Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno IV, n. 5 ottobre 2012 - distribuzione gratuita
“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)
Il nemico
Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico. (Bertolt Brecht)
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Direttrice che “va”, direttrice che “viene” Un grazie a chi ci lascia e un benvenuto a chi entra nel gruppo Maura Donati, che per circa due anni si è assunta la responsabilità della direzione del giornale, con l’ultimo numero di settembre ha deciso di cessare la collaborazione ufficiale con la nostra pubblicazione. Le ragioni sono squisitamente familiari, ma del tipo buono, anzi ottimo, riguardando una significativa “implementazione” della sua famiglia (gemelle in arrivo!). Un grande grazie a Maura per quanto ha fatto in questi due anni, con la speranza che la sua partecipazione continui almeno nei ritagli di vita che le nuove arrivate le lasceranno liberi, e, soprattutto, un grandissimo augurio per la gemelle a nome di tutti gli amici del giornale e, sono certo di interpretare il loro sentimento, di tutti i nostri lettori. Ad assumere la responsabilità del nostro giornale, a partire da questo numero di ottobre, sarà, come detto, un’altra direttrice (e non si parli di rispetto delle “quote rosa” ché nel nostro gruppo a difettare semmai sono quelle “azzurre”!). Maria Carolina Terzi, bergamasca d’origine, friulana d’adozione e umbra (purtroppo verso il “ducato”…) di affetti, ci ha offerto la disponibilità e l’entusiasmo di partecipare alla nostra avventura assumendosi il rischio che una potenziale “disinvolta” interpretazione del diritto di cronaca che potrebbe finire per associarla alle “patrie galere” (Sallusti insegna…). E’ ovviamente solo una battuta dacché il nostro giornale, come tutti voi scrittori e lettori avrete avuto modo di verificare negli oramai tre anni di pubblicazioni, senza mai porsi il minimo timore nell’affrontare temi e situazioni anche estremamente dure e delicate, non ha mai debordato dai limiti della correttezza, dell’educazione (che non guasta mai) e dell’intelligenza nei modi e termini di espressione delle proprie idee. Il “faro” dell’insegnamento gramsciano scritto nella copertina della rivista non è casuale, né di pura retorica, ma interpreta e guida la condotta di tutti coloro che, con diversi compiti e ruoli, partecipano comunque a questo progetto corale di intelligente provocazione. A quest’ultimo riguardo è doveroso sottolineare, e questo a ulteriore merito dell’amica che ha offerto la propria collaborazione di condivisione di responsabilità, che l’impegno offerto da Maria Carolina non implica necessariamente una piena condivisione della impostazione fortemente politica data dall’editore al giornale, ma intende manifestare, con fatti concreti, la superiore condivisione del principio costituzionale della libertà di espressione e, dunque, di pubblicazione e diffusione delle idee oneste e intelligenti e perciò libere. Grazie ancora alla nuova amica e, soprattutto l’invito e l’augurio di una sua partecipazione fattiva non solo come direttrice legale, ma anche come scrittrice. Maria Carolina ha un’esperienza molto qualificata in un ambito culturale che attualmente è carente nel nostro giornale; se lei riterrà di metterlo in campo lo scopriremo e sicuramente lo apprezzeremo tutti. Grazie e auguri alle direttrici. Sandro Ridolfi
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L’Editoriale
Chi fomenta l’antipolitica? di LUIGI NAPOLITANO I sondaggi secondo cui si stanno riducendo in maniera sensibile l’estensione e i confini del tifo calcistico mi hanno colto un po’ di sorpresa. Le circostanze che questo sport non richieda attrezzature speciali e l'estrema adattabilità ad ogni situazione lo hanno reso il più popolare al mondo in termini di praticanti e spettatori. Capace di creare aggregazione tra tifosi ed emozioni che trovano il loro perpetrarsi in infinite discussioni al bar, sul posto di lavoro e, perfino, in autobus. Elementi tutti che mi facevano ritenere il calcio impermeabile a qualsiasi raffreddamento passionale. Leggendo che la genesi di questa erosione è negli scandali che da anni, senza soluzione di continuità e senza l’individuazione di colpevoli affliggono questo mondo, mi ha naturalmente portato a pensare all’impatto che analoghi fenomeni d’illegalità producono nell’opinione pubblica rispetto al mondo della politica, guardato da sempre con un certo sospetto. In un momento di grave crisi quale quella che attanaglia l’economia del paese, la politica, di cui il governo è una promanazione, dovrebbe farsi carico delle difficoltà della gente e cercare di alleviare, per le categoria più deboli, gli oneri che ne impediscono una vita dignitosa coniugando sviluppo e lavoro. Occorrerebbe, forse, che i politici, piuttosto che frequentare i salotti televisivi, si mostrassero vicini alle persone e ascoltassero l’elettorato, valutandone le istanze e non ricordandosi della loro esistenza solo in prossimità delle elezioni. Le vicende legate ai problemi dell’Alcoa in Sardegna, dell’Ilva a Taranto e da ultimo, non certo per importanza le vicende della FIAT, hanno radici profonde e rivelano, ad essere generosi, una grave disattenzione politica, protrattasi per anni. A
tacere del clima di sfiducia che alimenta le incertezze e il precariato in cui vivono i giovani e i meno giovani, definiti recentemente, questi ultimi, dal Capo del Governo generazione perduta. Perduta, per sua stessa ammissione, in quanto paga le conseguenze gravissime della scarsa lungimiranza di chi non ha onorato il dovere di impegnarsi per loro. Meraviglia dunque, che le dichiarazioni di non essere interessati al voto, e non reazioni di ben altra consistenza, riguardi, come stimato dai sondaggi, solo un terzo degli elettori che, inermi e senza alcuna possibilità di modificarne il corso, sono sottoposti ad un bombardamento mediatico che quotidianamente evidenzia le difficoltà della Borsa, il costante aumento dello spread e le difficoltà delle famiglie che, sempre più numerose, si avvicinano alla soglia della povertà e pone sotto i riflettori gli scandali che vedono coinvolti i personaggi del mondo della politica. Basti pensare, in ordine di tempo, agli ultimi che hanno interessato gli amministratori della Lega e della ex-Margherita, i vertici della regione Lombardia e alcuni politici di parte avversa che operavano nella stessa regione, il capogruppo, e non solo, del Pdl alla regione Lazio. Pare impossibile che tutti i responsabili diretti ed indiretti di queste vicende restino al loro posto o, nella migliore delle ipotesi, vengano riciclati con l’affidamento di incarichi di ancor maggior prestigio e sempre meglio retribuiti (sono curioso di conoscere la sorte dei protagonisti delle vicende della Regione Lazio). Che non si riesca a riformare una porcata, per definizione del suo autore, di legge elettorale che ha alimentato il distacco tra cittadini e politici, il cui destino è nelle mani dei loro capi e quella dei rimborsi elettorali, ma in un attimo si riesca a bloccare, seppur momentaneamente, ma con il consenso di quasi tutti gli addetti ai lavori, una norma di traspa-
renza quale il controllo delle spese dei gruppi parlamentari. Il tutto nel più assoluto silenzio del Governo che, trincerandosi dietro un compito esclusivamente tecnico, finge di non vedere, per non assumere decisioni di cui non ha la forza. Quando si impongono ai cittadini sacrifici ignorandone le istanze di pulizia e di un corretto controllo sull’uso del denaro pubblico, ci si barrica intorno ai propri privilegi e si crea una sostanziale impunità compiendo un pessimo servizio alla democrazia e minando le fondamenta del patto di rappresentanza tra cittadini e partiti. E’ questo il modo in cui si alimenta il sentimento dell’antipolitica. E’ questa la vera antipolitica. Eppure i cittadini, quando chiamati ad esprimersi su problemi sensibili di rilevante interesse, quali i referendum dello scorso anno, hanno risposto in maniera più che positiva, dando una chiara prova della loro non indifferenza alla politica e ai tanti nodi che non sono mai stati sciolti da chi avrebbe dovuto. Mi pare di leggere, nell’atteggiamento della gente, una chiara volontà partecipativa ad una politica che, ritrovando la sua essenza autentica, rinnovi modalità, figure e progettualità aprendosi ad un mondo pronto a dare il suo dinamico contributo. Non è con tardivi ravvedimenti, per giunta provocati da manifestazioni popolari, per fortuna ancora pacifiche, che si placa questo sentimento e un pessimo populismo di cui non si avverte il bisogno. E’ giunta l’ora che figuri impresentabili, proposti e imposti proprio perché disposti a tutto siano emarginati, per dimostrare che il sistema non è tale, come i fatti di questi giorni sembrano confermare, da accettare solo chi è disponibile a fare fronte comune in un uso disinvolto del denaro pubblico se non nell’illegalità. E’ giunto il momento che la politica salvi se stessa attraverso una palingenesi che dia, almeno, uno spiraglio di fiducia.
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Sommario del mese di ottobre Servizi Pubblici Locali Strumenti di difesa della qualità della vita di Andrea Tofi
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Spending Review Il comma scomparso di Salvatore Zaiti
pagina 13
Occupare Resistere Produrre Crisi finanziaria, autogestione delle fabbriche a cura di Sandro Ridolfi
pagina 17
Democrazia Il Centralismo Democratico di @barberini.it
pagina 21
Un futuro per il giovane Sorprendente notizia da Spoleto di Ilario Gappo
pagina 25
Se Dio perdona la Rete non dimentica Diritto all’oblio e tutela della privacy di Francesco Moroni e Lorenzo Battisti
pagina 29
Paura di Cadere Il linguaggio del dolore di Sara Mirti
pagina 33
Scuole di canto lirico Metodi di canto lirico solisti di Jacopo Feliciani
pagina 37
Per i più piccoli Le favole di Nonna Graziella di Graziella Alga
pagina 41
Inediti Un posto magico di Mariella Trampetti
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Redazione: Corso Cavour n. 39 06034 Foligno redazionepiazzadelgrano@yahoo.it
Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maria Carolina Terzi Sito Internet:
Andrea Tofi Stampa: GTP Srl Città di Castello Chiuso: 30 settembre 2012 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”
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Austerity
C’era una volta l’austerity …e c’è ancora
DI LORETTA OTTAVIANI
Domenica 2 dicembre 1973, crisi petrolifera internazionaprima crisi petrolifera e au- le che si era scatenata prosterity. Questa data rappre- prio nel corso di quell’anno. senta il punto di inizio della In realtà, si trattò del primo prima domenica di austerity grande trauma economico per gli italiani, tutti a piedi o dell’Occidente dai tempi della in bicicletta per decreto, e tut- Seconda Guerra Mondiale. Di to a seguito della devastante quel periodo sono rimaste
nella memoria collettiva le luci fioche, i negozi chiusi, la televisione silenziosa dopo le 23 e soprattutto le memorabili “domeniche a piedi”, che scaraventavano le città in una dimensione insolita, ma più umana.
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Austerity
L’austerity del 1973 Tra il 1973 ed il 1974 fu imposto dal governo italiano un risparmio obbligatorio dell’energia, a causa dello shock petrolifero ovvero a causa dell’aumento repentino del prezzo del greggio. Questo diede vita a partire dalla domenica 2 dicembre 1973, oltre al blocco totale della circolazione privata, dove solo bus e mezzi pubblici erano ammessi, anche alla riscoperta delle fonti energetiche alternative e all’adozione di misure per evitare sprechi di energia. Fu varata una campagna per la sensibilizzazione dei cittadini italiani, che portò in breve tempo all’impiego di isolanti per coibentare le abitazioni, oppure all’uso di apparecchiature automatiche per il controllo della temperatura degli impianti di riscaldamento: il comfort termico negli edifici civili venne fissato a 20 gradi. Erano bandite le insegne luminose animate e di grandi dimensioni. Le trasmissioni televisive RAI terminavano alle 22.45 e i cinema chiudevano alle 22; la riduzione dell’illuminazione stradale, compresi gli addobbi natalizi, la chiusura dei bar entro la mezzanotte generavano ulteriori risparmi energetici. Insieme a questi provvedimenti con effetti immediati, il governo impostò anche una riforma energetica complessiva con la costruzione, da parte dell'Enel, di centrali nucleari per limitare l'uso del greggio. La popolazione del Belpaese, che negli anni del boom economico aveva scoperto la comodità delle quattro ruote, si ritrovò all’improvviso rituffata all’indietro e un po’ stupefatta davanti alle città svuotate da auto e motori. Il governo Rumor aveva anti-
cipato quelle misure restrittive che, adottate anche in buona parte dell’Europa, in breve tempo, avrebbero cambiato la vita degli italiani, ma la strana assenza del rumore del traffico, in quelle fredde domeniche di dicembre, era il segnale tangibile della loro messa in atto, del punto di non ritorno. Il prezzo del petrolio saliva alle stelle e bisognava centellinare il prezioso oro nero e le altre forme d’energia in tutte le maniere possibili; ecco quindi che le macchine messe a riposo una volta a settimana consentivano un risparmio di ben 50 milioni di litri di benzina per volta. Il popolo italiano non si è abbattuto di fronte di un’economia sull’orlo del tracollo, ma è riuscito, dopo i primi momenti d’ambientamento, ad accettare quello che di positivo, di tangibile e di immediato l’austerity riusciva a donare:
una riduzione dell’inquinamento e le città, seppur per una volta la settimana, ritornate a misura d’uomo. Gli altri giorni, le macchine circolavano, ma il prezzo del carburante aumentava senza ritegno e lo Stato a questo reagì con manovre svalutative della lira e tutto si riallineava al rialzo. Ma quel campanello d’allarme della crisi che poteva farci cambiare rotta in tempi non sospetti fu rimosso in fretta, anzi la dipendenza dal petrolio aumentò sempre più. Un periodo duro, risultato di quel progresso che lasciava troppi conti da pagare e che in ogni caso, a pagare erano sempre gli stessi. Nel 1974 tutto tornò come prima; l’emergenza pura, almeno sotto il profilo strettamente energetico, era finita e anche quello che avremmo dovuto imparare dalla prima grande crisi petrolifera fu presto dimenticato.
I fatti storico/politici del 73
Guerre e politiche
Nell'ottobre del 1973 l'esercito egiziano attaccò Israele da sud, dalla penisola del Sinai, di concerto con quello siriano che attaccò invece da nord, dalle alture del Golan. Israele si trovò in grave difficoltà durante i primi giorni della guerra (chiamata guerra del Kippur), ma dopo i primi momenti di smarrimento iniziale l'esercito israeliano risultò vincente su entrambi i fronti, tanto da minacciare Il Cairo. Durante i combattimenti Egitto e Siria furono aiutati e sostenuti dalla quasi totalità dei Paesi arabi e anti-americani, mentre Israele fu appoggiato dagli Stati Uniti e dai Paesi europei. Ed è per questo motivo che i Paesi Arabi appartenenti all'Opec bloccarono le proprie esportazioni di petrolio verso questi Paesi fino al gennaio 1975 causando il cosiddetto 'shock petrolifero'. La guerra finì dopo una ventina di giorni. Questo processo portò all'innalzamento vertiginoso del prezzo del petrolio, che in molti casi aumentò più del triplo rispetto alle tariffe precedenti. I governi dei Paesi dell'Europa Occidentale, i più colpiti dal rincaro del prezzo del petrolio, vararono provvedimenti per diminuire il consumo di petrolio e per evitare gli sprechi.
Anche se non è pensabile spiegare l'aumento dei prezzi del petrolio soltanto con ragioni congiunturali (guerra, embargo) dimenticando le ragioni strutturali, si può dire comunque che le tensioni geopolitiche fanno aumentare i prezzi del greggio nel breve periodo. A medio-lungo termine occorre ricercare le cause tra: la crescita economica dell'Asia, l'aumento della popolazione mondiale, l'aumento del consumo d'energia pro capite e nello stesso tempo la diminuzione continua delle riserve di petrolio sono le ragioni fondamentali di queste crisi. Alcune date che spiegano i grandi movimenti del prezzo dei carburanti da quasi quaranta anni. 1973: Embargo dei paesi dellOPEC; 1978: Rivoluzione iraniana; 1979: Crisi degli ostaggi americani in Iran; 1980: Inizio della guerra Iran–Iraq; 1990: Invasione del Kuwait da parte dell Iraq; 1991: Inizio dell'operazione tempesta del deserto; 1991: Inizio dello smembramento dellURSS; 2001: Attentati del World Trade Center, New York; - 2003: Inizio della seconda guerra in Iraq; 2004: Crisi del mercato immobiliare americano; 2008: crisi dei subprime negli USA
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Austerity
L’austerity del ’73 attraverso gli occhi di un bambino Io di quei tempi mi ricordo, ero poco più che bambina e come tale non mi rendevo conto di quello che realmente stesse accadendo, la sentivo più come una festa che come un problema economico-sociale. Stranamente ne ho un ricordo in bianco e nero forse perché le immagini trasmesse di continuo dai TG di come veniva vissuta la prima domenica nelle principali città italiane, erano in bianco e nero. Come oggi, anche allora una crisi incombeva su tutti noi: ma non tanto da ottundere la nostra immaginazione, la creatività, la voglia di vivere, la gioia. Non era una brutta cosa l’austerity così come ti volevano far credere i genitori o come si leggeva dalla preoccupazione dei loro volti o dai discorsi cupi che facevano con gli amici o almeno a me non sembrava. Si stava bene, ero felice e l’austerity non mi faceva paura, il nome inglese mi era simpatico ed era grazie a lei che la domenica sembrava veramente una festa: c’era il divieto di girare in macchina e quindi si andava a piedi ma soprattutto si poteva andare in bicicletta e sui pattini per le vie della città senza essere investiti dalle auto; strani mezzi di locomozione, improbabili
tandem, monopattini si impossessarono dell’asfalto cittadino; si crearono campi da pallone lì dove, il giorno prima, macchine e autobus facevano da padroni. Mi ricordo che con i pattini percorrevo più e più volte tutta via Roma fino al cavalcavia di Sant’Eraclio (a quei tempi c’era già!). La città che sembrava essere nata con le automobili incorporate, la domenica, come per magia, diventava un parco giochi. Poi arrivò il 1974 e si passò alle domeniche con la circolazione delle auto a tar-
Conseguenze della crisi petrolifera del 73 In Europa Occidentale la crisi energetica portò anche alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, che diede anche risultati positivi: la Norvegia trovò sui fondali del mare del Nord nuovi giacimenti petroliferi, la Danimarca avviò un programma di incentivi e supporto alla nascente industria dellenergia eolica Ci fu poi un forte interesse verso nuove fonti di energia alternative al petrolio, come il gas naturale e l'energia atomica per cercare di limitare l'uso del greggio e quindi anche la dipendenza energetica dai Paesi detentori del greggio. Infatti si diffuse la consapevolezza della fragilità e della precarietà del sistema produttivo occidentale, le cui basi poggiavano sui rifornimenti di energia da parte di una tra le zone più instabili del pianeta. Le conseguenze della crisi energetica non tardarono a manifestarsi anche sul sistema industriale, che infatti non conobbe più i tassi di crescita registrati nei decenni precedenti. Negli Stati Uniti la situazione fu meno problematica, data la minor dipendenza energetica dai Paesi Arabi produttori di greggio. Nell'Europa del-
ghe alterne, a seconda se la targa finiva con numero pari o dispari… perché all’epoca sulle targhe c’erano i numeri e la sigla della provincia e tutti sapevano da dove veniva una macchina. Ma lo zero era numero pari o dispari? La ragazzina di allora non aveva ben capito e credo che nemmeno i telegiornali erano del tutto sicuri di saperlo. Poi improvvisamente tutto finì e con la stessa magia con cui le città si erano trasformate, tornarono ad essere città con le macchine incorporate.
l'Est gli effetti della crisi furono gravi, perché mancavano i soldi per trasformare e modernizzare gli impianti industriali, che si avviarono a una lenta decadenza. La crisi energetica cambiò certamente la mentalità della popolazione su alcuni importanti temi. Si diffuse una maggior consapevolezza dell'instabilità del sistema produttivo e si rivalutò l'importanza del petrolio, che non fu più visto come l'unica fonte di energia possibile. Con la crisi energetica del 1973 cominciarono ad entrare nel vocabolario comune nuove parole come 'ecologia' e 'risparmio energetico', simboli di un cambiamento della mentalità della società europea. . Lidea del controllo dei prezzi del carburante e del razionamento, veniva direttamente dellAmerica: ma in Italia la soluzione delle targhe alterne non servì praticamente a nulla, in quanto ormai molti italiani possedevano due automobili. Lausterity venne archiviata con lestate, quando la domanda di gasolio, nafta e cherosene per riscaldamento cominciò a diminuire.. Ma qualcosa di positivo rimase: finalmente in tutto il mondo si era parlato davvero di energie alternative e di riduzione degli sprechi.
