PIG Mag 71

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Mensile. Numero 71, Aprile 2009

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© 2009 KISS Catalog, Ltd. Produced by Vans. Under license by Signatures Network. © 09 Vans, Inc. Photo: RJ Shaughnessy

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Sommario 78: Tiga

Interviste:

Foto di copertina di Sean Michael Beolchini

66: Calvin Harris

74: Telephate

70: New Young Pony Club

88: Kinga Burza

20: Boogie

Moda:

Street Files:

94: Shaula

108: Sleep

52: Tel Aviv

Servizio di Miko Lim

Servizio di Emeric Glayse

Foto di Yael Sloma

Regulars 10: Bands Around 14: Fart 16: Shop 18: Libro: Heron Preston 22: Design 24: Pig files 48: Moda: Reptilia 50: Flickr Buddy of the Month 122: Musica 126: Cinema 130: Libri 132: Whaleless 134: Webster 136: Videogames

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Foto di Meschina

PIG magazine 71, Aprile 2009 Direttore Editoriale:

Luca Garavini (musica), Miko Lim (foto), Keith Washington

Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A.

Daniel Beckerman

(stylist), Yuji Murakami (assisnt photographer), Noel Billet

Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy).

Direttore Responsabile e Creativo:

(fashion assistant), (model) Shaula Vogue, Emeric Glayse

Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46

Simon Beckerman

(foto), Amanda Ericsson (stylist), Lina Scheynius (model),

Distribuzione per l’Italia: SO.DI.P. “Angelo Patuzzi”

Senior Editors:

Yael Sloma (foto), Ale Formenti (foto), Thora Keita

S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI).

Sean Beolchini

(model), Giovanni Galilei (assisnt photographer), Skye

Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20

Managing Editor:

Parrott (foto), Nadja Lakluk (Hair & Make-Up).

Distribuzione per l’estero: S.I.E.S. Srl Via Bettola, 18

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- 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel. 02.66.03.04.00 -

Production Manager & Pr:

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Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia,

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Pig è presente anche nei DIESEL Store di: Berlino,

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Contributors

Pig Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l.

Gaetano Scippa (musica), Marco Lombardo

Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del

(musica), Piotr Niepsuj, Fabiana Fierotti,

19.07.2001

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Pig Magazine è edita da B-arts editore srl. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.


PERCHĂŠ farsi mettere in riga?


Bands Around

Foto di Meschina

Amari Tunnel - Milano Come vi chiamate? Dariella (voce, chitarra, futurismo), Pasta (voce, tastiera acrobatica), Cero (basso di polvere) Enri Colibrio (the drummer you need), Berto (chitarra birillo, entusiasmo) + Luka Carnifull (qui come Boss di fine stage Riotmaker) Età? 30 Da dove venite? Il verde Friuli, Bolognina, Milano Ghetto suddest. Descrivete con tre aggettivi la vostra musica. Pop sbagliato, furgone e tanto tanto sentimiento. Avete un rito scaramantico prima di salire sul palco? Guardiamo tutti Dariella che cerca i plettri o le batterie per i pedali-

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ni, a volte il Cero si gratta la nuca, una volta ci hanno anche portato delle birre! Un aneddoto curioso che vi è capitato in tour o durante la preparazione del disco? In tour molti, dall'albergo coi gatti impagliati alla tromba d'aria sul palco, son tutti leggenda ormai, la preparazione di un nostro disco è già di per sé un aneddoto curioso! Ci campate con la musica? Musica? Quale musica? Avete la possibilità di lasciare un messaggio a qualcuno. fatelo qui: Se vi capitasse di viaggiare indietro nel tempo ricordatevi di non toccare nulla, sennò il continuum spazio

tempo poi fa bbrutto. Chi è l'artista/ band più sorprendente di oggi? Quentin Harris, Arnoux, Kenny Larkin, Dario Maria Moroldo. Che poster avevate nella cameretta quando eravate piccoli? Graffiti di Mode2, Tony Hawk, Lupo Alberto, Videogames vari e locandine di film orrendi rubati in qualche videoteca. Diteci il nome di un artista o una canzone italiana? Frost dei Ragazzi Italiani, Cani Sciolti dei Sangue Misto, un qualunque pezzo di Dargen D'amico.


MINISPACE.IT

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. Incontro al vertice della tecnologia. Consumi (litri/100km) ciclo misto: 5,3 (MINI Ray). Emissioni CO2 (g/km) ciclo misto: 128 (MINI Ray).

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Nuova MINI Ray. A 14.400 Euro*. Essenziale nei consumi, 22,7 km con un litro e funzione Auto Start Stop. Essenziale nel divertimento, con radio CD, ingresso mp3 e clima. Sostanziale in materia di sicurezza grazie al controllo elettronico di stabilità, sei airbag e 5 stelle Euro NCAP. IN TUTTE LE Concessionarie DAL 28 MARZO. *È un’iniziativa dei concessionari MINI aderenti comprensiva di contributo alla rottamazione sui veicoli Euro 0, Euro 1, Euro 2 immatricolati entro il 31.12.99 (D.L. 10 febbraio 2009 n. 5), IPT esclusa.


Bands Around

Foto di Meschina

Dr Dog Circolo LaCasa139 - Milano Come vi chiamate? Scott McMicken - Taxi (chitarra e voce),Toby Leaman - Tables (basso e voce), Zach Miller - Text (tastiera e chitarra), Juston Stens - Trouble (batteria), Frank McElroy - Thanks (chitarra). Da dove venite? Philadelphia Chi è l'artista/band piÚ sorprendente di oggi? Golden Boots, Joanna Newsom, Seth Kaufman, St Vincent. Che poster avevate nella cameretta quando eravate piccoli? Iron Maiden, Bob Marley, Led Zeppelin e Jimi Hendrix. Diteci il nome di un artista o una canzone italiana? L'appuntamento di Ornella Vanoni.

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Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte

Di Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com)

Streets Of Jeremyville, di Jeremyville, Area B (www.areab.org), Via Cesare Balbo 3, Milano, dal 7 aprile 2009

Creare mondi interi è prerogativa di pochi. E sembra che sia un atto creativo possibile solo in aprile. Dio creò Adamo il primo aprile. Asimov creò i robot nello stesso giorno. E dopo una settimana le macchine già avevano capito un più di Adamo e un po’ meno di Eva. A volte questi mondi sono fantastici, altre inutili. Alcuni crollano, molti sono come il nostro, pochi si salvano. Jeremyville ha fatto il suo. Ai posteri l’ardua sentenza. 14 PIG MAGAZINE


www.500bydiesel.com

Consumi: da 4,2 a 6,3 l/100 km (ciclo combinato). Emissioni CO2: da 110 a 149 g/km


Shop

Intervista a Tyrone Lebon di Fabiana Fierotti.

DoBeDo DoBeDo è uno shop on line interamente dedicato alla vendita di prodotti indipendenti: t-shirt, film, musica, libri. Oltre a questo, contiene uno spazio molto interessante dedicato ai blog e alle interviste dei contributors. L’ultimo progetto vanta la collaborazione con il fashion photographer Mario Sorrenti. Ciao Tyrone, come va? Ciao Fabiana. Molto bene grazie. La primavera è finalmente arrivata a Londra… alla fine! Cosa farai oggi? Quello che faccio quasi sempre. Cerco di destreggiarmi tra un milione di cose e concentrarmi sulla cosa più importante tra queste: la mia fotografia e la roba di DoBeDo. Qual è il tuo compito da DoBeDo? Sono il ‘creative director’ ma praticamente faccio un po’ di tutto, dalle spedizioni alla ricerca di nuovi contributors, ai filmati, le foto, tener d’occhio la produzione… Un sacco di cose! Quante persone lavorano con te? Il team è composto da… due persone! Io e Clara (la manager)… ci occupiamo giornalmente del sito. Poi c’è Itsi che sviluppa la grafica e abbiamo anche quaranta fantastici

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contributors che hanno i loro prodotti, blog e video sul sito. Ad Aprile ci sposteremo in un ufficio più grande e da lì il tutto diventerà più serio. Quando avete deciso di creare il vostro shop on line? Perchè? Volevo lanciare DoBeDo già nel 2006. L’ idea iniziale era permettere anche agli artisti indipendenti di mostrare il proprio lavoro e vedere direttamente al pubblico in tutto il mondo, senza dover avere a che fare con i distributori e i negozi, che si beccano gran parte delle vendite. DoBeDo, invece, trattiene solo una piccola commissione. È sul web da settembre 2007. Sono passati diciotto mesi da quando è stato inaugurato… Che tipo di prodotti vendete? Vestiti. Per lo più t-shirts. Libri di fotografia. Film indipendenti in DVD. Musica indipendente da scaricare in MP3. Poi abbiamo del-

le news sui nostri contributor, blog e vari tipi di filmati e interviste completamente free. Qual è lo store concept? DoBeDo è fare ed essere. La parte “Do” di DoBeDo è lo shop, il Commercio. La parte ‘Be’ di DoBeDo è tutto il resto. Film, blog, articoli. L’Arte. DoBeDo mette insieme le due parti: Commercio e Arte che lavorano insieme supportandosi a vicenda. Nuove collaborazioni? La nostra collaborazione più nuova è quella con il fotografo Mario Sorrenti. Ha disegnato una delle t-shirt che appartengono alla serie ‘DoBeDo Photographer Series’. Gli altri fotografi coinvolti sono Dick Jewell, Shawn Mortensen, Chardchakaj Waikawee, Mark Lebon e Jack Day. E’ stato un grande successo e abbiamo già venduto ottantacinque delle cento t-shirt disponibili. www.dobedo.co.uk



Books

Intervista e foto di Marco Velardi

Heron Preston Heron Preston ci sa fare, ed oltre ad essere un giovane business man di soli 26 anni, si è anche re-inventato autore di un volume che vuole diventare segnale di una nuova scena creativa di downtown New York, “The Young and the Banging”. Il libro ha fatto parlare di sé, e dopo la recensione nel PIG 68, abbiamo pensato che fosse il caso d’intervistarlo prima che diventi troppo famoso… Com’è nata l’idea di pubblicare The Young and the Banging? La mia motivazione fu la scuola superiore e l’offerta di pubblicare un libro! Un editore che leggeva il mio blog mi offrì questa possibilità, e da lì presi la decisione di farne un libro per celebrare tutta la giovane scena creativa di downtown New York. Se ci pensi bene, la zona di downtown ha sempre quell’atmosfera dei tempi di scuola, quando incontri tutti per strada, mangi negli stessi posti, si creano intrecci, drammi e alla fine frequenti sempre le stesse feste. Il layout del libro ha preso ispirazione dal libro di Ezra Petronio, Bold And Beautiful, che alla base è sempre un annuale dei più potenti del mondo dell’arte e della moda. Quali sono i punti forti del libro? Il tutto ruota sulle quindici ragazze della scena che ho invitato a co-curare il progetto, dando loro la possibilità di selezionare i personaggi più interessanti ed invitarli ad essere parte del libro. Alla fine abbiamo raccolto quasi duecento polaroid e nel libro potete vederle tutte, insieme alle professioni di tutti i ragazzi coinvolti e i loro siti, blog, o myspace. In più, nel libro sono sparse pagine di collage e opere che secondo me rappresentano al meglio la creatività e gli stili di vita di downtown. Quindi come hai selezionato le ragazze da invitare a partecipare al progetto? La regola era che fossero ragazze creative e ovviamente conosciute nella scena downtown, non per forza già affermate, anche se molto probabilmente tutte lo diventeranno un giorno, che siano dj, artiste, consulenti, fotografe, designer, pr o solamente bloggers. Ti occupi di altro oltre a The Young and the Banging? Assolutamente, mi occupo di vari progetti, alcuni che servono a pagare l’affitto alla fine del mese, altri più per divertimento. Per ora mi capita di lavorare su progetti web, qualche pubblicità e mi piacerebbe iniziare un business di feste di compleanno a tema per i bambini di famiglie ricche. Ne ho appena organizzato uno per la figlia di otto anni dei miei ex-boss ed è stato un successo. Mi piacerebbe anche disegnare t-shirt super rovinate soprannominate “The Hardest Tees”. A parte tutto questo, passo un sacco di tempo su internet e scrivo per il mio blog. Se ti chiedo di darmi una definizione di editoria indipendente? Credo che l’editoria indipendente sia quella

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condizione in cui un individuo pubblica un libro, o auto-pubblicato o con un piccolo editore, quasi sempre sconosciuto e senza una vera distribuzione in piedi. Alla fine della fiera, tutto ciò che conta è dove sei distribuito e quanta promozione riesci a generare. Del futuro dell’editoria cosa ne pensi? I libri venderanno sempre, in proporzione al loro valore. I libri sono senza tempo, e finché ci saranno librerie e tavolini dove appoggiarli, non mancheranno mai. Chi soffrirà saranno le riviste e i quotidiani perché oggigiorno il vero media è la gente stessa. Tutto si mescolerà,

digitale con analogico, e saranno sempre di più i formati e i contenuti digitali presenti sul mercato. Non credo sia solo un trend dell’editoria, anche altri settori stanno cambiando radicalmente. Un libro che consiglieresti? Ovviamente il mio! Però sono anche fissato con i tatuaggi e dovreste cercarvi The Freddy Corbin Sketchbook. Mi faccio tatuare da lui appena posso perché è specializzato in tatuaggi gangster e icone religiose, è un genio! www.heronpreston.com


AS A FEATHER Disse il saggio: non sono solo i tuoi piedi, ma è la montagna stessa a darti la spinta ad arrivare fino in cima. Sarà anche vero, ma qualcosa ci dice che i saggi sono furbi e fanno sempre in modo di avere accanto qualcuno che gli porti le cose. Per noi comuni mortali, invece, ogni grammo ha il suo peso. Per questo abbiamo creato una giacca talmente leggera che, una volta messa, te la dimentichi proprio. “Dov’è la mia giacca?” Ce l’hai addosso. “Ah.” Capito che roba? Ci sono voluti 20 anni per poter arrivare alla nuova giacca Nike ACG Superlight. E, come sempre, questo non è che il punto di partenza.


Boogie

Intervista di Giovanni Cervi. Foto di Ale Formenti.

L’eloquenza delle immagini è talmente alta e vasta che non ci sarebbe bisogno d’altro. Boogie è un giramondo d’eccellenza, che getta sguardi su una realtà cruda e disordinata, stranamente affine in tutte le città e situazioni diverse nelle quali si è trovato. Anche dietro l’angolo di casa nostra. A Milano ha presentato, alla galleria Avantgarden, acclamato, una realtà della capitale lombarda familiare a tutti, ma osservata con occhio diverso e acuto, frutto di soli cinque giorni di lavoro. Come fosse un Olimpo decadente, ricco di semidei decaduti e luoghi sacri in decomposizione. Ciao Boogie, come prima cosa mi piacerebbe che ti presentassi ai nostri lettori.. Sono un fotografo specializzato nel documentare le strade, nato e cresciuto a Belgrado, in Serbia. Ora vivo a Brooklyn, New York. Ho pubblicato cinque libri monografici e ho avuto mostre personali a Tokyo, Istanbul, Parigi e ora a Milano. Ho anche lavorato per dei clienti cool e per delle belle riviste. Dai tuoi scatti emerge un amore incondizionato per i dimenticati e i perduti. Come mai? Credo dipenda dal mio percorso, e dalle mie origini. La mia terra è diventata un inferno per un po' negli anni '90 (per colpa della guerra), più o meno quando ho cominciato a fare fotografie. Penso di portarmi dietro

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tutti i sentimenti accumulati allora, la realtà che vedo può risultare un po' più buia per questo motivo. Ultimamente però sono molto ispirato dalla vita normale, quotidiana, che faccio entrare nelle mie foto. All'inizio ero attratto dalle cose estreme, ma ora so che ci sono cose interessanti da immortalare ovunque. Non devi andare in un altro posto per trovare soggetti interessanti, ce ne sono così tanti nel tuo cortile... Hai fatto amicizia con qualcuno che hai ritratto? Quando avevo tempo e interesse. E hai avuto qualche disavventura durante i tuoi servizi? Nessuna, tutte belle avventure. E quando hai ritratto gli skinheads?

No, mi hanno trattato benissimo. Ho avuto paura invece con le gang e ancora di più con i drogati, quelli possono essere imprevedibili... Viaggiando così tanto ci saranno delle cose che porti sempre con te... Macchine fotografiche, pellicole e la foto di mia moglie e mio figlio. E cose che dimentichi in giro? Di solito il caricabatterie del cellulare. E tu ti perdi? Penso soprattutto alle città nelle quali lavori.. Yep! E' così che di solito lavoro. Pensi che la vita sia come le tue foto, in bianco e nero? No davvero. Ci sono sfumature di grigio. www.artcoup.com


Bor The T n fr op D om own spo rt © 2009 Reebok International. Reebok ®


Light & Shadow Per iniziare luce e ombra. Che per Adam Frank sono gli elementi principali di ogni progetto. Sfuggenti quanto basta per fondere perfettamente immaginario e realtà in un’unica percezione. Installazioni semplici e poetiche: finestre fittizie, alberi e raggi del sole. Per piccole favole quotidiane… Di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com)

Adam, adesso descriviti. In tre parole. Controllato, razionale, intuitivo. La tua definizione di design. Il design è un metodo per risolvere i problemi. Attraverso la definizione degli obiettivi e dei limiti (budget, tempo, materiali, tecnologie) definisci lo spazio e la dimensione delle idee possibili. Ecco, il design è il processo che ti fa trovare in questo spazio la soluzione assolutamente migliore.

