto a carico della popolazione civile di uno Stato oramai sconfitto e distrutto. Da allora hanno fatto seguito trenta anni, più o meno, di minacce nucleari; missili sovietici a Cuba, missili USA in Turchia ed Europa. Il patto di non proliferazione e parziale disarmo prima e il collasso del socialismo reale poi, hanno allontanato la minaccia o quanto meno la hanno resa meno attuale, ma nuove minacce nucleari, più false e strumentali che vere, continuano ancora in questi tempi ad affacciarsi dall’estremo oriente (Corea del Nord) o dal medio oriente (Iran) e dunque la “logica” del terrore atomico non si è ancora risolta. Ricordare, riconoscere e soprattutto condannare incondizionatamente, senza dunque spazio a giustificazioni di alcun genere, la follia criminale di quel primo utilizzo delle armi atomiche potrebbe essere utile a rendere concreta e attuale la consapevolezza dell’abnormità della sola idea della minaccia atomica.

Archimede scienziato e militare

Archimede, nato e morto a Siracusa nella Magna Grecia del terzo secolo avanti Cristo, è stato uno dei più grandi scienziati della storia. Fu soprattutto matematico, così avanti nel suo tempo che molte delle sue formule all’epoca non vennero comprese e non ebbero seguito per molto più di un millennio, fino alla riscoperta delle sue opere dovuta alla cultura araba. Archimede fu anche un astronomo e un fisico, sia scopritore di alcune leggi fondamentali della natura, che inventore di congegni e macchinari. Sotto quest’ultimo aspetto si distinse in particolare come ingegnere militare e con sue macchi-

ne belliche contribuì alla lunga resistenza di Siracusa all’assedio dell’esercito romano del console Marcello. Archimede fu ucciso durante il saccheggio che nell’anno 212 a.c. seguì alla caduta di Siracusa. Sulla sua morte si sono create diverse leggende cha hanno cercato di accreditare la tesi di un “incidente” della sua uccisione da parte di un legionario romano che, invece, avrebbe avuto il compito di trovarlo e portarlo al console Marcello, grande ammiratore dello scienziato greco. La storiografia scientifica non offre alcun riscontro a queste leggende, confermando solamente che lo scienziato venne effettivamente ucciso nel saccheggio di Siracusa e che il console Marcello riportò con sé, come trofei di guerra, alcuni strumenti recuperati nella casa di Archimede. Della sepoltura di Archimede l’unica notizia storica la tramanda Cicerone che, di persona, un se-

colo e mezzo dopo ne scoprì la tomba tra i grovigli di rovi del vecchio cimitero di Siracusa. Si propone dunque un’altra lettura della morte violenta del grande scienziato. E’ noto che una delle principali ragioni della straordinaria fortuna dell’Impero romano poggiava sulla singolare capacità dei romani di coniugare una ferocia senza paragoni del proprio esercito, con l’intelligenza di non distruggere, ma anzi di appropriarsi di tutti gli elementi di superiorità dei nemici vinti. Per i greci che consideravano sdegnosamente i romani dei barbari, questi ultimi avevano invece una incondizionata ammirazione. Quando i romani conquistavano le città greche ne facevano salve le ricchezze artistiche, culturali e scientifiche che cercavano, in ogni modo, di riportare o almeno di riprodurre in patria. In questo quadro l’uccisione di Archimede costituisce una anomalia che, però, può trovare una

spiegazione proprio nell’ottica pregiudizialmente militare, e solo poi culturale, romana. Infatti Archimede era un grande e già allora notissimo scienziato, ma nell’assedio di Siracusa era stato fondamentalmente un ingegnere militare e i militari sconfitti venivano inesorabilmente giustiziati. In qualche modo potremmo affermare che Archimede è stato il primo scienziato che, avendo prestato le proprie conoscenze ai signori della guerra, è stato posto sul loro stesso piano, pagandone le conseguenze. Per chiarezza va detto che, in verità, chi aggrediva erano i romani e i siracusani, anche grazie all’aiuto dello loro concittadino Archimede, semplicemente si difendevano; ma poiché, come è noto, i tribunali li istituiscono i vincitori, Archimede è stato giudicato e punito per avere causato, con le sue macchine belliche, la morte di molti “eroici” soldati romani.

