Cassandra dicembre 2015

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CASSANDRA

Numero 77 | Anno 19 | L’incertezza


L’incertezza di un editoriale mal scritto Mi è stato detto di scrivere un editoriale. Il problema è che non ho la più pallida idea di come si faccia. Ho rispolverato il mio “tessoro” (ovvero tutti i numeri di Cassandra in mio possesso) e mi sono messa a leggere. Ho pensato a quando sentivo dire a “quelli grandi” che l’editoriale era una tortura, che non sapevi mai cosa inventarti e che in realtà ci sono stati direttori o vicedirettori che non hanno mai scritto nulla e che pagavano altri che lo facessero al posto loro. Poi, chissà come, la prima pagina di Cassandra si rivelava il premio Pulitzer dell’anno e l’unica che finivo per leggere sempre insieme agli articoli scritti di quei liceali che mi mettevano soggezione nei corridoi ma che ho sempre stimato. In entrambi i casi a fine lettura ricordavo un terzo di quello che avevo letto, ma in un certo senso era come se tutto avesse acquisito un po’ più senso. Ovviamente tranquilli: è normale che questo editoriale vi sia sembrato patetico, melenso o senza un filo logico. Quello che vi interessa sapere è che nelle pagine a seguire si parlerà di incertezza, che se non capirete che si sta parlando di incertezza è perché al momento delle votazioni eravamo tutti un po’ incerti e che l’unica cosa certa è che la mia ironia è pessima. Buona lettura, Beatrice Caniglia, I A P.S: Dal momento che, quando ho scritto questo editoriale, l’aria natalizia non si respirava ancora, mi tocca farvi gli auguri in un post scriptum: quindi BUON NATALE A TUTTI! A chi, invece, al Sarpi ha messo piede in occasione dell’Open Day consiglio di fare un pensierino, anche solo piccolo, su questo liceo perché chi, come me, dice che ne vale la pena forse non ha tutti i torti.

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Deh, che l’indice lo sai già, leggiti questo invece: 3x3 motivi per cui l’ASS is not an ass 1. ASS significa “Associazione Studenti Sarpi” e tu sei uno studente del Sarpi 2. ASS non significa soltanto “Associazione Studenti Sarpi” 3. Finanziamo le festicciuole al Polaresco e al Lazzaretto 4. Contribuiamo alla stampa di questo meraviglioso Cassandra 5. Offriamo tante vantaggiose (e anche gustose) convenzioni, una delle quali ci permette addirittura di studiare di più e meglio con il prof. Cortinovis 6. Abbiamo nel sangue lo spirito del Natale e possiamo vantarci dell’acquisto dell’albero della scuola 7. Poche riunioni, ma tutte produttive 8. Accogliamo proposte e opinioni di ogni membro e ci impegniamo a realizzarle, come abbiamo fatto l’anno scorso sostenendo l’Associazione Aiuto Donna 9. Oggi socio dell’ASS, domani Presidente del Consiglio Martina Di Noto, III E

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sarpi FUSO ORARIO Parto o non parto?

“L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane”, scriveva Bauman nella sua opera intitolata “L’arte della vita”. L’incertezza è stata la mia fedele compagna per mesi, prima di partire per un anno scolastico negli Stati Uniti. Non avevo la certezza di nulla: non sapevo come mi sarei trovata nella mia nuova famiglia, nella mia nuova scuola, nella mia nuova vita. Non sapevo nemmeno se i miei rapporti con l’Italia sarebbero rimasti gli stessi. È stato come fare un salto nel vuoto. Da sola. A mani legate. Senza paracadu-

te. Ho preso il rischio di fare un salto nel buio, non sapendo se sotto avrei trovato un morbidissimo materasso o un cespuglio di rovi. L’incertezza è insita in noi, ma per trovare la felicità è necessario accettarla, renderla parte di noi e correre il rischio. Io, da parte mia, ho mollato tutto e sono partita con l’incertezza totale, ma sono tornata con la certezza di ogni cosa. Quindi, partite, lasciatevi alla spalle tutto quello che rende la vostra vita triste, noiosa e monotona, lanciatevi nel vuoto. Sono sicura che anche voi atterrerete su un soffice e morbido materasso. Marina Bagini, III A

Cari i nostri rappresentanti Il 1998 è l’anno della Tigre secondo il calendario cinese. I nati sotto il segno della Tigre sono dotati di una personalità magnetica, amano l’indipendenza ed essere autorevoli. Il loro fascino e l’eccezionale carisma non vi lasceranno scampo, ne sarete irrimediabilmente ammaliati. Ma

attenzione, i Tigre sanno essere anche molto indifferenti, freddi e orgogliosi. Il caso vuole che i quattro rappresentati di istituto siano nati tutti nel 1998. Coincidenze? Non vi conviene diffidare dei mangiatori di riso, Bruce Lee potrebbe farvi a pezzi a colpi di Kung Fu.

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sarpi ALESSIA BERTULESSI

MICHELE LURAGHI

Quella della rappresentanza d’istituto è per te una nuova esperienza. Ti senti all’altezza del compito?

Questo è il tuo secondo anno da rappresentante d’istituto. Cosa intendi riproporre e cosa invece non rifaresti?

Spero di esserlo! Per me è un’avventura totalmente nuova ma sono davvero felice della fiducia che mi è stata data da tutte queste persone. Mi auguro quindi di non deludere le loro aspettative.

Quest’ anno vorrei riproporre attività come Apericena e Tendata, che si sono dimostrate molto divertenti. Inoltre vorrei indire nuovamente la competizione per la grafica delle magliette della scuola. Una cosa che sicuramente deve migliorare è l’organizzazione della cogestione, che l’ anno scorso non è stata presa abbastanza seriamente.

Gli obiettivi della vostra lista erano numerosi. Pensate di riuscire a realizzarli tutti? Sì, le nostre sono state sin dall’inizio proposte che sapevamo di poter attuare, quindi ora ci impegneremo a realizzare quei grandi obiettivi che ci siamo prefissate. Ti trovi bene con gli altri rappresentanti?

All’assemblea di presentazione ai quartini avevi dichiarato che non ti saresti ricandidato. Cosa ti ha spinto a cambiare idea? Sono una persona incoerente… Scherzi a parte, mi ha convinto Mattia dicendomi che c’erano pochi candidati e, siccome l’anno scorso alcune cose non sono andate come speravo, vorrei farle funzionare.

Moltissimo, Eugenia è una delle mie migliori amiche e con Michele e Mattia ho avuto un ottimo rapporto sin dalla quarta ginnasio, quindi credo e spero che questa si riveli un’intesa Dicci Michele, brucia essere vincente. arrivati secondi rispetto alle Dicembre 2015 | 5


sarpi ragazze? Non molto perché la maggioranza degli alunni del Sarpi è di sesso femminile quindi è normale che diano più fiducia alle ragazze. E poi, detto tra noi, Gambe è brutto! Comunque spero di convincere chi non mi ha votato.

rispetto alle ragazze di Spezialista? Avendo avuto due seggi, abbiamo dato il massimo, anche perché eravamo una minestra riscaldata. Io e Larry (Michele Luraghi, ndr.) siamo molto legati e probabilmente sono le nostre numerose differenze ad unirci.

MATTIA GAMBERONI

EUGENIA BORGONOVO

La vostra lista ha presentato molte proposte. Pensate di riuscire a realizzarle tutte?