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Austerity
L’austerity quarant’anni dopo L’austerity è tornata ed oggi possiamo dire che quel periodo non si è mai allontanato ma è rimasto assopito per quasi 40 anni. Da mesi ormai non passa giorno senza che giornali e telegiornali ripetano continuamente la parola "austerity": «la Merkel vuole imporre l'austerity a tutta Europa», «Hollande ha vinto perché si è ribellato all'austerity della Merkel», «l'austerity ci sta strangolando», «non è vero, di austerity non ce n'è abbastanza». Dal modo in cui è impostato il dibattito, sembra che molti si siano fatti l'idea che austerity sia sostanzialmente sinonimo di correzione dei conti pubblici fuori controllo, ma questo è largamente impreciso. Oggi l'austerity riguarda un po' tutto il mondo occidentale, dove l'intero dibattito politico-economico sembra ruotare attorno a quanta austerity sia opportuno applicare all'economia: la Germania è diventata l'alfiere dell'austerity, che essa cerca di far adottare dai partner europei spendaccioni come contropartita del sostegno alle loro economie. La tendenza è quella di fare un gran calderone, e far rientrare sotto la categoria onnicomprensiva di au-
sterity tanto misure di riduzione della spesa pubblica, quanto misure di aumento delle entrate statali, ovvero incrementi della pressione fiscale. Così, Monti viene dipinto come un nuovo campione dell'austerity, perché il tentativo di correzione dei conti pubblici italiani messo in atto dal suo governo consta di entrambi questi ordini di misure. Anzi, vi è una marcata prevalenza degli aumenti delle entrate rispetto alla diminuzione delle uscite. Tuttavia, questa versione del concetto di austerità non aiuta a formarsi un giudizio sulle politiche economiche che i governi stanno seguendo per fronteggiare la crisi. Infatti, dal punto di vista della teoria economica, provare a correggere i conti riducendo la spesa pubblica oppure, al contrario, aumentando le tasse sono due strade esattamente agli antipodi. Due ricette così antitetiche non possono convivere sotto la stessa etichetta. È vero che, nella realtà, tutti i governi hanno adottato un mix di entrambe le ricette, ma concettualmente esse restano opposte. Molto meglio, allora, quando si fa riferimento all'aumento di tassazione, specificare che in quel ca-
so chi viene sottoposto a misure "dure e aspre" è il privato, e che la sua austerity è tutta un'altra cosa rispetto all'austerity dei governi. Meglio ancora sarebbe adottare decisamente termini diversi, riservando la parola austerity allo Stato che stringe la cinghia riducendo la spesa pubblica, e chiamando l'austerity del privato con il suo vero nome: aumento della tassazione, incremento della pressione fiscale. Restituiamo quindi all'austerity un significato positivo: altro che luci spente e cene a lume di candela, altro che nuovi balzelli o aumenti delle aliquote. No, chiamiamo austerity la necessaria opera di riduzione del peso statale nell'economia, la fondamentale diminuzione delle prestazioni e dei beni e servizi da esso prodotti o erogati. Nel baratro siamo finiti proprio perché i governi hanno completamente negato l'austerity, spendendo e spandendo così da accumulare un debito che, secondo i mercati, non riusciranno più a restituire. Ma ancora oggi, ogni anno dopo ferragosto, ci ritroviamo di fronte alle manovre estive: ci sono da sempre, puntuali tutti gli anni, segno che quella crisi petrolifera del ‘73 non era davvero finita o se quella era finita a quella se ne aggiunsero altre. A questo punto un po' di "austera" autodisciplina da parte di chi ci governa non guasterebbe. E ciò anche a beneficio di chi oggi non c'è ancora, ma porterà il peso di tutti i debiti che gli lasceremo in eredità, ovvero le generazioni future che oggi non possono ancora esprimere il proprio dissenso e se potessero farlo non dubitiamo che preferirebbero evitare di venire al mondo già con oltre 30.000 euro di debito.
Servizi Pubblici Locali
Acqua, gas, igiene urbana, comunicazioni, trasporti, farmacie, manutenzioni, ecc. I servizi pubblici locali, potenti strumenti di difesa della qualità della vita nella gravità della crisi attuale
“Buongiorno signor cittadino, sono un dipendente della Sua azienda di servizi, come posso aiutarla?”
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Servizi Pubblici Locali
Mentre il Governo Monti minaccia tagli ai servizi pubblici locali attraverso le liberalizzazioni Foligno e Spoleto si litigano la poltrona alla VUS DI ANDREA TOFI
I principi cardine che regolamentano i servizi pubblici nella carta Costituzionale Europea “....in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale in quanto servizi ai quali tutti nell'Unione attribuiscono un valore findamentale e del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione della Costituzione, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti...” presuppongono inoltre “....servizi pubblici di qualità per tutti i cittadini, e soprattutto per le fasce più deboli...” con “...gli Enti locali, che nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali....”
“Diritti e doveri dei cittadini” secondo la Costituzione italiana La Carta Costituzionale della Repubblica italiana, nella Parte I “Diritti e doveri dei cittadini”, enuncia una serie ampia ed articolata di diritti assoluti ed irrinunciabili, così detti “diritti naturali” perché congeniti alla persona umana per se stessa e, dunque, senza discriminazione di cittadinanza, residenza o altro, ma dovuti ed assicurati per il solo fatto di esistere e di trovarsi nel territorio
italiano. Diritto alla salute, alla istruzione, al lavoro, alla libertà di circolazione, di associazione, di espressione del pensiero, diritto alla casa, ad una giustizia equa ed uguale per tutti, ecc., sono tutti diritti naturali, assoluti ed irrinunciabili. Così il diritto naturale alla salute si garantisce con la creazione del sistema sanitario, quello all’istruzione con il sistema scolastico e così via. Affinchè tutto ciò si concretizzi i sistemi dei servizi devono essere tutti inderogabilmente ed irrinunciabilmente pubblici, in quanto pubblico, collettivo e sociale è il superiore interesse che li muove ed al soddisfacimento del quale sono finalizzati. Perché si raggiunga e si compia la reale soddisfazione dei diritti naturali assoluti è necessaria l’esistenza di una rete di mezzi e di strumenti tale da creare le condizioni ambientali e sociali che ne rendano concretamente possibile l’accesso e l’erogazione. Il diritto alla salute o all’istruzione o al lavoro possono eprimersi, in quanto esiste ed è accessibile un sistema articolato e completo di servizi strumentali quali quelli dei trasporti, della comunicazione ed informazio-
ne, dell’igiene urbana, dell’energia sotto tutte le forme e, in senso il più ampio possibile, della vivibilità sociale ed ambientale. Purtroppo in un sistema di economia capitalistica con governi liberisti che impogono liberalizzazioni e riduzione di costi per il sociale, è difficile concretizzare quanto enunciato nelle carte Costituzionali. E’ compito primario dell’Amministratore locale, anello di congiunzione tra il cittadino e lo Stato centrale quello di coniugare l’efficenza della produzione dei servizi con un’etica distribuzione che favorisca le categorie più deboli. Assunto dunque che i servizi pubblici locali non costituiscono merci da scambiare o compravendere neanche in regime di “libero mercato”, in quanto sono destinati a soddisfare i bisogni primari strumentali per il godimento e la fruizione dei diritti naturali della persona, deve allora affermarsi che il destinatario dei servizi non è mai un “cliente”, ma sempre un “cittadino” che è il primo azionista dell’azienda “Italia” in ragione della prorpia capacità contributiva come previsto dall’art. 53 della nostra Costituzione.
Servizi Pubblici Locali I diritti non si pagano, sono dovuti, si pretendono! Difendere, conservare, incrementare e gestire direttamente il sistema di produzione e di distribuzione dei servizi pubblici locali è, dunque, un impegno suscettivo di produrre risultati determinanti non solo nello specifico ambito della quantità e della qualità dei servizi forniti, ma anche della loro equa distribuzione sociale e solidale in contrapposizione antagonista alle politiche di smantellamento dello stato sociale messo in atto dalla politica della “finanza”. Si deve garantire concretamente l’accesso al diritto alla salute o all’istruzione o al lavoro, in quanto esiste ed è accessibile un sistema articolato e completo di servizi strumentali quali quelli dei trasporti, della comunicazione ed informazione, dell’igiene, dell’energia sotto tutte le forme e, in senso il più ampio possibile, della vivibilità sociale ed ambientale. Affermare la funzione dei servizi pubblici locali come strumenti per la garanzia ed il soddisfacimento dei diritti naturali assoluti costituzionalmente garantiti, ne comporta la definizione della loro natura inderogabilmente pubblica. In quanto destinati a soddisfare interessi superiori pubblici i servizi pubblici locali debbono necessariamente restare estranei ad ogni logica di mercato e di concorrenza e debbono essere gestiti inderogabilmente dal pubblico. I servizi pubblici locali (acqua, luce, gas, igiene, comunicazioni, trasporti, ecc.) non sono beni voluttuari, sono diritti!
Il tentativo di sovvertire la volontà del popolo italiano Nel Giugno 2011 gli italiani sono stati chiamati al voto per alcuni quesiti referendari, tra i quali c’era quello per “l’acqua come bene pubblico”. Dopo anni di scarsa attenzione verso i referendum popolari, i cittadini sovrani della nostra amata Repubblica si sono espressi chiaramante, affermando il diritto di tutti ad usufruire dell’acqua in quanto bene pubblico non alienabi-
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le. Il governo precedente e quello attuale stanno cercando in ogni modo di sovvertire la nostra volontà, ricorrendo a vari stratagemmi pur di procedere alla privatizzazione del servizio idrico. La Corte Costituzionale, abrogando la normativa che disciplinava la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica, tra i quali rien-
chiarato incostituzionale l’ articolo n°4 del decreto legge 13 agosto 2011 emanato dall’allora governo Berlusconi per forzare la privatizzazione dei servizi pubblici locali. La battaglia non è ancora finita però, perchè l’attuale governo Monti è ritornato con forza sul tema delle privatizzazioni, dunque l’Acquedotto Pubblico Puglie-
tra il servizio idrico integrato, viene meno l’obbligo da parte dell’Ente di l’Ente locale di affidarsi al mercato per la gestione del servizio, ma rimane comunque la necessità di optare per un modello di gestione che il medesimo Ente locale ritiene più idoneo (gestione diretta, gestione in house, affidamento esterno mediante gara, affidamento a società mista) sulla base di valutazioni che risentono della normativa e dei principi immanenti nell’ordinamento comunitario. Appare evidente dunque che l’abrogazione dell’art. 23-bis in sede referendaria non ha prodotto i risultati sperati. Solo questa estate è arrivata una piccola vittoria per coloro che sognano la ripubblicizzazione dei servizi pubblici. A seguito del ricorso presentato dal governatore della regione Puglia contro una sentenza della Corte Costituzionale che nel marzo 2012 vietava alla regione di legiferare in contrapposizione alle norme dello Stato, con la sentenza n°199 della stessa Corte datata 20 Luglio 2012 ha finalmente di-
se non è ancora in salvo dalle grinfie dei privati. Che lo Stato sia in forte difficoltà finanziaria è evidente, come lo sono migliaia di famiglie che si trovano oggi ad affrontare la crisi per la contrazione del mercato del lavoro e dell’economia. Liberalizzare i servizi pubblici perchè ritenuti troppo onerosi è però un errore macroscopico in quanto porterà inevitabilmente ad un progressivo indebolimento dello stato sociale. La probabilità che le tariffe diminuiscano sono remote, a livello nazionale solo nel caso della telefonia si è registrata una effettiva contrazione delle bollette, ma trattandosi di un bene che non rientra nel soddisfacimento primario della persona e soggetto alla domanda non può far da modello. I servizi pubblici locali rappresentano il pilastro per la nostra economia, il contenimento delle tariffe di questi beni primari “sostiene” lo stato sociale che ci permette di non fare la fine degli americani che nell’apice della crisi economica si sono resi conto di non avere un “welfare”.
12 Il duro scontro Foligno-Spoleto per la presidenza della VUS In questo clima ostile in cui c’è il tentativo sempre più pressante del Governo centrale di smantellare la rete sei servizi pubblici, i nostri politici che fanno? Litigano per la presidenza della VUS. Una prova di forza fra il sindaco del comune spoletino ed il nostro primo cittadino. Da una parte c’è Folligno che non vuole rinunciare ad amministrare un’azienda da oltre 400 dipendenti e che politicamente abbraccia un bacino elettorale cospicuo, dall’altra c’è Benedetti ed il suo staff che vogliono approfittare delle vicessitudini che sono accorse nel recente passato agli ex presidenti folignati. Non desidero entrare nel merito della questione, non importa sapere se chi ha ragione o chi ha torto, se è giusto far valere il principio dell’alternanza evocato dal sindaco di Spoleto o il potere territoriale su cui ha fatto leva Mismetti per eleggere Maurizio Salari. Quello che appare evidente è il malcostume della nostra politica che si siede attorno ad un tavolo per litigarsi una “poltrona”, ma che non affronta seriamente il tema della crisi che imperversa anche nel nostro territorio. Le aziende sono come direbbe il nostro amato presidente del consiglio “in default”, l’edilizia è in ginocchio, il numero di cassaintegrati aumenta vertiginosamnte, i giovani non hanno una prospettiva per il futuro e “loro” si permettono il lusso di perdere tempo prezioso per decidere se il presidente della VUS è di Foligno o di
Servizi Pubblici Locali Spoleto. A me privato cittadino non importa sapere chi è al timone della Vus, o della FILS, o di Umbria Mobilità o di qualsiasi altro Ente pubblico di gestione dei servizi, quello che mi preme sapere è se posso ancora usufruire degli autobus, bere l’acqua del rubinetto, avere i servizi scolastici, un’adeguata raccolta dei rifiuti domenstici, usufruire in modo dignitoso degli spazi verdi della città. E’ questo
generazione della classe politica consentendo alle nuove generazione di apprezzare il valore del bene pubblico. Una recente ricerca del Censis ha rilevato che per la maggior parte degli italiani il ruolo dei servizi pubblici locali è fondamentale per l’economia delle famiglie e per il rilancio della competività del territorio. Più è alta la qualità dei servizi forniti maggiore è la capacità produttiva del territorio,
che a noi interessa, ma per far questo bisogna riformare il sistema della politica. Amministrare il bene pubblico deve essere una presa di coscienza per il singolo cittadino, la politica non può e non deve essere un “lavoro”, io non condivido affatto le idee di Renzi che si definisce un rottamatore, ma ritengo che sia necessario un cambiamento ideologico che favorisca la ri-
più facile risulta l’inserimento delle donne e dei giovani nel mondo del lavoro. Immaginare un tessuto sociale usurpato di servizi e beni fondamentali per soddisfare le esigenze primarie dell’uomo al fine di garantire le giuste opportunità a tutti è catastrofico, fornire dei servizi ha un costo per la collettività che si ripaga però con la crescita economica del territorio.
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Legge
Piero Giarda, Ministro “tecnico” del Governo Monti per i rapporti con il Parlamento, già Coordinatore della Commissione su bilancio e patrimonio pubblico presso il Ministero dellEconomia e Finanze.
“Spending review” il comma scomparso
DI SALVATORE ZAITI
Che sia necessario risparmiare, rivedendo la propria capacità di spesa, lo sappiamo bene ormai tutti, dal Presidente del Consiglio dei ministri al padre (e madre) di famiglia. Che i bilanci – pubblici o familiari- debbano essere sottoposti ad un attento esame per individuare tagli alla spesa o correttivi costituisce una ulteriore necessità a cui, a quanto sembra, è impossibile sottrarci. Ecco, quindi, apparire, come per incanto, l’espressione inglese “spending review”. In realtà tale locuzione non è nuova nel panorama italiano. Prima del Governo Monti (Ministro Piero Giarda) ne hanno fatto uso il
Ministro Domenico Siniscalco (II e III Governo Berlusconi) nel luglio del 2004 e, successivamente, il Ministro Tommaso Padoa-Schioppa nel 2007 (col Governo Prodi). L’espressione inglese “spending review”, composta dai sostantivi “spending” (spesa) e “review” (resoconto) usata in italiano quale “revisione della spesa”, fu coniata per la prima volta in Canada agli inizi degli anni novanta per approdare in Europa nel luglio del 2004 in un documento redatto per conto del Governo Blair dall’allora Ministro del Tesoro Gordon Brown. Ma veniamo ora ai fatti di casa nostra.
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D
opo la prima spending review (Decreto legge 7 maggio 2012, n. 52) ne è seguita una seconda (Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95). Si può affermare, comunque, stando anche a quanto dichiarato da Palazzo Chigi- “che non c’è provvedimento emanato dal Governo in carica che non abbia al proprio interno norme sulla riduzione della spesa pubblica. Il processo di revisione della spesa –che viene comunemente denominato , sulla base di analoghe esperienze internazionali, “spending review”è infatti uno dei pilastri dell’attivi-
Legge tà del Governo” (si veda la roadmap nel box). Ebbene, a cosa serve la spending review? - Eliminare sprechi e inefficienze; -garantire il controllo dei conti pubblici; - liberare risorse da utilizzare per interventi di sviluppo; - ridare efficienza al settore pubblico allo scopo di concentrare l’azione su chi ne ha bisogno. Questi, gli obiettivi dichiarati dal Governo; nulla di più condivisibile. Soltanto un folle potrebbe essere contrario alla soppressione di enti e organismi inutili, a porre un tetto ai compensi dei manager pubblici, ad acquisire be-
Roadmap: cosa è stato fatto finora (fonte Governo Informa) 4 dicembre 2011 A pprovato dal Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2012 il decreto "Salva Italia". Con il decreto n.201 del 6 dicembre 2011 sono stati ridotti i costi degli apparati pubblici, in particolare sono stati soppressi alcuni enti e organismi (Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, Agenzia per la sicurezza nucleare, A genzia nazionale di regolamentazione del settore postale , INPDAP e ENPALS), ridotto il numero dei componenti delle Autorità indipendenti e i compensi per manager pubblici, amministratori e dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni. 8 febbraio 2012 I l Presidente del Consiglio ha diramato una circolare per assicurare leconomicità e l efficienza nellazione amministrativa di tutte le strutture che dipendono dal Ministero d ellEconomia e delle Finanze e dalla Presidenza del Consiglio. L a comunicazione è finalizzata ad assicurare la puntuale osservanza dei limiti di s pesa fissati dalle norme ed evitare spese non indispensabili o non ricollegabili in modo d iretto ai fini pubblici assegnati alle singole strutture amministrative. 30 aprile 2012 Esaminato al Consiglio dei Ministri il Rapporto sulla spending review “elementi per una revisione della spesa pubblica”, illustrato dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento e il Programma di governo, Piero Giarda. Il rapporto analizza le voci di spesa delle pubbliche amministrazioni. Approvato il decreto legge contenente “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica” (cosiddetto Spending Review 1)Il decreto istituisce un comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica al fine di coordinare l'azione del Governo e le politiche volte all'analisi e al riordino della spesa pubblica, prevede la nomina di un Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi con il compito di definire il livello di spesa per voci di costo (lincarico sarà affidato ad Enrico Bondi), contiene alcune norme sostanziali concernenti tagli alla spesa pubblica (Parametri di prezzo qualità per l'espletamento delle procedure di acquisto, Acquisizioni di beni e servizi relativi ai sistemi informativi automatizzati attraverso il ricorso a centrali di committenza, Mercato elettronico della pubblica amministrazione etc) 3 maggio 2012 E manata la direttiva del Presidente del Consiglio con le linee guida per contenere le spese di gestione. 5 maggio 2012 29 maggio 2012 C onsultazione pubblica sulla spending review.
ni e servizi a minor costo, alla dismissione di immobili non più funzionali alle esigenze pubbliche, a conseguire risparmi di gestione mediante il riordino degli enti territoriali e la riduzione del personale in eccedenza. Se queste sono le direttrici di azione del Governo, gli strumenti impiegati per la loro realizzazione, però, non sempre si contraddistinguono per efficacia, equità e coerenza. E’ pur vero che le azioni necessarie dovevano essere intraprese in tempi brevissimi, pena la “caduta nel baratro” del nostro Paese colpito più di altri
7 maggio 2012 I stituita, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e posta alle dipendenze funzionali del Ministro per i rapporti con il Parlamento, la Struttura di missione per la spending review. 8 maggio 2012 Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto legge n. 52, contenente “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica” (convertito in legge n. 94/2012) 15 giugno 2012 Firmato un DPCM che riduce, con effetto immediato, gli organici della Presidenza del Consiglio dei Ministri (20% dei dirigenti e 10% tutti gli altri organici). 21 giugno 2012 E manato un DPCM di riordino delle strutture generali della Presidenza del Consiglio. 5 luglio 2012 Approvato dal Consiglio dei Ministri il decreto legge n.95 contenente “Disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati”. L a riduzione degli eccessi di spesa delle pubbliche amministrazioni, per la parte relativa ai beni e servizi, è frutto dellanalisi svolta del Commissario straordinario per la spending review, Enrico Bondi. Prendendo spunto anche dalle lettere inviate dai cittadini che hanno partecipato alla consultazione pubblica sulla spending review i risparmi riguarderanno ad esempio le spese di cancelleria e quelle per i carburanti; il consumo di energia elettrica; le spese di pulizia e quelle postali, i buoni pasto, le spese per pubblicità, quelle per la somministrazione di pasti nelle scuole e ospedali. Per la parte relativa alla riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni, la razionalizzazione del patrimonio pubblico, lorganizzazione degli enti pubblici e la soppressione di enti e società, la riduzione della spesa si basa sullelaborazione svolta dai Ministeri, ciascuno per la parte di propria competenza. 6 luglio 2012 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge di conversione n.94/2012 e il testo coordinato del decreto con le modifiche introdotte in sede parlamentare del decreto legge n.52/2012 7 luglio 2012 Pubblicato sulla gazzetta ufficiale il decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012 (Spending review 2). 23 luglio 2012 Diramata dalla Ragioneria dello Stato una circolare contenente indicazioni per l'attuazione delle disposizioni per la riduzione della spesa. 7 agosto 2012 Approvata in via definitiva dal Parlamento la legge di conversione del decreto legge n.95/2012. 14 agosto 2012 P ubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge di conversione n. 135 del 7 agosto 2012 e il testo coordinato del decreto legge n.95/2012 con le modifiche introdotte in sede parlamentare.
