cassandra
l’editoriale 2
Nessuno legge mai gli editoriali di Giulia Testa, 3B Prepara un editoriale. Biblioteca. Aveva con sé la sua verità e la sua condanna. Dialoghi con Leukó. E’ il mio sogno da quando sono quartina, ma… Samsung bianco. Ciao Bonnie, anche tu qui? Sorriso sotto riccioli d’oro. È per Cassandra? Mmm mmm. Niente. …nessuno legge gli editoriali. “Si chiama...”. Grazie mille, Wally. Il suo destino era scritto in mezzo a uomini, non a dei. Ma non fu gloria la sua scelta, o il fulgore degli eroi. Bello il paraspifferi alla finestra. Ildegarda di Bingen? <<L’ineluttabile dissidio fra necessario e impossibile>>. Prova ad assaggiare asparagi e cioccolato. Nessuno legge Cassandra, leggono solo gli ipse dixit. Credo che cucineró un riso freddo. Uno solo? Beh non si può mica andare avanti così, no? Una teglia. Non sarà mai la morte la sua fine, non il silenzio, non la sconfitta. Venne amata da chi non poteva averla, venne punita da chi non sapeva accontentarsi. La teglia è di pizza. Con i carciofi. Preferirei i peperoni. Sul suo cammino la guidava una luce buia. Già, come a Versailles. Lanciamo un sasso nello stagno e vediamo cosa succede. Non posso pensare di passare la mia vita lì...ho altri... assolutamente no, lunghe vacanze. Lo hanno accusato di stregoneria, ma era solo dentifricio. Una provocazione? Sia Apuleio sia Camus sono nati in Algeria. Portava la sua voce fra gli uomini con la forza della verità. Camminava, inascoltata, fiera, forse, o forse inconsapevole della propria maledizione. E se poi la gente non la capisse? Darwin, certo. Porca miseria, ma sono ingrassata di colpo. Cosa fai? È andata, eh sì. Gli interessati capiranno, gli altri non leggeranno. Le strade di Trento sono strette e quel pullman... Uno stream of counsciousness: di cosa stiamo parlando?... <<Ogni generazione si crede votata a rifare il mondo>>. Queste sono le tovaglie della mamma di Masse. …chi è Cassandra? Viene al ballo delle terze? Sì, sto aspettando. Sembra la vispa Teresa che parla a vanvera. Non hanno il senso della misura. In modo eclatante. Una serie di cose a caso e vediamo chi legge fino alla fine. Connessione in corso. Lo avevo intuito: è un po’ così. Ascolta Wally, ho visto questa mostra: ‘Persi nel paesaggio’. <<Le erbacce costituiscono la materia prima per la sopravvivenza degli insetti>>. E quale sarà il filo rosso? Anni: 96 e mezzo. Sto ancora aspettando le campane. Aspetti, aspetti. Sei tremenda. Toutο oudeν mhdepotε egenhtο, estι dε aeι. Con la forza del mito il suo nome rimase nei secoli. <<Immortale è chi accetta l'istante. Ma i mortali? Chi direbbe che nella loro miseria hanno tanta ricchezza?>> Fulmen in clausola: wow, almeno tu hai letto l’editoriale. Il suo nome è: Cassandra.
Se qualcuno sente puzza di bruciato Fuso Orario Finlandia
L’angelo di Carditello _ Mai mangiare salmone scaduto, figa _ Nuove prospettive internazionaliste anali _ Romanzi di vita vera
IL SOMMARIO
Sarpi Attualità’ Cultura NArrativa 3^ Pagina
Non solo orologi di stocazzo _ Sull’utilità e il danno della filosofia per la vita: ovvero il primo storico articolo di Giulia Zaccaro _ Lady Ubuntu _ MAi troppo grandi
Lucy _ Niciani contrasti non so come si scrive ma leggetelo che è bello ciao _ Ombre nella notte _ Se non parlo sopravvivo _ Wretched Town
Roma Ladrona _ Ipse Dixit _ Vignette del Palu _ Sbatti zero
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Sarpi
Se qualcuno sente puzza di bruciato… …è qualche coda di paglia
di Giulia Testa IIIb
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Premessa: invito i lettori ad accogliere le mie parole e a ribattere, magari con un altro articolo, sul prossimo numero di Cassandra – con tutta la responsabilità, la coerenza e, soprattutto, il rispetto di e da entrambe le parti coinvolte in tali questioni. Ed ora comincia l’articolo. Volevo soffermarmi a riflettere sul valore, sulle modalità e sul contenuto di insegnamento e apprendimento perché, dopo cinque anni, un bel po’ di esperienza alle spalle, sogni nel cassetto e disillusioni tra le mani, alcune domande sorgono spontanee. Da sempre ripeto e per sempre ripeterò che la scuola è la seconda casa dello studente – se non altro, perché ci passa metà della propria giornata – e come tale dovrebbe essere vissuta nel concreto. Ma, ahimè, quando si prova a parlare con i professori di questo argomento, si viene presto bollati come “fancazzisti”, perché a scuola si viene per studiare, mica per stare sereni. Oppure, peggio ancora, spesso veniamo definiti “bambini” per come ci comportiamo. Bambini perché in una settimana di sovraccarico di verifiche chiediamo una distribuzione più equa; bambini perché di fronte a palesi ingiustizie vorremmo capire le motivazioni di alcuni atteggiamenti; bambini perché di fronte a nostre aperture al dialogo sbattiamo sempre contro a un muro. Ammetto che siamo bambini nelle nostre illusioni. Un professore dovrebbe domandarsi perché i propri studenti arrivano al punto di odiare quello che fanno, mentre nei fatti risponde, forte della sua unilateralità e parzialità, per tutelarsi. Nessuno mai vuole offendere o attaccare: qui spesso ci si è solo fermati a chiedere e sforzarsi di capire. Ma ormai sembra che vada molto di moda un rapporto lesivo fra studenti e docente, che porta a malintesi, ramma-
rico, delusioni e tensioni davvero inutili. Nessuno qui ha scelto di studiare per cinque anni per arrivare alla fine e dire: “se tornassi indietro, non lo rifarei”. Noi siamo qui per imparare e si può imparare anche condividendo umanità, comprensione, idee, opinioni. Forse in questo modo lo studente sarebbe anche più motivato a studiare: nessun obbligo, nessuna costrizione, zero terrorismo psicologico; rigore nei limiti della sanità mentale, quello necessario per indirizzare verso un metodo e non per spaventare; libertà e indipendenza rapportati all’età; rispetto e un po’ di passione. L’insegnamento e l’apprendimento hanno senso se riescono a trasmettere qualcosa che resti non perché si studia ma perché entra nell’anima. Così io, in quanto studens, riuscirò ad assorbire qualcosa perché l’ho sentito veramente mio. Quello che gli studenti vi chiedono, prof, non è meno fatica, ma meno tormento. Non ci spaventa la fatica, dopo cinque anni passati in salita. Ci interessa arrivare alla fine con il sorriso. Credo che essere un bravo professore significhi chiedere tanto ai propri studenti, ma dare anche tanto - e non è vero che dare in umanità sia segno di debolezza. Credo che essere un bravo insegnante significhi fidarsi dei propri alunni e dare loro la possibilità di misurarsi soltanto con sé stessi. Credo, infine, che un bravo maestro parlerebbe così ai suoi allievi, quando sono stanchi: “saprete di essere stati all’altezza del vostro Infinito non perché lo avrete raggiunto, ma perché avrete fatto di tutto per non togliervi da quella salita” (perché è inutile fare tanti bei discorsi sull’elevatezza dell’uomo “così come ci è testimoniata dagli autori classici” e poi non farcela vedere nella pratica).
Sarpi
Välkommen till Finland!
Silvia Crespi, IIE
Saper descrivere in poche parole quello che sto vivendo è difficile, se non impossibile. Vorrei riuscire a portarvi qui a sentire, vedere, provare, ascoltare ”la Finlandia”, anche solo per un momento. Una terra di gente silenziosa, di mangia caramelle fino alla nausea, di persone che non sentono freddo a -20° e che si buttano nel lago ghiacciato, dopo essere stati a 110°C nella sauna. Sono tutti matti? No, sono solo finlandesi. Vivere in Finlandia non è facile, per numerosi ed immaginabili motivi. A partire dalla freddezza dei nordici, a cui non è affatto facile abituarsi, se come me siete dei vulcani estroversi. Proseguendo poi con il freddo, il buio, ma soprattutto con la lingua, di cui non si capisce niente. Quello che però questa terra ti lascia è davvero qualcosa di indescrivibile e speciale. É necessario imparare ad apprezzarla all’inizio, ed è appunto questa la parte complessa: trasformare lo sbagliato in diverso e il diverso in normalità. Il silenzio per esempio, un suono fantastico, che non avevo mai sperimentato prima di venire qui. Ho inoltre assaggiato il sapore della vera conquista, che per me è stata imparare lo svedese, una delle due lingue ufficiali. Quante volte ho perso le speranze di impararlo, ma ora, quando
intrattengo una conversazione in lingua con i miei amici, mi sento davvero realizzata. La pazienza inoltre, un grande insegnamento. In questo paese essa sta alla base di tutto. Si aspetta il Natale durante il buio Novembre, si aspetta che la neve si sciolga, che il lungo inverno passi, si aspettano il pullman o il treno (in ritardo) quando fuori ci sono -20°, si aspetta senza fretta in coda nel traffico o negli uffici. I finlandesi aspettano, senz’ansia. C’è anche la parte della crescita e del cambiamento che un ”exchange year”, in Finlandia come in ogni posto in cui ci si ferma a vivere per un po’, porta con sé. É stata una rivoluzione che ha cambiato il modo in cui guardo ciò che mi circonda. In particolare, quando incontro nuove persone, mi accorgo di interpretarle, non di giudicarle a priori, come a volte prima capitava. Ho capito che ogni persona che ho incontrato mi ha dato un pezzettino di sé, che per sempre rimarrà con me, nel bene o nel male. La chiave è l’opportunità secondo me. Questa è perciò la filosofia che più di tutte ho fatto mia: dare l’opportunità a tutte le persone che incrocerò sulla mia strada di fare parte della mia vita, anche solo un sorriso. Hejdå!
attualità
L’angelo di Carditello Jacopo Signorelli, IVC Prima di passare per Caserta, prendi il bi- ne Civile, Tommaso, chiamato appunto vio a destra dell’A1, uscita Santa Maria. “l’angelo di Carditello”, a occuparsi di ciò che rimaneva, a lanciare appelli, a Percorrendo la statale, arriverai a San lottare senza farsi scoraggiare da minacTammaro. ce, intimidazioni, una roulotte bruciata e l’uccisione del suo gregge, fondamenPoco più che un paesino di cinquemila tale per la sua attività. Sapeva, quindi, a anime campane che occupano una stri- cosa andava incontro, ma si sentiva rescia di terra tra Capua e l’Agro Aversano, sponsabile come cittadino di proteggere ospita una delle meraviglie più trascurate ciò che era anche suo, della sua terra, del meridione italiano: della sua storia e della sua Nazione. la Reale Tenuta di Carditello, il complesso architettonico e agrario firmato Collecini e Vanvitelli che rimane ancora oggi uno dei più importanti tra i ventidue siti reali dei Borboni nella cosiddetta Terra del Lavoro, nei quali si esprimevano le più rilevanti forme d’imprenditoria ispirate alle idee illuministe in voga di quei tempi. Non voglio annoiare il lettore nel discorrere del più e del meno su un sito che, probabilmente, non visiterà mai. D’altro canto, intendo riportare una storia non comune, a tratti eroica, relegata in fondo ai quotidiani nazionali, ma degna dell’intervento dell’ormai ex ministro Bray. Tommaso Cestrone non era un semplice imprenditore agricolo, ma l’uomo che per anni e anni ha, a titolo completamente gratuito, custodito e curato la Reggia, abbandonata dagli anni Venti e spogliata di ogni suo arredo.