Perché hai deciso di candidarti come rappresentante d’istituto?

Sì, infatti quest’anno abbiamo puntato a proposte umili e assolutamente realizzabili. Cosa ti ha spinto a candidarti? Preferivo spendere per la mia beneamata scuola che al fantacalcio (anche perché non sono molto portato per il calcio). L’anno scorso hai perso alle elezioni. Come ti senti quest’anno ad averle vinte? Responsabilizzato, umile e allo stesso tempo fantabuloso.

Perché volevo mettermi in gioco in un ambito nuovo, in cui non ho mai fatto nessuna esperienza, per poter imparare qualcosa. Qual è il punto della vostra lista a cui tieni di più? Il punto a cui tengo maggiormente è quello del cinema e dei libri, perché penso che sia rilevante dal punto di vista culturale, e poi gli sconti e le convenzioni con i vari negozi di Bergamo. Maria Chiara Misiani IV^E, Martina Pesenti IV^E, Alice Rota IV^B e Chiara Ubiali IV^B

Brucia essere arrivati secondi 6 | Dicembre 2015


sarpi Prime impressioni da quartini Eccoci noi quartini, a guardarci negli occhi l’un l’altro cercando di capire per quale folle motivo abbiamo deciso di avventurarci in questo mondo nuovo e sconosciuto. Ci sentiamo ancora abbastanza spaesati quando attraversiamo i corridoi monumentali e, nuotando con foga, cerchiamo di rimanere a galla in questo mare di novità che ogni giorno ci sorprende sempre di più. Se fino all’anno scorso la maggior parte di noi se ne andava a scuola comodamente seduta sul sedile di un’auto, da due mesi a questa parte rischiamo di morire di soffocamento su pullman troppo pieni, a forza di scannarci come animali per un posto a sedere. Vogliamo parlare di quanto sembriamo bambini in confronto agli studenti dell’ultimo anno, e di quanto all’intervallo ci sentiamo in dovere di lasciarli passare avanti nella fila alle macchinette? Altro grande impatto è stato entrare a contatto con il greco e il latino, lingue che per ora riusciamo a stento a leggere… speriamo di riuscire presto a comprenderle e ad apprezzarle.

Per non parlare della prima volta che abbiamo dovuto prendere in prestito dei dizionari d’inglese dalla biblioteca: ci sentivamo quasi delle ladre un po’ impacciate, tenendo sotto braccio quei volumi pesanti, mentre il nostro nome veniva registrato nell’inquietante Death Note della bibliotecaria. Le elezioni dei rappresentati di classe e di istituto, con la relativa campagna elettorale, sono state invece una bella novità: è stato interessante assistere a un’assemblea in cui tutti i canditati cercavano a modo loro di guadagnarsi più voti possibili (perfino con la distribuzione illegale di dolciumi), come se il nostro voto da quartini potesse contare qualcosa. Insomma, siamo ancora sconvolti da queste bizzarre abitudini sarpine, ma siamo consapevoli del fatto che ci sono passati tutti e che riusciremo a trovare il nostro posto in questo piccolo grande mondo.

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Alice Rota, Chiara Ubiali, IV^B


sarpi

FUSO ORARIO Saludos desde Mexico Mai avrei pensato di avere il prestigioso onore di ritrovare il mio nome stampato tra le pagine di Cassandra, il giornale tanto amato dai sarpini. Eppure eccomi qua! Per chi non mi conoscesse, sono Marta e faccio parte della fantastica II^D, anche se quest’anno in modo un po’ particolare. Sono una Exchange student e sto vivendo il mio quarto anno di liceo in Messico. Mi è stato chiesto di condividere parte della mia esperienza con voi e quindi cercherò di soddisfare la curiosità e l’interesse che mi sono stati rivelati da parte di alcuni di voi, raccontando come e perché sono partita.Prima di tutto credo sia importante che vi parli dell’associazione a cui mi sono rivolta perpartecipare a questa avventura, ovvero Intercultura. È un’associazione che ogni anno permette a centinaia e centinaia di ragazzi di tutto il mondo di vivere un’esperienza culturale della dura-

ta di due, tre, sei mesi o di un anno. Ho scelto di iscrivermi per curiosità e a novembre dello scorso anno mai avrei pensato di ritrovarmi ora dall’altra parte del mondo; soprattutto perché Intercultura in Italia, a differenza che in altri paesi, svolge delle lunghe selezioni, dal momento che il numero di ragazzi che vogliono partire sono tanti e il numero di borse di studio disponibili non sono sufficienti. Una volta superate le selezioni e quindi a partire da aprile, i ragazzi di tutta Italia che risultano vincitori iniziano a partecipare a degli incontri di formazione prepartenza. Durante questi incontri i volontari, che spesso sono persone che hanno vissuto quest’esperienza, ti raccontano e ti preparano per ciò che potrai vivere. Tuttavia, per quanto tutte le informazioni ricevute contribuiscano a creare aspettative, pensieri, curiosità e paure, solo al giorno della partenza ti rendi

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sarpi veramente conto di quello a cui stai andando incontro. Così il 18 agosto, dopo aver salutato i miei amici e la mia famiglia, ho lasciato tutto quello che fino ad allora aveva fatto parte della mia vita, per partire sola con la mia valigia e lanciarmi in questa nuova avventura. Sono partita per Roma, dove ho trascorso tre giorni con tutti gli altri ragazzi pronti a partire per il Messico. Finalmente il 21 agosto tutti insieme abbiamo preso il tanto atteso aereo e abbiamo lasciato l’Italia per raggiungere la desiderata terra messicana. Il viaggio è stato lungo e stancante, ma la felicità provata quando siamo atterrati è stata indescrivibile. Abbiamo passato altri tre giorni nelle vicinanze di Città del Messico conoscendo gli altri exchange students di tutto il mondo e dopo esserci salutati ognuno ha raggiunto il proprio centro locale di destinazione. Potrebbe sembrare strano, ma credetemi, è stato difficile salutare gli

altri ragazzi italiani. Sono persone che conosci da meno di una settimana, ma con cui hai condiviso forti emozioni nel giro di poche ore. Ti ci affezioni e forse perché in fondo sono quell’ultima parte di casa che ti rimane. L’accoglienza ricevuta dai volontari del centro locale di Toluca, la mia nuova città, è stato ciò che mi ha confermato la calorosità che solitamente si attribuisce agli americani del centro-sud America. Hanno accolto me e gli altri exchanger con abbracci e sorrisi, nonostante fossimo persone per loro sconosciute. L’arrivo in famiglia e l’inizio della scuola non sono stati facili, ma fortunatamente sono sopravvissuta e per ora sta andando tutto bene. Ho veramente tante cose da raccontare e sono felice di poterlo fare tramite Cassandra. Non vedo l’ora di scrivervi nuovamente, chissà su quali stravaganti aneddoti della mia esperienza messicana.

Marta Duina

Anouanauei della bassa I pomeriggi d’estate da piccola io li passavo tra “Paso Adelante” e “Dawson’s Creek”. Al cre non c’andavo, perciò degli aspiranti ballerini coi drammi d’amore e un aspirante regista in perenne crisi adolescenziale erano lo zenith delle mie giornate.