Legge dalla grave crisi della zona euro e non solo, ma è altrettanto vero che da un Governo tecnico (o meglio, composto da tecnici esperti nelle varie materie) ci si sarebbe aspettata una maggiore attenzione ed una coerenza metodologica tale da consentire una equa distribuzione dei sacrifici tra tutti i settori e gli strati sociali. A tale riguardo assume valore emblematico la vicenda del “comma scomparso”. Il D.l. 95/2012 (spending review 2) nel testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio scorso (S.O. n. 141/L) reca, all’art. 1, il comma 5
con il quale si dispone una semplificazione in tema di pubblicazione di avvisi e bandi pubblici “Il presente comma – così si esprime la relazione tecnica predisposta dal Governo in sede di presentazione del Decreto legge - prevede la soppressione dell’obbligo a carico delle stazioni appaltanti di pubblicazione sui quotidiani dell’estratto dei bandi di gara, considerato che la più ampia e completa pubblicità viene garantita attraverso gli strumenti previsti dalla legislazione vigente (pubblicazione della documentazione di gara sul profilo del committente
Una manovra finanziaria con saldo negativo nella PA (tratto da Tito Boeri, la Voce Info 10.07.2012) Più che una spending review il provvedimento varato dal Governo la scorsa settimana è una manovra finanziaria. Con alcune sorprese: non ci sarà alcun risparmio nei prossimi tre anni associato ai tagli nella Pubblica Amministrazione perché i risparmi negli stipendi verranno compensati dagli aumenti della spesa previdenziale ... Sulla base della relazione tecnica della Ragioneria, è possibile approfondire la valutazione delle “disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati” (come recita il titolo ufficiale del decreto legge sulla spending review). Come si vede dalla tabella qui sotto, il saldo netto a regime è praticamente zero (27 milioni). Le misure infatti servono integralmente a finanziare la rinuncia ad aumentare le aliquote Iva dal settembre prossimo per un anno e a coprire le spese per la ricostruzione nelle aree terremotate e per gli esodati. Ma ci sono anche altre voci di spesa nel 2013: le immancabili misure per lautotrasporto, le missioni di pace (1 miliardo nel 2013), il 5 per mille, un indecifrabile fondo esigenze indifferibili (700 milioni). Insomma, si tratta di una vera e propria manovra finanziaria lorda, che movimenta fino a 23 miliardi. La principale sorpresa rivelata dalla tabella è che non ci sarà alcun risparmio nei prossimi tre anni associato ai tagli alla pianta organica della Pubblica Amministrazione (meno 20 per cento per i Fonte: Relazione Tecnica - Ragioneria Generale dello Stato
15 della stazione appaltante, sul sito informatico del Ministro delle infrastrutture e sul sito informatico dell’Osservatorio presso l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici nonché sulla Gazzetta Ufficiale). La norma comporta minori oneri per la finanza pubblica quantificabili in circa 25 milioni di euro per il 2012 e circa 75 milioni di euro annui a partire dal 2013. Tali minori oneri derivano da un risparmio quantificato in 3.000 euro per ciascuna procedura di gara rientrante nell’ambito di applicazione della norma, moltiplicato per 25.000 procedure
dirigenti e meno 10 per cento per il personale non dirigenziale). Al contrario, ci sarà un piccolo incremento (attorno ai 100 milioni) dei costi. ... Inoltre i tagli lineari alle piante organiche previsti dal provvedimento avranno effetti relativamente modesti sugli effettivi, che sono spesso molto inferiori agli organici soprattutto nelle amministrazioni con un più alto tasso di turnover (quindi maggiormente colpite dal blocco delle assunzioni) ... Ciò di cui cè bisogno è una serie di piani industriali, settore per settore, amministrazione per amministrazione, che è proprio quello che si intende quando si parla di spending review. I nfine permetteteci unultima domanda ai tecnici della Ragioneria: cosè il "fondo esigenze indifferibili"? E il "fondo contributi pluriennali"? Non sarebbe il caso di essere più trasparenti nella rendicontazione?
16 di gara l’anno (stima su dati AVCP per il 2011)”. Successivamente (a distanza di soltanto tre giorni) la Gazzetta ufficiale n. 158 del 9 luglio pubblica un avviso di rettifica con il quale, tra l’altro, si corregge l’art. 1 disponendo che “per mero errore informatico il comma 5…deve ritenersi non pubblicato”; in pratica la disposizione con la quale si semplificava e si risparmiavano decine di milioni di euro non era mai esistita! Se non fosse fantascienza, potremmo pensare che la tecnologia informatica abbia raggiunto così alti livelli di innovazione tali da sostituirsi, addirittura, nelle scelte legislative. Ovviamente così non è. Avanziamo una ipotesi. Chi ha redatto il “comma scomparso” non ha tenuto conto (o non si è ricordato) che già la Legge 18 giugno 2009, n. 69, all’art. 32 (dal titolo significativo: “Eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea”, uno dei cavalli di battaglia dell’allora Ministro Renato Brunetta) aveva disposto la medesima norma, a decorrere, però, dal 1° gennaio 2013. Perché, allora, anticipare i tempi, portando a casa un misero “bottino” di 25 milioni di euro? Perché sottrarre alla editoria tale somma così frettolosamente e, per giunta, in un periodo in cui le imprese vivono momenti di crisi profonda? Si rinuncia, quindi, al risparmio di 25 milioni che, comunque, rappresentano poca cosa rispetto ai miliardi necessari per l’intera manovra di revisione della spesa pubblica. Così, per mero errore informatico, il comma 5 svanisce nell’oblio dei server e dei data base. L’unica traccia che resta è quella le-
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gata alla numerazione dei commi, anche nella legge (n. 135) di conversione del decreto, quasi a voler sfidare le nostre antiche certezze (saper leggere, scrivere e far di conto) acquisite nei primi anni di vita scolastica. Eppure, per il nostro legislatore, dopo il numero 4 viene il numero 6: è la legge! Considerazioni finali. Non sappiamo quanto siano, pochi o molti, 25 milioni di euro; di certo, possiamo affermare con precisione che la spesa
complessiva sostenuta da tutti i Comuni umbri per asili nido, servizi per l’infanzia e per i minori nel 2010 è stata di circa 32 milioni di euro. E’ sufficiente scorrere il documento ISTAT (v. box) che contiene l’analisi delle spese comunali per le funzioni nel settore sociale, per individuare (liberamente) l’importo equivalente al risparmio di spesa che si sarebbe potuto utilizzare da un comma che purtroppo… non c’è più.
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Occupare, resistere, produrre Crisi finanziaria, assenza dello Stato, fuga dei padroni, autogestione operaia
Dieci anni fà l’Argentina, tornata alla formale democrazia capitalisata dopo i numerosi anni di dittatura militare, strangolata dall’indebitamento con il Fondo Monetario Internazionale, dichiarò il fallimento. Seguirono anni terribili di disoccupazione e povertà diffusa. Le banche fallirono assieme allo Stato e venne meno ogni forma di finanziamento, i padroni di molte fabbriche, travolti dalla crisi e dalla paura del malcontento popolare, abbadonarono le loro aziende e spesso anche il Paese, portando “in salvo” le ricchezze personali accumulate con sussidi pubblici, esenzioni e agevolazioni fiscali. Alla crisi finanziaria si accompagnò così una parimenti grave crisi produttiva. Il Paese e il suo sistema produttivo erano allo sbando. Gli operai non si persero d’animo: occuparono le fabbriche abbandonate, ne impedirono lo smantellamento dei macchinari e la svendita delle scorte, ripresero la produzione. L’Argentina è uscita dalla crisi e le fabbriche occupate resistono e prosperano. Che sia il nostro non lontano futuro? C’è stato un passato da non dimenticare.
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“Que se vayan todos, que no quede ni uno solo” Sono passati più di dieci anni dall’Argentinazo del 2001, da quel dicembre in cui una marea di gente di ogni estrazione sociale si riversò per le strade di Buenos Aires, intonando il celebre “que se vayan todos, que no quede ni uno solo” (che se ne vadano tutti, che non ne rimanga neanche uno), rivolto a chi rimaneva asserragliato nella Casa Rosada. Scoppiava la bolla del surreale cambio in parità di valore tra il dollaro e il peso e svaniva il mondo di illusioni che ad essa si accompagnava: svalutazione forzata, conti correnti bloccati a tempo indeterminato, banchi alimentari saccheggiati, scontri, morti. Al termine di una parabola suicida durata circa un trentennio, la distanza tra la fascia più povera e quella più ricca della popolazione argentina era aumentata di 50 volte. L’applicazione continua e indiscriminata di politiche di stampo neoliberista aveva finito per stravolgere la società dalle fondamenta, provocandone l’impoverimento, aumentandone la vulnerabilità ed alimentando l’esclusione sociale. Un misto di privatizza-
“The Take” la “presa” della Zanon “Stiamo scrivendo parte della storia del movimento operaio“, ha detto uno dei rappresentanti di FaSinPat, Fábrica Sin Patrón (Fabbrica senza padrone), fondata dallimprenditore italiano Luigi Zanon nel 1979 su terreni pubblici e con capitali provinciali e nazionali che non ha mai più restituito. Alla cerimonia di apertura nel 1979 Zanon si congratulò con il governo militare per “mantenere lArgentina sicura per gli investimenti“, poi continuò a ricevere sovvenzioni in democrazia, soprattutto con i governi di Carlos Menem e Jorge Sobisch. Nel 2001, allinizio della grande crisi finanziaria, Zanon progettò di licenziare i dipendenti, chiudere lo stabilimento e svendere macchinari e scorte. Era il 30 settembre, gli operai rimasero in fabbrica
zione e deregulation aveva determinato il massiccio trasferimento di ricchezza pubblica in mani private. Il recesso cominciato negli anni ’70 con l’ultima dittatura militare, raggiunse una svolta critica tra l’89 e il ‘91 con l’ascesa al governo di Carlos Menem, la definitiva apertura commerciale e la conseguente “ritirata” dello Stato, per poi subire una drastica accelerazione a partire dal ‘95 con il precipitare dell’economia e l’aumento smisura-
to della disoccupazione. Nessun ammortizzatore sociale fu in grado di compensare gli effetti delle crescenti misure di flessibilità del lavoro e dei licenziamenti di massa che seguirono la privatizzazione delle imprese pubbliche e la razionalizzazione di quelle private: i grandi sindacati riuniti nella CGT – Confederación General del Trabajo, di ispirazione peronista come il governo dello stesso Menem, non si opposero alle riforme che andavano
e il 1° ottobre impedirono lingresso ai dirigenti. La fabbrica fu occupata dai lavoratori che si appropriarono dei mezzi di produzione. Giunsero gli ordini di sgombero per loccupazione degli impianti, gli operai risposero bruciando i telegrammi dei licenziamenti davanti al Palazzo del Governo. Quel giorno furono repressi duramente e venti persone furono arrestate. “Il mostro” (come lo chiamavano) doveva tornare a produrre. Mentre un operaio ricollegava il gas, lUniversità di Comahue li aiutò con il piano produttivo. Gli Zanon avevano spaventato i clienti, pressato i fornitori e pagato in modo che nessuno potesse sfruttare la cava di argilla, ma i lavoratori largilla la presero dalla comunità mapuche. Prendendo ogni decisione in assemblea, in stretto contatto con gli abitanti di Neuquén, gli operai e le operaie fecero
della Zanon molto più di una società recuperata, la convertirono in un laboratorio autogestito e la misero al servizio della loro comunità. Per continuare la produzione dovettero pagare un debito della Zanon di un milione e mezzo di pesos. Si misero daccordo per formare una cooperativa e due anni fa, grazie alle mobilitazioni, alle adunate di fronte al Congresso e alla raccolta di firme, sono riusciti a ottenere legalmente lesproprio. Il più grande impianto di porcellanato dellAmerica Latina aveva circa 240 operai nel 2001, che guadagnavano 800 pesos (circa 140 euro); oggi, la cooperativa FaSinPat ha 450 operai che guadagnano 4.500 pesos ciascuno, producono 300 mila metri quadrati di piastrelle al mese, ne vendono 270.000 a 20 pesos al metro e il resto è destinato a opere di solidarietà.
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a minare la loro sfera di influenza, ma negoziarono la propria sopravvivenza materiale e politica adeguandosi al nuovo contesto sociale ed economico. La crisi argentina del 2001 comportò di fatto l’esplosione della mobilitazione sociale: un fronte di nuovi movimenti dinamici criticavano aspramente il modello economico che aveva portato alla rovina il paese cercando di costruire alternative locali nel mezzo dello sgombero e dello sfascio più totale. Gli operai argentini risposero alla vertiginosa crescita della disoccupazione e della fuga di capitali occupando le imprese e le fabbriche fallite o sul punto di fallire, riaprendole, tentando la strada della gestione orizzontale, paritaria e democratica del lavoro e dei lavoratori, una gestione cooperativa: abolizione della divisione tra dirigenti e dipendenti, redistribuzione egualitaria delle entrate,
decisioni collettive prese in assemblea, opposizione alla separazione del lavoro intellettuale e manuale, rotazione dei posti di lavoro, diritto a cambiare i rappresentanti eletti. Da un orientamento iniziale estremamente precario e difensivo si passò in alcuni anni a un cambio di vedute e orizzonti, procedendo verso l’autogestione e
la riorganizzazione radicale della produzione. In tal modo il progetto di ogni singola impresa o fabbrica recuperata, volto a una gestione cooperativistica dell’attività produttiva, ha dato vita a reti sociali di solidarietà e comunicazione tramite cui collegare esperienze simili e complementari. Il movimento delle imprese recuperate argentine conta secondo i dati degli ultimi anni circa 170 – 200 imprese nelle quali trovano impiego circa 10.000 lavoratori. A 10 anni dalla nascita del fenomeno la corrente continua accumulando forza e confermandosi mezzo di recupero economico di vasta portata, basato più sull’azione che sulle parole. Resuscitare mezzi di produzione bajo control obrero (sotto controllo operaio) ha di fatto salvato dal baratro della fame operai e intere famiglie.
Autogestione, rabbia e fantasia, la lunga lotta della San Giorgio Sono le 5,30 di sabato 4 febbraio 1950. Suona il telefono in casa di Giuseppe Morasso, operaio dirigente del Consiglio di Gestione della San Giorgio, uomo della Resistenza non si scompone più di tanto nel sentire una voce concitata: "Sun scapè, sun scapè". "Vegnu fitu", è la risposta. E' l'inizio degli 80 giorni della San Giorgio. Quella mattina di febbraio è scappata un'intera direzione aziendale, con in testa l'amministratore delegato, Federico Nordio, arrivato da pochi mesi alla San Giorgio con la fama sinistra di "grande liquidatore”. Il pretesto è un episodio del giorno prima: durante un'agitazione contrattuale degli impiegati, i picchetti entrano in contatto con alcuni crumiri, cui si sono mescolati dirigenti usciti a fine turno. Volano insulti, monetine, forse qualche sputo. Tanto basta però per ordinare la serrata e abbandonare la fabbrica. Nella notte tra venerdì e sabato sono affissi presso le portinerie i manifesti: i lavoratori devono starsene a casa e verranno regolarmente pagati. Per 80 giorni, dal 4 febbraio al 24 aprile, operai, tecnici e impiegati andranno invece a lavorare, non pagati. C'è qualcosa di epico e al tempo stesso di paradossale in
quest'esperienza di autogestione, la prima del genere, almeno per le dimensioni aziendali (5000 addetti circa) e la complessità delle 300 lavorazioni da continuare. Si trattava di definire il futuro produttivo della fabbrica, ma al fondo della strategia di ridimensionamento c'era la precisa volontà di limitare, o cancellare, il ruolo del movimento dei lavoratori nell'impresa. Alla fine della guerra la San Giorgio era una fabbrica simbolo di professionalità e di autonomia dal fascismo per tutto il ventennio. In quegli 80 giorni coesistono più storie. C'è una storia di autogestione nei 38 settori produttivi, per la costruzione di 300 prodotti, dalle macchine per calze ai frigoriferi, dalle macchine fotografiche ai distributori di benzina. Alla fine di febbraio produzione e produttività risultano addirittura in aumento: dunque senza direzione si lavora meglio e di più. C'è una storia di solidarietà e di lotta: dagli esercenti che offrono credito ai sangiorgi-
ni, alle iniziative dei comitati dei familiari, delle donne e degli studenti. Dalle assemblee agli scioperi articolati a livello di zona e di categoria sino a quello generale dei 100.000 metalmeccanici il 7 marzo, dalle sottoscrizioni di massa sino alle visite illustri del poeta Paul Eluard, di Sandro Pertini e di Umberto Terracini. Alla fine il 24 aprile 1950 Radio San Giorgio annuncia la conclusione della battaglia. Una vittoria: l’autogestione è riconosciuta e pagata. Per il futuro dell'azienda gli impegni si riveleranno fragili, se si considera che solo quattro anni dopo la vecchia San Giorgio sarà fatta in cinque pezzi e, di fatto, scomparirà.
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Riaperto il sito
www.piazzadelgrano.org Tutti i numeri del giornale e della rivista, gli articoli e le foto dal 2009 al 2012
Nella finestra “Pubblicazioni” del sito con un click sulla copertina del libro si può accedere alla libreria delle edizioni già pubblicate su carta o in forma digitale. Con un click sullimmagine del libro scelto si accede al pdf sfogliabile. Buona lettura!
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Le forme della Democrazia il Centralismo Democratico
“La democrazia non si identifica con la sottomissione della minoranza alla maggioranza. La democrazia è lo Stato che riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza. Noi ci assegniamo lo scopo finale della soppressione dello Stato, cioè di ogni violenza organizzata e sistematica, di ogni violenza esercitata contro gli uomini in genere. Noi non auspichiamo l’avvento di un ordinamento sociale in cui non venga osservato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza. Ma, aspirando al socialismo, noi abbiamo la convinzione che esso si trasformerà in comunismo e scomparirà quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza contro gli uomini, alla sottomissione di un uomo a un altro, di una parte della popolazione a un’altra, poiché gli uomini si abitueranno a osservare le condizioni elementari della convivenza sociale, senza violenza e senza sottomissione” (V. Lenin)
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Democrazia
La democrazia proletaria come fase di transizione verso l’anarchia comunista DI @BARBERINI.IT
“Che fare?” Nascita del Partito Comunista La teoria del Centralismo Democratico non nasce come forma di governo dello Stato, bensì come forma di organizzazione di un partito e, più precisamente, del partito della avanguardia della classe operaia, il partito comunista. La prima definizione del sistema di organizzazione basato sul principio del Centralismo Democratico risale, infatti, al saggio “Che fare?” pubblicato da Lenin nel 1902, quando erano ancora lontane le condizioni congiunturali per la rivoluzione proletaria, ma si era oramai formata in tutta Europa quella classe operaia della grande industria che avrebbe dovuto assumere il ruolo di avanguardia dell’intero mondo del lavoro operaio, artigiano, contadino, subordinato in genere. La previsione di Marx che nel 1870, alla vigilia della rivolta della Comune di Parigi, aveva avvertito del ritardo dell’Europa continentale nella formazione della grande industria e dunque la mancanza di una vera e propria classe operaia in grado di assumere l’avan-
guardia del movimento dei Centralismo democratico è il nome dato ai principi di lavoratori, si erano realiz- organizzazione interna usati dai partiti politici leninisti, zate. A cavallo tra la fine e il termine è qualche volta usato come un sinonimo dell’800 e l’inizio del ‘900 per qualsiasi politica leninista all'interno di un partito. si era diffusa anche nell’Eu- L'aspetto democratico di questo metodo organizzativo ropa continentale quella ri- consiste nella libertà dei membri del partito di discutere voluzione industriale che e dibattere su politica e direzione, ma una volta che la già aveva trasformato l’eco- decisione del partito è scelta dal voto della maggiorannomia e quindi la società za, tutti i membri si impegnano a sostenere quella deinglese. Dalla Francia re- cisione. Quest'ultimo aspetto rappresenta il centralipubblicana alla Russia zari- smo. Come lo descriveva Lenin, il centralismo demosta la nascita della grande cratico consiste in "libertà di discussione, unità d'azioindustria aveva portato con ne". sé anche la nascita di una Gli statuti delle organizzazioni leniniste avevano defininuova classe di lavoratori to i seguenti principi-base del centralismo democratiterritorialmente concentra- co: ta, culturalmente e social- 1) Carattere elettivo e revocabile di tutti gli organi di mente omogenea e solida- partito dalla base al vertice. le, la classe operaia. Erano 2) Tutte le strutture devono rendere conto regolarmendivenute allora mature le te del loro operato a chi li ha eletti e agli organi superiocondizioni per la struttura- ri. zione di un partito politico 3) Una rigida e responsabile disciplina nel partito, suche rappresentasse quella bordinazione della minoranza alla maggioranza. 4) Libertà di critica e autocritica all'interno del partito. avanguardia di classe e la 5) Le decisioni degli organi superiori sono vincolanti guidasse alla conquista e per gli organi inferiori poi alla gestione del potere. La svolta avvenne nel 1917 quando la ni dei partiti socialdemocratici e frazione bolscevica (maggioritaria) contestuali fondazioni dei partiti codel partito socialdemocratico russo munisti europei e asiatici (nel 1921 guidata da Lenin si staccò dalla cor- nacquero quasi contemporaneamenrente minoritaria (menscevica) e die- te in Italia il Partito Comunista di de vita al partito comunista, di li a Gramsci e in Cina quello di Mao, ma poco seguita dalle analoghe scissio- anche in Francia, in Germania, ecc.)
