Ottobre 2011

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Ultimo Lo scorso mese abbiamo festeggiato il traguardo del secondo anno di vita del giornale. Questo mese, con il venticinquesimo numero, ne comunico la chiusura. Uso la prima persona per significare la responsabilità che mi assumo di questa decisione in qualità di editore (che poi, molto semplicemente, vuole dire ideatore non da solo – redattore, impaginatore e distributore). Due anni fa è scomparso l’ultimo Partito Comunista italiano del XX secolo. E’ scomparso frantumandosi addosso alle scogliere del governo verso il quale lo avevano ipnoticamente attratto le sirene del potere. Qualcuno è rimasto sui legni della nave convinto ancora di riprendere il mare, i topi in maggioranza l’hanno presto abbandonata mettendosi in salvo su nuove imbarcazioni che di nuovo hanno solo la bandiera non più d’un solo colore. Rifondazione era il nome di quel partito che, nato dai resti del PCI, si era proposto l’ambizioso progetto di evolvere il pensiero scientifico marxista-leninista per aggiornarne i principi fondanti della lotta per l’emancipazione delle classi subalterne al nuovo contesto economico e sociale del mondo globalizzato. Rifondazione, tuttavia, scontava due limiti gravissimi: la senilità ideologica della componente più matura e la grave carenza culturale di quella più giovane. Rifondazione è stata incapace, perché culturalmente impreparata, di riconoscere e radicarsi nella propria naturale base sociale, la classe lavoratrice, perdendosi nella ricerca di egemonia di effimeri movimenti interclassisti privi di identità sociale e culturale. “Ricominciare dal basso a sinistra” è stata l’ultima parola d’ordine; ma quale “basso” e quale “sinistra” Rifondazione non è stata in grado di definirli, proprio perché priva degli strumenti di scienza e conoscenza. “Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza” insegnava Gramsci, “non c'è posto fra noi per chi non ha studiato abbastanza” incalzava Lenin, “apprendere dalla saggezza delle masse” aggiungeva ancora Mao. La forza di un Partito Comunista poggia interamente sulla propria cultura politica, sul sapere, sul conoscere, sul comprendere il presente per poter progettare il futuro. Nel vuoto lasciato dal collasso del partito comunista questo giornale è stato pensato, a immagine dell’insegnamento di Gramsci, per

provocare, nei limiti delle proprie oneste capacità, la rinascita dell’intelligenza comunista, entrando nelle case dei lavoratori per incoraggiarli e aiutarli ad esprimere i loro pensieri e a far sentire la loro voce. Il bilancio di due anni di pubblicazioni è stato sorprendente per certi aspetti, deludente per l’obiettivo principale. Il giornale ha riempito un vuoto di comunicazione, ma anche di idee e di dibattito nella nostra città. Bene! Questo fa sicuramente piacere. Ma non era per questo obiettivo che era stato pensato. Il giornale ha stimolato la cosiddetta “società pensante” della città, in parte avvicinandola nonostante differenze ideologiche anche forti, in parte spaventandola, forse proprio quando le differenze ideologiche avrebbero dovuto essere minori. Bene, anche [Nota: la foto del “leader” non è stata sfocata, si tratta di un fermo immagine, il parrucchino è comunque inconfondibile] questo. Ma non era per questo obiettivo che era stato pensato. Il giornale è entrato in molte case nelle quali, forse, l’unica forma di informazione era riservata alle tv del governo o del loro pati, leggiamo che tra i primi parole, guardando con at- za politica. Esse rispettano drone (che poi sono la stesSANDRO RIDOLFI ad accorrere a fianco dei tenzione alle bocche di co- altresì il diritto di ciascuna sa persona). Molto bene, in vincitori è stata la nostra loro che senza vergogna, delle Parti di scegliere e sviquesto caso. Ma non era soENI, che ha subito fornito sfrontatamente, le pronun- luppare liberamente il prolo per questo obiettivo che era stato pensato. Il giorna- Gheddafi ha concluso il aiuti ai ribelli ottenendo la ciano ancora. La così detta prio sistema politico, sociale non ha avuto invece ritor- suo tempo. Vivo o morto, assicurazione che il nuovo ciliegina è in coda: la priva- le, economico e culturale. ni proprio da quegli am- libero o incarcerato è co- governo manterrà tutti gli tizzazione della immigra- Articolo 3 Non ricorso alla minaccia o all’impiego delbienti sociali per i quali era munque uscito definitiva- impegni già firmati dal zione. la forza - Le Parti si impestato pensato e ai quali era mente dalla scena della po- rais: i nostri contratti sono Trattato di amicizia. destinato. Non ostante una litica economica mondiale. dunque salvi! (Compresi La Repubblica Italiana e la gnano a non ricorrere alla diffusione capillare e un evi- Non sarà più lui a parteci- quelli sul controllo dell’im- Grande Giamahiria Araba minaccia o all’impiego deldente gradimento manife- pare ai comitati d’affari migrazione). Continuere- Libica Popolare Socialista, la forza contro l’integrità stato dalla rapida consuma- che presiedono alla vendi- mo perciò a ricevere gas e qui di seguito denominati territoriale o l’indipendenzione delle copie in tutti i ta del petrolio e del gas li- petrolio dalla nostra ex “le Parti", consapevoli dei za politica dell’altra Parte o quartieri e le frazioni della bico e ai reinvestimenti dei “quarta sponda” e questo a profondi legami di amici- a qualunque altra forma città, è mancata la risposta. relativi ricavati nella finan- vantaggio di tutti, anche di zia tra i rispettivi popoli e incompatibile con la Carta Un giornale può essere uno za e nelle economie occi- chi scrive che quindi non del comune patrimonio sto- delle Nazioni Unite. strumento importante di un dentali. Questo lo sanno intende sottrarsi solo con rico e culturale; decise ad Articolo 4 Non ingerenza movimento o di un partito, bene molti dei suoi storici questa denuncia a una cor- operare per il rafforza- negli affari interni - Le Parma non può supplire la loro collaboratori che, chi più responsabilità che coinvol- mento della pace, della si- ti si astengono da qualunmancanza. A due anni di di- velocemente chi più tardi- ge l’intero popolo italiano. curezza e della stabilità, in que forma di ingerenza distanza è tempo di tirare vamente, sono via via pas- Una denuncia occorrerà particolare nella regione retta o indiretta negli affaonestamente le somme e sati nello schieramento dei pur farla, quanto meno al- del Mediterraneo; impe- ri interni o esterni che rienchiudere questa esperienza ribelli, pronti a riprendere l’ipocrisia che, seppure è gnate, rispettivamente, nel- trino nella giurisdizione prima che possa diventare i ruoli di prima, magari una peculiarità della no- l’ambito dell’Unione Euro- dell’altra Parte, attenendoqualcosa d’altro. Non si fer- senza un rais, ma sempre stra cultura cattolica, tutta- pea e dell’Unione Africana si allo spirito di buon vicima però l’esperienza di agli ordini delle potenze via alle volte supera i pur nella costruzione di forme nato. Nel rispetto dei prinPiazza del Grano che prose- occidentali. Che ne sarà del larghi confini della falsità di cooperazione ed integra- cipi della legalità internague, in nuova veste e forma, popolo libico non è diffici- per debordare nella sfac- zione, in grado dì favorire zionale, l’Italia non userà, col sito del quotidiano on li- le immaginarlo, anche alla ciataggine. Giorno dopo l’affermazione della pace, ne permetterà l’uso dei prone PdG News. E’ un’espe- luce della recente sorte giorno emergono i crimini la crescita economica e so- pri territori in qualsiasi atrienza nuova tutta da co- toccata al popolo iracheno. aberranti commessi dal ciale e la tutela dell’am- to ostile contro la Libia e la struire e forse, proprio gra- Un paese già povero e arre- deposto rais, stupratore di biente; hanno convenuto Libia non userà, né permetterà, l’uso dei propri territozie all’accessibilità del mez- trato, devastato da un con- migliaia di amazzoni, re- quanto segue: zo informatico, riuscirà a flitto breve ma violentissi- sponsabile di stragi occul- Articolo 1 Rispetto della le- ri in qualsiasi atto ostile stabilire quell’interscambio mo, cadrà molto probabil- tate in innumerevoli fosse galità internazionale - Le contro l’Italia. che è mancato al mensile, mente nel caos di divisioni comuni, torturatore di mi- Parti, nel sottolineare la co- Articolo 19 Collaborazione affiancando alle notizie tribali, violenze etniche e granti in transito dall’Afri- mune visione della centra- nella lotta ... all’immigraquotidiane, spazi di dibatti- religiose, vessato e violen- ca nera verso l’Europa e lità delle Nazioni Unite nel zione clandestina - … in teto, blog, forum. Un facebo- tato da signori della guer- l’Italia in particolare. Liber- sistema di relazioni inter- ma di lotta all’immigraziook intelligente dove l’ “ami- ra e padroni delle risorse tà, democrazia, diritti civi- nazionali, si impegnano ad ne clandestina, le due Partì cizia” non nasce e non si minerarie. I salvatori Ca- li e simili parole riempiono adempiere in buona fede promuovono la realizzaesaurisce in un click, ma meron e Sarkozy sono già ora la bocca dei tromboni agli obblighi da esse sotto- zione di un sistema di conpuò richiedere e produrre corsi per cercare di racco- della nostra politica. Eppu- scritti, sia quelli derivanti trollo delle frontiere terreidee e confronti. L’appunta- gliere subito i frutti dei lo- re solo due anni fa il no- dai principi e dalle norme stri libiche, da affidare a somento da oggi non sarà più ro investimenti militari. I stro Parlamento, con ver- del diritto Internazionale cietà italiane in possesso mensile, ma quotidiano. E’ governanti italiani sembra- gognoso voto bipartisan, universalmente riconosciu- delle necessarie competenun nuovo inizio. no avere avuto il buon gu- ha approvato un Trattato ti, sia quelli inerenti al ri- ze tecnologiche. Il Governo Sandro Ridolfi sto di non andare, almeno di amicizia e collaborazio- spetto dell’Ordinamento In- italiano sosterrà il 50% dei costi, mentre per il restanper ora. Ma forse non è sta- ne con la Libia che traboc- ternazionale. to neppure buon gusto cava di quelle stesse paro- Articolo 2 Uguaglianza so- te 50% le due Parti chiede(che sarebbe davvero una le pronunziate in coro con vrana - Le Parti rispettano ranno all’Unione Europea sorpresa da personaggi del quello stesso rais. Leggia- reciprocamente la loro di farsene carico, tenuto genere), ma della così det- mo assieme alcuni passag- uguaglianza sovrana, non- conto delle Intese a suo ta solita furbizia italiana. gi di quel trattato e riflet- ché tutti i diritti ad essa ine- tempo intervenute tra la news.piazzadelgrano.org Se infatti scorriamo le cro- tiamo per un attimo sul- renti compreso il diritto al- Grande Giamahiria e la nache dei giorni preceden- l’uso e sull’abuso di quelle la libertà ed all’indipenden- Commissione Europea.

“I nostri contratti sono salvi”

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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno III, n. 10 - ottobre 2011


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Merito creditizio per la richiesta di un mutuo ROBERTO FRANCESCHI

Chiedere un mutuo è una cosa, ottenerlo è un'altra. Gli istituti di credito infatti effettuano una propria istruttoria (con criteri differenziati, ma sostanzialmente omogenei) che riscontra puntualmente tutte le informazioni fornite dal richiedente. Viene comunque e sempre richiesta opportuna documentazione a supporto (dichiarazione ufficiale dei redditi, perizia dell'immobile generalmente con tecnici di propria fiducia, atti attestanti altre proprietà, ecc.). Altro e importantissimo sistema di accertamento è il ricorso ad informazioni ottenute attraverso la centrale rischi (gestita da Banca d' Italia) o di società private come CRIF. Queste banche dati forniscono informazioni per richieste di finanziamento inoltrate e non ancora evase, importi di finanziamenti o affidamenti in corso, pagamenti rateali in ritardo o in sofferenza, impegni di garanzie rilasciate (fidejussioni). La banca così potrà conoscere tutti gli impegni in corso nonché eventuali irregolarità o puntualità dei pagamenti; su questo tema le banche generalmente concentrano la massima attenzione. Ottenere un finanziamento in presenza di anomalie in ceri o crif è estremamente complesso. L'esperienza infatti insegna che chi paga regolarmente i propri impegni continuerà a farlo, come è vero esattamente il contrario. In sostanza si adotta il criterio che distingue il buono dal cattivo pagatore. Non ho volutamente citato altri eclatanti elementi negativi, quali protesti reiterati o procedure esecutive in corso che sconsi-

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Leggi e diritti

glierebbero vivamente solo il proporre la domanda. Ulteriore elemento di massima importanza è la valutazione sulla "capacità di rimborso" e la sua continuità nel tempo. La rata del mutuo non dovrebbe mai superare di 1/3 delle entrate familiari al netto di altri impegni in corso. L'indicazione ovviamente può variare in senso restrittivo o espansivo valutando altri fattori quali la durata residua degli altri impegni o ricorrendo all'aiuto di un garante che tecnicamente è chiamato fidejussore. E' da tenere comunque presente che in caso di presenza di un garante viene effettuata nei suoi confronti la medesima valutazione istruttoria. Il rilascio però di una garanzia fidejussoria (a volte prestata con superficialità) è un impegno gravoso in quanto si potrà essere chiamati a rispondere del debito con il proprio patrimonio o reddito. Prestare una garanzia è bene che sia destinata solo a quelle persone che si aiuterebbero in caso di difficoltà indipendentemente dall'impegno scritto: di solito parenti stretti. Il debito contratto si estenderà, infatti, anche agli eredi del debitore principale e del garante. Passiamo ora alla valutazione del bene immobile offerto in garanzia. Il valore in genere non deve superare l'80% del mutuo, anche se a volte è richiesto uno scarto maggiore (ad esempio per immobili rurali o siti in zone di scarso valore commerciale) o anche raggiungere percentuali maggiori se ad esempio supportate da altre garanzie reali (pegno) o la capacità di rimborso è particolarmente ampia. Si valu-

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Il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Rafforzate le tutele verso i minori SALVATORE ZAITI

ta con attenzione anche la provenienza dell'immobile che se pervenuta da donazione spesso non viene preso in considerazione per la concessione del mutuo. La clientela spesso si domanda il perché di tante difficoltà o richieste di informazioni e documentazione... "se non pago si prendono la casa". La realtà purtroppo è molto più complessa. Il tempo di realizzo di una vendita forzosa di un immobile per il recupero del debito in Italia, è di circa sette anni. Sommando le spese legali e gli interessi di mora accumulati quasi mai si riesce a recuperare il denaro prestato; vero che le banche spesso svendono i propri crediti problematici anche in perdita. Concedere mutui a clientela problematica, produce sempre un danno diretto o indiretto. La trattazione dell'argomento è volutamente "giornalistica", infinite infatti sono le variabili e solo confrontandosi direttamente con un serio e professionale Istituto si possono risolvere positivamente le nostre aspettative ed avere assistenza nel tempo anche a tutte quelle evenienze che possono accadere durante il rimborso (possibili richieste di allungamento della durata, restrizioni ipotecarie, estinzioni anticipate ecc.) che le cosiddette banche online non soddisfano.

“Al fine di assicurare la piena attuazione e la tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età…è istituita l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza”. Così l’art. 1 della legge 12 luglio 2011, n. 112. Il provvedimento dà attuazione, con evidente ritardo, all’art. 31 della Costituzione (“La Repubblica…protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”) e ad una serie di convenzioni e atti internazionali (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950; Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989; Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996). Nel panorama europeo l’istituzione del Garante si colloca in linea con figure analoghe già esistenti ed operanti. In Francia la legge 6 marzo 2000, n. 16 aveva istituito il Défenseur des enfants, ora ricompreso nella più ampia figura del Défenseur des Droits (15 marzo 2011). Nel Regno Unito sono stati istituiti Children’s Commissioners di nomina ministeriale. In Spagna, pur non essendo nominato un vero e proprio garante nazionale, una legge del 1996 ha offerto ai minori la possi-

bilità di rivolgersi al Defensor del Pueblo per far rispettare i propri diritti. Anche in Germania non esiste un garante per l’infanzia a livello federale; funzioni simili vengono svolte dalla KinderKommission (Kiko), una Sottocommissione permanente del Bundestag, creata nel 1988 e da allora sempre rinnovata. Nell’ambito della nostra legislazione regionale, nel corso dell’ultimo de-

cennio, quasi tutte le regioni italiane hanno proceduto all’istituzione del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza. Prima fra tutte la Regione Marche con L.R. 15 ottobre 2002, n. 18, anche se i primi interventi in questo settore sono da attribuirsi al Veneto (L.R. 42/1988 istitutiva dell’Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori) e al Friuli VeneziaGiulia (L.R. 49 del 1993 con la quale veniva costituito l’Ufficio del Tutore pubblico). La Regione Umbria ha provveduto con L.R. 29 luglio 2009, n. 18 e, ultima in ordine di tempo, la Sardegna con L.R. 7 febbraio 2011, n. 8. Veniamo ora alla Legge 112, approvata definitivamente dal Parlamento il 22 giugno scorso. Il Garante è un orga-

no monocratico con poteri autonomi e indipendenza amministrativa. Il titolare è nominato d’intesa dai Presidenti della Camera e del Senato, dura in carica quattro anni ed è rinnovabile per una sola volta; non può ricoprire cariche o essere titolare di incarichi all’interno di partiti o movimenti politici per tutto il periodo del mandato. Al Garante sono assegnate una serie di funzioni di promozione, collaborazione e garanzia. Può esprimere pareri sui disegni di legge e sugli atti normativi del Governo in materia di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. L’Autorità garante promuove, inoltre, a livello nazionale, studi e ricerche sull’attuazione dei diritti dei minori; segnala alla competente Autorità Giudiziaria situazioni di disagio di persone minori ed eventuali abusi che abbiano rilevanza penale. Chiunque può rivolgersi al Garante, anche attraverso numeri telefonici di pubblica utilità gratuiti, per la segnalazione di violazioni ovvero di situazioni di rischio per i diritti delle persone di minore età. La legge ha infine istituito la Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, presieduta dall’Autorità e composta dai garanti regionali, per promuovere linee d’azione comuni e per individuare forme per un costante scambio di dati ed informazioni.

Non sono annullabili i matrimoni che durano da anni È contrario ai principi di ordine pubblico rimettere in discussione un legame che dura da tempo considerevole adducendo riserve mentali o vizi del consenso ELISA BEDORI

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione (prima sezione civile, n. 1343/2011): i matrimoni di lungo corso annullati dalla Chiesa non sono annullabili automaticamente dallo Stato. La sentenza è stata emessa dalla Suprema Corte, in accoglimento del ricorso di una signora veneta il cui matrimonio era stato annullato dalla Sacra Rota nel marzo del 2001 per assenza di figli. Infatti, in base all’ordinamento italiano, il matrimo-

nio può “venire meno” per via della separazione e del divorzio oppure attraverso il suo annullamento. Mentre nel primo caso viene sciolto un matrimonio considerato valido, l’annullamento cancella il vincolo coniugale come se non fosse mai esistito e, di conseguenza, estingue tutti gli obblighi a protezione del coniuge più debole. Se il Tribunale civile si occupa dei matrimoni celebrati con rito civile o religioso diverso dal cattolico, per i matrimoni concordatari, ossia celebrati in Chiesa e trascritti nei registri di Stato Civile, sono

competenti sia il Tribunale ecclesiastico che quello civile. Ora, sulla base dell’art. 8, comma 2, dell’Accordo del 1984 tra Santa Sede e Italia, le sentenze pronunciate dai Tribunali ecclesiastici, una volta diventate esecutive per l’ordinamento canonico, su domanda delle parti o di una di esse, sono dichiarate efficaci in Italia con una sentenza di delibazione della Corte di Appello competente. Pertanto, nel 2007 la Corte d'Appello di Venezia accoglieva la richiesta, fatta dal marito, di omologa della sentenza della Chiesa da parte dello

Stato. Le motivazioni accampate dall’uomo si basavano sul fatto che le nozze, celebrate nel 1972, erano viziate poiché la moglie, a detta di lui, aveva taciuto di non volere figli. Ma la Cassazione ha sancito che la prolungata convivenza è da considerarsi come un’espressa volontà di “accettazione del rapporto” e dunque incompatibile con la facoltà di poterlo rimettere in discussione. I giudici di Piazza Cavour hanno precisato che non può essere riconosciuta nello Stato italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità

del matrimonio quando i coniugi abbiano convissuto come tali per oltre un anno, nella fattispecie per vent'anni, dal momento che detta sentenza produce effetti contrari all'ordine pubblico, per contrasto con gli articoli 123 del codice civile (simulazione del matrimonio) e 29 della Costituzione (tutela della famiglia). Il presupposto di tale decisione è da ricercarsi, verosimilmente, nella necessità di evitare che

il ricorso alla giustizia ecclesiastica (ed il successivo ricorso alla giustizia italiana finalizzato all'annullamento del matrimonio) possa tradursi in una disinvolta ed incontrollata scappatoia, finalizzata all'ottenimento dello stato libero in tempi rapidi, che nulla hanno a che vedere con il significato sacramentale del matrimonio e delle reali cause che possano determinarne la dichiarazione di nullità.


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Politica ed Etica

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Il canone televisivo LUIGI NAPOLITANO

La Giostra della Quintana settembrina segna, nei miei bioritmi, la fine dell’estate ed il ritorno alle consuetudini invernali tra le quali rientra una più assidua visione dei programmi televisivi, soprattutto serali. Questa abitudine mi ha indotto a ripercorrere la storia della televisione e ad una considerazione, in particolare, che vorrei condividere con coloro che avranno la curiosità e la pazienza di leggere queste brevi note. Premetto di ritenere ancora attivi gli effetti del tristemente famoso editto bulgaro, perchè pronunciato a Sofia il 18 aprile 2002 dall'allora Presidente del Consiglio durante una conferenza stampa, con il quale denunciò quello che, a suo dire, era stato un uso criminoso della tv pubblica da parte di due giornalisti e di un autore satirico, affermando successivamente che sarebbe stato un preciso dovere della nuova dirigenza RAI non permettere più il ripetersi di tali eventi. Affermazione

che comportò l’estromissione dei tre dal palinsesto della RAI, rivelando da parte dei chiamati in causa una compiacenza che sfiorò il servilismo. La televisione, da decenni oggetto di arredamento di tutte le case, come parola ha la sua etimologia nel termine greco tele ossia a distanza e nel verbo latino video ossia vedo; come strumento diffonde contemporaneamente i medesimi contenuti visivi e sonori consentendo agli utenti la percezione di notizie, spettacoli ed avvenimenti anche in tempo reale. Costituisce, di fatto, uno dei mezzi di comunicazione di massa più diffusi ed apprezzati e per la stessa ragione è tra i più discussi. Parte in Italia nel 1954 come soggetto pubblico, gestito dalla Stato in regime di monopolio. Nonostante le numerose richieste da parte di soggetti privati di fare televisione, sia il Parlamento che la Corte Costituzionale si pronunciano negativamente. E’ solo nel 1974 con la sentenza n. 225 e nel 1976 con la sentenza n. 202 che la Corte Costituzionale liberalizza la possibilità per i privati di trasmet-

tere programmi televisivi prima via cavo, poi via etere. Queste vicende ed una successiva normativa, spesso promulgata ad hoc nell’interesse dell’autore dell’editto (all’epoca solo imprenditore), hanno cristallizzato in Italia una situazione per cui ad una televisione affidata allo Stato e gestita con finalità pubblica si è contrapposta una televisione privata, finanziata dalla pubblicità e volta al profitto economico. Nella fase iniziale la televisione italiana pubblica era, per unanime riconoscimento degli organi di informainternazionali, zione una delle più pedagogiche al mondo. Le sue finalità erano certamente educative, basti pensare alla tra-smissione “non è mai troppo tardi” del maestro Manzi, e se da un lato la programmazione, pur non cercando il consenso dei telespettatori, poteva essere considerata soporifera, dall'altro ebbe indubbi benefici nei confronti di una situazione nazionale, a quei tempi, caratterizzata da una certa arretratezza nei costumi e da una disomogeneità culturale. Non è solo una battuta umoristica

quella secondo la quale, almeno a livello linguistico, la televisione ha più merito di Garibaldi nella realizzazione dell'unità d'Italia. Con il passare degli anni e l’affermarsi della televisioprivatane commerciale, si è assistito ad una dissennata rincorsa all’audience da parte della televisione pubblica, per ragioni chiaramente pubblicitarie e dunque finanziarie e, ad uno scadimento del servizio che ha reso l’offerta di entrambe pressoché identica. Se a queste televisioni si aggiunge l’offerta di quella privata a pagamento, che si è assicurata la trasmissione degli eventi sportivi di particolare importanza e la visione di film e telefilm in prima visione, appare indispensabile per quella pubblica offrire programmi di buona qualità culturale, che sappiano dare una visione non di parte degli eventi di

rilevanza sociale. Per cui, pur dando per scontata l’occupazione da parte dei politici della TV pubblica, connaturata al suo ruolo di mezzo di comunicazione di massa, appare inaccettabile la cancellazione alla quale stiamo assistendo di quasi tutti i programmi non in linea con l’orientamento politico governativo e l’appiattimento di quelli di intrattenimento e dei notiziari. Il tutto a dispetto della circostanza che la Presidenza del

Consiglio di Amministrazione dell’ente sia affidata ad un esponente dell’opposizione che più che un ruolo di garanzia sembra svolgere la funzione del Re Travicello. A questo punto mi domando quale sia la ragione per la quale il solo possesso di un apparecchio televisivo comporti l’obbligo per noi cittadini di pagare il canone di abbonamento che, secondo uno studio dell’Anci, è l’imposta meno gradita dagli Italiani.