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Quindi il design dovrebbe essere “utile”… Il design è sempre legato ad una funzione. Questa funzione può essere estetica o legata ad un’utilità. La vera potenza del design è riuscire a toccare entrambe. Quando hai deciso che saresti voluto diventare un designer? Qual è stata la tua prima “creatura”? Sono un artista, un designer, un inventore. Il mio lavoro ha sempre sfumato le linee tra

questi tre ruoli. Io non ho mai voluto essere nessuna di queste tre cose. Io volevo fare qualcosa che fosse realmente nuovo, volevo portare nuove idee nel mondo!!! Quando avevo quattro anni ricordo di aver inventato il salto mortale laterale. Ne ero molto orgoglioso e l’ho mostrato a mia madre. Lei mi ha detto che si chiamava fare la ruota. Ci sono rimasto malissimo. A dodici anni ho inventato “The Initial Hickey”. Era


un piccolo imbuto dal quale avevo ritagliato delle lettere. Si attaccava alla pelle e si succhiava. Lasciava una specie di succhiotto con la forma delle lettere. Poi ho capito che si rompevano i capillari e si poteva versare il sangue. Era rischioso per via delle malattie che si possono contagiare. E ci sono rimasto nuovamente male. Chi sono i tuoi artisti o designer preferiti? James Turrel, il light artist, ha ovviamente una grande influenza sul mio lavoro. Mi piacciono molti designer, ma i progetti sperimentali dei fratelli Eames sono in cima alla lista. E le tue fonti di ispirazione? In generale, direi che cerco di inventare nuovi modi di combinare le cose reali con l’immagine che abbiamo di queste cose. Studio le neuroscienze e la percezione visiva umana. Queste e la natura in tutte le sue forme sono le mie fonti d’ispirazione In un certo modo il tuo lavoro sta a metà tra il product design e l’arte contempo-

ranea. Che ne pensi? Vorresti essere più noto come designer o come artista? Questa sfumatura tra arte e design fa naturalmente parte del mio lavoro. All’inizio della mia carriera mi ha reso la vita difficile. Poi tutto si è assestato fino a diventare il mio punto di forza. Credo che le persone siano in grado di scegliere da sole dove posizionarmi. Io forse preferisco la parola artista. Perché mi sembra il termine più generale… Mi piace moltissimo la tua Reveal: è semplice e poetica. Vorrei sapere come è nata. Vivo in un appartamento al piano terra a Brooklyn, che non è esposto alla luce diretta. Ho fatto Reveal per dare l’impressione che i raggi del sole brillassero attraverso un albero immaginario, come se ci fosse una finta finestra aperta sulla parete vera. Credo che sia l’evoluzione naturale di Lumen. A questo punto raccontami qualcosa di Lumen. Il primo prototipo l’ho realizzato durante un

vecchio residency program che si chiama Yaddo a New York. All’inizio Lumen era lo studio per un’installazione interattiva che volevo intitolare Shadow. Nell’installazione un’ombra umana autonoma, senza corpo doveva muoversi sullo sfondo. Quest’ombra apparentemente viva doveva emergere insieme con l’ombra “reale” dello spettatore. Molti artisti e scrittori del residency mi hanno chiesto se questo lavoro era in vendita. In quel periodo stavo appunto cercando di sviluppare qualcosa di semplice, da realizzare e portare sul mercato senza coinvolgere nessuna compagnia. Così dopo Yaddo ho capito che Lumen poteva essere quella cosa. Ci ho pensato, ma c’è voluto un anno per sviluppare tutto. I tuoi ultimi lavori (Lumen e Reveal) sono basati sul binomio luce/ombra… Le ombre ci sono quando non c’è la luce. Questo mi facilita nello sforzo di creare una collisione tra cose reali e immagini. Uso esclusivamente la luce nel mio lavoro, ma uso tutti i tipi di tecnologia vecchi e nuovi per manipolarla. Dove vivi e lavori? Raccontami del tuo nuovo studio. Mi sono appena trasferito. E’ in un vecchio edificio: c’è uno spazio espositivo davanti ed lo studio vero e proprio sul retro. Ci sono mattoni a vista, superfici bianche e un sacco di dettagli architettonici antichi. E’ la seconda volta che cambio posto, perché gli affari stanno crescendo… Adesso lavori in maniera indipendente. C’è uno o più brand con cui ti piacerebbe collaborare? La mia compagnia, Adam Frank Inc. attualmente produce i miei oggetti qui, a Brooklyn. Ho pochi pezzi appropriati per una partnership. Per questi sceglierò le compagnie migliori, su misura per il prodotto. Quale – tra i progetti che hai già realizzato – ami in modo particolare? Mmm… è difficile da dire. Cerco di non fare nulla che non penso possa essere speciale. Mia figlia è nata mentre stavo lavorando a Lumen. Così ho sempre pensato a questo oggetto come ad una rappresentazione della vita… E adesso a cosa stai lavorando? Ho ricevuto una commissione per un’installazione pubblica nella città di Denver, in Colorado. Si chiamerà Sunlight. Utilizzerò la luce del sole per illuminare un sole irreale sulla facciata di un edificio durante la notte. La realtà e la sua rappresentazione in un’unica percezione. Immagina di non essere diventato un designer. Cosa avresti fatto? Se non avessi fatto nulla… beh probabilmente sarei finito drogato… www.adamfrank.com

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PIG files

Di Giovanni Cervi

Habitat machines Un progetto abitativo utopico è quello dell’artista canadese David Trautrimas: ingigantire oggetti di uso comune e trasformarli in unità abitative. Ferri da stiro, macchine per il caffé, condizionatori, taniche per l’olio. Forse mai come in questo periodo si sta ragionando sul bisogni di far prendere nuove direzioni all’architettura; l’arte a volte può essere la via più visionaria, ma anche quella più originale. Queste sembrano realmente le case del futuro. Macchine eravamo e macchine torneremo. www.trautrimas.ca

Demi_God Cosa c’è di meglio di un paio di colonne del partendone per pompare i muscoli e avere una forza erculea? Lo stile ionico non è più solo architettura, ma fitness. Greece Is For Lovers è uno studio specializzato in progetti che rivisitano con ironia, cultura e attualità la mitologia e la civiltà ellenica con standard davvero alti. Questi pesi sono in ottone e vanno dal chilo e mezzo ai tre. Solo per aspiranti Apolli.www.greeceisforlovers.com

Matrioskanimal Quanto la cultura popolare e l’immaginario che colpisce da bambini influiscano sui processi creativi degli adulti è sotto gli occhi di tutti. Sono due capisaldi di designer e artisti. Una originale sintesi di questa affermazione sono le matriosche animali di Irina Troitskaya, dove la cultura popolare russa e le visioni fanciullesche dell’artista sono rivisitate e unite. Così sono state create le matriosche degli animali più famosi delle fiabe russe, poi quelli bianchi e infine quelli più strani. Dasvidania Tovarish http://irtroit.com

Heart book Penso che le librerie siano un po’ lo specchio della nostra anima. Molto si può capire di una persona da quello che vi ripone. Spesso raccolgono le nostre passioni. Per questo il battito di Pulseline mi è piaciuto da subito. Essenzialità scandinava e passione per il nostro bagaglio culturale. Come se ci dicesse, in punta di piedi, che dobbiamo pensare anche al colesterolo intellettuale, non solo a quello arterioso. Di Måns Salomonsen Design. http://salomonsen.se

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PIG files

Di Giovanni Cervi

L’Arca del libro Nel cuore di Mexico City è sorto un colosso di proporzioni bibliche. Un grande palazzo di vetro e metallo che si propone come un’Arca che custodisce il sapere dell’umanità. Forte della capacità di conservare un milione e mezzo di volumi, più molti spazi didattici, la Biblioteca Venceslao è destinata a essere guardata e visitata con rispetto quasi divino. Ideata dall’architetto messicano Alberto Kalach, la struttura ha finalmente aperto al pubblico definitivamente. Notare come ricordi la Matrice, il codice binario in caduta libera di Matrix. www.bibliotecavasconcelos.gob.mx

Objects Oggetto, è una parola che si può adattare a un milione di cose diverse. Spesso ci torna utile perché lascia la possibilità di lasciare nel vago una definizione, quando non sappiamo bene cosa abbiamo di fronte. Come questi “oggetti” di Alyson Fox. Gioielli? Fermacarte? Sculture? Sicuramente affascinanti nelle loro forme classiche, ma deviate. Come se il gioielliere della corte del Re Sole si fosse dato all’alchimia. O alla stregoneria. O semplicemente fosse vivo ora, in questi tempi in cui tutto ciò che c’è stato è compresso e frullato per creare nuove forme. www.alysonfox.com

Magic box Rafael Morgan è un giovane designer brasiliano che ama giocare. Forme, colori, parole, concetti. Il duo è un design ludico, spesso colorato e raffinato. Molto contemporaneo e pop. Deadly è un piccolo armadio che riprende il trucco magico delle spade che non dovrebbero infilzare il malcapitato che vi si nasconde all’interno. Basta sistemare i vestiti in modo che non siano infilzati e il gioco è fatto. www.rafaelmorgan.com

Rewing Il riuso sarà una delle risorse del futuro. Mentre il riciclo punta sulla ricerca e sulla tecnologia, scompone un prodotto negli elementi originali, il riuso fa aguzzare l’ingegno e spinge e dare nuovi orizzonti a forme già conosciute. Lei si chiama Deborah, come quella di una vecchia canzone dei Pulp, ed era l’ala di un aeroplano leggero. Ora è una scrivania, utile a chiunque voglia dare un aspetto dinamico al proprio ufficio. E’ prodotta da Reestore, specializzato in arredamento ecologico e basato sul riuso. Ne avevo vista una simile in un negozio genovese, era in metallo e aveva le luci di posizione. Me ne innamorai subito. www.reestore.com 26 PIG MAGAZINE


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Feature on Designer: Thomsen Intervista ad Alix Thomsen di Ilaria Norsa. Foto di Stephan Armbruster. Presentati: Mi chiamo Alix Thomsen ho 24 anni e sono francese. Ho studiato moda allo “Studio Bercot”, poi ho lavorato per Chloé e Mispelaere; adesso disegno anche per Lacoste. Cos’è Thomsen: un giovane brand di camicie. Con sede a? Parigi. Oltre a te chi sta dietro questo progetto? Lionel Bensemoun che è il proprietario di numerosi ristoranti e club molto cool qui a Parigi; Franck Cohen, colui che ha portato American Apparel in Francia; Olivier Taleb, il responsabile della produzione in un’azienda di camicie. Che rapporto c’è tra di voi? Io e Lionel siamo fidanzati, Franck e Olivier sono diventati amici tra di loro. Raccontami la vostra storia: Io e Lionel volevamo creare una linea di camicie tutta nostra e abbiamo scoperto che anche Franck desiderava creare un brand di camicie con lo stesso con-

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cept: è stato piuttosto naturale decidere di farlo tutti insieme. Perché “la chemise”? E’ difficile trovarne di davvero giuste, eleganti e cool... E tutti le indossiamo! Descrivi la camicia perfetta: Ha un buon fit, è un po’ aderente ma comoda e non ti lascia “ingessato”, ti permette di muoverti liberamente. Il collo non può essere né troppo grande né troppo piccolo. E’ tutta questione di proporzioni azzeccate. La camicia perfetta deve farti sentire elegante ma rilassato e deve raccontare una storia. Descrivi in tre parole

una camicia Thomsen: elegante, rilassata, poetica Sono unisex? Alcune sì, per quelle ragazze come me che rubano la camicia al fidanzato! Dove sono vendute? A Parigi da Colette, a Milano da Biffi, a Como da A.Gi.Emme, a Tokyo da Tomorrowland, a Hong Kong da Kapok, a Dubai da Sauce. Chi dovrebbe indossarle? Tutti quelli che non si prendono troppo sul serio. Sono camicie perfette per... lavorare, andare a cena, uscire, rilassarsi, flirtare... si può dire che sono fatte per essere indossate in qualsiasi momento della giornata, che si tratti di lavoro o vacanza! Vi farebbe piacere se venissero indossate da... dalle nostre famiglie, dai nostri amici e da tutti quelli a cui piacciono! Se le vostre camicie fossero un posto quale sarebbero? Parigi. Un periodo storico? Il 17 dicembre del 1903, il giorno in cui i fratelli Wright fecero volare il primo aereo. Una canzone? “So long Marianne” di Leonard Cohen. Un film? Blow Up. Un piatto? Una macedonia di frutti rossi. Nel futuro pensate di ampliare il vostro raggio al di là delle camicie? Per l’autunno inverno 2009-2010 abbiamo creato delle borse realizzate nel tessuto che usiamo per le camicie; per l’estate dell’anno prossimo (PE 2010) realizzeremo anche pantaloni e giacche sempre restando coerenti con il tema delle camicie. Cosa ti piace in questo periodo? Il fatto che le persone intorno a noi comincino a darci fiducia e condividano con noi questa avventura. Devo ringraziare tutti i nostri amici! www.thomsen-paris.com



Blog of the Month: The Vagabond Set Intervista a Sanna Berger di Fabiana Fierotti.

Ciao Sanna, raccontaci qualcosa di te… quanti anni hai? Da dove vieni? Ho 25 anni, sono svedese ma vivo a Londra. Tendo a stabilirmi o a partire da un luogo molto facilmente. Come va oggi? Oggi starò tutto il giorno a letto, facendo il pieno di coca light e guardando film di Kubrick, perché sono stanca per via della settimana della moda. E poi da domani cominceranno due settimane di party non stop, per l’arrivo di un’amica in città. Quindi starai tutto il giorno da sola? In realtà aspetto un ragazzo dagli zigomi veramente imponenti. Staremo lì a baciarci e guardare film. Cosa hai fatto ieri sera? Sono andata al bowling per il compleanno di un amico. Sono arrivata seconda. Sono una perdente e una vincitrice senza grazia, visto che probabilmente andrei a urlare in faccia a tutti saltellando:”Sono la migliore in tutto”. Poi sono andata a ballare in east London con i miei amici che erano ubriachi e strisciavano a terra, mi sono fatta dare un passaggio in bici da un ragazzo carino e ho

Parigi, tre tipi di Polaroid e poche altre. Adoro le macchine fotografiche

preso un bus per casa alle 4.00. Quando e perché hai deciso di aprire

e le colleziono, ma non so davvero usarle nel modo in cui si dovrebbe e

un blog? Mah, ho dei blog da quando ero una teenager. The Vagabond

non sono nemmeno interessata ad imparare a farlo. Preferisco sempre la

Set è nato quando mi sono trasferita a Tokyo e volevo documentare la

qualità scadente alla perfezione. Cosa ne pensi della moda? La moda

mia vita lì, il che consisteva soprattutto nel ballare sui tavoli e mangiare

fa schifo. Amo la gente che indossa gli stessi vestiti ogni giorno. Io fac-

torte. L’abitudine di scrivere un blog crea dipendenza. Quando sarò vec-

cio parte di quelle ragazze che vestono sempre in nero. Non sopporto i

chia e rugosa voglio poter guardare al passato, all’essere giovani, freschi

colori. Adoro la mancanza di simmetria. Potrei portare tre orologi sullo

e pronti a tutto. Che tipo di eventi o sensazioni ti spingono a scrivere

stesso braccio, senza che funzionino, un anello d’argento su ogni dito e

un nuovo post? Tutto. Posso scrivere un panegirico sulla voglia di dare

un sacco di catene a collo con denti di squalo. Ma sempre su una base

un pugno in faccia a Peaches Geldof o delle istruzioni per l’omicidio per-

nera. La moda è ciò che accade quando non stai prestando attenzione.

fetto. Ma possono esserci giorni muti, in cui mi piace postare solo delle

Patty Smith, Jane Birkin, Bob Dylan, Sid Vicious, Anna Karina. I tuoi

immagini. Che genere di macchina fotografica usi solitamente? Una

designers preferiti? Hampus Berggren, Mark Fast, Bless, Pamela Love,

vecchia schifosa compact camera Sony. A volte vecchie Instamatics da

Martin Margiela. www.thevagabondset.com

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Brand highlight

Di Ilaria Norsa

Fred Perry by Raf Simons Photographer: SEAN MICHAEL BEOLCHINI Assisnt Photographer: GIOVANNI GALILEI Styling: ILARIA NORSA Assisnt Styling: FABIANA FIEROTTI Make up: SARA GERACI at Orea Malià Model: THORA KEITA Special Thanks: FRANCES APPLES

Per la sua seconda collaborazione con Fred Perry Raf Simons ha abbandonato il rigore del nero totale, colore non colore che aveva predominato nella pregevole collezione d'esordio: la Primavera/Estate 2009 punta 32 PIG MAGAZINE

tutto sulla cultura africana dalla quale Raf ha tratto ispirazione per la lavorazione dei tessuti, che sono naturali, e per la scelta della palette di colori, che è vivace e vibrante. La celeberrima polo britannica - in particolare

quella dei primi anni '60, modello che continua ad essere usato in esclusiva dallo stilista belga - è dunque rivisitata in chiave inedita: le maniche sono un po' più lunghe e confermano l'influenza dei mitici Fifties e dei primi


Sixties, mentre la straordinaria lavorazione a maglia concorre con gli altri elementi a creare quell'aria un po' da nonno che tanto amiamo. La collezione - che si compone di 25 pezzi, tra polo, pantaloni di taglio classi-

co, mocassini e "giubbini" navy - è in vendita presso i monomarca Fred Perry e in store selezionati in giro per il mondo, tra cui: il Dover Street Market a Londra, Colette a Parigi, Opening Ceremony a New York e, in

Italia: 10 Corso Como e Dantone (Milano), Coffee'n'Television (Bergamo), Quarantagradi e Super (Roma), Penelope (Brescia), ecc. Rallegratevi giovani anziani di tutto il mondo, rallegratevi. www.fredperry.com 33


We likey! Questa foto di repertorio di Andrea Crews che ritrae Maroussia, la regina delle amazzoni galattiche, con una delle sue creazioni. L'ultima collezione di Andrea Crews, "The Sunset Empire" è invece un esuberante tributo al sole e un inno alla creazione di un vivacissimo - ed eccessivo - universo parallelo (in cui secondo me lei e i suoi amici vivono già da un po' di tempo a questa parte...)! www.andreacrews.com di Ilaria Norsa

Breaking news and shocking gossips Karl Lagerfeld ha realizzato due modelli in limited edition per Repetto, celebre negozio parigino di scarpe da ballo, e non solo. Le “Karl Lagerfeld pur Repetto”, prodotte in tre colori - blu notte, nero e bianco saranno in vendita a partire dal 9 aprile presso le boutique Repetto, da Colette e in altri store selezionati in giro per il mondo. repetto.com La fortunata collaborazione tra Salvatore Ferragamo e Yohji Yamamoto ha portato alla creazione di una linea di scarpe per l’A/I 09-10: i 4 modelli nati da questa partnership di lusso saranno venduti in tutti i monomarca Yamamoto, in 35 boutique Ferragamo e in alcuni punti di vendita selezionati a partire da giugno. yohjiyamamoto.co.jp salvatoreferragamo.it Matteo Marzotto ha acquistato con l’amico Gianni Castiglioni (marito di Consuelo, creatrice del brand Marni) la storica griffe francese Vionnet, fondata da Madeleine Vionnet nel 1912. In vista del rilancio la direzione creativa è stata affidata a Rodolfo Paglialunga, che ha alle spalle un’esperienza di 13 anni in Prada. In bocca al lupo! vionnet.com Uniqlo, geniale brand giapponese di abbigliamento basic a prezzi competitivi, è riuscito a far tornare Jil Sander nel mondo della moda: la mitica stilista tedesca collaborerà infatti col marchio già a partire dall’A/I 09-10 e si occuperà dello sviluppo di una speciale Uniqlo collection. www.uniqlo.com

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I.N. Olivier Theyskens è già stato silurato da Nina Ricci.Tra i favoriti a prendere il suo posto Peter Copping, braccio destro di Marc Jacobs da Louis Vuitton. Per Olivier sembra sia già pronto un posto da Schiaparelli, storico marchio rilevato da Diego della Valle, il quale però ha smentito questa ipotesi. “Hats: An Anthology by Stephen Jones” è la mostra che dovete assolutamente visitare se passate da Londra questo mese. Il Victoria and Albert Museum celebra infatti ancora una volta un grande della moda del nostro secolo e le sue straordinarie creazioni. Fino al 10 maggio. www.vam.ac.uk Saranno Dean e Dean Caten, i temibili gemelli DSquared, a vestire l’incauta Britney per il suo imminente tour. Madre de dios. Tra fotografi/blogger ci si intende... e molto... pare che Mr. Sartorialist, Scott Schuman si sia messo con Garance Doré (nostra “Blog of the month” di qualche tempo fa). I due, amici da molti anni, sono recentemente stati pizzicati in atteggiamenti un po’ più che amichevoli. Si narra che la macchina fotografica utilizzata da Garance sia un regalo del suo Scott, il quale non poteva saperla in giro con una semplice digitale. Che teneroni. Vive l’amour! www.thesartorialist.blogspot.com - www.garancedore.fr


The Weak In Wonderland Questa la foto vincitrice della prima edizione del concorso Lee Make History, nato nel 2007 con l’intento di intrecciare storie, tematiche, percorsi e culture diverse. L’autrice è Rossella Dimichina, ferrarese di 27 anni, che si porterà a casa niente popò di meno che 50.000. 101 photo stories erano state selezionate tra 16.000 proposte e pubblicate sul sito di Make History nel dicembre 2008, con la supervisione di una giuria composta da Carla Sozzani (Galleria Carla Sozzani), Frank Kalero (Ojo de Pez), Terry Jones (i-D Magazine) e Veronique Kolasa (Le Book), che ha poi decretato la vittoria di The Weak in Wonderland. Da quest’anno, a quanto pare, il contest non ricorrerà più ogni due anni, bensì ogni anno, in modo da dare la possibilità a tutti di partecipare in tempi brevi. Se volete dare un’occhiata ai lavori o cimentarvi nel progetto e iscrivervi potete andare sul sito www.makehistory.eu F.F.