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Non importava che lo Stato se ne infischiasse, che fosse solo, lui ci ha creduto. Fino alla morte. E’ deceduto, infatti, a dicembre dello scorso anno, ma l’odio della Camorra nei suoi confronti sembra non finire: qualche giorno fa la notizia del rogo ai danni del fienile della sua azienda, che ha rimarcato ancora di più la debolezza delle istituzioni contro la criminalità. Le indagini, ovviamente, continuano, così come le dimostrazioni di uno Stato assente nei confronti dei suoi beni, simboli della sua storia, delle sue radici e tradizioni.
E’ una storia silenziosa, che non cambia la nostra quotidianità, che ci dimenticheremo fra pochi minuti, quando saremo interrogati in latino, forse.
Chissà quanti Tommaso ci sono in Italia, che dopo il lavoro, anziché tornare a casa, se ne vanno a curare i beni di tutti Purtroppo, quando si cita il meridione, si (e non dobbiamo per forza andare a San deve nominare pure la criminalità orga- Tammaro per trovarli, ci basta l’esempio nizzata e in questo caso la Camorra, che dei nostri bibliotecari). nel dopoguerra ha depredato marmi, camini, stucchi e impianti elettrici della Una volta, i Nomadi cantavano “Chico, Reggia. salvaci tu”, ora dovremmo cantare TOMMASO, SALVACI TU! Fu proprio un volontario della Protezio-
Sara Latorre, 1D
Capelli biondi come il grano, occhi azzurri che sembrano pezzi del cielo d’Irlanda, espressione sicura dell’uomo che non deve chiedere mai. No, non sto parlando di quel gran pezzo d’attore di Di Caprio, ma di uno che, al contrario del povero Leo, quest’anno rischia di vincere un premio alquanto importante: è Vladimir Putin, candidato al Nobel per la pace. PUTIN-PACE, non so se mi spiego. Il merito del Presidente russo sarebbe quello di aver collaborato a una risoluzione diplomatica della guerra in Siria, decidendo insieme agli USA la distruzione delle armi chimiche del Governo di Damasco. Mentre Vlad si prepara a battere niente popò di meno che “il papa dei poveri “ (per citare mia nonna), io sono qui, al calduccio del mio letto, che mi strappo le vesti e i capelli manco fossi una prefica: come è possibile? Non si può insignire di tale riconoscimento un energumeno che limita i diritti civili del suo popolo. Da poco, infatti, Putin ha firmato una legge contro la propaganda omosessuale che vieta ai gay di manifestare il loro orientamento. Se molti sono arrabbiati, indignati e nauseati, altri, tra i quali alcuni omosessuali russi, ritengono che questi provvedimenti non vadano concretamente a toccare la vita dei cittadini, perché, in fondo, basta non gridare ai quattro venti i le proprie preferenze amorose e non succede niente. Personalmente, credo che questa tesi sia insostenibile: prima di tutto, una legge deve garantire la libertà del popolo, non calpestarne i diritti e, in secondo luogo, mettendo alle strette una parte della società, un Governo legittima, di fatto, la sua emarginazione. Nei mesi successivi alla promulgazione, gli episodi di omofobia sono aumentati in maniera esponenziale: molti omoses-
suali sono stati aggrediti per strada e massacrati di botte, poiché, ora, l’intolleranza e l’ignoranza sono coperte e, anzi, incentivate dalla legalità stessa. Quello che sta accadendo in Russia è solo il culmine di un problema diffuso da sempre in tutto il mondo: l’omofobia. Come il razzismo e ogni altra forma di discriminazione, essa non ha alcun senso ed è solo una declinazione della stupidità e della cattiveria umana, ma rovina tutt’oggi la vita di coloro che sono ritenuti “diversi”. Arriveremo mai a capire che al mondo esistono semplicemente tanti tipi di etnie, di lingue, di religioni e di amori e che non c’è nulla di pericoloso o di sbagliato in loro? Date tutte le cose che stanno capitando alla comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) in Russia, credo proprio che la giuria di Oslo abbia candidato Putin a premio Nobel per la pace in seguito a una grande abbuffata di salmone scaduto da tanto tanto tanto tempo.
Attualità
Mai mangiare il salmone scaduto
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Nuove prospettive internazionaliste
Paolo Sottocasa, 3A
Ogni anno nell’Unione Europea viene stimato uno spreco di circa 89 milioni di tonnellate di alimenti, quasi 179 kg a persona e secondo la FAO un terzo del cibo finisce nella spazzatura, a fronte di 842.000.000 milioni di persone che soffrono la fame. Similmente i dati riguardanti le malattie sono a dir poco sconcertanti. Nel 2010 sono morti nel mondo 7.600.000 bambini a causa di patologie curabili con antibiotici da pochi euro.1.400.000 sono stati i decessi registrati provocati dalla polmonite. L’Eurostat ha affermato che il 10% della popolazione mondiale più ricca possiede il 24% della ricchezza, mentre il 10% della popolazione più povera il 2,4%. Il Financial Times ha stimato che gli 85 uomini più ricchi del mondo detengono una ricchezza pari a quella di tre miliardi e mezzo di persone. La domanda che sorge spontanea dalla lettura di questi dati è una soltanto: perché? Noi vogliamo sapere perché in questa società fabbriche e aziende sono costrette a chiudere a causa della sregolatezza dei mercati, lasciando inattivi lavoratori, tecnici e non, il cui operato, se messo al servizio della collettività, potrebbe risolvere gran parte dei nostri problemi. Bisogna chiedersi a questo punto se un’organizzazione sociale di questo tipo ha ancora un senso. Io dico di no, perché se questo fosse il migliore dei mondi possibili, beh, ci sarebbe di che dolersi. Noi siamo nati in un paese libero e ricco, in una parte del mondo dove si consuma gran parte della ricchezza prodotta. Questo però è stato un caso. Ricordiamoci che saremmo potuti nascere in un villaggio sperduto nella savana africana o in una favelas sudamericana. Dovremmo sentirci, in qualche modo, moralmente debitori di questa nostra fortuna, perché tante altre persone hanno avuto un destino meno felice. Dare voce a chi non
ce l’ha dovrebbe essere il nostro obbiettivo. Come? È molto semplice: studiando, organizzandoci e soprattutto mettendoci tutta la passione che abbiamo, perché “alla fine si imporrà chi avrà più passione”. Siamo consapevoli che le idee più giuste e più vere quasi mai si affermano e proprio consci di questa ingiustizia potremo rivolgere le nostre menti contro tutti coloro che non vogliono rinunciare ad uno stato di cose che mantiene intatti i privilegi di pochi e la miseria di molti. La costruzione di una società diversa è possibile; abbiamo gli strumenti per orientare la società verso i bisogni dell’uomo. Alla fine si tratta di mettere al centro dell’attenzione l’uomo con le sue problematiche e cercare di migliorare le sue condizioni terrene. I poteri borghesi e reazionari hanno in ogni epoca osteggiato questo obbiettivo, utilizzando armi come il nazionalismo, la religione e la diversità etnica. La strumentalizzazione della paura del diverso ha fatto si che le nostre menti si chiudessero e ha lasciato che il razzismo usasse il pregiudizio come metro di giudizio. Ci sono centinaia di fattori che rendono diversi gli uomini tra di loro, ma due elementi possono fare da collante: il lavoro e lo studio. Ricordiamoci che in tutte le parti del mondo sono presenti persone che lavorano e ragazzi che studiano. Le diversità tra uno studente cinese e uno italiano sono squisitamente culturali. Anzi, proprio perchè la nostra società è globalizzata siamo in grado di conoscere ed apprezzare le culture che non ci appartengono. Guardiamo ad un mondo dove tutte le false distinzioni saranno spazzate via dall’Internazionalismo, perché nulla potrà contrastare la grande forza della solidarietà di classe.
stralci di storie raccolte tra i muri di casa amadei Elena Giozani, IA Una sera di febbraio ho partecipato a un incontro sul tema della povertà organizzato dalla diocesi del mio paese grazie al quale sono venuta a conoscenza dell’esistenza di Casa Amadei. Casa Amadei venne fondata da Mons. Roberto Amadei e inaugurata solo nel 2010 da Mons. Francesco Beschi. È un centro di accoglienza per migranti (e non solo) resosi necessario dall’ampliamento di Ruah, cooperativa fondata nel lontano 1990 che inizialmente consisteva solo in un dormitorio con qualche posto letto, ma che nel corso del tempo si è ampliata fino a comprendere anche una scuola di italiano e negozietti che vendono oggetti di seconda mano (Triciclo e Rivestiti, a Seriate).
cità, quella sera ha rivelato che a breve avrebbe fatto un “tiroscinio”.
Attualità
Romanzi di vita vera
E’ stato proprio questo modo di porsi e di raccontare la sua storia che mi ha colpito molto, oltre al fatto che, nonostante le numerose difficoltà incontrate e i tanti ostacoli che si è visto costretto a superare, è riuscito a trarre insegnamenti positivi da questa sua esperienza senza rimpianti. Un’altra storia, completamente diversa, è quella di Nunzio, un uomo che ha perso il suo lavoro di custode e la casa, e che grazie all’operato di uno dei volontari, Alex, è riuscito a risollevarsi. Ed è stato proprio Alex a descrivere il progetto “Terre di Mezzo”: un gruppo di volontari che durante la notte fa la spola tra la stazione di Bergamo e i vari dormitori per procurare un letto caldo a chi è costretto a dormire al freddo, sul nudo e duro asfalto.