Crimini contro l’umanità Il Papa denunciato al Tribunale dell’Aja SANDRO RIDOLFI

Nei primi mesi di quest’anno sono state presentate al Tribunale dell’Aja (istituito con la convenzione del luglio 2002 - non sottoscritta, tra gli altri, dagli USA e dallo Stato del Vaticano - per perseguire i crimini contro l’umanità) due denuncie a carico del Papa Benedetto XVI. La chiamata in giudizio del Papa è basata sul principio della responsabilità oggettiva, in quanto capo assoluto di una organizzazione internazionale fondata su principi di centralismo sostanzialmente militarizzato. Le denunce accusano la Chiesa romana di essere responsabile di crimini contro l’umanità perpetrati attraverso induzioni psicologiche fortemente lesive dei diritti alla vita, nonché mediante la sistematica copertura di violenze perpetrate da appartenenti all’ordine ecclesiale cattolico a danno di minori. La prima denuncia presentata nel mese di marzo da due avvocati nativi della stessa città della Baviera dell’attuale Papa, espone tre capi

di imputazione: 1) induzione attraverso il battesimo, praticato su neonati non in grado di intendere e scegliere, di un arruolamento sostanzialmente militare nei ranghi della Chiesa cattolica, irreversibile anche nell’età della ragione sotto minaccia della dannazione eterna; 2) inibizione all’uso dei contraccettivi, sempre sotto minaccia di dannazione, con il conseguente condizionamento delle vittime, con riflessi peraltro anche nella più ampia comunità, alla esposizione al rischio della contrazione e della diffusione di malattie mortali (AIDS); 3) consapevole e dolosa copertura delle violenze fisiche e morali praticate diffusamente da appartenenti all’ordine religioso cattolico ai danni di minori (pedofilia), con responsabile omissione della attivazione di qualsiasi pratica caute-

lativa e repressiva del fenomeno da parte della Chiesa. La denuncia, molto circostanziata e documentata, pecca di una gravissima debolez-

peso politico e morale che da anni si battono in tutto il mondo specificamente per denunziare e contrastare il fenomeno della pedofilia

za nei presupposti, in quanto proveniente da due soggetti notoriamente appartenenti a una setta religiosa fortemente conflittuale con quella cattolica e, secondo loro dichiarazioni, in contatto con gli “alieni”. La seconda denuncia, più recente, è stata invece presentata da due organizzazioni internazionali di grande

cattolica, la Snap (Survivors network of those abused by priests) e il Cfcr (Center for Constitutional Rights). Anche in questo caso la denunzia è estremamente circostanziata e supportata da una voluminosa documentazione comprovante un grande numero di fatti delittuosi perpetrati da appartenenti al clero cattolico

e, in particolare, la condotta omertosa tenuta dalla organizzazione della Chiesa, dai livelli periferici vescovili sino al Papa romano. La den u n z i a verrà esaminata nei prossimi mesi dal procuratore del Tribunale, Luis Moreno Acampo, anzitutto sotto il profilo della competenza del Tribunale per i crimini c o n t r o l’umanità in relazione alla particolare tipologia dei fatti delittuosi denunziati. Di ciò sono ben consapevoli le organizzazioni denunziati che nella nota di presentazione della denunzia affermano: “Sappiamo che può essere difficile per alcuni equiparare i crimini sessuali, e la loro copertura, alle altre forme di violenza che vengono affrontate dalla Corte penale internazionale, ma la violenza,

gli stupri e le torture possono assumere molte forme. Possono essere commesse apertamente o di nascosto, con ordini espliciti o con omissioni e occultamenti. Possono accadere durante la pace o la guerra, nella piazza del paese o a porte chiuse, da parte di funzionari nelle istituzioni pubbliche o private. Ma è sbagliato punire la violenza contro migliaia di vittime evidenti ignorando una uguale violenza commessa contro migliaia di vittime non evidenti.” Una nota va evidenziata, ambedue le organizzazioni denunziati provengono dal mondo anglosassone che, culturalmente e politicamente, ha sempre avversato la Chiesa cattolica romana la quale, in forza del principio militare della soggezione di tutti gli aderenti in qualsiasi parte del mondo al Papa romano, si pone come “Stato nello Stato”, in grado di minare l’autorità statuale della Nazione di riferimento. La nostra esperienza post unitaria, dalla stipula del Concordato voluto dal governo fascista, alla creazione della Democrazia Cristiana, ne è la prova eloquente. Seguiremo gli sviluppi.


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Polino Nel precedente numero del giornale ho visitato Arrone e sono stato un po' a pensare quale comune visitare... uno sguardo alla cartina ed è stato facile scegliere: a dieci km c'è Polino. Di corsa devo recarmi a Polino, il più piccolo comune della Provincia di Terni. Non vorrei che all'ennesima manovra correttiva dei conti, il governo lo faccia definitivamente sparire. Per la verità è veramente piccolo, al 30 aèrile 2011 conta circa 260 abitanti, con una superficie di 19,46km2 Sono da poco tornato da un viaggio all' estero e sicuramente il termine di paragone in punto abitanti è impressionante: il Rockefeller Center, che è praticamente un

solo grattacielo , conta 18.000 persone che vi lavorano. Polino è situato a 836mslm dominando la valle del torrente Rosciano. E' necessaria un’immediata citazione per Americo Matteucci,

sindaco del comune per circa 44 anni, anche se non consecutivi. L attuale sindaco si chiama Ortenzio Matteucci (non so se sia parente) ed a lui come sempre vanno i miei saluti ed i migliori auguri per la sua comunità. Il Patro-

no è San Michele Arcangelo e si festeggia il 29 Settembre. Tutta l'area era nel passato nota per le cave di marmo e per miniere di ferro ed oro, attività ovviamente ad oggi non più in attività. Evento particolare, oltre alle sagre estive, è da citare la festa della castagna nell'ultima settimana di Ottobre. Le mie informazioni sono sempre volutamente brevi e nel caso sono quasi inevitabili, credo comunque che i Polinesi siano sicuramente tranquilli e fieri delle loro piccole dimensioni. Programmate quindi una visita, magari per la prossima festa della castagna, a Polino.

“Le macchine che si mangiano le case” Terminate le demolizioni dell’ex Ospedale di Foligno LORENZO BATTISTI

L’ex ospedale San Giovanni Battista è stato demolito. Anche la parte prospiciente Largo Volontari del sangue è caduta sotto i colpi delle ruspe. I lavori sono proseguiti in maniera spedita, approfittando anche della chiusura estiva delle scuole che ha permesso di portare avanti i lavori senza dover intralciare il traffico, evitando così la ventilata chiusura delle strade. Le pale meccaniche hanno iniziato a demolire gli immobili che si affacciavano su Via Santa Lucia, quelli che riportavano l’insegna della “Cassa di Risparmio di Foligno”, in memoria di una vecchia donazione dell’Istituto, e sono poi proseguiti lungo Via Gentile da Foligno. Una prima considerazione da fare concerne la totale assenza di polemiche che hanno accompagnato gli interventi, poiché tutto si è svolto nella massima sicurezza, con un ponteggio/tunnel posto a protezione della circolazione. Altra nota positiva è stata la mancanza di polvere sollevata, grazie all’utilizzo di pompe idrauliche che hanno costantemente “innaffiato” le macerie, evitando così disagi ai residenti che, infatti, non si sono praticamente mai

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dalle Città

OTTOBRE 2011

Villa Fidelia ospita le opere dell’artista Paolo Massei La splendida cornice di villa Fidelia a Spello ospita la mostra dell’artista scultore bevanate Paolo Massei dal titolo “In tempo col tempo” patrocinata dalla Provincia di Perugia. Fino al 23 ottobre sarà possibile osservare le sue opere inserite nel grande giardino della villa ma anche all’interno degli spazi della Limonaia. Il curatore della mostra, il professore Alberto D’Attanasio, scrive di lui: “Paolo Massei è un artista che più d’ogni altro ha fatto dell’interiorità e del cammino spirituale la fonte da cui attingere la sua ispirazione; le sue opere diventano dunque gli indicatori per arrivare all’essenzialità del mistero dell’esistenza. Lui plasma la materia fino ad arrivare all’essenzialità della forma, perché siano chiari, quanto immediati, il messaggio e la chiave di lettura dell’opera. In Paolo Massei la fantasia diviene creazione, attraverso una modularità di forme geometriche che hanno la stessa armonia ancestrale delle molecole e dell’elica del dna. Il quadrato, nelle opere di quest’artista, ritorna alla sua simbologia arcaica: fortezza e regolarità

e il cerchio richiama a mondi paralleli che si armonizzano in vite che non hanno termine ma si evolvono e mutano, superando l’umana ragione per scegliere ciò che ha una ragione più antica, quella cosmica dell’anima. Le sue sculture irrompono nello

spazio, e la luce si insinua e scruta superfici che si liberano dalla gravità e assumono le geometrie che gli antichi chiamavano celesti. Massei infatti concepisce l’opera perché l’osservatore in essa trovi un varco attraverso cui canalizzare il proprio pensiero, compiendo co-

sì un’azione di comunicazione visiva che ha del geniale, soprattutto in questi tempi di afonia comunicativa. Il suo pensiero creativo non è introverso, non ha idee personalistiche; il suo vivere l’arte è pura comunicazione, perché si svolge nella esigenza antica del raccontarsi perché chi ascolta possa tramandare e vivere meglio il cammino antico e in infinito della vita. Così vanno lette le sue opere: la trama di una superficie si rompe per l’effetto di una sfera che con la sua cosmicità porta un cambiamento e quindi una metamorfosi. Un cubo nella serialità che attinge a quella più matematica di Fibonacci, s’innalza dalla madre terra e nello scorcio che si genera nella costruzione verticale, si evolve quasi che il cielo diventi parte integrante ed estrema dell’opera stessa. Paolo Massei ha la forza genuina della sua terra, l’Umbria, dei suoi avi umbri e ci viene a raccontare le sue storie perché sa bene che sono le emozioni e i sentimenti a rendere immortale ogni cosa”

Officina 34 Nuova stagione musicale lamentati, come del resto tutti gli esercizi commerciali della zona. La vera sorpresa, tuttavia, è stata la reazione della gente, di tutti coloro che si sono trovati a passare in questi giorni davanti all’ex ospedale. Oltre alla solita folta schiera di curiosi che hanno assistito quotidianamente alle operazioni, innumerevoli sono state le testimonianze di coloro che, per motivi diversi, hanno voluto esprimere la propria soddisfazione per la demolizione. C’è stato chi, infatti, si è complimentato i proprietari dell’area (tutti imprenditori della zona di Foligno) per l’abbattimento di un edificio ormai fatiscente e abbandonato da anni; ma c’è stato anche chi, visibilmente commosso, ha letteralmente gioito alla scomparsa dell’edificio, troppo spesso legato a brutti ricordi.. Così, insieme a quelle frasi, liberatorie di tante sofferenze

costantemente evocate dalla vista dei vecchi padiglioni ospedalieri, si sono aggiunte quelle dei bambini che vedendo le ruspe al lavoro hanno poi raccontato “delle macchine che si mangiano la case”. Ora non resta che attendere l’inizio dei lavori di riqualificazione dell’area, con la creazione di parcheggi sotterranei e la creazione di una vera e propria piazza, grazie all’arretramento degli edifici da costruire che, per motivi di sicurezza, dovranno avere il piano terra rialzato di almeno di 70 cm, come la normativa sul rischio esondazione impone. Al di là degli interessi privati che hanno spinto gli imprenditori ad avviare questa importante iniziativa edilizia, sussistono forti aspettative degli abitanti dell’intero quartiere e, forse, della città tutta, per riappropriarsi di un pezzo di Foligno da troppo tempo trascurato.

L’Officina 34 riapre i battenti con una nuova e intensa stagione musicale. Il primo impedibile appuntamento è fissato per venerdì 30 settembre con i marchigiani Contradamerla (già finalisti del prestigioso Italia Wave Love Festival), un gruppo che parte dal folk per toccare, con insolita maestria ogni possibile angolo della musica popolare. Il resto della programmazione? E’presto detto: il 14 ottobre abbiamo C+C=Maxigross (da Verona con furore), il 20 ottobre il songwriter Enrico Farnedi e il 28 il folk di Nicolas J. Roncea. Novembre e dicembre vedono già fissati alcuni importantissimi appuntamenti: il 4 novembre sarà la volta del bluesman romano Spooky Man, mentre il 9 e il 16 dicembre avremo il piacere di ospitare i Green Like July (country da Alessandria) e i Vernon Selavy (mariachiblues da Torino). Le novità della stagione? In primo luogo l’Officina ha deciso, come ogni lo-

canda che si rispetti, di provvedere ad organizzare un servizio cena per i suoi clienti e, in onore al suo glorioso passato di luogo di duro lavoro, provvederà in prima persona, grazie ai suoi aitanti baristi, alla realizzazione di panini di infinita varietà che delizieranno il vostro palato. Novità numero 2:

i concerti quest’anno inizieranno alle ore 9. I motivi? 1. Completa solidarietà per chi la mattina dopo deve andare a lavorare 2. Comprensione delle esigenze del vicinato. 3. Andare a letto presto migliora la reattività del corpo e ci aiuta ad essere più giovani, quindi più belli. Vi pare poco? Ci vediamo il 30.


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Foligno

OTTOBRE 2011

Rinasce il Palazzo Comunale di Foligno FABIOLA GENTILI ALFIERO MORETTI

Foligno ha ritrovato l’antico Palazzo Comunale, completamente restaurato e riconsegnato alla città, quattordici anni dopo il terremoto del 1997. L’inaugurazione – a cui hanno partecipato la Presidente della Regione Umbria, On. Catiuscia Marini, il Capo Dipartimento della Protezione Civile Prefetto Franco Gabrielli, e il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, gen. Giuseppe Valotto, cittadino onorario di Foligno – si è svolta lo scorso 16 settembre: una data destinata a rimanere scolpita nella memoria dei folignati, perché con la totale riapertura di questo edificio, simbolo della “istituzione cittadina”, può dirsi, sostanzialmente concluso, l’impegnativo percorso della ricostruzione post sisma. Un percorso, sicuramente positivo, che ha profondamente riqualificato il tessuto sia dei centri frazionali collinari e montani che del centro antico, rendendo più bella la nostra città. Sono stati anni difficili, che tutti noi ricordiamo con grande emozione. Dopo la scossa che fece crollare il “torrino”, il 14 ottobre del ’97, gran parte del patrimonio edilizio pubblico e pri-

vato era inutilizzabile. Ben 3.361 i nuclei familiari sgomberati: oltre ottomila persone senza più una casa. La prima risposta è stata quella di dare una sistemazione dignitosa a chi aveva perso l’abitazione: allestendo immediatamente tendopoli, fornito roulottes ed ospitando nei moduli abitativi mobili, entro 90 giorni dall’inizio della crisi sismica, oltre 3.200 persone, mentre circa 4.800 persone avevano travato una autonoma sistemazione. La ricostruzione è iniziata subito. La precedenza è stata data alle abitazione ed alle strutture produttive. Oggi, a 14 anni dal sisma, il 98 per cento della popolazione è rientrata nelle proprie case ormai riparate, mentre il restante 2% (circa 50 famiglie) risiede ancora provvisoriamente in edifici di edilizia residenziale pubblica o nelle casette di legno. La ricostruzione si è articolata in oltre 3.350 interventi, fra cantieri pubblici e privati. Nel centro storico di Foligno sono stati aperti ben 685 cantieri ed eseguiti oltre trenta interventi di recupero dei beni culturali mentre è in attuazione il grande can-

tiere delle urbanizzazioni e pavimentazioni che si concluderà alla fine del 2013. Il restauro del Palazzo Comunale complessivamente è costato circa 15 milioni di euro. Una prima parte della struttura, compresa la Sala Consiliare, è stata riconsegnata alla città il

to sismico di questa parte – costato circa nove milioni di euro, finanziati dalla Regione Umbria con il contributo del Comune di Foligno – si è proposto di ripristinare gli accessi e i percorsi originali, restituendo agli spazi la dignità e la qualità architettonica e stilistica con cui sono

15 ottobre 2001, alla presenza del Capo dello Stato Carlo Azelio Ciampi, una seconda parte, costituita da Palazzo Orfini Podestà, è stata riaperta, ospitando gli uffici comunali, nel gennaio 2010. Lo scorso 16 settembre è stata restituita ai folignati quella parte dell’edificio che ingloba la residenza gentilizia, che fu della famiglia Onofri, la torre campanaria e resti di edifici medievali. Il progetto di restauro e di consolidamento con miglioramen-

stati concepiti. In particolare, l’intervento di recupero della cella campanaria, che vede alla sua sommità “il torrino” ha previsto: il consolidamento, con 12 tiranti verticali, ancorati ad un cordolo sommitale in acciaio e inseriti nei 4 incroci d’angolo per una lunghezza di circa 18 metri; la cerchiatura con profilati in acciaio delle 4 aperture ad arco e un aumento della resistenza delle murature con perfori armati; la pulitura e il restauro delle pie-

tre. Il restaurato Palazzo tornerà a ospitare, a breve, gli uffici comunali che rientreranno nelle residenza civica costituiti: dalla ragioneria, dall’anagrafe, dall’ufficio scuole e dallo sviluppo economico oltre quelli dei gruppi consiliari. Alcuni di questi uffici torneranno nel centro storico quattordici anni dopo il sisma. Anche l’ufficio del sindaco tornerà nel Palazzo Comunale, lasciando così spazio al Museo della Stampa in Palazzo Orfini Podestà. L’intero piano terra ospiterà gli spazi dei vari front-office a servizio dei cittadini che vanno dall’Ufficio Relazioni per il pubblico agli sportelli dei tributi, dell’anagrafe e delle Attività Produttive (SUAP). Al secondo piano la zona, che si affaccia sulla Piazza della Repubblica, è interamente destinata agli spazi di rappresentanza dell’istituzione comunale con la Sala Consiliare, la sala degli stemmi (sala della Giunta) ed infine l’ufficio del Sindaco. L’accesso per i dipendenti e per il pubblico, dell’intero complesso edilizio, avverrà da vicolo Colomba Antonietti in cui è previsto il presidio degli operatori

di anticamera. Alla realizzazione dell’intervento hanno contribuito molti professionisti insieme ai tecnici comunali, tra i quali vanno ricordati il progettista arch. Luciano Piermarini ed il direttore dei lavori arch. Anna Conti e diverse imprese che hanno collaborato con la ditta Capriello Vincenzo di Napoli che, in circa cinque anni, ha portato a compimento il restauro. Il terremoto, nonostante le difficoltà, ci ha dato l’opportunità di riqualificare gran parte del tessuto edilizio e infrastrutturale locale, grazie al quale Foligno è, oggi, una città sempre più all’avanguardia e proiettata al futuro. L’inaugurazione del Palazzo Comunale costituisce un ulteriore tassello del significativo processo di recupero e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale cittadino. Un percorso all’insegna della qualità, che oggi rende la nostra città sempre più bella e inserita nei circuiti culturali regionali e nazionali, con strutture interamente restaurate, costituite da Palazzo Candiotti, l’ex Chiesa dell’Annunziata, l’ex Chiesa di Santa Caterina, il Centro Italiano d’Arte Contemporanea, il Museo Archeologico di Colfiorito, l’Oratorio del Crocifisso a cui aggiungere tutte le chiese ed i vari Oratori diocesani.

Conoscere Foligno oltre le apparenze MAURA DONATI

Non mi sarei persa per nulla al mondo l’inaugurazione del palazzo comunale ristrutturato. L’ho visto rinascere anno dopo anno nel periodo della mia vita in cui tutta la realtà politico economica e culturale del vivere quotidiano entra nella mente con maggiore limpidezza. Ho voluto essere presente perché la fase conclusiva di un progetto di tali dimensioni in termini di grandezza reale e di capacità di coinvolgimento sociale, mi ha sempre dato la sensazione di vivere in prima persona un tassello importante della storia della città di Foligno e del territorio entro cui si sviluppa. Le aspettative non mi hanno deluso. Partecipare al taglio del nastro tricolore e vivere l’emozione di entrare con occhi maturi negli ambienti di un municipio rimasto assopito per anni a causa del degrado e di un terremoto che lo ha messo in ginocchio, mi hanno regalato una piacevole sensazione di

stupore e indotto a ragionare su una questione che puntualmente torna ad animare le menti dei folignati sia nella vita reale che in quella virtuale di Facebook che sta prendendo il sopravvento in quanto probabilmente luogo disinibitorio di “critica” libera e incontrollata. Sento ripetere intorno a me che in città “non si fa nulla”, che “non c’è niente da vedere” e, peggio ancora, che “tutto

quello che viene fatto per la città non aiuta la città stessa, piuttosto la deprime, la scoraggia, la rende agonizzante”. Ebbene, senza voler giudicare la validità o meno dei progetti portati avanti dalle varie istituzioni cittadine o difendere l’operato di uno piuttosto che di un altro, credo che la questione possa essere affrontata da un punto di vista ben preciso: se una parte significativa della cit-

tà ha una percezione così “distruttiva” del fare cittadino nonostante l’evidente rinascita di musei, palazzi e giardini un tempo dimenticati e trascurati o il pullulare di piccoli e grandi eventi sparsi per il centro storico e non solo, significa che le istituzioni mancano enormemente in capacità comunicative, di informazione e di coinvolgimento sociale. Per apprezzare bisogna conoscere. Soltanto in

piazza della Repubblica possiamo contare ben tre esempi di altissimo pregio artistico, culturale, storico e architettonico: palazzo Trinci che da anni stupisce visitatori di “casuale passaggio” ma non riesce a richiamare l’attenzione dei folignati e tantomeno di un turismo mirato; la Cattedrale di San Feliciano con l’adiacente preziosissimo museo Diocesano che è sconosciuto ai più; il palazzo Comunale che, rinato da pochi giorni nella sua interezza (l’edificio simbolo dominato dal “Torrino”, palazzo Orfini e il palazzetto del Podestà), aspira a riacquisire la centralità dell’attività politico istituzionale della città. Quasi nessuno, poi, sa che in occasione della mostra dal titolo “Il Sacrificio di Gesù Cristo” (nell’ambito del XXV congresso eucaristico nazionale) visitabile nei fine settimana fino al 31 gennaio 2012 all’interno del Museo Diocesano, è stata riaperta e resa visitabile l’antichissima cripta della Cattedrale dopo un attento e importante restauro che l’ha riportata alla sua splendida inte-

grità. E tutto questo è solo una piccolissima parte di un insieme ancora da valorizzare e scoprire nell’intero territorio folignate. Credo che per superare la fase della critica “distruttiva” i cittadini debbano mettersi in gioco in prima persona e impegnarsi là dove le istituzioni dimostrano di non arrivare: con atteggiamento propositivo e una mente aperta alla conoscenza, scoprire la città e valorizzarla visitandola, parlandone, rispettandola e facendola conoscere a chi, di Foligno o del resto del mondo, è predisposto all’ascolto, al dialogo e alla crescita socioculturale. L’entusiasmo della conoscenza si autoalimenta e produce nuova conoscenza e un arricchimento che va oltre il singolo. Starà poi alle istituzioni prendere spunto da un tale atteggiamento virtuoso, mentre starà ai cittadini vigilare a ché ciò accada davvero. Così facendo potrebbe arrivare il giorno in cui Foligno non sarà più considerata soltanto una città commerciale, bella fuori e vuota dentro, ma con una propria identità di valore.