Just4fun Sicuramente vi sarà capitato almeno una volta nella vita di ritrovarvi davanti l’armadio in preda a una specie di crisi esistenziale per cui, pur avendo una quantità di vestiti esagerata, vi sembra sempre di non aver nulla da mettere. Ecco, in queste situazioni, alla fine disperati si opta paradossalmente per la cosa che indossiamo più spesso e con cui ci sentiamo più a nostro agio. È lì che entrano in scena gli intramontabili fuseaux, leggings o come volete chiamarli, da abbinare con il maglione più vecchio e largo che si possieda. Facendo un giro tra i blog che infestano internet, ho trovato Just4Fun, brand spagnolo che ne propone di fighissimi e soprattutto unici, trattandosi di limited edition, insieme a delle tutine in jersey adorabili. Se volete dare un’occhiata potete visitare il sito www.just4funweb. com F.F.

Another Fashion Book Another Magazine presenta il primo di una serie di libri da collezione che ripercorrono la storia editoriale della rivista negli ultimi 8 anni. Potrete rifarvi gli occhi con i lavori di Craig McDean, Nick Knight, Mario Sorrenti, Sam Taylor-Wood, Horst Diekgerdes, Stephen Shore, David Sims, Terry Richardson, Willy Vanderperre e Glen Luchford. Attraverso le pagine, ricostruirete una piccola storia della fotografia dal 2001 a oggi. Davvero un libro imperdibile, in vendita da Colette. www.anothermag.com - www.colette.fr F.F.

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Head in the clouds. Quest’anno la sezione New Gen, supportata da Topshop per la settimana della moda londinese, ha proposto una novità dell’ultima ora. Durante il guerrilla show improvvisato di Gemma Slack, Craig Lawrence e Komakino, è stato proiettato un cortometraggio diretto da Pierre Debusschere, con le creazioni di Lawrence che perfettamente si adattano al mezzo cinematografico. Grazie a un tappeto elastico posto sul tetto di un palazzo di Dalston, dei modelli saltano, si librano nel cielo nebuloso di Londra, tra nastri ed effetti ovattati. www.myspace.com/craigknit F.F.

David David Per presentare la sua collezione estiva David Saunders, stilista di David David, ha scelto di farlo in modo insolito, e virtuale, proiettando un grazioso mini-film il giorno dell'evento Fashion East. Le sue celeberrime grafiche geometriche e alcune stampe inedite realizzate a mano dall'artista, hanno così preso vita in una girandola caleidoscopica di forme e colori, grazie a un gioco di coreografie di modelli e modelle. Le silhouette restano semplici e le stampe geometriche continuano a far da sovrane, i materiali e i dettagli sono tipici dello sportswear, le polo sono strette e lunghe, i cappellini sono realizzati in collaborazione con Bernstock Speirs e gli occhaili da sole sono firmati Linda Farrow (naturalmente). Squadra vincente non si cambia. www. daviddavid.co.uk I.N.

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Nike Liberty Blazer Di solito le sneakers da donna non mi fanno proprio impazzire. Ma di queste qui mi sono letteralmente innamorata. Si tratta delle storiche Nike Blazer del ’73 rivisitate in chiave femminile, con tessuti liberty dai motivi floreari e colori pastello. Potete trovarle in tutti i punti vendita Nike Sportswear. Fighissime. www.nikesportswear.com F.F.



Gemma Booth

Intervista di Piotr Niepsuj.

Gemma Booth è una fotografa inglese che in breve tempo si è guadagnata le pagine di numerose riviste di moda e musica, tra cui anche PIG. Il suo modo istintivo di accostarsi al mondo della fotografia di moda, le ha permesso di aggiudicarsi clienti come Paul Smith, American Eagle e Roxy. Oltre che alla National Portrait Gallery, dove fanno parte della collezione permanente , potrete ammirare i suoi lavori alla mostra “The Girl With Kaleidoscope Eyes” , organizzata per il progetto Girls Girls Girls da Roxy, con l’intento di promuovere e valorizzare più che mai il gentil sesso. La mostra si terrà all’Old Shoreditch Station di Londra fino al 19 Aprile. 38 PIG MAGAZINE


Perché alle ragazze piacciono i ragazzi? Perché riparano il tuo Mac, ti scaldano i piedi gelati a letto la notte, hanno buone idee, hanno una fantastica libreria i-tunes che puoi usare, quando esci a cena ordinano patatine fritte che immancabilmente rubi loro, comprano i biglietti per avere buoni posti, riescono a fare ottime scrambled eggs e barbeque, sono divertenti e spassosi. Perché ai ragazzi piacciono le ragazze? Perché sanno sempre dove lasciano chiavi, passaporto e carta di credito; organizzano vacanze, cene fuori e parties; provvedono al look della casa e odorano di buono; dicono cose carine e puoi parlare con loro di qualsiasi cosa; mettono un freno al voler uscire sempre e a bere tutte le sere. Perché alle ragazze non piacciono i ragazzi?

Perché puzzano e russano dopo una serata di bevute; dimenticano tutte le cose che ti ho elencato sopra; arrivano in ritardo, guardano il football, se fanno il bucato c'è sempre un alto rischio che i colori delle tue cose vengano cambiati, ogni tanto sono noiosi, tornano dal supermercato con cose che tu non mangi. Perché ai ragazzi non piacciono le ragazze? Vogliono sempre avere dei programmi per il weekend, non vogliono mangiare pizza tutte le sere, non portano fuori il cesto dei rifiuti, mangiano le loro patatine, mettono un freno al voler uscire sempre e bere tutte le sere... Non saprei, non so perché ai ragazzi non debbano non piacere le ragazze, noi siamo davvero perfette! Perché le ragazze sono così complicate? E' troppo complicato da spiegare. Perché i ragazzi sono così complicati? Non lo sono. In cosa le ragazze sono migliori dei ragazzi? Nel fare più cose contemporaneamente. In cosa i ragazzi sono migliori delle ragazze? Non sono così stupidi da fare più di una cosa alla volta e accettano felicemente questa loro indole. Chi è la tua fotografa preferita?

All'inizio della mia carriera ero molto influenzata dai lavori di Elaine Constantine per The Face magazine. Da lì, lei ha continuato ad ispirarmi e oggi abbiamo lo stesso agente. E il tuo fotografo preferito? Ce ne sono tanti che ammiro, ma Joseph Szabo è di certo uno dei miei preferiti. Un'icona femminile? Frida Kahlo, sono stata nella casa in cui ha vissuto a Città Del Messico ed è incredibile la creatività artistica non comune per quegli anni che aveva usato per il design interno. Inoltre, è stata un'artista di talento incredibile e ha avuto una storia affascinante. Un’icona maschile? Michel Gondry, adoro la sua mente. Cosa preferisci fotografare? Tutto ciò che a suo modo mi affascina. Quale "stereotipo femminile" non ti appartiene? "Bionda stupida" Il nome per una femmina? Matilda Il nome per un maschio? Dylan

www.roxy-heart.com www.gemmabooth.com

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Christophe Brunnquell x Sportmax Carte Blanche è una limited edition firmata Sportmax ft. Christophe Bunquell, artista di fama internazionale, noto anche per il suo ruolo come Art Director di Purple, che ha contribuito con un particolare astrattismo monocromatico alla realizzazione di una tunica, un top e una t shirt. La collezione è disponibile in questi giorni presso il flagshipstore di Via Della Spiga a Milano. Come sei arrivato alla colab con Sportmax? Sono stato contattato da Sportmax dopo che avevano visto alcuni miei lavori per riviste - fra cui Purple - e la fanzine di collage "Carnaval" relativa alla mostra a Villa Medici, Roma. Conoscevo il gruppo Max Mara e ci siamo subito intesi: mi hanno spiegato il progetto di collezione, l'ho trovato interessante e mi sono subito messo al lavoro! Cosa significa per te avere carta bianca? Avere carta bianca garantisce ad un artista la massima libertà, è quasi come fosse una mia esibizione. È stato interessante partire da un concetto così astratto e andare poi a sviluppare delle grafiche che potessero sposarsi tanto con il mio immaginario che con quanto avevo in mente potesse funzionare per il brand. Qual è stato il tuo approccio artistico nei confronti del progetto? Ho interpretato realmente la "carta bianca”. Abbiamo poi scelto insieme i lavori che meglio si potevano utilizzare con i tagli dei vestiti e abbiamo fatto alcune modifiche, ma è come se si fosse lavorato in team. Che significato assume il contrasto bianco/nero? Semplicemente, adoro il bianco e nero! Peraltro credo si sposasse bene anche con l'idea di collezione e penso che mi abbiano scelto anche per questo. Perchè ti sei ispirato ai fantasmi giapponesi (Yōkai)? Che significato hanno per te? L'ispirazione in questo momento si chiama Kaori... F.F.

Design for a cause and save the planet. Il brand L.E.N.Y. è stato fondato da Mariel Gamboa con lo scopo di sensibilizzare il pubblico al problema dell’inquinamento attraverso la moda. Per quattro stagioni celebrities, artisti e giornalisti contribuiranno alla causa, disegnando dei pezzi unici (t shirts, borse e tute) il cui ricavato sarà devoluto all’associazione The Climate Project, di Al Gore. Come vedete non si tratta della solita solfa eco-friendly, che cerca di propinare ideali, peace&love e blablabla con quei polpettoni di depliant e regalini freak; questa volta finalmente qualcuno ha capito come accattivarsi e raggiungere il maggior numero di gente possibile, con un mezzo d’eccezione che non poteva essere più azzeccato, visto che la qualità delle t shirt e l’estetica sono tutt’altro che spiacevoli. Nelle immagini potete già dare un’occhiata alle creazioni di Emmanuel Alt (Fashion Director e Stylist di Vogue France), Irina Lazareanu (modella e… musicista???), Orietta Sala (scrittrice e pittrice) e Teresa Missoni (la piccolina di casa Missoni). Se volete saperne di più potete visitare il sito www.leny-icons.com F.F. 40 PIG MAGAZINE



Every time I See You I Want To Be You. Saskia Hammen e Anna-Kathrin Rohr sono le due designer che hanno dato vita al brand Copy Of An Imitation, nato come graduation project sul tema del copiare e dell’imitare, sulla simbiosi tra convenzionale e sperimentale. La collezione è il risultato di uno studio sullo sforzo dei designer contemporanei al raggiungimento dell’avant-garde artistica, costi quel che costi. Non a torto, le designer hanno notato come oggi si propenda più a trasformare continuamente ciò che si produce in qualcosa di sempre più nuovo e diverso, piuttosto che fermarsi un attimo a lavorare su ciò che si ha e perfezionarlo, mettendosi alla prova. Copy Of An Imitation appare così come progetto di ispirazione e imitazione reciproca continua, motivo per cui Saskia e Anna-Kathrin lavorano in coppia. La collezione mischia futurismo e silhouettes leggere, fluttuanti. Stampe floreali, pelle, dettagli a maglia, trasparenze sono i caratteri distintivi. www.copyofanimitation.com F.F.

Brigid Catiis Brigid Catiis è nato dalla creatività della designer Raissa Gerona e della nonna, proprietaria di un’azienda tessile nelle Filippine, che ha dato il nome al brand. Presupposto fondamentale della collaborazione è superare la banale produzione di vestiti da donna, essendo eco-conscious e chic. Tutti i materiali sono infatti riciclati. In questo modo le due designer desiderano conquistare coloro che oltre a tenere d’occhio la moda, hanno molto a cuore le questioni ambientali. A parte questo meritevole aspetto, è evidente come il brand abbia un gusto spiccatamente vintage, nei tagli, nei colori, nelle stampe e nel mood generale. Molti sostengono che l’eco-friendly sia diventata una sorta di moda dilagante tra i brand emergenti, come tra i più importanti, per farsi pubblicità. Io direi che dovremmo solo apprezzare cose come queste e rivolgere la propria malignità congenita altrove. www.brigidcatiis.com F.F.

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Antonio Bertone Intervista di Fabiana Fierotti. Foto di Shane Lavalette.

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Antonio Bertone è il marketing e brand director del gruppo PUMA, a Boston. Durante una piacevole chiacchierata, mi ha spiegato come da un negozio di dischi sia passato a dirigere un colosso mondiale e ad acquisire un brand icona degli anni ’80: Tretorn. Figlio di padre abruzzese e madre siciliana, è molto attaccato alle sue origini sicule, tanto da preferirle al suo essere di fatto americano. A soli 36 anni gestisce due marchi importantissimi nel campo dello sportswear, applicando efficaci strategie di mercato. Mi ha raccontato della Nylite, modello storico di Tretorn, e di come potrà ancora una volta diventare il trend dei prossimi mesi, insieme alla Skimra, plimsole vulcanizzata dal design originale, rivelandomi anche un piccolo segreto: una misteriosa collaborazione con un brand italiano per la creazione di una tavola da skateboard… Ci siamo divertiti a prendere in giro l’Italia delle èlite e chi la governa, sperando che qualcuno, leggendo, possa aprire gli occhi sulle potenzialità dei più giovani.

Ciao Antonio, come va? Beh tutto bene! Sto per farmi una pedalata di 19 Km verso l’ufficio… Ma mi prendo un attimo di riposo per parlare con te… Ah, perfetto! Allora iniziamo subito… Prima di tutto mi piacerebbe che mi parlassi un po’ delle tue origini, della tua famiglia… Sono italo-americano. I miei genitori sono emigrati negli Stati Uniti… mio padre nel 1956 dall’Abruzzo e mia madre nel 1970 dalla Sicilia. Mi sento più siciliano che americano o abruzzese perché ho fatto lì la seconda elementare, in provincia di Trapani. Anche io sono siciliana! Davvero? Di dove? Palermo. Grande! Palermo è bellissima! Tutte le estati con i miei andavamo in vacanza in Sicilia, al mare. E’ anche per questo che mi sento più vicino alla cultura siciliana… Sono molto fortunato ad avere un piede in un mondo e uno in un altro mondo, diciamo. Ma dimmi un po’ della tua formazione: dove hai studiato? Come hai iniziato a inserirti nel mondo del lavoro? Non ero proprio uno studente modello! Non ho fatto l’università, ho finito a malapena il liceo. Ho iniziato a lavorare a 14 anni nel mondo della musica e delle discoteche, in qualità di promoter per show hard-core. Dai 17 ai 19 anni ho avuto un negozio di dischi specializzato in musica underground, ma era troppo per uno della mia età quindi è durato poco… Quindi sono andato a lavorare in un negozio specializzato in abbigliamento e scarpe punk-rock; qui sono stato pescato da quelli di Converse che mi hanno chiesto se avevo voglia di fargli un po’ di consulenza sul prodotto e sul marketing per i ragazzi giovani. Volevano capire cosa piaceva davvero ai ragazzi in quel momento, soprattutto alla fascia di ventenni pieni di soldi che non avevano problemi a spenderli, e un modo per attirarli e allineare il marchio verso

di loro. Mi piaceva tantissimo questo lavoro, ma purtroppo non mi davano un posto fisso, mentre io volevo farmi una carriera da qualche parte. Un giorno mi ha chiamato PUMA. Gli ho raccontato cosa facevo per Converse e loro mi hanno invitato per un colloquio. Adesso lavoro per loro da quindici anni. Insomma, una grande fortuna! Molto culo. Esatto, un gran culo! Però quando tu sei arrivato al marchio PUMA, era in un periodo di crisi, no? Eh si. Era il 1994, avevano un piccolo successo perché i Beastie Boys le avevano indossate per il lancio del disco Check Your Head. Anche il negozio dove lavoravo le vendeva. Ma il problema era che avevano e sfruttavano solo quella scarpa. Del resto era un marchio calcistico e avevano il culo di rilanciare per l’ennesima volta una scarpa vista e stravista, molto famosa negli anni ’70. Il mio primo lavoro consisteva, quindi nel creare una nuova collezione. Quindi lavoravi anche da un punto di vista creativo nel design della scarpa… Si! Ho iniziato proprio disegnando, facendo scarpe! Tra tutti i casini della mia vita, sono stato anche uno skateboarder; quindi le prime scarpe che ho fatto per PUMA erano proprio da skate, che a quel tempo era uno sport praticato da tutti, più del basket. Il marchio aveva bisogno di mettersi alla pari di tutti gli altri che già da tempo si erano concentrati su questa scena, come Vans. Quindi abbiamo cominciato a distaccarci dal calcio, per rendere il marchio più adatto ai giovanissimi e soprattutto per spostare la sfera estetica dallo sportswear al vero a proprio lifestyle. Quindi è da questo nuovo modo di vedere il marchio, che vengono tutte le collaborazioni con dei fashion designer, quali Raf Simons o Alexander McQueen… Si! Le collaborazioni partirono proprio nel ’94, con un couture designer che si chiamava Xuly

Bet. Lui ha fatto le prime Clyde, le ha messe sui tacchi e in più disegnò i primi vestiti da donna fatti di maglie da calcio. Era un super creativo ed è stato il primo a vedere una forte correlazione tra il mondo fashion e il mondo dello sport. Poi è arrivato Jil Sander con le scarpe da calcio Avanti. Ma il vero boom lo abbiamo avuto con scarpe come le Mostro o le Feat Cat, che avevamo silhouette bellissime, disegnate molto bene, e un look stranissimo, elegante ma sempre sportivo. Ovviamente in questo caso ci siamo rivolti a un pubblico più adulto e non più giovane… E cosa mi dici dell’acquisizione di Tretorn da parte di PUMA? Tretorn è un marchio che mi sta molto a cuore perché nel ’94, quando ho iniziato a lavorare, era il proprietario di PUMA. C’era un gruppo svedese che si chiamava Iconic Tretorn & Puma, che aveva il 30% di PUMA. Quindi nello stesso edificio dove io lavoravo, c’era Tretorn. Io facevo sempre due chiacchiere con quelli che lavoravano lì perché la Nylite era una scarpa che io adoravo. E mi tentavano sempre chiedendomi di lavorare per Tretorn, che a quel tempo era un marchio fortissimo. Ma, avendo troppi casini preferivo restare un po’ fermo dov’ero e sperimentare con PUMA. Sono passati tantissimi anni, mi ha chiamato il proprietario e mi ha detto: “Dai, sono pronto a vedere Tretorn, siete interessati?”. A causa della crisi economica o per altre ragioni? Semplicemente perché gli avevano tolto tutti i fondi delle aziende sportive (biciclette, ping pong, ecc) che purtroppo andavano veramente male. Originariamente era una grande holding company… Comunque hanno deciso di venderla a noi. In quel momento PUMA era veramente al massimo delle sue possibilità in tutto il mondo… ma sai a me le cose che filano troppo liscio non piacciono granchè! Preferisco quando c’è crisi, problemi da risolvere! Quindi