Nelle sere d’inverno a 18 anni io studio, e quando ho finito di studiare studio ancora (cit. Paris di “Una mamma per amica” e velata frecciatina ai profe della 3’D che, sicuramente con le migliori intenzioni, ci stanno uccidendo). Ora, mettiamo che io abbia una

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attualità vita sociale (no) e che il sabato sera voglia uscire (mmh). Mettiamo che io viva a Ghisalba (ahimè, sì). Le fantasmagoriche possibilità che il ridente paesello della Bassa mi offre sono l’oratorio e la Locanda. L’oratorio lo escludo, senza offesa eh, e la Locanda pure, perché non amo né le risse né i 2005 in coma etilico. Bene, la conclusione è che, se non ho un passaggio per Bergamo o per altri luoghi interessanti, il mio sabato sera si consuma davanti allo streaming di “Orange is the new black”. Nei paesi come il mio, piccoli e campagnoli, dove una coppia che divorzia fa scalpore, la politica giovanile non esiste. Non ci sono attività, non ci sono spazi, non c’è proprio la concezione

che un adolescente possa voler far cose diverse dall’andare a zonzo. Se sei un tipo da oratorio e Locanda non c’è problema, ma se hai l’immensa sfortuna di contemplare altre cose, ti tocca una “ostinata nera orrenda barbara malinconia” stile Leopardi. E’ un problema serio. Lasciare i giovani senza punti di ritrovo e senza possibilità che vadano un po’ al di là del mero passare il tempo significa negare loro una parte consistente della formazione. C’è gente che vuole conoscere altre culture, parlare di arte, fare musica e teatro anche nella Bassa. Forse gli improbabili personaggi come Dawson e Lola mi piacevano così tanto perché aspiravano a qualcosa, perché “anouanauei”, “Io non voglio aspettare”. Sara Latorre, III D

Sulla perdita di identità nazionale

E' ignobile come ci stiamo allontanando dall'identità nazionale, senza provare a riavvicinarcisi, senza averne i mezzi. Specialmente nei giovani, miei coetanei, vanno dilagandosi un'indifferenza ed una vuotezza preoccupanti. Ciò che rende un Paese unitario, con un'identità, sono sempre

state le arti che gli appartengono. Nel caso di noi italiani, in particolare, la musica e la letteratura. Per parlare della prima, si pensi solo che i concerti della seconda metà dell'Ottocento erano anche salotti politici ed intellettuali. Quando Giuseppe Verdi componeva il celeberrimo "Va' pensie-

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attualità ro", quando donava alla "patria si' bella e perduta" quella bellissima forma di note perfette, pensava all'Italia, pensava a noi. Quel popolo oppresso e schiacciato del Nabucco era il popolo degli italiani che, smarrito e impotente, brancolava nell'incoscienza e si lasciava soggiogare. Gli italiani si identificavano in questi poveri ebrei e si rafforzavano, facendo di tante persone una cosa sola, grazie alla consapevolezza dell'unico bene che avevano: l'identità di Nazione. Ora cosa abbiamo? La musica moderna naviga nel tremendo mare dell'omologazione, che con violentissime onde distrugge ogni forma di carattere, di identità. La letteratura è stata in ogni epoca e per ogni civiltà il collante più potente: da essa, infatti, deriva la lingua comune. Cosa c'è di più importante della lingua in una popolazione civilizzata? Noi a stento siamo in grado di scriverla e di parlarla correttamente. Ce ne stiamo talmente allontanando che l'utilizzo di inglesismi nella parlata comune è sempre più frequente. Nell'età imperiale, a causa dell'espansione della civiltà romana, si diffuse

esponenzialmente il latino: era una lingua comune che permetteva la comunicazione in tutte le zone di questo vastissimo impero. Per analogia si può pensare che la sempre maggiore presenza dell'inglese e degli inglesismi nel parlato sia la testimonianza dell’esistenza di un impero: si tratta però di un dominio di tipo culturale, che grava su ciascuno di noi. Tutti stiamo via via iniziando a parlare la stessa lingua, diversa dall’italiano, non per necessità politiche o commerciali, ma per una tremenda ed incalzante omologazione intellettuale. La causa della perdita dell'identità nazionale è dunque l'inconscia incertezza intellettuale dettata dall'effluvio indomabile ed acritico di informazioni, che stiamo preoccupantemente disimparando a saper vagliare, sottomettendoci per conto nostro al giogo dell'ignava e passiva omologazione. Il mio appello è di cercare di non uniformarsi, di costruirsi un'intelligenza in grado di riconoscere ciò che siamo tramite ciò che siamo stati, cercando di creare ciò che saremo, indipendentemente dagli altri. Chiamatemi pure pessimista, ma il

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attualità declino intellettuale degli uomini a partire dalla seconda metà del Novecento è stato disastroso e non si è ancora fermato: tale piattume non farà altro che de-

generare nella fusione di uomini e automi, vuoti e freddi, senza personalità né identità. Alessandro Comi IE

Dalkurd supporter

In questi giorni, il caldo clima di inizio settembre sta infiammando i cuori di milioni di curdi, che si preparano a resistere con tutte le loro forze ai barbari guerriglieri dello Stato Islamico. Ma ciò che l’ISIS ignora é che il popolo curdo é abituato a resistere e pronto a combattere per salvare la sua gente. Il Kurdistan é una regione che si estende fra la Turchia, la Siria, l’Iraq e l’Iran. La sua popolazione é stata vittima, dai primi secoli del Novecento, di una durissima persecuzione razziale quasi unica al mondo, e continua tutt’oggi a essere perseguitata ed emarginata. In effetti,

non é facile accettare una terra in cui convivono pacificamente musulmani, cristiani, ebrei, persiani, armeni, azeri, osseti, turchi e un’altra cinquantina di etnie. Abbandonati da tutto il mondo, sotto gli occhi indifferenti della NATO, sono stati invasi dall’ISIS che ha iniziato a distruggere case, campi, templi e a spazzare via migliaia di vite umane. Ma non a Kobane. Qui qualcuno ha detto finalmente basta e ha accolto col piombo i nuovi arrivati: sopratutto le donne, dimostrando un coraggio senza precedenti, si sono schierate in prima linea per salvare l’umanità dalle

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attualità bande fondamentaliste. Dal 30 agosto il Kurdistan ha dichiarato la propria autonomia, strutturando la società su uno stampo anarchico, in cui non viene lasciato spazio a razzismo o discriminazione. Ma all’Occidente, che deve propagare a ogni costo l’idea che anarchia significhi caos, questo ovviamente non va giù. Al telegiornale sentiamo quindi parlare di guerra civile fomentata dai “terroristi” del PKK, il partito popolare curdo. Ma come si può definire terrorista un movimento che lotta per mettere fine a una repressione infinita, per instaurare un sistema democratico in Turchia e per difendersi dall’attacco dello Stato Islamico? Se si vuole giungere alla pace, bisogna assolutamente riconoscere lo Stato curdo e cessare le torture nei suoi confronti: difatti, negli ultimi 10 giorni, secondo l’Associazione dei Diritti Umani (IHD), sarebbero

stati arrestati 2544 curdi che, condotti nei centri di detenzione di Erdogan, avrebbero subito torture inaccettabili. L’Occidente deve quindi agire al più presto, se vuole davvero fermare l’ISIS una volta per tutte. Senza mezzi termini. In caso contrario, i comandanti del PKK sono stati chiari: non cesseranno il fuoco e, oltre a combattere sul fronte sud-orientale, affronteranno a viso aperto il governo razzista di Erdogan; questa volta non verrà fatto nemmeno un passo indietro e, se resistere li farà entrare nella lista delle organizzazioni terroristiche, saranno fieri di chiamarsi tali. Con questo articolo, voglio dunque portare tutta la mia solidarietà ai coraggiosi guerrieri curdi, affinché possano finalmente vincere la loro battaglia per la libertà e l’uguaglianza. Free Kurdistān!