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Cultura/e

Il mio paese sapeva di buono

OTTOBRE 2011

I racconti dell’avvocato Scritti in onore di me stesso

MARIELLA TRAMPETTT

Oreste Flamminii Minuto Prefazione di Francesco Petrelli Nell’aria si mescolavano senza darsi fastidio profumi di tutti i tipi. Per Pasqua l’odore forte delle pizze di formaggio si alternava al profumo leggero della vaniglia, dei canditi, dell’uvetta di quelle dolci. Le donne passavano dritte per i vicoli, orgogliose, sotto il peso di lunghe tavole di legno, attraversavano il paese e sopra, civettuole, facevano l’occhiolino le pizze, appena coperte da candidi panni bianchi, tutte da cuocere al forno di Galileo. Davanti a quel piccolo forno sulla discesa di Santa Margherita era tutto un fervore... devo infornare io - no tocca a me! - sono arrivata prima!... ed erano veri drammi quando il povero Galileo, il fornaio, aihmé, sbagliava i tempi o la temperatura e le bruciava tutte, le pizze. E ricordo che succedeva... succedeva. C’errano le pizze della sora Totina, le pizze della signora Onella e c’erano le pizze della zia Melania (e più buone!). Per San Niccolò le monache del Monte preparavano dei biscotti buonissimi ricoperti di zucchero, erano a forma di asinello, di casetta, di albero di Natale, di san Niccolò, ecc., li mangiavamo la mattina con il latte che tutte le sere portava il lattaio. Il lattaio veniva a bussare a casa la sera, veniva in bicicletta con la sua giacca bianca, un grande conteni-

tore di latta argentata e legati con delle catenelle 2 o 3 bicchieri dosatori sempre di latta argentata. Si sentiva da lontano che arrivava per il tintinnio del contenitore e dei bicchieri. Si scendeva in strada con il tegame in mano e lui versava il latte profumato. A novembre il corso del paese sapeva tutto di buono, erano le castagne arrosto di Zuara, la fruttivendola del paese che aveva sempre un sorriso e una parola per tutti e profumava di castagne arrosto, 7-8 in un cartoccio di carta paia, ed era subito festa. Miaccio Miacioooooo callo callo! Era il macellaio sulla porta della bottega avvisava tutti a squarciagola: era cotto il miaccio. Sempre in cartocci di carta paia vendeva sangue di maiale cotto e condito con zucchero, uvetta, pinoli... che buono che era! A settembre-ottobre un forte odore di mosto avvolgeva tutto il pae-

se, nei vicoli erano tante le piccole cantine dove si pressava l’uva. Arrivava (l’uva) su carretti tirati da asini pigri o da candidi buoi, arrivava dalla campagna che tutta intorno abbracciava Bevagna. Ma per le strade, nei vicoli, si sentiva anche sempre forte l’odore delle stalle dei maiali, dei somari, dei polli. Dalle porte socchiuse uscivano caldi e morbidi i profumi delle zuppe, dagli usci si intravedevano piccoli fuochi accesi sotto pentole di coccio, lì bollivano fagioli, ceci, cicerchie, spesso unico pasto di tutta una giornata. La gente degli anni cinquanta era povera, prevalentemente povera, in questo piccolo paese di pianura immerso nella nebbia d’inverno e affogato dalla calura d’estate, ma dignitosa e onesta e… se chiudo gli occhi… sento con profonda nostalgia che profumava proprio di buono.

Prefalam Molto tempo dopo, nella finzione cinematografica, sarebbe diventato “Arturo al Portico”. Ma in quegli anni, i Cinquanta, era ancora “Otello alla Concordia”, la trattoria di via della Croce a Roma dove si incrociavano le vite e i destini di molte persone già famose nella Capitale della Dolce Vita o che lo sarebbero diventate in seguito. Al tavolone di Otello sedeva anche un giovane Ettore Scola che, nel 1998, girando La cena, forse ricordava proprio quel periodo e i suoi protagonisti. Lì, tra gente del cinema, del giornalismo e della politica, aveva il suo posto fisso anche un giovane avvocato allievo di Piero Calamandrei: Oreste Flamminii Minuto. Scomparso da poche settimane a 79 anni, Flamminii Minuto ha rievocato quei giorni (e molti altri della sua lunga carriera in gran parte dedicata alla causa della libertà di informazione, intesa come libertà di informare e essere informati) ne I racconti dell’avvocato, un libro che ha voluto sottotitolare con ironia (e, purtroppo, con preveggenza) Scritti in onore di me stesso, una formula che abitualmente viene usata per commemorare qualcuno che non c’è più. Tornando a quel tavolo, fu lì che ebbe inizio per il giovane Oreste una nuova vi-

ta. Lì e sui campi di calcio dove ebbe modo di conoscere alcuni degli uomini che lo accompagneranno per un lunghissimo tratto della sua vita e che diventeranno suoi amici prima an-

mutande era solo un episodio marginale di una situazione più complessa. Torno a casa, apro il cassetto, contemplo le mutande. Ne manca qualcuna? Come faccio a saperlo, non le ho mai contate. Allora penso: “Se ne perdo qualcuna come faccio ad accorgemene?” Chissà quante ne ho perse negli anni e non l’ho mai notato. Forse, allora, non sono così importanti!? E poi, mi dico, se anche le perdessi tutte le potrei ricomprare o usarne di altro tipo. Magari è questa l’occasione per comprarne di più belle. Fra un po’ è il mio compleanno, potrei fare la lista delle mutande da farmi regalare. E se invece di continuare a perdere tempo a pensare alle mutande, che peraltro non ho perso,

facessi altro? Esco. Il mio pensiero ritorna al sogno. Ormai è un incubo!!! Cerco di distrarmi. E’ inutile. Torno a casa, apro il cassetto, prendo tutte le mutande di cotone, le metto in un sacchetto, le poggio vicino alla spazzatura. Le butto, così non potrò più avere paura di perderle. Faccio altro, non devo più pensare alle mutande. Ritorno indietro, il sacchetto è lì, lo riprendo. Non posso buttare le mie mutande, le perderei per sempre. Sono di nuovo al loro posto, sono belle da vedere tutte insieme. Vorrei immortalarle in una foto, così se le perdo mi rimarrà un loro ricordo. Oddio, incomincio a fare confusione fra sogno e realtà!!! Ci manca poco che mi metto a colloquiare con le mu-

cora che suoi clienti. Sono quei giornalisti e collaboratori dell’Espresso che difenderà con passione umana e civile per gran parte del suo percorso professionale: Eugenio Scalfari, Corrado Augias, Livio Zanetti, Pier Paolo Pasolini e tanti, tanti altri. Ma la vita di un avvocato è fatta di tante sfaccettature, alcune amare altre persino divertenti, altre ancora imprevedibili. Così, nel tempo, Flamminii Minuto ha vissuto tante storie, tante vite. Che ha raccontato con la leggerezza e con lo stesso spirito un po’ guascone che gli erano propri. Con una eccezione: le pagine dedicate a un processo che lo ha in

www.memori.it qualche modo segnato, quando sul banco degli imputati sedeva un suo amico e collega, Edoardo Di Giovanni, arrestato con l’infamante accusa di apologia del terrorismo e istigazione a delinquere per aver curato la pubblicazione di un libro, l’Ape e il comunista, che raccoglieva i documenti delle Brigate Rosse. In questo racconto il tono del narratore cambia, si percepisce nelle sue parole il clima tremendo degli anni di piombo, l’incubo di una stagione nella quale il confine tra diritto di opinione e connivenza si era fatto labile, nella quale l’emergenza ha rischiato di fare velo ai principi basilari di uno Stato democratico. La scrittura ironica e scorrevole di Oreste Flamminii Minuto non deve trarre in inganno il lettore. Dietro lo sguardo disincantato di uomo di mondo, di chi ne ha viste e vissute tante, si nascondono (ma solo agli occhi di chi non vuol capire) questioni serie, argomenti che affrontati diversamente sarebbero noiosi, riservati agli iniziati. E’ il caso de La cena da Trimalcione e Law & Order, nei quali chi legge si trova quasi senza accorgersene a riflettere sui temi della giustizia e del rispetto delle regole della democrazia. Una riflessione particolarmente amara di questi tempi.

Ho perso le mutande… ma solo quelle di cotone IOLANDA TARZIA

Le cerco disperatamente ma non le trovo. Non so come sia possibile che le abbia perse, erano riposte nel cassetto dell’armadio. Eppure ora non ci sono più. Sono sparite tutte. Ma non tutte tutte, solo le mutande di cotone. Che sciocca donna, era solo un sogno!!! Cerco di riaddormentarmi, magari nel sogno successivo ritrovo la mutande. E’ mattino e non ricordo altri sogni. Le mutande sono tutte al loro posto. Dentro di me è rimasta una sensazione di smarrimento e di curiosità. Qualcosa mi dice che quello della scorsa notte non era un sogno qualsiasi. Perdere le mutande e, soprattutto, perdere solo una ben precisa tipologia di mutande, cosa vorrà significare? Consulto la Smorfia. Perdere le mutande: perderai tutto (numero della cabala 9 - che, peraltro, considero anche il mio numero fortunato); mutande pulite: coscienza tranquilla (45); mutande da donna: desiderio sessuale (22). E quindi? che conclusioni trarne?

sto perdendo la coscienza tranquilla o il desiderio sessuale? Forse dovrei limitarmi a giocare questi numeri al lotto, magari… Le ore passano, ma il sogno continua ad incuriosirmi. Ne parlo con gli amici. Qualcuno mi dice che perdere le mutande significa perdere la dignità. Mi chiedo: “Ma se io ho perso solo le mutande di cotone e non quelle di pizzo o quelle di lycra, ho perso solo una parte di dignità? solo quella di più basso profilo?” Mi viene anche suggerito che forse, considerato che ho sognato di perdere solo le mutande di cotone, inconsciamente penso che sia arrivato il momento di dismetterle ed incominciare ad usare quelle meno comode, ma tanto più sexy, di pizzo. Consulto internet, altra interpretazione: “Ti vergogni di qualcosa e questo qualcosa è simboleggiato dalla perdita delle mutande. Perché i vestiti nei sogni sono le maschere che portiamo nella vita, quindi quei costrutti sociali che ci fanno apparire ma non mostrano quello che siamo veramente. Le mutande poi sono un indumento intimo che rappresenta la protezione più

forte, la maschera più forte di una donna, che non vuole mostrarsi completamente al pubblico, che nasconde la sua bellezza ed intimità solo per chi ama veramente. Quindi hai timore che questa ricerca di una stabilità sociale ti possa portare a perdere l'intimità, quelle maschere che hai costruito per socializzare con gli altri”. Bah!!! Eppure, sono sicura che quel sogno qualcosa nasconde, deve significare qualcosa. Mutande… perdere le mutande di cotone… Se “mutanda” etimologicamente significa “da cambiare”, se il cotone rappresenta qualcosa di naturale, forse il mio inconscio mi vuole comunicare che sto cambiando e perdendo la mia “naturalezza”? oppure, considerato che nel sogno cercavo disperatamente le mutande perse, che ho già subito dei cambiamenti che non accetto e, pertanto, vado alla ricerca della parte di me più semplice e naturale? Ma che idiozie dico!? E se, invece, quello che ricordo è solo una parte del sogno? Magari c’era dell’altro nel sogno che il risveglio ha rimosso nella memoria e, dunque, la perdita delle

tande. Non sarà che mi sto facendo condizionare dalle elucubrazioni oniriche di Schnitzler? Richiudo il cassetto. E’ tardi, ho trascorso la giornata pensando al sogno e alle mutande e non mi sono accorta che è scesa la notte. Non ho neppure cenato per pensare alla mutande. Mi sono smarrita. Vado a dormire. Chissà cosa succederà questa notte!? Brucia! Mi sono addormentata sotto il sole. E’ la birra a pranzo che fa quest’effetto. Forse è il caso che mi butti in acqua per rinfrescarmi. Mi soffermo un attimo, mi guardo intorno … quella che mi circonda è gente in mutande!? Basta!!! [“Nessun sogno è soltanto un sogno!” (Doppio sogno - Arthur Schnitzler)]


ANNO III -N. 10

Esistere appena

Say it loud

Il Subcomandante spiega perché è un partito di poscritti MARIA SARA MIRTI “Capita di sentire che qualcosa è rimasto tra le dita, che ci sono ancora alcune parole che vogliono trovare la strada per trasformarsi in frasi, che non si è finito di vuotare le tasche dell’anima. Ma è inutile, non ci sarà mai un poscritto in grado di contenere così tanti incubi…e così tanti sogni.” (da J. Berger, Photocopies, Pantheon Books, New York 1996, Bloomsbury London 1996, Fotocopie, trad. M. Nadotti, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 142) Se ho preso in prestito queste parole, è perché mi preme precisare che non tutte le anime hanno delle tasche segrete da vuotare, che non tutti gli spiriti nascondono risorse inaspettate. In realtà noi possediamo virtù e difetti in numero proporzionale alle volte in cui ci siamo andati a cercare le prime e abbiamo subito, più o meno di buon grado, i secondi. Un uomo (inteso come appartenente al genere umano) si può giudicare, senza commettere errori di giudizio, da ciò che gli rimane tra le dita dopo che tutti i veli sono caduti. Tempo fa ho potuto vedere da vicino uno dei quadri che più riescono a colpirmi nel profondo. Si tratta della

“Negazione di S. Pietro” del Caravaggio: mi è quasi impossibile sostenere a lungo lo sguardo intimorito, sconcertato, di Pietro senza avere un moto di repulsione. Gli occhi del - futuro - Santo sono languidi fino all’eccesso, sembra quasi che vogliano fluire via dalle orbite per non essere costretti a riconoscere il proprio compito, il proprio ruolo nel mondo. Le gote appaiono congestionate per un’agitazione repentina e d’ingiustificata violenza. La sua non è una smorfia di dolore o di sorpresa, è più che altro un piagnucolare clownesco inconsolabile, una espressione in cui la futura grandezza biblica del personaggio appare ancora irriconoscibile. Quelle mani grandi rivolte al petto canuto non sembrano essere mai state buone a fare nulla di pratico. Si potrebbe definire il ritratto di un uomo che, nonostante l’età matura, non sa ancora di essere tale. Ci sono degli uomini che non hanno nulla da offrire a parte se stessi, la propria limitata essenza e le proprie

nuovi materiali e tecniche in grado di descrivere, manifestare ed esprimere il processo della creazione artistica. Confermano il loro stile e modus operandi anche negli ultimi successi, come la trasferta in Puglia, dove hanno esposto per “Art-trazioni” di San Severo (FG) la loro istallazione del 2008 “Back to the future” e la vittoria dell’Ecologico International film festival di Nardò (LE) con il loro nuovo cortometraggio dal titolo “Il feroce Saladino”. Questo passare

I’m black and I’m proud James Brown - 1969 Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso! Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso! Alcuni dicono che abbiamo un sacco di malizia Alcuni dicono che è un sacco di nervi Ma io dico che non si fermerà il movimento fino a quando non otterremo ciò che ci spetta Siamo stati maltrattati e siamo stati disprezzati Ma proprio come ci vogliono due occhi per fare una coppia, ah, fratello non ce ne andremo finché non avremo la nostra parte Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso! Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso! Ancora una volta! Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso!

sterminate paure. Altri si credono a tal punto ingranaggio di un insieme più grande di loro da reputare vera la storia che l’unica differenza tra sé e un altro stia nel nome e nella grandezza della sua grafia. Ci sono padri orfani di se stessi, incapaci tanto di prendere quanto di dare. Padri dei propri vizi, delle proprie paure, dei propri bisogni, padri alla continua ricerca di un senso, di una forma per la propria vita. Ma ci sono anche padri della patria, i padri di un’ideologia, i padri di una rivoluzione, capaci sì questi ultimi di tramandare un senso, di trasmettere un’anima insieme a una carne incerta e involontaria, di offrire la vita di cui sono padroni a piena mani. Anche se ad alcu-

ni di questi uomini le mani dovessero tremare, resterebbe comunque la loro voce roca, pastosa, in grado di spiegarti, e di piegare, il mondo intero, resterebbero il loro coraggio, il loro non essere succubi, schiavi, dei propri limiti. Nessuno vorrebbe mai ritrovarsi a essere l’unico padre di se stesso e dover quantificare il peso dei propri resti: “Erompere dal caos delle mie tenebre in un giorno lucido, è tutto ciò che voglio Ed ugualmente evitare quel giorno lucido, e salvare le mie tenebre è ciò che voglio.” (S. Spender, ”Dark and Light”, in Giorgio Manganelli, <<Solo il mio corpo è reale>>. Note su Stephen Spender,

da un linguaggio all’altro (installazioni, cortometraggi etc.) può destabilizzare il pubblico che spesso riconosce un’artista più dal tipo di tecnica che dal significato delle sue opere. Ma è proprio con l’uso di diverse tecniche che i Kindergarten riescono a esprimere le loro idee, anche perché la tecnica e i materiali sono diversi ma la sintesi concettuale è la stessa, cioè riuscire a trasmettere un’emozione di qualsiasi natura essa sia. Sono convinti che tutto può

Ho lavorato con i piedi e con le mani Ma tutto il lavoro che ho fatto è stato per un altro uomo Ora chiediamo la possibilità di fare le cose per noi stessi Siamo stanchi di sbattere la testa contro il muro E di lavorare per qualcun altro Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso Siamo esseri umani, siamo proprio come gli uccelli e le api Preferiamo morire in piedi Che vivere in ginocchio Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso Dillo ad alta voce: io sono nero e sono orgoglioso

Un colpo di Fulmine!

Kindergarten chi? “Chi?” è il titolo della loro ultima performance realizzata durante l'Attack Festival 2011. “Chi?” è una riflessione dei Kindergarten sullo stato dell’arte contemporanea, ma è anche una sintesi del loro approccio all’arte. In una piccola teca il duo artistico folignate racchiude una rivisitazione della “Madonna di Foligno” di Raffaello dove il Bambino tiene in mano un palloncino rosso. Lo stesso disegno è stato poi riproposto in grande (10m x 10m) dalla Scuola Napoletana dei Madonnari chiamata appositamente per l’occasione. Chi è l’artista, chi pensa l’opera o chi la realizza? O tutti e due? I Kindergarten portano avanti un progetto che spazia dalla scultura alle istallazioni urbane fino ad arrivare a lavori cinematografici. L’idea e la progettazione dell’opera sono gli aspetti dominanti del loro processo creativo che si esprime attraverso l’utilizzo di diversi linguaggi espressivi. La loro indagine li porta ad essere alla continua ricerca di

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Cultura/e

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essere raccontato, basta trovare il modo più adatto per farlo. Questo loro approccio li porta ad avere continue collaborazioni per quanto riguarda la fase di realizzazione pratica di un’opera e a non avere un laboratorio fisso dove realizzare i propri lavori. Questa continua ricerca li ha portati, nell’anno corrente, ad essere invitati alla 54 Biennale di Venezia Padiglione Italia sezione Umbria.

(La lettura del Manifesto del Partito Comunista) fu per me un colpo di fulmine. Ciò che mi colpiva così vivamente era l’idea che, una volta realizzata l’emancipazione del proletariato, si ponevano le basi per l’emancipazione di tutti i gruppi oppressi della società. Mi riaffiorava alla mente lo spettacolo degli operai Neri di Birmingham che marciavano ogni mattina verso le acciaierie, o discendevano nelle miniere. Fu come se un esperto chirurgo mi avesse tolto le cataratte dagli occhi. Gli sguardi pieni d’odio sulla Collina della Dinamite; il fragore delle esplosioni, la paura, i fucili nascosti, la donna Nera in lacrime sulla soglia di casa nostra; i bambini che saltavano i pasti, le risse nel cortile di scuola, gli svaghi di società della classe media Nera, la Baracca I e la Baracca II, il retro dell’autobus, le perquisizioni della polizia: tutti i tasselli del puzzle trovavano il loro posto. Ciò che mi era sembrato un odio personale nei miei confronti, un inspiegabile rifiuto dei bianchi sudisti di guardare in faccia le proprie emozioni e una testarda volontà di rassegnazione dei Neri, divenne il frutto inevitabile di un sistema spietato, che si manteneva vivo e vitale incoraggiando il disprezzo, la rivalità e l’oppressione di un gruppo sull’altro. Profitto era la parola chiave: la fredda e costante motivazione di quella condotta, del disprezzo e della disperazione di cui ero stata testimone. Angela Davis


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Economia

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IMPOSTE, TASSE E TARIFFE: SPIEGAZIONE DI UNA “MAXI-TRUFFA” “Burino di Ururi” fu l’epiteto con il quale l’ex Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat era solito chiamare il suo compare di partito (socialdemocratico) Mario Tanassi. Ururi era la città di nascita di Tanassi, burino derivava dal fatto che, tra l’altro, quando era ministro delle Finanze Tanassi usava scambiare i termini “imposte” e “tasse”. Tanassi è stato l’unico ministro della Repubblica a scontare quattro mesi di carcere, ma non per la sua ignoranza fiscale, bensì per il reato di corruzione. Oggi l’uno e l’altro “difetto” non fanno più “effetto”. Tralasciamo la corruzione, per evitare querele, e parliamo di ignoranza fiscale. Oggi in tutti i luoghi e a tutti i livelli si usa il termine “tasse” per indicare quasi sempre le “imposte”. Ciò non è solo un fatto di ignoranza, c’è una fortissima componente ben calcolata di “truffa” (sviamento, confusione) da parte dei politici a danno dei cittadini. Per comprendere la truffa occorre cominciare dal distinguere le imposte dalle tasse (più avanti accenneremo anche all’ultima aberrazione delle “tariffe”). Cominciamo col dire che, dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della rivoluzione francese del ‘700 (art. 13) alla nostra attuale Costituzione Repubblicana (art. 53), si è sempre e solo parlato di imposte e mai di tasse. La motivazio-

ne è politica ed etica. Le imposte (per individuarle con estrema facilità sono tutte quelle che cominciano per “I”, es. Ipref, Iva, Ici, Imposta di registro, di successione, ecc.) sono un prelievo fiscale eseguito dalla Stato (o comunque da una Pubblica Amministrazione) per sostenere i costi delle proprie funzioni (es. istruzione, sanità, difesa, ecc.) che “colpisce” la così detta “ricchezza” (reddito, rendita, transazioni commerciali, ecc.). Essendo percentuale al valore del bene oggetto del prelievo fiscale l’imposta è eticamente “giusta”, in quanto i cittadini, pagandola, contribuiscono alle spese dello Stato in proporzione alle proprie capacità economiche: chi ha meno ricchezza (minor reddito e quindi anche minore potere di acquisto) contribuisce di meno, chi ha più ricchezza contribuisce di più. La nostra Costituzione aggiunge poi un criterio ulteriormente migliorativo, prescrivendo che la percentuale del prelievo fiscale aumenta all’aumentare del valore del bene assoggettato a prelievo (un esempio sono le aliquote fiscali sull’Irpef che crescono a scagioni di crescita del reddito). In questo modo chi ha più ricchezza paga ancora di più. Attenzione però che qui interviene la prima “truffa”. Quando i nostri governanti dichiarano di voler aumentare le imposte e assicurano che l’au-

mento sarà modesto sui redditi bassi e più elevato su quelli alti, non precisano che la stragrande maggioranza del prelievo fiscale proviene dai redditi bassi e molto modesta è la quantità proveniente dai redditi alti, sicché aumentare anche di poco le imposte sui redditi bassi comporta un risultato enormemente superiore rispetto a quello di un aumento, anche molto elevato, delle imposte sui redditi alti. Dunque su chi grava in verità l’aumento delle imposte? Sempre e solo i redditi bassi! Le tasse invece sono chiaramente un prelievo fiscale ingiusto e iniquo. Le tasse, infatti, non colpiscono la ricchezza, ma la “domanda”. Cioè chi ha bisogno di accedere a un determinato servizio reso dallo Stato (Pubblica Amministrazione) viene assoggettato al pagamento di un importo che, normalmente, non rappresenta il costo pieno del servizio (più oltre come anticipato diremo delle tariffe), ma una specie di biglietto di ingresso. Biglietto è il termine più esplicativo, tanto che oggi non a caso lo chiamiamo “ticket”. Il biglietto lo pagano tutti coloro che hanno bisogno di un certo servizio e lo pagano in misura uguale indipendentemente dalle rispettive capacità economiche. Quando il ticket colpisce la domanda di servizi irrinunciabili o comunque essenziali (dalla sanità alla istruzione, ai ser-