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ho acquisito Tretorn, come marchio da costruire per la vita dopo PUMA. Perché con PUMA sei troppo nel mondo fashion dei nightclub, delle feste… ma quando passi la trentina, hai dei figli, ma ti piace ancora il design, la qualità, lo style, senza però essere super trendy, che marchio c’è per la gente? Non esiste un marchio veramente bello, fatto bene, storico, che non stia sempre dietro alla tendenza del momento e tutte queste cavolate! Quindi ho detto: facciamo un brand figo, molto pulito, per quelle persone che, dopo essere passate per la fase della vita super energetica, vogliono concedersi un tenore più rilassato, più familiare, senza però rinunciare al gusto, dandosi al modern outdoor. Cos’è il modern outdoor? Allora… quando si parla di outdoor, inevitabilmente viene da pensare all’uomo che scala la montagna. Ma dico, se uno vuole fare un pic nic o un giro in bici, una cosa più rilassante all’aperto? Questo è il modern outdoor! La voglia di stare fuori, all’aria aperta… ecco il perché del simbolo dello stivale di gomma! Perché anche se piove, sei tranquillo! Quindi Tretorn continuerà a fare stivali di gomma, ma anche sneakers, palline da golf e tutto il resto! Si! Sarà dedicato a coloro che, lungi dal fare sport estremi, vogliono semplicemente star fuori, indipendentemente dalla pioggia! Dunque dovrebbe diventare il brand più desiderabile agli occhi delle famiglie… Si! Tu hai visto negli ultimi cinque anni quante persone fanno figli? C’è un baby-boom esagerato! Anche le super star ci hanno dato dentro! Hanno acquisito dei nuovi valori familiari che mi piacciono da morire! Negli anni ’80 era quasi una vergogna avere bambini. Nessuno voleva sposarsi o comunque fermarsi un attimo per la gravidanza. Adesso tutti voglio una famiglia… Forse solo in Italia non è così! Eh, lo so… però anche qui la “moda della famiglia” dilaga fra le celebrities… certo se possono essere chiamate così! Il popolo non ci pensa affatto a metter su famiglia! Con la situazione economica che abbiamo del resto sarebbe un suicidio… Eh, tutta colpa di Berlusconi! Lasciamo perdere Berlusconi… meglio stendere un velo pietoso… Torniamo a Tretorn, che è meglio! Come va per ora sul mercato? So che nel paesi scandinavi e negli Stati Uniti è molto forte… cosa mi dici invece di Europa e Asia? Nonostante sia molto dura con l’attuale crisi economica, stiamo prendendo campo proprio grazie al prezzo, che non è affatto elevato… Non vedo il motivo per cui una scarpa da tennis debba costare 300 euro se con 70, riesci a portare sul mercato un prodotto di qualità… Secondo te con il trend delle plimsole, perché la Nylite dovrebbe riscuotere successo? Per me la Nylite è la scarpa che supererà questo trend perché ha un look super preppy. Se leggi il Preppy Handbook, libro molto famoso negli anni ’80, troverai la Nylite come simbolo di quella generazione! Non c’è Ralph Lauren 46 PIG MAGAZINE

che tenga! Ci sono cinque o magari dieci scarpe incona nel mondo e credo che la Nylite sia una di queste. Cavolo, Bjorn Borg, a 17 anni, ha vinto Wimbledon con le Nylite. Quindi all’inizio la Nylite era simbolo di uno sport “sotto i riflettori” per così dire… Si, assolutamente. Proprio per il suo essere dannatamente preppy, ma soprattutto di qualità. Ma, oltre la Nylite, quali pensi potrebbero essere i veri trend Tretorn dei prossimi mesi? La Skimra. È una plimsole vulcanizzata, molto sottile, ma con un grande elastico all’esterno che disegna una “x”. Per me questa è la scarpa punk-rock di Tretorn, che può essere indossata anche da uno di 40 anni. Tutti quanti continuavano a fare slip-on… guardando il disegno abbiamo pensato: perché non mettere l’elastico fuori anziché dentro! Giusto per darle un tocco un po’ più grafico. Noi ci andiamo sempre piano con i loghi, quindi questa grafica può essere interessante anche come segno distintivo della Skimra Tretorn. E cosa mi dici dei rubber boots? Quello dei rubber boots è un fenomeno che ancora non capisco, perché ci sono le Hug nel mondo. Tutti le amano. Ma quando piove tutti indossano le Tretorn Scary Boot, soprattutto le ragazzine. Se sei una donna, dai 17 ai 45 anni, sicuramente indosserai i nostri stivali di gomma con la pelliccia dentro o senza, super colorati e metallizzati. La forma è riconoscibilissima, ti accorgi subito che si tratta di una Tretorn. Quindi pensate di riuscire a sbaragliare brand come Hunter o la stessa Hug? È che noi siamo più originali. Già nel 1890 facevamo le galoche. Il marchio nasce dalla lavorazione della gomma: produceva le camere d’aria dei pneumatici, le palline da tennis, le galoche per la pioggia. Tutto a base di lattice e gomma. La nostra storia sono sempre stati gli stivali! Hunter ha un solo modello che è sempre stato famoso, noi abbiamo più di cento anni di modelli che si sono affermati sul mercato! Hunter è più uno stivale contadino… i nostri richiamano più la città, per arrivare fino alla montagna. Parlando delle collaborazioni di Tretorn, abbiamo visto una scalata di livello notevole! Siete partiti con IKEA, nel 2007, e la Skerry… In realtà, nel 2006, abbiamo collaborato con Richard James perché lui mi piaceva da morire. Ci siamo conosciuti, abbiamo creato una bellissima scarpa, la Pop Spin. Poi siamo passati a IKEA perché è un’azienda fantastica che tende al design mantenendo una certa accessibilità. Successivamente abbiamo collaborato con H&M, che volevano gli stivali di gomma fatti da noi; e infine Acne e Comme des Garçons. Loro, in realtà, ci avevano già contattato tramite i nostri amici del Dover Street Market, già cinque anni fa, ma per vari motivi non era stato possibile organizzarci. Poi mi hanno richiamato, rinnovando l’offerta, e adesso uscirà la collezione Comme Des Garçons Shirt. Qualche anticipazione su collaborazioni future?

Noi cerchiamo sempre di fare robe carine… ci sono tantissimi marchi che mi chiamano… se c’è una bella idea e un buon feeling tra i due brand allora si procede! È più bello lavorare con qualcun altro, invece che contro qualcun altro! Con Tretorn ci divertiamo sempre… Ci sono due collaborazioni in programma che usciranno tra otto mesi… ma non posso dirti nulla se no mi uccidono! Su, dai! Un indizio in più?? Posso dirti che una è una tavola da skateboard… ma non posso dirti con chi la faremo… Ti dico anche che sono italiani… Ma tu sei mai stata nel nostro negozio a New York? No, mai! Ah, devi andarci. È come una chiesa: vendiamo barche di legno, motori vintage, attrezzature da campeggio, tutto collegato dalle nostre scarpe e dai capi di abbigliamento. È un’ottima vetri-


na, perché la gente che non conosce Tretorn entra nel negozio e capisce subito il nostro modern outdoor e la nostra modern family! Stiamo cercando di aprire negozi in Europa (Svezia, Italia, Francia e Inghilterra) proprio perché funzionano meglio della pubblicità: il cliente può capire da solo il concept del marchio. Ma non avete mai pensato di relazionarvi ad altri mondi, come quello della musica? In realtà la musica è più adatta a PUMA. Paradossalmente noi ci siamo avvicinati al mondo degli chef! Abbiamo creato delle scarpe con delle grafiche culinarie, come gamberi o altri pesci… questo anche perché sono molto appassionato di cucina… Cosa prevedi per il tuo futuro? Ti vedi sempre con PUMA e Tretorn? Alla fine sono quindici anni che lavoro con loro, quindi ho ancora un sacco di strada davanti! Beh sei anche giovanissimo, hai solo 36 anni!

Eh, si! Fortunatamente sono ancora abbastanza giovane, grazie a Dio! Ma sono proprio felice, è stata un’azienda che mi ha letteralmente allevato, mi ha rispettato e mi ha permesso di fare tutte le cose matte che mi vengono in testa. Ho troppe cose da fare ancora! E mi diverto anche! Se non mi divertissi mollerei tutto. Non voglio essere uno che odia andare a lavoro, voglio andarci con piacere e passione. Sono molto fortunato. Direi proprio di si! Sei una specie di emblema delle grandi possibilità americane! In Italia non succede quasi mai una cosa del genere… Questo è un grosso problema dell’Italia perché ci sono tantissimi ragazzi, così pieni di talento e intelligenti, e ci sono questi stronzi che gli fanno fare solo caffè e non li fanno mai parlare. Non si rendono conto come, in questo modo, l’Italia stia perdendo tutte le sue potenzialità.

Ma sai che qui da Tretorn siamo tutti italiani? Speriamo che le cose cambino perché l’Italia è un paese troppo bello, troppo potente… Si, ma non c’è spazio per la creatività, a meno che tu non abbia 50 anni e una posizione sociale, oltre che un conto in banca, di un certo livello. Non importa quanto puoi dare all’arte e al mercato… sei giovane, quindi devi prima scavalcare le mille persone che stanno davanti a te… L’America è esattamente l’opposto. Se sei più giovane e più creativo ti ascoltano molto di più. Non ho mai capito l’Italia con quelle cravatte e quei capelli bianchi perfetti. Quando vengo a Milano per qualche meeting di lavoro e mi vedono entrare in sala riunioni, mi guardano dal capo in basso e mi chiedono: “Ma è lei Bertone?”. E io mi faccio delle grandi risate. www.puma.com - www.tretorn.com

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Reptilia

Di Ilaria Norsa

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1.Alessandro Dell’Acqua 2.Marni 3.Prada 4.Missoni 5.Prada 6-7.Roger Vivier 8.Azzedine Alaia 9.Corto Moltedo 10.Miu Miu 11.Cartier 12.Christian Louboutin

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1.Valentino 2.Ernesto Esposito 3.Miu Miu 4.Christian Louboutin 5.Prada 6.Zagliani 7.Gerard Darel 8.Marni 9.Valentino 10.Christian Louboutin 11.Salvatore Ferragamo 12.Hogan 13.Miu Miu

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Flickr buddy of the month: Fedor Sorokin www.flickr.com/photos/razead

A cura di Sean Michael Beolchini.

Come ormai avrete capito, ogni mese ci piace girovagare su flickr e dopo ore perse dietro foto di belle figliole, paesaggi mozzafiato e tanti maghi del photoshop si trovano anche delle piccole gemme di fotografia amatoriale, che non dovreste lasciarvi sfuggire!!! 50 PIG MAGAZINE


Da dove vieni? Dalla Russia Dove vivi? Vivo a Parigi, Francia Che lavoro fai? Sono uno studente della scuola superiore. Ci campi con la fotografia? No, non vendo le mie foto. Descrivi le foto che pubblichi su Flickr. Flickr è un sistema semplice dove uploadare le foto in maniera veloce. Io faccio upload di quasi tutte le foto che realizzo per la mia personale galleria: quelle belle ovviamente, ma anche tutti gli esperimenti che vengono di merda. Perché hai deciso di far parte di una fotoblog community? Perché volevo avere dei feedback su quanto facevo. Fai parte di qualche altra fotoblog community di questo tipo? Ho un paio di account di altri blog. Qual è la miglior cosa che hai ottenuto attraverso il tuo spazio su Flickr? Mi piace quando trovo commenti carini, quelli che lasci come messaggio. E' la cosa che davvero mi piace di più. Chi è in tuo artista preferito? Il mio artista preferito è Steven Klein. E' stato in grado di dare una sua personale, ma allo stesso tempo originale, visione della fotografia di moda; l'ho sempre visto più come un direttore di scena. Chi è il tuo fotografo preferito? Dipende dai giorni. Steven Klein per i giorni fashion, Levi Wedel per i giorni in città, Garry Winogrand per gli "street days". Che tecniche usi quando crei? I miei collages sono digitali, così come le mie fotografia, sebbene tenti sempre di dare ai miei lavori digitali un aspetto analogico... Tutti i miei scatti sono comunque fatti a mano. Che macchine fotografiche usi? Ho una Fuji 6500 di pessima qualità e uso l'iPhone quando non ho nient'altro con me. Usi Flickr anche a scopi sessuali? O per broccolare? ah ah ah Non avevo mai sentito che ti potessi procurare una scopata via Flickr Lo usi mai a scopi di lucro? No, Flickr è solo divertimento.

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Street Files. Tel Aviv di Yael Sloma (thestreetswalker.blogspot.com).

Nome? Lior Shachar Età? 22 Da dove vieni? Israele Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? Il mercato dell'antiquariato in Piazza Dizengoff Cosa fai di solito il sabato mattina? Faccio visita ai miei genitori Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? Morning Glory degli Oasis, ma non so dire perché Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Del mio ragazzo

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Nome? Yonatan Zohar Età? 25 Da dove vieni? Tel Aviv Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? Casa mia! Cosa fai di solito il sabato mattina? Vado a fare shopping Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? Starstruck di Santogold Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Di fare ciò che amo

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Nome? Dan Farkas Età? 22 Da dove vieni? Tel Aviv, Israele Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? Il negozio di dischi in Piazza Dizengoff Cosa fai di solito il sabato mattina? Faccio un giro attraverso la bellissima città Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? Ulysses dei Franz Ferdinand, mi piace parecchio Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Il fatto che verrò pubblicato su PIG Magazine

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Nome? Shira Horesh Età? 22 Da dove vieni? Tel Aviv Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? Il passaggio in Nahalat Binyamin Cosa fai di solito il sabato mattina? Sto a casa e ascolto buona musica sotto il piumone Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? Ruth Dolores Weiss Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Di me stessa

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Nome? Noga Winokur Età? 24 Da dove vieni? Tel Aviv Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? La spiaggia Cosa fai di solito il sabato mattina? Mi godo il sole, un ottimo modo per stare sia da sola che con gli amici Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? In Rainbows dei Radiohead Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Della mia arte e della mia felicità

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Nome? Lior Lachman Età? 18 e mezzo Da dove vieni? Israele Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? Sulle strade, solitamente con i miei amici. Cosa fai di solito il sabato mattina? Dipingo, guardo Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? L'album Grace di Jeff Buckley Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? La mia arte, la mia famiglia, i miei amici

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Nome? Tal A. Auraham Età? 24 Da dove vieni? Tel Aviv Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? Casa mia Cosa fai di solito il sabato mattina? Suono un sacco di musica Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? I'm Good In Gone di Lykke Li Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? I miei amici

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Nome? Iris Keutchmar Età? 24 Da dove vieni? Tel Aviv Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? Le strade, mi siedo su un'aiuola e guardo la gente che passa Cosa fai di solito il sabato mattina? Vado in spiaggia e dormo reduce dal venerdì sera Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? Untrue di Burial

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Nome? De La Taille Blandine Età? 26 Da dove vieni? Francia Qual è il tuo posto preferito dove uscire a Tel Aviv? Il Caffè The Little Prince Cosa fai di solito il sabato mattina? Dipingo Quale canzone stai ascoltando di più in questi giorni? Holla di Busta Rhymes

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Swash

Intervista a Sarah Swash di Ilaria Norsa. Foto di Aya Sekine, ritratto di Kumi Kin.

Immaginate qualcosa di mai visto prima ma reale. Qualcosa di più unico che raro. Qualcosa di davvero insolito e singolare... Con "Botanica Psychedelia" Sarah Swash & Toshio Yamanaka - i due giovanissimi designer dietro al marchio inglese Swash catturano la bellezza dell'ignoto, il fascino del bizzarro, l'incanto delle cose rare. Storia naturale, flora e fauna concorrono a definire i personalissimi confini di un misterioso universo artistico fatto di stampe e materiali preziosi. La loro è una visione in cui l'esattezza lascia spazio alla fantasia e in cui imperfezioni ed idiosincrasie diventano affascinanti. Le stampe sono il cuore dell'universo Swash: i disegni sono realizzati a mano da Toshio, in inchiostro di china nero, e dipinti ad acquerello in un secondo momento da Sarah. Sono disegni fatti di piccoli cerchiolini che, come atomi di molecole, unendosi danno vita a un mondo popolato da creature fantastiche, insetti e animaletti curiosi che prendono vita tra le pieghe della seta. Sciarpe e scialli diventano il supporto ideale, la tela bianca su cui le idee prendono forma e il reale si fa forma astratta. "Il vero mistero del mondo è ciò che si vede, e non l'invisibile" (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray). 62 PIG MAGAZINE


Cos’è Swash? Swash è il progetto di due persone, Toshio Yamanaka e Sarah Swash: disegniamo insieme una collezione di abbigliamento sotto questo nome. Parlami un po’ di voi: Io (Sarah) vengo da Penzance, una piccola città di mare nel sud ovest dell’Inghilterra. Toshio invece è di Chigasaki, in Giappone; anche lui quindi viene da una città sul mare. Ci siamo conosciuti mentre studiavamo moda alla Central Saint Martins nel 2000 e abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 2001. Ci siamo trasferiti a Penzance un anno per passare l’inverno e poi in Giappone per un altro anno; abbiamo fondato ufficialmente il nostro brand nel 2004 in occasione della nostra vittoria alla fashion competition del Festival di Hyeres. Sarah, descrivi te stessa in tre parole: Perfezionista, ansiosa, riflessiva. Toshio, descrivi Sarah in tre parole: Riflessiva, organizzata, graziosa. Toshio, descrivi te stesso in tre parole: Timido, lunatico, “sfigatello”. Sarah, descrivi Toshio in tre parole: Alto, dark, bello. Adesso descrivete Swash in tre parole: Disegno, stampa, dettaglio. Dove avete la vostra sede? Hackney, nella zona est di Londra.

Qual è la storia? Al momento direi che tutta la storia consiste più o meno in lavoro, lavoro e ancora lavoro! Chi fa cosa? Parte tutto dai disegni. Toshio disegna a mano con la sua penna preferita e i suoi disegni sono generalmente dei piccoli cerchiolini che si uniscono per formare figure più grandi, sempre in inchiostro nero. Io poi coloro questi disegni utilizzando gli acquerelli ed essi diventano poi le stampe della nostra collezione. Disegniamo e creiamo tutti i nostri vestiti insieme ma è Toshio a ritagliare i cartamodelli perché lui ama molto farlo. E io mi occupo di organizzare il resto (o almeno ci provo!). Perché lo fate? Perché lo amiamo! Descrivete una tipica giornata lavorativa nel vostro studio: Ore 10. Email, discussioni, lavoro sui cartamodelli. Pranzo con il nostro team e poi dal pomeriggio alla sera più o meno lo stesso. Io direi che generalmente è così. Che genere di musica ascoltate ultimamente? Johnny Cash, sempre. Probabilmente tiriamo scemi i nostri apprendisti. E poi My bloody Valentine, Flatwood Mac, Strawberry Switchblade... Litigate tra di voi?

Sì, direi di sì, ma in una misura ragionevole e presumo sia sano. Cosa vi sta tenendo occupati in questo periodo? La collezione per l'autunno inverno 2009 e l'organizzazione della nostra prossima mostra che si terrà ad aprile al Festival di Hyeres. La vostra Top 5 di Londra al momento: La Galleria di Henry Sotheran; il cafè "The Honest Sausage" a Regents Park; "Beard Papa’s" in Oxford Street; "Liberty’s" e Denmark Street. E di Tokyo: Purtroppo è un pò che non ci andiamo ma... Gyoza alle 5 del mattino sul retro della stazione Shibuya; Isetan; Harajuku; il centro di giochi a Chigasaki e Kamakura vicino alla casa di Toshio. Come descrivereste la vostra estetica? Colorata, elaborata, dettagliata, caratteristica, personale. A che genere di ragazza pensate quando disegnate? In realtà ad essere sinceri non pensiamo ad una ragazza in particolare, facciamo semplicemente qualcosa che vorremmo indossare e qualcosa che speriamo non si sia visto in giro prima. Le vostre stampe sono rigorosamente disegnate a mano: esse sembrano essere il vostro forte, il cuore del vostro universo estetico... siete d’accordo?