Casa Amadei è stata fondata con lo scopo di accogliere gli immigrati e permettere la loro “integrazione sociale”, però offre anche un letto comodo e un pasto caldo a chi ne ha bisogno, oltre che un orecchio amico e disponibile ad ascoltare il bagaglio di storie che le per- Alex ha spiegato che ognuno di loro ha sone accolte in questa struttura portano storie diverse alle spalle e che non ci sono più solo i tipici ubriaconi e tossicocon sé. dipendenti, ma nell’ultimo periodo sono Una di queste è la storia di Giblin, un nate anche nuove “categorie di poveri”, giovane sfuggito alla guerra in Guinea sicuramente a causa della crisi economie con il desiderio di andare in Francia a ca che ha colpito l’Italia. studiare, ma che si è ritrovato in Italia, prima a Foggia dove è rimasto per quasi un Sono rimasta davvero impressionata dai anno e poi a Bergamo dove per tre mesi numeri che ha fornito: nel 2013 su circa ha soggiornato al Galgario (dormitorio 600 persone incontrate durante queste gestito dalla Caritas, vicino alla questura) “visite notturne” circa il 40% erano scoe altri quattro mesi proprio a Casa Ama- nosciuti ai servizi e facevano parte dei dei. Durante questo periodo ha seguito cosiddetti “invisibili”, e non si trattava corsi di contabilità, pur essendo laureato solamente di stranieri (infatti il 40% erano in matematica dal 2006, e ha imparato italiani). l’italiano nonostante conoscesse molto bene il francese (la Guinea è un ex-co- I tempi stanno cambiando: se nel 2007lonia francese); Giblin, con umile sempli- 2008 anche per un migrante era possibile trovare un impiego nel giro di un mese
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o due, ora è assai più difficile e ci sono sempre più persone che perdono il lavoro e sono costrette a cercare aiuto e rifugio nelle case di accoglienza.
za sono disposti ad aiutare chi ne ha bisogno senza avere nulla in cambio e ad ascoltare le storie che hanno portato quelle persone dove ora si trovano e che sono, come ha detto il coordinatore di Fortunatamente ci sono i volontari (120 Casa Amadei, Andrea, “romanzi di vita solo nella scuola di italiano), che con vera”. passione, dedizione, coraggio e pazien-
Non solo orologi a cucù Marianna Tentori, 2B Attenendoci alla mirabile sintesi delle retrocopertine, effettivamente gli scritti di Dürrenmatt si possono suddividere in tre categorie: romanzi, racconti e opere teatrali o radiodrammi. Per quanto riguarda i romanzi, Dürrenmatt, volendo Cos’ha fatto Dürrenmatt di così speciadimostrare l’inaffidabilità del romanzo le? Ha scritto, in una maniera incredigiallo come specchio della realtà in bilmente bella, e ha scritto così diverse quanto segue schemi prestabiliti e alla tra loro che è difficilmente inquadrabile fine il colpevole si scova sempre, ha in un genere specifico; Wikipedia e le sfornato una serie di romanzi polizieschi, retrocopertina dei suoi libri, ad esempio o comunque con trame investigative (il lo definiscono “narratore e drammaturpiù bello in assoluto per me è “La Panne go” (e anche pittore, scopro ora). Dire – una storia ancora possibile”), che in che qualcosa è al contempo parecchio realtà di poliziesco non hanno molto se inquietante e parecchio divertente è un non il finale che lascia a bocca aperta, po’ contraddittorio, eppure sono queste e che in compenso sono ricchi di riflesle caratteristiche salienti dello stile di sioni sulle grandi domande della vita Dürrenmatt. Inquietante per via di tutta (quelle che, se non siamo troppo stanuna sua serie di opere piene di elementi chi, ci vengono in mente ogni tanto la macabri ed angoscianti (uno dei suoi sera prima di andare a letto, per intenracconti di intitola “Il torturatore”, per in- derci), riflessioni con cui si è invogliati al tenderci; per non parlare di uno dei suoi confronto appunto perché vengono più famosi e bei romanzi “Il sospetto” ) e, offerte quasi con leggerezza, tra una più in generale, per le conclusioni, non battuta e l’altra, e non dall’alto di non proprio ottimistiche, che trae riguardo si sa bene cosa con toni cattedratici. I ad alcuni dei temi a lui più cari: la verità, racconti per certi versi colpiscono di più la giustizia, il fato. Divertente perché la dei romanzi, un po’ perché sono surreali, sua produzione letteraria è caratterizza- un po’ perché sono struggenti, e l’opeta da una satira pungente nei confronti ra teatrale è importantissima, perché della società, e soprattutto perché è il Dürrenmatt fu un protagonista del rinnosuo stile ad essere ironico, umoristico, a vamento del teatro in lingua tedesca, tratti buffonesco e addirittura grottesco, con la sua denuncia in chiave grottesca spiritoso e brillante. della società perbenista svizzera, e più in Che la Svizzera di buono non sforni solo i suddetti marchingegni, avremmo già potuto intuirlo mangiando cioccolato; ma poi, a fugare ogni dubbio, è arrivato Friedrich Dürrenmatt.
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scuote l’animo e la coscienza, ma anche di provocare, di dire “ecco, questo, che ti piaccia o meno, è il mio messaggio; prova un po’ a capirlo, interpretalo e poi fanne ciò che vuoi”. Proprio così ha fatto Sean Penn, che nel 2001 ha diretto il film “La promessa”, con Jack Nicholson, tratto dall’omonimo romanzo di Dürrenmatt, dimostrando secondo me di aver capito appieno il senso dell’opera, nonostante una modifica sul finale. Alberto Sordi invece nel 1972 è stato diretto da Ettore Scola in “La peggiore serata della mia vita”, film liberamente tratto da “La Panne”, che è decisamente un elemento della lista delle mie visioni cinematografiche future.
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generale di certi tratti dell’umanità. Basti pensare all’incredibile scandalo che provocò anche fuori dalla Svizzera nel 1947, con la sua prima opera teatrale “E’ scritto”: il dramma (la cui vicenda di svolge in una città cinta d’assedio), tutto incentrato intorno alla battaglia tra un cinico assetato di emozioni ed un fanatico religioso che interpreta la Bibbia alla lettera, la sera in cui debuttò provocò una rissa e proteste tra il pubblico, probabilmente sia per i temi trattati sia per il modo impiegato nel trattarli. Davvero speciale, però, è per me la capacità di Dürrenmatt non solo di affascinare, coinvolgere o far riflettere il lettore, ma anche di turbarlo, e turbarlo non solo nel senso di generare quell’angoscia che
Sull’utilità e il danno della filosofia per la vita Giulia Zaccaro, 3C il rischio considerevole. In una realtà fatta solo di libri posso frequentare le lezioni di Immanuel Kant (per quanto Köenisberg debba essere un posto assai noioso), essere tra le poche alunne di Schopenhauer e sentirlo insultare Hegel, oppure farmi importunare da quel fastidioso tafano di nome Socrate. E’ semplice: SezioEvitiamo i cliché sul fatto che questa sia ne Filosofia, terzo piano a destra, Bibliotel’età della tecnica e che ormai ogni cosa ca Tiraboschi, Bergamo. priva di utilità immediata sia anche priva di senso. Questa domanda non è scon- Ma la prospettiva non è e non deve estata ed esige una risposta che vada a sere questa: io voglio parlare di Kant, Socrate o Schopenhauer perché credo fondo del problema. che questi uomini abbiano ancora qualDa matricola in potenza, appassionata cosa da dire per questa realtà. Classico di filosofia in atto, rispondo così, con una è davvero ciò che ancora ha da essere. citazione di Nietzsche: “Io ho sempre messo nelle mie opere tutto il mio corpo e la mia Senza questo mondo, concreto, la filosovita. Non so cosa siano i problemi puramente fia non avrebbe senso. intellettuali”. Kierkegaard, prima di Nietzsche, diceva Filosofia non è evadere dal mondo, non che la verità è soggettiva. E con questo è ascesi. E’ corpo. La tentazione è forte e non intendeva dire che non c’è verità, o ì“Perché vi siete iscritti a questa facoltà?”, chiede ogni anno alle sue matricole il professor Nuccio Ordine, professore di letteratura italiana presso l’Università della Calabria e autore del libro “L’Utilità dell’Inutile”, uscito quest’inverno per le edizioni Bompiani.
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che ogni verità si equivalga, affatto. La verità c’è, ma è una verità che esige la prima persona singolare: Io. “La verità è verità per me”, ed è appassionata e paradossale.
dentità. Mi sono dilungata su Søren Kierkegaard, è una mia debolezza. Prego chi non mi conosce, di scusarmi. Chi invece mi conosce non mi prenda troppo in giro. Torniamo alla citazione iniziale. Nietzsche non metterà mai a sistema il suo pensiero, a guisa di pensatori come Spinoza o Hegel. La realtà non può essere ingabbiata in modo definitivo in nome di un principio che ne mostri l’intima essenza. Essere al mondo significa porsi come soggetto che eternamente interpreta e ricerca. Jaspers, esistenzialista tedesco e lettore di Nietzsche, dirà parecchi decenni dopo che pretendere di possedere l’essere è tradire l’essere.
Qualche parola su questo bizzarro personaggio. La storia di Kierkegaard è la storia di un fallimento. Søren non si è mai sentito all’altezza del padre, figura che lo ha sempre oppresso. Non è mai riuscito a diventare il marito che sognava (rompe infatti il fidanzamento con Regina, donna che invece amerà tutta la vita). Eppure quest’uomo, che quasi non si è mai allontanato da Copenaghen, sua città natale, è considerato il padre fondatore dell’Esistenzialismo. Senza di lui la filosofia del secolo successivo avrebbe preso La stessa forma stilistica che Nietzsche una piega diversa. adotta, l’aforisma, richiede la parteciFilosofia è ciò con cui tento di dare un pazione attiva e interpretativa del lettosenso al mondo, un senso a ciò che sono re. Io, studente o professore, esperto o e a ciò che voglio essere. Non è un caso alle prime armi, sono chiamato in causa che Kierkegaard abbia usato la tecnica dall’autore stesso e con il mio patrimonio della pseudonimia, o meglio, dell’etero- di esperienze vissute mi è chiesto di comnomia. Non è soltanto un capriccio o un piere una vera e propria esegesi. “Vero è vezzo letterario, è una scelta che ha un soltanto ciò che per mezzo di Nietzsche preciso significato e che orienta la filo- nasce da noi stessi”, dirà sempre Jaspers. sofia in una direzione inedita. I suoi per- Io sono chiamata a dare un senso al sonaggi sono individualità gettate nel mondo, laddove un senso non vi è già. mondo e tutte hanno il coraggio di dire Albert Camus, nel “Mito di Sisifo”, saggio “Io”. Le opere di Kierkegaard, che a que- sull’assurdo scritto in piena guerra nel sto punto si dovrebbero dire di Climacus, 1942, direbbe che questa è una risposta Anticlimacus, Victor Eremita (per citare al silenzio desolante del mondo, mondo solo alcuni dei suoi più famosi pseudoni- che di ragionevole non ha proprio nulla. mi) sono narrazioni di vita con cui il lettore si pone in dialogo e grazie alle quali Come la storia - e qui cito chiaramente si mette in discussione. Kierkegaard non una delle prime opere di Nietzsche anè un autore che si possa capire a livello cora in forma di saggio, “Sull’Utilità e il esclusivamente intellettuale, tant’è che il danno della storia per la vita”, del 1874 fatto stesso di inserire il suo nome nei ma- - la filosofia non deve essere fine a stessa, nuali di filosofia è una necessaria forza- ma trascendersi e porsi al servizio della tura. Egli non l’avrebbe mai permesso. Il vita, perché non è altra cosa rispetto a pensiero di Kierkegaard si vive. Nasce da essa. un dolore concreto ed è dedicato a lettori concreti. Lettori che hanno un corpo. Vorrei concludere ricordando cosa fosse questa disciplina per Ludwig WittgenUno degli interpreti più illuminati di Kier- stein, uomo problematico, tormentato kegaard, Lev Sestov, amico di Edmund dall’insoddisfazione personale e intelletHusserl, disse che non è vero che la filo- tuale. Per Wittgenstein, la filosofia non sofia nasce dalla meraviglia, come si è era una professione. Era una passione. E creduto da Aristotele in poi. Il filosofare non solamente una passione divorante, nasce dalla disperazione, sentimento in- ma la sola forma possibile della sua esitimamente legato alla percezione dell’i- stenza.