Federico Costa I E

Generazione u o generazione boh? "Non mi ha mai convinto del tutto il concetto di generazione, almeno secondo l'uso del termine. Dal punto di vista alfabetico siamo ormai arrivati in fondo. Forse la lettera migliore, se proprio ne abbiamo bisogno, è la U, la "u" di "un-classifiable", "non

classificabile", "un-predictable", "non prevedibile", "un-catchable", "non afferrabile". La "u", dunque, di una generazione che si definisce, appunto, in base a ciò che non è. “ Queste sono le parole di PeterCameron, scrittore contemporaneo statunitense, che ha espres-

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cultura so la sua opinione riguardo la nostra generazione in un articolo inserito all’interno del numero di ottobre della rivista Vogue Italia. Parole colme d'ottimismo, speranza. E se non stesse accadendo proprio così? Se questa nostra generazione si stesse logorando, se ci stessimo strozzando, uccidendo con le nostre stesse mani? La gente indica, disprezza, deride, giudica. E noi tutti, tra le mura delle nostre scuole, ne siamo vittime. Beh, chi più, chi meno. Nelle classi abbiamo la gang dei "fighi", teppistelli strafottenti, sempre in contrasto con l'adulto, non curanti del resto del mondo. Abbiamo il solitario. Non l'ho mai capito il solitario. Si sente superiore o teme di non essere all'altezza? Abbiamo chi piange nei bagni, chi dorme sui libri, chi passa ore sull'ATB per non beccare quell'insensato "ritardo". Abbiamo l'anoressica, costantemente in conflitto con se stessa. Abbiamo l'omosessuale, di cui siamo tutti un po' gelosi: lui fa quel che gli piace, ne è fiero, combatte con le unghie e coi denti per la sua felicità. Abbiamo l'artista, estroso, unico e fors'anche un po' malinconico.

Il musicista, lo sportivo, l'amico. Oh, l'amico, tutti ne sono alla costante ricerca. Sì, siamo in molti, nessuno al proprio posto. Cerchiamo tutti l'indipendenza, col nostro essere forti e fragili insieme e con la volontà di essere semplicemente noi stessi. Mi chiedo sempre se tutti soffrono, se tutti soffriamo, di quest'adolescenza, di questa vita, di questa generazione, nel nostro intimo. "I suicidi non fanno più tanto rumore, in tuo onore ci sarà solo un minuto di silenziatore." "Non ci fermiamo alle precedenze, ma ci fermiamo alle apparenze, abbiamo più punti interrogativi che punti di riferimento; guardiamo tutti le stesse cose, indossiamo gli stessi vestiti, mettiamo le stesse scarpe, siamo specchi che non riflettono." Più sfiduciato, scoraggiato, sarcastico è invece il cantante Fedez. Tutti cantiamo i suoi testi, ma, li capiamo davvero? Cosa diventeremo? Abbiamo il nostro pianeta da portare avanti, visto il casino

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cultura che ci hanno combinato i nostri genitori: ci riusciremo se continuiamo a distruggerci, a voler scappare, a volerci uccidere? Mi è capitato di pensare di farla

finita con la vita e, come a me, a molti altri nei nostri licei. Quindi, che facciamo? Siamo la Generazione U o la Generazione boh? Samia Marzaki VD

Iosonouncane- DIE “Il giorno è alto sulle rive e un uomo in mezzo al mare teme di morire. Nello stesso istante una donna guarda dalla terraferma gli ultimi scoppi di burrasca al largo vivendo il terrore di non rivederlo mai più. DIE è il racconto dei loro pensieri in una manciata di secondi.”

dividerli è qualcosa di doloroso. È un’unica traccia di trentotto minuti. Un lunghissimo filo di pensieri che ti trasportano sulle rive lontane. Stormi. Tu non lo sai ma quella canzone ti sta facendo venire la pelle d’oca sotto al maglione. Intanto il pullman arriva e tu guardi l’asfalto scorrere fuori dal finestrino e spegni il cerLe sette del mattino. vello. Chiudi gli occhi e c’è una Trentotto minuti e diciotto burrasca al largo e tremi. Poi sei secondi di disco da ascoltare nei quaranta minuti di pullman/ costretto a riaprirli perche parte navetta/scatoletta di tonno che ti Buio, e Buio è un pezzo che ti prende e ti trasporta ovunque. porta a scuola. Ti fa stare bene. I cieli della provincia sono tinti E poi c’è Carne. Carne è qualcosa delle stesse sfumature del disco che ti cresce da dentro. Qualcosa che stai ascoltando, DIE, forse che ti fa venire voglia di urlare, di per la prima volta o forse per la correre lontano. Qualcosa che ti venticinquesima. scorre sotto alla pelle. Comincia tutto con Tanca. Ogni giorno si sveglia e cade. Scopre le rive il sole. La musica si abbassa per un In DIE non ci sono momenti di respiro. Ogni pezzo è strettamen- attimo e comincia Paesaggio. te collegato all’altro, tanto che a Tutte le cose più insignificanti, le Dicembre 2015 | 15


cultura più banali che vedi acquistano importanza, perché sono gli ennesimi dettagli del mondo che ti circonda che adesso non stai più guardando con i tuoi occhi ma attraverso DIE. Paesaggio finisce dentro Mandria, e tu lo sai che Mandria è l’ultimo pezzo, ma non vuoi che tutto finisca. Mandria è molto simile a Tanca (è più convinta però), l’indecisione tra l’inizio e la fine del disco.

Poi il pullman arriva a destinazione e il disco finisce, e per qualche secondo c’è solo il tuo cuore che batte. E la realtà è sempre la stessa, la nebbia è sempre la stessa e la salita è la stessa. Però qualcosa è cambiato. Dentro di te, qualcosa è successo. Emma Marinoni VD

Violetta, una donna Premessa: per Violetta si intende la protagonista della “Traviata” di Verdi, non il personaggio dell’omonima serie televisiva. Perché Violetta? Perché Violetta è una donna, vera. Violetta è una donna che soffre, che cerca il distacco da questo dolore con il rinnegamento della propria natura di giovane fanciulla. Violetta è una persona come tutti noi, che conosciamo senza conoscere, perché in lei risiede il dramma dell’uomo, che prima o dopo tutti affrontiamo. Violetta sa di essere malata di

una malattia che la porterà alla morte e per questo si abbandona al futile piacere mondano di feste, “lieti calici” e “fugace passione” (parafrasate da voi). Questa sua condizione la porta ad allontanarsi dall’amore, quello vero. Sarebbe una delusione, non avrebbe futuro. Violetta è una ragazza che rinuncia, per paura di soffrire, a ciò che di più sublime una persona può provare a quell’età; rinnega la sua natura. Questa prima parte di “gioie” e divertimenti è corrisposta nella partitura da temi vivaci, che si identificano nel modulo del valzer (dalla struttu-