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Sì in effetti lo sono. E' qualcosa che abbiamo sviluppato nel tempo e che ora è diventato davvero il cuore delle nostre collezioni. Fin dal principio volevamo lavorare su qualcosa in modo onesto, qualcosa di duraturo, non semplicemente una grafica "veloce". Le sciarpe e gli scialli disegnati a mano stanno ricoprendo un ruolo sempre maggiore all'interno delle vostre collezioni e il riscontro è incredibile! Parlacene: Per circa quattro stagioni consecutive abbiamo realizzato una sciarpa che racchiudesse di volta in volta l'estetica, il tema della collezione e il nostro tocco personale facendone una sorta di simbolo. Per la primavera-estate 2009 abbiamo deciso di espanderci in questo settore disegnando un’intera collezione di sciarpe in seta. Sembrava proprio il momento giusto per farlo. C'è da dire anche che per noi lavorare sulle sciarpe è davvero un lusso perché sono essenzialmente tela bianca su cui dar libero sfogo ai nostri disegni e alle nostre idee. Le sciarpe della collezione PE09 raffigurano coccinelle, insetti, piante bizzarre, il nostro cane Candy e un po' del suo mondo. E per quanto riguarda la produzione di accessori cosa potete dirci? E' nei vostri

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progetti? Sì ma è una parte del business che deve avere ben pianificati tutti gli aspetti della produzione, non è una cosa che si fa così, in quattro e quattr'otto. Noi speriamo davvero di poter introdurre altri pezzi come borse e scarpe visto che Toshio ultimamente si è messo a lavorare a mano alcuni accessori in pelle e vorremmo che essi si trasformassero in qualcosa da vendere e produrre su una scala un pochino più ampia. Raccontami qualcosa della collezione per la Primavera-Estate 2009: si chiama “Botanica Psychedelia”. Di che si tratta? E' iniziato tutto con una visita alla mostra “Amazing Rare Things” tenutasi recentemente alla Queen’s Gallery di Londra. Questa fantastica esperienza ci ha portato a riflettere sulle sfumature della storia naturale – l’assurdità di reificare flora, fauna, insetti e animali rari a partire da brevi incontri o aneddoti. Sebbene le nostre illustrazioni inizino con qualcosa di reale, qualcosa di osservato, questo si sviluppa solo quando l’esattezza lascia spazio alla fantasia e le stampe assumono un aspetto più surreale e fantastico. Oltre a questo deve anche essere detto che Candy, il nostro cane, è rappresentato nelle stampe ma la cosa è tutt'altro che inso-

lita visto che ne è sempre stato protagonista... E per quanto riguarda la collezione AutunnoInverno 2010? Potete darci qualche anticipazione? Gioielli, gioielli e ancora gioielli; catene, uova Fabergè, ferri di cavallo, un po' di ghiande... Presentate le vostre collezioni a Londra durante la fashion week? La scorsa stagione sì, ma vi abbiamo presentato solo le sciarpe; la collezione per l'autunnoinverno invece l'abbiamo presentata integralmente e solo a Parigi. Siete riusciti a vedere alcune delle ultime sfilate per l'Autunno-Inverno? Ce n’è qualcuna che vi ha davvero colpito? A essere onesti non abbiamo avuto molto tempo per vederle, solitamente ci riserviamo di controllarle tutte quando siamo a Parigi. Però mi piace sempre tenere un occhio su quelle più importanti, e poi mi interessano molto quelle della maison francese Leonard. Quando siamo a Parigi spesso andiamo agli show di Bernhard Willhelm e Cosmic Wonder perchè ci piacciono moltissimo. E a proposito di brand che vi piacciono c’è qualche talento underground della moda che vorreste menzionare?


Non è proprio così underground e sconosciuto ma ribadisco: io amo il mondo di Cosmic Wonder. Chi ammirate invece come designer tra i nomi più affermati? Molte persone, sempre Vivienne Westwood però! Indossate spesso le vostre creazioni? Si, la maggior parte dei giorni. Cosa indossate oggi? Sarah: un bel paio di comodi jeans, le mie scarpe sportive di Church's, una camicia Swash, un cardigan Vivienne Westwood, un cappotto Cosmic Wonder e una sciarpa Swash. Toshio invece indossa: un cardigan Barbour, una camicia militare Vietnamita, jeans Cosmic Wonder e Converse. Leggete le riviste di moda? Quali sono le vostre preferite e perchè? Certo, leggiamo e teniamo un occhio sulle riviste del settore ma al momento non le compriamo assiduamente. Mi piacciono molto Vogue Francia e Italia perché sono entrambe così diverse da tutto quello che abbiamo qui in Inghilterra. Devo dire che le riviste che compriamo solitamente potrebbero essere di qualunque tipo, da Self Service a Elle. E i blog li guardate? Ne avete uno preferito?

Non così tanto sebbene controlliamo di tanto in tanto quello di Diane Pernet "A Shaded View on Fashion", visto che il nostro amico Shoji vi collabora come contributor. Qual è il vostro negozio preferito al mondo? Io amo Hermes a Parigi, è davvero un bellissimo negozio. Sì, sono d'accordo, le vetrine sono sempre una favola. E a Londra? Henry Sotherans (storico negozio di stampe e libri antichi al 5 di Sackville Street, Piccadilly n.d.r.) E a Tokyo? Il negozio di Hello Kitty (ma dovrei specificare che sono io, Sarah, ad amarlo, non Toshio!) Dov'è venduto Swash? In Italia le nostre sciarpe sono vendute da Maspero a Como. Altri negozi che vendono Swash sono Liberty a Londra, Gago in Francia, Barneys a New York, Dresscode a Baltimora, Wunder a Helsinki e HP France in Giappone. Se Swash fosse un luogo quale sarebbe? Un giardino segreto. Un momento della giornata: Estate, ore 10 del mattino nel parco. Un animale: Un piccolo levriero inglese. Un fiore:

Una rosa. Una canzone: Candy di Iggy Pop. Un artista: Marc Catesby. Cosa vi piace in questo momento? La nostra nuova collezione, anche perché considerando che ci tiene occupati ventiquattro ore al giorno per sette giorni è praticamente impossibile trovare il tempo di farci piacere qualcos'altro! Cosa vi rende felici? In questo momento ricevere nuovi pezzi dai nostri produttori e scoprire che sono esattamente come noi li immaginavamo o anche meglio. Cosa vi fa arrabbiare? Le cose che non arrivano in tempo! Ditemi qualcosa che conoscete dell’Italia: Ottimo cibo, cose bellissime e persone matte! Progetti per il futuro? Il festival di Heyres, la nostra prossima mostra in aprile... non riesco a guardare più in là di così in questo momento! Ma a fare un po' di vacanza ci starete pensando spero! Sì: Giappone in primavera. www.swash.co.uk

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Calvin Harris Intervista di Luca Garavini. Foto di Sean Michael Beolchini.

Il Nokia Trends Lab a novembre è stato la vetrina per numerosi artisti e designer emergenti che hanno creato oggetti e opere che indirizzeranno le tendenze del 2009. Non poteva mancare fra questi Calvin Harris che da “I Created Disco” - suo folgorante esordio - in poi il trend l’ha fatto e lo sta facendo tuttora, richiesto com’è da band e artisti di ogni risma che se lo contendono per una sua produzione o remix: ora ha venticinque anni e ha già ammaliato il gotha delle pop star. Per intenderci, ha prodotto tre pezzi con Kylie Minogue, ma era talmente timido che si sbronzava quando era in studio con lei. Si sente sfortunato con le ragazze, anche se da quando è uscito il suo singolo “The Girls” le occasioni sono aumentate a dismisura. Poi sono venuti i Ting Tings, Jamiroquai e tanti altri verranno ancora. 66 PIG MAGAZINE


Ciao Calvin, da dove arrivi? Vengo da un altro workshop itinerante che ho seguito con Nokia.. é una cosa figa perché insegno alle altre persone come poter fare le loro canzoni. Ti piace portare la tua musica agli altri? E’ una cosa bella, mi sento di essere adatto ad insegnare, il mio carattere paziente mi aiuta in questo. A questi workshop credo fossero quantomeno tutti DJ, ed erano del posto: queste cose servono perchè i ragazzi prendono qualcosa da quello che gli dico e se lo portano con loro. Sono utili anche perchè ho feedback su quello che faccio. Come hai iniziato con la tua carriera musicista? Mmmm... fammi ricordare, ho iniziato che avevo quattordici anni - ero abbastanza giovane quindi - mio fratello andava all’Università e aveva un’Amiga 500 plus con un software che permetteva di fare canzoni da rave, era parecchio divertente. Quando non c’era io ovviamente ci smanettavo. A quel punto mi sono detto... perchè non mettere il meglio della mia musica su disco? Ho iniziato a prendere dai miei e dai suoi cd i samples dei brani che più mi piacevano e li rielaboravo con quel software. C’è un gioco che hai consumato a furia di giocare? Qual è quello con cui giocavi di più con l’Amiga 500? Io mi ammazzavo di Kick Off. Giocavo tantissimo a Shadow of the Beast 2. Sono arrivato ad odiarlo, perchè non sono mai riuscito a passare un livello difficilissimo. Dovevo prendere delle pozioni e portarle in una stanza… ma mi dimenticavo di chiudere la porta e tutte le volte una cascata di massi mi sbarrava la strada. Ho giocato tantissimo ai games più classici tipo Tetris e cose del genere, ma credo che ci ricomincerò a giocare non appena libererò la memoria da tutte le basi di drum & base che ora la riempiono. C’è un artista che hai ascoltato e poi hai detto "Ok, questa è la mia musica, voglio iniziare a fare come lui"? Non so sinceramente, ascoltavo un mucchio di roba all’inizio. Credo che Fatboy Slim per me sia sempre stato un eroe, uno che suonavo di continuo e che suono tuttora, ma non so se ripensandoci vorrei essere come è lui ora. Qual è la musica che ti piace ballare di più ora come ora? Mi piace Timbaland, è un sacco stiloso e la sua musica è un distillato di groove, perfetta da ascoltare e da ballare. Credo inoltre che chi viene dal mondo hip hop, al momento, abbia molte cose da dire. Quali fra gli artisti hip hop ti ha dato di più come collaboratore? L’hip hop è il tipo di musica che preferisco ed è forse per questo che, collaborare con artisti

di quel tipo, mi da stimoli maggiori. Condivido con loro anche l’idea di morire ricco perché vengo da un paese della Scozia molto piccolo, dove di fatto quel tipo di musica non era per niente diffusa. Sì, magari qualcosa si ascoltava, c’era Eminem che piaceva a tutti, ma per il resto è sempre stato un mondo sconosciuto quando ero giovane. Quale tipo di strumenti usi per fare la tua musica? Prima di comprare il computer avevo pochissimi strumenti. Con una chitarra molto economica che mi hanno regalato per Natale facevo le melodie e ci mettevo su i testi base, poi facevo le linee di basso e ci scrivevo sopra altre linee in ritardo,cercando di inserirci del groove funk con altri strumenti. Tutto però parte sempre con una chitarra acustica, il computer è arrivato dopo, insieme al sintetizzatore: avevo un fantastico Korg N5 perché avevo bisogno di un buon piano elettrico. All’inizio avevi un nome particolare che ti definiva… Stuffer. Come mai hai deciso di chiamarti così? Stuffer era un pupazzo che ha reso famoso Harry Hill, un comico calvo con gli occhiali che adoravo quando ero bambino e che era seguitissimo in Gran Bretagna. Era un nome che mi piaceva parecchio. Cos’è cambiato da allora? Sembra esserci tanto di diverso rispetto a quando ti chiamavi Stuffer. Sì qualcosa è cambiato, principalmente perché quello che facevo quando mi chiamavo così era spazzatura. Non mi ricordo praticamente né perché né quando ho scritto quelle canzoni. Avevo solo quattro canali ai tempi: uno lo utilizzavo per l’Amiga, un altro invece, un grande e vecchio sampler Akai 950, lo tenevo per dare alle canzoni quel tocco fine anni ottanta. Ti ripeto, non avevo più spazio nella memoria per tutta quella musica…. Calvin, hai vissuto per tanto tempo nella tua cittadina natale, Dumfries, ma so che ti sei trasferito. Dove vivi ora? A Glasgow. Ti piace vivere lì? No, per niente. Non c’è niente. Mi trasferirò a Londra per un po’ dopo questa tournée. Non voglio morire a Glasgow. E in quale città invece vorresti tornare a fare un concerto? Il concerto che abbiamo fatto a Leeds è stato fantastico. Mi piace anche New York perché… è abbastanza seria come stile. Mi piace il pubblico newyorkese. Prima che iniziassi a produrre musica hai fatto un po’ di tutto nella tua vita. Di cosa ti sei occupato? Il mio primo lavoro in assoluto è stato in una fabbrica che trattava il pesce. Le mie mansioni consistevano nel sistemare in un grande

vassoio diverse razze di pesce, dal salmone allo sgombro. Poi mettevo il tutto in un forno industriale e lo cuocevo. Una volta pronto, mettevo il pesce in un’altra macchina e così via per tutta la giornata. Poi però smisi e iniziai a lavorare in diversi negozi, tipo facendo il commesso e altre cose del genere. Quanto credi sia stato importante, per la tua crescita personale, aver fatto quel tipo di lavori? Per me quelli sono lavori veri. Lavori con la L maiuscola. E quello che fai ora come lo consideri? Un lavoro a tutti gli effetti? Non è un lavoro vero... Non lo considero tale e non mi ci approccio come tale: alcuni lo fanno e magari poi riesce loro anche meglio di come lo faccio io. E’ più divertente vederla così, è un modo per attutire l’impatto. Io quella vita l’ho fatta e so cosa vuol dire... Se non andrà, so che dovrò rimettermi ad occuparmi con una "mansione vera". Ora me la godo e certamente non mi manca per nulla. Ma se questo non è il lavoro della tua vita, quale lavoro vorresti fare? Ti ripeto, non lo considero un lavoro e non penso che possa essere considerato tale. Non lo so, farei qualsiasi cosa per far soldi e tirare avanti. Mi immagino comunque sempre a far musica. E’ una cosa che faccio da dieci anni ed è impossibile fermarsi così, di punto in bianco. A meno che non mi passi la voglia continuerò sempre a fare musica. Ovvio che non scrivo musica soltanto perché ho firmato un contratto discografico, ma è ciò che voglio fare e farò. Quando il contratto scadrà, vedrò cosa mi si prospetterà. Quali sono le tecnologie che usi per i tuoi dj set? Quando metto i dischi uso un Mac. Non è esattamente un dj set quello che propongo: sono un selecter quando metto i dischi davanti un pubblico. E’ meglio essere selecter o DJ? Decisamente selecter! C’è molto lavoro in più, ma non mi devo concentrare sulla velocità dei dischi e questo è buono per me. Quale canzone stai ascoltando di più al momento? Mmmm…. Mmm non so... Mi piacciono moltissimo tre canzoni dei Vampire Weekend. Le altre non le ho ascoltate bene, ma quelle tre mi piacciono. Ti piacerebbe lavorare alla produzione di alcune band rock? Sì, ma non saprei con quale al momento, perchè non ce ne sono molte che mi piacciono. Pensi sia meglio lavorare con pop star come Kylie Minogue? Mi piace di più Kylie che molte altre band che hanno poco da dire. Forse mi trovo meglio con le pop star che con le band perché posso

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dar loro la mia musica, su cui poi loro cantano quel che vogliono. Le band fanno fatica a prestarsi a questo tipo di situazioni. E’ vero che per scioglierti, quando eri in studio con lei alla produzione dei suoi pezzi, bevevi prima di metterti dietro al mixer? Non avevo scelta. Ero molto più giovane e non mi controllavo. Ora non lo rifarei di sicuro... Comunque sì, mi tenevo allegro per sostenere le emozioni dello stare davanti un certo tipo di situazione per me nuova. Ma non mi riducevo mai talmente male da non riuscire a fare quello che dovevo. Lavorerò di sicuro ancora con lei, ma ora ho l’esperienza per controllarmi. E’ molto semplice lavorare con Kylie, è estremamente umile e alla mano. Pensa che prima di iniziare saluta i fan, parla al telefono e fa mille altre cose che noi comuni mortali ci sognamo, ma appena inizia è sempre estremamente tranquilla. Non tutte le star del pop sono esaltate, quindi. La gran parte di questi personaggi sono dei coglioni (twats, ndr). E' divertente però quando incontri persone amabili e normali. Con quale, fra gli artisti con cui hai collaborato, ti sei trovato peggio? Mmmm... Quella con i Dragonette non è stata

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di certo una bella esperienza. Lavorammo ad un pezzo, ma loro mi dissero che era una merda e mi chiesero di cambiare tutto quanto. Ovviamente, dissi loro che non avrei potuto, perchè ero sul bus in tour e che fondamentalmente avrebbero potuto andare affanculo. Lasciammo ovviamente tutto così. Faceva effettivamente così schifo quel pezzo? Sì, sinceramente non era il massimo. La cosa che effettivamente mi annoiò era che pensai che avrei potuto rimanere impunito per quel remix. Ci passai sopra un paio di giorni, ma la maggior parte di quel tempo fu principalmente trascorso a riflettere su quanto, a tutti gli effetti, facesse cagare. Normalmente puoi farla franca con questo tipo di cose, quella volta no. Qual è stata la tua più grande delusione in assoluto nell’ultimo anno? Ho fatto qualche canzone con Cathy Dennis per il nuovo album di Roisin Murphy, ma lei ha deciso di non usarle perchè è un attimino cervellotica e non deve essere nemmeno molto furba... quelle canzoni erano davvero buone e Cathy è, ovviamente, una leggenda. Questo è stato motivo di risentimento per me, in parte anche perchè mi ha tolto un sacco di tempo

dal lavoro che stavo facendo con Kylie. Una situazione assurda. Ti ho visto dal vivo a Glastonbury lo scorso anno, per un programma della BBC, dove hai suonato in acustico. Hai mai pensato di far svoltare la tua musica in una dimensione maggiormente ‘minimale’? Quello è stato probabilmente il mio migliore show in assoluto. Quando sono con la mia band e suono dal vivo è fantastico sentire la gente che urla e impazzisce; in generale, quando suono live, mi piace essere sempre con la mia band. Se sono da solo, preferisco invece fare il selecter o stare in studio a registrare nuova musica. E’ perché sei timido che preferisci far tutto da solo? Forse sì. Per farti capire, non ho mai comprato un album live nella mia vita e stare in studio mi permette di controllare più o meno tutto. La mia musica deve essere perfetta per come la sento io. Quindi per te è meglio non avere nessuno in studio con cui lavorare, men che meno un produttore… Mmmm… sì o forse no, nel senso che non ci ho mai pensato effettivamente. Mi piace trovare le parole giuste, combattere con la musi-


ca finchè non esce qualcosa di buono… non so se ce la farei con qualcun’altro. Forse con qualche producer più anziano, perché molte cose non le so e potrebbe insegnarmele lui. Non so davvero. Con la canzone The Girls sei riuscito a trovare più ragazze? Da quando hai iniziato ad avere successo qualcosa è cambiato in questo senso? No… cioè... forse sì, sono aumentate le possibilità. Se sei sul mercato le occasioni non mancano di certo, ma non è il mio caso. D'altronde anche The Elephant Man alla fine del film potrebbe avere una ragazza se soltanto volesse, giusto? Hai avuto qualche problema col tuo pc portatile ultimamente? Sì, l’ho perso per un paio di giorni in aereoporto. La prossima volta ci sto più attento o quanto meno faccio una copia in backup. Cosa stai producendo al momento? Sono molto impegnato nella composizione di una colonna sonora e ho del materiale nuovo che probabilmente verrà alla luce a metà del prossimo anno (giugno 2009?) anche se non so ancora bene quando. Mi mancano ancora le parti cantate, ma sono fiducioso che il mio

secondo album possa uscire a metà del prossimo anno. E quale strada musicale hai intenzione di prendere? Se si parla di qualcosa che sento estremamente mia è difficile parlarne. Parlare per gli altri è più semplice, ed è brutto che siano solo gli esterni che possano farlo. Comunque ci saranno un numero maggiore di canzoni e credo che... sì, potranno essere più dance. Lo sto facendo ora comunque, davvero non so ancora come uscirà. Se dovessi scegliere fra Britney e Kylie chi sceglieresti? Per il catalogo Britney, come persona Kylie. Ma Britney non la conosco bene. Chi sceglieresti invece fra Elvis e Michael Jackson? Sono un fan convinto di Michael Jackson. Adoro la sua musica, davvero la trovo fantastica. Certe canzoni di Elvis però sono uniche, oltre ad essere un personaggio straordinariamente interessante: ho letto quello che mangiava e che ha continuato a mangiare fino alla fine dei suoi giorni. Faceva una dieta assurda, sempre la stessa, due volte al giorno. Ogni giorno si scofanava carne con contorno di pancetta, burro d’arachidi e marmellata

di lamponi. Praticamente un menù a base di junk food! E' assurdo, ogni portata aveva circa 39000 calorie. Come mai sei così informato? Voglio dire, dove hai letto tutte queste cose su di lui? Ho trovato tutto su internet. Sono affascinato dalla sua figura. Ah dimenticavo, a mezzanotte di ogni giorno faceva uno spuntino, di solito con un hamburger o a base di torte. Una cosa del genere mi ucciderebbe in un paio di settimane probabilmente. Stai facendo qualche remix al momento? Mmmm.. sì ne ho appena concluso uno per una band chiamata The Hours, il brano è See The Hours. Ne sto programmando altri, ma al momento non c’è ancora nulla di confermato. Immagino che oggi come oggi tu possa scegliere chi remixare o meno. In base a quale criterio scegli gli artisti? Per me è importantissimo che la voce sia buona: se le parti vocali hanno tiro, quel pezzo inizia ad essere interessante. Ovviamente guardo anche che etichetta è e se quella pubblicazione sarà distribuita un po’ ovunque: se è una release non troppo diffusa lascio stare. Molti sono i pezzi che vengono remixati e non vengono nemmeno pubblicati.