Enrico Fermi lo scienziato che ha ordinato il lancio delle bombe atomiche

II

Dopo la resa della Germania molti degli scienziati impegnati nel Progetto Manhattan sollevarono forti dubbi sulla opportunità dell’uso della bomba atomica, pubblicando il “Rapporto Franck”, col quale sconsigliavano l'uso delle bombe atomiche contro il Giappone e suggeriva-

no una dimostrazione incruenta della nuova arma. Al rapporto venne allegata una petizione redatta da Leo Szilard e sottoscritta da altri 53 scienziati con la quale veniva espressa la ferma “opposizione per motivi morali all'uso di queste bombe nell'attuale fase della guerra”. La petizione non ebbe seguito e il governo americano decise il lancio delle bombe. Nel processo decisionale Fermi e gli altri leader scientifici del Progetto Manhattan svolsero un ruolo determinante. Nel maggio del 1945 Truman

aveva infatti creato un'apposita commissione, nota come Interim Committee, per affrontare la questione dell'eventuale uso della bomba atomica. L'Interim Committee fu affiancato da una commissione scientifica composta da quattro scienziati di primo piano del Progetto Manhattan: Oppenheimer, Fermi, Lawrence e Compton, con la responsabilità delicatissima di dare consigli tecnici sull'uso dell'arma nucleare contro il Giappone. I quattro scienziati ricevettero il Rapporto Franck e la petizione

di Szilard, ma non le condivisero, sostenendo la necessità del lancio delle bombe atomiche. Sulla base del parere scientifico di Fermi e degli altri leader del progetto Manhattan i membri dell'lnterim Committee approvarono all'unanimità i seguenti provvedimenti: 1) la bomba dovrà essere usata contro il Giappone al più presto; 2) dovrà essere usata su un doppio bersaglio, cioè su installazioni militari o impianti bellici adiacenti ad abitazioni; 3) dovrà essere usata senza preavviso sulla natura dell'arma.

Costituzione della Repubblica Italiana - Art. 11 “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” "Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea" (On. Massimo D'Alema) La questione dell’intervento della aviazione e della marina italiana nella guerra così detta del Kossovo non è mai stata portata all’attenzione del Parlamento della Repubblica

Distruzione della fabbrica di automobili Zastava. 36.000 operai rimasero senza lavoro. Un numero imprecisato morirono successivamente nel corso dei lavori di ricostruzione dello stabilimento, contaminati dall’uranio impoverito usato dalle forze della Nato nel bombardamento “umanitario”

Negli anni '80 si stimava in 600.000 il numero degli scienziati dedicati alla ricerca militare sui 2 milioni e più del totale; nei venti anni successivi la percentuale, almeno in occidente, ha superato il 50%. La presenza massiccia di questi scienziati cambia radicalmente l'immagine ingenua della scienza come impresa dedicata al benessere dell'umanità.

La guerra condotta con armi sempre più sofisticate contro le strutture civili di un paese tecnologicamente sviluppato diviene automaticamente guerra di distruzione di massa e crimine contro l'umanità La guerra viene definita dal Dizionario della lingua italiana Zingarelli come: lotta di popoli attuata mediante le forze armate. L'uso di armi, oggetti usati dall'uomo per offesa o difesa, determina che nella definizione di guerra vi sia l'annientamento di una popolazione, cioè la sua morte. L'obiettivo organizzativo della guerra è proprio la distruzione della salute della popolazione. Nella storia recente gli USA hanno combattuto quattro guerre atomiche: contro il Giappone nel 1945, in Kuwait e Iraq nel 1991, in Bosnia nel 1995 e in Jugoslavia nel 1999. Questi quattro conflitti sono stati tutti caratterizzati dall'uso bellico di innovazioni e tecnologie acquisite nell'ambito della fisica nucleare. In Giappone sono state usate due bombe basate, rispettivamente, sulla fissione del plutonio e dell'uranio arricchito. Per i tre interventi più recenti, invece, sono state usate bombe contenenti uranio impoverito, senza il ricorso al fenomeno della fissione nucleare. Già da molti anni gli Stati Uniti hanno utilizzato l’uranio impoverito per la costruzione di capsule, proiettili e armamento protettivo dei carri armati pesanti. Questo materia-