Verso lestinzione dello Stato “Il proletariato si impadronisce del potere statale e trasforma i mezzi di produzione innanzi tutto in proprietà dello Stato. Ma con ciò esso sopprime se stesso come proletariato, abolisce tutte le differenze e tutti gli antagonismi di classe, e in pari tempo anche lo Stato in quanto Stato. La società, quale esisteva ed esiste tuttora, che si muove attraverso gli antagonismi di classe, aveva bisogno dello Stato, cioè di una organizzazione della classe sfruttatrice allo scopo di mantenere con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione volute dal modo di produzione esistente. Lo Stato era il rappresentante ufficiale di questa società, la sua sintesi in un copro visibile, ma era tale solo in quanto era lo Stato della classe. Quando non vi saranno più classi sociali che debbano essere tenute sottomesse, quando non vi sarà più il dominio di una classe su di unaltra, né la lotta per lesistenza, che ha origine nellanarchia delle produzione finora esistente, quando saranno eliminati i conflitti e le violenze che ne derivano, allora non vi sarà più nessuno da reprimere e da tenere a
freno, sparirà quindi la necessità del potere statale che oggi adempie a questa funzione. Il primo atto con il quale lo Stato agirà come il vero rappresentante di tutta la società – la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società – sarà il suo ultimo atto indipendente come Stato. Lintervento del potere statale nei rapporti sociali a poco a poco diventerà superfluo e si assopirà di per sé. Invece del governo sugli uomini si avrà lamministrazione delle cose e la direzione dei processi di produzione. Lo Stato non si abolisce, lo Stato si estingue.” (F. Engels)
Democrazia Al governo del primo Stato proletario
appieno il sistema di autogoverno dei soviet (in italiano i “consigli” di fabbrica, di esercito, di territorio, ecc.), porterà al superamento del ruolo di direzione e controllo dello Stato centralizzato verso quell’anarchia, auto organizzata e auto disciplinata, che caratterizzerà la società degli uguali, la società comunista. Per intendere la radicale diversità della concezione del governo democratico del Centralismo Democratico da tutte le altre forme applicate o anche solo idealizzate nella storia plurimillenaria dell’uomo sociale occorre tornare brevemente ai presupposti della scienza marxista, che Lenin svilupperà dal-
Il Centralismo Democratico diverrà una forma di governo dello Stato solo dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917 con la nascita in Russia del primo Stato proletario, realizzandosi una trasposizione delle regole di funzionamento del partito dell’avanguardia della classe nel sistema di amministrazione della Stato dei lavoratori. Come forma di governo dello Stato il Centralismo Democratico, a differenza di tutte le altre teorie di governo, democratiche e/o non democratiche, apparse nella storia dell’uomo, non identifica tuttavia una forma di governo definitiva, bensì una sola fase di transizione verso la società comunista nella quale a uno stesso tempo: da un lato, essendo venuta meno la divisone della società in classi, il partito comunista cesserà la sua funzione di guida dell’avanguardia della classe operaia; dall’altro la conquista della partecipazione consapevole e competente di tutti i cittadini all’amministrazione della cosa pubblica, realizzando Ottobre 1917 Assemblea Generale dei soviet di Pietroburgo
Le idee del dominio e il dominio delle idee “La teoria non trova mai la sua realizzazione nel popolo, se non quando essa realizza i bisogni di questo popolo. L'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressi ed oppressori sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta. Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che
23 l’analisi propriamente storico economica di Marx ed Engels alla dialettica della politica applicata.
Struttura e sovrastruttura; alla base l’economia, al di sopra l’ideologia Con Marx la storia dell’uomo viene rimessa “con i piedi a terra”: alla base c’è l’economia, cioè la realtà dei rapporti di dominio che si fondano sul controllo dei beni e dei mezzi di produzione, al di sopra ci sono le idee, o ideologie, che non sono però altro che il riflesso della realtà dei rapporti di forza sottostanti. Ogni società ha prodotto e produce le sue idee politiche, sociali e scientifiche, ma non sono quelle idee a determinare la forma della società, bensì esattamente l’opposto: stabiliti i rapporti di dominio, gli stessi elaborano e trovano la loro giustificazione in ideologie create a loro misura. Nella scienza marxista non esistono, dunque, principi astratti, assoluti o immodificabili, siano essi di elaborazione umana o di provenienza divina, che guidano il percorso dell’uomo sociale o individuale, esiste una realtà
l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Il proletariato si servirà del suo dominio politico per togliere gradualmente dalle mani della borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante e per accrescere con la piú grande celerità possibile la massa delle forze produttive. Se il prodotto del lavoro non appartiene alloperaio, e un potere estraneo gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene ad un altro estraneo alloperaio. Se la sua attività è per lui un tormento, deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. Non già gli dèi, non la natura, ma soltanto luomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra delluomo. La “liberazione” è un atto storico, non un atto ideale, ed è attuata da condizioni storiche, dallo stato dellindustria, del commercio, dellagricoltura, delle relazioni e in realtà per il materialista pratico, cioè per il comunista, si tratta di rivoluzionare il mondo esistente, di metter mano allo stato di cose incontrato e di trasformarlo." (Karl Marx)
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Democrazia
materiale (materialismo storico o scientifico) che è fatta naturalmente di contraddizioni tra bisogni, necessità, aspirazioni diverse e mutevoli nello scorrere del tempo, il cui continuo confronto o scontro produce quella dialettica concreta, cioè basata sul realtà materiale (materialismo dialettico), che ne porta il continuo superamento verso un nuovo confronto in un divenire infinito, che è poi il principio stesso dell’evoluzione (della specie, dell’uomo, della società).
Armonia delle contraddizioni La scienza e la pratica comunista non si pongono che un principio: armonizzare le contraddizioni che sono nella realtà materiale e farne fattore e motore stesso di crescita della società degli uomini. Il Centralismo Democratico ne è l’esempio applicato al sistema di governo dello Stato. La definizione più semplice, e perciò più chiara e comprensibile, è nelle seguenti brevi frasi di Mao tratte dal saggio “Sulla risoluzione delle contraddizioni in seno al popolo” che rappresenta forse l’elaborazione più alta della scienza comunista applicata al governo della società: “Coloro che rivendicano libertà e demo-
crazia in astratto, considerano la democrazia come un fine e non come un mezzo. A volte sembra che la democrazia sia un fine, ma in realtà non è che un mezzo. Il marxismo ci indica che la democrazia fa parte della sovrastruttura e che essa appartiene alla categoria della politica. Questo significa che in fin dei conti essa serve la base economica. Lo stesso è per la libertà. Sia la democrazia che la libertà sono relative e non assolute: esse sono apparse e si sono sviluppate in condizioni storiche definite. All’interno del popolo la democrazia è in rapporto al
Lavorare per costruire una società armoniosa comunista “La nostra società socialista è una società che presenta delle contraddizioni. Il processo di costruzione di una società armoniosa, socialista, è un processo permanente diretto a risolvere tutti i tipi di contraddizioni e un processo diretto a respingere i fattori non armoniosi e a rafforzare i fattori armoniosi. A misura che la Cina va verso il suo sviluppo, certe contraddizioni si amplificano. E un fenomeno che noi non possiamo evitare, perché la nostra società subisce in permanenza delle mutazioni profonde. Noi dobbiamo affrontare queste contraddizioni e trovare il modo di risolverle. Per raggiungere l'obiettivo di costruire una grande società moderatamente prospera in tutti gli aspetti, è necessario garantire e migliorare il benessere del popolo e promuovere l'armonia sociale. Dobbiamo promuovere lo sviluppo sociale e difendere gli interessi fondamentali della stragrande maggioranza del popolo, ma anche garantire la stabilità politica del paese, e far sì che i progressi di sviluppo sociale siano al passo con lo sviluppo economico, politico e culturale. Per promuovere lo sviluppo sociale dobbiamo migliorare il benessere del popolo, e compiere particolari sforzi per risolvere i problemi più pratici che maggiormente preoccupano i cittadini. Dobbiamo fare in modo che lo sviluppo sia per il popolo e realizzato dal popolo. Trovare un equilibrio tra le riforme, lo sviluppo, e la stabilità e raggiungere l'unità dei tre elementi è una direttrice importante per raggiungere il successo della società socialista. Lo sviluppo è di fondamentale importanza così come la stabilità. Senza stabilità, nulla poteva
centralismo, la libertà è in rapporto alla disciplina. Si tratta, in entrambi i casi, di aspetti contraddittori di un insieme unitario; tra di essi esiste contraddizione e, nello stesso tempo, unità; noi non dobbiamo accentuare unilateralmente uno di questi aspetti negando l’altro. All’interno del popolo non può mancare la libertà come non può mancare la disciplina; non può mancare la democrazia come non può mancare il centralismo. Questa unità di libertà e disciplina, di democrazia e centralismo, costituisce il nostro centralismo democratico.”
essere fatto, e anche i risultati già conseguiti potrebbero essere persi. Questa è una lezione che tutti i compagni del partito debbono tenere a mente, e dobbiamo fare in modo che tutte le persone tengano a mente questa lezione. La Cina sta attraversando cambiamenti sociali senza precedenti in ogni campo. Mentre il dinamismo straordinario dello sviluppo ha dato luogo a grandi progressi, i cambiamenti hanno inevitabilmente dato origine a conflitti e problemi. La dinamica dei conflitti sociali è però il motore fondamentale dello sviluppo sociale. Dobbiamo seguire le leggi che regolano lo sviluppo sociale, dobbiamo affrontare i problemi e gestire correttamente i conflitti tra le persone e gli altri conflitti sociali. Dobbiamo ridurre e disinnescare i conflitti con la costruzione della base materiale economica. Dobbiamo rafforzare l'amministrazione sociale in modo innovativo. Dobbiamo sostenere e migliorare il sistema dei congressi popolari, della cooperazione multipartitica e della consultazione, il sistema delle autonomie regionali etniche e dellautogoverno a livello primario della società. Dobbiamo assicurare la posizione del popolo come padrone del paese. Dobbiamo garantire che tutto il potere dello Stato appartiene al popolo; allargare la partecipazione dei cittadini negli affari politici a ogni livello e in ogni campo, e mobilitare e organizzare il maggior numero di persone nella gestione degli affari statali e sociali, così come nei programmi economici e culturali. Dobbiamo anche rendere l'amministrazione più scientifica e sociale e assicurare la pace e la felicità per il popolo così come la stabilità sociale e l'armonia.” (Hu Jintao)
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Un futuro per il giovane
Coriandoli di carta, colorati appesi sui rami bassi di un tiglio in un giardino pubblico di una via centrale di Spoleto. Pare ci siano delle frasi scritte. Sono frasi dettate dal cuore e guidate da buoni insegnanti. Infatti, si sono scelte per ben metterle in evidenza, chiome basse, sopra le aiuole, chiome avvolgenti, vicine alla gente che passa, sulle teste dei bambini che giocano, ma soprattutto di fronte agli occhi dei genitori: quelli che oggi hanno le responsabilità di guida, di conforto e di sostegno verso i giovani. Gli adulti hanno avuto dai loro vecchi tutti i mezzi, ed ora devono sfoderare tutte le loro capacità ed usarle per l'altro, non un altro qualsiasi, sia ben inteso che non sarebbe un brutto gesto, per il loro figlio. Lo fanno effettivamente o sono più spaventati dei nonni? A giudicare dalle distorsioni cui è soggetto il giovane, pare che una buona parte degli adulti non abbia neppure la condizione mentale per capire cosa stia succedendo. E gli altri buoni educatori dei loro figli?
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Sorprendente notizia da Spoleto DI ILARIO GAPPO
“N
ell'autunno del 1969 si era svolta una polemica sull'obiettività giornalistica che ha a poco a poco coinvolto tutta la stampa italiana. Vi presero parte Piero Ottone, Indro Montanelli, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca...praticamente tutti i giornali. Il punto di partenza era stato dato da una mia* inchiesta...L'osservazione che aveva scatenato il dibattito era l'obiettività giornalistica era un mito (o un dato di falsa coscienza) perché un giornale fa interpretazione non solo quando mescola commento e notizia, ma anche quando sceglie come impaginare l'articolo, come titolarlo, come corredarlo di fotografie, come metterlo in connessione con un altro articolo che parla di un altro fatto; e soprattutto il giornale fa interpretazione quando decide quali notizie dare.”
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osì iniziava una relazione del 15 aprile 1978 di Umberto Eco. Già allora si parlava dell'obiettività dei giornali, già allora si scatenavano, anzi allora si scatenavano, mentre oggi nessuno dice più nulla. Oggi, hanno dichiaratamente perso l'obiettività anzi le opinioni e le notizie sono scelte dalla testa che gestisce il finanziamento alla testata, così come i vari canali televisivi. Ognuno dipinge un frammento del quadro della realtà, per nascondere naturalmente tutte le manovre avvolgenti e poter continuare a seguire i propri affari e non quelli della collettività. Proprio da questo principio nasce l'infezione tramite la quale la mafia tiene saldamente in pugno l'Italia.
Il suo lavoro il nostro presente; i tuoi sogni il nostro futuro. Ti è stata tolta la vita, ma il tuo altruismo e il tuo sacrificio vivranno grazie a noi. Mario Pàncari, nel 1870 giovane benvoluto, onesto e di retti principi aspirante ad amministrare la sua città... ucciso una sera con una fucilata in pieno centro di Vittoria (RG). Grazie al tuo lavoro oggi c'è meno criminalità.
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ono state scritte triliardi di milioni di parole sulla mafia...anche queste in neretto su semplici “coriandoli” colorati di carta appesi su un albero nel parco. Di fronte all'ennesimo morto innocente per mano di quelle organizzazioni clandestine, i giovani hanno manifestato e scesi in piazza hanno urlato contro la violenza, contro quegli esattori illeciti che più giorni nella settimana bussano alla porta dei genitori e propongono cifre impossibili. I giovani che resistono allo shock ( di cui dopo parlerò) hanno implorato alle
Istituzioni una risposta contro le assurdità del pizzo. I giovani arrabbiati scendono in piazza chiedendo un futuro migliore e lo chiedono per pietà, per non vedere più i propri amici e parenti onesti morire sotto gli ingiusti colpi dell'ultimo sprovveduto e disperato ingaggiato dalla criminalità. Le proteste avvengono alla luce del giorno, a volto scoperto, proprio sotto gli occhi beffardi di “quel maledetto” che durante il giorno medita la prossima truffa o un'estorsione più redditizia a danni del popolo ignaro e dello Stato di
A new words from Spoleto Mots, wort, parole escono dalla rossa gola senza più fiato, favola che ancora non muore aleggia nell'aere viziata quivi rieccheggiano minacce di vecchie e storpie facce senza dignità, ne coraggio. Si trascinano del foraggio alla ricerca, tra i poveri che sanno essere veri non vili, ne deboli vermi Costoro sono sbiadite ombre che striscian nei vicoli tra serpi e non conoscono la gioia di vita sono corpi inetti e inermi zombi a cui si rivolteranno i loro sudditi ignoranti da Spoleto rinasceranno nuovi ideali di giustizia: trema mafia c'è una notizia i giovani insorgeranno con moti decisivi nell'anno e l'inno d'Italia suoneranno!
tutti. Mentre i giovani si sgolano dietro le attività normali, e iniziano a subire le prime esperienze di mafia, alcuni genitori combattono con tutte le forze per difendere la loro famiglia, ma le mafie possono comprare chiunque; a differenza degli Stati le mafie non hanno problemi di budget o di finanziamenti; sono miniere di denaro marcio che spruzzano schifo ovunque irrorando chiunque, e soprattutto quelli che per debolezza (sempre degli uomini dello Stato) cedono. In realtà, quando si parla di mafie, l'immaginario collettivo proietta nella nostra mente le immagini coraggiosamente illustrate da Saviano, le morti degli Eroi, vite di coloro che non hanno ceduto al ricatto ed hanno pagato. Quelle sono i punti estremi, i veri punti neri. Ma, a mio avviso, ci sono nello stile di vita dell'italiano una serie di situazioni, come una scala di grigi infinita in cui bisogna cadere per riuscire a sopravvivere. Ecco il grigiore di cui parlavo.
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ibadisco e sottoscrivo: a So – Pravvi – ve- re. Parlo di situazioni poco chiare, grige appunto, in cui ogni italiano viene immischiato senza che nulla possa fare se non gridare in silenzio, ed accettare in molti casi l'ingiustizia come una normalità. Parlo di accettare un sistema di concorsi assurdo, che valuta la cultura generale e riduce le materie tecniche ad una serie di risposte a crocette discutibili e ti permette di diventare insegnante stabile dopo almeno 20 anni in media di precariato; riferisco di un modo di lavorare tendente alla quantità, grossolano e non alla qualità, proprio l'antidoto che oggi che sarebbe fondamentale. Un mondo imprenditoriale incapace di riconoscere la meritocrazia in ambito lavorativo in quanto sempre alla unidirezionale ricerca di una diminuzione di costi ed alla detassazione. Quest'ultima classe viene tranquillamente agevolata da un'incapacità cronica ormai consolidata da anni della classe politica di approvare delle leggi che abbiano una minima utilità e ricaduta pubblica; una sensazionale spinta sempre maggiore verso il potere personale o di illustrissime lobby a danni della solita Res Pubblica e di tutti quelli che l'hanno sudata sulle trincee. Sento ogni giorno, nei bar, nei saloni di bellezza, nei pub abbondare tramite i media messaggi subliminari volti alla superficialità, all'estetica ed al consumo, mentre i teatri, i palchi dell'opera ed i luoghi di cultura si svuotano, si trascinano e fomentano le gelosie e le invidie tra attori e registi per accaparrarsi una piccola fetta di pubblico. Vedo ancora ore perse dei più giovani a studiare su progetti per prendere finanziamenti già arrogantemente assegnati ai soliti noti, quelli che mostrano di saperla lunga ma alla fine non sanno nulla e se ne vedono i risultati...i conti pubblici strozzati in parte dagli interessi dovuti alle banche e in parte dai famosi buchi neri (o miniere di denaro). Una giustizia che con le mani legate da leggi labirintiche e cavillose, fortemente interpretabili, protegge il deliquente perchè il nobile avvocato è riuscito a dimostrare l'infermità mentale (chissà se capitasse a lui di perdere qualcuno per mano dello stesso cosiddetto “matto” se avesse ancora il coraggio di difenderlo...). Un elenco sterminato di mafie unite da una sottile linea che unisce tutte queste situazioni e culmina con indescrivibile arroganza e l'indelicatezza
I tigli nel giardino splendono del loro verde chiaro dopo le piogge di questi giorni... Si notino i frutti in fase di maturazione con le brattee più gialle che schiariscono ulteriormente questa folta alberata della città di Spoleto. più incredibile: il debito delle attività dei vecchi panzoni e soprattutto degli incompetenti ricade sugli indifesi: i neonati e per poco bambini. na creatura stupenda, immacolata, teneramente dolce nasce come un miracolo coltivato dalla donna per nove mesi e piomba dal primo secondo di vita in un baratro profondo e buio che si aggira tra i 30-40.000 Euro di debito. Questa non è mafia? Il genitore deve accettare questa situazione che il giovane sempre più precocemente erediterà. Nel momento in cui verrà la presa di coscienza reggerà all'impatto allo shock di cui sopra? Dalla piega che prendono le giovani generazioni, precocemente abbandonate dai genitori, pare di no. Il bambino non è più bambino perchè deve crescere prima del tempo, per cercare di comprendere e in molti casi risolvere i problemi dei genitori ormai snervati, ammaccati, abbruttiti da una vita di ricatti. 'altro giorno, in pausa pranzo mangiavo un gelato e in un parco di Spoleto ho avuto una visione: ho veduto la traccia della mano della rivincita silenziosa. I giovani sotto shock, frastornati dagli spot televisivi hanno innescato una reazione...in modo silente hanno lanciato la loro offensiva. Sotto la chioma di un piccolo tiglio, con chioma non più alta da terra di 2 metri, le frasi dei giovani contro la mafia a favore degli Eroi: Giovanni Falcone e Paolo Borselli-
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no.... Giovani che neanche erano nati sotto un tiglio nel parco di Spoleto... GIO-VAN-NI, GIO-VAN-NI, GIO-VAN-NI, PA-O-LO, PA-O-LO, PA-O-LO, che per ironia della sorte o per un disegno divino, secondo me, ben preciso, a seconda delle proprie credenze, diventa proprio il nome di colui che ai giovani ha donato la sua giovialità, che sui giovani ha gettato le basi per un futuro migliore: il BEATO PAPA GIOVANNI PAOLO II. Una voce indiscreta e leggera come il soffio del venticello del mattino proprio, come lo Spirito Santo che soffia ed agisce in mezzo alla città tramite un albero, simbolo della natura silenziosa. ' messaggio forte come uno Tsunami che spazza via ogni timore. Non vuole essere una manifestazione evidente, ma vuole essere un segnale che i tempi cambiano per i disonesti...per il beffardo e vile mafioso. Vuol dire che il malcostume ha preso piede, si accetta per non morire, ma in modo silente si inizia a combattere e lo si fa con piccole frasi stampate su cartoncino plastificato attaccate sulla chioma di un tiglio in mezzo ad un parco cittadino. Giovanni Falcone ha voluto essere l'esempio per ogni cittadino italiano che ama il suo paese. E' stato un grande eroe che ha sacrificato la propria vita per proteggere il proprio paese. Falcone diceva che la mafia ha un inizio ed una fine. Non vedo ancora la fine..