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New Young Pony Club In occasione dell’evento Nokia Trends Lab, tenutosi all’Alcatraz di Milano lo scorso novembre, PIG non si è fatto sfuggire l’opportunità d’intervistare i New Young Pony Club, band imputata, dalla stampa d’oltremanica, di aver contribuito alla nascita del calderone Nu Rave. Uno dei fenomeni musicali più invasivi (e inconsistenti?) degli ultimi anni. Data per scontata la fine di un genere che, probabilmente, non lascerà alcuna traccia di rilievo nei più esigenti annali della storia della musica, la band inglese ci ha raccontato il suo passato, il suo presente, e il suo futuro. Lontano da ogni etichetta. Illeggibile, dopo i troppi passaggi in lavatrice. Intervista di Marco Lombardo. Foto di Sean Michael Beolchini.

All’inizio della vostra carriera siete stati

ancora un senso per voi quella definizio-

lavaggi. In realtà non ha mai avuto alcuno

inseriti nel calderone Nu Rave. Nel 2007,

ne?

spessore.

infatti, eravate tra gli headliner dell’ Indie

Tahita Bulmer (voce): Ha avuto vita breve…

TB: Forse ha avuto un senso nel breve pe-

Rave Tour organizzato dalla rivista inglese

Andy Spence (chitarra e mente del grup-

riodo, all’epoca del tour. Ci ha dato l’oppor-

NME, insieme a CSS e Klaxons. Oggi ha

po): E’ sbiadita nella lavatrice, per i troppi

tunità di suonare con band che apprezzava-

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mo, niente di più. Non ha mai avuto alcun

sione quando si registra un nuovo album.

TB: David Bowie. Tu Andy potresti fare

significato per noi. Non l’abbiamo scelta.

Il nostro scopo è quello di migliorare ulte-

Prince.

Eravamo in giro già da alcuni anni quando il

riormente e di essere orgogliosi delle regi-

AS: Non saprei. Sono sicuro che Prince mi

fenomeno Nu Rave si è messo in moto.

strazioni, al cento per cento. Non pubbli-

tratterebbe malissimo, meglio evitare. Non

A quel tempo non credo assomigliassi-

cheremmo mai del materiale senza esserne

risponderebbe a nessuna delle mie doman-

mo a nessun altro gruppo in circolazione.

completamente soddisfatti. E’ l’unico tipo di

de.

Quell’etichetta ha aiutato i giornalisti a de-

regola che ci poniamo, nonché l’unico fatto-

Vi è mai capitato d’intervistare qualcuno?

scrivere la freschezza di gruppi difficilmente

re che possa generare il tipo di pressione a

TB: Si, a me è capitato. Da ragazzi avevamo

etichettabili. Soltanto dopo il suono ha ini-

cui facevi riferimento tu.

una radio indipendente con alcuni amici.

ziato ad uniformarsi, diventando una moda.

Torniamo alle vostre origini. Come vi siete

L’avevamo creata con l’appoggio della scuo-

AS: Noi abbiamo sempre e solo suonato

incontrati?

la. Ricordo che l’intervista più importante

progressive pop.

AS: E’ passato parecchio tempo ormai. Ho

che feci fu al cantante soul Omar. Forse non

TB: Infatti credo ci sia più di una scena oggi,

incontrato Tahita per la prima volta in un

è molto conosciuto qui da voi, ma a metà

con gruppi come We Have Band, The Ting

orfanotrofio. Non l’ho notata subito ma poi

degli anni novanta era molto famoso nel

Tings, Plugs, che non all’epoca del Nu Rave.

i suoi occhioni hanno attirato la mia atten-

circuito urban londinese. E’ stato un artista

Fantastic Playroom è stato pubblicato nel

zione.

seminale, al quale si sono poi ispirati gente

2007. Cosa ne pensate oggi del vostro

TB: Mi ha salvata…

del calibro di Angie Stone, D’Angelo e così

disco d’esordio?

AS: Mi ha fatto tenerezza e l’ho portata via.

via.

TB: Lo adoro, davvero.

Ho pensato che avesse bisogno di un po’

AS: Pur avendo delle qualità straordinarie

AS: Sì, anch’io. Nonostante appartenga

d’amore…

non è mai riuscito a fare il grande salto, la

ormai al nostro passato, credo sia un ottimo

Sorrido automaticamente, senza però ca-

sua musica era forse troppo avanti per quei

album. Se lo registrassimo in questi giorni

pire l’ironia della gag.

tempi, in anticipo di un paio d’anni rispetto

sarebbe di sicuro molto diverso. Inevita-

Perché avete scelto il nome New Young

a tutti gli altri, sufficienti a giocargli la car-

bilmente in questi anni ci siamo evoluti sia

Pony Club?

riera.

come band che come individui. Quando

TB: Ripensando a quella scelta posso dirti

Credo abbia molte affinità con noi: stessa

riascolto quel disco penso comunque di

che l’intenzione primaria era avere un nome

attitudine pop, ma ricca di elementi insoliti

aver fatto un buon lavoro. Rappresenta

che contenesse la parola club al suo inter-

e innovativi. Ovviamente però speriamo di

esattamente cosa eravamo in quei giorni.

no. In Inghilterra il Pony Club è uno dei più

non fare la stessa fine.

Come debutto, ha svolto il suo dovere egre-

esclusivi in assoluto, frequentato da ragazze

Lily Allen, David Bowie e Stella McCart-

giamente.

dell’alta borghesia…

ney hanno dichiarato di essere vostri fan

State lavorando a nuove canzoni? Avete

AS: Al contrario noi volevamo formare un

giusto?

già un’idea di come sarà il vostro prossi-

club esclusivo, ma accessibile a tutti, anche

AS: Si possiamo dire così. Lily lo ha dichia-

mo album e di quando uscirà?

a coloro che non potevano permettersi un

rato più volte mentre Stella McCartney ci

AS: Sì, stiamo scrivendo nuovi brani. Siamo

pony. Il nome inoltre ha un riferimento più

ha invitato a suonare ad una sua sfilata ad

entrati in studio con un solo proposito: non

bizzarro…

Hong Kong. David Bowie, purtroppo, non

ripetere noi stessi. Sarà molto diverso dal

TB: Il Pony Club infatti è anche un club

lo abbiamo ancora mai incontrato, ma dal

precedente. Dopo aver trascorso un anno e

fetish dove la gente va vestita in maniera

suo sito ha dichiarato di ascoltare le nostre

mezzo in tour l’impressione è stata quella di

assurda, da pony appunto.

canzoni.

aver iniziato con un suono originale, abba-

AS: All’inizio infatti dovevamo chiamarci sol-

Ti lascio immaginare lo stupore e l’orgoglio

stanza unico. Poi però sono comparse molte

tanto Pony Club, ma c’era già un’altra band

che abbiamo provato quando ci è stato

band che hanno iniziato ad assomigliarci,

con lo stesso nome.

riferito.

appiattendo il nostro effetto sorpresa. L’in-

TB: Vorrei proprio sapere dove sono finiti

E voi invece di chi vi considerate fan?

tento è quello di non uniformarci e di conti-

ora.

AS: Personalmente userei la parola fan sol-

nuare la ricerca di un qualcosa di innovativo.

AS: Quando lo abbiamo scoperto, control-

tanto per Bowie. E’ l’unico modello iconico

TB: Vogliamo alzare l’asticella ancora un po’

lando in maniera abbastanza casuale su in-

al quale faccio riferimento. Spesso anche nel

più in alto. Aprire nuove porte che mai ci

ternet, ci siamo limitati ad aggiungere new

mio rapporto con altri gruppi o artisti la sua

saremmo aspettati di trovare davanti. Lasce-

e young. Avremmo probabilmente potuto

presenza fa capolino perché, in un modo o

remo che la curiosità ci guidi lunga la strada.

fregarcene dato che nessuno sa più nulla di

in un altro, la musica che apprezzo è influen-

AS: Difficile dire ora quale sarà la nuova

quel gruppo, ma non era il caso di iniziare

zata dalla sua immensa carriera. Sapere che

direzione perché stiamo sperimentando

una nuova band occupandosi immediata-

ascolta e apprezza la nostra musica è stato

soluzioni diverse. E’ ancora presto. Proba-

mente di un contenzioso legale.

il più grande traguardo che ho raggiunto da

bilmente sarà un disco meno ballabile e più

Se non foste diventati dei musicisti cos’al-

quando faccio il musicista. Ricevere i com-

evocativo. Cercheremo di finire tutto entro

tro avreste voluto fare nella vita?

plimenti da un genio di tale portata è stato

l’estate.

TB: Il dottore

un evento indescrivibile.

Sentite la pressione di dovervi lasciare

AS: Lo chef

TB: Io citerei i Clash, rimangono tuttora il

alle spalle una scena musicale - quella Nu

Trovandovi nella posizione opposta a

mio gruppo preferito.

Rave - ormai in declino?

quella in cui siete ora, chi vi piacerebbe

AS: Assolutamente, concordo!

TB: Credo sia naturale sentirsi sotto pres-

intervistare?

Quali poster avevate appesi ai muri delle

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vostre camere di adolescenti?

grandissimo fan, invece, è il padre del mio

Avere delle idee innovative ma non riuscire

TB: Stone Roses, Nirvana, di sicuro per qual-

compagno.

a diffonderle prima degli altri. Risultare sor-

che periodo c’è stata anche Madonna, poi i

AS: Stai scherzando?

passati perché il processo di composizione e

Blur, Joe Strummer…

TB: No, davvero! Qualche tempo fa siamo

registrazione si è dilungato eccessivamente.

AS: Wow, non mi hai mai raccontato della

andati a trovarlo in Scozia, dove vive, e ave-

E’ stata la mia più grande insicurezza ai tem-

tua collezione di quando eri ragazzina! Io

va il nostro disco in macchina. Lo suonava in

pi del nostro esordio.

invece vi devo deludere, ma non sono mai

continuazione.

Registrammo Ice Cream nel 2004. Abbiamo

stato un maniaco dei poster. Non riesco a

Ovunque andassimo. Facevamo dei viag-

però pubblicato il disco soltanto nel 2007.

ricordarne neanche uno! Giuro che ci sto

gi lunghissimi da una parte all’altra della

Nel frattempo abbiamo trovato un contratto

provando! Al massimo avevo un paio di vini-

Scozia e come colonna c’era sempre quel

discografico, scritto il resto delle canzoni,

li dei Clash alle pareti ma niente di più!

disco. Non ne potevo più. Avresti dovuto

fatto un sacco di concerti, dato una forma

Come descrivereste la musica dei New

vedere la sua faccia. Era così soddisfatto

al nostro suono. Inevitabilmente abbiamo

Young Pony Club ai vostri genitori?

ogni volta che lo faceva ripartire.

perso un po’ di quell’effetto sorpresa che

TB: Mamma hai presente Blondie?

AS: Posso immaginare… Personalmente

avrebbe potuto farci emergere ulteriormen-

AS: Mia madre apprezza il pop femminile

m’imbarazza tantissimo sentire il mio disco

te rispetto a tante altre band. Ho paura di

del passato, quindi non è del tutto estranea

ad una festa.

vedere le mie intuizioni fare la fortuna di

al mondo della musica. E’ stata anche lei

A volte, nelle cene di famiglia, capita che

gruppi più cinici…

una cantante. Le direi che suoniamo pop

qualche cugino più giovane, a cui ho rega-

Cosa vi spaventa di più come persone?

elettronico… Mi terrei sul vago…

lato l’album, faccia partire una mia canzone

AS: Litigare con Tahita.

Avete mai sottoposto i vostri genitori

davanti a tutti i parenti, nella più totale con-

TB: Davvero?! Che tenero!

all’ascolto di Fantastic Playroom? Qual è

vinzione di starmi omaggiando. Terribile! In

AS: Ok, ma non guardarmi con quegli oc-

stata la loro reazione?

quelle circostanze vorresti solo nasconderti

chioni perché mi metti in imbarazzo…

AS: Mia madre ha sentito alcune canzoni

o non essere mai diventato un musicista!

TB: Ritrovarmi un ladro in casa. Mi terro-

alla radio. Non le ho mai fatto ascoltare l’al-

Cosa vi spaventa di più come band?

rizzerebbe! (Esplodono a ridere in maniera

bum così direttamente.

TB: Gli aerei! Non mi sono ancora abituata,

incontrollata)

Non sono sicuro, in tutta franchezza, che sia

nonostante in questi ultimi due anni ne ab-

Cosa vi piace fare quando tornate a Lon-

una nostra fan…

biamo presi parecchi.

dra dopo una lunga serie di concerti?

TB: So che mio padre apprezza particolar-

AS: La mia più grande paura è impiegare

TB: Chiudermi in casa a fare un po’ di scon-

mente i testi, non so la musica… Un nostro

troppo tempo nella scrittura di un disco.

cezze!

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AS: Riprendere subito a scrivere nuove

AS: Io direi la sensazione generale di un’ag-

to davvero disturbante vedere persone inso-

canzoni.

gressività in aumento. Non è più la città

spettabili, con una profonda storia liberale

So che siete spesso impegnati anche

amichevole che percepivo una volta. La

alle spalle, dichiarare anatemi di guerra.

come coppia di dj. Cosa suonate di solito

gente è diventata più aggressiva, più chiusa.

Londra credo quel punto non l’abbia mai

ad una vostra serata?

O forse tutto ha a che fare con la paura.

raggiunto.

TB: Ogni cosa si adatti al mio mood del

TB: Secondo me la gente è più spaventata

La metropolitana rimase deserta per alcuni

momento. Qualsiasi genere, senza nessuna

che aggressiva rispetto al passato.

mesi, cosa assolutamente insolita. Fu un

preferenza in particolare.

E’ un qualcosa riconducibile agli attacchi

periodo surreale.

AS: Io ho una predilizione per il post-punk.

terroristici del 2005?

Ma il fatto più strano fu che il giorno dell’at-

Sono alla costante ricerca di vecchie perle

AS: Sicuramente. La città è cambiata parec-

tacco le persone iniziarono a parlare tra di

del passato… Anche se per Londra è diven-

chio da allora.

loro senza conoscersi, come se le bombe

tato un suono abbastanza scontato… Rima-

TB: E la situazione sta diventando sempre

avessero squarciato per alcune ore il velo di

ne tuttavia il mio genere preferito.

più allarmante.

diffidenza.

TB: Ultimamente mi hanno veramente sor-

Vi ricordate cosa stavate facendo quel

Quel giorno Londra sembrava un villaggio

preso i Buraka Som Sistema. Apprezzo mol-

giorno?

dove tutti si conoscevano.

to chi riesce a mischiare generi differenti, a

TB: Io stavo andando ad un colloquio di

AS: Credo faccia parte della mentalità degli

sorprendermi con accostamenti azzardati.

lavoro. La band non aveva ancora ingranato.

inglesi: condividere il dolore, la paura, la

Cosa vi piace di meno di Londra, la città

Stavo attraversando la città per raggiungere

tristezza nei momenti più difficili.

dove vivete entrambi?

il luogo dell’intervista.

E’ un retaggio che ci portiamo dietro dai

TB: I mezzi pubblici.

E’ stata una situazione assurda. Mai però

tempi della guerra.

AS: Perché? I trasporti funzionano a Londra!

come all’epoca degli attacchi dell’11 set-

Tornando ad argomenti più superficiali,

TB: Non è quello. E’ più che altro lo stress

tembre.Mi trovavo a Washington.

qual è la vostra serie tv preferita?

che comporta muoversi in una città così

E’ stata un’esperienza paranormale, terrifi-

TB: La nuova serie di Battlestar Galactica

grande a non piacermi.

cante. La gente si riversava nelle strade in

è geniale. E’ drammatica, metafisica, com-

Oltre alla sensazione di sporcizia che ti si

preda al panico. Tutti ammassati davanti

plessa, oscura. Straordinaria.

appiccica addosso quando viaggi nelle ore

alle vetrine dei negozi che vendevano tele-

Dando per scontato che siate una party

di punta di una giornata estiva, senza aria

visioni.

band, cosa vi rende tristi?

condizionata. Può risultare un’esperienza

La frase che sentivi ripetere ossessivamente

TB: Cosa ci rende tristi? Quando la tequila

alquanto claustrofobica.

era: attacchiamoli, attacchiamoli ora! E’ sta-

finisce!

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Telepathe

Intervista di Gaetano Scippa. Foto di Skye Parrott.

Telepathe è una band elettropop formata a Brooklyn nel 2004 da Busy Gangnes e Melissa Livoudais. A lanciarla è Dave Sitek dei TV On The Radio, che ne registra il primo album “Dance Mother”. L’avanguardia inseguita nelle precedenti esperienze del duo lascia oggi spazio a un’estetica pop fatta di ritmi e melodie, suoni stratificati ed effetti piacevolmente stranianti, che rendono Telepathe la prima vera sorpresa del 2009. 74 PIG MAGAZINE


In parapsicologia, la telepatia viene definita come trasmissione extrasensoriale di processi mentali (pensieri o sentimenti) tra due persone. Ed è probabilmente la telepatia ad aver riunito nel cuore di Brooklyn, all’inizio degli anni Novanta, Busy Gangnes e Melissa Livaudais. Fin dal loro primo incontro le due giovani artiste, la prima

originaria di Los Angeles e la seconda di New Orleans, si ritrovano a condividere tutto, dai sentimenti alla musica. La loro è molto più che una storia di amicizia, nata sulle sperimentazioni prog-punk dei Wikkid e proseguita col progetto elettropop Telepathe. L’intensità della loro relazione si riflette

anche nella musica, tuttora indefinibile pur essendo associata al calderone freak di Gang Gang Dance, Animal Collective e TV On The Radio. “Io e Melissa facciamo musica difficile da descrivere perché insegue un’estetica pop ma in modo anticonvenzionale”, spiega Busy. La loro musica è effettivamente ambivalente, un misto tra tecnologia e primitivismo, un continuo mescolarsi di ritmi sincopati e dolci melodie, di beat e percussioni urban con atmosfere tanto gotiche quanto shoegazing. L’attitudine è tipicamente DIY, eppure la produzione è estremamente curata e stratificata. Canzone dopo canzone, fisicità e spiritualità combattono e si abbracciano. Il primo EP Farewell Forest su Social Registry, seguito dal 12” Sinister Militia sulla stessa etichetta, lancia il duo nella sconfinata scena arty newyorkese, tra performance noise ed esercizi di respirazione. “Siamo tutte e due persone spirituali e cerchiamo di definire la nostra spiritualità nel modo di vivere, cioè facendo musica”, racconta la percussionista, che tra le altre cose è anche insegnante di yoga. “Abbiamo scelto il nome del gruppo durante una conversazione su una donna che comunicava con gli animali, ascoltava cani o gatti e capiva cosa le stavano dicendo. Molte donne nella famiglia di Melissa hanno poteri telepatici e lei stessa li possiede, anche se deve affinarli. Di certo la musica è un buon esercizio per raggiungere uno stato di trance”. I ruoli nel gruppo sono ben definiti e divisi egualmente tra lavoro e responsabilità. Pur essendo entrambe polistrumentiste, Busy si occupa delle percussioni mentre Melissa suona la chitarra, ma tutte e due operano con il software Logic, creano beat, cantano e suonano i sintetizzatori. Un equilibrio nel mettere insieme le cose e lavorare sugli arrangiamenti che non si instaura solo a livello compositivo e produttivo, ma si realizza nel rapporto duale tra tecnologia e tradizione acustica. “Ci piace esplorare gli spazi e i lati estremi delle cose, mescolare musica digitale e strumenti organici”, puntualizza Busy. “Abbiamo avviato il progetto Telepathe quattro anni fa, prima di allora militavamo in gruppi più che altro dediti al jamming e all’improvvisazione strumentale. Quindi, anche se oggi abbiamo a disposizione più tecnologia, cerchiamo ancora di incorporare quel tipo di sensazione organica. Vogliamo mischiare calore ed emozione ai suoni più freddi dei beat elettronici, sia con le voci sia con l’inserimento di chitarre e percussioni dal vivo”.