1999, bombardamento di Belgrado le, a basso costo, possiede la proprietà di essere molto denso, e quindi in grado di penetrare corazze e schermi antiproiettile di spessore notevole. Questa capacità penetrante è stata ampiamente dimostrata nel corso della Guerra del Golfo: la parola massacro definisce gli effetti di queste armi assai meglio della parola guerra. Tuttavia l’uranio impoverito possiede un'altra proprietà

che dai militari viene considerata altrettanto "desiderabile": infatti esso brucia spontaneamente al momento dell'impatto, fromando minute particelle di aerosol, del diametro di meno di 5 micron, così leggere da poter essere inalate. Le particelle vengono inoltre trasportate dai venti per decine di chilometri. Fra le 300 e le 800 tonnellate di uranio impoverito sono state rila-

sciate sul suolo e nelle acque di Kuwait, Arabia Saudita e Iraq, colpendo centinaia di migliaia di soldati e civili. Alle vittime straniere si sono aggiunte quelle delle stesse forze armate alleate: dei 697.000 soldati americani stanziati nel Golfo, 90.000 hanno riportato sintomi che riguardano disfunzioni respiratorie, affezioni gravi al fegato e alla milza, perdita della memoria, emicranie, febbri

e abbassamenti della pressione sanguigna. Alla nascita dei figli si riscontrano inoltre effetti generati dai disturbi citati. L'insieme di questi disturbi e malesseri è stato classificato sotto il nome di "Sindrome del Golfo" e, anche se ancora non è chiara la genesi dei disturbi, appare probabile che la causa debba essere ricercata nel micidiale cocktail velenoso derivante dalla esposizione a vaccini, gas tossici e uranio impoverito. Gli effetti sulle popolazioni dell'Iraq sono di gran lunga più rilevanti. In una lettera del primo aprile 1999, l'International Action Center, un'organizzazione che si batte contro i crimini della guerra e contro l'uso dell'uranio impoverito, ha detto che "la decisione del Pentagono di usare nel Kosovo proiettili al DU a partire dai jet A-10 Warthog conferisce una nuova dimensione al crimine contro l'umanità commesso dalla NATO in Jugoslavia. L'uso di queste armi è contrario a tutti i principi e le convenzioni internazionali firmate da tutti i paesi nel corso del XX secolo.” (Estratto dagli atti del Seminario sulla guerra dei Balcani “Scienziati e scienziate contro la guerra” Roma, giugno 1999)