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gli altri buoni educatori, non ne vedono ancora la fine e sanno che loro e loro piccoli sono in costante pericolo perchè voi, ombre meschine, siete vili e sapete solo colpire alla spalle, ma sappiate che noi vi controlliamo e vi combattiamo in modo concreto, in modo onesto e scaviamo sotto quel terreno, che voi ignoranti e pieni boria e forti del vostro passato glorioso, ritenete solido. I nostri occhi hanno paura...hanno paura come i giovani che non hanno diritto a vivere la loro vita in modo libero, ma sentono ogni giorno di più che è loro diritto pretendere un futuro migliore, dove il regime del terrore e dell'omertà sia sconfitto. A confermare il procedere incerto della vita sono ancora una volta gli ignoranti, le mani viscide, coloro che per convenienza o per contratto eseguono in silenzio. Così qualche settimana dopo, le frasi della protesta sono state rimosse.
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iccola riflessione: per terra viene buttata ogni genere di schifezza che viene raccolta giusto nelle città e per nulla nelle campagne. Basti guardare il taglio dei bordi strada...i detriti sbrindellati “NON SI POSSONO RACCOGLIERE!?!”...(d'altra parte un giardiniere non è un operatore ecologico). Ebbene le frasi erano appese su un tiglio a Spoleto, saldamente ancorate ad un baluardo della Natura, appositamente plastificate per renderle inattaccabili all'acqua, casualmente si è avuta fretta di rimuoverle! Ma qui, nella mia mente e su questo articolo sono rimaste e quel vento di rinnovamento, quello SPIRITO SANTO continua a soffiare in modo sommesso e mai sottomesso. Così, con qualche pagina di parole, ho voluto essere voce di quei giovani che hanno protestato per un futuro migliore...che tutti noi giovani PRETENDIAMO! Dunque, O vili maligni, vi lascio
Il “tiglio” Caratteristiche botaniche I tigli sono tra gli alberi decidui più belli e più alti delle zone temperate. Il Tiglio selvatico, si trova in tutta Europa e la Russia, mentre il tiglio nostrano viene dall'Europa Centrale e Meridionale. Quando si incontrano danno l'ibrido, il tiglio comune nei viali e lungo le strade delle nostre città: il Tilia x vulgaris Hayne. L'ibrido presenta alcune caratteristiche intermedie tra le due specie. Può essere un cespuglio o un albero con corteccia scura e lievemente argentea, nel tronco con solchi longitudinalmente rossastri. Getti giovani pubescenti, foglie cuoriformi (6- 10 cm) con picciolo glabro (3 – 5 cm), con base asimmetrica, margine seghettato e apice acuminato. Fiori ermafroditi attinomorfi con calice e corolla 5(4) meri dal giallo chiaro al verde pallido; il Frutto è un capsula o noce dentro una brattea allungata di colore giallo a maturità, che farà da ala al seme maturo. Durante la fioritura emette un profumo molto intenso e particolarmente gradito alle api che vanno alla ricerca del polline, dal quale poi si produce il miele di tiglio. Ama il calore e l'umidità, di cui ha bisogno per mantenere il fogliame denso. Durante l'estate la chioma è popolata da afidi che secernono una sostanza zuccherina appiccicosa. Le foglie diventano gialle e poi dorate all'inizio dell'autunno. Proprietà terapeutiche Nulla del tiglio può nuocere all'uomo, al contrario; solamente il sambuco potrebbe essere più benefico. Il tiglio placa, allevia – in tedesco “ alleviare” su dice lindern , termine che deriva da tiglio. Il centauro greco Chirone si guadagnò una grande fama come guaritore e profeta. I fiori, le foglie la corteccia hanno effetti sudoriferi, febbrifughi, antisettici e fanno rilassare i crampi. La cenere del Tiglio può servire anche da dentifricio disinfettante e disinfettare le gengive. Le foglie giovani di tiglio come anche i fiori e i germogli si possono mangiare in insalate o zuppe. Il decotto di corteccia dei giovani rami raccolto in primavera ha proprietà astringenti, per uso esterno utilizzato come clistere per la cura di diarree e infezioni intestinali; l'infuso, la tisana e lo sciroppo dei fiori con le brattee, raccolti in giugno-luglio e fatti seccare all'ombra, vantano proprietà anticatarrali, bechiche, sudorifere, emollienti, antispasmodiche, vasodilatatrici e calmanti
con una promessa: diventerò la voce di quelle proteste sommesse...non è più tollerabile l'omertà e prima o dopo capiranno anche gli ignoranti a spese loro e dei figli e tutti gli altri, che qualsiasi patto con il diavolo non conviene in nessun caso...da sempre. Concludo con le parole di un famoso giornalista, Luca Goldoni, che nel suo libro “Non ho parole” pubblicato nel 1978 disegnava l'Italia con una sorprendente sintesi che non so se possa essere di aiuto a noi che crediamo nei sentimenti positivi o ai delinquenti. “C'è un'Italia traboccante di nuove parole, dove si ghettizza, si espropria, si criminalizza, si autoriduce, si rivendica, si ricicla, si specula, si emargina, si germanizza; e c'è un'Italia pubblica e privata che continua a non aver parole, tira avanti con le sue frasi, i suoi atteggiamenti, i suoi riti.” A voi la scelta.
nei confronti di stati d'ansia; per uso esterno l'infuso di fiori viene usato per bagni calmanti e ristoratori, mentre il decotto serve per gargarismi curativi di stomatiti, faringiti, glossiti, angine. Tradizione orale In molti paesi tribali teutonici un vecchio tiglio era il punto d'incontro per gli affari del paese. La gente accettava che la condanna inflitta ai criminali fosse alleviata dalla dolce atmosfera di quest'albero. Si credeva che il tiglio generasse conoscenza divina, verità, giustizia, chiarezza e un giusto equilibrio tra capacità di decisione e compassione. Era dedicato a Freya, “Signora della Terra” e dea dell'amore. In Scandinavia il tiglio era il più importante dei tre Varträd, gli alberi custodi di fattorie, che ricevevano regolarmente offerte e hanno dato il proprio nome a molte famiglie (Lindemann, Tiliander, Linné...). La venerazione del tiglio come albero tribale si sviluppò nel famoso Dorflinde tedesco, “ il tiglio del villaggio”, amorevolmente curato, spesso visitato e molto amato. Il tiglio è il punto d'incontro tra Cielo e Terra. Quando non ci si riesce a concentrare, quando le proprie energie si disperdono, si può ritrovare la calma sotto l'ombra silenziosa di un tiglio. E' una specie spesso associata alla produzione di tartufo bianco nei boschi planiziale della pianura padana.
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Oblio
Se Dio perdona, la Rete non dimentica
L’acqua che vedi non surge di vena che ristori vapor che gel converta, come fiume ch'acquista e perde lena; ma esce di fontana salda e certa, che tanto dal voler di Dio riprende, quant'ella versa da due parti aperta. Da questa parte con virtù discende che toglie altrui memoria del peccato; da l'altra d'ogne ben fatto la rende. Quinci Letè; così da l’altro lato Eünoè si chiama, e non adopra se quinci e quindi pria non è gustato a tutti altri sapori esto è di sopra. Divina Commedia, 28° canto del Purgatorio, versi 121-133.
La prima fonte toglie all’uomo ogni ricordo del peccato delle vite passate, affinché l’uomo liberamente viva le sue esperienze evolutive, come fossero nuove, come se egli fosse nato sulla Terra per la prima volta. Dante Alighieri nel Purgatorio immagina che nel fiume Lete, situato nel paradiso terrestre, sul monte del Purgatorio, si lavino le anime purificate prima di salire in Paradiso, per dimenticare le loro colpe terrene. Accanto al Letè scorre il fiume del ricordo delle cose buone del proprio passato, l'Eunoè. Il nome Lete viene da una radice greca, leth, "dimenticare", da cui deriva anche alètheia, "verità", con l’alfa privativo che indica dunque "ciò che non si dimentica".
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Oblio
Dove inizia il diritto a dimenticare e essere dimenticati e finisce il diritto di informare ed essere informati? Un difficile equilibrismo per interessi meritevoli di ogni tutela DI FRANCESCO MORONI
Se Dio perdona, la rete non dimentica. Non di rado, le onde del web restituiscono frammenti di vecchie notizie e brandelli di fatti risalenti potenzialmente idonei a ledere l’immagine sociale di una persona o a fuorviare l’incauto internauta alle prese con la pesca a strascico imposta dai motori di ricerca. La casistica giurisprudenziale, in Italia e all’estero, offre numerosi esempi da quando i giornali hanno messo on-line i loro archivi e chiunque può andare a scavare nel passato di un soggetto. Fece scalpore, in Germania, il caso di due cittadini, condannati per l’omicidio di un noto attore, che chiesero a Wikipedia la rimozione del loro nome dalla pagina della vittima, perché avevano ormai scontato la pena e intendevano esercitare il cosiddetto “diritto all’oblio”, soprattutto per non pregiudicare le loro possibilità di reinserimento sociale do-
po la fine della detenzione. Se – come ha rilevato in proposito il commissario europeo Reding – il diritto ad essere dimenticati non implica la pretesa di cancellare la storia, altri episodi controversi proposti dalla cronaca giudiziaria esigono una reinterpretazione del concetto di privacy in chiave non più statica ma dinamica. In attesa, in sede comunitaria e nazionale, di una regolamentazione normativa di questa figura di matrice dottrinale e giurisprudenziale, con la sentenza n. 5525/2012, la nostra Corte di Cassazione ha aggiunto un importante tassello al riconoscimento del diritto all’oblio. Il caso esaminato dai giu-
dici della Suprema Corte riguarda un esponente politico di un piccolo Comune lombardo, arrestato per corruzione nel 1993, ma prosciolto alla fine del procedimento giudiziario.
meritevolezza. La legge madre - la oramai famosa legge n. 675 del
Il diritto all’oblio tra libertà d’in- 1996 - ha registrato, da sola, ben nove interventi modificativi o integrativi prima dellapprovazione dellattuale Codice. Ne è risultata una formazione e tutela della privacy frammentazione del quadro normativo complessivo che ha reso diffiDI LORENZO BATTISTI
Origine e successivi interventi normativi La materia della tutela dei dati personali è stata oggetto di normazione, nel nostro Paese, da ormai diversi anni, tuttavia in ritardo se si considera che su questo argomento, in campo internazionale, già dai primi anni 80 erano vigenti le linee guida Ocse e la Convenzione di Strasburgo, del Consiglio dEuropa. Il tema, molto complesso e articolato, ha richiesto di superare un ostacolo culturale dovuto alla incerta percezione collettiva del valore che si voleva tutelare. Per questo motivo, già uno spot televisivo dal titolo “Non è una firmetta”, si era inteso sottolineare limportanza del consapevole esercizio del diritto di scelta di ciascuno nel consentire alluso dei propri dati personali ad opera di terzi. Il tema della tutela dei dati personali non è sempre condiviso. La maggioranza dei cittadini e delle aziende concorda sul valore generale della riservatezza individuale e sulla necessità di tutelarne le espressioni. Le diversità di opinioni si registrano, invece, quando dalle dichiarazioni di principio si passa allattuazione delle modalità operative. Lo testimoniano le innumerevoli leggi che sono andate sovrapponendosi nel tempo, dettate da esigenze di volta in volta considerate primarie, in termini di urgenza o di
cile la ricostruzione del sistema privacy, a livello interpretativo, e lindividuazione della disciplina applicabile alle singole situazioni. Non di rado, infatti, si è reso necessario ricorrere allestremo rimedio interpretativo del riferimento alla logica sottostante della norma. Quindi, sin dalle origini dellintervento legislativo nel nostro Paese si era compreso che i contenuti generali sulla tutela dei dati personali male avrebbero risposto alle specificità dei diversi settori delleconomia. Questo aspetto, che ha sollevato non pochi problemi di attuazione operativa nella fase di prima applicazione della norma, aveva motivato la delega al Governo per lemanazione di un corpo di norme di settore e per gli adeguamenti legislativi che si fossero resi necessari a seguito dellesperienza operativa acquisita. Le finalità Il trattamento dei dati personali deve assicurare un elevato livello di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali dellinteressato. Il legislatore si è preoccupato di assicurare efficacia a questo sistema. Ciò avviene grazie a un bilanciamento complessivo in cui modalità di esercizio dei diritti dellinteressato da un lato, e adempimento degli obblighi del titolare dallaltro, sono semplificati per quanto possibile, armonizzati fra loro e resi efficaci. Al fine di garantire lefficacia dellimpianto privacy così concepito, il Codice ha ribadito il principio di minimizzazione, in base al quale,
Oblio Il politico lamentava che, a distanza di anni, attraverso una normale ricerca in rete, l’archivio web di un quotidiano a tiratura nazionale riportasse ancora la notizia dell’arresto, senza fare riferimento al successivo epilogo favorevole della vicenda processuale. La Suprema Corte gli ha dato ragione, stabilendo che “se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza, al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultano ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”. Solo se un fatto di cronaca assume rilevanza quale fatto storico, ciò può giustificare la permanenza del dato, ma mediante la conservazione in archivi diversi da quello in cui esso è stato originariamente collocato. Al fine, quindi, di tutelare l’identità sociale del soggetto cui afferisce la notizia di cronaca, bisogna garantire al medesimo l’aggiornamen-
to della stessa notizia e cioè il collegamento ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare o addirittura mutare il quadro sorto a seguito della notizia originaria. Il diritto alla rettifica delle informazioni personali ovvero alla cancellazione necessita di una tutela tanto maggiore nell’ipotesi di dati pubblicati nella rete internet, quale strumento potenzialmente permanente,
luso di dati personali e di dati identificativi deve essere ridotto al minimo ed è consentito solo quando ciò sia assolutamente necessario per conseguire la legittima finalità dichiarata allatto della raccolta.Affinché questo principio sia rispettato efficacemente, il Codice prescrive che i sistemi informativi e i programmi informatici debbano essere concepiti privilegiando lutilizzo di dati anonimi, oppure usando opportune tecniche che permettano di identificare linteressato solo in caso di necessità. Il riferimento è di notevole importanza per due motivi. In primo luogo, in quanto evidenzia come lefficacia della tutela sia il frutto di un approccio organico di più componenti come lesistenza di un sistema garantito legislativamente, la sensibilizzazione e formazione delle persone e il supporto tecnologico. Diversamente, la prescrizione di legge sarà inevitabilmente destinata a rimanere disattesa o a divenire inefficace. Lobiettivo di razionalizzazione e armonizzazione è stato conseguito in buona parte. Lesperienza di questi anni ha infatti dimostrato la centralità dellistituzione del Garante qualora si intenda conseguire un programma di piena e diffusa applicazione delle norme a tutela dei dati personali. Le critiche mosse a questa Autorità sono immotivate, considerato anche la saggia funzione di sensibilizzazione collettiva che listituzione ha svolto nel corso di questo periodo. Gli osservatori hanno compreso che lefficacia della tutela è strettamente correlata al sistema sanzionatorio e alla capacità di presidio dellAutorità indipendente. Il Garante è fonte normativa di rango secondario, subordinata unicamente alla legge. Questa Autorità svolge una importante attività, per un verso, analoga a quella di “regolazione di settore” ma, per altro verso, caratterizzata dal fatto di avere
31 che permette con facilità di accedere a dati pubblicati anche molto tempo addietro. A tale proposito, la Suprema Corte ritiene che la rettifica di una notizia di cronaca risalente al passato non collida col diritto di cronaca, ma lo rafforzi, offrendo anche al cittadino-utente la possibilità di ottenere un’informazione completa ed attuale. Se l’interesse pubblico alla persistente conoscenza di un fatto avvenuto in epoca di molto anteriore trova giustificazione nel diritto di informarsi e di essere informati, e tale vicenda ha registrato una successiva evoluzione, non si può prescindere da quest'ultima, altrimenti la notizia diviene non aggiornata e, pertanto, sostanzialmente non vera. Come è noto, le notizie presenti in rete sono disperse in maniera frammentaria, diffusa e caotica. Il motore di ricerca si pone come un mero intermediario telematico, che offre un sistema automatico di reperimento di dati e informazioni attraverso parole chiave. A chi spetta, allora, il compito di effettuare l’aggiornamento?
per oggetto diritti fondamentali che non trovano nel mercato il loro campo di esplicazione naturale. Il Garante è investito del potere di emettere atti regolamentari atipici di indiscussa valenza normativa. Il Codice ha inteso assicurare una tutela efficace ai dati personali, bilanciando i diversi interessi quando la riservatezza viene in contatto con altri diritti costituzionalmente garantiti. Dati sensibili e dati comuni In origine, la disciplina distingueva i dati personali in due grandi tipologie: quella dei “dati sensibili”, composta da una elencazione tassativa, e quella residuale dei “dati non sensibili” o “comuni”. Un primo intervento (D.lgs 467/2001) aveva già minato i contorni di questa netta distinzione, introducendo una nuova categoria, presto battezzata con lappellativo di “dati quasi sensibili”. Si trattava di dati personali suscettibili di recare un significativo pregiudizio ai diritti e alle libertà degli interessati, a seguito delle modalità o caratteristiche del relativo trattamento. Il Codice ha dato una finale spallata al predetto duopolio introducendo regole specifiche per categorie di dati personali. Si pensi ai dati genetici, giustamente posti al vertice della scala privacy, quelli sulla salute o sulla vita sessuale, che sono tutelati con ampio rigore ma che ricevono un regime di semplificazione quando sono utilizzati per la tutela della salute individuale e collettiva. Si è quindi aperta la strada della diversificazione di disciplina per singole categorie di dati presenti allinterno delle originarie due tipologie. Con riferimento invece ai flussi informativi, linteressato può chiedere e ottenere di conoscere fra quali soggetti siano circolati i propri dati personali, a prescindere dal ruolo privacy da costoro rivestito.
32 Secondo la predetta sentenza della Cassazione, al titolare del sito e non al motore di ricerca, che si limita a offrire ospitalità sui propri server a siti internet gestiti dai relativi titolari in piena autonomia, i quali negli stessi immettono e memorizzano le informazioni oggetto di trattamento. Da un punto di vista tecnico, sostiene la Corte, è necessaria la predisposizione di un sistema idoneo a segnalare, nel corpo o a margine, la sussistenza, nel caso di cronaca, di un seguito e di uno sviluppo della notizia. Il nostro Garante per la privacy Pizzetti suggerì ai giornali di lasciare i contenuti in
Oblio rete, ma di renderli invisibili, tramite appositi filtri interni al sito, per i motori di ricerca. Certo, non si può pretendere che il gestore del motore di ricerca abbia il controllo completo dei dati caricati nel web, ma forse si potrebbe chiedere anche a Google e affini l’adozione di nuove metodologie che limitino l’indicizzazione delle notizie immesse oltre un certo tempo. Il dibattito è aperto e acceso. La normativa sul trattamento dei dati personali in rete allo studio della Commissione Europea prevede la possibilità, per gli utenti, di chiedere la cancellazione dei propri dati quan-
Il Garante della privacy – strumenti di tutela Il Codice in materia di protezione dei dati personali riconosce allinteressato, ovvero la persona fisica o giuridica, lente o lassociazione cui si riferiscono i dati, vari diritti nei confronti del titolare del trattamento o del responsabile, se designato, tra i quali si segnalano il diritto di accedere ai dati che lo riguardano, di ottenere laggiornamento, la rettificazione o lintegrazione, di ottenerne la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco (se trattati in violazione di legge) e di opporsi al trattamento effettuato a fini promozionali, pubblicitari o commerciali oppure in presenza di motivi legittimi. Per esercitare questi e gli altri diritti previsti dallart. 7 del Codice occorre presentare unistanza al titolare o al responsabile (se designato), anche per il tramite di un incaricato del trattamento, senza particolari formalità In alcuni casi individuati dal Codice (articolo 9, comma 1) listanza può essere formulata anche oralmente e, in tali ipotesi, è annotata sinteticamente a cura dellincaricato o del responsabile (se designato). Listanza può essere riferita, a seconda delle esigenze dellinteressato, a specifici dati personali, a categorie di dati o ad un particolare trattamento, oppure a tutti i dati personali che lo riguardano, comunque trattati. Nellesercizio dei diritti linteressato può farsi assistere da una persona di fiducia e può anche conferire, per iscritto, delega o procura a persone fisiche, enti, associazioni od organismi. Allistanza il titolare o il responsabile (se designato), anche per il tramite di un incaricato, deve fornire idoneo riscontro, senza ritardo e non oltre 15 giorni dal suo ricevimento (30 giorni in casi di particolare complessità) e la risposta ad unistanza con cui si esercita uno o più dei predetti diritti non perviene nei tempi indicati o non è soddisfacente, linteressato può far valere i propri diritti dinanzi allautorità giudiziaria. In alternativa, ci si può rivolgere direttamente al Garante tramite una segnalazione, oppure un reclamo circostanziato, oppure un ricorso. Linteressato può presentare subito listanza, diret-
do non più necessari in relazione alle finalità per cui erano stati raccolti. Ovviamente, non si potrà invocare il diritto all’oblio per imporre ai giornali o ai motori di ricerca la rimozione di notizie ove vi fosse un generale e attuale interesse alla riproposizione di un fatto passato. La strada maestra passa attraverso un equo bilanciamento fra libertà di informazione e tutela della riservatezza basato sul principio della essenzialità: continuare a pubblicare solo ciò che è davvero indispensabile per garantire il diritto di informare, informarsi ed essere informati.
tamente allautorità giudiziaria o, con ricorso, al Garante (senza cioè rivolgersi previamente al titolare, o al responsabile, se designato), solo nei casi in cui il decorso dei termini sopraindicati lo esporrebbe ad un pregiudizio imminente ed irreparabile che deve risultare comprovato. Con la segnalazione (art. 141, comma 1, lett. b), occorre fornire al Garante elementi utili per un eventuale intervento dellAutorità volto a controllare lapplicazione della disciplina rilevante in materia di protezione dei dati personali in tutti quei casi in cui non si dispone di elementi circostanziati. Il reclamo al Garante è, invece, un atto circostanziato con il quale si rappresenta allAutorità una violazione della disciplina rilevante in materia di protezione dei dati personali (art. 141, comma 1, lett. a). Il reclamo può essere proposto sia quando non si è ottenuta una tutela soddisfacente dei predetti diritti di cui allarticolo 7, sia per promuovere una decisione dellAutorità su una questione di sua competenza. Al reclamo segue unistruttoria preliminare e un eventuale procedimento amministrativo nel quale possono essere adottati vari provvedimenti (articolo 143). Il ricorso al Garante è un atto ancora più formale in quanto la decisione che viene adottata ha particolari effetti giuridici. Occorre, in particolare, seguire attentamente quanto prevede il Codice (articolo 147). Il ricorso va presentato solo per far valere i diritti di cui allarticolo 7 del Codice (art. 141, comma 1, lett. c) e può essere presentato al Garante solo quando la risposta del titolare (o del responsabile, se designato) allistanza con cui si esercita uno o più dei predetti diritti non perviene nei tempi indicati o non è soddisfacente, oppure il decorso dei termini sopraindicati lo esporrebbe ad un pregiudizio imminente ed irreparabile. A conclusione del procedimento instaurato dal ricorso, se una delle parti lo ha richiesto, il Garante determina lammontare delle spese e dei diritti inerenti al ricorso e lo pone a carico, anche in parte, della parte soccombente. Il Garante può compensare le spese, anche parzialmente, se ricorrono giusti motivi.