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cultura ra ternaria baldanzosa e prestata alla danza). Tale condizione, tuttavia, è evidentemente precaria. Infatti nel clima festaiolo Violetta incontra Alfredo, di cui si innamorerà. Da ora in poi i toni assumeranno una sfumatura più cupa e solenne. Dapprima v’è l’agnizione (“E’ strano”, “Ah forse è lui”), in cui Violetta si rende conto che quello che sta provando è proprio l’amore che cercava di evitare con l’abbandono alla dissoluzione più assoluta. L’amore è quindi visto dalla protagonista come “febbre” o “croce e delizia del cor”, ossia come piacere distruttivo di sé. Eppure l’amore dovrebbe essere una meravigliosa esperienza per una giovane che incontra “quello giusto”! Nonostante ciò Violetta ritorna a negare l’innamoramento, definendolo addirittura “delirio vano” (ultima scena del primo atto “follie e delirio”) e rigettandosi nei piaceri fugaci, seppur inutilmente (“libiamo nei lieti calici”). Questo delinea l’incertezza di fondo del personaggio, che si trova di fronte a scegliere tra la propria natura (amare Alfredo) o rinnegarsi (allontanarsi dal problema) e sceglie la seconda opzione, pur sapendo che ormai

è vincolata alla prima. In questa fase la protagonista ha spesso in partitura dei trilli e abbellimenti, che sono sia fremiti di piacere sia brividi di dolore. Violetta si sviluppa ulteriormente e la sua complessità si infittisce sempre di più. La sua umanità è sempre più evidente. Il cambiamento completo avverrà quando da agnizione si passerà a consapevolezza e rassegnazione a un amore senza speranze, destinato alla precoce interruzione. Violetta chiede ad Alfredo di amarla quanto lo ama lei, nonostante la sua condizione. Qui il dramma giunge al suo apice: Violetta è un’altra persona, totalmente imprigionata nel giogo dolcemente amaro dell’amore. In partitura il cambiamento è segnato nell’incipit dell’ultimo atto dell’opera, che presenta un intervallo di sesta minore in completa opposizione a quello di sesta maggiore del “Libiamo nei lieti calici” del primo atto. Violetta è un personaggio così complesso che la cantante che ricopre questo ruolo, da sola, deve cantare da soprano leggero (per la Violetta prostituta), da soprano lirico (per la Violetta innamorata) e quasi anche da soprano spinto (per la

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sarpi Violetta morente). Il dramma di Violetta è il dramma esasperato di ciascuno di noi, che di fronte alle più grandi difficoltà vogliamo ritrarci, perché è la strada più semplice. Non è però la nostra strada, quella

che ci rappresenta, quella che dobbiamo percorrere per natura, quella che siamo. Perché Violetta? Perché Violetta è una donna, vera. Pietro Micheletti II B

Summer ‘68 Addio Syd Barret, te ne vai e non tornerai più. Dopo la cacciata di Syd i Pink Floyd si ritrovano a fare i conti con se stessi, perennemente appiccicati a quella maledetta etichetta dello space rock. Erano dei giovani Mattia Pascal che volevano ribellarsi alla loro maschera. Purtroppo per il signor Meis, loro ce l'hanno fatta. Non è stato facile. L'indecisione,

l'incertezza su quale fosse la loro identità, poi il primo contratto con la Emi e le prove in studio in cui ognuno cercava di dire la sua mettendo un assolo di qua e poi di là, temi che ricordavano Ummagumma. L'incertezza nei Pink Floyd c'era eccome, il risultato? Atohm Heart Mother. Anche Richard Wright dà il suo contributo, uno dei più belli e

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sarpi meno considerati di sempre: Summer '68. Davanti alla pomposità di Atohm Heart Mother Suit, Wright suona e canta un pezzo molto più mite, dedicato a sua moglie, in cui si lamenta della volubilità dei rapporti che cercava di avere con le ragazze sue fan. C'era chi lo amava perché era famoso e chi perché era ricco, mentre lui non riusciva a ottenere una relazione che durasse più di cinque o sei ore. La tastiera è ispirata da Bela Bartok, come tipico di Wright. Il basso ci fa sopra una linea semplice e abbastanza umile per gli standard che si stavano sviluppando nella testa di Waters. Infine Gilmour inizia ad affacciarsi sempre di più sul tappeto sonoro creato dai suoi compagni. E poi c'è Nick che è lì che fa cose. Il risultato è una

canzone e uno stile che nei Pink Floyd non sarà più ripreso. L'epoca Waters e quella Gilmour sotterreranno questa piccola perla di Wright sotto macigni come Pigs o Comfortably Numb. Il contributo di Wright nei Pink Floyd non è certo inferiore a quello di Gilmour, semplicemente il suo stile non si è mai imposto sopra quello degli altri membri. Wright nei Pink Floyd è lo sfondo su cui risalta il resto del gruppo. D'ora in poi, quando sentirete il nome di Richard Wright, non associatelo a The Endless River (quel coso caotico senza capo né coda. Cit Roger Waters), ma associatelo a tutta la discografia dei Pink Floyd e poi al suo stile inascoltato di Summer '68. Marco Balestra IIE

Luoghi incerti Poco tempo fa ho letto un libro di Stefanie Golisch, Luoghi incerti. Un libro letto per caso, certamente semi-sconosciuto, ma interessante. Stefanie Golisch, insegnante tedesca trasferitasi in Italia, è nata nel 1961, l'anno della costruzione del muro di Berlino.

Luoghi incerti è il suo unico libro scritto in italiano, appartenente a una collana di scritture migranti: Kumacreola. In effetti cosa c'è di più incerto della condizione del migrante? Di colui che parte senza ritorno? Il tema centrale del libro è proprio l'incertezza, raccontata

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cultura attraverso diverse storie. Come protagonisti persone incontrate per strada, frammenti di vita, lei stessa, testimonianze della Shoah che torna a ossessionarla e a spingerla a scrivere delle sue origini, che possano in qualche modo liberarla del peso di una storia colpevole. Il libro va visto nel suo insieme, bisogna girargli intorno, coglierne il significato, catturarne la fragilità. Il concetto da cui parte l'autrice è che non si può essere allo stesso tempo ciò che si è stato e cio che si è. Semplicemente. Prima o poi bisogna congedarsi definitivamente, mandare gioiosamente al diavolo il proprio passato. Come una vecchia diva al suo ultimo concerto. Je m'en vais. Questo implica un continuo abbandono di se stessi, un costante riaffermarsi e, diametralmente, un perpetuo eliminarsi. Una continua incertezza che straborda, ossessiona, nausea. Il motivo per cui dà la nausea è che ci si ritrova, il che fa quasi paura. L'incertezza spinge a chiedersi cosa si è davvero. Cosa rimane, a parte il restare vivi. Incerti tra spingersi oltre la soglia delle domande taciute, oppure indagare sui propri "luoghi incerti", sapendo che non ci sono risposte.

Ecco cos'è, per Stefanie Golisch, la vita. Luoghi incerti perché incerta è la vita. L'autrice riflette in modo interessante su questi temi, alternando storie raccolte per strada a pezzi di vita passata tra la Germania e l'Italia, diffidando sempre e comunque dall'edificio compiuto, dal senso ultimo stabilito una volta per sempre. Mettersi in discussione continuamente però è estenuante. Ecco perché a volte ci si limita a illudere se stessi, accontentandosi di una verità comoda. È questo il motivo per cui non ci si conosce più: si preferisce la comodità all'incertezza. Non che coloro che lo fanno vengano biasimati per questo. È sempre una scelta. Ma Stefanie Golisch presenta altre vie di fuga, che tuttavia non lo sono: la parola e la bellezza. Usate come ancore per fermare la realtà, per fermare se stessi, per andare fuori davvero, fuori dal mondo, fuori dagli uomini. E sempre più dentro. E anche se la parola non elude l'incertezza, è comunque un modo per entrarci dentro, un modo per accettarla, per renderla possibile.