Paolo Bontempo, 2D
CI sono album, cantanti, che lasciano un segno indelebile nella storia, forse non della musica, ma almeno in quella del cinema. Partendo da questo paradosso storico, si può cominciare con la recensione di quel capolavoro metafisico-socialdemocratico che è Piuttosto Che Incontrarvi Farei Bungee Jumping, che già dalle maiuscole a inizio di parola lascia intravedere spiragli di genialità preventiva. I cantanti in questione sono “I Lady Ubuntu”, vengono da Alessandria, non importa quale, basta sapere che sono italiani e sono in tre. Le tracce del disco sono 9, loro sono in tre, tre per tre nove, miracolo. Ma tornando alle cose serie, il terzetto sopracitato è in grado di mischiare atmosfere Punk non filosovietiche con architetture di stampo filosofico, e un sottofondo elettronico dirompente, assordante e addirittura scassamaroni, alla lunga. Ma sta proprio in questo la loro genialità, in quei ritornelli che non ti fanno dormire la notte, che diventano Jingle interminabili in giungle torbide e ossessive, in spirali di emozioni contrastanti. Ed è forse Il singolo “è la maledetta solitudine” Il vero capolavoro, la migliore opera musicale composta da 400 anni a questa parte. E’ in grado di proiettarti in un universo sconfinato, in cui ci si sente solo dei puntini, che sognano di essere imperatori di un regno che non si possiederà mai. Per non parlare di quella canzone di Un minuto e Cinquantuno chiamata “Coraggio”, il cui complesso e problematico testo ti entra in testa con la stessa dolcezza del canto delle muse, che in realtà nessuno ha mai sentito. Una traumaticità esistenziale che attra-
versa le corde del basso, più che mai ossessivo e ossessionante, accompagnato da un pizzichino di elettricità, che carica e porta in endovena le arterie più superficiali. Un sound senza eguali, una voce impressionifica, perché “La stufa è stupida, la sento ronzare di notte”, e le “persone non hanno gli interruttori”, e “non si può smettere e basta, non si è padroni di tutto, no, ci si sente nulla, in questa frenesia che è la vita”. Frammenti di vita quotidiana si uniscono consenzientemente con panorami surreali , che portano a una subcomprensione e ad un’analisi sociologica di quello che siamo noi, noi studenti, noi liceali, noi nostra generazione, perché lo zio del cantante ce lo dice senza fronzoli “Voi, giovani, siete rincoglioniti”, e non si può discutere, è così e basta, siamo dei rincoglioniti cronici, e non possiamo che “tremare di fronte all’ira funesta dello zio”, dell’autorità precostituita, del mondo che pare opprimerci. Nulla sembra avere più senso, e l’ascolto diventa un viaggio nell’infinito, nell’infinito nulla, una sorta di ricerca di senso che inevitabilmente sconcerta anche i più temerari, scioglie gli animi più solidi, e diluisce le certezze dei cattocomunisti. Tutto questo inserito in un contesto extraparlamentare che accresce l’ironia negativa e la distruzione omodiegetica della perenne indecisione umana. Questi tre capelloni riescono a frantumare la musica in mille pezzi per poi ricomporne il senso allegoricamente in pochi secondi, in una paranoia vitale, che rispecchia appieno questi anni ’10. Non vi resta che andare ad ascoltarli per capire che quello che avete letto prima era sostanzialmente inutile, se non una “cazzata” e ricordatevi che questa
cultura
Lady Ubuntu: Memorie di un fan al di sopra di ogni preconcetto
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cultura
è la “Stagione delle Albicocche”, e nessun altro cantante vi potrà piacere, dopo aver sentito questa Summa Teologicomatematicomusicale.
Chi vedo? Io vi vorrei tutti qui pronti a disposizione Come pupazzetti, peluche qui dentro, nel silenzio del mio letto”
“Prendiamo adesso sono le dieci dove vado?
L’autore ci tiene a precisare di non aver scritto l’articolo.
Mai troppo grandi Giorgia Scotini VC con la consulenza speciuale di GGGGiulia Vitale ID
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Stai tornando da scuola dopo una giornata pesante e orribile. Sommando gli ultimi due voti presi forse arrivi al 7…per rilassarsi non c’è nulla di meglio che spararsi la musica nella orecchie, per TUTTO il tragitto fino a casa. Stai già pensando alla playlist adatta, quando ti accorgi di aver preso l’mp3 di tuo fratello e ora ti trovi a dover ascoltare le sue canzoni, per cui tu ormai sei troppo grande. Pazienza, troppo tardi. Parte la prima canzone: ”in fondo al maaaar…”. La tua faccia è alquanto sorpresa, ma allo stesso tempo seccata: non ci voleva nulla di meglio che un granchio canterino per migliorare la tua giornata!!! Senza accorgertene però inizi a canticchiarla: “le alghe del tuo vicino ti sembran più verdi sai. Vorresti andar sulla terra non sai che gran sbaglio fai. Se poi ti guardassi intorno vedresti che il nostro mar è pieno di meraviglie...”Inizi a pensare e ad immedesimarti. Beh non è poi cosi male stare in fondo al mare, chissà perche aveva questa gran voglia di andarsene? Evidentemente non si era accorta di ciò che la circondava; capita alle volte di non saper aprire gli occhi di fronte alle cose di tutti i giorni che ci sembrano banali, ma ci rendono invece più fortunati di altri. Quelle cose di cui capiamo l’importanza solo quando non le abbiamo più. Oddio, ma dovevi rilassarti e invece hai iniziato a fare il filosofo???!! Ok, forse meglio cambiare canzone. “D’ora in poi lascerò che il cuore mi guidi un po’/a volte è un bene poter scappare un po’/
nessun ostacolo per me, perché d’ora in poi troverò la mia vera identità/da oggi il destino appartiene a me” . Di nuovo inizi a pensare che la stupida canzone abbia ragione. Bisognerebbe ascoltare di più se stessi ed essere un po’ più irrazionali, buttarsi nelle cose e vivere come se fosse il tuo ultimo giorno. Ci blocchiamo troppo a causa della paura di rimetterci la faccia, ma cosi rischiamo solo di perdere l’occasione perfetta per divertirci, parlare con quello/a che ci piace, collezionare figure epiche che colorano solo le nostre giornate… improvvisamente l’mp3 cambia canzone e ti trovi catapultato nel Re Leone:”guarderai in avanti senza avere mai rimpianti, noi saremo al tuo fianco lo sai”. Ti vengono subito in mente le parole dei tuoi genitori il primo giorno di scuola, quando spaventato ti avevano accompagnato all’ingresso anche se tu te ne vergognavi. Bello, ora vi parlate a stento perché avete appena litigato, forse andare a quella festa sabato sera non era poi così importante. Alla fine è un rapporto strano, ti criticano sempre qualunque cosa faccia ma forse hanno ragione e sei tu che ti chiudi troppo nel tuo mondo non dando loro spazio. Sono oppressivi ma lo fanno perché non vogliono vederti cadere e stare male, in fondo ti vogliono bene. Di nuovo cambia canzone, ora tocca a Toy Story:”hai un amico in me, più di un amico in me! I tuoi problemi sono anche i miei, e non c’è nulla che non farei per te!” ahahah non puoi fare a meno di pensare a quel-
i momenti più belli della tua vita. Senza accorgertene sei arrivato al capolinea e devi scendere. Non sei più tanto arrabbiato per avere preso l’mp3 sbagliato, anzi forse quelle canzoni che non ascoltavi da una vita ti hanno insegnato molto più del tuo solito rap. Evidentemente ti sei solo sbagliato, non sei poi tanto grande come pensavi.
Lucy
Narrativa
la banda di sgangherati che ogni giorno ti travolge sul pullman e riesce sempre a farti spuntare un sorriso. Con loro non si può mai essere giù, è impossibile, per non parlare poi delle innumerevoli gaffes che ti fanno ridere per un’eternità. Senza di loro non avresti nemmeno un motivo per alzarti ogni giorno e prendere il solito pullman, non ti saresti mai sollevato dai voti più deprimenti e non avresti mai passato
Roberta Silva, 1A però, malgrado la sua perspicacia, che anche gli altri sapevano mentire naPerché allora doveva nascondersi dietro scondendosi dietro a un sorriso, proprio ai sorrisi e alle risate? Non era ferita dalla come lei. Convinta di essere l’unica in solitudine, anzi, discostarsi dagli altri la grado di farlo, un po’ per innocenza e faceva sentire meglio: era molto più triper inesperienza, spesso si scontrava ste l’ipocrisia quotidiana che era ormai con gente più scaltra. Ogni giorno perparte della sua vita. Si era chiesta molto ciò imparava a leggere gli occhi delle spesso perché la sua mente la portasse persone molto più che le espressioni del in un mondo diverso rispetto ai soliti diviso. scorsi dei suoi compagni; forse proprio Più si specializzava in questa arte, conper colpa della sua diversità era sola. vinta di riuscire a farsi accettare, più si Mentre la gente ragionava su cose futili, allontanava dagli altri e si sentiva sola. lei rifletteva domandandosi come saLa solitudine poi la costringeva a fingere rebbe stata la sua vita se fosse nata in di essere felice nella ricerca spasmodica un posto diverso, con un viso e un corpo dell’integrazione. differenti, in una famiglia meno comUn circolo vizioso , insomma, che non prensiva. aveva fine e non ne avrebbe mai avuCercava di integrarsi, credendo di esse- ta. re sbagliata in qualche modo, ma non riusciva. Più di ogni parola offensiva feri- Era colpa della sua unicità, lo sapeva. vano gli sguardi biechi, ma mascherava il dolore con un sorriso. Aveva sempre pensato che una finta felicità assomigliasse a una reale; bastava distendere Perché lei era speciale agli occhi delle persone buone, “un segno mandato da i muscoli della bocca, alzare gli zigomi, assottigliare gli occhi e quello che in ve- Dio per provare la bontà degli uomini”. A loro non importava se avesse un crorità era uno squarcio nel cuore poteva mosoma in più: le volevano bene. sembrare il gesto più bello e semplice del mondo. La sindrome di Down era la sua unicità. Ed era certa che questo metodo funzionasse, perché le persone si tranquillizzavano alla vista di un sorriso. Non capiva Era una ragazza unica, ne era convinta.