minoranza albanese. E’ necessario prima di ogni Era il pretesto per un nuovo considerazione o commento, tentativo da parte degli USA mettere a fuoco quella che fu di penetrare nei Balcani, col la situazione storica nel peduplice scopo di ridimensioriodo che portò alla guerra nare la storica influenza dei Balcani. sull’area di una Russia oraDopo il crollo del muro di mai allo sbando sotto la guiBerlino e la fine dell'Unione da dell’alcoolista Eltsin, ma Sovietica, gli stati della fedeanche di stroncare sul nascerazione jugoslava entrarono re il progetto dell’Europa Uniin fermento. ta di elaborare una propria Il 26 giugno 1991 Croazia e politica estera autonoma da Slovenia dichiararono la loro quella dell’ingombrante alleaindipendenza ottenuta con to d’oltre oceano. molta facilità dalla Slovenia e Non a caso gli USA, totalmencon qualche scontro a fuoco te scavalcando l’ONU, impotra la Croazia e l'esercito fesero l’intervento della Nato, derale jugoslavo, il tutto si obbligando in tal modo tutti i concluse entro agosto. sudditi europei a supportare, La comunità internazionale li anche militarmente ed econoriconobbe in tutta fretta in micamente, la strategia di dobase al Tratto sul diritto alminio del mondo da parte dei l'autodeterminazione dei ponord americani. poli di Helsinki sottoscritto La Nato era un’alleanza milida quasi tutti gli Stati del tare nata con esclusivi scopi mondo nel 1975. difensivi, pensata per interveNell'aprile del 1992 Serbia e nire in caso di aggressione da Montenegro annunciarono parte di qualsiasi nemico a che, vista la dissoluzione delqualsiasi Stato alleato. la vecchia Jugoslavia, si erano Il conflitto etnico kosovaro costituite in un nuovo Stato, era un fatto interno alla Yula Repubblica federale di Jugoslavia e non costituiva atto goslavia, ma la comunità indi aggressione ai danni di alternazionale non volle ricocuno Stato della Nato. noscerlo andando in netto Su falsi presupposti umanicontrasto col diritto all'autotari, in violazione del diritto determinazione dei popoli. internazionale, in spregio Questa fu la causa scatenante della funzione dell’ONU, la della guerra di Bosnia. Nato “amerikana” scatenò In un anno e mezzo di conun attacco aereo con bomflitto i serbi di Bosnia avevabardamenti distribuiti sulno conquistato tutta la regiol’intero territorio jugoslavo ne tranne Sarajevo, dove i per 72 giorni che causarono musulmani bosniaci resistela morte di oltre 5.500 civili, vano anche grazie alle armi e grande parte dei quali furomigliaia di mujaheddin inviano proprio i kosovari che ti dall'Iran. avrebbero dovuto essere A questo punto intervennero i media occidentali che iniziarono a diffondere notizie, in gran parte poi risultate false e costruite ad arte, circa stragi e stupri etnici, in tal modo giustificando l’intervento “umanitario” della Nato, occasione per il nuovo governo fascista della Croazia per aggredire, con l’operazione denominata “Fulmine”, alcune regioni a maggioranza serba dove si compi- 2006 funerali di Slobodan Milosevic rono realmente atprotetti dalle violenze serbe. ti di violenza disumani. All’attacco aereo partecipaNel novembre 1995 grazie rono tutti gli Stati della Nato, alla mediazione di Slobodan in primissima linea l'Italia Milosevic e del presidente del governo D'Alema che, USA Bill Clinton, nell’occanon solo consentì gli spazi di sione ambedue nominati per volo, l’assistenza logistica e i l’attribuzione del Nobel per rifornimenti all’aviazione la Pace (!), si arrivò alla pace USA, ma partecipò intensadi Daytona che portò al ricomente con la propria aviazionoscimento della Bosnia cone e la marina. me Stato autonomo nel quale Sotto gli occhi e con la proteavrebbero dovuto convivere zione delle forze della Nato musulmani, croati e serbi. in Kossovo ha avuto poi luoNel 1998, improvvisamente go una colossale operazione fece la sua comparsa l'indidi pulizia etnica che ha cacpendentismo kosovaro, ficiato dalle loro case circa nanziato e armato dagli Stati 250.000 dei 300.000 serbi Uniti che, con l’ausilio dei loche vi abitavano prima della ro media crearono, del tutto guerra. dal nulla, l’allarme di un geOggi il Kossovo, riconosciuto nocidio etnico in corso da Stato autonomo e indipenparte dei serbi ai danni della