TEORIA KEYNESIANA, PIANO MARSHALL, 35 ORE DI JOSPIN LIBERO MERCATO E INTERVENTO PUBBLICO Molto spesso si sente parlare della teoria keynesiana dell’economia capitalista, a volte come dato storico di una superata concezione dell’economia basata sulla produzione dei beni, da alcuni decenni spazzata via da quella puramente finanziaria del mercato globalizzato; altre volte invece come un possibile rimedio all’attuale gravissima crisi proprio di quest’ultimo sistema finanziario fittizio. Ovviamente senza alcuna pretesa scientifica, ma col preciso scopo di seminare alcuni elementi di conoscenza elementari, tuttavia essenziali per comprendere le più semplici verità nascoste dietro le raffinate elucubrazioni degli “scienziati” dell’attuale collasso dell’economia capitalista occidentale, proviamo a descrivere i punti salienti della teoria economica keynesiana, richiamando alcuni processi storici nei quali la stessa ha avuto, in qualche modo, applicazione. Cominciamo col dire, tanto per inquadrare meglio il personaggio storico, che il baronetto inglese John Maynard Keynes (1883-1946) non era né marxista, né anti-marxista, più semplicemente dichiarava di non avere capito nulla della teoria economica di Marx. Scrivendo a Piero Sraffa, economista invece marxista molto legato ad Antonio Gramsci, affermava: “Il socialismo marxista deve sempre rimanere un mistero per gli storici del

pensiero; come una dottrina così illogica e vuota possa aver esercitato un'influenza così potente e durevole sulle menti degli uomini e, attraverso questi, sugli eventi della storia”. Se fosse vissuto sino ai nostri giorni sarebbe interessante sentire come avrebbe interpretato l’attuale collasso dell’economia capitalista occidentale di fronte all’esplosione dell’economia socialista cinese. Lasciamo l’ironia e passiamo a sintetizzare la teoria keynesiana. Keynes, indiscutibilmente, ha rivoluzionato la teoria economica così detta “classica”, molto semplicemente invertendo l’ordine di due fattori essenziali: produzione e domanda. Per l’economia classica era la produzione a determinare la domanda e la produzione era stimolata dall’aspettativa di profitto del produttore. Sinteticamente: il capitalista produceva beni perseguendo il suo fine di profitto e il mercato, trovandoli, li acquistava. Keynes rovescia l’ordine dei due fattori e afferma che è la domanda a provocare l’offerta; cioè il capitalista produce beni in quanto il mercato li richiede perché è in grado di acquistarli. Il mercato è dato dalla domanda, la domanda è proporzionale alla ricchezza che la sostiene. Cosa succede se la ricchezza è scarsa e conseguentemente la domanda è debole? Il sistema produttivo riduce la produzione e quindi l’occupazione, fatto che compor-

vizi pubblici in genere) appare evidente l’iniquità del prelievo, che può risultare irrisorio per i più abbienti, ma potenzialmente impeditivo dell’accesso al servizio per i meno abbienti. Seconda piccola truffa e poi la grande truffa. Lo Stato dapprima preleva dai cittadini con le imposte sulla ricchezza somme insufficienti a pagare i servizi che lui stesso deve erogare e poi recupera la differenza facendola pagare in forma di biglietto di accesso a coloro che hanno bisogno di quegli stessi servizi. Poiché è noto che i meno abbienti sono enormemente più numerosi dei ricchi, ecco che il prelievo fiscale indiretto (tasse, ticket) fa pagare (imposte + tasse) ai primi di più che ai secondi. La grande truffa la stiamo vivendo proprio in questi giorni con l’ultima manovra fiscale del governo. Questo governo non aumenta le imposte, come sarebbe ovvio per coprire i “buchi” di bilancio, ma riduce i trasferimenti agli Enti locali ai quali spetta erogare una serie di servizi essenziali ai cittadini. Gli Enti locali non hanno potere impositivo (l’Ici comunale ad esempio è stata fortemente ridimensionata), hanno una sola scelta, o meglio due: o sopprimere alcuni servizi, e quindi tagliare lo stato sociale, o aumentare il costo dei ticket di accesso ai servizi (sanità, asili, scuole, cultura, sport giovanile e dilettan-

chezza nel sistema economico mediante un aumento dell’occupazione diretto o attraverso investimenti in opere pubbliche. Così facendo lo Stato si indebita, ma nello stesso tempo arricchisce il suo mercato e quindi normalmente rientra del debito attraverso un maggior prelievo fiscale, possibile in presenza di una maggiore ricchezza.

ta un ulteriore impoverimento del mercato e quindi una ulteriore caduta della domanda. Qual’è la soluzione? Semplice, arricchire il mercato e così far salire la domanda che, a sua volta, stimolerà la produzione con un circolo “virtuoso”: più produzione, più occupazione, più ricchezza, più domanda, ecc. Chi può “arricchire” il mercato (cioè la domanda)? Non certo i capitalisti che perseguono il solo fine del loro profitto che non necessariamente è legato alla quantità della loro produzione, ma solo ai margini di utile che riescono a ricaricare su prodotti. Il capitalista di fronte a una domanda debole riduce la produzione, oppure cerca John Maynard Keynes di abbassare i prezzi dei Nel 1929 l’intero occidente propri prodotti incidendo era caduto in una crisi ecosull’unico elemento real- nomica gigantesca. Negli mente variabile, il costo del- USA dilagava la disoccupala manodopera (ma non è zione e la povertà era a livelproprio questo il cuore del- li quasi insurrezionali. Il la teoria economica di presidente Roosevelt varò la Marx?). La conseguenza è politica economica del New però che il mercato si impo- Deal: vaste assunzioni pubverisce e la domanda neces- bliche anche dichiaratasariamente continua a scen- mente inutili o comunque dere. Ad arricchire il merca- improduttive e grandi opeto può essere solo un sog- re pubbliche; dunque una getto che per sua diversa fortissima iniezione di ricnatura non persegue il fine chezza nel sistema econodel profitto, ma quello del- mico. Salì la ricchezza e con l’economia sociale: lo Stato. essa la domanda e quindi la Di fronte a una domanda produzione. Gli USA uscirodebole conseguente a un no dalla crisi, come si dice, impoverimento del mercato più grandi e più forti di prilo Stato può immettere ric- ma. Alla fine della seconda

Mario Tanassi e Giuseppe Saragat tistico, sostegni ai giovani e alla terza età, ecc.). Così facendo il governo non aumenta le imposte ma, in questa modalità subdola e vigliacca, ripiana il proprio debito con le tasse applicate dagli Enti locali, cioè ponendo ancora una volta, e sempre di più, il debito a carico dei meno abbienti che non possono fare a meno di pagarlo semplicemente perché non possono fare a meno di “acquistare” quei servizi essenziali e irrinunciabili. Quest’ultimo verbo, “acquistare”, ci porta infine a parlare delle “tariffe”, che potremmo definire la più ignobile invenzione del defunto “ulivo”. La tariffa rappresenta il prezzo della produzione del servizio, incluso il margine di utile del produttore, esattamente come per qualsiasi oggetto o bene acquistabile a libero mercato. Premesso che a questo punto non si comprende più per quale ragione si pagano le imposte, si pone un enorme problema etico: i servizi primari, o comunque essenziali ad assicurare la qualità della vita, non costituiscono un prodotto acquistabile o non acquistabile, non si può bere e non bere,

scaldarsi o non scaldarsi, ecc., quei servizi sono parte integrante dei diritti fondamentali della persona umana, tali diritti non si debbono pagare perché questo, tra l’altro, creerebbe una immensa disparità tra chi può acquistarli e chi no. E qui interviene la super-truffa finale delle privatizzazioni. Una volta “riclassificato” (o meglio “squalificato”) il diritto al servizio pubblico come una facoltà di acquisto a libero mercato, l’attenzione viene subdolamente spostata sul prezzo, con questo stratagemma: i servizi sono cari perché mal gestiti dal pubblico, affidati a imprenditori privati in grado di gestirli con più efficienza i prezzi sicuramente scenderanno. Ecco inventato un bel business per i nostrani imprenditori cialtroni e incapaci di stare sul vero e proprio mercato concorrenziale: gestire in regime di monopolio la produzione dei servizi pubblici destinati a un mercato “obbligato”, quello dei cittadini che hanno necessità irrinunciabile di bere, di scaldarsi, ecc. Siamo oltre gli incomprensibili sussidi a imprese decotte, è la svendita dello Stato.

guerra mondiale il sistema economico europeo era distrutto, ma anche l’economia USA era entrata in una gravissima crisi con oltre 10 milioni di disoccupati. Il presidente Truman varò il Piano Marshall, una enorme iniezione di liquidità nel sistema economico oramai mondiale. La tecnica questa volta consistette nel finanziamento della ricostruzione delle economie europee attraverso l’erogazione di prestiti alle nazioni più danneggiate. In verità non si trattò affatto di prestiti, ma di crediti per l’acquisto di beni prodotti negli USA, con conseguente fortissima ripresa di quel sistema economico. La ricostruzione delle economie dell’Europa occidentale indusse poi l’ulteriore effetto positivo per l’economia americana che poteva comprare prodotti a minor costo dai paesi europei e vendere a questi ultimi, una volta tornati o divenuti ricchi, i propri prodotti a maggior costo. L’ultimo esempio di tentativo (in questo caso) di applicazione della teoria keynesiana lo troviamo nel progetto della riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali varato dal governo social-comunista francese di Jospin. Ridurre l’orario di lavoro a parità di retribuzione avrebbe comportato un aumento dell’occupazione e quindi della ricchezza del mercato e conseguentemente della doman-

da che avrebbe sostenuto la crescita della produzione. Questa volta però non sarebbe stato lo Stato a immettere ricchezza nel mercato, ma vi sarebbe stato un trasferimento parziale della ricchezza accumulata dai capitalisti a favore dei loro dipendenti. Lo Stato può e deve pensare al sistema economico e sociale complessivo, il capitalista non va oltre la prospettiva del proprio portafoglio e poco importa se il mercato si impoverisce e la domanda scende, è la ricchezza personale che non deve essere ridistribuita. Il piano Jospin è fallito, il mercato francese (ma anche quelli degli altri Paesi europei) si è impoverito, la domanda è caduta e con essa la produzione. L’attuale collasso della domanda degli USA chiude ora il cerchio ed è crisi globale. Non ci sono più mercati in grado di assorbire prodotti, la produzione inevitabilmente scende, i mercati si impoveriscono ulteriormente, mentre la ricchezza continua a concentrarsi in classi sociali sempre meno numerose e quindi irrilevanti ai fini della quantità della loro domanda. Il capitalismo si sta impiccando con la sua stessa corda, ma, come sempre, sono le classi deboli a pagarne il prezzo. Il governo italiano (non da solo) sta affondando in questo vortice, incapace di trovare il coraggio di intraprendere la sola via di uscita reale: la ridistribuzione della ricchezza. Ma di questo parleremo nei prossimi numeri.


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Lavoro

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Il sistema pensionistico italiano Prima parte: le riforme LORETTA OTTAVIANI

In questa prima parte faremo un viaggio attraverso le riforme attuate nel nostro sistema previdenziale sin dal 1993 e che hanno condotto ad un progressivo ridimensionamento della copertura pensionistica pubblica ma anche ad una trasformazione dell’intera struttura del sistema. Il sistema previdenziale è basato su un rapporto obbligatorio di tutela dei lavoratori, affidato a Enti o Istituti Statali e su un rapporto integrativo, regolamentato da accordi stipulati tra le parti sociali e gestito da Fondi o Casse private, e attualmente si regge sugli ormai famosi tre pilastri, pubblico, previdenza complementare e previdenza integrativa, i quali si integrano al punto tale che, per avere una pensione sufficiente per mantenere un certo tenore di vita, è necessario provvedere ad alimentarli tutti e tre. Fino al 1992 il sistema previdenziale italiano si basa solo sul

primo pilastro (previdenza pubblica). Si tratta di un sistema che finanzia le pensioni pagate dallo Stato con i contributi versati dai lavoratori e dai datori di lavoro: l’INPS e gli altri enti previdenziali utilizzano i contributi dei singoli lavoratori attivi per sostenere la spesa delle pensioni in pagamento. Non esiste, pertanto, una forma di accumulo e di investimento del denaro raccolto, ma un sistema “a ripartizione”, ovvero i contributi versati vengono utilizzati per pagare le pensioni correnti e questo meccanismo trova il fondamento nella solidarietà tra le generazioni, ponendosi di fatto in essere un vero e proprio trasferimento di risorse finanziarie appartenenti a classi demografiche diverse. Da un punto di vista economico questo meccanismo regge fin quando le entrate derivanti dai contributi versati sono maggiori o uguali alle uscite dovute per l’erogazione delle pensioni e entra in crisi quando subentrano fattori destabilizzanti quali la diminuzione delle nascite, il progressivo allun-

gamento della vita media e la diminuzione dei soggetti in attività, con conseguente minori entrate per gli enti previdenziali a titolo di contributi. Per fronteggiare la progressiva riduzione della capacità portante del primo pilastro sono state introdotte forme di previdenza complementare da affiancare alla pensione obbligatoria e così con il decreto legislativo n.124 del 1993 è stata regolamentata per la prima volta la disciplina dei fondi pensione (secondo pilastro) per garantire ai lavoratori, attraverso una integrazione del proprio reddito, una maggiore certezza e sicurezza al momento della vecchiaia, destinata quindi ad assicurare il mantenimento del livello economico raggiunto nell’ultimo periodo di lavoro. Questo tipo di previdenza è prevista per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti. Ma è con la cosiddetta “riforma Dini” nel 1995 che si ha il completo rinnovamento del meccanismo di funzionamento della previdenza pubblica e

complementare. Le novità riguardano: 1) il sistema di calcolo delle pensioni. Dal sistema retributivo, imperniato sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni, si passa al sistema contributivo, basato sull’ammontare dei contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa. 2) l’età pensionabile. Il requisito diventa flessibile in quanto il lavoratore potrà decidere l’età di pensionamento tra i 57 e i 65 anni, a patto che possa far valere almeno 35 anni di contribuzione. 3) la previdenza complementare. Viene garantito il decollo dei fondi di pensione già previsti dal decreto legislativo n.124 del 1993. Ma la riforma Dini, con l’introduzione del sistema contributivo per il calcolo delle pensioni se da un lato sottosta a un’esigenza di riportare sotto controllo la spesa previdenziale, dall’altro determina una sensibile riduzione dei trattamenti pensionistici, tanto che una volta entrate a regime le riforme in materia pensionistica, la previdenza pubblica assicurerà una pensione pari

circa al 50% dell’ultima retribuzione che potrebbe anche ulteriormente ridursi al 35% per chi ha svolto una carriera discontinua o a contribuzione ridotta. Relativamente alla pensione di vecchiaia, in conseguenza delle disposizioni introdotte dalla “riforma Dini”, esistono pertanto tre sistemi di calcolo che danno luogo a tre tipi di pensione. La pensione di vecchiaia calcolata col sistema retributivo spetta ai lavoratori che alla data del 31/12/1995 possono far valere almeno 18 anni

di contributi versati. La pensione di vecchiaia col sistema contributivo si applica ai lavoratori che vengono assunti per la prima volta dopo il 1°gennaio 1996. La pensione di vecchiaia col sistema misto o pro-rata, previsto per quei lavoratori che al 31 dicembre 1995 hanno maturato un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni. Per l’anzianità contributiva fino al 31.12.1995 si applica il sistema retributivo, mentre per quella successiva vale il sistema contributivo.

Merloni: illustrato alle parti sociali il Piano industriale della “Qs Group” L’imprenditore marchigiano Porcarelli scopre le carte: 45 milioni di investimento e 700 persone ricollocate ANDREA TOFI

Nell’incontro avvenuto mercoledì 28 Settembre presso il Ministero per lo Sviluppo Economico, fra i commissari straordinari incaricati di seguire la vertenza e le parti sociali, si è discusso del progetto di Porcarelli, imprenditore Marchigiano titolare della “Qs Group” in passato fornitore della vecchia Antonio Merloni, che sarà presentato nei prossimi giorni al Comitato di sorveglianza e al ministero. Il piano dovrebbe prevedere complessivamente 45 milioni di investimenti e l’assorbimento di 700 dipendenti sui circa 2.000 attualmente in amministrazione controllata, con produzioni specializzate in alcuni settori ma sempre nell’ambito dell’elettrodomestico. I sindacati si mostrano relativamente ottimisti e chiedono a questo punto di aprire un tavolo ufficiale con tutti i soggetti interessati per discutere il piano industriale, confrontarsi sul numero effettivo degli operai che potranno essere rioccupati e sugli strumenti di ammortiz-

zazione sociale da mettere in atto per tutelare tutti i lavoratori rilancio così l’Accordo di programma. In questo quadro di difficile interpretazione fa però riflettere una dichiarazione rilasciata dal segretario della Fim Cisl nazionale Anna Trovò: «Quello di Porcarelli sembra un progetto solido dal punto di vista industriale e finanziario che torna a dare valore al distretto ed inoltre prevede la possibilità per Invitalia di prendersi migliaia di metri quadrati per nuove iniziative imprenditoriali a Nocera Umbra in nuovi settori produttivi». Se da un lato è positivo sapere che c’è un progetto industriale vero e solido dal punto di vista degli investimenti economici, dall’altro purtroppo c’è il timore secondo me concreto che gran parte di queste risorse verranno impiegate per riavviare il processo industriale nel fabrianese e quindi nel territorio marchigiano, in quanto l’affermazione della Trovò per la quale ci sono forti interessi di Invitalia a prendersi migliaia di metri quadri del sito nocerino, sembra lasciare poco spazio alla speranza per gli operai umbri attualmente in for-

za al gruppo Merloni, di ritrovare la propria fabbrica e quindi il proprio posto di lavoro. In questi mesi ed in questi anni trascorsi in Amministrazione Straordinaria, i commissari ed alcune sigle sindacali hanno sempre cercato di avvalorare l’ipotesi, a dire il vero poco liberista, di cedere l’azienda ad un gruppo industriale italiano, ma sino ad oggi l’unica offerta concreta arrivata sembra essere quella della società Qs Group, che però ha un forte radicamento nelle Marche e per cui c’è il possibile rischio di favorire naturalmente un sito produttivo piuttosto che un altro. Intanto nelle fabbriche sono state indette le assemblee sindacali, nelle quali le parti sociali hanno cercato di illustrare il piano di reindustrializzazione agli operai i quali hanno però espresso forti perplessità sia sui tempi di attuazione che sul numero di persone rioccupabili alla fine del percorso industriale. In una nota presentata anche durante le assemblee di fabbrica, il Comitato dei Lavoratori sintetizza così alcuni punti imprescindibili affinchè si possa procedere con l’attuazione di qualsiasi

piano industriale: - migliorare la capacità rioccupazionale (700 posti rappresentano solamente un terzo degli attuali lavoratori occupati presso gli stabilimenti di Colle di Nocera Umbra e Fabriano). - la durata del piano industriale non dovrà essere inferiore ai 5 anni, durante i quali dovrà essere adottato un sistema di reintegro del personale attraverso una rotazione che coinvolga tutti i dipendenti senza alcun licenziamento in modo da garantire attraverso il

processo ristrutturazione, un graduale percorso di accompagnamento anche per coloro che sono ormai prossimi alla pensione. Di pari passo si dovranno creare nuove opportunità lavorative investendo le ingenti risorse economiche inserite nell’accordo di programma per permetterebbe una ricollocazione pilotata del personale in esubero. Il Comitato dei Lavoratori chiede inoltre, «che venga convocato quanto prima un consiglio straordinario aperto, per un confronto tra Istutuzioni

regionali-locali, sindacati e lavoratori e successivamente, prima di qualsiasi firma, la decisione definitiva dovrà passare attraverso una consultazione referendaria all’interno dei 2300 dipendenti. Si sottolinea inoltre che giunti a questo punto si è disposti a qualsiasi tipo di mobilitazione affinché vengano accolte queste proposte e non si arrivi in alcun modo alla selezione o alla ripartizione di quote tra sindacati. A quel punto sarebbe soltanto una guerra tra poveri!»


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Beni Comuni

“IN QUESTO MONDO DI LADRI”

VINCENZO LAZZARONI

Mi domando come si fa a vivere in questo paese di evasori, di corrotti, di mazzettari, di magnaccia, di giovani che si prostituiscono per apparire in televisione con il beneplacito dei genitori. Un paese senza speranza in cui buona parte della cosidetta società civile è la principale responsabile. E’ quella società civile che vota questa maggioranza e che non si meraviglia più di nulla, si è assuefatta ad un sistema marcio nel midollo, pensa solo al proprio privato e spera di cavarsela a danno di tutto e tutti. Francamente non se ne può più e, chi mi conosce sa che ogni giorno, da qualche anno a questa parte, vado ripetendo che l’unica soluzione, per chi ha un minimo di etica e di moralità, è di andare a vivere in un paese più civile di questo. Credo che la corruzione e il malcostume abbiano ormai invaso il paese come un virus inattaccabile e nessuna protesta, per quanto vivace possa essere, riesce a

scuotere le coscienze di chicchesia. Perché ormai non abbiamo neanche più una coscienza, col beneplacito della Santa Chiesa Cattolica. Scritti come questo, e ce ne sono tanti di personalità ben più importanti, anziché scuotere le coscienze, e alimentare una civile protesta contro chi ha la responsabilità di avere portato il paese nel baratro, generano disgusto: “ecco il solito disfattista, qualunquista, rompi coglioni. Ma io penso ai no-

stri figli quasi quarantenni senza una occupazione stabile, e a i nostri nipoti e cosa diranno di noi ; quando ci guarderanno chiedendoci cosa abbiamo fatto per assicurare loro un futuro, cosa gli rispondiamo? Che abbiamo costruito una società corrotta, egoista e senza alcun principio morale, in cui chi può si

U NO S TATUTO

Il 5 settembre 2011, dopo un lungo periodo di attese, la Commissione Statuto dell'Università degli Studi di Perugia ha votato ed approvato, con un solo voto contrario (quello del rappresentante dei Ricercatori, Fausto proietti) la bozza definitiva del testo del suo nuovo Statuto. Quello che si può attestare è un sistema manageriale di governance dall’alto, rispetto a un sistema di rappresentanza più democratica e istituzionale. Il senato accademico, organo di rappresentanza della comunità universitaria, con funzioni di indirizzo generale, programmazione, coordinamento e raccordo delle attività istituzionali sarà composto dal Rettore che lo presiede, dai 18 direttori di dipartimento, due rappresentanti del personale tecnico amministrativo, da quattro rappresentanti degli studenti e da sei tra professori ordinari (2), associati (2) e ricercatori (2), eletti dalle aree scientifico disciplinari. Il consiglio di amministrazione,

LA GESTIONE DEL CORPO COME STRUMENTO DI DOMINIO

LAURA LEPORE La riflessione sul corpo, che prende le mosse dall’approccio fenomenologico, ha ridefinito in grandissima parte l’antropologia contemporanea; il tema della incorporazione (embodiment) è divenuto un nuovo paradigma di riferimento la riflessione sulla soggettività e le sue relazioni con i processi culturali compiuta dall’antropologia ha focalizzato appunto l’attenzione sul corpo che ha iniziato ad essere analizzato come luogo/ strumento di appropriazione e trasformazione della cultura e luogo della formazione del sé. Il corpo è la modalità attraverso cui l’uomo entra nel mondo e attraverso cui il mondo entra nell’uomo, terreno esistenziale e base della cultura, produttore di cultura. I nostri apprendimenti culturali e le nostre prassi sociali si sedimentano nel corpo, da esso vengono rielaborati e riprodotti. Il corpo è dunque esso stesso costrutto culturale e costruttore di cultura, motore di azione sociale. Il corpo non può essere letto in termini unicamente naturali, come un’entità data naturalmente, ma va piuttosto pensato come prodotto sociale e culturale di cui indagare i processi di costruzione e come pro-

che avrà compiti di indirizzo strategico, di programmazione finanziaria e del personale, attuando gli orientamenti indicati dal senato, e funzioni di vigilanza sull’amministrazione e sulla situazione economica, contabile e finanziaria dell’ateneo, presieduto dal Rettore, sarà composto anche da cinque membri nominati dal Senato sulla base di competenze gestionali, due membri “esterni” non accademici nominati dal Rettore e altri due eletti dagli studenti. La morale della favola che non va giù ai ricercatori di Perugia, (diversamente da altri atenei italiani), è che ci sarà un Senato accademico in maggioranza non elettivo e un Consiglio di amministrazione in maggioranza nominato dallo stesso Senato. Altra bocciatura per lo statuto viene direttamente dal referendum on line indetto dagli stessi ricercatori e aperto a tutto il personale dell’Ateneo, terminato il 19 settembre con un responso molto secco: su 623 voti validi, in 502 hanno reputato la bozza di Statuto antidemocratica, mentre 121 hanno votato favorevolmente. Lo strumento statutario, che dovrebbe costituire

duttore e riproduttore di significati. La nostra modalità di percepire la corporeità non può essere assunta come unica e universale, ma è una modalità storica di essere e avere un corpo, rappresentarselo e agirlo. A proposito di rappresentazioni della corporeità, esse stesse sono storiche e culturali. Il dualismo tra mente e corpo rappresenta ad esempio una etnopsicofisologia, storicamente data e specifica, non è estendibile a tutti i contesti culturali. In questo senso la lettura del corpo rifonda molti binomi dualistici tradizionali del pensiero occidentale: il dualismo cartesiano mente-corpo, individuo e società, natura/ cultura, azione/ struttura, teoria/ prassi etc. Come prima accennato, la nozione di incorporazione (embodiment) è diventata chiave in antropologia. Ci si riferisce ai processi appunto attraverso i quali gli individui assumono discorsi, pratiche culturali e prassi sociali nei loro corpi. Le strutture cognitive sono incorporate, le modalità per essere nel mondo sono discorsi e prassi culturali che si apprendono attraverso il

U NO S TATUTO SCRITTO A “P RIORI ” OPPURE L O STATUTO BOZZA ” DEL NUOVO S TATUTO DELLATENEO PERUGINO

INDIGESTO OPPURE

VARATA “ LA ROSARIO RUSSO

arrangia e chi non può deve solo morire. Mi spiace ma io non voglio essere complice di tali misfatti! Bisogna trovare il modo di cacciare questa gentaccia: ci vorrebbe una rivolta popolare. Se a Roma arrivasse solo una piccola percentuale delle persone inferocite con lo schifo morale e politico che li governa, salterebbe tutto in poche ore, ma la rivolta non avviene per responsabilità dei partiti di opposizione che non sono più in grado di capire gli umori della gente, troppo rinchiusi come sono al loro interno a fare giochetti di potere. Altrimenti sarebbe auspicabile un intervento del Presidente della Repubblica che mi domando come può tollerare ancora i comportamenti del capo del Governo che hanno coperto le istituzioni di fango ed esposto lo Stato a situazioni di inaudito pericolo. Un Presidente del Consiglio sostenuto da Bossi il cui grado di rincoglionimento rasenta la follia e la follia è un altro pericolo reale. Chissà perché quando penso a questa situazione mi ritorna alla mente la caduta dell’impero romano.