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Nietzschiani contrasti Federico Crippa, 3B Il greco è apollineo.
tura che ancora certe notti abita i suoi incubi ma che fatalmente ogni volta la chiama. I piedi nelle scarpe troppo piccole e ormai a pezzi le fanno male quando arriva davanti al Gruppo del Laocoonte (ormai sa leggere e ha imparato il nome dalla targhetta appesa sul muro). La folla di visitatori si accalca in massa intorno a quell’uomo sofferente che a sfilare i portafogli ci riuscirebbero pure i suoi fratelli, che nemmeno camminano. Anna ha imparato a prendere i soldi e a lasciare il resto in qualche scalone senza telecamere: i turisti non denunciano la loro disattenzione, dice suo padre. L’urlo dell’uomo di marmo barbuto le risuona anche oggi angosciante nelle orecchie mentre scivola vicino a una signora con la figlia per mano e con la borsa che pende aperta dal braccio. Mentre allunga le dita furtive Anna vede le scarpette della bambina, di vernice rossa. Più dei soldi di tutti quei portafogli, sudici pezzi di carta, che il babbo ogni volta si beve, vorrebbe quelle scarpette. Non sa il Laocoonte chi sta peggio in quella sala, se lui stesso dilaniato dagli squamosi serpenti o la bambina che piange in silenzio.
Alexander Anatolakis ha quasi finito il suo turno, l’ultimo della sua vita. Non che domani sarà in pensione -ha passato appena la cinquantina, e ad Atene a quell’età la pensione è un miraggio in un lontano orizzonte- ma le risorse umane gli hanno riferito che il direttore ha fatto sapere che il sovraintendente ha informato che il ministro ha deciso di ridimensionare l’organico, in seguito alle pressanti richieste dell’Unione. Grazie a dei burocrati tedeschi e ai loro freddi calcoli da domani i suoi tre figli non sapranno più cosa mettere sotto i denti, ma questo probabilmente non interessa a tutti quei funzionari incravattati. Alexander vuole salutare un’ultima volta il motivo per cui ha scelto quel lavoro al Museo Archeologico Nazionale: il Diadumeno lo aspetta come ogni giorno, impassibile in quella posa un po’ fiera che tanto ad Alexander ricorda il fratello Giorgos, fatto sparire sotto i colonnelli. Stasera non riesce a contemplare il chiasmo equilibrato, la tensione nella gamba destra e nella spalla sinistra a cui con naturalezza ideale si oppongono l’altra gamba e l’altra spalla. Stasera l’armonia della membra muscolose non incanta Il greco è apollineo. più Alexander. Stasera i suoi occhi sono vuoti come gli occhi del suo Diadumeno. Il dottor Wess rincasa che è già buio, rara tiepida serata della primavera polacca. La giovane moglie gli toglie la giacca e Il greco è dionisiaco. lo segue in cucina, dove la tavola è già Anna supera i tornelli dei Musei Vaticani, apparecchiata e nel piatto lo aspetta come ogni ultima domenica del mese, uno sfornato di maiale con patate al forfingendo di rincorrere la mamma, scel- no, insieme a un bicchiere di vino scuro e ta ogni volta fra le signore che meno al a una tortina alle mele come dolce. ricordo di sua madre assomigliano. Perché l’ingresso sarà anche gratuito, ma “Thomas sta dormendo, oggi ha giocauna bambina di dieci anni che ne dimo- to fuori tutto il giorno. Voleva aspettare stra almeno un paio in meno da sola in un il suo papà ma è crollato”, le parole che museo attira un po’ sempre l’attenzione concludono la cena. Il signor Wess sale le degli impiegati annoiati, e Anna non cer- scale per un bacio alla tenera fronte del ca attenzione. Sfila veloce fra le sale or- figlio, una carezza ai capelli dorati: è promai familiari, diretta decisa a quella scul- prio un angioletto mentre dorme. Prima
Narrativa
tica di suo nonno, regolarmente registrata, che con questi tempi non sai mai chi ti viene in casa, e per un momento lascia ridistendere il braccio lungo il fianco. Così dicendo, ei dirigea l’amaro strale in Antinoo. La signorina Craight prova un’appassionata riverenza per l’Odissea, e ogni volta che la rilegge si sente il rapsodo di un improbabile simposio. Chi avria creduto, che fra cotanti a lieta mensa assisi un sol, Non vede l’alunno in piedi, non vede il suo braccio armato levarsi, non lo vede prendere la mira. il nero fabbricar gli dovesse ultimo fato? Non sente lo sparo. Nella gola il trovò col... il Il greco è dionisiaco. verso resta sospeso, mentre anche il collo delicato della signorina Craight viene Surse, e spogliossi de’ suoi cenci Ulisse, E squarciato, attraversato da un pezzetto sul gran limitare andò d’un salto, l’arco di metallo di 9 millimetri. tenendo, e la faretra. Mentre la signorina Craight legge i versi di Omero, dal suo Fra poco i telegiornali di tutto il paese banco nell’angolo della piccola aula parleranno della sua scuola nella sperdalle pareti perlacee Ronald Moore si duta provincia dell’Arkansas, del suo dialza abbozzando un sorriso. L’insegnan- sagio e della sua emarginazione, pensa te non lo vede, intenta com’è nella let- Ronald, ma sa che ha ancora cinque tura. Davante ai piedi, e ai Proci disse: A colpi nel caricatore, cinque colpi e 21 fine questa difficil prova è già condotta. compagni tra cui scegliere. Ronald infila la mano nella tasca interna del giubbotto, che tanto col freddo che Il greco è insieme apollineo e dionisiaco, fa là dentro a nessuno è sembrato strano ma nell’umana miseria sono un’opposilo tenesse, estrae la pistola semiautoma- zione solo apparente. di coricarsi si siede nel suo studio a leggere qualche verso, amore rimasto dai tempi del ginnasio, per la poesia greca e soprattutto per la lirica corale. Stasera prende in mano un epinicio di Simonide, si compiace dalla sua ancora fresca capacità di leggere il greco e terminato il secondo epodo raggiunge soddisfatto la moglie a letto. Poche stanche parole e la luce si spegne: domani sarà un’altra giornata piena di lavoro per il dottor Wess. Ce n’è sempre di lavoro, per un brillante giovane medico come lui, lì ad Auschwitz.
Ombre nella notte Nicolò Nobile, 1A Ombre. Ombre grigie che vagano sole nella tenebra. Non tastano intorno a sé, non cercano la luce. No. Hanno dimenticato lo splendore delle stelle, e nemmeno ricordano il calore del sole. Eppure, se le interrogaste, saprebbero tutto del sole e degli astri, potrebbero descriverli analiticamente elemento per elemento, senza tralasciare alcunché. Eppure nulla conoscono del tepore dei suoi raggi, nulla della poesia di una stella lontana... Sanno tutto, eppure nulla.
Tra loro non si incontrano mai, gli esseri della tenebra, vivono, anzi, esistono, ognuno per sé stesso. Possiedono sensi immensamente sviluppati: esse possono udire qualsiasi cosa a chilometri e chilometri di distanza, vedere tutto, e vedere lontano, toccare tutto ciò su cui inciampano, e prenderlo per sé, nella maggior quantità possibile. Non esiste misura, per le Ombre. Eppure... in verità non sentono nulla, nemmeno il lamento appena sussurrato di un’anima che più non è; non vedono nulla, nemmeno il
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narrativa
terreno che frana loro sotto i piedi. Comprendono tutto, ogni meccanismo di quell’immenso miracolo che è il Mondo, ne conoscono ogni minimo dettaglio. Eppure non conoscono nulla di sé stessi, di ciò che muove il mondo, di quei sentimenti, di quelle emozioni, di quel sentire che davvero muovono il mondo. La loro immensa sapienza non è che il fondo di quel precipizio buio e profondo che è la loro ignoranza, la loro incoscienza. Ed è vero il burrone, un burrone immenso, quasi senza fine, a cui si dirigono imperterrite, certe, assuefatte da un richiamo indefinibile, le Ombre della notte dei tempi, ognuna per sé, tutte nella stessa, unica direzione. In realtà le ombre di per sé sono quasi inerti, solo i piedi agiscono, si governano da soli, cercano il terreno che implica meno sforzo, ma con movimenti appena minimi, quasi impercettibili. Poi scoprono la via del precipizio. E da allora la discesa è vertiginosa, irreversibile. La strada per il precipizio, direbbe una buona guida, non è accidentata. Anzi. Il terreno è ben battuto, per nulla ripido. Man mano che si prende il sentiero ecco che una forza misteriosa le attrae, le attrae, le attrae... Le vene tornano a pulsare il sangue come un tempo, come quando v’era ancora luce, ma solo per gettarsi a capo fitto nella tenebra. Ora le Ombre si muovono a passo svelto, decise, la velocità aumenta assieme alla pendenza. Eppure, per loro, non appena avanzano guardando fisse un punto che nemmeno scorgono, attratte da un magnifico quanto vacuo canto delle Sirene/ma la principale?/. Tutto è molto semplice, ogni energia ritrovata è concentrata sulla discesa. Non si accorgono che l’oscurità aumenta sempre più, che, se è vero che siamo nati per correre, questa corsa rischia di portare laddove mai avrebbero creduto, mai avrebbero osato, di perdersi per sempre? No, non se ne accorgono. Marciano festanti, fiere, celebrando la caduta infinita.
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Non si accorgno che v’è un’altra strada, un sentiero opposto alla spensierata discesa nelle tenebra. Un sentiero in salita, su per un pendio scosceso, un sentiero
più difficile che prevede difficoltà e sofferenze, che prevede prove e molto dolore. Incamminarsi su per questa strada sarebbe più faticoso, bisognerebbe farsi largo tra rocce acuminate e rovi come lame d’acciaio. Cento, mille volte si desidera, al limite dello sforzo, tornare indietro, correre giù veloci, guardando con invidia chi avesse scelto la semplice via del precipizio. Qualcuno desiste, qualcuno no. Altri restano e, con coraggio, si fanno forza e continuano, tra altre mille difficoltà, mille tentazioni... Ma ecco che, infine, sarebbe apparsa loro una luce. Una luce lontana, fioca. Una luce lontana, quasi ineffabile, ma una luce. Pian piano raicquistano le forze, riprendono il loro vero colore, non più grigie ombre, le palpebre degli occhi si schiudono del tutto schiuse/credo che l’ultima parola non c’entri/, illuminate dai primi raggi. La cima di quel monte diviene sempre più vicina, sempre di più... E poi... e poi... la luce lontana si fa immensa, una gioia vera conquista quegli uomini, non più ombre solitarie perdute nella notte. Ma tutto questo non è. Quelle ombre grigie, sono piombate nella tenebra profonda. Esse amano e odiano la tenebra, ma senza dubbio la venerano. Divengono ombre, si illudono di sapere e non conoscono misura, convinti d’essere loro stessi misura d’ogni cosa, che il mondo sia stato fatto a loro misura, e che non si debba tendere a nulla, a nulla di superiore. Anzi, amano la degradazione cui vanno incontro, attratti da chissà quale miraggio. E’ semplice scegliere la discesa. La discesa è puro piacere, il piacere di sfidare, sfidare ogni freno. Per le ombre solitarie, per noi uomini alienati del 2000, ogni cosa si riduce a mero piacere, a mero sfogo, a mera azione, a quell’unico istante in cui si concentra tutto. Piacere per il piacere, dall’amore che non è più tale al più semplice atto quotidiano. Eppure l’attimo finisce e dopo non c’è più nulla. Ci troviamo a desiderarne ancora, e poi ancora. Viviamo in funzione della felicità di pochi istanti, dimenticando l’immensa luce. Tutto e subito
dei cavalloni che si infrangono sul bagnasciuga, il canto degli uccelli, i sapori più dolci, le cose più semplici, quelle che non ci appartengono ma ci hanno dato gioia fin da sempre. Eppure, ciechi e sordi, non vedremo né sentiremo più nulla se non noi stessi. Abbiamo già dimenticato Dio e le sue leggi, abbiamo dimenticato ogni differenza elevando il particolare a norma, presto dimenticheremo anche d’essere uomini. Ma non saremo dei, no, e nemmeno scimmie, dalle quali tanto ci lusinghiamo di discendere, no. Saremo ombre, ombre solitarie in marcia verso il precipizio.