dente, è il porto franco della mafia internazionale, del traffico di droga, di armi, di donne e persino di organi umani, nonché la base di alcune formazioni terroristiche riferibili ad Al Quaida. Occorreva un colpevole, un capro espiatorio, e gli americani chiesero al nuovo governo serbo-montenegrino la consegna dell’ex presidente Milosevic per poterlo tradurre all'Aja e farlo processare per crimini di guerra. Milosevic è morto in carcere nel corso del processo che, conseguentemente, si è estinto per la morte dell’imputato e, quindi, non potrà mai essere accertata la vera responsabilità di Milosevic nelle atrocità di quella guerra combattuta per terra e per cielo. Una precisazione merita tuttavia di essere fatta. Milosevic non era un dittatore ma il Presidente di uno Stato sovrano (almeno sino ai bombardamenti della Nato), eletto per due tornate elettorali consecutive con ampie maggioranze, sconfitto alla terza tornata da un candidato ultranazionalista e fascista che lo ha consegnato agli aggressori del proprio Paese in cambio di consistenti aiuti economici per la ricostruzione post bellica, erogati dal Fondo Monetario Internazionale lunga mano finanziaria degli USA. Qualche hanno più tardi, deluso dalle false promesse degli USA, Mirko Cvetkovic, primo ministro ultra nazionalista della Serbia, commemorando l’anniversario dei bombardamenti ha detto: “L’attacco contro il nostro Paese era illegale, contrario al diritto internazionale e perpetrato senza una decisione dell’Onu. I bombardamenti non hanno risolto i problemi nel Kosovo e non hanno aiutato a instaurare la pace e il rispetto delle leggi. Hanno causato pulizie etniche, violazioni dei diritti umani e delle norme internazionali”.

III


“Non lo darà!”

Discorso di Fidel all’Assemblea Nazionale cubana del 7 agosto 2010 Solo otto settimane fa pensavo che il pericolo imminente di guerra non avesse alcuna soluzione possibile. Tanto drammatico era il quadro che avevo davanti, che non vedevo un'altra uscita se non una pura sopravvivenza, forse, in quest’emisfero che non aveva motivo d’essere bersaglio di un attacco diretto, e in alcune regioni isolate del pianeta. Era molto difficile, sapendo che l'essere umano si afferra sempre a una prospettiva, anche se la stessa sembra remota. Ciononostante, lo tentai. Fortunatamente, non ci ho messo molto tempo a capire che c'era una speranza, infatti, molto profonda. Ma se si fosse mancata l’occasione, il disastro avrebbe la peggiore delle conseguenze. La specie umana non avrebbe allora salvezza possibile. Tuttavia, sono certo che non sarà così, anzi, si stanno creando adesso le condi-

zioni per una situazione alla quale, fino a poco tempo fa, non si era nemmeno sognato. Un uomo dovrà prendere la decisione da solo: il Presidente degli Stati Uniti. Sicuramente, viste le sue molteplici occupazioni, non si ne è ancora reso ancora conto, però i suoi consiglieri cominciano ormai a capirlo... Tenendo presente che l'Iran non cederà nulla di fronte alle esigenze degli Stati Uniti e Israele che hanno mobilitato già numerosi dei mezzi di guerra di cui dispongono, l'attacco dovrebbe avvenire al momento in cui spirerà la data convenuta dal Consiglio di Sicurezza il 9 giugno 2010. Tutto quanto l'uomo pretende ha un limite che non può sorpassare. In questo momento critico, il Presidente Barack Obama è quello che dovrebbe ordinare l’attacco secondo i principi del suo gigantesco impero.

Tuttavia, in quello stesso istante in cui desse questo ordine, che è inoltre l'unico che potrebbe dare in virtù del suo potere, a causa della velocità e della quantità delle armi nucleari accumulate in un'assurda gara tra le potenze, ordinerebbe la morte istantanea non solo di centinaia di milioni di persone, tra cui, un incalcolabile numero di abitanti della sua propria Patria, ma anche dei marinai di tutte le navi della flotta degli Stati Uniti che si trovano nei mari che circondano l'Iran. Nello stesso tempo, la deflagrazione investirebbe sia il vicino che il lontano oriente e tutta la Eurasia. Vuole il caso che in questo momento il Presidente degli Stati Uniti sia un discendente da africano e da bianco, da un maomettano e da un cristiano. Non lo darà! Se si riesce a fare in modo che ne prenda coscienza. È quello che stiamo facendo