OTTOBRE 2011

la famosa governance mediante la quale si compie il primo passo di adeguamento alla contestata e disorganica riforma dei “tagli Gelmini”, si è inceppato non poche volte nella centrifuga della sua attuazione finale. Questione di Metodo. Andando a ritroso, dopo quat-

vaccio già preconfezionato, la nuova Università in sintesi aveva già previsto nelle linee guida un accorpamento dei dipartimenti, dai 29 attuali, a 17 – 18, con almeno 50 o 60 afferenti e sette poli amministrativi di riferimento, e infine facoltà che di-

tro sedute annullate sia in Senato Accademico che in Consiglio di Amministrazione, solo il 29 marzo scorso, il rettore ha formato la lista della Commissione statuto, che, nominata in ritardo rispetto agli altri Atenei, non è però partita affatto da zero; tra le varie polemiche per criteri poco trasparenti e partecipativi, vi è stata una bussola già stabilita in una serie d’incontri informali, riservati e ristretti tra presidi, alcuni direttori di dipartimento e lo stesso Rettore: come un cano-

venteranno scuole passando da 11 a 5 o 6, con un’ulteriore potatura possibile di corsi di laurea. Questione di Merito. Mentre la Gelmini prevede di riformulare la governance di Ateneo, qui a Perugia si sta addirittura cambiando il dna dell’Università così come l’abbiamo conosciuta: la nuova governance appena varata sarà adeguata all’idea-modello di Research University, promossa in primis proprio dal rettore Bistoni. Da questo momento l’Ateneo dovrà puntare non tanto

DEI

sulla capacità di formare un alto numero di laureati, bensì sulle sue eccellenze nel campo della ricerca, con poli strutturati attorno a piattaforme tecnologiche. Una scelta che ha i suoi contro se pensiamo che potrebbe ridursi di gran lunga il numero d’iscritti (dagli attuali 32mila a 18 mila) con immaginabili conseguenze negative in termini d’impatto sul tessuto socio economico della città. Scelta discutibile secondo alcuni, che si porta addietro un grande paradosso: nel momento in cui si decide di puntare tutto sulla ricerca, proprio i ricercatori sono stati esclusi dal processo decisionale. Quest’idea, senza un previsto equilibrio tra didattica e ricerca, potrebbe avvilire le aree umanistiche rispetto a quelle scientifiche come l’area medica o ingegneristica, che avrebbero giocoforza più fondi di ricerca perché più attrattive verso i grandi interessi economici e politici, prevalendo così sull’area umanistica, giuridico economica, più versatile invece verso didattica e formazione agli studenti. A causa della sempre più profonda crisi economica finanziaria si dovrà attendere l’esito in

corpo, inconsciamente, attraverso processi mimetici che incorporano, a partire dall’infanzia nei contesti familiari, i gesti e le “tecniche del corpo” (Marcel Mauss) usate in un dato luogo e tempo per esserci e significare il mondo (ad es. l’identità di genere). Le relazioni di potere tra gruppi sociali, le egemonie sociali e culturali si inscrivano nei corpi e attraverso di essi si riproducono. I sistemi simbolici, come sostiene Pierre Bourdieu, possono essere potenti strumenti di dominio, non solo modalità della cultura. Si impongono come discorsi che appaiono naturali, ma che di fatto si naturalizzano attraverso l’incorporazione. Il corpo diviene spesso complice inconsapevole di processi di dominio di cui è, paradossalmente, contemporaneamente vittima. Solo una antropologica critica del corpo può aiutarci a dereificare e demistificare certi discorsi.

“P RIORI ”

concreto di questo nuovo modello universitario tra dubbi e mal di pancia, ma di certo i dispositivi fin qui messi in campo non lasciano presagire effetti positivi. Da un lato è a rischio la salvaguardia di borse di studio per studenti, la riduzione di corsi di laurea importanti (basti pensare al taglio dei corsi di lingua cinese e russa)e del personale docente e tecnico amministrativo, dall’altro è evidente la difficoltà nel concepire un modello di Università sempre più esposto alle logiche del mercato, e che rischia di mantenere uno status preponderante come quello corporativo, con particolari aree lavorative particolarmente remunerative come la medicina, l’ingegneria e l’economia. Dietro alle buone intenzioni per la creazione di reti e sinergie tra Imprese, Regione e Ateneo così da salvaguardare l’università e il suo spirito pubblico, si cela anche l’idea torbida che l’università del domani sia prima di tutto il risultato funzionale di logiche produttive decise dall’alto. A questo punto vien da chiedersi se non si stia cambiando tutto perché tutto resti com’è.


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Salute

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Essere atleti senza carne Alimentazione a basso contenuto, o totalmente priva di alimenti di origine animale LEONARDO MERCURI

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un aumento di popolazione che sceglie di eliminare totalmente o solo in parte gli alimenti di origine animale dalla propria alimentazione, e conseguentemente anche fasce di atleti ricadono in questo tipo di scelta. Non andremo ad analizzare i motivi etici, religiosi o salutistici di queste scelte per la popolazione, ma quando scelte simili coinvolgono la popolazione sportiva a tutti i livelli, e a seconda del regime nutrizionale più o meno vegetariano, sarà necessario considerare se ci sono o no potenziali rischi di carenza o di altro genere. Alcuni atleti si limitano a evitare carni conservate e carni rosse in genere,

A

in quanto sono considerate principali fonti di grassi saturi ritenuti potenzialmente pericolosi per la salute. Se per le prime tale convenzione può corrispondere a verità, per le seconde, soprattutto se si prediligono i tagli più magri e di provenienza controllata, l’apporto di grassi saturi è sicuramente molto limitato. La presenza nella razione alimentare giornaliera di questi atleti di altri alimenti quali carni bianche, pesce, latte e derivati e uova, non li espone ad alcun rischio di carenze nutrizionale. Nelle diete latto-ovo-vegetariane gli apporti di proteine a elevato valore biologico sono garantiti dalla presenza di prodotti caseari e delle uova; questi stessi alimenti garantiscono apporti sufficienti di vitamine B12 e di Zinco. Altra cosa è invece l’as-

“M EDICINA I N P ILLOLE ” CURA DI PARIDE T RAMPETTI

Chi vuole vivere più a lungo deve guardare meno televisione e fare più sport Ormai è un dato certo, dopo la pubblicazione su British Journal of Sport Medicine, di uno studio condotto su 11.000 persone con più di 25 anni. Secondo i ricercatori un'ora di TV ha lo stesso effetto del fumare due sigarette. Per ogni 60 minuti passati davanti al piccole schermo, la vita si accorcia di 22 minuti. Per un totale di quasi 5 anni persi per chi (circa 1% della popolazione) guarda la TV per sei ore al giorno. Il tempo passato davanti alla TV è associato ad una riduzione dell'aspettativa di vita paragonabile a quella legata ai principali fattori di rischio per malattie croniche , come l'inattività fisica o l'obesità. Secondo il rapporto Eurispes l'8% degli italiani passano più di quattro ore al dì davanti alla televisione. Un altro studio recente dimostrava un aumento dell'incidenza del diabete tipo 2 e di altre malattie cardiache del 20% in chi guarda la TV per due ore al dì. Inoltre un lavoro pubblicato su Lancet afferma che guardare troppo la TV andrebbe considerato rischiosa quanto fumare, ingrassare o non fare sport. Questo studio eseguito su 416 mila persone, evidenziava che rispetto a chi non svolgeva alcuna attività fisica, le persone che facevano anche poco esercizio (92 minuti la settimana, circa 15 minuti al giorno) avevano un rischio di morte prematura del 14% inferiore e una probabilità di morire di cancro minore del 10%, con un'aspettativa di vita di tre anni più lunga. Test diagnosi precoce tumore del polmone Attualmente la TC spirale è il test che consente la diagnosi precoce del polmone. È stato però creato un nuovo test che sembra diagnosticare la malattia ancora più precocemente, anche due anni prima della TC. Il nuovo test è stato realizzato da una equipe italiana dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano in collaborazione con la Ohio State University di Columbus; pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences. Il test si basa sull'analisi del micro-RNA piccole molecole in circolo nel sangue, che hanno la capacità di “accendere” i nostri geni. Quindi con un semplice esame del sangue sarà possibile diagnosticare in largo anticipo la presenza di un tumore del polmone. Poi i livelli di micro-RNA saranno capaci di distinguere l'evolutività del tumore e le forme più aggressive di cancro, con un anticipo di due anni dalla evidenza TC. Attualmente sono in corso studi.

senza di carni e di prodotti della pesca, questo può esporre gli atleti, in particolare se donne in periodo fertile, al rischio di bassi apporti di Ferro: questo minerale infatti, sebbene presente in alimenti di origine vegetale, è scarsamente biodisponibile, quando assunto con questi cibi, Martina Navratilova, vegetariana, è stata la più anziana tennista a vincere il Grande Slam anche per la concomitante presenza di Fitati zione della soia e degli gime nutrizionale di ti- verso (in particolare la ed Ossalati. Pertanto alimenti da essa deriva- po Vegan o Vegetariano, Metionina è presente in questi atleti dovranno ti, hanno un valore bio- utilizzi fonti proteiche piccole quantità nei vecontrollare con maggior logico non equivalente a variate (inserendo soia e getali e nei legumi, menfrequenza i parametri quello di origine anima- gli alimenti da essa deri- tre la lisina si trova in ematologici relativi al le; inoltre la presenza di vati, frutta con guscio piccole quantità nei cemetabolismo del Ferro abbondanti quantità di quale noci, mandorle, reali, nelle noci e nei seper svelare, prima che si fibra alimentare le può nocciole, ecc.) e, ben mi). Per la minor biodiinstauri un quadro di rendere meno digeribili: combinate tra loro, pre- sponibilità delle proteifranca anemia siderope- in media le proteine di parazioni alimentari a ne contenute nei vegetania, un eventuale esauri- una dieta vegetariana base di cereali e legumi li sarà necessario consumento dei depositi di sono “digeribili” solo forniscono “miscele di mare un quantitativo questo minerale. Nelle per l’85%, contro il 95% proteine” sufficiente- giornaliero maggiore, diete la cui fonte nutri- di una dieta mista, con- mente simili, per conte- pari al 110% di quanto zionale sono solo i vege- tenente proteine anima- nuto di aminoacidi, in raccomandato nelle dietali, è importante consi- li e vegetali. È dunque di quanto in questi due te di atleti che si alimenderare che le proteine in estrema importanza che gruppi di alimenti l’ami- tano con diete non vegeesse contenute, ad ecce- l’atleta che adotti un re- noacido limitante è di- tariane.

Possiamo ancora permetterci il Servizio Sanitario Nazionale? ALVARO CHIANELLA

Il momento politico, economico e sociale mi induce a riflettere sul valore che può ancora avere un Sistema Sanitario universalistico, figlio della legge 833 del 1978. Una criticità che salta subito agli occhi è che un sistema, sulla carta, uguale per tutti è amministrato a livello regionale con un’idea, per così, dire “federalista”. Questo determina la presenza di tanti sistemi sanitari diversi quante sono le regioni italiane. Lo si è visto anche con l’ultima finanziaria: il governo impone provvedimenti, quali i ticket, e le Regioni vanno “in ordine sparso”. Così c’è chi li applica, chi promette di applicarli parzialmente, chi forse li applicherà. Si configura così un sistema che, solo per quanto appena affermato, non garantisce tutti allo stesso modo, ma si presta a forti squilibri. Un cittadino della Lombardia e uno della Sicilia, pur essendo entrambi italiani, non hanno le stesse opportunità di assistenza. I cosiddetti “viaggi della speranza” sono anche il risultato di queste disparità. La sanità ha un costo, muove interessi economici, politici, sociali di livello notevole. Basta solo

pensare che gran parte del bilancio delle regioni italiane e costituito dalla sanità e che quindi l’assessore regionale alla sanità è chiamato ad amministrare la gran parte delle risorse economiche della sua

sulla nomina dei dirigenti di struttura complessa ed è quindi possibile che non sempre la scelta venga fatta principalmente su criteri squisitamente professionali. Ma torniamo al quesito di partenza:

regione. A questo si aggiunga che è di unica pertinenza politica la nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie che finiscono, spesso loro malgrado, per essere legati a doppio filo con chi gli ha assegnato quel ruolo. A loro volta i direttori generali hanno l’ultima e insindacabile parola

possiamo ancora permetterci un sistema sanitario che coniughi l’universalità dei diritti con la sostenibilità economica. E’ partendo dal binomio sostenibilitàuniversalità che si riesce a definire il problema del futuro del S.S.N. Universalità non può significare dare tutto a tutti, ma significa sta-

bilire una scala di priorità che potrebbe essere ad esempio destinare le risorse in primo luogo alla cronicità e alla non autosufficienza, in secondo luogo porre massima attenzione ai servizi di emergenza per avere una copertura territoriale la più efficiente ed efficace possibile e infine attuare ovunque i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) come garanzia costituzionale di universalità. La sostenibilità del sistema deriva dall’attuazione delle priorità sovra menzionate associata alla riduzione degli sprechi mettendo in campo tutte le risorse del sistema a partire da quelle umane. A questo scopo potrebbe avere un ruolo l’attuazione di un sistema integrato di controllo che veda come attori da un lato i cittadini e le loro associazioni e dall’altro gli operatori della sanità medici e non. Un sistema siffatto potrebbe fare da contro altare a chi la sanità la dirige consentendo una maggiore trasparenza e una maggiore efficacia. Ma la politica che, per quanto sopra esposto, dovrebbe rinunciare a parte del suo potere sarà disponibile a farlo? E’ nella risposta a questo quesito che sta buona parte del futuro della sanità pubblica e, in definitiva, e della salute di tutti noi.


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Pensieri e Parole

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ELSE LASKER-SCHÜLER LA “MAGIA” DEL DIRE POETICO SYLVIA PALLARACCI Else Lasker-Schüler è una grande poetessa ebrea. Nasce nel 1869 a Elberfeld in Westfalia e muore a Gerusalemme nel 1945. Purtroppo non è conosciuta come avrebbe dovuto, neppure dai germanisti, ma rappresenta una delle massime figure della letteratura tedesca del primo Novecento. Stravagante frequentatrice del mondo artistico-letterario berlinese legato all'espressionismo, da lei trasfigurato in chiave mistico-magica, fu ispiratrice, amica e corrispondente dei massimi esponenti di quell'avanguardia, da Kraus a Benn, da Werfel a Trakl, da Loos a Walden, che sposò. Autrice di drammi e prose, insignita nel 1932 dell'importante Premio Kleist, fu costretta l'anno seguente all'esilio in Svizzera dall'avvento del nazismo. La Lasker- Schüler amava molto vivere nell'ambiente dei caffè, che considerava luoghi ricchi di immaginazione e finzioni; ricorrente in lei è infatti l'uso dei nomi di fantasia, riferiti, oltre che a se stessa, ai propri amici. In tal modo tutti divenivano maschere di sogno, stilizzazioni fantastiche in cui il motivo fanciullesco-fiabesco della maschera si intrecciava con quello della fascinazione dell'esotico, un tema di origine romantica costantemente presente nella lirica della poetessa. In questa percezione del-

l'elemento esotico risiede una sottaciuta intenzione antiborghese da parte della scrittrice: il filisteismo borghese, per cui tutto deve rientrare in una determinazione anagrafica rigorosa, viene stravolto da queste ondate di trasfigurazione fantastica. Come scrive Nicola Gardini, ”lo sperimentalismo della Lasker-Schüler non va scambiato per quello di certi suoi contemporanei. Nella sua opera la sperimentazione è del poeta, non della sia, erotismo si confondolingua. Per quanta oscuri- no, si integrano e trasudatà questa scrittura conten- no la vita stessa di questa ga, non vi troveremo mai donna: sempre errante, un attacco alla lingua in appassionata, dedita ad quanto istituzione o men- un colloquio esclusivo con zogna. La lingua, per lei, è la divinità assente e con verità e dichiarazione. Le l’esistenza, bruciante del cose stanno così per un fuoco delle sue stesse domotivo semplicissimo: mande e dell’esigenza di perché così vuole il poe- penetrare il mistero e atta.” Grandiosa e mite al traversare la tragedia deltempo stesso, questa poe- l’amore. Una donna con sia sembra ferma in un un cuore scalpitante e litempo di perduti splendo- bero, della cui potenza lei ri; preghiera, visione, ere- stessa aveva paura. Nel mio grembo Dormono le nuvole scure. Perciò io sono così triste, mio bene. Io devo chiamare il tuo nome Con la voce dell’uccello del paradiso Quando le mie labbra si colorano. Già dormono tutti gli alberi nel giardino – Anche l’instancabile Davanti alla mia finestra – Frulla l’ala dell’avvoltoio E mi porta per l’aria Fin sulla tua casa. Le mie braccia si appoggiano ai tuoi fianchi, Per rispecchiarmi Nella trasfigurazione del tuo corpo. Non spegnere il mio cuore – Tu che trovi la strada – Eternamente.

ANCORA UN RIMPROVERO DALLEUROPA SLOGAN RAZZISTI PRONUNCIATI DA POLITICI ITALIANI ARIANNA BOASSO Il 26 e il 27 maggio scorsi è arrivato in Italia Thomas Hammarberg, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e l’esito della visita è stato disastroso, l’Italia ha fatto ancora una volta una figura imbarazzante di fronte all’Europa. Nel rapporto ufficiale Hammarberg rimprovera duramente le autorità italiane, colpevoli di non aver garantito il rispetto dei diritti umani di rom e immigrati, e soprattutto si scaglia contro i continui slogan razzisti che niente di meno provengono dalle “rispettabilissime” bocche dei politici italiani. In modo particolare il Commissario si sofferma su come è stato gestito lo sgombro di alcuni immigrati, afferma: “La situazione dei Rom e dei Sinti in Italia rimane un motivo di grande preoccupazione. C’è bisogno di uno spostamento di attenzione dalle misure coercitive come gli sgomberi forzati e le espulsioni verso

l’integrazione sociale, e la lotta contro la discriminazione degli immigrati”. Il rapporto richiede un impegno italiano a rispettare gli standard del Consiglio d’Europa, soprattutto viene richiesta una dura lotta contro i reati a sfondo razzista, anche se effettuati dalla polizia. A onor del vero le autorità italiane sono state lasciate sole, soprat-

tutto dall’Europa, di fronte all’emergenza degli immigrati risalenti agli ultimi mesi, ma ciò non autorizza gravi mancanze come quelle riscontrate da Hammarberg. Quello che è realmente inaccettabile sono gli slogan razzisti pronunciati dai politici italiani, che mettono in imbarazzo tutti noi, invece che rappresentarci nel migliore dei

modi. Altro che esempi di virtù e di moralità! A proposito, il pensiero va al dialogo “La Repubblica “ di Platone (390- 360 a. C.) in cui descrive come si deve costituire lo Stato ideale: a governare la polis pone i filosofi, gli unici che hanno raggiunto una saggezza tale da reggere nel migliore dei modi lo Stato, perché dotati di mezzi intellettuali idonei a garantire la miglior convivenza. Quest’opera di Platone è stata fondamentale nel forgiare il pensiero politico occidentale, ma la distanza tra i reggitori dello Stato ideale e quelli attuale è, ahimè, abissale, insormontabile. L’augurio è che il rapporto del Commissario Europeo faccia in modo di sconvolgere le coscienze: ormai ci si è abituati così tanto alle malefatte dei politici che nulla produce turbamento, ma parole razziste come quelle uscite dalla bocca dei politici italiani in uno stato democratico non devono restare impunite. Che la saggezza ispiri i reggitori dello Stato!

LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI

MARIA BALEANI

Durante un piovoso pomeriggio di mare, gironzolando per un piccolo paesino sardo, mi sono imbattuta in una libreria. Non uno di quei supermarket del libro a cui siamo abituati, no, ma una piccola ed accogliente libreria in cui girare fino a che il prossimo libro non ti sceglie. Già, perché non vorremmo certo dire che una libreria è come un negozio qualunque... c’è una magia strana lì, qualcosa che guida verso il prossimo viaggio. Questa volta mi ha scelto un libro di cui avevo sentito molto parlare, la solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Già il titolo ci introduce in un mondo di profonda incomprensione e isolamento, attraverso la presentazione di numeri speciali, i numeri primi gemelli. Si tratta di numeri primi, divisibili solo per se stessi e per uno, che hanno un’altra ulteriore caratteristica, sono separati da un unico numero, vicini e al tempo stesso intoccabili, come i protagonisti di questo romanzo. Mattia e Alice sono due persone speciali che viaggiano sullo

stesso binario ma destinati a non incontrarsi mai. Sono due universi implosi, incapaci di aprirsi al mondo che li circonda, di comunicare i pensieri e i sentimenti che affollano i loro abissi. La causa è un’infanzia compromessa da un evento drammatico che si trascina nel tempo rendendo difficili le loro fra-

gili esistenze. Alice, rimasta drammaticamente segnata da un incidente subito da piccola e di cui incolpa il padre, e Matteo, al quale il caso ha incredibilmente portato via la sorella gemella, vivono la consapevolezza di essere diversi dagli altri. Questo non fa che accrescere le barriere che li separano dal mondo fino a portarli a un isolamento atroce, e neanche l’incrociarsi delle loro vite e il filo invisibile che li lega riesce a salvarli. Il tono del ro-

manzo sale e l’emozione diventa sempre più palpabile non appena ci si inoltra nel racconto e nelle vite dei protagonisti. La solitudine dei numeri primi è un'opera delicata e terribile allo stesso tempo in cui emergono due protagonisti imperfetti e marginali lontani dai loro coetanei così concentrati su frivolezze, che su Alice e Mattia scivolano invece inesorabilmente. I turbamenti e le cicatrici, i fallimenti e l'incapacità di vivere quelli che normalmente sono considerati successi, l’incomunicabilità che inevitabilmente mina il rapporto tra i figli che diventano adulti e i loro genitori sono i cardini di questo romanzo. Con il suo libro d’esordio lo scrittore guarda verso una parte della società troppo spesso nascosta e tralasciata, esplorando la vita di questi ragazzi speciali e così deboli. Si tratta di un romanzo meraviglioso, toccante e profondo, che ci porta a vivere fino in fondo il dolore e a riflettere sull’immensa solitudine e incapacità di vivere nel mondo moderno, così pieno di stimoli e possibilità quanto altrettanto privo di verità e amore.

DIMPROVVISO, UNA PERCEZIONE E NIENTALTRO POESIE DI IACOPO LIVIABELLA Com’è possibile che, per dirla con Denise Levertov, “poesie”, proprie o altrui, si trovino a forzare “la serratura della […] gola” (da “La Consumatrice“, in “Storie di ordinaria poesia. Antologia dei poeti americani degli anni ‘70“, cur. Riccardo Duranti, il labirinto, Savelli Editori, Milano, 1982, trad. R. Duranti, A. Sexton trad. E. Marras, p. 23) quasi soffocandoci? Le seguenti poesie ricalcano uno stile “americano”, ma i contenuti sono vissuti da qui, a pochi metri dalle nostre vite. Siamo noi gli interlocutori più vicini a questi ver-

si, è la nostra gola che essi tentano di forzare, siamo noi i soggetti di un’umanità osservata, temuta per la sua stoltezza, giudicata con sincerità. Il segreto sta tutto in uno sguardo a maglie fitte, che va e viene dal buio alla luce. Marina Cvetaeva, a proposito di A. Block, ha scritto: “[…] Block che non esce nella notte con la lampada è un saggio, un saggio proprio come Diogene che era uscito con la lanterna - di giorno […]. [Block] fece un’aggiunta alla nerezza, la infittì, la intensificò, la approfondì, la scurì […] - arricchì l’ele-

Vacche Gente magra in un mondo grasso grassissimo, gente falsa e il mondo è vero. Un finale lo percepisci lievemente ma mai lo affronti cosciente. Ecco, non puoi assolutamente mai aspettare una fine. Apri gli occhi amore mio perché la gente muore con gli occhi chiusi

mento…ma voi - ih, ih?” (da M. Cvetaeva, Incontri. Majakovskij, Pasternak, Belyj, Voloin, trad. e note M. Doria de Zuliani, La Tartaruga, Milano, 1982, p. 160); credo che si possa usare la stessa definizione per le poesie che seguono. Un proverbio siciliano ammonisce che un Sazio molto difficilmente crederà alle parole di un Digiuno: solo attraverso la poesia è possibile essere contemporaneamente e autenticamente l’uno e l’altro, a un tempo esistere e non esistere, essere qui e altrove, essere nel prima e nel dopo di ogni cosa.