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Paura di cadere
[…] Con più tumulto il core urta nel petto: More la voce […] Sulla mia lingua: nelle fauci stretto Geme il sospiro. Serpe la fiamma entro il mio sangue, ed ardo: Un indistinto tintinnio m’ingombra Gli orecchi, e sogno: mi s’innalza al guardo Torbida l’ombra. […] (Ugo Foscolo, 1821, trad. Sapph., fr 31 V)
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Brevi cenni sul linguaggio del dolore DI SARA MIRTI
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in dal Medioevo, da parte dei sapienti in farmaci, unguenti e rimedi vari si è posta attenzione nello specificare “le ricette” più adatte ai ricchi e quelle fatte invece su misura per i poveri. Poi naturalmente vi sono rimedi “generici”; per esempio, ne “I segreti dello speziale” a cura di L. Pistilli Giordano (Campobasso 2003) si legge: «Portato un rospo dove vi sono molte genti, subito vi fa nascere tra loro un insolito silenzio». Esistono dunque dei rospi difficili da ingoiare, a cui è difficile far fronte. Come accade soprattutto nei momenti della malattia e del lutto: è talmente difficile usare le parole giuste che spesso la nostra medicina ne preferisce usare di nuove, magari prendendo a prestito lingue come il latino, il greco antico o l’arabo. Immaginiamo un bambino che, in una stanza d’ospedale, ad ogni colpo di sonno si trovi a sognare sempre lo stesso sogno: egli si trova su un’altura sconosciuta e finisce per cadere nel vuoto, precipitando ancora e ancora verso un abisso infinito senza che qualcosa o qualcuno possa rallentarne la discesa. Immaginiamo ora che il bambino in questione sia un piccolo paziente di chirurgia, ricoverato magari per un’appendicite o per una tonsillite, e che i suoi sogni siano frutto dell’ultimo colpo di coda dell’anestesia generale che ha dovuto affrontare. Secondo il lin-
guaggio medico, si potrebbe parlare, per quanto riguarda i suoi sogni, di “cremnofobia” (dal greco krmnós: precipizio), cioè di un’incontrollabile paura del vuoto. Naturalmente non si tratterebbe di una vera fobia ma soltanto di un incubo, e alla fine, per fortuna, egli non cadrà, non si sentirà più confuso né tantomeno in pericolo, e presto si dimenticherà del suo brutto sogno; quello che gli rimarrà sarà soltanto un fastidio al braccio su cui l’infermiera, bianca e diafana come una fantasma, aveva precedentemente fissato l’agocannula. Tuttavia, se invece di un bambino trovassimo nella stessa stanza d’ospedale un anziano, fiero, signore, o una signora che fino a poco tempo prima appariva perfettamente a proprio agio nei suoi ottanta anni, allora forse, dopo un’anestesia generale o
“Cara Erse, cara figliola mia, queste pagine su Saffo, queste pagine sul Fedone e su la Poetica, tu le sapevi a memoria oramai, tante volte me ne avevi corrette le stampe, e tante cose, con quel tuo occhio limpido e fermo anche ai testi greci, mi avevi chiarite e suggerite. Dove sei, creatura? Sei con la Madre santa che nel buio viaggio ti precedette di un anno? Sei con laltra mia creatura, con Bixio, che ti precedette di venti, e pare ieri, e ancora vedo le sue pupille larghe dellultima sera? Quando la mamma partì, poche ore prima, ebbe un grido, Bixio. E anche tu, pochi momenti prima, avesti un grido, Mamma. I suoi morti chiama chi muore, non i vivi. La casa fu tutta percossa dalle alte voci; e ne è rimasta attonita e vuota. Dove sei, dove siete? Non so. Questo solo so, che invano ogni volta da questo mio tavolo giro il capo verso la porta; che qui con me, intorno a me, non ci sei più, non ci siete più. Castelrotto su lIsarco, 13 agosto 1941. […] «Cosa miracolosa», disse di Saffo Strabone. Poesia purissima, se al-
dopo una lunga febbre, li troveremmo intenti a piegare tovaglie immaginarie a mezz’aria, ad aggrapparsi a lenzuola infinite; immersi in un sonno pesante, eppure protesi con tutto il proprio essere fuori di sé, intenti ad afferrare al volo l’ultima “paille flottante” della propria esistenza. Un fenomeno del genere è detto “carfologia” (dal greco karphos: pagliuzza, in latino “floccos”), vale a dire che il paziente, in un momento di delirio o di agonia sperimenta gesti involontari caratteristici. Questa difficile e poco armoniosa parola indica il farsi vettore col proprio corpo di atti compulsivi e insensati, simili a quelli che compie chi voglia afferrare una piuma o una pagliuzza al volo; quasi che, a causa di una malattia particolarmente severa, le mani avessero perso il senso del tatto, dei volumi, della realtà.
tra mai. Parole immacolate. I nessi logici sono ridotti al minimo; sono assottigliati fino a scomparire; restano le parole essenziali, imbevute di colore, aereate di canto. […] Miracolo di natura più che di poesia. Come petali di rosa; che sono così come sono: se ne togli uno, o lo tocchi incauto, la rosa si scioglie. E non pare possibile che unopera di poesia di più migliaia di versi fosse tutta o quasi tutta così; come pur è lecito dedurre da quello che ci rimane. Poemi, tragedie, e insomma poesie mitiche, hanno altre risorse; anche poeti lirici come lo stesso Alceo e come Pindaro sono occupati e talora preoccupati da altre cose al di là della poesia in sé, pur risolvendosi in poesia più o meno tutte; e il loro mondo fantastico è certamente più vasto, e i loro interessi umani certamente più profondi e più ricchi. Qui no: qui la poesia è essenza distillata […] distillata, dicevo, da un sentimento finissimo, da una curiosità elegante, da unimmediatezza tuttavia rinnovata, che intorno a sé non sanno guardare e vedere che cose e aspetti di venustà e di grazia.
Cadere Se non si può mettere in discussione la poeticità del raccogliere foglie secche o piume cadute per conservarle come insoliti segnalibri, lo stesso non si può dire dei movimenti inconsulti con cui il nostro organismo, privo di coscienza, tenta di raccogliere ciò che resta del suo tempo prima che esso scivoli lontano. Non a caso il nostro “cuore” è un’ipostasi (una parola che passi da una categoria ad un’altra) linguistica tra le più utilizzate. Quando Omero ci parla del suo “kradie” (che poi muterà la sua forma in “cardia”) egli indica non soltanto il cuore o il suo battito, ma il suo tremito, simile a quello di un ramo o di una foglia che segue il suo percorso di vita, impossibile da stringere con forza senza stritolarla. Né per poter restare agganciati alla vita ci possono bastare le “corde” delle vene, attraverso cui la vita entra ed esce con uguale facilità. Inoltre, quando si aspetta di conoscere il proprio destino, in quegli ultimi e agitati momenti, è difficile dire cosa si vorrebbe tenere stretto, cosa riterremmo essere un appiglio tanto sicuro da resistere alla morte. Eppure sono proprio i resti più umili - di una vita, di una civiltà, di un credo religioso - tutto ciò che riesce ad attraversare un’eternità almeno relativa e a restare come memoria e monito per chi a loro sopravvive e per chi seguirà. Esemplare in questo caso è stato il ritrovamento dei cosiddetti papiri di Ossirinco: dal 1896 è stato possibile per la storia “dal naso aguzzo” (questo è infatti il significato del nome della
città a sud-ovest del Cairo) “impicciarsi” di documenti creduti perduti, sconosciuti; è stato possibile cogliere al volo l’ultimo brandello fluttuante di sentimenti, di prospettive fondanti tutto il nostro modo occidentale di essere. Ai protagonisti di quei sentimenti, poeti, filosofi, profeti, venivano restituiti dopo secoli un corpo - sia pure sottile e fragile e una lingua, una voce, sia pure spesso incompleta. Almeno nell’attimo del loro ritrovamento il cosiddetto fenomeno della “carfologia” si è invertito: erano i vivi a tremare ed afferrare fili sottili con bramosia, erano i vivi a lasciare la scena e ai morti è toccato “risorgere” in tutta la loro greve chiarezza. Nessun lin-
Questi sono anche i suoi limiti: ma limiti entro cui altra poesia non cè come questa. Perciò tanto maggiore, a scorrere questi frammenti, è la nostra pena. Riapro il Lobel. Rivedo pagine quasi bianche. E alla fine del primo libro, una indicazione del papiro dice che codesto libro, tutto di saffiche, era di mille trecento venti versi. Sappiamo che le poesie di Saffo furono distribuite in nove libri, su per giù della stessa ampiezza ciascuno: in tutto, dunque, dodicimila versi circa. Ce ne restano, leggibili e appena leggibili, meno di mezzo migliaio. A vederli questi frammenti, e più a toccarli, i recuperati recentemente, in quella loro fragilità di vecchie carte, penetra in noi, con un istinto di cautela, la medesima sensibilità delicata che a leggerli. A toccarli come a leggerli si ha paura di guastare, di ferire, di fare male. Io ero questestate in Alto Adige; e un giorno andai a Colle Isarco per salutare Girolamo Vitelli. Cera con lui la signorina Medea Norsa. E poiché la mia figliola aveva voglia di vedere e provarsi a leggere papiri greci, la si-
35 guaggio, per quanto complesso e altisonante potrà mai aiutarci a sciogliere il misterioso e profondo significato di una parola come “cuore”, e sarà difficile ritrarre una volta per tutte i termini “ansia” e “paura” senza doverci prima o poi tornare sopra; certo, la difficoltà del linguaggio forse garantisce soltanto la difficoltà nel rimaneggiare un vocabolo, sia che esso indichi uno stato dell’animo umano, una malattia, oppure una cura. E a noi non resta che trovare conforto nei fragili fili di paglia - lettere, ricette, istruzioni, dediche, ecc. - che chi ci ha preceduto ha avuto cura di lasciare dietro di sé, affinché qualcuno, non importa chi, li ritrovasse.
gnorina Norsa andò e tornò con un suo cofanetto, e ne trasse frustoli e brandelli, di un colore giallo grigio, come ricami tolti da una lunga chiusura, ammuffiti e appassiti. Non so se in quel cofanetto ci fossero già i pochi versi della Niobe di Eschilo, le poche righe di un mimo di Sòfrone, e il frammento di Archiloco, che il Vitelli e la Norsa hanno pubblicato questanno. Io guardavo quella dolce creatura, e la mia Erse vicina a lei, chine tutte e due e attente. Avevano quei papiri sulle ginocchia. E, come ricami, a trarli, a districarli e isolarli a metterli in luce, li toccavano appena con le dita lunghe e sottili, appena li sfioravano con una delicatezza trepida e pia. Io guardavo, e ripetevo tra me il verso di Saffo: ramicelli di anèto intrecciando con delicate mani, .” [Dalla rivista “Padova”, agosto 1933, e da “Studi di poesia antica”, presso la stessa rivista, 1938] (Manara Valgimigli, “Poeti e filosofi di Grecia”, Gius. La Terza & Figli, Bari 1942, seconda edizione, p. 5, pp. 24 ss)
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Il crollo della mente bicamerale “Thumos [...] Questa è la parola ipostàtica di gran lunga più comune ed importante dell’intero poema. Essa ha una frequenza tre volte maggiore rispetto a qualsiasi altra. In origine doveva significare semplicemente un’attività percepita esteriormente, e non aveva nessuna connotazione interiore. Questo uso miceneo è documentato spesso nell’Iliade, specialmente nelle scene di battaglia, dove un guerriero che colpisce con la lancia nel posto giusto fa cessare il “thumos” o attività di un altro. La seconda fase, come si può vedere nell’ira di Achille, si presenta in una situazione di ansia nuova. Il Thumos si riferisce allora ad un insieme di sensazioni interne in risposta a crisi esterne. Doveva essere un complesso di stimolazioni ben noto alla fisiologia moderna, la cosiddetta reazione di stress o emergenza del sistema simpatico, con liberazione di adrenalina e noradrenalina dalle ghiandole surrenali. Questa reazione comprende la dilatazione dei vasi sanguigni nei muscoli striati, un brusco aumento della pressione sanguigna, la costrizione dei vasi sanguigni nei visceri addominali e nella pelle, il rilasciamento dei muscoli lisci, l’improvviso aumento dell’energia disponibile in conseguenza dello zucchero liberato nel circolo sanguigno dal fegato, e forse anche mutamenti percettivi conseguenti alla dilatazione delle pupille. Questo complesso era quindi l’insieme di sensazioni interne che precedeva un’attività particolarmente violenta in una situazione critica. Presentandosi in modo ricorrente, il tipo di sensazione comincia ad appropriarsi del vocabolo che in precedenza designava l’attività stessa. Da questo momento in poi è il thumos a conferire forza ad un guerriero in battaglia ecc. Tutti i riferimenti al thumos come sensazione interna nell’Iliade sono in accordo con questa interpretazione. ... L’ipostàsi più comune nell’Iliade, dopo il thumos, sono le Phrenes. … Esse sono il complesso temporale delle sensazioni associate ai mutamenti respiratori e che provengono dal diaframma, dai muscoli intercostali della cassa
toracica e dai muscoli lisci che circondano i bronchi e ne regolano il lume e quindi la resistenza al passaggio dell’aria, meccanismo controllato dal sistema nervoso simpatico. Bisogna ricordare qui con quanta prontezza la nostra respirazione reagisca a vari tipi di netta stimolazione ambientale. Uno stimolo improvviso ci fa “trattenere il respiro”.
I singhiozzi ed il riso hanno chiaramente una netta stimolazione interna dal diaframma e dai muscoli intercostali. In situazioni di grandi attività o di grande eccitazione c’è un aumento sia nella frequenza sia nella profondità della respirazione, con conseguente stimolazione interna. Di solito sia situazioni piacevoli sia situazioni sgradevoli si accompagnano ad una respirazione più frequente. Un’attenzione momentanea è chiaramente correlata con un’inibizione completa o parziale del respiro. [...] Ciò che intendo dire qui è che le nostre phrenes, cioè il nostro apparato respiratorio, registrano per così dire ogni cosa che facciamo in modi totalmente distinti e distinguibili. […] Nell’Iliade il termine può essere tradotto spesso semplicemente come “polmoni”. Le nere phrenes di Agamennone si riempiono d’ira e noi possiamo immaginare la respirazione sempre più profonda man
mano che la sua ira cresce. Automedonte riempie le sue scure phrenes di vigore e di forza, ossia respira profondamente. I cervi spaventati non hanno più forza nelle phrenes dopo la corsa, sono senza fiato. ... Kradie, che in seguito muterà la sua grafia in kardia dando origine all’aggettivo “cardiaco”, non è così importante o misterioso come altre ipostasi. Esso si riferisce al cuore e di fatto è l’ipostasi più comune ancora in uso. Quando noi, nel XX secolo, vogliamo essere sinceri, parliamo ancora con il cuore, non con la coscienza. E’ nel cuore che alberghiamo i pensieri più profondi e che teniamo le nostre convinzioni più radicate. Ed è con il cuore che amiamo. E’ curioso che i polmoni o phrenes non abbiano mai conservato il loro ruolo ipostatico, come ha fatto invece la kradie. In origine il vocabolo doveva significare semplicemente tremito, derivando dal verbo kroteo, “io batto”. Nel greco arcaico kradie alcune volte significa addirittura “ramo tremante”. Poi, nell’interiorizzazione della seconda fase avvenuta durante le invasioni doriche, il tremito che si poteva vedere con gli occhi e percepire esternamente con la mano diventa il nome che designa la sensazione interna del batticuore in risposta a situazioni esterne. Con poche eccezioni, è questo il suo referente nell’Iliade. Nessuno crede ancora a qualcosa nel suo cuore. Si pensi anche qui all’estesa letteratura moderna sulle reazioni del cuore al modo in cui noi percepiamo il mondo. Come la respirazione o l’azione del sistema nervoso simpatico, il sistema cardiaco è estremamente sensibile a particolari aspetti dell’ambiente. Almeno un commentatore recente ha introdotto il concetto di “mente cardiaca”, definendo il cuore un organo di senso specifico per l’ansia, come gli occhi sono l’organo di senso per la vista. In questa concezione l’ansia non è nessuno dei poetici omologhi che noi possiamo usare nella nostra coscienza per descriverla. Essa è piuttosto una sensazione tattile interna delle terminazioni nervose sensorie del tessuto cardiaco, sintonizzata sul potenziale d’ansia dell’ambiente. [...]” (J. Jaynes, “Il crollo della mente bicamerale”, Adelphi, Milano 1996)
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Scuole di canto lirico
DI JACOPO FELICIANI
Le scuole di Canto lirico per voci solistiche si sono diffuse in un tempo relativamente antico. La Scuola più antica che si conosca è la Schola romana o Scuola romana istituita a Roma a partire dalla seconda metà del '500, e durata fino al tardo Rinascimento e primo Ba-
rocco. Vi facevano parte un gruppo di compositori dediti specialmente alla musica sacra e alla produzione dei primi Melodrammi. Lo scopo era quello di formare musici e cantori per la Cappella Giulia, la Cappella musicale del Papa. Lo scopo della Schola era quello di andare incontro agli ideali estetici e alle esigenze liturgiche della Musica sacra dettate della Controriforma e formulate nel Concilio di
Trento (1545-1563) -che permise l’esecuzione in chiesa della musica polifonica -chiamata musica figurata- sotto le condizioni di comprensibilità del testo di dignità espressiva e dell'esclusione del cantus firmus profano. Il problema era quello di far evolvere la musica monodica del Gregoriano secondo le esigenze polifoniche, preservando però la comprensione del testo letterario.
38 Uno dei maggiori rappresentanti è stato Giovanni Pierluigi da Palestrina* (1) (Palestrina 1525-1594). Gli altri illustri sono Marc'Antonio Ingegneri (c1535–1592) - Giovanni Maria Nanino (1543–1607) - Francesco Soriano (c1548–1621) - Emilio de' Cavalieri (c1560–1602) - Gregorio Allegri (1582–1652) - Stefano Landi (1586 or 1587–1639) - Virgilio Mazzocchi (1597–1646). Da rimarcare Giacomo Carissimi (Marino 1605 – Roma 1674) che seppur non avendo insegnato nella prestigiosa Schola, è di Tradizione romana, perfezionò il recitativo e l'influenza quale Maestro di A. Scarlatti. Come esecutori sono ricordati in modo particolare gli eunuchi* (2) entrati in Cappella Sistina nel 1562, Francisco Soto de Langa (Langa, 1534 – Roma, 1619), nel 1588 Giacomo Spagnoletto, nel 1599 Pietro Paolo Folignato e Girolamo Rosini (Perugia 1581 - Roma 1644) e nel 1622 Loreto Vittori (Spoleto, 1600 – Roma 1670). La Schola romana preparava gli allievi in settori multidisciplinari musicali. La giornata tipo dell'allievo era suddivisa in ore per la Mattina: apprendimentodi nuovi canti complessi - trilli – passaggi di registro – lettere – esercizi di canto; Pomeriggio: teoria musicale – contrappunto sul canto fermo – contrappunto sopra la cartella – lettere – composizione e scrittura musicale su clavi-
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cembalo e trascrizione. Poi c'erano gli esercizi fuori casa che prevedevano passaggi presso Porta Angelica vicino a Monte Mario per ascoltare l'eco del proprio canto ; cantare nelle chiese, ascoltare validi cantanti, musicisti e cantori insigni. Poi il resoconto a fine serata. E' stata dunque la
*(1) Animazione liturgica prima di Palestrina Costanzo Festa (1480 ca - 1545) cantore della Cappella papale (1517); Giovanni Animuccia (1514 - 1571) predecessore di Palestrina in Cappella Giulia. Il fiammingo Maestro di Palestrina Robin Mallapert (1538–1553) e il Francese Firmin Lebel (1601–1573) *(2) Una Scuola di cantori fanciulli era stata predisposta da San Gregorio Magno nel VI sec. d.C. antenata della Schola romana. Fu il Maestro Lorenzo Perosi (Tortona 1872 – Roma 1956) Direttore della Cappella Sistina dal 1898 al 1956 a sitemare l'introduzione di giovani fanciulli cantori per sostituire i cantori evirati. *(3) Già all'epoca esistevano enormi rivalità e gelosie tra cantanti, tanto che alcuni trattati davano i consigli per ricercare un Maestro spassionato che non avrebbe posto ostacoli all'insegnare il canto all'allievo. "Un cantante in cerca di un buon maestro non deve andare dal cantante della propria città. Deve andare dalle eccellenze strumentali della Città e chiedere un consiglio per un buon Maestro. A quel punto si avrà un consiglio spassionato. In più riusciranno a capire anche se è il caso che continuiate gli studi vocali. La scelta di un insegnante può pregiudicare la carriera di uno studente, e va dunque ponderata con cura".