qui. I leader dei Paesi più poderosi del mondo, alleati o avversari, ad eccezione dell'Israele, l'esorterebbero a non farlo. In tal caso il mondo gli renderà dopo tutti gli onori che gli spetteranno. L'ordine attuale stabilito nel pianeta non potrà sopravvivere per sempre e inevitabilmente precipiterà. Le cosiddette valute convertibili perderanno il loro valore come strumento del sistema che ha imposto ai Paesi un contributo di ricchezze, sudore e sacrifici senza limiti. Nuove forme di distribuzione dei beni e servizi, educazione e conduzione dei processi sociali sorgeranno pacificamente, tuttavia, se la guerra si scatena, l'ordine sociale in vigore sparirà bruscamente e il prezzo sarà infinitamente maggiore. La popolazione del pianeta può essere regolata; le risorse non rinnovabili preservate; il cambiamento cli-

matico evitato; il lavoro utile di tutti gli esseri umani garantito; i malati assistiti; le conoscenze essenziali, la cultura e la scienza al servizio dell'uomo assicurati. I bambini, gli adolescenti e i

giovani del mondo non periranno in quell’olocausto nucleare. È quello che desideravo trasmettervi, cari compagni della nostra Assemblea Nazionale.

2008 clamoroso: per la prima volta l’Italia supera Russia, Francia, Gran Bretagna, Cina e Germania nella esportazione di armi Nel 2008 le aziende italiane (quasi tutte del gruppo pubblico Finmeccanica) hanno firmato contratti per 3,7 miliardi di dollari, più che triplicando il risultato dell’anno precedente. Il trend di crescita prosegue anche negli anni 2009 e 2010

IV

Secondo i dati della Relazione annuale sui trasferimenti di armi, il 2008 sarà un anno da ricordare per l'industria italiana per la difesa. Il costante trend di crescita delle esportazioni di armi degli ultimi anni ha consolidato l'Italia come uno dei primi sette esportatori mondiali di armi. Il netto incremento segna un passo in avanti importante. Il valore delle 1880 autorizzazioni rilasciate per l'esportazione, nel 2008, è pari alla cifra record di 5,7 miliardi di euro (+35% rispetto al 2007), di cui circa 2,6 miliardi (ovvero il 46,9% del totale) per i cosiddetti programmi intergovernativi. Rispetto al 2007, si è avuto un incremento del valore delle autorizzazioni alle esportazioni, al netto delle operazioni "Intergovernative", pari al 28,5%, contro l'aumento del 9,4% dell'anno precedente. Le operazioni di esportazione definitive effettuate (ovvero quelle che effettivamente sono state consegnate) sono state di circa 1,7 miliardi. Rispetto al precedente anno si è pertanto verificato un aumento del 39,1 % del valore delle operazioni di esportazione di materiale. Si consolida il trend che, a partire dal 2005, ha visto una costante crescita sia delle autorizzazioni, sia delle esportazioni. In particolare, l'incremento del portafoglio ordini rappresentato dalle autorizzazioni è undato che permette di prevedere che conseguentemente anche nei prossimi anni si assisterà ad una crescita delle esporta-

zioni di armi. Tale tendenza per il futuro è confermata dalla crescita nel 2008 delle autorizzazioni alle trattative che sono state ben 2.926 rispetto alle 2.374 del 2007 e alle 2.192 del 2006, quindi con un ulteriore margine di incremento con le operazioni che andranno in porto nel 2009. L'Agusta S.p.A. con oltre 2 miliardi di euro di autorizzazioni (di cui 529 milioni relativi alla partecipazione a programmi intergoverna-

conda Mona per 254 milioni, seguita dall'Oto Melara (207), Galileo Avionica (185), Microtecnica (176), Consorzio Sigen (170 milioni totalmente relativi a programmi intergovernativi) e Fincantieri (163). Si evidenzia una prevalenza del settore pubblico, con le aziende della Finmeccanica (Agusta, Alenia, MBDA, Selex, Galileo, Otomelara tra le principali) che hanno come azionista di riferimento il Ministero dell'Economia che ne detiene il 30,2%.