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“Abbiamo scelto il nome del gruppo durante una conversazione su una donna che comunicava con gli animali, ascoltava cani o gatti e capiva cosa le stavano dicendo. Molte donne nella famiglia di Melissa hanno poteri telepatici e lei stessa li possiede, anche se deve affinarli. Di certo la musica è un buon esercizio per raggiungere uno stato di trance”. La resa sonora di Dance Mother, il primo album sulla lunga distanza delle Telepathe uscito quest’anno su V2, deve però buona parte del suo successo alla mano poco invisibile di Dave Sitek, il producer più ambito del momento in campo indie. Un po’ come Phil Spector tra gli anni Sessanta e Settanta, Sitek, che negli ultimi tempi fa diventare oro tutto ciò che tocca – TV On The Radio, Yeah Yeah Yeahs, Liars e Celebration, se si esclude il flop di Scarlett Johansson – trasforma i suoni immaturi di Busy e Melissa in bombe ad orologeria pronte ad esplodere una volta aperti gli amplificatori. L’incontro tra il produttore e le Telepathe avviene, come ormai un classico, su Internet. Busy ricorda con entusiasmo la nascita della collaborazione: “Stavamo lavorando sui pezzi da diversi mesi, Sitek li ha ascoltati su MySpace e ci ha contattate. Ci siamo incontrati con lui e dopo sole tre settimane ci ha offerto il suo studio di registrazione per un mese intero. Abbiamo scoperto di avere molto in comune, come l’approccio specifico alla musica e alla produzione, e l’amore per i bassi. Una delle cose più interessanti di questa collaborazione è stata la sua grandiosa collezione di sintetizzatori analogici e drum machine. Li abbiamo usati per aggiungere o sostituire ogni parte delle nostre canzoni, che così sono diventate molto più ballabili. Il risultato è stato esaltante”. In effetti con Dance Mother le Telepathe, sotto la guida esperta di Sitek, alleggeriscono la sperimentazione per dirigersi verso il pop con la formula del ballabile. “Una volta pensavamo solo ad improvvisare e a produrre droni, ma poi ci siamo stufate e abbiamo deciso di fare la musica più catchy possibile. Per quest’album, quindi, l’idea è stata di seguire una precisa struttura. Sai, per noi è stata una bella sfida creare versi, ritornelli, ponti, ogni sezione che portasse alla forma canzone. E’ stata davvero dura lavorare in questo modo, per arrivare a canzoni pop”. I bassi corposi, presenti in

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varie tracce, sono particolarmente evidenti in Lights Go Down che svela l’amore del duo per il southern hip-hop e per generi correlati, come dubstep, grime, dancehall e drum’n’bass, per l’esotismo à-la M.I.A. e più in generale per qualsiasi suono che possa essere trasformato in beat. Ma le chitarre non stanno lì a guardare, echeggiano eteree come i Cocteau Twins da ghetto in Chrome’s On It e si trascinano sotto i piedi callosi di Kevin Shields in Can’t Stand It. Mentre analizziamo l’album, lo stato di trance si impossessa di noi con la psichedelia dolce e sottile di Devil’s Trident, una delle tracce meglio riuscite per lo spoken word, la preferita dalla stessa Busy. “In questo pezzo c’è il contributo di mia madre. E’ stata una cantante professionista per trent’anni e ora insegna a Los Angeles, ma l’ho portata in studio a New York per registrare la sua voce. Mi serviva una tonalità particolarmente alta nella terza parte del pezzo sul finale, quando si fa più intenso con l’ingresso dei fiati”. L’album però ospita anche voci illustri che si amalgamano con discrezione nell’insieme, come quella di Kyp Malone dei TV On The Radio e di Shannon Funchess dei !!!, amica e collaboratrice da tempo delle Telepathe. Con l’arrivo delle Telepathe, la scena di Brooklyn si arricchisce di un nuovo tassello, forse quello mancante tra le dissonanze dei Black Dice e le ruffianerie marchiate DFA. E il quadro si infittisce. “Ci sono davvero ottime band a Brooklyn in questo momento, per cui è anche facile che vengano paragonate le une con le altre. E’ molto stimolante far parte di una scena in cui ogni giorno nascono nuove band e dove ogni settimana è possibile assistere a concerti incredibili, ma con una tale sovrabbondanza è anche dura assimilare quanto c’è di buono in giro ed è più difficile riuscire ad emergere, farsi largo in mezzo alla folla”. Ma, secondo Busy, Brooklyn non è solo motivo di preoccupazione, è anche la loro

fonte più diretta di ispirazione: “I nostri testi nascono in parte da esperienze vissute ma soprattutto dal subconscio. Credo che tutto parta dal fatto di vivere a Brooklyn, dove pur essendoci le condizioni migliori per divertirsi ci si ritrova spesso in una dimensione estremamente urbana, cupa e difficile da sopportare. La politica, le guerre… A volte ci ispiriamo ai nostri scrittori preferiti, ad alcuni autori norvegesi che esplorano il rapporto tra i sentimenti umani e la natura, oppure a film horror per certe scene piuttosto macabre”. Il macabro c’è e in alcuni casi si fa scabroso, come in Michael, dove un ragazzo, con la promessa di un rapporto sessuale orale, viene condotto nei boschi e ucciso selvaggiamente. Il sadismo che trasuda dal testo attraverso le frasi “My greatest joy would be to destroy you”, “Go ahead and cum so hard”, o “I want to wish you suffer violently” fortunatamente non è autobiografico, ma è stato ispirato dalla visione del film L’Ultima Casa A Sinistra di Wes Craven. Telepathe non è soltanto musica, ma anche immagine. Qualcuno descrive le due come le sorelle stregate dei Klaxons, non tanto per la musica quanto per il look. “Lo prendiamo come un complimento – dice divertita Busy –, il paragone ci lusinga. Credo sia importante unire alla musica altri aspetti, come quelli visuali, avere un proprio stile, potersi esprimere con un certo tipo di abbigliamento. Noi amiamo i costumi, specie quando siamo sul palco”. E per le prossime performance ecco cosa si aspettano le ragazze: “Sarà un buon anno per noi, ci aspettiamo buone reazioni dal pubblico. Non vediamo l’ora di andare in tour. Dal vivo cerchiamo di regalare alla nostra audience un’esperienza sonora, di arrivare con i nostri beat allo stomaco e alla mente delle persone, e di farle ballare”. Non c’è motivo per dubitarne se le premesse del singolo So Fine, il pezzo più upbeat dell’album, verranno rispettate anche in pista.


“Abbiamo avviato il progetto Telepathe quattro anni fa, prima di allora militavamo in gruppi più che altro dediti al jamming e all’improvvisazione strumentale. Quindi, anche se oggi abbiamo a disposizione più tecnologia, cerchiamo ancora di incorporare quel tipo di sensazione organica”.

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Tiga Riassumere in poche battute la storia di Tiga è cosa ardua, date le molteplici manifestazioni del camaleonte canadese, e forse superflua, data la notorietà del personaggio. Ma tanto vale. Tiga Sontag eredita presumibilmente la passione per la musica dance dai party vissuti da giovanissimo a fianco del padre, il mitico Dr Bobby, disc jockey trance di base a Goa. Di lì il ritorno a Montreal e l’inizio di un’ascesa, partita come agitatore delle notti cittadine prima che “localaro”. Produttore, discografico e remixer, poi superstar DJ, autore e ancora più su, quasi un’icona, figura più unica che rara, sospesa tra club culture e pop, supereroe capace di sopravvivere alla glaciazione dell’electroclash, attraversare indenne il nu rave e di presentarsi nel pieno dei suoi superpoteri alla vigilia di una nuova decade. Fin dagli esordi Tiga ha sempre saputo circondarsi di personaggi che potessero consigliarlo e aiutarlo nella sua missione. Che sia questo il segreto del suo successo? Abbiamo incontrato Tiga in uno splendido hotel di Amburgo. Dopo averlo incrociato più volte in giro per il mondo, oggi abbiamo finalmente a disposizione un po’ di tempo da passare insieme. Cominciamo a parlare di musica, di amici comuni e di calcio; tifosissimo del Barcellona, il nostro è pungente e praticamente inattaccabile. Non sembra provato da una settimana di interviste, anzi, la visione del traguardo lo rinvigorisce: io sono l’ultimo. “Questa è l’ultima intervista, la migliore. Per me possiamo andare avanti quanto vogliamo, io non ho fretta. Siete amici dei Soulwax, quindi siete amici miei. E poi siete italiani... E io amo l’Italia.” E via con mille aneddoti sul Belpaese, dalle gite in Vespa con il suo amico Marco Carola per le strade di Napoli alla sua t-shirt con Fabio Cannavaro che alza la Coppa Del Mondo al cielo... 78 PIG MAGAZINE

Intervista di Depolique. Foto di Sean Michael Beolchini. Hair & Make-Up: Nadja Lakluk.


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Ho una marea di domande... Bene, io altrettante risposte Come stai Tiga? Com’è andato questo tour de force promozionale? Sto bene. Ieri ero ad Amsterdam, prima due giorni a Londra, dove ho anche suonato al Matter, due giorni a Parigi e uno in Belgio. Siamo quasi alla fine di questa intensa settimana promozionale. Ti piace viaggiare o vivi la cosa come un aspetto inevitabile del tuo lavoro? Amo viaggiare. E’ uno dei motivi per cui adoro questo lavoro. Amo gli aerei, amo gli hotel, amo fare i bagagli: amo ogni singolo aspetto del viaggio. Ovviamente nell’ultimo periodo la cosa ha raggiunto livelli un po’ estremi e adesso mi piacerebbe passare un po’ di tempo a casa, a rilassarmi e a sbrigare un po’ di lavoro domestico. Alcuni dei brividi che mi dava viaggiare si sono affievoliti con il tempo. Anni fa avrei detto: “Oh mio Dio, guarda in che super hotel siamo finiti! Chissà com’è il room service?!” Ora non più, sono diventato una specie di viaggiatore “business”. Quanti anni hai? 35 Da quanto fai questa vita? Faccio il DJ da diciasette anni, ho cominciato nel ‘92. Dal ‘92 al 2001 ho suonato tantissimo, ma praticamente solo in Nord America e Canada. Suonavo fino a tre, quattro volte alla settimana. Dopo Sunglasses At Night, 2001, ho cominciato a girare per il mondo. Sono otto anni. Ogni anno è sempre un po’ di più. Ho cominciato a viaggiare anche per registrare, per impegni promozionali e anche per piacere... Dove sei stato in vacanza l’ultima volta? A gennaio mi sono preso due settimane e sono andato ai Caraibi, alle isole Turks & Caicos. Cosa hai fatto nei tre anni che separano Sexor e Ciao! ? Sono stato a casa, ho fatto dei remix, ho conosciuto nuovi amici e mi sono esercitato a scrivere molto. Ho firmato qualche piccolo articolo per un paio di riviste. Sono stato dietro alla mia etichetta (la Turbo ndr), ho curato anche le press releases. Mi sono esercitato e ho suonato molto in giro... Sicuramente sto dimenticando qualcosa. Il tempo passa così in fretta. Sei contento di Ciao! ? Totalmente. Quali sono state le differenze nell’approccio a Ciao! rispetto a Sexor? La differenza principale sta nel fatto che questa volta ho scritto prima le canzoni. Non tutte, circa la metà. Ho lavorato in modo tradizionale: carta, penna e pianoforte. Quando le ho portate in studio ho cercato di svilupparle ulteriormente, di far si che suonassero più musicali, più tradizionali (strofa, ritornello, strofa). C’è stata più attenzione ai dettagli, alle piccole

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cose e anche ai testi. Poi ci sono nuovi ospiti: James Murphy e Gonzales. Ho aggiunto “nuovi ingredienti” al mix quindi le cose non potevano che migliorare. Tra l’altro mi sono preso tutto il tempo di cui avevo bisogno in studio. Con Sexor ero impaziente, non vedevo l’ora di finire. Questa volta ho deciso di andare avanti a oltranza. Diciamo che ho lavorato sodo. Hai avvertito qualche pressione? No, direi di no. L’unica pressione che ho sentito era quella di non deludere le persone con cui stavo lavorando. La prima volta che ho incontrato James Murphy ho pensato: “non voglio fare la figura dell’idiota”. Avevo paura di non riuscire ad esprimermi come sapevo, di non riuscire a dare quello che volevo. Lo stesso è accaduto con Gonzales. Sono sensazioni e timori che poi passano col tempo e lavorando insieme. In questi tre anni è successo di tutto nel mondo della musica. Mi riferisco soprattutto a livello tecnologico e alle sue conseguenze sul modo di conoscere e vivere la musica e sul mercato... Un fenomeno già iniziato ai tempi di Sexor che non sembra conoscere ostacoli; anzi... Immaginavo che sarebbe successo, e non ero il solo. Mi ha stupito la velocità con cui è accaduto tutto. Ma si tratta di una conseguenza logica. E’ ovvio che se hai la possibilità di scaricare musica gratis, lo fai. Che tu sia un bambino o un adulto. Lo fanno tutti. Anche io lo faccio. Se trovassi il disco di James Murphy in rete, lo farei. (ride) Sono tempi strani, ed è un business strano. Le cose stanno cambiando con una tale rapidità che nessuno sa come comportarsi... Mi piace questa situazione, la trovo eccitante. Ci sono così tante nuove possibilità che prima non si potevano neanche immaginare. Ma quello che conta veramente è il risultato finale. I cambiamenti sono semplicemente economici. Cambia il modo di fare soldi, cambiano i conti bancari, ma il risultato è lo stesso: io sono qui, tu sei qui, tu ascolti la mia musica, io vengo dal Canada, tu da Milano, siamo in Germania... Pensa come si muove la musica oggi, è libera. Tutto è più libero. Puoi avere un accesso immediato e diretto a qualsiasi cosa. Ora potrei fare un twitter e dire: “gli italiani sono tutti pazzi!”. Oppure se tu mi dicessi che il mio disco ti fa cagare: “io odio Giacomo e questo è il suo numero di cellulare...”. Ovviamente sto esagerando ma quello che voglio dire è che oggi un artista ha molto più controllo, può arrivare direttamente ai suoi fans. Le etichette, un grande intermediario, stanno sparendo. Prima avevano un controllo tale che dovevi chiedere a loro: “hey ma sono famoso in Germania?”. Ora non più. Io arrivo dalla techno, quindi da una scena

indipendente. Registravamo i nostri dischi, li stampavamo, li vendevamo, organizzavamo le nostre feste senza sponsor. Facevamo tutto da soli. Quando sono passato alla PIAS, la mia casa discografica, mi sono accorto di fare parte di qualcosa. Tutte le grandi organizzazioni hanno dei meccanismi, delle modalità di funzionamento. Modalità basate sul passato. Ora però si stanno accorgendo che non va più bene così. Se prima c’erano gli eserciti per fare la guerra, ora c’è la guerrilla. Ora è tutto veloce e immediato. Con la Turbo siamo io e il mio fratellino a fare tutto. Cerchiamo i remixer, lavoriamo sugli artwork, prendiamo da soli ogni decisione. Non abbiamo bisogno di una grande organizzazione. Come mai questa passione per gli album? Non è mai semplice per qualcuno che arriva dalla dance cimentarsi sulla lunga distanza. I risultati non sono sempre soddisfacenti... Non lo so. Sarà che sono un po’ all’antica, che ho una visione romantica della figura del musicista... Quando ero piccolo i miei eroi erano Prince, David Bowie, i Depeche Mode... Loro facevano album. Così quando sono cresciuto, ho cominciato a fare musica, a pubblicare 12” ho sempre avuto il mito dell’LP. Ho sempre considerato l’album come il traguardo finale. Non è per i soldi, perchè dal punto di vista economico è quasi controproducente. La cosa più importante per me è lavorare con i miei amici: io vivo per questo. Sono i momenti più belli. Prendi la collaborazione con Gonzales: io e lui a Parigi, nella sua stanza, due ragazzi al lavoro, che cercano di creare qualcosa insieme. C’è un momento, quello in cui entri in sintonia, un momento che può durare un secondo, un minuto, un’ora. Beh è la sensazione più bella che io abbia mai provato. Tutto il resto non conta. E sei felice. All’improvviso nasce qualcosa che prima non c’era; ed è bellissimo. Mi ricordo quando sono nate Luxury o Love Don’t Dance Here Anymore... Che emozione. Suonarle a Steph e Dave (Soulwax ndr)... Vederli così eccitati. Sono ricordi che porterò sempre con me, cose per cui vale la pena vivere. E’ questo il motivo per cui faccio un album. Mi considero una persona molto fortunata. Perchè la mia vita è come la sognavo a dodici anni, quando sdraiato sul letto guardavo il soffitto e pensavo: “un giorno farò musica con i miei amici... E girerò per il mondo...”. Restiamo in tema amici e collaborazioni... Il fatto che i tuoi due album siano stati prodotti interamente in collaborazione con altri potrebbe spingere le malelingue a chiedersi maliziosamente come mai Tiga non faccia un album da solo... La risposta è semplice: perchè non sono ab-


bastanza bravo. Anzi, dire che non sono abbastanza bravo forse non è l’espressione migliore. Diciamo che per quello che voglio fare ho bisogno di aiuto, ho bisogno di qualcuno che riesca a interpretare le mie idee. E’ un po’ come per una band che entra in studio con un produttore, no? Si, ma tu sei un produttore... Tutto dipende da cosa devi fare. Se si tratta di un pezzo techno o dei remix per i club non ho problemi. Sono in grado di fare tutto da solo. Le cose cambiano quando vuoi fare un altro tipo di musica. Prendi Love Don’t Dance Here Anymore... Non sono in grado di fare un pezzo così da solo. Quando ero più giovane questa cosa mi mandava in paranoia. Pensavo: “forse dovrei sperimentare come Aphex Twin, senza compromessi?! O forse dovrei essere come quei produttori che fanno tutto da soli?!.” Col tempo ho realizzato che sono tutte cazzate. Perfino David Bowie aveva al suo fianco gente come Carlos Alomar o Brian Eno, Angela Bowie che gli disegnava i costumi, Vidal Sassoon che gli tagliava i capelli... Ha sempre avuto con sé le persone più creative. Sono cose che molti non sanno. Adoro lavorare con gli altri, amo assorbire il meglio dalle persone che mi circondano. Rubo anche un sacco di idee: sia un’immagine

o un font, un sample o una parola per una canzone. Per me sono due le cose che contano: la prima è essere orgoglioso del risultato, la seconda che il “prodotto” finale suoni come me. A me interessa che la gente non dica: “questo pezzo suona come un pezzo dei Soulwax, o degli LCD Soundsystem o di Gonzales”. Quello sarebbe un problema, ma non ho mai sentito nessuno dirlo. E poi sai cosa ti dico? Cosa? Adesso che ho carpito tutti i loro segreti... Il prossimo disco lo farò da solo. Davvero? Perchè no. E’ il momento di provare a lavorare da solo. Di vedere cosa succede. Conosci John Maus? E’ uno della cricca degli Animal Collective no? Si, esatto. Ariel Pink e compagnia bella... Bene, Jori (Hulkkonen ndr) mi ha suonato il suo disco quando eravamo in studio insieme. Mi è piaciuto molto il suo modo di scrivere, le sue canzoni; nonostante la produzione fosse molto grezza. Così io e Jori abbiamo iniziato a discutere animatamente perchè io sostenevo che quel disco fosse davvero penalizzato dalla produzione, che si sentisse la mancanza di tante cose. Lui invece sosteneva l’opposto. Alla fine ho capito che a John Maus non inte-

ressava minimamente quanto meglio avrebbe potuto fare con l’aiuto di altri, ma quanto era in grado di fare da solo. O magari semplicemente John ha fatto quello che si sentiva di fare. Perchè non conosce né Bowie né i Soulwax... Perchè non ha ascoltato le migliaia di dischi che abbiamo ascoltato noi, quindi ha fatto quello che gli veniva di fare e come lo sapeva fare... No? Si, entrambe le cose. Però mi piace molto l’idea: “Ok, ho fatto quello che potevo, con le mie forze e le mie capacità e sono contento così. Non voglio l’aiuto di altri.” E’ un po’ come quando scrivi una lettera alla tua fidanzata. Prendi un foglio e scrivi quello che pensi, che provi. Non la dai a me e mi dici di metterla giù meglio no? Quando sono entrato in questo ordine di idee ho realizzato che non avevo mai considerato ques’opzione. Così la prossima volta voglio provare da solo. Magari anche solo un 12”. Io Tiga ti seguo da tempo.Dal tuo rework di Hot In Herre di Nelly, poi il tuo DJ Kicks, che considero ad oggi ancora uno dei migliori della serie... Mi ricordo tutti i tuoi remix. E penso che Louder Than A Bomb sia ancora oggi un pezzo killer come pochi. Ho seguito abbastanza