Di notte Egoisticamente partirei per non tornare più e nel buio lasciare il buio. Tralasciando molte cose senza saluti ne accortezze lascerei questi deserti e questi oceani. Lascerei le rose i cieli muti e le carezze


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Scuola

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Iniziare tra mille problemi Ecco a voi la scuola in Italia GIOIETTA VOLPI

Il 12 settembre è ripartita, tra mille problemi, la scuola in Umbria per 155 mila studenti, dei quali 16 mila 146 sono stranieri. I 155mila ragazzi sono suddivisi in 7mila 274 classi. La media di alunni per classe è poco più di 21, ma la media non racconta delle lamentele che ci sono state e continuano ad esserci per numeri alti di alunni per classe. In una scuola media di Perugia, la scuola media Grecchi di San Sisto, era prevista una classe con 37 alunni (la normativa sulla formazione delle classi prevede che una prima media sia costituita da un minimo di 18 ad un massimo di 27 alunni elevabile a 28, solo per eventuali residui), ma alla, fine dopo assemblee e proteste dei genitori con tanto di sit-in fuori dall'istituto è scesa fino a 31.Un numero comunque alto, ma che, sia nel perugino che nel terna-

no si registra spesso nelle varie scuole di ordine e grado. I docenti per questo si preoccupano perché temono di non poter seguire singolarmente i ragazzi che ne avrebbero bisogno. E per i ragazzi, non essere seguiti perché si è in tanti, potrebbe pregiudicare l'apprendimento stesso. Colpa, secondo i docenti, di tagli e accorpamenti. Bambini e ragazzi troveranno ad accoglierli una scuola all’altezza di un paese moderno ed europeo? O dopo la cura Gelmini– Tremonti hanno ragione quanti parlano di «disastro» dell’istruzione pubblica? Partendo dal punto di vista degli alunni ecco che avranno un balletto di professori per i primi mesi, causa strascichi del caos nomine che ha tenuto banco per tutta l’estate e che è nato (anche) dalla surreale faccenda della doppia graduatoria (quella di quest’anno e quella, bocciata dalla Corte Costituzionale del 2010) alle quale è seguita l’indolenza del Miur che ha

evitato di disporre circolari esplicative per tentare di arginare le cause degli esclusi. Ma gli studenti troveranno anche molte scuole senza preside, questo a causa del provvedimento che ha dimezzato i dirigenti di fatto attribuendo a ognuno più plessi. Molte scuole poi saranno anche senza bidelli, con i laboratori chiusi perché non ci sono i tecnici per aprirli. E senza personale di segreteria. Questo perché all’appello manca, nonostante i proclami sull’immissione in ruolo della Gelmini (in Umbria sono 507 gli insegnanti che otterranno un posto fisso, 590 gli amministrativi, tecnici e ausiliari), il personale Ata. Tra l’altro gli studenti si ritroveranno nelle cosiddette «classi pollaio» perché i presidi non avranno né insegnanti e né risorse per sdoppiare le classi quindi formeranno aule di 35 alunni. Questo equivale brutalmente a dire che ci rimetteranno i più deboli, che gli insegnanti riusciranno a portare avanti solo

chi ce la fa e difficilmente avranno il tempo per recuperare chi è indietro. Il tutto in scuole fatiscenti, soprattutto al sud: è di alcuni giorni fa il grido di allarme di alcuni istituti siciliani e calabresi che non riescono neanche ad acquistare banchi e sedie sufficienti a far sedere tutti gli studenti. Si delinea una doppia Italia, e non solo per la qualità delle strutture. Anche per il tempo pieno. Il monte ore complessivo è diminuito, i presidi non sanno come far fronte alle richieste dei genitori, affibbiano così scampoli di ore a di-

versi insegnanti (con buona pace del tanto pubblicizzato “maestro unico”), tutto ciò nuoce alla coerenza formativa, certo, ma è anche una vana lotta contro i mulini a vento perché è stato calcolato che a fine ciclo delle elementari un bambino milanese avrà comunque 2145 ore di scuola in più di un coetaneo siciliano. Discorso ancor più delicato per gli studenti disabili. Sul taglio degli insegnanti di sostegno è dovuta intervenire una sentenza della Corte Costituzionale che nel 2010 ha dichiarato illegittime le norme del-

la Gelmini che fissavano un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno, e che vietavano di assumerne in deroga, in presenza di studenti con disabilità. Nonostante questo gli insegnanti di sostegno risultano a tutt’oggi insufficienti. Riepiloghiamo: edifici fatiscenti, mancano dirigenti, bidelli e insegnanti, soprattutto per il sostegno, mancano le attrezzature, mancano i soldi per pagare i supplenti… cos’altro? Ah sì, forse manca il buon senso a chi ci governa. Buon inizio di anno scolastico.

La scuola è in ritardo… La caotica situazione delle graduatorie di istituto GIOIETTA VOLPI

Avvio regolare in Umbria del nuovo anno scolastico per i 155 mila 205 iscritti. Nelle 7.274 classi dislocate all'interno degli istituti sparsi su tutto il territorio regionale, dovrebbero essere impegnati complessivamente 9.567 insegnanti. Perché l’uso del condizionale? Perché quando si parla di scuola, purtroppo il condizionale è d’obbligo. L’anno scolastico è iniziato, ma niente è pronto… Dopo gli scandalosi ritardi per le pubblicazioni dell’ordinanza sulle graduatorie d’istituto e il bando del concorso dirigenti, per le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie e per le immissioni in ruolo, anche le graduatorie di istituto si fanno attendere. Le scuole in questi giorni sono costrette ad utilizzare le vecchie graduatorie cioè, secondo la nota 7138 del Miur del 13.9.2011, “se al momento del conferimento delle supplenze le graduatorie relative all'a.s. 2011/12 non sono ancora pronte, le scuole sono autorizzate a conferire incarichi dalle graduatorie del biennio 2009/11, con incarichi "fino all'avente diritto". Con la conseguenza che in caso

di supplenze "lunghe", per esempio di due o tre mesi, i ragazzi rischieranno di trovarsi in aula per un periodo un docente nominato in base alle vecchie graduatorie (aggiornate l'ultima volta nel 2009) e per il restante tempo un nuovo professore, chiamato invece in base agli elenchi appena finiti di aggiornare. E ciò a tutto discapito della didattica e della stabilità del lavoro. Perché i docenti non me-

ritano di essere in cattedra dal 1° settembre? Perché questi ritardi nell'emanazione di provvedimenti che compromettono l'inizio dell'anno scolastico? Perché inutili attese per operazioni di cui si conosce da tempo la necessità e l'urgenza? Secondo il Regolamento delle supplenze art. 7 comma 9: "Nell'anno di rinnovo delle graduatorie di circolo e di istituto, la relativa procedura deve essere atti-

vata entro il 31 gennaio antecedente all'inizio dell'a.s. di riferimento e deve essere completata entro il successivo 31 agosto." Naturalmente il Regolamento non è stato applicato e tutte le procedure sono in pauroso ritardo; sarebbe troppo pretendere di avere le liste pronte entro il 31 agosto, ma il buon senso le vorrebbe disponibili almeno per l'avvio dell'anno scolastico in modo da evitare avvicen-

darsi di insegnanti "fino all'avente diritto", di docenti presenti in due province, di super lavoro per le segreterie che si trovano a gestire una situazione tanto complessa quanto inutile. Secondo la sopraccitata nota del MIUR da venerdì 16 settembre è prevista per le scuole la messa in disponibilità della funzione di visualizzazione delle graduatorie di circolo e di istituto con le quali saranno proposte

le nuove graduatorie di prima fascia valide per il triennio 2011-2014, mentre solo dal 28 ottobre è previsto il rilascio delle nuove graduatorie di seconda e terza fascia… In concreto come funzionano le graduatorie di Istituto? La domanda per aggiornare o inserirsi va presentata in una sola scuola a scelta del candidato (cosiddetta scuola "polo") che poi gestirà l'intera procedura. Si possono chiedere al massimo fino a 20 istituti, purché appartenenti alla stessa provincia. Tre le fasce per cui si può concorrere. Nella prima c'è spazio solo per i supplenti già inseriti nelle graduatorie a esaurimento. La seconda fascia è aperta agli abilitati (tipo Ssis) non inclusi nelle liste a esaurimento, mentre la terza fascia è riservata ai laureati, il cui titolo però deve essere valido per l'accesso all'insegnamento richiesto. Forse unica novità positiva in mezzo a questo caos senza fine, quest'anno la convocazione avverrà per e-mail o sms (e non più con il telegramma): finalmente si risparmieranno tempi e soldi, commentano soddisfatti alcuni dirigenti scolastici.


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ANNO III - N. 10

Ambiente, Oroscopo e Cucina

PRIMA QUINDICINA DI SETTEMBRE PIÙ CALDA DI SEMPRE, SICCITÀ SEMPRE PIÙ SERIA LUISITO SDEI

Ce ne siamo accorti tutti, del caldo, ma vedere i numeri della prima quindicina di settembre 2011 fa davvero impressione. Con i suoi 25 gradi di media (stazione FolignoMeteo loc. Cappuccini) si colloca addirittura 5 gradi secchi in più rispetto alla norma mensile del periodo 1993-2010. Ci sono state, in passato, altre ondate calde di fine stagione, ma mai così continuative. L’alta pressione mediterranea ha dominato incontrastata i nostri cieli: tutta colpa dello spostamento verso Nord della cosiddetta ITCZ, ossia della zona di confine fra i temporali della fascia equatoriale e le alte pressioni del deserto. Tutta la circolazione dell’emisfero occidentale si è spostata verso Nord, e la fascia di alte pressioni subtropicali si è trovata sopra di noi, quando, di norma, avrebbe dovuto retrocedere verso l’Africa. Di conseguenza, la siccità in atto si è ulteriormente aggravata. Non piove a Foligno dal 28 luglio scorso. La pressione sugli acquiferi si è fatta molto forte, tanto che sono salite agli onori della cronaca le interruzioni alla fornitura del servizio idrico in alcune zone della città.

Mentre scriviamo queste note, la portata della sorgente di Rasiglia si sta avvicinando ai due minimi storici del 2001 e del 2007 (circa 185 l/s), con 235 l/s. Il calo è di circa 6 l/s negli ultimi 15 giorni. Dal 1° gennaio al 31 agosto (dati apparsi sul sito del Comune di Foligno), sono caduti sulla nostra città soltanto 311 mm.: sono i primi 8 mesi più asciutti dal lontanissimo 1943. Ma l’elemento più grave è rappresentato dal sempre più frequente ripresentarsi di queste annate con inverni ed estati piuttosto secche. Sempre prendendo in considerazione i mesi da gennaio ad agosto: per ben 7 volte, dal 2000 ad oggi, sono scesi su Foligno meno di 400 mm. Negli undici anni precedenti, la soglia dei 400 mm era rimasta inviolata solo 4 volte. A costo di ripeterci, dobbiamo quindi dire a chiare note che tutte le analisi dei dati termici e pluviometrici registrati nel nostro territorio evidenziano una tendenza di lungo periodo verso la riduzione e la concentrazione delle precipitazioni, ed il riproporsi sempre più frequente di lunghe fasi anticicloniche ed ondate di calore. La stessa frequenza di alte pressioni impedisce che i dati medi delle temperature facciano segnare

sensibili incrementi, a causa del fenomeno dell’inversione termica: i cieli sereni fanno abbassare le temperature minime. E’ quindi indispensabile compiere scelte di lungo termine in direzione del minore consumo di acqua, specialmente di quella ad uso idropotabile. Ma non solo: si impongono nuove scelte nei settori dell’arredo urbano e del verde pubblico, dell’edilizia (non solo quella d’avanguardia…), dell’agricoltura. Sarà sempre più difficile assicurare un benessere accettabile senza l’utilizzo dell’aria condizionata, indipendentemente dalla modalità (c’è anche il geotermico!). Mantenere un prato all’inglese sarà sempre più problematico, inutile e fondamentalmente privo di senso. Il prolungarsi delle estati fa e farà acuire sempre di più i problemi di vivibilità urbana legati al rumore, con orari lavorativi e scolastici costretti fatalmente adattarsi al fatto che, per almeno tre-quattro mesi all’anno, muoversi all’aperto di giorno diventerà sempre meno accettabile. Se la lotta contro il cambiamento climatico è compito globale, la battaglia per l’adattamento alle nuove condizioni si può combattere localmente. Basta prenderne atto ed agire.

OTTOBRE 2011

BILANCIA - 23 SETTEMBRE /22 OTTOBRE A CURA DI DARIO FUSI Pro “Bello in tutti sensi” Come sarebbe brutto un mondo senza Bilancia! Brutto innanzi tutto per viverci perché vi regnerebbe l’ingiustizia più barbara, ma molto urtante anche da vedersi, perché vi mancherebbe arte e armonia. La forza di un Bilancia sta insomma in una straordinaria sicurezza di gusto che può esercitarsi tanti in senso estetico, quanto in senso morale, con eguale pertinenza ed efficacia; del resto l’armonia esteriore non è che un flusso di quella interiore. Ma se è rigoroso con gli altri un Bilancia lo è altrettanto con se stesso e sarà sempre il primo a riconoscere i propri errori e a pagarne volontariamente lo scotto, Tanto che potremmo tranquillamente affidargli il compito di soppesare queste parole e di giudicarsi da solo: sì, sarebbe il verdetto più equilibrato.

Contro “Un odioso giudice” Non sa muovere un dito per sé, figuriamoci poi per gli altri. Per questo ogni Bilancia è convinto che la sua inerzia assolva la sua ingenerosità con formula piena. Per i verdetti, del resto, ha un’autentica passione e non esita mai a trinciare giudizi su tutto e tutti; vi squadra dall’alto in basso e prima ancora che abbiate potuto accorgervene vi ha

Nati sotto il segno della Bilancia Virgilio (Publio Virgilio Marone) (15 ottobre 70 a.C.) - Miguel de Cervantes (29 settembre 1547) - Francesco Borromini (25 settembre 1599) Denis Diderot (5 ottobre 1713) Franz Liszt (22 ottobre 1811) Giuseppe Verdi (10 ottobre 1813) Dmitrij Shostakovic (25 settembre 1906) - Luciano Pavarotti (12 ottobre 1935) - Mahatma Gandhi (Mohandas Karamchand Gandhi) (2 ottobre 1869) - Sandro Pertini (25 settembre 1896) Michelangelo Antonioni (29 settembre 1912) - Rita Hayworth (Margarita Carmen Cansino) (17 ottobre 1918) Marcello Mastroianni (28 settembre

già tagliato i panni addosso con la sua implacabile spada da Salomone. Schizzinoso, formalista, moralista, un Bilancia sviene con la stessa facilità davanti a una fetta di filetto crudo, davanti agli accostamenti di colore della carta della macelleria e davanti al legittimo turpiloquio del macellaio stesso che, alla fine, è proprio uscito dai gangheri. Pena: farsi sorprendere da qualcuno brutto.

1924) - Brigitte Bardot (28 settembre 1934) - Catherine Deneuve (Catherine Dorléac) (22 ottobre 1943) - Monica Bellucci (30 settembre 1964) Catherine Zeta-Jones (25 settembre 1969) - Gwyneth Paltrow (27 settembre 1972) - Ray Charles (Ray Charles Robinson) (23 settembre 1930) - John Lennon (9 ottobre 1940) - Bruce Springsteen (23 settembre 1949) Renato Zero (Renato Fiacchini) (30 settembre 1950) - Zucchero (Adelmo Fornaciari) (25 settembre 1955) Francesco Totti (27 settembre 1976) Andriy Shevchenko (29 settembre 1976) - Didì (Valdir Pereira) (8 ottobre 1928) - Lev Jáshin (22 ottobre 1929)

i con rlus 1936 e B io Silv ttembre I A e C s 29 B I L A N S

RICETTE DEL MESE FOCACCIA CON CIAUSCOLO E MOSTACCIOLI ALLOLIO Redazione: Via del Grano 11 06034 Foligno - tel. 0742510520 redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maura Donati Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Del Gallo Editori Srl loc. S. Chiodo - Spoleto Chiuso: 30 settembre 2011 Tiratura: 3.500 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”

ANTONIETTA STADERINI Focaccia con ciauscolo e fichi Ingredienti per sei persone: gr 500 farina O,  bicchiere olio extra vergine di oliva, gr 20 lievito di birra,  latte, sale q.b., gr 200 ciauscolo, 6/8 fichi bianchi. Procedimento: in una zuppiera mettere la farina creando al centro una piccola fontana, inserire il sale, l’olio il lievito, precedentemente sciolto in una tazzina di latte tiepido, lavorare gli ingredienti continuando ad incorporare latte tie-

pido, alla fine l’impasto deve risultare molto morbido (nell’eventualità non bastasse il latte, proseguire con acqua tiepida), praticare un taglio a croce al centro dell’impasto, coprire con un canovaccio e lasciare riposare in un luogo dove non ci siano sbalzi di temperatura per circa 3 ore. Togliere l’impasto dalla zuppiera, lavorarlo nuovamente e lasciarlo

riposare per circa 2 ore, nella zuppiera sempre coperto; infine stendere con il mattarello l’impasto ottenuto, dandogli una forma circolare e lasciandolo abbastanza alto, Disporlo su una teglia, su cui abbiamo pre-

cedentemente disteso un foglio di carta da forno, bucare leggermente la parte superiore con una forchetta, coprire con il canovaccio e lasciare riposare per circa 30 minuti. Pelare i fichi e tagliarli in quattro parti, privare il ciauscolo della pellicola esterna. Mettere la focaccia in forno caldo e procedere alla sua cottura a 180 gradi per circa 30 minuti. Tagliare in orizzontale la focaccia e farcirla con il ciauscolo e i fichi. Mostaccioli all’olio Ingredienti per circa 500 gr di biscotti: gr 500 fari-

na OO, lievito per dolci 1 bustina, un bicchiere di vino rosso, 1 bicchiere di olio di oliva, gr 100 zucchero, gr 50 uvetta, un pizzico di sale, 1 bicchiere scarso di mistrà. Procedimento: disporre a fontana la farina, mettere al centro gli ingredienti e lavorare aggiungendo il vino, sino ad ottenere un impasto morbido ed omogeneo. Stendere con le mani piccoli quantitativi di pasta per ottenere dei rotolini che poi dovranno essere chiusi a ciambellina. Cuocere in forno a 180 gradi per circa 20 minuti.


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Spettacoli ed Eventi

OTTOBRE 2011

Ottobre trevano ANNA MARIA PICCIRILLI

La cittadina medievale è in fermento per l’avvicinarsi della manifestazione più lunga dell’anno. L’Ottobre trevano, capace di trasformare la cittadina e l’animo dei suoi abitanti. Una manifestazione a metà strada tra storia, tradizione, spettacolo e gastronomia. Un evento che in effetti è una sorta di contenitore che spazia dalla rievocazione storica con il suo corteo storico e Palio dei Terzieri, in scene e giochi medievali, torneo arcieristico medievale, equiraduno, disfide con i giochi popolari e le tradizionali sagre, come quella del sedano nero, della salsiccia, della castagnata, dei prodotti tipici e il prezioso olio extravergine d’oliva. Prodotti d’eccellenza del territorio trevano. Ma anche degustazioni con GustaTrevi. Per un mese la piccola cittadina medievale cambia pelle e si rituffa negli anni del me-

dioevo, riaccendendo la rivalità tra i cittadini del Castello, del Matiggia e del Piano, i tre rioni che si sfidano in una gara davvero singolare e unica per accaparrarsi l’ambito drappo, il Palio che quest’anno è del giovane artista Gabriele Lombardi. Venti baldi giovani si alternano da Porta Nuova lungo le antiche mura, fino a Piazza Mazzini, dov’è previsto l’arrivo, spingendo lungo un percorso di ottocento metri tutto in salita, un carro pesante 430 chilogrammi. Arrivati in piazza uno di loro, il balio si stacca e va a strappare la chiave dalla mano destra della mora, statua lignea rappresentante il Saracino, apre la porta della torre e con il tocco della campana segnala la riconquista della città. Il terziere che totalizza il tempo più breve e meno penalità vince il Palio. Una gara dunque che si gioca sul filo di lana, sui decimi di secondo e che infiamma l’animo dei supporters che ovviamente fanno il tifo per il proprio terziere. Novità

del 2011 è l’introduzione di una macchina da ripresa che sarà posta sul carro, tipo quella che è posta sulla moto del “Vale”. La rievocazione infatti prende spunto da un preciso fatto storico. La distruzione della città di Trevi nel 1214 da parte degli spoletini, i cittadini infatti gareggiarono con tutta la loro volontà per far emergere dalle rovine la loro patria. Il Palio quindi, nato nel 1980, da una costola della Pro Trevi, rievoca per l’appunto la tenacia e la generosità dell’avvenimento. Ad anticipare la corsa dei carri il corteo storico che vede sfilare oltre quattrocento figuranti,tutti abbigliati in abiti rigorosamente d’epoca medievale. A rendere ancora più suggestivo e scenografico il corteo, che si svolge di sera, l’illuminazione che non si affida alla luce elettrica, ma a torce e lampade. Affascinanti le scene medievali, fiore all’occhiello dei tre terzieri. Vicoli, vicoletti, cortili e piazzette vengono sapientemente riportati al medioevo e so-

Sedano Nero di Trevi ANNA MARIA PICCIRILLI

E’ entrato a far parte di quel paniere di prodotti di nicchia il sedano nero di Trevi celebrato con una sagra in programma la terza domenica del mese di ottobre che quest’anno capita il 16 ottobre. Un prodotto di qualità, ricco di storia e tradizioni che viene coltivato in una porzione pianeggiate di valle compresa tra la romana Flaminia e il famoso Clitunno, conosciuta come le “Canapine”. Le pazienti e secolari cure degli agricoltori locali hanno portato alla creazione di questa particolare cultivar cosiddetto “nero” perché se lasciato crescere senza lavorazioni speciali è molto scuro e legnoso e quindi deve venire interrato per ottenerne l'imbianchimento. Il prodotto finale è un sedano dalle coste bianche, prive dei fastidiosi "fili", molto lunghe prima del "nodo" da cui si ramificano le foglie e con un "cuore" molto polposo e tenero dal sapore pronunciato. La coltura del sedano nero è scandita da rigorose operazioni tradizionali che seguono un vero e proprio rituale La semina avviene con luna calante, nella quindicina della Pasqua, possibilmente il venerdì santo. É tradizione antichissima infatti che gli ortaggi seminati in tal giorno crescano più rapidamente e resistano più a lungo prima di fiorire e pro-

durre semi diventando quindi legnosi e non più eduli. E’ a questa particolare cultura che la terza domenica di ottobre viene dedicata una sagra per l’appunto. E così domenica 16 ottobre è la giornata dedicata al prodotto d’eccellenza del territorio trevano con la “sagra del sedano nero e della salsiccia”, evento inserito nel contenitore dell’Ottobre trevano”. Sagra che celebra quest’anno la XLVII edizione, promossa, come sempre, dalla Pro Trevi. Anche se già nel 1948, in occasione della rimpatriata dei trevani residenti altrove, tra le altre manifestazioni folkloristiche e rievocative ci fu una grande esposizione di sedani sotto il portico del Comune con tanto di premiazione, discorsi e via dicendo. Ma l’entusiasmo durò ben poco e soltanto dal 1965, grazie all’impegno della Pro Trevi che la sagra del sedano nero e della salsiccia cominciò a decollare. Una festa che richiama nella bella cittadina medievale tantissimi estimatori di questo particolare ortaggio, che solo a Trevi e soltanto in questo periodo si coltiva. La tipicità del sedano nero è fatto ormai accertato. Lo testimoniano i molti studi effettuati in merito alla caratterizzazione genetica di questa peculiarità tutta di marca trevana. Tant’è che a buon diritto è stata inclusa in quel ristretto nu-

no luogo di antichi mestieri riproposti dai figuranti. Il tutto in una cornice di grande effetto e suggestione. Ma non solo rievocazione storica. In programma anche la tradizionale sagra del sedano nero e della salsiccia e la castagnata e gli antichi sapori. Prodotto d’eccellenza ed esclusivo di Trevi, il sedano nero si trova solo a Trevi e soltanto nel mese di ottobre. Una cultivar particolarissima che viene coltivata in una stretta striscia delle Canapine e che nelle tre taverne dei rispettivi terzieri aperte solo per il mese di ottobre, viene proposta in gustose e ottime ricette. In primo luogo il sedano nero ripieno, vera leccornia tutta da gustare. Un calendario di appuntamenti messo a punto dall’Ente Palio dei Terzieri, dalla Pro Trevi e dall’ente locale e che vede il coinvolgimento dei ragazzi che frequentano l’istituto comprensivo Tommaso Valenti, capace di richiamare nella cittadina centinaia di migliaia di appassionati di storia,

di visitatori e di turisti. A fare da corollario le tre taverne dove si può gustare il prelibato sedano nero, cultivar particolare che solo a Trevi e solo in questo periodo si può gustare. Speaker d’eccezione della rievocazione storica è Mauro Silvestri, voce storica e inimitabile della Giostra della Quintana, insieme ad Anna

Maria Rodante. Il nuovo presidente dell’Ente Palio dei Terzieri è Marco Fantauzzi, il quale ha dato nuovo sprint alla manifestazione. Va detto infine che l’Ente insieme alla Pro Trevi, al Comune di Trevi e alle tante associazioni del territorio hanno stilato un programma ricco di eventi diversi l’uno dall’altro.