ronautica rappresentano il 70% dei ricavi. Il portafoglio ordini, ovvero le prospettive dell'immediato futuro, è gonfio di 42 miliardi di commesse (+9%). In particolare nel 2008 Finmeccanica ha chiuso l'acquisizione della statunitense Drs, specializzata nell'elettronica. Sul futuro pesa la vicenda della commessa di elicotteri presidenziali per gli Stati Uniti, autorizzati nel 2006, il cui contratto è stato "congelato" dall'amministrazione Obama appena insediata.

2010 il costo della spesa militare tocca un record storico! Anche la spesa per l’istruzione tocca il record: minimo!

tivi) e il 36% del totale spicca, nel 2008, come principale industria esportatrice. Al secondo posto MBDA Italia con 629 milioni tutti relativi a programmi internazionali. Quindi Alenia Aereonautica con 568 milioni (circa la metà del valore è riconducibile a partnership con altri Paesi), Elettronica con 364 milioni, quasi del tutto relativi a progetti di cooperazione militare. Da segnalare, quindi, l'exploit di Se-

Finmeccanica, con un organico di oltre 73.000 addetti, ha chiuso il bilancio 2008, approvato lo scorso 29 aprile con ricavi per 15 miliardi di euro e una crescita del fatturato del 12% rispetto all'anno precedente, mentre il risultato netto è di 629 milioni (+19%). Il dividendo per lo Stato si è aggirato sui 70 milioni di euro. I settori dell'elettronica per la difesa, gli elicotteri e l'ae-

All’ottavo posto al mondo per spese militari, nel 2010 l’Italia spende oltre 23,5 miliardi di euro per la difesa. Sono i costi del nuovo esercito professionale, delle missioni all’estero e dei moderni armamenti come il caccia “stealth” F-35. E mentre l’Italia è divenuta il secondo produttore mondiale di armi, piazzando il proprio export militare alle spalle di quello degli Stati Uniti, un rapporto internazionale svela che il sistema bancario nazionale è coinvolto nel finanziamento della produzione di “cluster bombs”, malgrado l’Italia abbia sottoscritto l’accordo per la messa al bando delle micidiali bombe a grappolo, responsabili delle più efferate stragi di civili. Il costo esorbirante della

spesa militare, tocca un record storico malgrado la crisi economica, è contenuto tra i dati esibiti dal saggio “Il caro armato”, appena pubblicato da Francesco Vignarca (Rete Italiana per il Disarmo) e Massimo Paolicelli (Associazione Obiettori Nonviolenti). «Il testo, edito da “Altreconomia” – riferisce “PeaceReporter” – spiega come questi costi siano da imputare alle oltre trenta missioni militari italiane all’estero, al mantenimento di un esercito professionale di 190.000 uomini», equipaggiato ormai con modernissimi sistemi d’arma. Nell’esercito italiano, aggiunge “PeaceReporter”, «il numero dei comandanti supera quello dei comandati»: si contano 600 tra generali e ammiragli, 2.660 colonnelli

e decine di migliaia di altri ufficiali. Il costo delle forze armate italiane è dovunto soprattutto all’acquisto di armamenti tecnologicamente avanzati: dai nuovi sistemi d’arma dalla portaerei Cavour, ammiraglia della marina militare italiana, che costeranno 1,4 miliardi di euro, a nuovi vascelli come le fregate Fremm (5,7 miliardi) e ai nuovi caccia “invisibili” F-35, che da soli assorbiranno una spesa di 13 miliardi. In compenso l’Italia è al 32° posto, su 33 dei paesi Ocse, quanto alla spesa per l’istruzione: 4,5% del Pil contro una media Ocse del 6,2%; segue solo la Slovacchia al 4%. Per la ministro Gelmini bisogna però fare dei “tagli” anche sostanziosi!


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