Narrativa
è il nostro motto. Tutto e subito e nella quantità maggiore. La misura, per noi ombre, non esiste. Non esistono vincoli, né scrupoli di sorta, abbiamo un’immensa, assoluta libertà. Una libertà che supera sé stessa fino a divenire prigioniera di sé. Preferiamo la quantità alla qualità, in ogni campo. Non sappiamo più cosa è il Bello e cosa è il Brutto, cosa è Male e cosa Bene, nulla ha più un suo intrinseco valore. Non conosciamo limiti, abbiamo perso la concezione del tempo e dello spazio, stiamo perdendo noi stessi in un mondo fittizio, finiremo per perdere ogni sensibilità. Totalmente alienati, dimenticheremo il vento tra le fronde, il rombo
Se non parlo, sopravvivo Giovanni Testa, IVC Sono le sei e quarantacinque e su Milano il sole non intende sorgere. E’ una mattina oscura, ma le tenebre non ostacolano l’irrequietezza dell’uomo, che si sveglia ruggendo. I grattacieli si imperlano di puntini luminosi, le insegne pubblicitarie iniziano a parlare e nelle strade si riversano centinaia di veicoli i cui motori addormentati emettono un fragore di fondo che sa di idrocarburo. Nel cielo tetro la luna lancia grida di terrore contro l’avanzare del dominio solare. L’oscurità collassa e lascia spazio a striature rosacee sulla volta celeste alla stessa velocità con cui si prepara un caffè. Seduta a un tavolino di un bar in piazza Duomo, Louise sorseggia una bevanda amarognola, ammirando la facciata marmorea del celebre capolavoro milanese, che assume una gradazione sempre più brillante per via dei raggi solari riflessi nelle più intime cavità della struttura. L’alba procede nella sua conquista e con essa si presenta l’inevitabile ora di recarsi al lavoro. Milano è una città che vive e Louise è stata contagiata da questo frenetico via vai che, come un tornado, l’ha risucchiata. Ma, nonostante la sua giornata da donna eman-
cipata stia per cominciare, nessuno le può vietare di gustarsi il caffè bollente di fronte ai colori sublimi del Duomo che muta. Si passa accuratamente le dita fra i capelli e raccoglie la chioma bionda in una coda con l’elastico nero. Con estrema grazia si alza, fa un passo all’indietro, rimuove delle briciole dalla camicia bianca e regola l’orlo della gonna nera che le sfiora il ginocchio. Recupera la borsetta di vernice nera, poggiata sulla sedia di fronte a sé, e dopo aver pagato la colazione, si dirige in Galleria Vittorio Emanuele II dove, sfidando ogni tentazione, riesce a tenersi alla larga dalle lussuose vetrine. In Provenza, la sua terra natia, queste architetture da sogno le aveva studiate e ambite nei libri di scuola ed entrare a contatto con esse è la realizzazione dei suoi desideri. Imparato l’italiano lavorando part-time come cameriera, non ci ha messo molto a conquistare i romanticoni del capoluogo lombardo con il suo raffinato accento francese e l’intelletto acuto. È single da qualche settimana e non pensa ad altro che prendersi cura del suo ego, distrutto da mesi ango-
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scianti. Dopo aver scoperto quale mostro si celasse nel suo ragazzo, non ha esitato un istante a sbattergli la porta in faccia. La gelosia e possessività dell’uomo l’hanno reso incosciente del modo in cui agisse fino a manifestare segni di aggressività. La ragazza, assorta nei pensieri di un passato travagliato, si scontra frontalmente con un uomo cadendo a terra. Il signore in giacca e cravatta l’aiuta a rialzarsi sbraitando alcune raccomandazioni ‘’Ma dove ha la testa?! Bada a dove cammina’’ Ella si scusa mortificata, precipita dalle nuvole e rimuove dalla mente la frustrazione per Lorenzo, riprendendo a camminare. Alle nove l’aspetta un colloquio di lavoro in una compagnia turistica, deve mantenere il suo assetto formale per non far fiasco. Finalmente inizierà a vivere nella metropoli da cittadina europea e non da clandestina francese. E’ l’occasione della sua vita. Venti minuti di dialogo sono sufficienti. Era scontato che all’ora del brunch Louise fosse già assunta, i suoi occhi verdi e l’erre moscia non possono fallire. Nella hall dell’azienda, Louise si mostra a testa alta e con un atteggiamento fiero mentre stringe fra le mani un prezioso contratto di lavoro, silenziosa ma elegante come una perfetta dama di corte. Quando, all’uscita, le porte automatiche si chiudono dietro di lei, Louise si trasforma, esplode in un urlo di gioia, balza in aria e grida soddisfatta, attirando l’attenzione di qualche passante. Dopo essersi sfogata, si ricompone imbarazzata e guardandosi intorno seccata si ricorda che il tempo milanese è capace di rovesciarsi senza preavviso. Con un lieve sorrisino, compiaciuta della sua conquista, si dirige alla fermata della metropolitana da cui tornerà a casa, facendo attenzione a non lasciarsi ingannare dalla scarsa visibilità. La nebbia pervade le strade e i palazzi neoclassici, i campi di grano sono avvolti da una soffocante foschia. Dai camini della periferia industriale sbuffano l’ani-
dride carbonica e tutta una serie di veleni che si scagliano contro l’ozono. Pochi strati più sopra, i raggi solari premono contro le nuvole rifrangendosi ovunque. Sotto, il Duomo pare irriconoscibile. Le rotaie producono uno stridio di ferraglia che non dà fastidio a Louise, le piace sentirsi cullata dall’oscillazione dei binari, è come se stesse fluttuando nelle profondità dell’oceano. Quando il treno si inoltra nella galleria, la ragazza riesce a intravedere il suo riflesso nel finestrino; sistema la coda voluminosa e si sorride. Est magnifique. ‘’Prossima fermata: Lambrate FS’’ annuncia l’altoparlante all’interno del convoglio. Louise stringe a sé la borsetta e, cercando di evitare l’inevitabile, scende dal vagone quasi inciampando. Chiede scusa a vuoto, consapevole che la metropolitana, come qualsiasi mezzo pubblico, è fatta così: o accetti il fatto di stare in piedi a contatto fisico con gli altri passeggeri oppure ti compri un mezzo privato. Riemersa in superficie, s’incammina per la via di casa seppur distingua a fatica strada e marciapiede. Dopo qualche metro, la pervade un presentimento negativo. Non riesce a ignorare la sensazione di essere seguita, nonostante nei paraggi non ci sia anima viva. Si volta ripetutamente ma non vede nulla, la nebbia gioca brutti scherzi. Freme stringendo i pugni, il suo timore si trasforma in ossessione. Sente un passo, in lontananza. Louise reagisce, si gira e in preda al panico grida al muro di vapore acqueo: ‘’Chi c’è?!’’ Tutto ciò che aveva ottenuto, i progressi che aveva fatto, la passione per l’arte, la soddisfazione per aver trovato un lavoro, i suoi sogni e la sua serenità si frantumano con una sola frase: ‘’Lou, sono io, non mi riconosci?’’ Una sagoma umana si fa strada nella nebbia e un’inconfondibile andatura sfilante parla prima che gli abiti possano prendere colore. Nella mano destra, qualcosa di affilato ondeggia a vuoto nell’aria. ‘’Stammi lontano, Lorenzo! Devi capire che la nostra relazione è finita’’ spaventata, Louise cerca di
prega che non le accada nulla di male. Appoggia la schiena contro l’albero e si siede a terra, tramortita e angosciata. Non bada al fatto che la borsetta e la gonna siano infangate, quello che ora le interessa è sopravvivere. L’attimo dura l’eternità, e in questo si originano i rimorsi: se non fosse mai venuta in Italia, se non avesse mai desiderato di conoscere a fondo l’arte, se non fosse mai nata… Probabilmente non sarebbe mai stata vittima della passione delirante, dell’amore criminale. Dopo alcuni interminabili secondi, dalla borsetta il cellulare squilla con un sonoro avviso. Louise evade dal suo inconscio scuotendo il capo e, ad occhi socchiusi, come se volesse filtrare solo la luce e respingere la polvere, legge il contenuto del messaggio: ‘’Se non torni da me ti uccido’’
Narrativa
respingerlo. ‘’Noi siamo fatti per stare insieme, io non posso vivere senza di te, e nemmeno tu ’’ la convinzione accompagna queste terrificanti parole mentre l’uomo aumenta il passo. Louise è scioccata, e il suo istinto le impone di mettersi a correre. Correre, non ha altra possibilità. Fugge lontano, il più distante possibile dalla persona che vuole farle del male, privarle di vivere, vederla perire. Lacrime di sofferenza le rigano il volto e, disperata, urla a pieni polmoni. Nessuno la sente, nessuno la vede. Le sue gambe a contatto con il suolo si fanno sempre più doloranti e, come se si trovasse in una palude, ogni passo si trasforma in sofferenza, oppressione, si sente sprofondare nella melma. Stroncata dalla fuga, si rifugia dietro il tronco di un pino, abbastanza largo da coprirla. In un turbine di pensieri e rancori, chiude gli occhi e
Storie di Wretched Town: Parte 5 Jacopo Signorelli, IVC Era domenica se non sbaglio, o un giovedì, o comunque un giorno in cui la gente non si fa mai i cazzi suoi. Il postino, era lui che bussava alla porta, e io mi chiedevo perché mai non avesse lasciato il messaggio nella cassetta, quel dannato; sì, aveva una faccia che era più un muso, come quello di un labrador, anche se un po’ più bastardo; mi fissava e voleva farmi pesare ancora di più la sua presenza. “C’è un pacco per lei, signore.”- mi fece con un po’ di superiorità- “Una firma qua”. Guardai Kelsie che intanto non aveva cambiato la sua posizione sul divano, poi diedi una sbirciata all’orologio del
corridoio e sì, firmai con una X. Non che fossi analfabeta, anzi, solo che mi rosicava il fatto che quello spilorcio poteva scorgere una parte di me osservando la mia scrittura, cosa che comunque non sarebbe successa, siccome non guardò minimamente il foglio, ma approfittò della pausa e si pulì gli occhiali; mi consegnò il pacco, che pesava come la sua camminata quando se ne andò qualche attimo dopo. Lasciai il pacco appena dietro la porta, vicino al portaombrelli. Faceva un caldo in quella casa, atroce, devastante.. Io e Kelsie ci eravamo trasferiti qua un paio di settimane prima, un appartamento che papà dava in affitto a una mezza famiglia di origini non bene definite. Svaligiarono in poco tempo, a dire la
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narrativa
verità, li incitammo noi a farlo, siccome non ne potevamo più di girovagare di motel in motel visto che dormire nel salotto della casa di mio padre e ora dei miei fratelli non c’andava affatto, o meglio ci sarebbe pure andato, ma il cane di mio fratello più grande aveva un alito così schifoso e terribile, e i bambini, cioè i miei nipotini, facevano un gran baccano, sì perché io ho il sonno leggero, di solito mi sveglio due volte la notte, la prima per lavarmi i denti e togliermi quella secchezza in gola che le sigarette mi davano, e l’altra per fumarne un’altra, e non avevo voglia di essere svegliato per altri motivi. Comunque, sta di fatto che il 14 febbraio di quell’anno ce ne stavamo a guardare un film scadente sul canale locale, l’unico che prendeva in quella parte di città, mentre il pacco, che non avevo voglia di aprire, stava ancora lì.
in quella casa, o meglio, un urlo silenzioso, come se questi (CHI?) fosse rimasto sporcato, danneggiato, a tratti ferito dalla nostra apatia. Li riconobbi quei libri, e risi, o comunque accennai alla risata; erano le copie rimaste invendute dei miei racconti sul Nazariantz Week, un giornalino che stampava un armeno che aspirava a diventare un grande editore, finendo per lavorare in un centro di consulenze chiamato. D.A.F., anche se non mi ricordo bene il significato.