Gli Appuntamenti

mero di prodotti tipici umbri. Una tipicità accertata a livello scientifico e dopo approfonditi studi portati avanti dal Dipartimento di biologia vegetale e biotecnologie agroalimentari e zootecniche dell’Università di

Gli appuntamenti in programma a Trevi iniziano giovedì 29 settembre con la cerimonia d’apertura ai “Festeggiamenti ottobrini 2011”, ore 19,30, e con il “convivio dei priori”, cena itinerante nelle tre taverne dei terzieri. Venerdì 30

Perugia. Un ortaggio che identifica il territorio perché racchiude in sé, oltre che la tipicità, anche una particolare identità assolutamente riconoscibile con il territorio e che dunque può ben figurare nella filiera turismo-enogastronomica e dei prodotti tipici. Un prodotto dunque che può portare ricchezza al territorio , intesa come paesaggio e come agricoltura. Capace di veicolare l’immagine di Trevi al di fuori dei confini locali, regionali e perché no, anche nazionali.

ore 21, corteo storico nel centro storico. Sabato 1 ottobre ore 18,30 “Aria di casa” le foto di Maurizio Dogana e i video di Z.One. Ore 21 Palio dei terzieri. Domenica 2 dalle 9 alle 16 XII Equiraduno Città di Trevi a cura del Gruppo Trevi a cavallo, ore 15,30 piazza Garibaldi “Scacco al re” partita di scacchi viventi; ore 20 apertura delle taverne dei terzieri. Venerdì 7 ottobre ore 21 Chiesa di San Francesco “Un filo d’amore” presenta “Note di viaggio” concerto di musica classica. Sabato 8 ottobre dalle 10

alle ore 18 piazzetta del Teatro “The big Draw”; ore 11 piazza Mazzini inaugurazione mostra “Immagini e Parole”; ore 15 Ninfeo di Villa Fabri “Alla corte dell’imperatore” giochi per bambini e “un metro e mezzo di…Nutella” merenda party; ore 16,30 piazza Mazzini “Tè… alla mente” incontro dibattito sul tema della famiglia e l’amore ai tempi di internet; dalle 16 alle 24 mercatino medievale parco villa Fabri, ore 21 piazza Garibaldi “La sfida dei suoni”, gara tra i tamburini dei terzieri. Domenica 9 dalle 9 alle 20 Gustatrevi… degustazione dei prodotti tipici locali con le eccellenze del territorio (centro storico); ore 9 IV torneo nazionale Arcieristico Arco Medievale, dalle 9 alle 24 parco Villa Fabri Mercanti in fiera, mercatino medievale. Venerdì 14 ore 23,30 la Notte del tesoro, tutti in piazza alla ricerca di... Sabato 15 ore 10,30 complesso museale “Piccole guide”, i musei dell’Umbria raccontati dai bambini, mostra dei disegni realizzati dagli studenti dell’Istituto comprensivo Valenti di Trevi. Ore 18 Teatro Clitunno “Fiabe umbre” di Valentina Penzulli e Beatrice. Domenica 16 dalle 9 alle 20 centro storico mostra mercato del sedano nero di Trevi,

XLVII Sagra del sedano nero e della salsiccia, mercato dei prodotti tipici locali; ore 18,30 chiesa di San Francesco “El Cantionero de Uppsala” Villancicos De Navidad. Concerto dei Cantori di Cannaiola; ore 21 Teatro Clituno “Un filo d’amore”… Green stage Events. Giovedì 20 ore 21 Teatro Clitunno, la compagnia teatrale “Al Castello” presenta “La pulce nell’orecchio” di George Fedeau, regia Claudio Pesaresi a cura di Motor Caravan Club Italia. Venerdì 21 ore 21 Teatro Clitunno “Un filo d’amore”…Mother’s Garage Band. I mitici anni 7080. Sabato 22 ottobre ore 17 Teatro Clitunno l’evento Trevi Premia un personaggio, ore 18,30 centro storico “scene di vita medievale”. Domenica 23 dalle 9 alle 20 piazza Mazzini castagnata e antichi sapori, dalle 9 alle 20 piazzetta del Teatro Mercato del contadino a cura del comune di Trevi e Mercato delle Pulci, ore 17 “scene di vita medievale”, ore 21 teatro Clitunno la Compagnia teatrale Arca di Borgo Trevi presenta “Li pidocchi rifatti” di Gaetano Stella a cura dell’associazione TreviFutura. Venerdì 28 ore 21 chiesa di San Francesco concerto di organo. Sabato 29 dalle 9 alle 20 FestivOl, Trevi tra olio, arte, musica e papille. Mercato dei presidi slow food, mercato del contadino e delle Pulci a cura del Comune di Trevi. Domenica 30 dalle 9 alle 20 FestivOl, mercato dei presidi slow food del contadino e delle Pulci a cura del Comune di Trevi. Ore 24 Centro storico chiusura delle taverne dei terzieri.


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ANNO III - N. 10 OTTOBRE 2011

A proposito della manovra correttiva se è vero che anche l’occhio vuole la sua parte...

...questa volta non ci hanno lasciato proprio niente!


supplemento al numero 10 - Anno III - ottobre 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

Iosif Vissarionovi Dugavili Stalin (“Acciaio”), un Comunista

Compagni soldati rossi e marinai rossi, comandanti e dirigenti politici, operai e operaie, colcosiani e colcosiane, lavoratori intellettuali, fratelli e sorelle nelle retrovie del nostro nemico, temporaneamente caduti sotto il giogo dei briganti tedeschi, nostri valorosi partigiani e partigiane che distruggete le retrovie degli invasori tedeschi! (...) Vi furono giorni in cui il nostro paese si trovò in una situazione ancor più grave. Ricordate il 1918... i tre quarti del nostro paese si trovavano allora nelle mani degli invasori stranieri... Non avevamo alleati, non avevamo l’Esercito rosso... 14 Stati assalirono allora il nostro paese. Ma non cademmo nel pessimismo, non ci perdemmo d’animo. Nel fuoco della guerra formammo allora l’Esercito rosso e trasformammo il nostro paese in un campo trincerato. Lo spirito del grande Lenin ci animava allora alla guerra contro gli invasori. Ebbene? Infliggemmo una disfatta agli invasori, ci facemmo restituire tutti i territori perduti e riportammo la vittoria. (...) Compagni soldati rossi e marinai rossi, comandanti e dirigenti politici, partigiani e partigiane! Tutto il mondo vi guarda come a una forza capace di annientare le orde brigantesche degli invasori tedeschi. I popoli asserviti d’Europa, caduti sotto il giogo degli invasori tedeschi, vi guardano come loro liberatori. Una grande missione liberatrice spetta a voi. Siate dunque degni di questa missione! La guerra che voi conducete è una guerra di liberazione, una guerra giusta... Per la completa disfatta dei conquistatori tedeschi! Sotto la bandiera di Lenin, avanti, alla vittoria! (Discorso di Stalin del 7 novembre 1941)

I soldati dell’Armata Rossa depongono le bandiere nazifasciste ai piedi del Mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa Nel maggio 1945, con la conquista di Berlino da parte dell’Armata Rossa, si conclude la seconda guerra mondiale scatenata dalla Germania e dall’Italia, alle quali si aggiunse più tardi il Giappone, con l’impressionate bilancio di 35 milioni di morti, dei quali 20 milioni cittadini dell’Unione Sovietica, circa la metà

dell’intera popolazione dell’Italia dell’epoca. Difficile immaginare cosa sarebbe potuto accadere se l’Unione Sovietica avesse ceduto e i nazi-fascisti avessero potuto trasferire l’enorme esercito orientale sul fronte occidentale, o anche solo immaginare quanto avrebbe influito sul seguito della guerra l’eventuale caduta di Sta-

lingrado con la possibilità per i nazi-fascisti di accedere al petrolio del Caspio. L’Unione Sovietica, i popoli sovietici, sotto la guida del Partito Comunista e del suo segretario Stalin, non hanno ceduto e Stalingrado non si è arresa. Su quella resistenza si fonda, anche, la nostra attuale democrazia occidentale.

I


La ricerca della verità Critica scientifica e propaganda ideologica Più volte abbiamo affermato con chiarezza (e qui lo ripetiamo con la stessa forza) che per essere giudicato criminale o assassino è sufficiente aver commesso anche un solo crimine o un solo assassinio; tuttavia abbiamo anche sostenuto la necessità di dare veridicità e concretezza ai dati reali storici, perché l’accertamento della verità oggettiva è il presupposto necessario per una critica parimenti reale e concreta, e quindi utile, e non puramente propagandistica e di facile strumentalizzazione ideologica. Nell’articolo che segue abbiamo riportato, per necessari stralci, la posizione di metodo scientifico adottata sulla vicenda del periodo di governo staliniano dell’Unione Sovietica dal Partito Comunista Cinese, sostanzialmente all’indomani del definitivo “strappo” tra la Cina maoista e l’URSS krusceviana. Qui proviamo a dare due parametri oggettivi: il pro-

babile reale numero delle vittime delle cosiddette “grandi purghe” staliniane e, se non compiutamente o univocamente, le loro ragioni, ovvero la “natura” delle vittime. Definire un numero reale è un’operazione indubbiamente incerta anche se desumibile, in via deduttiva, da alcuni dati certi, il primo dei quali è quello della capienza del campi di lavoro forzato, noti come “Gulag”. La capienza degli stessi, nell’intero trentennio staliniano, è oscillata attorno a 1 milione mezzo di internati, con punte massime sino a 2 milioni nel periodo della seconda guerra mondiale. Nei Gulag venivano rinchiusi sia delinquenti comuni che politici, in percentuale stimata di questi ultimi di circa il 30%. Aleksandr Sol enicyn (autore di “Arcipelago Gulag” e vittima sopravvissuta della repressione politica) in un discorso pubblico tenuto a New York il 30 giugno 1975, pochi mesi dopo il

suo esilio, affermò: “Nel massimo del terrore staliniano, nel 1937-1938, se dividiamo il numero di persone assassinate per il numero di mesi, il risultato ci dà 40mila persone al mese”; dunque tra le 8 le 900 mila vittime (inclusi i delinquenti comuni?). Questo numero coincide con quelli emersi dagli archivi della NKVD (Direttorato per la sicurezza del paese) dopo il collasso dell’URSS che indica, per l'intero periodo 1921-53, i condannati a morte per controrivoluzione nel numero di 799.455. Ci sono poi affermazioni non documentate che indicano l’uccisione di ben 15 milioni di prigionieri nel periodo del massimo terrore 1938/39 (10 volte la capienza dei Gulag!) o quanto meno di circa 5 milioni stimati dallo storico inglese Robert Conquest che, va segnalato, nel novembre 2005 fu premiato con la Medaglia presidenziale della libertà dal Presidente George W. Bush,

Campo di lavoro forzato (Gulag) 1932 “fondatore”, tra l’altro, dei campi di concentramento e tortura di Abu Graib e Guantanamo. Un dato è tuttavia certo: le “purghe” decimarono essenzialmente l’apparato centrale e periferico del Partito e dell’amministrazione, giungendo a punte dell’80% tra gli alti ufficiali dell’Armata Rossa nel periodo 1937/38 immediatamente precedente la prevista aggressione della Germania all’Unione Sovietica. Sono numeri indubbiamente “enormi”, ma, parimenti indubbiamente, non fu strage di popolo, bensì

Sulla questione di Stalin (risoluzione del Partito Comunista Cinese del 13 settembre 1963)

II

La questione di Stalin è una questione di enorme importanza. È una questione di importanza mondiale che ha avuto ripercussioni in tutte le classi del mondo e che, sino ad oggi, è ancora aperta a controversie. È probabile che nel corso di questo secolo non si possa arrivare, riguardo a questa questione, a una conclusione definitiva... Il Partito comunista cinese ha sempre sostenuto che il ripudio totale di Stalin da parte del compagno Kruscev in nome della “lotta contro il culto della personalità” è completamente errato e che tale ripudio cela intenzioni inconfessate... La lettera aperta del Comitato centrale del PCUS evita di dare una risposta alle questioni di principio da noi avanzate, limitandosi unicamente ad appiccicare ai comunisti cinesi l’etichetta di “difensori del culto della personalità” e “propagatori delle idee erronee di Stalin”. Durante la lotta contro i menscevichi, Lenin ebbe a dire: “Non rispondere alle questioni di principio sollevate dagli avversari e accontentarsi di definirli degli ‘esaltati’, non equivale ad aprire una discussione ma a insultare”... Anche se nella lettera aperta del Comitato centrale del PCUS gli insulti si sostituiscono a un dibattito di idee, noi, per quanto ci riguarda, preferiamo rispondere a questa lettera servendoci unicamente di argomenti di principio e citando a testimonianza innumerevoli fatti. La grande Unione Sovietica è il primo Stato del mondo in cui si è instaurata la dittatura del proletariato. Lenin è stato il principale dirigente del partito e del governo di questo paese della dittatura del proletariato: dopo la morte di

Lenin, dirigente del partito e del governo è stato Stalin. Dopo la morte di Lenin, Stalin non fu solo dirigente del partito e del governo dell’Unione Sovietica, ma anche guida universalmente riconosciuta del movimento comunista internazionale. Il primo grande Stato socialista, nato dalla Rivoluzione d’Ottobre, conta quarantasei anni di storia. Stalin è stato il principale dirigente di questo Stato per un periodo di circa trent’anni... Il Partito comunista cinese a proposito dell’atteggiamento da assumere nei riguardi di Stalin e della valutazione della sua figura, ha sempre sostenuto che non si tratta di giudicare semplicemente la persona ma, cosa molto più importante, di fare un bilancio dell’esperienza storica della dittatura del proletariato e del movimento comunista internazionale dopo la morte di Lenin. Il Partito comunista cinese ha sempre ritenuto necessaria una analisi basata sul metodo del materialismo storico e sulla rappresentazione della storia come realmente è; il Partito comunista cinese stima errato ripudiare Stalin in maniera totale, soggettiva e grossolana, ricorrendo al metodo dell’idealismo storico e deformando e alterando a piacere la storia. Il Partito comunista cinese ha sempre riconosciuto che Stalin ha commesso un certo numero di errori e che l’origine di questi errori è o ideologica o sociale e storica. La critica degli errori di Stalin, quelli ben inteso che furono effettivamente compiuti da lui e non quelli che gli sono stati attribuiti senza nessun fondamento, è necessaria qualora venga condotta a partire da una corretta po-

sizione e con metodi altrettanto corretti... Stalin si è sempre mantenuto alla testa della corrente della storia per dirigere la lotta ed è stato nemico inconciliabile dell’imperialismo e di tutta la reazione. L’attività di Stalin è stata sempre legata strettamente alla lotta del grande partito comunista e del grande popolo dell’Unione Sovietica: è inseparabile dalla lotta rivoluzionaria dei popoli di tutto il mondo... Tra gli errori di Stalin, alcuni sono errori di principio, altri furono commessi durante il lavoro pratico; alcuni avrebbero potuto essere evitati, mentre altri erano difficilmente evitabili dato che mancava qualsiasi precedente nella dittatura del proletariato al quale ci si potesse riferire. Riguardo ad alcuni problemi il metodo di pensiero Stalin si allontanò dal materialismo dialettico per cadere nella metafisica e nel soggettivismo e, per questa ragione, alcune volte si allontanò dalla realtà e si staccò dalle masse. Nella lotta condotta sia in seno al partito che fuori, egli confuse, in alcuni periodi e su alcuni problemi, le due categorie di contraddizioni di differente natura (contraddizioni tra il nemico e noi e contraddizioni in seno al popolo) e, di conseguenza, confuse anche i metodi per la soluzione di queste due categorie di contraddizioni. La liquidazione della controrivoluzione, intrapresa sotto la sua direzione, permise di punire giustamente numerosi elementi controrivoluzionari che dovevano essere puniti. Tuttavia furono ingiustamente condannate anche delle persone oneste e Stalin commise anche l’errore di allargare la portata della repressione nel 1937 e nel

1938... Tutti questi errori hanno causato danni sia all’Unione Sovietica che al movimento comunista internazionale. I meriti che Stalin si è guadagnato durante la sua vita, come pure gli errori che ha commessi, sono fatti oggettivi della storia. Per quanto riguarda gli errori di Stalin questi devono essere considerati come una lezione della storia, una messa in guardia per tutti i comunisti dell’Unione Sovietica e degli altri paesi, affinché non commettano a loro volta gli stessi errori o ne commettano meno. Questo non è inutile. L’esperienza storica sotto il suo aspetto negativo o positivo è utile a tutti i comunisti, quando se ne fa un bilancio corretto, corrispondente alla realtà storica e ci si astiene dall’apportarvi qualsiasi deformazione... I dirigenti del PCUS accusano il Partito comunista cinese di “difendere Stalin”. Sì, noi lo difendiamo e vogliamo difenderlo. Dal momento che Kruscev deforma la storia e ripudia totalmente Stalin, noi abbiamo naturalmente il dovere irrecusabile nell’interesse del movimento comunista internazionale di levarci a sua difesa. Prendendo la difesa di Stalin il Partito comunista cinese difende ciò che in Stalin vi è stato di giusto, difende la gloriosa storia della lotta del primo Stato della dittatura del proletariato instaurato nel mondo dalla Rivoluzione d’Ottobre, difende la gloriosa storia della lotta del PCUS, difende la fama del movimento comunista internazionale di fronte ai popoli e ai lavoratori del mondo intero, in una parola difende sia la teoria che la pratica del marxismo-leninismo... Quando noi ci assumiamo

scontro di potere. Era giusto o quanto meno era inevitabile? I Comunisti cinesi hanno decisamente contestato l’errore staliniano di avere applicato alla risoluzione delle “contraddizioni in seno al popolo” (cioè all’interno del Partito Comunista) i metodi di risoluzione delle diverse “contraddizioni con i nemici del popolo” (gli imperialisti e i loro infiltrati). L’esito della seconda guerra mondiale, cioè la capacità dell’URSS di resistere compatta e solidale all’aggressione nazi-fascista, sembrerebbe avere da-

to ragione a Stalin nell’avere “blindato” la struttura politica, amministrativa e militare del paese rispetto a potenziali conflitti interni suscettivi di indebolirla nei temuti momenti di massima difficoltà. Questa prospettiva politico-ideologica deve essere l’oggetto dell’approfondimento critico scientifico, onesto e quindi utile, rifiutando il semplicismo, come sempre tutt’altro che “ingenuo”, della demonizzazione del singolo pazzo criminale colpevole di tutto e per tutti. Il dibattito è ancora aperto.

la difesa di Stalin non difendiamo i suoi errori... I marxisti-leninisti cinesi, guidati dal compagno Mao Tse-tung, si dedicarono a scalzare l’influenza di alcuni errori di Stalin e in seguito, dopo aver avuto ragione delle linee errate propugnate dall’opportunismo di destra e di sinistra, riuscirono a condurre la rivoluzione cinese alla vittoria finale. Tuttavia, siccome alcuni punti di vista erronei sostenuti da Stalin erano stati accettati e messi in pratica da compagni cinesi, noi cinesi dovevamo assumercene la responsabilità. Di conseguenza la lotta condotta dal nostro partito contro l’opportunismo di destra e di sinistra si è sempre limitata alla critica di quei nostri compagni che avevano commesso degli errori e non abbiamo mai fatto ricadere la responsabilità su Stalin. Lo scopo delle nostre critiche era di distinguere il vero dal falso, trarne una lezione e far progredire la causa della rivoluzione... Ma qual è stato l’atteggiamento del compagno Kruscev e di alcuni altri dirigenti del PCUS nei riguardi di Stalin, dopo il ventesimo Congresso? Invece di fare un’analisi completa, storica e scientifica, dell’opera compiuta da Stalin durante tutta la sua vita, l’hanno ripudiata in blocco senza distinguere il vero dal falso... Kruscev ha coperto Stalin di ingiurie, dicendo che Stalin fu un “assassino”, “un criminale”, “un bandito”, “un despota tipo Ivan il Terribile”; “il più grande dittatore della storia russa”, “un imbecille”, “un idiota”, “un giocatore”... Le ingiurie lanciate da Kruscev contro Stalin sono i peggiori insulti che si possano rivolgere al grande popolo sovietico, al PCUS, all’esercito sovietico, sono i più grandi insulti che si possano rivolgere alla dittatura del proletariato, al sistema socialista, al movimento comunista internazionale, ai popoli rivoluzionari del mondo e al marxi-

smo-leninismo. In che posizione si mette Kruscev quando gonfia il petto, martella di pugni la tavola e grida a piena gola insulti contro Stalin? Lui che al tempo di Stalin partecipava alla direzione del partito e dello Stato, si mette nella posizione di complice di un “assassino” e di un “bandito”? O in quella di “imbecille” e “idiota”? Che differenza c’è tra le ingiurie rivolte da Kruscev a Stalin e le ingiurie vomitate contro quest’ultimo dagli imperialisti, dai reazionari e dai rinnegati del comunismo? Perché quest’odio mortale contro Stalin? Perché attaccare Stalin con una ferocia che non si usa neanche contro il nemico?... Nell’articolo “Sul significato politico delle ingiurie” Lenin ha detto: “in politica le ingiurie nascondono frequentemente l’assenza di idee e l’impotenza totale, l’impotenza rabbiosa degli insolenti”... Un’attenzione tutta particolare merita il fatto che i dirigenti del PCUS, mentre si applicano con tanto impegno a coprire di insulti la memoria di Stalin, esprimono “rispetto e fiducia” a Kennedy, a Eisenhower e ai loro accoliti! A Stalin si elargiscono epiteti tipo “despota alla Ivan il Terribile” e “il più grande dittatore della storia russa”, mentre a Kennedy e a Eisenhower si indirizzano complimenti e si afferma che “godono dell’appoggio della stragrande maggioranza del popolo americano”! Si insulta Stalin trattandolo da “idiota” e si elogia la “lucidità” di Kennedy e di Eisenhower! Da una parte si svilisce la memoria di un uomo che fu un grande marxista-leninista, un grande rivoluzionario proletario, un grande capo del movimento comunista internazionale, d’altra si intessono panegirici al capo in testa dell’imperialismo... Il ripudio totale di Stalin da parte della direzione del PCUS ha fini inconfessati...