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Letizia Carminati, IV E


cultura Focaccine al miele “Focaccine al miele” è la storia di Sila Arda, ragazza di quattordici anni che dopo la morte della madre e molte insicurezze riguardo al futuro, realizza il suo sogno di aprire una caffetteria con il padre e la zia. La storia è ambientata in Turchia e più precisamente ad Istanbul, dove nel suo locale Sila prepara granite al gelsomino, dolcetti tipici, sciroppo di papavero e soprattutto focaccine al miele. I clienti che entrano nella caffetteria trovano calma, calore e intimità che crea un legame di fiducia ed amicizia con i proprietari. Mentre Sila prepara le sue delizie dividendosi tra scuola e lavoro, la zia crea meravigliosi gioielli e il padre fa due chiacchiere con i clienti o controlla i conti. Sedendosi ad un tavolo ci si può imbattere in simpatici orfani, padri maldestri, capitani dal cuore d’oro, piccole lettrici di fondi di caffè e via dicendo. Tutto è possibile grazie alle focaccine di questa ragazza che rendono la sua cucina un luogo d’incontri e di avventure. Tuttavia la vita di Sila un giorno viene sconvolta dalla notizia del matrimonio di

Zia Rana, poichè dovrà andare a vivere lontano. Dopo la morte di sua madre infatti, Sila l’aveva vista come una figura femminile di riferimento. L’avvicinamento delle nozze e della partenza le provocano grande insicurezza riguardo al futuro; un po’ come quella provata prima dell’apertura del suo locale. Le storie dei clienti s’intrecciano rendendo unico questo libro di Zeynep Cemali, che non solo fa scoprire le meraviglie della città, ma anche tradizioni, conoscenze locali e abitanti del posto. Leggendo ci si ritrova letteralmente nel cuore della città e ci si immagina alla perfezione i luoghi che la caratterizzano. Il lettore infatti pagina dopo pagina si ritrova a vagare tra la folla e i profumi, per le strade di una città prima da lui sconosciuta che lo attira e fa venir voglia di partire e andare a cercare i personaggi che con le loro storie riescono ad appassionare e a colpire. Riguardo alla scrittrice, Zeynep Cemali, ha scritto il libro in memoria di sua zia e delle sue focacce, ed esso è segnato dalle

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narrativa esperienze lavorative che hanno caratterizzato la sua vita, come diceva suo padre infatti “Vivere è imparare”. Purtroppo è morta prematuramente nel 2009 a soli

59 anni, ma sarà sempre ricordata dal suo popolo come una delle maggiori scrittrici turche per ragazzi. Costanza Rossi IV A

Un quartino davanti alle scale riflette sull’esistenza Un flusso di coscienza che tipo il titolo è più lungo dell’articolo

Sono in ritardo accidenti spingi la porta è chiusa mi apre la bidella correre verso lo scalone 23 gradini Illuminati mi volto da che partutto quanto una scala è maledetta ma quale è tardi devo decidermi 8:14 54 secondi ma perché una è maledetta chissà lo devo chiedere a qualcuno a chi poi mah non conosco nessuno sono asociale e l’anno è appena iniziato male il profe di greco è antipatico non posso aspettare tanto dove salgo bello il soffitto c’è una cicca per terra che schifo che gente maleducata esce un professore da una porta scende dalla scala sinistra buongiorno buongiorno che occhiali spessi dalla faccia insegna matematica odio la matematica se lui è sceso di lì posso salirci proviamo primo scalino spuntano due ragazzi bel-

te salgo ci sono 19 gradini sulle rampe Ultimo Cavaliere Stephen King 19 più 23 fa 42 risposta alla vita all’universo e a la maglietta quello mi guardano male parlottano quartino sfigato tutti contro noi poveri quartini non eravate quartini anche voi uffa forse sarò così anche io scendono dall’altra scala io sono sulla scala sbagliata scemo potevo notarlo che l’altra è consumata ma dov’è la mia classe eccola entro buongiorno buongiorno ben arrivato che voce stridula vai a sederti ho sonno ho lasciato il quaderno a casa.

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Rafael Chioda VD


narrativa Fingi di crederci Mi ricordo dei segni

e da cinghie

e delle percosse,

di neri scarponi

mi ricordo del sangue

abbandonati sulla riva di un

e delle ossa

fiume,

spezzate dall’interno

sprofondati nel fango

che cigolavano mentre piangevi

come teschi lucenti,

come una tetra melodia;

come noi,

nenia di ninfe beffarde,

giovani emergenti.

ninfe di mare,

Adriana Lirathni ID

di lago, affogato, da mani sconosciute

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narrativa Carpe diem L’intera esistenza umana è incertezza. Le scelte da fare, le posizioni da prendere e gli atteggiamenti da adottare hanno un unico denominatore comune: l’insicurezza. La vita è un insopportabile e costante dubbio e non sapere ciò che viene dopo mi spaventa. Nella mia costante insicurezza di una cosa sono sicura: l’incertezza è la peggiore tra le condizioni umane e qualunque decisione prendiamo la nostra vita è arbitrata da forze maggiori perché il nostro destino è già stato scritto e anche volendo non siamo in grado di cambiarlo. Tutto ci è sconosciuto, siamo vittime di un inspiegabile mistero e non c’è via di fuga. In pratica Dio, o chi per lui, ci ha dato la vita ma ci comanda come

marionette e per colpa sua noi rischiamo ogni giorno, perché siamo tutti in balia dell’imprevedibilità. La nostra quotidianità è fatta di “forse”, che tentiamo di sormontare con alcune nozioni che la scuola o l’esperienza ci insegnano e che nel nostro piccolo ci rendono sicuri di noi stessi. Passiamo il tempo a pensare alle nostre paure tentando di isolarci dal mondo e credendo di esserne il centro quando tutti, in realtà, siamo nella stessa situazione. In sintesi siamo troppo impegnati a scrivere sui social “mai n’a gioia”, mentre tutte le occasioni che ci vengono concesse ci scivolano davanti e neanche ce ne rendiamo conto. Michela Saccone VC

Monotonia da ATB Fuori piove, sull’ ATB c’è un riscaldamento che ricorda l’effetto serra. Tu sei lì, schiacciato in tutti i modi possibili, con la faccia stremata di chi non sa più se è vivo o morto. Sei annoiato. Sei stanco. Non sono nemmeno

le otto e hai già cambiato due pullman. Senti come se la tua vita fosse un replay continuo e monotono. Ti soffermi su dettagli insignificanti, che improvvisamente sembrano l’unica distrazione possibile, tipo le gocce di