Sta di fatto che anch’io un tempo scrivevo, tiravo fuori le viscere e ci ridevo sopra, o almeno speravo di riuscirci. Non andò come previsto, e il resto è stato un vagabondare tra la mediocrità e le topaie. Comunque ripensavo ad una vita che credevo persa, quasi mai esistita, a quella recensione di un importante critico, che figurava sul dietro del libro, inventata, ma ora ritrovavo le forze per andare Uscii a fare due passi, non c’erano più le in bagno e fumare alla finestra e dire ai passanti che ora sì: mi ricordavo cosa vecchie vie, il pub di Jimmy, l’ospedale di Harvey, la ditta del mio ex capo. Era- significasse D.A.F. ,Diritto alla Felicità, sí vamo vicini ad un quartiere benestante, quell’armeno aveva una bella fantasia, e io allora per scherzare gli dissi che suoe lì passeggiavano delle gran donne, non di quelle che s’ubriacavano nel cor- nava meglio F.D.A.F, Fottutissimo Diritto tile del mio vecchio alloggio, no, queste alla Felicità. erano donne vere, e una di queste aveva un abitino, che di rado avevo visto nella vita, o meglio solo in televisione, che aveva disegnate delle margherite che Dio se le risaltavano i fianchi, e poi le cosce, sì le cosce, non quelle che si lasciavano andare sotto alle minigonne delle caffettiere delle nostre parti, no, cosce che mi facevano uscire dal mio corpo. Loro non mi notavano affatto, comunque, e avevo fame, ma non potevo pranzare qua, costava troppo, dovevo tornare vicino a casa a farmi un sandwich e sì, accontentarmi delle minigonne delle caffettiere. Dopo tornai a casa, Kelsie aveva cambiato posizione, questo sì, ma per il resto, nessun mutamento, il pacco era lì. Lo aprii, sì, c’erano dentro dei libri. Familiari, molto, dannatamente familiari. Kelsie s’era addormentata, e c’era silenzio
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Ovvero l’Italia è una repubblica fondata sul Meridione Paolo Bontempo, 2D (Con postfazione di Aristide Massaccesi) Uansanaponataime in small villaggius in Lazius, ‘na lupa qua stava cagando. Sed, a un certus puntus, uscit qualcosa qua cacca non erat: shit, these are two pueri! “Who siete?” she ask “Romulus et Remolus” risposerunt. They are multo affamati, so begannero tu be allattaty by the Lupa(called Lucia, wife of LupoLucio). Dopus 9 anni they erano annoiati dalla monotonia of their life, so deciserunt to andare a caccia(real caccia, non Strocchia’s caccia). They meeterunt un cervo, but when Romulus sparò(Fonte non attendibile), the animal became Francesco Totti, who said “Ao, ao, c’è solo un capitano, un capitaaaaano, c’è solo un capitaaano” Romulus risparò(fonte non attendibile) Totti, who was dead, infelices. At this point they Meeterunt another Francescus, Papa Francescus. Papa Francescus, when videt the fucile of Romulus si spaventò mucho. So, look in the occhi i due gemellini, et cum summo gaudio et divina calma, after e segnus of crocem, said: “Pax” But Remulus et Romuls testae di cazzum erant, and their conoscentia of Latino was scarserrima(like Sarpina scientia), ed they crederunt that “Pax” significabant “Pazzo”. So, Romulus, incazzatus negrus, shouted: “Pax a chi? EEE? Je t’uccido” so caricò er fucilozzo, et lo puntò against Papa Francescus who started to bestemmiare(fonte non attendibile). But, a certain point, Remulus, fortasse
per volontà divina, stopped his brother and disset: “Romulus, ce siamo capiti sur fatto che sta’ noiata qua è ‘na strunzata ppe’ terza paggina, però adesso non è che ce potemo mettece’ a uccide’ Papa Francesco, eccheccavolo, qua ce fanno fori, lascia stà’, che è pure un brav’omo, er Papa Buono 2”. So Romulus non premmettes il grillettus, but Papa Francescus costrettus fuit a dimeettersi for his scandalistic bestemmie like “Zio perino” or “Maduna me”. Remulus divennet Papa, with the name of Papa Francescus Due.
Terza paggina
History of Rome Antica Parte 1
TOBIA CONTINUA (TO BE CONTINUED) ( TO BE CONTINUDE)(TO BE CONTINDUE) SENSAZIONALE POSTFAZIONE DI ARISTIDE MASSACCESI La chiesa cattolica ha deciso di censurare questo scritto perché lesivo nei confronti della figura di Francesco, Totti. Detto ciò, parlando con l’autore sono riuscito a capire che la sua satira\ merdata era volta esclusivamente a ridicolizzare Papà Francesco, papà di Papa Francesco, che fa di nome Papà, appunto. Mi chiedo se sia possibile, ancora oggi, che la libertà di Stampa venga osteggiata con tanta sfrontatezza. Invito, pertanto, tutta la popolazione Bergamasca e dintorni a non andare in Chiesa domenica mattina, per dimostrare quanto questi atti, che limitano il nostro essere, debbano essere condannati. Tutti i cinema quel giorno saranno aperti per proiettare l’ultimo dei miei capolavori, alle 10.30, il costo del biglietto è ridotto se rinunciate alla casa del Signore. Accorrete numerosi.
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IPSE DIXIT – MILLE MILA COSE CHE POTREBBERO ANCHE FARVI RIDERE PREMESSA: questa premessa non è un ipse dixit. A questo punto metà di voi non sarà andata avanti a leggere per la delusione, l’altra metà invece ha continuato illudendosi che effettivamente fosse un ipse dixit(B.P) PREMESSA 2: per motivi di grafica abbiamo dovuto fare economia di alcune vostre mirabolanti battutone, ce ne scusiamo.(B.P) In realtà le ho tagliate perché non mi piacevano. (l’inconscio di B.P). Stai zitto.(la ratio di B.P). Rissa, rissa, rissa(l’egocentrismo di B.P) PREMESSA 3(DELL’ESIMIO DOTTOR PRESIDENTE): l’estasi misticisticamente portentosa nel rigorismo kantiano dell’esegesi BrunianaCopernicana in guisa di onomatopeiche massime sentenziosamente riunite a genuflettere la corrispettività dell’anaciclosi stoicoepicurea spaziotemporalmente indefinita. Inconfondibilmente sarpinevole la germanica scelta lessicale nella latinizzazione grecista della superficialità mascheroniana. -Dottor Presidente
VD Messi: “E se ne interrogassi un altro? Mhm... L’anaconda ha ancora fame!”
Non vale cambiare sesso!” Messi: “Attilio è easy nel suo modo di vivere” Messi: “Primo della schiera romana delle anime che si reincarnano è Silvio... Silvio è ovunque” Messi: “L’anno prossimo potrei prendere una quarta Francesca: “Per forza profe, la vedono all’open day e la trovano così simpatico che la vogliono tutti” Messi: “Certo, poi sono pure figo, vesto nero che snellisce, ho un po’ di pancia, ma si sa che nell’uomo fa sostanza... Non vi siete mai chiesti perché agli open day mettono sempre me e Cubelli?” Messi: “A san Valentino potete inviare alla vostra ragazza delle ginestre con scritto ‘sii la mia ginestra!!’”
IIA
Raffaelli: Nessuno degli insegnanti precedenti ha avuto problemi con il registro? Messi: “Nel sermo gravis si dice cortigia- Classe: Si Mangini, ma... na, nel sermo mediocris etera, nel sermo Raffaelli: Ma? Se l’è cavata con filosohumilis.. beh... la moglie dello zoccolo!” fia?! Cuccoro: “Interroghiamo la signorina S. e la signorina D... E ora un cavaliere...
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Strocchia: (spiegando Tasso) Rinaldo è
Marianna: mah sì, come dice… Ehm, non è Umberto Eco… Non è Benedetto Croce… Non è Kant… (era Spinoza)
Mazzoleni tossisce Mangini: Alessandra, vedo che nonostante il piede rotto continui ad andare in giro di notte
Elzi: correggiamo il numero 609, che ha creato non pochi problemi! Argi: ma era una ca**ta! Pusi: Argenziano, che principessa…
(spiegando Michelangelo) Buonincontri: Ragazzi, guardate questa immagine come è spigolosa, cioè se prendiamo una gomitata dalla madonna la sentiamo, eccome se la sentiamo.
Frattini: cosa c’è in un qualunque locus amoenus? Che sia Kos, Siracusa o Brusaporto…
Cuccoro: Vincenzo di Benedetto è recentemente scomparso... Beatrice: Dove è andato?
Gentilini: c’è poco da dire, quando vedete cosa ci hanno lasciato i Micenei… Sembra proprio che dicano: “poche palle. Siamo Micenei”.
Terza paggina
un toy boy nelle mani di Armida. Invito i maschietti qui presenti a fuggire sempre da queste situazioni
Milesi: Tiziano era un boss per la commitCamilla: Prof volevamo chiederle un’ora tenza per fare l’assemblea di classe... Strocchia: Ah ragazzi, va bene, ma sono Zappoli: la persona colta, in Europa, parlava francese… Elzi: Oui. 60 gocce del mio sangue.
IIB (dopo un’ora e mezza) Ravi: Ah ma non c’è Bailo! Pusi: sì Ravina è malato da due giorni… Sempre sul pezzo, eh Ravina!
Pusi: quindi, Maxwell ipotizza l’esistenza di un diavoletto che apre e chiude la finestrella in un senso solo… Elzi: profe, ma lei sa il nome dello spacciatore di Maxwell? Elzi: vado a cercare il prof. Giaconia Pusi: ma perché pover’uomo?
Milesi: Di Vita, vieni! (Divvi si alza urtando tavoli e ribaltando sedie) Milesi: sì… Con un aplomb degno di Oscar Wilde…
IIIB
Zappoli: devo mettere delle note? Mi volete LOGORARE PSICOLOGICAMENTE?!