Relazione di Stalin al progetto di Costituzione del 1936 (estratto) Il progetto della nuova Costituzione costituisce un bilancio della via percorsa, un bilancio delle conquiste già ottenute. Esso è, perciò, la registrazione e la sanzione legislativa di quello che è già stato effettivamente ottenuto e conquistato. Le costituzioni dei paesi borghesi partono di solito dalla convinzione dell'incrollabilità del regime capitalista. La base essenziale di queste costituzioni è data dai principi del capitalismo, dai suoi capisaldi fondamentali: proprietà privata della terra, delle foreste, delle fabbriche, delle officine e degli altri strumenti e mezzi di produzione; sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo ed esistenza di sfruttatori e di sfruttati; mancanza di sicurezza del domani per la maggioranza lavoratrice. La base principale del progetto della nuova Costituzione dell'URSS è data dai princìpi del socialismo, dai suoi capisaldi fondamentali già conquistati e realizzati: proprietà socialista della

terra, delle foreste, delle fabbriche, delle officine e degli altri strumenti e mezzi di produzione; soppressione dello sfruttamento e delle classi sfruttatrici; soppressione della miseria della maggioranza e del lusso della minoranza; soppressione della disoccupazione; lavoro come obbligo e debito d'onore di ogni cittadino atto al lavoro, secondo la formula: «Chi non lavora, non mangia»; diritto al lavoro, cioè diritto di ogni cittadino di ricevere un lavoro garantito; diritto al riposo; diritto all'istruzione. Le costituzioni borghesi partono tacitamente dal presupposto che le nazioni e le razze non possono avere eguali diritti, che vi sono nazioni che godono di tutti i diritti e vi sono nazioni che non godono di tutti i diritti. A differenza di queste costituzioni, il progetto della nuova Costituzione dell'URSS, invece, è

profondamente internazionalista. Esso parte dal principio che tutte le nazioni e le razze hanno eguali diritti. Esso parte dal principio che la differenza nel colore della pelle o la differenza di lingua,

borghesi si possono dividere in due gruppi; un gruppo di costituzioni nega apertamente o riduce di fatto a nulla l'eguaglianza di diritti dei cittadini e le libertà democratiche. Un secondo gruppo di costitu-

di livello culturale o di sviluppo politico, così come qualsiasi altra differenza tra le nazioni e le razze, non può servire a giustificare una ineguaglianza di diritti tra le nazioni. Dal punto di vista del democratismo, le costituzioni

zioni accetta volentieri e ostenta persino i princìpi democratici, ma lo fa con tante riserve e con tali restrizioni, che i diritti e le libertà democratiche ne escono completamente mutilati. Esse parlano di diritti elettorali eguali per

Costituzione dell’URSS La Costituzione Sovietica del 1936, conosciuta anche come "Costituzione di Stalin", ridisegnò la forma di governo dell'Unione Sovietica. La Costituzione abrogò le restrizioni sul diritto di voto, istituì il suffragio universale diretto e contemplò nuovi diritti dei lavoratori che si aggiunsero a quelli già previsti dalla costituzione precedente. La Costituzione ai primi articoli stabilisce che l'Unione Sovietica è una dittatura degli operai e dei contadini e vieta la proprietà privata ad eccezione della piccolissima proprietà di contadini e artigiani non associati che lavorino in proprio (cioè escludendo l'assunzione di lavoratori dipendenti, definita sfruttamento). Il testo riconosce il diritto alla tutela della salute, alla cura al momento della vecchiaia o in caso di malattia, all'alloggio e all'istruzione. Assicura altresì la libertà di propaganda religiosa e antireligiosa, di parola, di stampa e di associazione. Prevede l'elezione diretta di tutti gli organi di governo. Il potere legislativo spetta esclusivamente al Soviet Supremo dell'URSS composto dalle due camere uguali: Soviet dell'Unione e il Soviet delle Nazionalità, escludendo il potere legislativo, anche d’urgenza, al governo. Le due Camere, ambedue elette a suffragio universale segreto, sono diversamente costituite: il Soviet dell’Unione in misura di 1 deputato ogni 300mila votanti, il Soviet delle Nazionalità in misura numerica uguale per ciascuna Repubblica federata indipendentemente dal numero dei rispettivi cittadini. La Costituzione sancisce

il diritto delle singole Repubbliche di uscire in ogni momento dall’Unione. Trascriviamo alcuni articoli più significativi. Art. 1 - L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è uno Stato socialista degli operai e dei contadini. Art. 2 - La base politica dell'URSS è costituita dai Soviet dei deputati dei lavoratori, sviluppatisi e consolidatisi in seguito all'abbattimento del potere dei proprietari fondiari e dei capitalisti e alla conquista della dittatura del proletariato. Art. 3 - Tutto il potere nell'U.R.S.S. appartiene ai lavoratori della città e della campagna, rappresentati dai Soviet dei deputati dei lavoratori. Art. 5 - La proprietà socialista nell'U.R.S.S. ha la forma di proprietà statale (patrimonio di tutto il popolo), oppure la forma di proprietà cooperativa-colcosiana (proprietà dei singoli colcos, proprietà delle associazioni cooperative). Art. 6 - La terra, il sottosuolo, le acque, i boschi, le officine, le fabbriche, le miniere, le cave, i trasporti ferroviari, acquei ed aerei, le banche, i mezzi di comunicazione, le grandi aziende agricole organizzate dallo Stato e così pure le aziende comunali e la parte fondamentale del patrimonio edilizio nelle città e nei centri industriali, sono proprietà dello Stato, cioè patrimonio di tutto il popolo. Art. 9 Accanto al sistema socialista dell'economia, che è la forma economica dominante nell'U.R.S.S., è ammessa dalla legge la piccola azienda privata dei contadini non associati e degli

artigiani, fondata sul lavoro personale, escludente lo sfruttamento del lavoro altrui. Art. 10 - Il diritto di proprietà personale dei cittadini sui proventi del loro lavoro e sui loro risparmi, sulla casa di abitazione e sull'impresa domestica ausiliaria, sugli oggetti dell'economia domestica e di uso quotidiano, sugli oggetti di consumo e di comodo personale, come pure il diritto di eredità della proprietà personale dei cittadini sono tutelati dalla legge. Art. 12 - Il lavoro è nell'U.R.S.S. dovere e oggetto d'onore per ogni cittadino atto al lavoro, secondo il principio: «Chi non lavora, non mangia». Nell'U.R.S.S. si attua il principio del socialismo: «Da ciascuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo il suo lavoro». Art. 13 - L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è uno Stato federale costituito sulla base dell'unione volontaria. Art. 17 - Ogni Repubblica federata conserva il diritto di uscire liberamente dall'U.R.S.S. Art. 30 Organo supremo del potere di Stato dell'U.R.S.S. è il Soviet Supremo dell'U.R.S.S. Art. 32 - Il potere legislativo dell'U.R.S.S. è esercitato esclusivamente dal Soviet Supremo dell'U.R.S.S. Art. 33 - Il Soviet Supremo dell'U.R.S.S. si compone di due Camere: il Soviet dell'Unione e il Soviet delle Nazionalità. Art. 34 - Il Soviet dell'Unione è eletto dai cittadini dell'U.R.S.S. per circoscrizioni elettorali in ragione di un deputato per ogni 300.000 abitanti. Art. 35 Il Soviet delle Nazionalità è eletto dai cittadini del-

(estratto) l'U.R.S.S. nelle Repubbliche federate e autonome, nelle regioni autonome e nelle circoscrizioni nazionali in ragione di 25 deputati per ogni Repubblica federata, di 11 deputati per ogni Repubblica autonoma, di 5 deputati per ogni regione autonoma, e di un deputato per ogni circoscrizione nazionale. Art. 37 - Le due Camere del Soviet Supremo dell'U.R.S.S.: il Soviet dell'Unione e il Soviet delle Nazionalità, hanno eguali diritti. Art. 52 Nessun deputato al Soviet Supremo dell'U.R.S.S. può essere tradotto in giudizio né arrestato senza il consenso dei Soviet Supremo dell'U.R.S.S. Art. 103 L'esame delle cause in tutte le Corti e in tutti i tribunali si svolge con la partecipazione dei giurati popolari. Art. 109 - I tribunali popolari sono eletti dai cittadini del mandamento a suffragio universale, diretto, eguale, a scrutinio segreto, per la durata di tre anni. Art. 117 - Gli organi della procura esercitano le loro funzioni indipendentemente da qualsiasi organo locale e sono subordinati soltanto al Procuratore generale dell'U.R.S.S. Art. 118 - I cittadini dell'U.R.S.S. hanno diritto al lavoro, cioè hanno diritto a ottenere un lavoro garantito, con remunerazione del loro lavoro secondo la quantità e la qualità... Art. 119 - I cittadini dell'U.R.S.S. hanno il diritto al riposo. Il diritto al riposo è assicurato dall'istituzione per gli operai e gli impiegati della giornata lavorativa di otto ore e dalla riduzione della giornata lavorativa a sette e sei ore

tutti i cittadini, ma nello stesso tempo limitano questi diritti a seconda della residenza, dell'istruzione e persino del censo. Esse parlano di eguaglianza dei diritti dei cittadini, ma, nello stesso tempo, fanno la riserva che questo non riguarda le donne. Il progetto della nuova Costituzione dell'URSS ha questo di particolare, che è esente da simili riserve e restrizioni. Per esso non esistono cittadini attivi o passivi; per esso tutti i cittadini sono attivi. Esso non riconosce differenze di diritti tra uomini e donne, tra «domiciliati» e «non domiciliati», possidenti e non possidenti, istruiti e non istruiti. Per esso tutti i Cittadini sono eguali nei loro diritti. Non è il censo, né l'origine nazionale, né il sesso, né la carica o il grado, ma sono le capacità personali e il lavoro personale di ogni cittadino che determinano la sua posizione nella società. Le costituzioni borghesi si accontentano di solito di fissare i diritti formali del cittadino, senza preoccupar-

si delle condizioni che garantiscono l'esercizio di questi diritti, della possibilità di esercitarli, dei mezzi per esercitarli. Parlano dell'eguaglianza dei cittadini, ma dimenticano che non può esservi eguaglianza effettiva tra il padrone e l'operaio, tra il grande proprietario fondiario e il contadino, se i primi posseggono la ricchezza e l'influenza politica nella società, mentre i secondi sono privati dell'una e dell'altra. Oppure ancora: parlano della libertà di parola, di riunione e di stampa, ma dimenticano che tutte queste libertà possono diventare per la classe operaia una frase vuota, se essa è priva della possibilità di avere a sua disposizione locali adatti per le riunioni, buone tipografie, una quantità sufficiente di carta da stampare. Il progetto della nuova Costituzione ha questo di particolare, che esso non si accontenta di fissare i diritti formali dei cittadini, ma sposta il centro di gravità sulla garanzia di questi diritti, sui mezzi per l'esercizio di questi diritti. Esso non si limita a proclamare le libertà democratiche, ma le garantisce anche per via legislativa con determinati mezzi materiali.

per una serie di professioni con condizioni di lavoro difficili e fino a quattro ore nei reparti con condizioni di lavoro particolarmente difficili, dalla istituzione di congedi annuali agli operai e agli impiegati con il mantenimento del salario, dalla vasta rete di sanatori, case di riposo e club che è messa a disposizione dei lavoratori. Art. 120 I cittadini dell'U.R.S.S. hanno diritto di avere assicurati i mezzi materiali di esistenza per la vecchiaia nonché in caso di malattia e di perdita della capacità lavorativa. .. Art. 121 - I cittadini dell'U.R.S.S. hanno diritto all'istruzione. Questo diritto è assicurato dall'istruzione elementare generale obbligatoria, dall'istruzione gratuita settennale, dal sistema delle borse di studio per i più meritevoli studenti delle scuole superiori... Art. 122 - Alle donne sono accordati nel l'U.R.S.S. diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale. La possibilità di esercitare questi diritti è assicurata alle donne accordando loro lo stesso diritto degli uomini al lavoro, al pagamento del lavoro, al riposo, all'assicurazione sociale e all'istruzione, provvedendo alla tutela, da parte dello Stato, degli interessi della madre e del bambino, all'aiuto da parte dello Stato alle madri con numerosa prole o alle madri non maritate accordando alle donne un congedo di maternità con mantenimento del salario e grazie a una vasta rete di case di maternità, di nidi e giardini d'infanzia. Art. 123 - L'uguaglianza dei diritti dei cittadini dell'U.R.S.S., indipendentemente dalla loro nazionalità e razza, in tutti i

campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale, è legge irrevocabile. Qualsiasi limitazione diretta o indiretta dei diritti o, al contrario, qualsiasi attribuzione di privilegi diretti o indiretti ai cittadini in dipendenza della razza o nazionalità alla quale appartengono, così come qualsiasi propaganda di esclusivismo o di odio e disprezzo di razza o di nazione, è punita dalla legge. Art. 124 - Allo scopo di assicurare ai cittadini la libertà di coscienza, la Chiesa nell'U.R.S.S. è separata dallo Stato e la scuola dalla Chiesa. La libertà di praticare i culti religiosi e la libertà di propaganda antireligiosa sono riconosciute a tutti i cittadini. Art. 125 - In conformità con gli interessi dei lavoratori e allo scopo di consolidare il regime socialista, ai cittadini del l'U.R.S.S. è garantita per legge: a) libertà di parola, b) libertà di stampa, e) libertà di riunione e di comizi, d) libertà di cortei e dimostrazioni di strada. Questi diritti dei cittadini vengono assicurati mettendo a disposizione dei lavoratori e delle loro organizzazioni le tipografie, i depositi di carta, gli edifici pubblici, le strade, le poste, i telegrafi, i telefoni e le altre condizioni materiali necessarie per il loro esercizio. Art. 127 Ai cittadini dell'U.R.S.S. è assicurata l'inviolabilità della persona. Nessuno può essere arrestato se non per decisione di un tribunale con la sanzione del procuratore. Art. 128 - L'inviolabilità del domicilio dei cittadini e il segreto epistolare sono tutelati dalla legge. Art. 129 - L'U.R.S.S. accorda il diritto di asilo ai cittadini stranieri perseguitati per aver difeso gli interessi dei lavoratori, o per la loro at-

III


Il culto della persona, il “Piccolo padre” L’accusa stereotipa che viene rivolta alla figura storica e politica di Stalin è quella di avere inventato il culto della sua persona. L’accusa viene rinforzata con l’assunto che tale creazione sia stata il frutto di violenze poliziesche e quindi che si tratti di un indottrinamento coatto. Se non v’è dubbio che il culto della persona è un fenomeno culturalmente e sociologicamente negativo, perché nella sostanza realizza una forma di delega fideistica nei confronti del capo di turno (oggi lo chiamiamo: leader) che, a seconda delle prospettive di valutazione, interpreta il salvatore o il despota (oggi usiamo il termine: rais), non v’è dubbio che sovente questo culto trova la sua origine e fondamento su azioni, atti, fatti concretamente realizzati dal capo/leader a vantaggio di una determinata classe sociale, anche vastissima. Per quanto appresso diremo appare indiscutibile che il culto della persona di Stalin ebbe un radicamento nella grande maggioranza dei popoli sovietici assai (e di molto) più ampio e più profondo di un semplice frutto di coazione poliziesca. Ciò che accadde dell’URSS nel primo ventennio del governo staliniano (fermiamoci per ora a questo periodo sino alla seconda guerra mondiale) forse riusciamo a comprenderlo appieno solo oggi con lo stupore che ci suscita l’incredibile e imprevista crescita del sistema economico e sociale cinese. Nel ventennio dalla rivoluzione di ottobre al-

IV

l’inizio della seconda guerra mondiale l’URSS compì un balzo economico, e conseguentemente sociale, a dir poco strabiliante, che trova, come ora detto, un possibile paragone solo in quello dall’economia e della società cinese dell’ultimo ventennio. Le percentuali della crescita dell’economia sovietica durante i tre piani quinquennali varati da Stalin si attestarono sempre al di sopra del 12% annuo (stimato al ribasso), anche quando l’occidente era caduto nella crisi epocale del ’29. In 20 anni l’URSS da immenso paese sostanzialmente del terzo mondo, se rapportato al livello economico dell’Europa dell’epoca, passò al livello di primo mondo, raggiungendo la Germania e superando di molte lunghezza la grandissima parte dei paesi europei. Se volessimo fare un paragone esemplificativo con la situazione dell’Italia di quel periodo, potremmo dire che l’URSS stava all’Italia come oggi l’Italia sta, ad esempio, all’Egitto. E ciò sotto innumerevoli profili, vale a dire non solo di produzione industriale, ma in generale di stato sociale, nonché culturali e scientifici. In 20 anni, o se vogliamo essere più precisi nei 15 anni dei tre piani quinquennali varati da Stalin dal 1928 al 1942, l’URSS raggiunse la piena occupazione con una crescita specificamente nel settore operaio del 500%, venne realizzata l’alfabetizzazione sostanzialmente totale per le nuove generazioni, vennero debellate tutte le

malattie endemiche e la qualità e l’aspettativa di vita salì a livelli più che doppi, nacquero intere città ed enormi e moderne infrastrutture, venero raggiunti livelli di evoluzione scientifica pari se non superiori alle eccellenze occidentali. Di tali fatti concreti i popoli sovietici avevano un’evidenza tangibile riflessa nella qualità attuale e di prospettiva della loro vita, sicché non sorprende affatto che per la grande maggioranza degli stessi vi fosse una ammirazione sincera a profonda per il capo/leader che non a caso, secondo un lessico tipicamente russo, venne apostrofato con l’appellativo di “Piccolo padre”. La relazione di Stalin al progetto della nuova costituzione del 1936, della quale abbiamo fornito degli stralci nelle pagine recedenti, offre una testimonianza eloquente: “La nuova Costituzione – precisa Stalin – costituisce un bilancio della via percorsa, un bilancio delle conquiste già ottenute. Essa è, perciò, la registrazione e la sanzione legislativa di quello che è già stato effettivamente ottenuto e conquistato”. Se dovessimo comparare i risultati economici, politici, sociali e culturali “registrati” da quella costituzione del 1936 con la corrispondente situazione dell’Italia di quel periodo, dovremmo tornare all’equazione di cui sopra tra URSS, Italia ed Egitto. Questo “miracolo” certamente non fu senza costi siano essi di vite umane, di sentimenti culturali e anche, non lo dob-

biamo escludere, di diritti civili intesi almeno alla luce della nostra attuale cultura occidentale che, sempre contestualizzando i dati, all’epoca era sprofondata nel nazismo in Germania, nel fascismo in Italia, Spagna, Romania, Ungheria, Finlandia, ecc. e persisteva nel più becero e violento colonialismo razzista in Inghilterra, Francia e anche negli USA. I costi furono pesanti soprattutto per il settore agricolo, che all’epoca rappresentava il settore di gran lunga preponderante dell’economia sovietica, che dovette sopportare un fortissimo drenaggio di risorse a favore della creazione del sistema industriale (all’inizio del primo piano quinquennale l’URSS importò intere fabbriche dall’occidente pagandole con esportazioni agricole). Sempre i contadini subirono anche il maggiore “strappo” culturale, a vantaggio della nascita della nuova classe operaia, e a volte anche territoriale,

con trasferimenti coatti anche di consistenti popolazioni rurali. Tuttavia non bisogna dimenticare che in quegli stessi anni molti Stati europei, l’Italia di gran lunga in testa, erano interessati da fenomeni migratori, sia all’estero che interni, che interessarono fin oltre un terzo della loro popolazione. Da ultimo non va sottovalutato un ulteriore aspetto, che indirettamente riconduce a quanto si è scritto nelle pagine precedenti in ordine al tema della sicurezza e compattezza del sistema politico e amministrativo sovietico, che riguarda gli enormi costi che l’URSS dovette sostentere per creare una struttura militare in grado di resistere all’inevitabile aggressione delle potenze occidentali. Non è facile immaginare come e quanto diverso avrebbe potuto essere lo sviluppo, ma anche lo stesso sistema di relazioni sociali e politiche, se l’URSS non fosse vissuta sotto l’incubo, poi effet-

tivamente verificatosi, dell’invasione straniera. Le conclusioni ci riportano ora alle regole del metodo scientifico di valutazione storico-politica esposte nella risoluzione del Partito Comunista cinese, della quale abbiamo riprodotto stralci nelle pagine precedenti: per dare un giudizio, sia che ci si rivolga a singoli personaggi, ideologie, epoche storiche, occorre analizzare l’intero contesto nel quale gli stessi e le stesse operarono e si svolsero. All’esito potremo anche concludere che Stalin è stato un dittatore e dovremo dire (per primi i comunisti) che non ha fatto corretta applicazione dei principi fondamentali del pensiero scientifico marxistaleninista; ma, se essere comunista significa impegnarsi nella difesa dei lavoratori per la soddisfazione dei loro diritti fondamentali della vita, non potremmo negare che Stalin è stato un comunista, un grande comunista.

Una premessa... in conclusione

le sue mostruose espressioni, non è stato il parto della mente malata di Hitler, ma la solida convinzione politica e culturale dell’intera nazione tedesca e più oltre ariana, quando ai tedeschi si sono aggiunti ungheresi, croati, rumeni, francesi, ecc.; nello stesso modo il fascismo è stata una filosofia di pensiero e di vita più o meno dell’intera nazione italiana e non del solo Benito Mussolini; come ancora l’imperialismo USA è il frutto di una solida convinzione di superiorità, in questo caso non dell’etnia, ma dello status di cittadinanza dei nord americani. Tornando al tema di questo inserto dobbiamo allora concludere che ciò che è stato fatto di bene e di male nel periodo del governo staliniano non è il parto della mente e della volontà di “Acciaio”, ma il frutto di un complessivo sistema sociale, politico, culturale ed economico che trae origine dalla barbarie zarista e conduce, attraverso la rivoluzione bolscevica, alla emancipazione anche economica dei popoli sovietici. Così indagando e ragionando si apre uno scenario dialettico tra capo e masse che svela come, tanto per il bene quanto per il male, il capo è solo l’espressione comunicativa del sentimento delle masse senza il consenso (o

se vogliamo il passivo e opportunistico mancato dissenso) delle quali il capo non sarebbe tale o comunque non durerebbe più di tanto. A questo puto si può (si deve!) trarre la “morale” per il nostro tempo, che costituisce lo scopo reale di questo periodico gramsciano: se Berlusconi governa è perché rispecchia il sentimento della ampia maggioranza della nazione, sia questo espresso in termini di effettivo sostegno o (ma nella sostanza il risultato non cambia) di inesistente reale dissenso. Se Berlusconi cade (e se non ci pensano gli uomini prima o poi ci penserà la natura) nulla cambierà dietro gli effimeri nuovi volti di chi lo sostituirà. E’ la reale natura di questo nostro sistema economico, politico e culturale che ha generato e sostiene il “mostro” Berlusconi; se non cambia il sistema non porta nessuna conseguenza cambiare il capo. La realtà del sistema economico capitalista, nella sua fase attuale di declino senile, ha prodotto e sostiene i Berlusconi, bisogna dunque incidere sul sistema economico, sui rapporti di classe e di forza, per cambiare il futuro, altrimenti a Berlusconi, tutt’al più potrà succedere un Bersani e quella sarà davvero un assai triste “non soluzione”.

Questo articolo avrebbe dovuto aprire, quale premessa, l’inserto in prima pagina; due ragioni hanno concorso per collocarlo, invece, in conclusione. La prima è chiaramente estetica volendo conservare alla prima pagina dell’inserto la funzione di copertina, con l’enunciazione del tema a grandi caratteri (citazione maoista!) e la foto grande di apertura. La seconda ragione, più profonda, è stata l’intenzione di aprire ai lettori l’argomento della discussione, che costituisce la “provocazione” intellettuale di questo inserto, dopo aver dato loro la possibilità (se ne hanno avuto la volontà e la pazienza) di leggere quelli che potremmo chiamare i materiali per la discussione. Come più volte precisato, ma giova per onestà ribadirlo, i materiali prodotti sono documenti di facile reperibilità, puramente informativi e inoltre notevolmente ampliabili; uno spunto d’avvio, quindi, nulla di più. I temi che si vogliono mettere in discussione con questo inserto “provocatorio” sono due (ovviamente a parere di chi scrive, tanti altri potrebbero esserne individuati dai

lettori): il primo riguarda il postulato del “capo”, o più precisamente del “capro”; il secondo il metodo d’indagine, ragionamento e critica. Il secondo tema lo abbiamo già trattato in più punti degli articoli che precedono e, primo tra tutti, lo ha trattato il Partito Comunista cinese nella risoluzione pubblicata in seconda pagina. Sarà quindi sufficiente richiamare qui le poche parole di Gramsci che insegna: “Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere”. Sapere fatti, conoscere dati e soprattutto interpretare i fatti nel loro contesto storico, politico e culturale è la premessa perché il giudizio, che dovrà concludere l’indagine, possa essere utile per il presente e per il futuro. Diversamente si tratterebbe di una mera esercitazione ideologica e per i comunisti l’ideologia segue e non precede la realtà materiale. Dai fatti oggettivi si

traggono (o meglio si estraggono) le idee, che a loro volta, se coerenti con la realtà, potranno cambiarla per il futuro. Il primo tema, invece è assai più difficile perché è profonda-

mente radicato nel sentimento comune, al punto da doverlo qualificare come postulato (in termini religiosi: dogma; vero senza possibilità di dimostrazione). Il dogma è che, quali che siano le dimensioni dei fenomeni socio-politici in discussione, c’è sempre una figura, unica e solitaria, che assume e assorbe su di sé tutti i pregi (assai raro) o tutte le colpe (rego-

la costante). Due conseguenze di questo “non pregevole” assunto: l’eliminazione del capo risolve ogni problema; eliminato il capo tutti gli altri, in ogni modo già coinvolti nei problemi, escono puliti e indenni; il che significa, e questa è la conclusione culturalmente e politicamente “devastante”, che il problema è (o era, se già rimosso) il capo. Il capo diviene quindi il “capro” espiatorio di tutto e per tutti. Ebbene, per quanto siano gravi e mostruosi i fatti denunciati, non esiste mai il mostro singolo, bensì quei fatti mostruosi sono sempre il prodotto di un complessivo “sistema” che li rispecchia. Eliminare il capo, cioè sacrificare il capro espiatorio, non solo non risolve i problemi ma li nasconde, sicché rende possibile la loro ripetizione nel futuro, magari in forme apparentemente diverse ma sostanzialmente identiche, solo aggiornate al nuovo contesto. Brevemente: il nazismo, in tutte


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