Schola romana ad intuire l'importanza fondamentale dell'insegnamento* (3) multidisciplinare musicale e culturale, la cura e la cultura della voce e del canto, generando la cosiddetta "Epoca del Buoncanto" (1551-1700ca) che anticipa e distingue la successiva Epoca del Belcanto (1700-1837)* (4).
Oggi questa tradizione è rafforzata in virtù della maggiore concorrenza. *(4) L'Epoca del Belcanto termina con l'esecuzione del do di petto di Duprez . Gilbert-Louis Duprez (Parigi 1806 – Poissy 1896) tenore che ebbe come maestro il Musicolodo Alexandre-Étienne Choron (Caen 1772 – Parigi 1834). Adolphe Nourrit (Montpellier 1802 – Napoli 1839) cantante francese, discepolo di Garcia padre,figlio di Louis Nourrit, primo tenore dell'Opéra. Rossini creò i ruoli di Néocles del Melodramma Le siège de Corinthe, Aménophis nel Moïse et Pharaon (1827), Comte Ory (1828), Arnold nel Guillaume Tell (1829). Meyerbeer scrisse per lui la parte di Roberto nel "Roberto il diavolo" (1831) e Raoul ne "Gli Ugonotti" (1836). Altre sue prime assolute "La muta di Portici" di Auber, "L'Ebrea" di Halévy e lo "Stradella" di Niedermeyer. Nourrit ebbe una fine tragica. Nel 1837 Gilbert Duprez lo sostituì come primo tenore dell'Opéra.Il pubblico si entusiasmò per Duprez grazie all'innovazione del "Do di petto" e dopo una lunga e accesa rivalità Nourrit, a Napoli, non riuscì a superare l'ulteriore delusione della censura del Poliuto opera composta appositamente per lui da Donizetti preso dalla depressione pose fine alla sua esistenza gettandosi da una finestra del'albergo.
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Canto L'Epoca del Buoncanto parte insomma dalla fondazione della Schola (1551) e può terminare intorno al 1700ca in concomitanza con la maturazione del genere Melodrammatico con autori come Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Porpora. Durante questi 150 anni la musica subì una repentina evoluzione grazie alla preparazione di perfetti esecutori, che peregrinando, diffondevano Musica di qualità in tutta Europa, gettando le basi per il successivo Belcanto, il Secolo d'Oro del Melodramma con ultimi e massimi esponenti Rossini, Bellini, Donizetti. E' stata la Schola romana a fornire tutte le individualità da cui sorsero le Scuole di Canto nelle principali località della Penisola, e nei principali Conservatori di Musica* (5). Chi si formava nella Schola romana riceveva un'educazione musicale completa che spaziava dal canto all'insegnamento degli stumenti fino alla composizione musicale. Da essa derivarono: La Scuola romana di Amadori 1680c.; la Scuola romana dei Fedi (di Pistoia) 1680c.; la Scuola veneziana di Antonio Lotti (1667-1740); la Scuola veneziana di Gaspare Pacchierotti (1749-1821); la Scuola veneziana di Tommaso Albinoni (1671-1751); la Scuola napoletana di Antonio Porpora (Napoli 1686-1768); Leonardo Leo (1694-1744) – Domenico Gizzi (1687-1758) – Francesco Durante (1684-1755); la Scuola modenese di Francesco Peli (1708-1740); la Scuola milanese di Francesco Brivio (1785).
*(5) I Conservatori vennero istituiti, intorno al quindicesimo secolo, per dare una formazione educativa e avviare ad un mestiere orfani e trovatelli. Intorno al sedicesino secolo venne introdotta anche l'educazione musicale. I primi conservatori musicali e più prestigiosi, vennero istituiti nella città di Napoli: Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo (1606), Conservatorio della Pietà dei Turchini (1615), Conservatorio di Santo Onofrio a Porta Capuana (1653), Conservatorio di Santa Maria di Loreto (1656) che confluirono nel Conservatorio di San Pietro a Majella (1808). I Maestri napoletani: Giovanni Maria Sabino (1588–1649) sotto la guida di Prospero Testa porterà nel Regno il Melodramma genere appreso da Monteverdi; Cristoforo Caresana (16401709), compositore, organista e tenore tra i primi rappresentanti della Scuola operistica napoletana, Alessandro Scarlatti,Francesco Provenzale,Francesco Durante, Leo, Porpora, Domenico Cimarosa.
Metodi di canto lirico solisti Il testo fondamentale durante il periodo del Buoncanto era un capitolo dedicato al canto del testo "Pratica di Musica" di Ludovico Zacconi(15551627). I due autori fondamentali in ambito nazionale nel periodo del Belcanto sono: Pier Francesco Tosi (Cesena 1653-1732), nel 1692 fonda una Scuola di canto a Londra e scrive un manuale dal titolo: "Opinioni dei cantori antichi e moderni" (1723) che si concentra sull'estetica e la morale dell'insegnante* (1) e dell'insegnamento del Canto. Mancini Gianbattista (Ascoli Piceno 1714 – 1800), insegnante di canto che venne preso presso al corte di Maria Teresa, scrive un manuale dal titolo: "Riflessioni pratiche sul canto figurato" (1777) incentrato prevalentemente sulla respirazione. Esempi di
Maestri di canto come Florimo con un suo metodo datato 1864, Pacchiarotti, Guadagni e Crescentini Maestro di Vincenzo Bellini - seguono un'impostazione simile al collega Spagnolo Garcia. Caso isolato Nicola Vaccaj che in un sistema di una quindicina di lezioni riassumeva un ingegnoso e sintetico Metodo di canto in Lingua italiana e inglese. Con Giuseppe Verdi si impone un cantante al servizio della Drammaturgia, chiaramente sempre attento alla valutazione dei limiti vocali umani. Verdi componeva con il diapason a 432Hz per restituire la voce più naturale ai cantanti evitando passaggi di registro troppo frequenti. L'impostazione verista (Mascagni e Puccini) esasperò ulteriormente questa prerogativa verdiana.
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Scuola Francese Per ciò che riguarda il contesto 'francese' siamo ancora costretti a rimandare alla Impostazione classica italiana. In effetti la Musica classica francese contiene la componente Italiana di Giovanni Battista Lully. Allo stesso modo l'impostazione accademica del Conservatoire de Paris era dovuto all'Italiano Bernardo Mengozzi (1758-1800) allievo di Pistocchi, che aveva adottato il suo Metodo a Conservatorio della Capitale. Di origine Spagnola, Preparazione classica italiana e Vocazione francese, l'iberico Manuel Garcia figlio, autore del più importante Trattato di Canto tuttora insostituibile. Manuel Garcia jr. scrisse libri di canto di un'attualità sorprendente, in cui trattò con minuziosità lo studio della filologia vocale insieme alle regole fondamentali e specifiche del Canto; i titoli "Mémoire sur la voix humaine" e Trattato completo dell'Arte del Canto. Respirazione diaframmatico-costale, studio della vocalizzazione, passaggio di registro, sono le regole del canto spiegate efficacemente nel trattato del García. Ebbe prestigiosi allievi tra i quali Er-
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minia Frezzolini, Matilde Marchesi e J. Stockhousen. Su questa impostazione sono impostate le successive Scuole francesi di Viardot, Marchesi, Duprez, Lablache. Scuola Tedesca In Germania è il Liderismo fondamentale sviluppo del Canto, in cui si cerca di rispettare al massimo la combinazione testo-musica. Successivamente si percorrono la Kunstgesang che fa riferimento allo sviluppo di una corretta risonanza vocale e al Sprachgesang -ben parlato, per metà cantato- di Schoemberg, ossia una corretta espressione, pronuncia, abbinate alla perfetta drammaturgia del testo. Richard Wagner esasperò l'atletismo e l'articolazione della voce. Rilevava e lamentava dei Direttori italiani che non sapessero cantare e quindi un'errata scelta dei tempi d'esecuzione. In effetti l'impostazione originaria della Schola romana era dissolta; in Conservatorio si evitava lo studio del Canto complementare e malgrado tutto erano rimasti sporadici maestri che per doti o intuito facevano eccezione. Non c'era più corrispondenza compositore-cantante come all'origine a partire da Caccini e Pe-
ri. A denunciare la situazione goà Padre Martini (insegnate di Contrappunto di Mozart). La specializzazione delle voci, e la vastità dei repertori, procurò questa situazione che si protrae fino ad oggi. Oggi più che mai, studi scientifici sono abbinati alla didattica vocale. Scuola Austriaca In Austria fiorisce una Scuola classica grazie al ricordo di Bach, Mancini,Salieri, il Liederismo e Mozart. L'impostazione molto valida perché produceva cantanti-musicisti del tipo della Scuola romana e che sopravvivono ancora oggi grazie alle Knaben-Schulen che danno importanza sia al classico che alla nuova musica. Scuola Scandinava Derivata dalla tedesca ha notevoli propensioni per il repertorio wagneriano e drammatico enumerando artisti della caratura di Kirsten Flagstag, Birgid Nilsson, Astrid Varnay, Jussi Björling. La Tradizione italiana Didattica del Canto rimane più legata alla emissione del suono rispetto alle altre Scuole occidentali, più orientate alla tecnica, in attinenza alla ricerca della vocalità.
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Le favole di Nonna Graziella MAMMA OLIVA E LE SORELLE GIOCONDA E ROSSANA Il pollaio di mamma Oliva si stava risvegliando, un tenue sole sbucava all’orizzonte ma appena tutti i componenti del pollaio uscirono all’ aperto, si accorsero che era molto freddo, infatti l’ inverno stava avanzando. Mamma Oliva “la regina del pollaio” uscì per controllare che tutto fosse in ordine quando volgendo lo sguardo intorno, si accorse che il galletto Marameo stava mogio mogio accovacciato vicino al cancello. “Marameo, cosa fai li tutto infreddolito”? “Mamma Oliva ti prego fammi entrare, mi hanno cacciato e io ho tanta fame”. Mamma Oliva si mosse a compassione e chiamando ad alta voce le sorelle Rossana e Gioconda disse loro: “Vi prego, aprite il cancello e fate entrare Marameo.” Lui, tutto felice, ringraziò e fece una bella scorpacciata di cibo ma appena ebbe riempito lo stomaco, cominciò a rincorrere le galline, le oche, i pulcini e nel pollaio iniziò a regnare il panico. Quando Mamma Oliva si accorse del putiferio che il galletto aveva provocato, lo prese per un’ala e lo trascinò fuori dal cancello ordinandogli di non farsi più vedere. Tutto intorno si calmò, fecero insieme la colazione e per tutta la giornata regnò una grande pace. Il giorno dopo come tutte le mattine, Mamma Oliva andò a controllare fuori e rivide Marameo che stava al posto del giorno prima. Lei rientrò facendo finta di niente ma lo sguardo triste del galletto non la lasciò neanche un momento e siccome aveva un cuore tanto tenero, lo fece rientrare facendogli una bella romanzina. Il galletto promise di comportarsi bene, infatti mantenne la promessa e da quel giorno anche lui fece parte del pollaio di Mamma Oliva. I giorni passavano veloci quando un bel mattino si accorsero che in montagna stava per nevicare. Mamma Oliva, vedendo che l’ inverno era arrivato, chiamò a se tutti gli animali e disse loro: “Cari amici è arrivato il momento di pensare al freddo che verrà, ora pren-
dete il carrello della spesa, dobbiamo fare rifornimento perché l’ inverno sarà molto lungo, però prima andremo a prendere la chioccia Susanna che si trova sola con i suoi pulcini.” Partirono in fila indiana tutti allegri,scherzando e ridendo fra loro formando una bella famiglia. Arrivati a destinazione videro la chioccia Susanna tutta accovacciata che con le sue ali proteggeva i pulcini dal freddo ma quando loro sentirono il chiacchiericcio dei nuovi arrivati, uscirono fuori tutti allegri facendo una grande festa. Mamma Oliva ordinò a Susanna di partire con loro e felici s’incamminarono per andare al supermercato a fare compere. Riempirono il carrello di tutte le cose che potevano servirgli per l’ inverno, poi torna- Il Libro delle “Favole di Nonna Graziella” è pubrono nella loro casa felici e contenti. blicato per intero, in digitale, nel nostro sito inMamma Oliva con accanto le sorelle ternet allindirizzo www.piazzadelgrano.org, nelRossana e Gioconda si rivolse a tutti la sezione e-book quanti: “Ora mangeremo insieme, è stata una lutò con un inchino la bellissima crealunga e pesante giornata però sono sod- tura che le stava di fronte e le propose disfatta di aver riunito tutta la nostra fa- di fare un giro con lui nella tenuta della miglia”. principessa. Lei accettò con entusiasmo e quando ritornò nella reggia, salutò LA PRINCIPESSA FIORELLINA con un bacio il principe e entrando in casa cominciò a canticchiare e a voltegC’era una volta una principessa di no- giare nel salone. Urlando di gioia chiame Fiorellina. Era tanto bella ma tanto mò a se tutti i servitori che rimasero cattiva. Viveva in una bellissima reggia sbalorditi e, impauriti, si presentarono con tanti servitori e molti gattini ma di fronte alla principessa ma rimasero tutti la temevano perché gli faceva con- frastornati vedendola tutta allegra e fetinuamente tanti dispetti. Così quando lice. Disse loro: la vedevano arrivare, si sparpagliavano “Cari servitori, mi voglio scusare con voi qua e là evitando di incontrarla. Uno dei per come vi ho trattato sino ad oggi ma servitori che si chiamava Armando, cer- d’ora in poi tutto sarà diverso; sono tancava di addolcirla con tante buone pa- to felice perché mi sono innamorata e role, ma lei rispondeva sempre con fare voglio dividere con voi la mia nuova vialtezzoso e lo trattava come un demen- ta. Oggi preparerete un bel pranzo che te. Nessuno dei servitori sapeva come consumeremo insieme nella stanza più prenderla, ma un bel giorno, mentre la bella della reggia”. principessa stava a prendere il sole nel Fu un pranzo memorabile e da quel suo giardino fiorito, sentì in lontananza giorno cominciarono ad amare così tanun cavallo che galoppando stava arri- to la principessa che non la lasciarono vando con in sella il principe Teodoro. mai sola e esaudirono con tanto affetto La principessa lo guardò e vedendo tutti i suoi desideri. Il principe tornò, quel bellissimo ragazzo pensò: chiese la mano della principessa e final”Questo è l’uomo che da tanto tempo mente dopo il lussuoso matrimonio, la aspettavo e lui sarà il mio sposo” serenità e la gioia regnò per sempre nelIl principe Teodoro scese da cavallo, sa- la reggia.
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QUINTINA A PASSEGGIO NEL BOSCO Era una domenica mattina. Le campane della chiesa parrocchiale suonavano a festa invitando tutti i fedeli a partecipare alla Santa Messa. Anche Quintina sentì il suono festoso delle campane e pensò: “Andrò a Messa nel pomeriggio così questa mattina approfitterò per fare una passeggiata nel bosco e coglierò anche qualche fungo per il pranzo”. S’incamminò lungo il sentiero che la conduceva nel bosco; una grande pace regnava intorno, si sentiva solamente il rumore delle foglie secche che scricchiolavano sotto i suoi passi. Un odore acre di erba calpestata arrivava alle sue narici. “Come si sta bene qui! Sembra di stare in paradiso!” Lentamente si guardava intorno ammirando e contemplando i meravigliosi colori degli alberi autunnali. Mentre vagava qua e là cogliendo qualche fungo, sentì un rumore dietro di lei. Indovinate chi era? Era la lupa buona che tutti in paese conoscevano e a cui avevano attribuito il nome di Frizzante perché era sempre allegra e vivace. “Ciao Frizzante, come stai”?- disse Quintina- “e come mai questa mattina non stai nella tua tana a guardare quei gattini che hai preso con te?” “Ho sentito dei rumori e sono scesa per assicurarmi che non fosse arrivato il lupo cattivo” rispose la lupa. “Ora vieni con me, ti farò riempire il cestino di funghi, poi ti porterò nella mia tana per farti conoscere tutti gli animaletti che vi sono dentro”. Passeggiando piano piano, arrivarono alla tana della lupa. Meraviglia!! La tana era
piena di gattini e di qualche cagnolino e tutti abbracciati e a pancia all’ aria, dormivano beatamente. Come erano belli e teneri! Quando sentirono i nostri rumori, si svegliarono tutti insieme e ci guardarono con degli occhi così dolci da sembrare il quadro di un pittore. Cominciarono a giocare tra loro e Frizzante, sdraiata sotto i miei piedi, cominciò a raccontarmi tutte le avventure avute con il lupo cattivo ed io rimasi con lei finchè non sentii il suono delle campane. Salutai la lupa e le promisi che il giorno dopo sarei tornata a trovare lei e la sua bella famigliola. Frizzante mi disse: “Se domani verrai verso le dieci, ti farò conoscere un bel cacciatore e mi auguro che sia il tuo tipo così anche tu verrai a trovarmi tutti i giorni”. Infatti il giorno dopo tornò, fece la conoscenza del cacciatore che si innamorò perdutamente di lei e anche Quintina provò lo stesso sentimento con grande gioia della lupa che approvò con tanto entusiasmo il loro legame.Passarono i mesi, gli anni; il cacciatore e Quintina mantennero la promessa di andare dalla lupa tutti i giorni ma in un inverno più freddo degli altri si accorsero che la lupa non aveva più la stessa vivacità di prima. A nulla valsero tutte le accortezze e le cure che le davano, lei dimagriva sempre di più e un bel giorno, allo stremo delle forze, riuscì a dire ai due ragazzi: “Non rattristatevi per me, siete stati dei compagni meravigliosi, per me è arrivata l’ora dell’ addio però permettetemi di farvi un’ultima raccomandazione: guardate i miei animaletti come avete guardato me” e chinando il viso dall’altra parte chiuse gli occhi…per sempre.
do di calmarla un pochino. Purtroppo però le dolci parole dei genitori non valsero a nulla, né ebbero l’effetto desiderato le tenere coccole che le facevano continuamente così, con grande dispiacere, decisero di punirla non facendole vedere per due sere consecutive i cartoni animati che le piacevano tanto. Anna, sentendo ciò, non si scompose, anzi, fece finta di niente e propose alla mamma di apparecchiare la tavola e di aiutarla a preparare la cena. La mamma, tutta contenta, le fece mettere il grembiulino e le insegnò ciò che doveva fare ma Anna, che era rimasta molto male per la punizione avuta, cominciò a giocare con i cuscini buttando tutto all’ aria; poi voleva giocare con i coltelli, con i bicchieri e con le bottiglie cosicché la mamma, impaurita, cercò di prenderla per un braccio ma la bambina si divincolò così repentinamente che cadde a terra battendo la manina in un bicchiere rotto caduto precedentemente. La bambina, vedendo che si era fatta un taglio sulla mano e che il sangue affluiva abbondantemente, cominciò a piangere sommessamente e scossa dai singhiozzi andò di corsa a rifugiarsi nelle braccia della mamma che la cullò come una neonata e la tranquillizzò dicendo che non era niente di grave e che da lì a qualche giorno tutto si sarebbe risolto. Per sicurezza la portarono
ANNA, BAMBINA CAPRICCIOSA Anna era una bambina bellissima ma molto capricciosa. Andava a scuola ed era la più brava tra tutte le sue compagne ma aveva un grande difetto: non smetteva mai di chiacchierare e appena finiti i compiti,si alzava continuamente disturbando i suoi amici. Un giorno la maestra, non potendone più, mandò a chiamare i suoi genitori. I poverini sapevano che Anna in casa era molto vivace ma non immaginavano che anche a scuola disturbasse tanto e così promisero alla maestra di farla ragionare cercan-
al pronto soccorso e Anna, mentre andavano all’ospedale, non smise mai di parlare e mentre si trovava fra le calde braccia della madre, promise di non farla più arrabbiare e di essere una brava bambina in modo che i suoi genitori fossero fieri di lei. Anna cambiò radicalmente e anche a scuola si comportò come una bambina modello… forse la lezione le era servita!
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Un posto magico... te lo ricordi? C'era un posto vicino a Bevagna dove, mamma e papa, a primavera, ai primi tiepidi raggi del sole, ci portavano a cogliere le violette. Era un posto bellissimo... il ruscello scorreva limpido e allegro e tutt'intorno centinaia di violette fresche e profumate tra l 'erba umida. Solo il rumore dell'acqua e le voci allegre di noi bambini... Ho cercato... cercato... ma non l'ho piu ritrovato. Ma se chiudo gli occhi è ancora li... è il ricordo di una serenità dolce e assoluta.