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narrativa pioggia sul vetro del finestrino del pullman. Le trovi particolarmente interessanti, riesci a notare ogni singolo particolare del loro percorso, attraverso esse vedi persino il paesaggio che si sussegue durante il percorso del bus. Lo vedi distorcersi, cambiare, modificarsi ad ogni curva, ogni minuto che passa. Ti concentri su una goccia in particolare; sì, proprio quella lì, così piccola e veloce. La segui con lo sguardo nel suo breve tragitto. Continua a scendere, imperterrita e decisa, a volte rallenta, altre accelera. Poi si ferma, lascia passare altre gocce più spedite, poi procede più velocemente, cerca di raggiungere le altre. D’improvviso si scontra con un’altra goccia, ed una volta congiunte, proseguono insieme il viaggio. Arriverà il momento in cui le due gocce arriveranno al culmine, cadranno sull’asfalto e si aggiungeranno ad altre gocce in una misera pozzanghera. Ti rendi conto che non hai che d’imparare dalla piccola goccia che hai iniziato ad osservare. Lei ha vissuto una vita breve, sicuramente più della tua, ma in questa vita così corta è riuscita, grazie alla sua trasparenza, a cogliere ogni

nota di colore, ogni segno di vitalità che ha riscontrato nel suo percorso. Così va affrontata la vita, solo così si può sconfiggere la monotonia, solo così si può vivere. Solo se provi piacere nell’osservare queste piccole cose, e riesci a trovare tantissime assurde metafore, che sono volte a mostrarti che non percepisci il colore nella vita, capisci semplicemente che questo non è vivere, ma solo galleggiare nel grigio più completo. Ma ora, hai osservato la breve vita di quella goccia di pioggia, sei riuscito a estrapolarne una riflessione stile Proust e ti sei reso conto che il tuo viaggio, prima costituito solo d’attesa e conversazioni origliate controvoglia, ora ha assunto una nuova luce. E questo è solo l’inizio di una giornata.

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Beatrice Duina VD


sport La dura vita dell’ arbitro “La nostra professione è crudele perché possiamo prendere 199 decisioni giuste ma poi il primo sbaglio può essere fatale.” (Viktor Kassai, arbitro internazionale di calcio) Duro mestiere quello dell’arbitro, soprattutto di calcio, abituato a vivere sempre sul filo del rasoio: quando una partita viene diretta con personalità questa prova scivola via tra l’indifferenza generale, quando invece compie un errore può star certo che della sua svista si parlerà per settimane e settimane. La carriera di un arbitro è breve (un direttore di gara rimane ad alti livelli per circa quindici anni), ma guidata da un filo conduttore: l’incertezza. Anche uno fra i migliori arbitri al mondo può vivere un momento di panico puro, in cui non riesce

a gestire l’episodio di un match. Diceva Pierluigi Collina, importante arbitro italiano: “Saggio è chi pensa. L’arbitro non può essere saggio. Deve essere impulsivo. Deve decidere in tre decimi di secondo.” Un episodio celebre di indecisione di un arbitro al top è stata quella di Nicola Rizzoli in Sassuolo-Roma del 2014, in cui il direttore di gara sospese la partita per 5 minuti mentre si consultava con il suo assistente riguardo ad un possibile rigore per la squadra di casa. Quindi i tifosi che se la prendono sempre con l’arbitro per ogni sconfitta della loro squadra del cuore devono pensare che quello dell’arbitro è il mestiere più complicato del mondo dello sport. Alessandro Bonfanti IVE

Una tipografia strabella che tipo ho guardato fa un sacco di cose fike che costano davvero poco e sono ecofriendly. E poi il padre di Snow does it better. 26 | Dicembre 2015


sport

L’incertezza della pioggia Sabato 24 ottobre, Austin, Texas. Qualifiche della Formula 1. Uragano Patricia passa a poca distanza regalando freddo e trentasei ore di pioggia. I piloti sono bloccati nei box perché piove troppo e la pista è troppo bagnata per girare, il rischio è troppo alto. La regia decide di rimandare di mezz’ora le qualifiche, poi di un’altra mezz’ora. Nel frattempo su Rai2 trasmettono due episodi di serie TV. Tu sei lì, seduto sul divano, che aspetti un segno. E il segno arriva. Ma non esattamente quello che aspettavi. Rimani attonito davanti alla TV che trasmette cose mai viste. Danil Kvyat e Daniel Ricciardo improvvisano una danza, Nico Rosberg gioca a palla, alcuni tecnici salta-

no dentro un carrellino, prendono un remo e se ne vanno in giro così, un altro gioca a bowling con delle lattine vuote. E i tifosi sotto la pioggia e il vento. Dopo un po’ ti rendi conto che le qualifiche non si terranno che il giorno dopo e ti rassegni. Ridacchiando tra te, te ne vai a dormire perché ormai sono le undici passate e non ce la fai più. Pensi che almeno una certezza questa sera ce l’hai: la gara sarà parecchio interessante.

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Selene Cavalleri IIIE


3° pagina WESEN

Avevo pensato ad un’ introduzione stra bella per gli wesen ma tipo me la sono dimenticata e sono rimasto senza introduzione per gli wesen e non ho voglia di scriverne una e viva la paratassi e resteremo senza introduzione. Giuro che volevo scrivere un articolo su Pasolini. Mi documento: leggo, guardo, penso. Risultato? 4 pagine fitte fitte di appunti. Limite di 2300/2500 caratteri. Giungo alla conclusione che la cosa più logica da fare con così tanti spunti sia scrivere il meno possibile. Bella. - il Miche di 2B fa la cosa giusta Un uomo va in una clinica per curare i single col suo fratello cane; conosce una donna e la uccide; scappa dalla clinica per curare i single e si ritrova in una foresta dove si è obbligati a non accoppiarsi. Dopo una breve permanenza scappa anche da lì. Morale: scappate. - Giulia Comi vi spoilera un film che si chiama “The Lobster” e che sembra una cagata Se siete a Vienna e state per perdere il treno che dopo dodici ore di viaggio vi porterà a Milano, fate una scappata al Belvedere:

in fondo a una stanza tutta buia c’è Il Bacio. Illuminato. Oro. E Klimt lo capite molto meglio con uno zaino e due giorni di turismo selvaggio sulle spalle che studiandolo dal libro di arte. - Sara Latorre vede le cose fighe Che poi non si capisce perchè al bepi si dice ao ao pota au au e i ciccionazzi di Napoli che smiagolano con un po’ di vocali aperte sembrano dei grandi cantautori, il bepi è un neoteros e voi non lo capirete mai, capre ignoranti e pervenute! - Il Bale si altera all’ ennesima sminuizione(?) di un grandissimo artista e istruisce i passeggeri del dieci L’impaginazione è come il kungfu: ti concentri e poi sfoghi tutta la tua ira contro il nemico, che in genere è la mia favolosa torretta LG del 2001 - Il Bale dà lezioni di arti marziali

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3° pagina Piccole vittorie di ogni giorno Nella vita ho avuto la (S)fortuna di girare il mondo e conoscere l’umanità nelle sue sfaccettature più profonde, complicate, difficili, cupe, scure, minacciose, diaboliche e corrosive, lasciando che gli insetti ci sfregiassero, che le temperature ci stremassero, che le allodole ci torturassero, che i dizionari ci accoppassero, che le lumache si accoppiassero, che i leoni si grattassero, che le scimmie facessero cose contro la chiesa, che gli scorpioni si dissetassero, che i lupi si sfamassero che i cani ci mangiassero senza pietà, che gli articoli per questo numero mancassero, che le

subordinate si moltiplicassero, che apellefigliodapollofacesseunapalladipelledipollo, ma questa cosa è la cosa che casa e che tipo boh fa stra ridere. No giuro, leggete che vi lascerà annichiliti. Duodeno di Alicarnasso Seduto su una panchina vedi un tipo che si avvicina. Quante volte t' é capitato? E poi sta lì e ogni tanto ti guarda, poi tu te ne accorgi e lui si gira dall' altra parte, allora comincia una gara a chi riesce a spiare l' altro senza farsi sgamare. Poi tu lo becchi e lui se ne [va ndr] via. Pena