ZAPPOLI, guardando una foto di Mussolini: “Guardate qui, è a torso nudo! Ma quella è pancia o sono addominali? Graaande dilemma.”
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RONDI: “Gotti, tell me the difference between farm unit and factory unit!”
BONAZZI: “Ma io vi picchio! Anzi, io metaforicamente vi picchio!”
GOTTI: “Well, in the factory unit you don’t kill your chickens to feed your family: you buy a lot of chickens, then you ZAPPOLI: “Gesù Cristo, quel povero sell half of the chickens and you use the cristo, cosa ha fatto nell’orto del Getseother half of the chickens to make new mani?” chickens!” RONDI: “Ehm.. Well.. Ok.” (se non avete capito un cazzo ci dispia- BONAZZI a Diego, in interrogazione: “Bada a come rispondi: guarda che la ce. ndr) finestra è aperta! Mi vengono certi istinti..!” BONAZZI: “Masserini, dove abiti?” MASSERINI: “A Presezzo.”
ZAPPOLI: “Ma tu, Gotti, hai già ottenuto qualche risultato in questa scuola!”
BONAZZI: “Beh, Presezzo non è Canicattì! GOTTI: “Sì, ho imparato a leggere.” Io il ritardo te lo metto.”
Viky bussa e chiede di fare un discorso ZAPPOLI: “Se io vi dico: siete servi della alla classe; Zappoli lo caccia in malo gleba! voi ci rimanete male? Ora che ci penso, è anche un disco punk.. Ma di modo. chi?” GOTTI, pochi secondi dopo: “Ha fatto bene, profe! Quella barba era sospetta: MARIA: “Elio e le Storie Tese, profe!” secondo me era un testimone di GeoZAPPOLI: “Ah, sì, ecco, quello là. Bravo, va..” vero? Ma.. stiamo divagando?” ZAPPOLI: “Allora: non diamo la colpa a Hegel per i campi di sterminio: lui non SIGNORELLI: “Io ve lo faccio l’esempio, però non mettetemi su Cassandra! Dun- c’entraaaa!” que, se io fossi un piccione su un filo..”
SIGNORELLI: “Sai, stanotte ho sognato te, Crippa: mi perseguitavi! Una persona insospettabile, tra l’altro, perchè sei così bravo.. Non sei uno di quei rompiscatole, insomma!”
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Dieci minuti dopo, a Maria: “E’ la terza volta che lo ripeto, ora basta! Ecco, te dovevo sognare..!”
RONDI: “Ma perchè io la conosco la psicologia dello studente: fate sempre altro rispetto a quello che si sta facendo! E quindi quando c’è inglese fate matematica, quanto c’è matematica fate latino, quando c’è latino fate.. fate.. no, ok, fate latino.”
MILESI: “E questi artisti non piacciono
molto alla critica. Non dico gatti morti lanciati sul palco, ma.. quasi.”
BONAZZI: “..e Isocrate ha insegnato fino all’età di 98 anni.. E io mi chiedo come abbia fatto a mantenere i nervi.”
ZAPPOLI, dopo una visita in aula della moglie: “Il matrimonio è una prigione.. Non la auguro a nessuno! Ahah!”
ZAPPOLI: “Quando io dico credenza non intendo il mobile della cucina.”
BONAZZI: “Si chiama chiasmo.”
MILESI: “E loro sono contro il capitalismo! Nel senso: se abbiamo un golfino non ci serve un golfino di un altro colore la stagione dopo, perchè quello vecchio scalda uguale!” GOTTI mostrando le maniche mooolto corte del suo golfino: “Non se lo lava mia madre!”
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BONAZZI: “Dovrei raccogliere queste vostre versioni e conservarle come fàrmakon per la depressione.”
MASSE: “A.. sandwich..?”
STEFI interrogato: “Aspetti un attimo, che faccio mente locale!” BONAZZI: “Che non ti saltino fuori di queste frasi durante il colloquio per uscire da questa galera..!”
BONAZZI, parlando della datazione dell’Edipo Re: “Tu dici nel ‘40. E se io ti dicessi nel ‘14?”
ZAPPOLI: “..e era già presente, ad esempio, anche nell’Impero Romano..” STEFI: “Beh, a me sembra un po’ tardi, però se lo dice lei vuol dire che è giuGOTTI: “Quo vadis?” sto..” ZAPPOLI: “Esatto. Ma anche Ben Hur.” GOTTI: “Eh sì ma a mia nonna piace di più Quo vadis?.”
SILVIA, traducendo un epigramma di Nosside: “..Mitilene dalle belle piste da ballo..” BONAZZI: “Ma come dalle belle piste da ballo?! Non stiamo mica parlando delle balere della Bassa Padana!” Poi, indicando se stessa: “Mai stata, eh!”.
BONAZZI: “Questa situazione è a dir poco imbarazzante. -.- E se io ti dicessi nel ‘23?!” STEFI: “Ma mi sta prendendo in giro?!?!”
MILESI: “...E questo nudo di Modigliani ebbe ancora il coraggio di fare scandalo nel 1917. E a Parigi, tra l’altro, mica a Bottanuco di Sopra!”
BONAZZI: “E che disposizione è?”
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IVB L’innominato: “ Ragazzi denunciamo Achille al WWF per inquinamento del fiume Xanto?!”
Interrogazione di epica
Innominato: “ D’Annunzio: alto 1,63, calvo, grassoccio, senza un occhio, contava 3000 donne, 3000! A confronto Berlusconi è un chierichetto.”
Cubelli post battuta pessima: “In Cina hanno molto riso.”
Ari: “Clitemnestra andò con Egisto” Innominato: “ Andò?! Ma non è italiano, Danny: “ What is the name of your questo è bergamasco italianizzato: chel’ ted? Oh..his name is Teddy. Oh ye, le’ ol và con chela le!” of course… What is the name of your mum? Mum
Innominato: “Che lavoro svolgeva?” Interrogato:” Ehm..insomma.. la..” Innominato: “La donna pubblica, come esistono i cessi pubblici ci sono anche le donne pubbliche!”
VB Bonazzi: Allora, Vailati, in Baudelaire abbiamo la fuga del poeta dalla terra… Vailati: al mare? Bonazzi: No, se non è terra né mare, sarà… Vailati:…. Bonazzi: Vailati, conosciamo Modugno?
S: “Aiuto, qualcuno che mi spieghi la ter- A Carminati cade un Cracker per terra, za guerra persiana? sia lei sia la Picci lo fissano per qualche minuto: Carminati: Profe, lo mangio comunque? Piccirilli: beh claro Carminati! I miei figli Innominato: “Aspasia non era una don- da piccoli leccavano il pavimento na dal consumo rapido” Piccirilli: (spiegando il periodo ipotetico): Se mio nonno avesse tre gambe sarebbe una cariola Innominato: “ Chi è Agesilao? Il gatto di Brunetta? “ Piccirilli: Ruch, emancipati dalla tua condizione di “Potapota” di Zogno. Scrivi: ”Sono facinoroso: ciò significa che sono il figlio del bocia e vado allo stadio ogni Campanelli : “ X per favore fatti un radomenica” gazzo, sei sessualmente repressa e molto arrapata” Piccirilli: Chi conosce Pingu conosce la vita
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Innominato: “Questo tema è una Chernobyl sintattica!”
Pusi: Mazzoleni finiscila, altrimenti domani vorrò vederti arrivare a scuola indossando i leggins galassia
Piccirilli: qualcuno ha fatto una buona versione, qualcun altro ha fatto la pipì fuori dal vasino (Ci scusiamo per gli accenti ndr)Bonazzi a Mazzoleni: hai una τολμη che rivendica νεμεσις, poiché stai al primo banco
e non ascolti. Sappi che sei sul filo della υβρις. Picci a Mazzoleni che ha appena starnutito: Ma io non lo so, sembri un tricheco in calore Bonazzi: Ruch vieni fuori con i promessi sposi Ruch, ancora vestito da vigile con tanto di pistola nella cintura, esce interrogato: scusi, prof, mi tolgo questi, abbiamo appena fatto la foto di classe per l’annuario Bonaz: No, no, non mi dà fastidio. Mi sarei spaventata se ti fossi voluto levare qualcos’altro
Terza paggina
Mazzoleni e Betelli si lanciano incantesimi a mo’ di Harry Potter, Picci li vede. Betelli lancia la bacchetta a terra, Mazzoleni si nasconde dietro la schiena. Picci: Mazzoleni, che hai dietro la schiena? Mazzoleni: Chi, io? Niente Gli cade la bacchetta, Picci la afferra e lo rimprovera agitando la bacchetta
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Sapresti fare di meglio? Che noia un giornale senza immagini per ben ventidue pagine? C’hai tutta la suite di Adobe crackata che nemmeno i peggio hacker e non sai che farne?
Terza paggina
Cassandra è impaginata a merda?
Nella vita volevi fare il grafico ma i tuoi ti hanno obbligato a fare il Sarpi? Sei un nerd mega di InDesign o semplicemente sai usare bene un qualsiasi programma di impaginazione? Vuoi offrire alla collettività il tuo innato talento informatico?
a r d n a s cas Hai lo sbatti?
!
TE I D O N G HA BISO
Cerchiamo giovini e volenterosi grafici già avviati all’utilizzo di software a cui sbolognare affidare il prezioso compito dell’impaginazione. Se sei interessato vieni in redazione il Sabato in sesta ora o contatta la direttrice!
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LA REDAZIONE DIRETTRICE: Marta Cagnin, IIID VICEDIRETTRICE: Micaela Brembilla, IIIC SEGRETARIA: Marianna Tentori, IIB CAPOREDATTORI: AttualitĂ : Sara Latorre, ID Cultura: Andrea Sabetta, IIC Narrativa: Pietro Raimondi, IID Sarpi: Giulia Testa, IIIB Sport: Federico Crippa, IIIB Terza Pagina: Paolo Bontempo, IID IMPAGINATORE: Pietro Raimondi IID COPERTINA: Matteo Cereda, III I ILLUSTRAZIONI: Silvia Caldi IIIB, Lucia Marchionne, Laura Gabellini e Clara Rigoletti, VE REDATTORI: Giulia Argenziano IIB, Batman VE, Bianca Bona IVB, Silvia Caldi IIIB, Adele Carraro VC, Selene Cavalleri IE, Martina Di Noto IE, Chiara Donadoni ID, Valentina Fastolini IVC, Camilla Finzi IVD, Riccardo Ghislotti IVE, Gaia Gualandris VF, Federico Lionetti IIC, Roberto Mauri IVD, Caterina Moioli VF, Pietro Micheletti VB, Elena Occhino IF, Alice Paludetti VF, Michele Paludetti IIC, Matilde Ravaschio VE, Elisa Salvi IE, Sofia Savoldi VB, Giorgia Scotini VC, Elena Seccia VE, Jacopo Signorelli IVC, Valeria Signori ID, Paolo Sottocasa IIIA, Giovanni Testa IVC, Sara Testa VF, Giorgio Trussardi IVC, Eleonora Valienti VE, Chiara Maria Viscardi VC, Giulia Vitale ID, Sara Zanchi ID, Marcello Zanetti IIB