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Un posto magico racconti brevi di Mariella Trampetti
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Inediti
Ricordi di bambina Il mio paese sapeva di buono Nell’aria si mescolavano senza darsi fastidio profumi di tutti i tipi. Per Pasqua l’odore forte delle pizze di formaggio si alternava al profumo leggero della vaniglia, dei canditi, dell’uvetta di quelle dolci. Le donne passavano dritte per i vicoli, orgogliose, sotto il peso di lunghe tavole di legno, attraversavano il paese e sopra, civettuole, facevano l’occhiolino le pizze, appena coperte da candidi panni bianchi, tutte da cuocere al forno di Galileo. Davanti a quel piccolo forno sulla discesa di Santa Margherita era tutto un fervore… devo infornare io – no tocca a me! – sono arrivata prima!… ed erano veri drammi quando il povero Galileo, il fornaio, aihmé, sbagliava i tempi o la temperatura e le bruciava tutte, le pizze. E ricordo che succedeva… succedeva. C’errano le pizze della sora Totina, le pizze della signora Onella e c’erano le pizze della zia Melania (e più buone!). Per San Niccolò le monache del Monte preparavano dei biscotti buonissimi ricoperti di zucchero, erano a forma di asinello, di casetta, di albero di Natale, di san Niccolò, ecc., li mangiavamo la mattina con il latte che tutte le sere portava il lattaio. Il lattaio veniva a bussare a casa la sera, veniva in bicicletta con la sua giacca bianca, un grande contenitore di latta argentata e legati con delle catenelle 2 o 3 bicchieri dosatori sempre di latta argentata. Si sentiva da lontano che arrivava per il tintinnio del contenitore e dei bicchieri. Si scendeva in strada con il tegame in mano e lui versava il latte profumato. A novembre il corso del paese sapeva tutto di buono, erano le castagne arrosto di Zuara, la fruttivendola del paese che aveva sempre un sorriso e una parola per tutti e profumava di castagne arrosto, 7-8 in un cartoccio di carta paia, ed era subito festa. Miaccio – Miacioooooo callo callo! Era il macellaio sulla porta della bottega avvisava tutti a squarciagola: era cotto il miaccio. Sempre in cartocci di carta paia ven-
deva sangue di maiale cotto e condito con zucchero, uvetta, pinoli… che buono che era! A settembre-ottobre un forte odore di mosto avvolgeva tutto il paese, nei vicoli erano tante le piccole cantine dove si pressava l’uva. Arrivava (l’uva) su carretti tirati da asini pigri o da candidi buoi, arrivava dalla campagna che tutta intorno abbracciava Bevagna. Ma per le strade, nei vicoli, si sentiva anche sempre forte l’odore delle stalle dei maiali, dei somari, dei polli. Dalle porte socchiuse uscivano caldi e morbidi i profumi delle zuppe, dagli usci si intravedevano piccoli fuochi accesi sotto pentole di coccio, lì bollivano fagioli, ceci, cicerchie, spesso unico pasto di tutta una giornata. La gente degli anni cinquanta era povera, prevalentemente povera, in questo piccolo paese di pianura immerso nella nebbia d’inverno e affogato dalla calura d’estate, ma dignitosa e onesta e… se chiudo gli occhi… sento con profonda nostalgia che profumava proprio di buono.
Venerdì santo Bevagna, in questo piccolo bellissimo borgo umbro la Pasqua era (almeno nei miei ricordi) la festa più bella dell'anno, la più sentita, forse perché finalmente ere finito il lungo inverno, il verde rifioriva rigoglioso e tenero, i primi fiori spuntavano ovunque nella campagna, margherite e violette facevano capolino nei prati sotto le fiorite chiome dei meli e dei peri. Si cominciava a respirare l'aria di festa qualche giorno prima, anche un mese prima, con le cosiddette pulizie di Pasqua. Ogni casa
era passata tutta dalle cantine alle soffitte, con un impegno totale, una religiosità quasi superstiziosa, tutto doveva essere pulito, lustrato, messo a nuovo, gli armadi, i cassetti, i vetri le tende. L’ultimo tocco erano i fiori messi in abbondanza nei semplici vasi di casa. Poi arrivava il prete con il suo fare serioso e solenne a benedire tutto, noi, la casa, le nostre cose e metteva a nuovo le nostre anime e prendeva i nostri soldi, le uova e altro, se c'era, e se ne andava. Lasciava tutti contenti, purificati, nuovi, più leggeri e sereni: e veramente ci si sentiva così. La sera, in quei giorni si andava per chiese a sentire di Gesù, della sua vita, della sua morte, la mamma ci teneva per mano stretti stretti e si parlava sottovoce religiosamente. Le chiese erano bellissime, quanti fiori, soprattutto ortensie, ciclamini, canapine, gli altari erano giardini profumati. Poi arrivava il grande giorno, il Venerdì Santo, il più atteso da noi bambini ma
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Inediti anche il più temuto. Sento ancora il suono sinistro, strisciante, cadenzato delle lunghe catene legate ai piedi dei due crociferi e di Gesù, i due vestiti di nero, Lui di rosso, grandi e pesanti croci di legno sulle spalle e corone di spine in testa, quanta fatica, quasi sofferenza, procedevano lenti, scalzi, con i piedi sanguinanti. Allora eravamo solo noi del paese lungo le strade, poche persone e tutto era immerso in una atmosfera mistica e magica allo stesso tempo (almeno per noi bambini). Il suono dei tamburi faceva sobbalzare il cuore e lo stomaco, la sua cadenza regolare e cupa riempiva tutto di paura, l'odore delle torce accese ci avvolgeva, il fumo confondeva la vista, ma tutti eravamo incantati da quello spettacolo unico, sofferto. Poi lentamente la processione scorreva, la tensione si allentava, il silenzio lasciava il posto a un leggero brusio, i grandi commentavano, si salutavano, tutti a casa. E quella sera, sempre, si andava a letto con mamma e papà.
Tacchi a spillo Mamma si era fatta fare un vestito rosso a pallini bianchi,era un rosso vivo quasi corallo e la stoffa era lucida, forse era seta. Il punto di vita era stretto da una cinta rigida alta tre quattro centimetri, sempre della stessa stoffa del vestito, la gonna era sdocciata al punto giusto e quando mamma camminava si muoveva tutta intorno a lei. Il corpetto era stretto e allacciato sul seno, con tanti bottoni sempre della stessa stoffa del vestito. I bottoni, io e mamma, andavamo a farli fare a Foligno da un certo signor Cornacchini, era alto, gentile, elegante, andavamo, perché io andavo sempre con mamma da questo signore, lei si faceva fare i bottoni,le cinte,e soprattutto le scarpe,sempre uguali ai vestiti,sempre della stessa stoffa. Se chiudo gli occhi le rivedo tutte quelle scarpe colorate e sopra le sue gambe che erano proprio belle sotto quei vestiti sdocciati, scarpe a pallini bianchi, scarpe di seta chiara, scarpe rosa damascate per un vestito da gran sera
sperava, inutilmente. Niente, io sono stata saltata, niente tacchi a spillo, solo ballerine. Ciao mamma, ciao Silvia. Vi voglio bene lo stesso, anzi di più.
A Paride
fatto a posta per un veglione al teatro di Bevagna. Il teatro Torti in quegli anni spesso apriva le sue porte e tutti accorrevano festosi a quegli appuntamenti tanto attesi soprattutto a carnevale. Si organizzavano tre o quattro veglioni pieni di musica, coriandoli e bei vestiti, i miei genitori erano giovani e belli e ballavano, ballavano, e noi bambini ci divertivamo a lanciare dai palchi coriandoli e stelle filanti finché Morfeo non ci prendeva tra le sue braccia. Ricordo la mia mamma giovane e bella, soprattutto donna,sopra quei tacchi a spillo, ricordo mia mamma e vedo mia figlia giovane e bella sopra i suoi tacchi a spillo; c’è un filo di sensuale femminilità che lega la nonna alla nipote, che a volte me le fa intrecciare nel più profondo del cuore. Io invece andavo dal signor Cornacchini per un altro motivo, anzi mamma mi portava lì sempre per farmi fare le scarpe, però ortopediche, io avevo, ho avuto, ho i piedi leggermente piatti, cioè camminavo, ho camminato, cammino a papera e lei sperando che un giorno avrei potuto mettere i tacchi a spillo, mi faceva fare le scarpe con il plantare per correggermi e
Oggi ti tengo sempre nel mio cuore,una volta ti tenevo per mano. La casa della nostra primissima infanzia era un appartamento molto grande al primo piano di un palazzetto nel centro di Bevagna, la facciata dava sulla via principale del paese, Bevagna, nella parte retro una larga scalinata portava in giardino; era un grande giardino verde con tanti vasi curati dalla mamma, alberi di meli e peri, un vecchio pozzo da cui si prendeva l’acqua e grandi cespugli di lacrime della madonna profumatissimi. Era una casa bella, grande ma soprattutto magica. Allora non c'era la televisione e la sera i grandi si divertivano a raccontare le storie più strane, fantasiose e paurose! Fantasmi, streghe e chi più ne ha più ne metta, quando andava bene la mamma davanti al fuoco scoppiettante del nostro camino ci leggeva il libro Cuore e finivamo sempre per piangere tutti, io, mamma e la cara zia Melania, tu forse eri troppo piccolo ancora. Papà tutte le sere dopo cena andava al circolo cittadino a giocare a carte e si salvava (beato lui). Noi ascoltavamo la voce della mamma, il fuoco scoppiettava, la casa era un grande nido. Però, il fantasma della signora Mariannina, la defunta proprietaria del palazzo aleggiava dal piano di sopra al piano disotto il nostro; dicevano che le scale di sera fossero infestate da cani rabbiosi e graffianti, rumori di chiavi, ruggiti sordi, passi felpati di chissà chi; questo raccontavano e origliavano dietro alle porte la mamma e la zia Melania e certe sere i loro visi erano proprio preoccupati. Parlavano, parlavano di tutti quei fenomeni strani e la mattina si confrontavano sempre con la signora Venezia che abitava al piano di sopra; tutte e tre erano talmente convinte di queste loro allucinazioni che un giorno arrivarono a chiamare il prete per far benedire le nostre scale. Ma tu te lo ricordi?
46 Avremmo avuto 2-3 anni tu e 5-6 io, tu eri paffutello, capelli biondi lisci, simpatiche orecchie a sventola, buono, carino, eri molto coccolato da mamma e amato smisuratamente dalla zia Melania. Appena ci davano il permesso, ti prendevo per mano e andavamo su per quelle scale ampie, grandissime per noi, di giorno non avevamo paura e salivamo. Ti portavo su piano piano al pianerottolo di sopra e davanti ad una grande porta bussavamo. Ci apriva sempre e sempre sorridente l'inquilina del piano di sopra, una signora bella,alta e bionda, si chiamava Venezia. Lassù c'era per me ad aspettarmi Rosella, la figlia di Venezia, la mia piccola amica d'infanzia, per te c'era sempre pronto ma nascosto in una grande madia un bicchiere di uva checca (uva secca). E ogni volta lassù si ripeteva il gioco, tu cercavi, cercavi in cento posti e finalmente trovato tutti e tre io, tu e Rosella sereni e contenti mangiavamo insieme il bicchiere di uva checca sotto gli occhi soddisfatti di Venezia che si divertiva più di noi. Giocavamo per un po' insieme e poi la grande porta si riapriva,era
Inediti ora di tornare a casa. Ti riprendevo per mano e piano piano scendevamo le scale. Paride te la ricordi l’uva checca? Ti abbraccio forte forte, stretto stretto.
E poi… siamo cresciuti Tutti i pomeriggi scendevamo in strada e li giocavamo,piccoli e meno piccoli insieme... a nascondino, a campana, a tana libera tutti... La merenda era un rito,si faceva tutti insieme, pane, olio, sale era la più quotata anche la più economica, qualche volta la zia Melania ci faceva pane vino e zucchero, era buonissima, non c'era pomeriggio senza merenda e senza amici. Per un Natale di tanti anni fa ci regalarono un Canguro,strano gioco a mo di trespolo, ci si saliva sopra in piedi e dandosi uno slancio riuscivamo a fare lunghi salti in avanti, indietro, più eri bravo e più saltavi lontano. Fu un avvenimento per noi e per gli amici della via, passammo lunghi pomeriggi ad imparare e poi a saltare, ancora ne parliamo qualche volta io e Rita cara compagna di giochi e ancora lo sento sotto i piedi il Canguro con la sua potente molla che ci faceva quasi volare. Avevamo allora un cane lupo si chiamava Tom, era buono, buonissimo, stavamo sempre sopra la sua groppa e con tanta pazienza ci portava a spasso per tutto il giardino. Il giardino era un giardino-orto, c'era l'uva da tavola pizzutella buonissima, c'erano gli alberi da frutta e c'era l'orto, il regno della zia Melania. E' lì che ho visto nascere le prime foglioline e il giorno dopo le ho viste più grandi e poi crescere ancora e cambiare forma e colore e poi il miracolo dei frutti (piselli-fave-pomodori) che da piccolissimi piano pia-
no, giorno dopo giorno prendevano forma e vigore. Il mio amore per il verde è nato lì con la zia Melania sempre indaffaratissima a controllare, innaffiare e dare ordini ad un paziente signor Checco che gliele assecondava sempre tutte. Poi sul far della sera si risaliva in casa, c'era la cena con mamma e papa, poi pochi giochi e tutti a letto con il prete se era freddo. Il prete era un attrezzo buffo ma utilissimo, era in tutte le case... serviva a riscaldare i letti, era di legno e nel suo ventre accoglieva una monachina di coccio piena di carbone incandescente, si infilava con molta accortezza tra le lenzuola e dopo pochi minuti il letto era caldo, era un piacere coricarsi avvolti da quel grande tepore. Poi è arrivata LA TELEVISIONE e piano piano tutto è cambiato, i nostri giochi in strada si facevano sempre più brevi e noi sempre più davanti a Rintintin, e la sera la nostra casa si riempiva di gente, tutti a vedere Lascia i raddoppia o Piccole donne e quando finalmente si andava a letto spesso il tepore del prete era svanito, come stavano svanendo quei meravigliosi semplici anni cinquanta. E poi… Poi piano piano siamo cresciuti. Me ne sono accorta un tiepido pomeriggio di primavera, avrò avuto 12----13 anni, facevo le medie, eravamo pochi, ci si conosceva tutti, le classi allora erano divise da una parte i maschi dall’altra le femmine. C'era un ragazzino magro magro,non bello, ma neanche brutto, simpatico, estroverso, lo guardavo da lontano, non so perché mi piacesse... ma mi piaceva tanto! Quel pomeriggio ero con una mia compagna di classe per la via principale del paese, Bevagna, andavamo a comprare dei quaderni, altre uscite non ci erano ancora concesse e soprattutto non ci pensavamo proprio. All'improvviso me lo trovo davanti, era la prima volta al di fuori della scuola, ci salutiamo, ci fermiamo a parlare, loro parlavano io no, il mio cuore si era messo a correre all’impazzata, senza freni, mi saliva in gola, in testa, che confusione, penso di non essere riuscita a dire più di quattro o cinque parole, ma che emozione! E come è vivo ancora il ricordo di quel momento... il primo amore. Quanta tenerezza provo per quella quasi bambina impacciatissima e timida e per quel ragazzino vivace e sempre allegro... quel giorno le nostre vite hanno cominciato ad intrecciarsi e quel giorno ho capito che stavo crescendo…
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La Lista
Le anime vergini degli uomini di campagna, quando si convincono di una verità, si sacrificano per essa, fanno tutto il possibile per attuarla. Chi si è convertito, è sempre un relativista. Preferisco che al movimento si accosti un contadino più che un professore d'università. (Antonio Gramsci)
ex comunisti, mai comunisti, anti comunisti la Lista Massimo Cacciari Nato a Venezia il 5 giugno 1944, si autoqualifica filosolo, in realtà è un professore di filosofia (con tutto il rispetto per professori, sia ben chiaro), insignito del titolo di cavaliere del Sovrano Ordine Militare di Malta (!). Inizia la sua passione politica nella formazione extraparlamentare Potere Operaio, poi entra nel Partito Comunista Italiano con importanti incarichi nella Federazione del Veneto e nel 1970 viene eletto alla Camera per due mandati. Alla dissoluzione del PCI passa nelle file degli eredi della Democrazia Cristiana, i Democratici di Prodi. Sindaco di Venezia per la prima volta nel 1993 si autocandida potenziale leader dell’Ulivo ma, nelle elezioni regionali del Veneto del 2000, subisce una sonora batosta che pone termine alle sue aspirazioni di leader. Ciononostante nel 2005 si ricandida, con l’appoggio della Margherita e dell’Udeur di Mastella, alle elezioni di Sindaco di Venezia superando al secondo turno per 200 voti il candidato unico del centrosinistra Felice Casson, avendo fatto il pieno dei voti della Lega verso la quale aveva da tempo mostrato forti simpatie. Alla scadenza del secondo mandato di Sindaco dichiara di voler abbandonare la politica (magari!), ma non è così e fa ancora dei tentativi di leader abbinandosi al figlioccio di Agnelli, Luca Cordero ecc. ecc. Anche in questo caso però “toppa” e al momento sembrerebbe fuori gioco ma... fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Responsabile: - ssss...silenzio... non merita di parlarne Matteo Renzi Nato a Firenze l’11 gennaio 1975, figlio di un imprenditore di una società di servizi di marketing concessionaria della distribuzione in Toscana di testate giornalistiche nazionali. Ha al suo attivo politico una brillante carriera di lupetto negli scout. Nella vita politica ufficiale entra con i democratici di Prodi, poi partecipa alla costituzione del Partito Popolare Italiano (Democrazia Cristiana) e finisce per confluire nel PD. Presidente della Provincia di Firenze dal 2004, poi attuale sindaco di Firenze dal 2008. Sale agli onori della politica nazionale con la strategia della “rottamazione” dei vecchi politici lanciata nella convention della stazione Leopolda di Firenze nel 2011. Più rilevanti politicamente sono le sue posizioni a favore della politica industriale di Marchionne e della deregolamentazione del “mercato del lavoro” di Ichino. E’ indagato per i finanziamenti del tesoriere della Margherita Lusi (accusa da lui respinta). Negli scorsi mesi si è lanciato nella propria campagna elettorale quale candidato premier del PD (da allargare, a suo giudizio, anche ai berlusconiani. Tutti in barca...). Responsabile: - per il momento ancora di niente ma, se il buongiorno si vede dal mattino..., tutto fa pensare a un “Veltroni 2 la Vendetta”, un altro bel tonfo elettorale e ideologico di quel che resta della così detta sinistra Fabrizio Cicchitto Nato a Roma il 26 ottobre 1940. Entra in politica già durante l’Università con l’Unione Goliardica Italiana - UGI; poi, dopo una breve parentesi nella CGIL, diviene segretario della Federazione Giovanile Socialista Italiana, militando nella corrente di sinistra lombardiana, dalla quale uscirà più tardi con un sonoro schiaffo di Riccardo Lombardi. Entra in Parlamento per la pirma volta del 1976 e ci resta con il partito socialista per due legislature alla Camera e una al Senato. Esce dal Parlamento con la dissoluzione del PSI, ma qualche anno più tardi ci ritorna con Forza Italia per tre legislature, l’ultima in corso. Iscritto alla Loggia P2 dal 1980 con il numero tessera 2232, nel 2003 diviene coordinatore nazionale di Forza Italia e dal 2008 è capogruppo del PDL alla Camera. Nel novembre 2009, dopo lo storico lancio della statuetta del Duomo di Milano sui denti di Berlusconi, accusa i quotidiani non di proprietà del suo padrone e la magistratura di avere provocato la campagna di odio contro l’ “Unto del Signore”, guadagnandosi il titolo onorifico di “king of slappers” (in inglese letterale “re degli schiaffeggiatori”, il significato reale è però riferito alla parte del copro utilizzata per schiaffeggiare a al suo bersaglio...), responsabile: - di esistere La lista” prosegue nei prossimi numeri
a cura di SANDRO RIDOLFI
Extraordinary rendition (consegne straordinarie)
Campo di concentramento e tortura USA di Guantamo, creato dallamministrazione Bush e mantenuto da Obama
Il 19 settembre la Corte Suprema di Cassazione ha emesso una sentenza storica nello scontro radicale sul concetto dello Stato di diritto tra la cultura illiberale degli Stai Uniti d’America e quella garantista della migliore tradizione europea. La Corte ha reso definitive le condanne a 7 anni di detenzione per 22 agenti e a 9 anni per il dirigente della Cia responsabili del sequestro sul territorio italiano di Abu Omar, trasferito in una struttura di tortura gestita dagli USA in Egitto e poi rimesso in libertà per manifesta non appartenenza a organizzazioni di resistenza del mondo arabo definite “terroristiche” dalle truppe di occupazione nord americane. Aspetto assai più importante, la Corte ha ritenuto inopponibile il segreto di Stato sostenuto sia dal Governo Prodi che da quello Berlusconi a favore dei vertici dei servizi segreti italiani, disponendo la riapertura del processo a carico degli stessi per il concorso nel sequestro di persona. Con questa sentenza la Suprema Corte italiana ha “stracciato” i presupposti stessi del “patriot act” degli USA, legge che dispone la prevalenza assoluta dei supposti interessi della “sicurezza nazionale” sul rispetto dei diritti fondamentali della persona umana. Spetterà ora al Ministro della Giustizia attivare la procedura per l’estradizione in Italia degli agenti CIA condannati. La pratica delle “extraordinary rendition” (“consegne straordinarie” di uomini/pacchi), intrapresa dal governo Bush e regolarmente proseguita da Obama, con il sequestro in qualsiasi parte del mondo di sospetti nemici dello “Stato padrone”, il loro trasferimento in campi di concentramento e tortura allestiti dagli USA anche fuori dal loro territorio, era stata già censurata dal Parlamento europeo anni addietro, quando ne vennero contati, solo in Europa, centinaia. Quella della Corte italiana, però, è la prima sentenza ufficiale di condanna. Un grande punto a favore della parte migliore e più coraggiosa della magistratura italiana.