Occhi

con postfazione di Mr Bergoglio

Occhi. Ci circondano ovunque, gli occhi. Non solo i veri bulbi oculari di altre persone, ma tutto ciò che ci ricorda essi. Cerchi, oggetti, forme. Io li vedo come occhi. Ci osservano sempre, notano ogni minimo particolare del nostro essere giorno dopo giorno. È davvero inquietante. Ci scrutano da soli, in coppia o in

ampia compagnia. Tra i monoocchi ci sono lampioni, bottoni o la luna. In duo vi sono ad esempio i fari delle auto: si vede chiaramente che essi assomigliano a bulbi oculari, dai. “Cars” è una cagata pazzesca. Io dico: “Dove ce li vedi gli occhi su quel fottuto diabolico parabrezza ?!?!?!?!?”. Abbasso Mcqueen. Lasciando

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3° pagina stare l’ignoranza dei creatori Disney, sono occhi anche i segni del caldo e del freddo dei lavandini. Quelli più swag hanno anche il cappellino con la visiera. La maniglia, per intenderci. Infine abbiamo i pluri-occhi, come gli anelli delle scarpe coi lacci, i punti luminosi che indicano che il wi-fi si è finalmente acceso e quelli della presa della

corrente. Oggetti comuni che ci osservano tutti i giorni, per anni e anni,sempre lì, al loro posto. Mi fa venire i brividi… Rocco Piantelli IV B no in realtà scherzavo non sono Mr Bergoglio e quindi non posso fare la postfazione Mr. Bergoglio

Ipse dixit IIA Zeno: La dipendenza dal petrolio e dai suoi derivati.. Che ne so.. La plastica o.. Gambe: O la coca cola.. Oliva: Zeno, basta! Cos’è che ti fa ridere? Lo voglio sapere! Zeno: Il libro dice che Ipponatte aggredisce Bupalo chiamandolo per nome.. Ma quindi lo insulta perché si chiama Bupalo? Mangini parlando di Enrico VIII: Michele, che buffo! Ti conviene già da adesso proclamarti re d’Inghilterra per avere figli maschi! Strocchia leggendo Machiavelli e commentando il programma

elettorale di Michi e Gambe: -Traggo el cervello di muffa-, come hanno fatto i ragazzi di Malista.. Proporre una tendata di gruppo è una furbata.. Bravi i maschietti che prendono coscienza del fatto che le ragazze sono molto curiose e sfruttano tutto ciò.. Ferrario: Vorrei capire se le persone silenziose hanno capito quello che abbiamo fatto fino a questo momento.. Gambe: Prof, io non ho capito se.. Ferrario: Ho detto le persone silenziose, non quelle che non studiano!

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3° pagina IIE Gatti: allora calini, cos’hai messo tra i mammiferi? Cal: orso, leone, tartaruga Gatti: Tartaruga? E siamo in un liceo classico...la tartaruga non è un mammifero, a meno che non sia un transgender

Marinoni: Dire che un antiquario ha le code dell’abito nel presente è come dire che chi guida una Ferrari va lento...non va lento!

(prima ecloga di virgilio) Moretti: tanto basta per campar... come diceva l’orso Baloo. Anche io uso l’arte allusiva, a modo mio

Milesi: Qual è, filologicamente parlando, la caratteristica dell’arte classica presente in quest’opera? Marinoni: Lo STATISMO!

(una bambina urla fuori dalla finestra) Trivia: stanno torturando una bambina

Milesi (commentando “Olympia” di Manet): Vedete che la fanciulla ha il nastrino al collo secondo la moda del tempo Marinoni: Ce l’hanno anche le 2001

(bale alla lavagna durante scienze) Sciarrotta: N o M? M come Milano? Bale: M come Mantova (stessa ora) Sciarrotta: ma mi prendi in giro? Se tu avessi uno specchio, cioè guardati... Bale: ... III D Marinoni The Master Compilation PARLANDO DI KIERKEGAARD

Salvi: Non mi ricordo più come si chiama il libro... Marinoni: Ha avuto un DEJAVU!

VD SALVI: Enea, esule da Troia, va a cercare un’altra troia... FUSINI: I tipi di orbitali sono 4: s, p, d, f. Simona Proprio Divina Fusini! CAMPANELLI: *alla Martinalli* I voti? Ma che li prendano i voti! *agli alunni* Andate in un con-

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DIRETTORE Sara Latorre IIID VICEDIRETTORE Beatrice Caniglia IA SEGRETARIE Margherita Briozzo Niang VE, Emma Trimboli VD SARPI Giovanni Testa IC ATTUALITÀ Alessandro Comi IE CULTURA Eleonora Valietti IIE NARRATIVA Matilde Ravaschio IIE SPORT Selene Cavalleri IIIE TERZA PAGINA Marco Balestra IIE COMMISSIONE TOGNI Clara Rigoletti IIE IMPAGINAZIONE Mr. Bergoglio COPERTINA Duodeno di Alicarnasso ILLUSTRAZIONI Laura Cornelli ID, Claudia Pezzini IIC, Maria Azzola VC, Anna Dognini IC, REDATTORI Sara Baisotti IVE, Giulia Bongioni IC, Alessandro Bonfanti IVE, Lara Bortolai VC, Mariavittoria Brevi VC, Sofia Brizio IIIE, Giulia Burini IA, Letizia Carminati IVE, Adele Carraro IIC, Alice Castelli IVB, Alessandro Cecchinelli IVE, Elisa Cecchini VB, Greta Ceresoli VB, Rafael Chioda VD, Alice Ciotta IVC,, Sofia Cortinovis IVF, Federico Costa IE, Martina Di Noto IIIE, Giovanni Donghi IA, Christian Dolci “Pena” IVC, Beatrice Duina VC, Francesca Esposito VE, Alberto Fenice VA, Matteo Fenili IIIE, Leyla Gatti ID, Clara Gerelli VC, Gaia Gualandris IIF, Sveva Guizzetti VC, Shari Lazzari IVE, Eleonora Limongelli VB, Adriana Lirathni ID, Petra Lopopolo IVF, Alice Maccarini VD, Stefano Maccarini “Panico” IVC, Anna Maddaloni IVC, Lucia Marchionne IIE, Emma Marinoni VD, Martina Marinoni IVE, Samia Marzaki VD, Pietro Micheletti IIB, Maria Chiara Misiani IVE, Ilaria Moretti ID, Carmen Musitelli VE, Ester Negrola IC, Beatrice Orlando IVE, Camilla Perico IIA, Martina Pesenti IVE, Rocco Piantelli IVB, Maria Porta ID, Irene Rainini VC, Benedetta Recchitta IVE, Costanza Rossi IVC, Marta Rossi IVF, Alice Rota IVB, Anna Rota Martir VD, Chiara Ruggeri VC, Michela Saccone VC, Alice Scanavacca VB, Giorgia Scotini IIC, Elena Seccia IIE, Cristina Signorelli IVE, Annarina Tomasoni VA, Filippo Valicenti IVE, Luca Vezzoli IA, Chiara Ubiali IVB,


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