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attentamente la tua evoluzione... ...Grazie (e ride) Quindi non posso non confessarti che quando ho sentito Ciao! mi sono chiesto se si potesse considerare un disco pop, se saresti potuto diventare una popstar... Sei un caso unico nel panorama musicale mondiale: DJ, un produttore, un autore, un discografico... Canti pure! Puoi firmare un hit da dancefloor così come una pop song, sei un personaggio, sei praticamente un’icona. E poi nessuno nel tuo ambiente si prende così cura della sua immagine come te. Queste sono cose tipiche della musica pop, non tanto del mondo da cui arrivi. Tu sei andato oltre. Spiegami. ...Non lo so. Io mi sento un DJ. Un DJ che ogni tanto fa un disco. Non mi vedo un cantante. Non ho mai fatto un live. Ancora oggi riconosco in me la mia formazione techno. Non sono come Dave, Steph, James o Gonzales... Loro sono cresciuti ascoltando punk, pop, rock... Ma posso capire come i video, le foto, la mia immagine, gli album, la mia personalità... Possano far pensare ad altro. Sicuramente sto facendo un viaggio... Probabilmente sto cercando di mettere in pratica quelle che sono le mie fantasie... Te lo dico sinceramente: non voglio diventare una popstar. Non voglio che il mio prossimo album sia ancora più pop. Questo per me è il limite. Non desidero diventare una celebrità e non voglio perdere il controllo su quello che faccio. E’ solo che mi piace mettere me stesso in quello che faccio. Ben in evidenza. Le foto, le copertine... Amo vestirmi in un certo modo, apparire in un certo modo. Mi diverte l’idea di scrivere la mia autobiografia... I Soulwax, che sono i miei migliori amici, invece sono l’opposto. Pur appartenendo ad un mondo dove questo modo di comportarsi è naturale hanno sempre cercato di mandare avanti la loro musica. Per me invece è sempre stato naturale, fa parte del gioco, mi piace! E forse è per quello che mi sono avventurato in direzione del pop. Restiamo sui Soulwax... Posso dire che se loro stanno vivendo la loro “night version” tu stai vivendo la tua “day version”? (scoppia a ridere) Si! E’ perfetto! Questa è un’ottima definizione! E’ assolutamente vero! E’ la mia day version! La cosa incredibile è che i Soulwax mi chiedono sempre di fare cose in stile Mind Dimension: è quello che amano di me. Io invece quando sono con loro voglio fare cose tipo Love Don’t Dance Here Anymore o Turn The Night On... Day version... Devo dirglielo assolutamente! Siete come due facce della stessa moneta... E’ così che mi sento, è per quello che passiamo tanto tempo a lavorare insieme e siamo così in sintonia. Però devo confessarti che da quando

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ho finito Ciao! mi sono reso conto di esseremi allontanato troppo da quello che sono veramente: la techno, l’acid... Ho deciso di fare un passo indietro, voglio ricominciare a fare un po’ di roba forte da dancefloor. Perchè mi diverto un sacco. Anche perchè siamo al “limite” no? Più in là di così c’è il pop...? Si. E vero. Io personalmente ti preferisco diretto, veloce, bello acido... Mind Dimension è una bomba e Beep-BeepBeep un ottimo compromesso... Te lo dico sinceramente, sarei veramente sorpreso se dovessi spingermi oltre con il prossimo disco. Non è quello che mi sento e che voglio fare. Allora, sono quattro i miei momenti preferiti dell’album. (Li canta tutti) La batteria alla fine di What You Need. Quando entra... Incredibile! La coda di Beep-Beep-Beep. Non c’è sull’album, ma sul 12” ci sarà una versione di nove minuti. Ha un finale trippy, space, acid, disco... Wow! Poi quando entra il bass synth in Love Don’t Dance Here Anymore. E Mind Dimension, dopo “everytimeilookintoyoureyesiseethefuture”: la batteria. Questi sono i momenti cruciali, quelli che sento più vicini. Io sono uno da dancefloor, non c’è niente da fare. Ed è anche quello che so fare meglio. Sono uno da Mind Dimension. Questo è il mio dono. Dave me lo dice sempre. Turn The Night On è bella, vero. Ma è meno originale. David Bowie l’avrebbe fatta molto meglio. Sono perfettamente d’accordo. Quando vedi Dave ringrazialo per Mind Dimension. E’ merito suo. Era nata come un regalo per lui. L’ho fatta in poco più di un’ora, in studio, in Svezia. Pensavo fosse troppo malata. Per gioco, ridendo. Non l’avevo fatta sentire a nessuno, non l’avevo mai nemmeno suonata. Mentre lavoravamo all’album Dave mi fa: “hai qualcos’altro?”. E io: “beh ci sarebbe sta cosa qui...”, e lui: “F***************ck!!!”. Che rapporto hai con il canto? Un ottimo rapporto. Nessuna pressione, nessuna velleità. Non mi interessa se qualcuno pensa che faccio cagare. Non mi sento mica un cantante. Quando sono in studio a cantare e come se fossi sotto la doccia. Mi piace, mi diverte. Lo trovo molto rilassante. Andare dall’altra parte del vetro, col microfono... E’ un rapporto diretto: canto cose che ho scritto, che per me hanno un significato. Ci gioco molto, recito, riesco a calarmi nel personaggio. E’ ovvio che quando sento uno come Jamie Liddell penso a quanto è bravo. E’ un po’ come il calcio: io so giocare a calcio... Però Messi è un’altra cosa! Hai mai pensato di fare un album di cover?

Si, dopo Sexor avevo una bella lista di cover che volevo fare. Poi ho cominciato a scriverei brani per il nuovo disco non ci ho più pensato. Quindi ci sono dei brani che ti piacerebbe “rifare”? Sicuramente Voodoo Ray (A Guy Called Gerald ndr)... Ma in qualche modo l’ho un po’ scopiazzata in Overtime. Ormai è fatta quindi te lo posso confessare. Mmmm... Wrote For Luck, degli Happy Mondays... Anche perchè si tratta di un brano che non è mai stato praticamente toccato. Stone Roses e Happy Mondays sono tra le mie più grandi passioni... Anche io amavo gli Stone Roses. Fools Gold è una delle mie canzoni preferite. Mi ricordo quando l’ho sentita l’ha prima volta in un club di Montreal, il primo “ecstasy club” in città, la stava suonando un tizio durante il warm up. Sono rimasto a bocca aperta. A chi lo dici... Senti questa. Avevo l’edizione limitata di Fools Gold, il 12” con vinile dorato. Più o meno quindici anni fa vado a New York a suonare e lascio tutti i bagagli, compresa la borsa dei dischi in macchina... Qualcuno me la ruba... Avevo tutto dentro: passaporto, cuffie, tutti i dischi belli che avevo; c’era anche Fools Gold. Così ho cominciato a girare per negozi di dischi dicendo che se fosse arrivato qualche tossico a cercare di vendere la roba, beh, quella era mia. Tutti i miei dischi avevano un timbro: un drago volante. Un mese dopo mi chiama un tipo, Frankie Bones, un DJ techno, che mi fa: “ho recuperato i tuoi dischi, li ho comprati da un tossico”. C’erano tutti tranne Fools Gold... Sai che non sapevo che la cover di Sexor fosse copiata da quella di In Your Mind di Brian Ferry? Venerdì sera, mentre ero a Parigi, dopo un’interminabile giornata di interviste sono andato a sentire Justice e So_Me che suonavano... Dopo averli salutati, mentre tornavo a casa a piedi in albergo chi ti incontro??? Brian Ferry!!! L’ho fermato e gli ho detto: “ciao, io sono quello che ha copiato la cover del tuo album!”. E’ stato molto simpatico. E per la cover di Ciao! hai preso spunto da qualcuno? No, artwork originale e nessuna cover. Forse sto diventando grande! E’ vero che il tuo idolo è Leonard Cohen? Verissimo, abbiamo anche fatto la stessa scuola (anche Leonard Cohen è di Montreal ndr). Penso che sia il miglior scrittore, miglior cantautore e miglior paroliere al mondo. Appartiene ad un’altra categoria, è un poeta. Le sue parole sono piene di saggezza. E poi è una persona molto interessante. L’ho anche visto dal vivo l’anno scorso a Montreal quando è tornato a suonare dal vivo... Da lacrime agli occhi.

L’hai mai incontrato? Si, una volta, almeno vent’anni fa. Era una specie di amico d’infanzia dei miei ed è stato a casa nostra. Mi ricordo che lui e mio padre hanno suonato insieme. Ho una registrazione che lo testimonia, ma non posso farla sentire a nessuno, mio papà mi ucciderebbe. Erano scesi entrambi al piano di sotto: lui, alle prese con uno dei primi sintetizzatori, suonava note di batteria a casaccio, terribile, e Leonard ci cantava sopra. Una cover di uno standard folk, Old Black Joe. E’ incredibile che tutto ciò sia successo a casa nostra. Torniamo a te. Perchè Ciao! ? Ha a che fare con l’Italia suppongo o ti piaceva semplicemente la parola? Certo. Nel corso dei miei viaggi mi capita spesso di passare dall’Italia. Il vostro è un paese che amo: la gente, il cibo... Tutto. Non saprei spiegarti perchè, ma quando vengo in Italia mi sento davvero bene. L’ultima volta, mentre ero in albergo che pensavo a nuove idee per l’album, ho pensato che mi sarebbe piaciuto metterci qualcosa di italiano; anche per rendere omaggio in qualche modo al vostro paese. “Ciao” è una parola che mi fa stare bene. E’ così immediata, internazionale... La conoscono tutti. Gonzales ha spinto tantissimo per “ciao”... Ha un suono molto aperto... Si, mi piace anche molto visivamente. “Hello” e “goodbye” sono due parole che mi rappresentano bene. Ogni sera arrivo in un posto nuovo, saluto tutti, suono e poi risaluto tutti perchè devo ripartire. Sono sempre io quello che deve andare via. Volevo chiederti di raccontarci traccia per traccia il tuo nuovo disco ma l’hai già fatto nel tuo podcast... Quindi ti chiederei di parlarci delle persone che hai voluto al tuo fianco; cosa ne dici? Vai. Quello che vuoi. Cominciamo con i Soulwax... Incontrare i Soulwax mi ha cambiato la vita. Prima di tutto devo dire che probabilmente sono i miei migliori amici; sono delle così brave persone... Ho passato più tempo con loro che con chiunque altro negli ultimi cinque anni... Addirittura più che con mio fratello. Soprattutto con Dave, nottate passate a suonare e a chiacchierare. Non saprei dirti dove sarei ora senza di loro; hanno rappresentato un’enorme fonte d’ispirazione. Pur arrivando da un altro modo mi hanno dato davvero tanto: tempo ed energie... Sono delle persone davvero generose che hanno creduto molto in me. Ma il disco nuovo dei Soulwax? Hai sentito qualcosa? No. So che stanno lavorando a qualcosa... Ma non so di cosa si tratti... Io gli ho scritto un brano, ma per i DJ set. Dopo aver lavorato insieme ci siamo presi un break.

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Ho sentito il brano che hanno prodotto per Peaches, molto bello. Cosa mi dici di Jori Hulkkonen? Io e Jori abbiamo un rapporto strano. Spesso non ci sentiamo per molto tempo, ma poi ricominciamo a lavorare insieme. Abbiamo un feeling naturale, siamo entrambi due persone molto romantiche e quando ci troviamo cominciamo a fantasticare; è così che la mia musica prende questa forma. Ci accomuna una grande passione per gli anni ottanta. Nonostante la sua musica sia così lontana dalla mia, mi sento perfettamente a mio agio con Jori. ...Un po’ come con Jesper (Dahlbäck ndr). Anche se con lui è totalmente diversa la cosa: diventiamo pazzi, ci trasformiamo negli acid brothers. Ci siamo fatti tutti i party degli anni novanta, siamo stati alla Love Parade nel ‘92, abbiamo sempre comprato gli stessi dischi... A volte siamo in studio, tiriamo fuori la 909, la 303 e la 808 e facciamo un bel casino. E’ la persona più importante della mia vita, siamo nati per lavorare insieme e con lui lavoro come con nessun altro. E quello che riesce a tirare fuori il meglio da me. Prendi Pleasure From The Bass, il mio pezzo preferito, Louder Than A Bomb, Mind Dimension... E’ un attimo, ci basta uno sguardo, sappiamo quello che vogliamo e sappiamo dove vogliamo andare. Non dobbiamo neanche parlare. Uno, due, tre via... Più veloci della luce. Siamo nati per lavorare insieme. Non so proprio chi sarei o dove sarei se non l’avessi mai incontrato. Jake Shears? Jake è cool. E’ un amico di vecchia data. Mi ha sempre ammirato come DJ e io l’ho sempre seguito in quello che faceva. Ho ascoltato il loro primo disco (Scissor Sisters) prima che fosse fuori. Ho un ricordo del Sonar, nel 2002, ad un certo punto guardo la folla e mi vedo lui e Baby Daddy che ballavano come due pazzi in prima fila. Sono venuti a salutarmi e abbiamo cominciato a chiacchierare. A loro piaceva molto il mio rework di Madame Hollywood di Felix Da Housecat e a me i loro beats electro... Così siamo diventati amici. Quando ho registrato la mia versione di Hot In Herre doveva essere Peaches a fare la seconda voce... Poi ho pensato fossero meglio due voci maschili, e così ho chiesto a Jake. Tra noi c’è un rapporto costruito con il tempo, quindi quando ci sentiamo siamo sempre sinceri, niente cazzate. Abbiamo lavorato ancora insieme per You Gonna Want Me e nel disco nuovo in Overtime e Gentle Giant. Alla fine di Gentle Giant siamo io, lui e James. Doveva essere la canzone di chiusura dell’album... Poi è arrivata Love Don’t Dance Here Anymore... E Zdar? Siamo amici da anni. Un tempo ero propietario di un club a Montreal e lui venne a girare un

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video lì. La prima volta che l’ho incontrato ero in ecstasy, completamente fatto. Ahhahah! Mi piace molto come produttore, come lavora in fase di missaggio. Il disco dei Phoenix... Cassius... Gli voglio molto bene e considero la sua opinione fondamentale. E’ stata la prima persona a cui ho suonato il disco. ...E? Gli è piaciuto. Volevo assolutamente coinvolgerlo così abbiamo lavorato insieme su Speak Memory. Volevo coinvolgerlo maggiormente nel missaggio ma c’erano i Soulwax. Veniamo ai nuovi acquisti: James Murphy? Beh, James è un grande. Un ragazzo simpaticissimo e un ottimo produttore. Musicalmente è quello che mi piace di più. Quando sono a casa non metto su un cd di Jori.. O Jesper... Nemmeno Gonzales e i Soulwax. Ascolto gli LCD Soundsystem, li amo. Ero un po’ intimorito dall’idea di lavorare con James. Ha un carattere molto forte, indipendente, ha le sue idee e un sacco di cose da dire. Siamo entrambi due chiacchieroni, quindi puoi immaginare... Solo che è talmente bravo che dopo mille discorsi, in mezz’ora riusciva a mettere in pratica tutto quello che c’eravamo detti. Lui e i Soulwax hanno due modi totalmente diversi di lavorare. James è più vicino alla techno: fa una cosa, gli piace, bene così, andata. Non è un perfezionista. Un modo di fare abbastanza “grezzo”. I Soulwax sono l’opposto: potrebbero andare avanti per ore. E Gonzales? Gonzales è una bomba! Lo amo. L’ho conosciuto in occasione di questo disco. Gli ho scritto dicendogli che forse avremmo potuto diventare amici e gli ho chiesto di incontrarci. Ci trovati a Parigi e ci siamo piaciuti istantaneamente. Così abbiamo iniziato a lavorare insieme. Credo che lui forse attratto dal mio lato club, party, dall’energia... Io dalle sue conoscenze, dalla sue capacità di arrangiamento... Buona parte del disco è nata con lui a Parigi. E’ una personaggio brillante, divertente e di grande ispirazione. Torno a dirti, questa è la parte più bella del mio lavoro: conoscere e avere a che fare con persone così stimolanti: Gonzales, James, Dave, Steph... Ma perchè Zombie Nation non compare nell’album? Hai voluto mantenere Tiga e ZZT separati? Ecco, ZZT è un’altra delle cose che ho fatto in questi tre anni. Tutto è nato senza un’idea precisa di come sarebbe andata, se il materiale sarebbe finito nel mio o nel suo album. Poi è venuta fuori Lower State of Consciousness, una bomba atomica, e poi The Worm. Così abbiamo deciso di tenere tutto separato. Magari faremo uscire un album quest’anno... Non si sa. ZZT mi è servito ad attenuare un po’

le pressioni per il mio album. Nel senso che dopo una traccia così pazza per i club mi sono sentitto molto più libero di dare sfogo, come hai suggerito tu, alla mia... “day version”! Direi che con i tuoi “collaboratori” abbiamo finito. Cosa mi dici di Erol? Lo odio. E’ uno stronzo. No scherzoooo! E’ un gran produttore. Ho sentito che sta lavorando a qualcosa di grosso per il 2009.. Roba da top ten... Non saprei. Sicuramente tra tutti è quello più vicino al mainstream. Quello che ha fatto con i Late Of The Pier per me è incredibile. E poi i suoi remix sono sempre stati ottimi. E’ un figo! Erol è sempre uno dei primi a cui mando i miei dischi. Ultimamente l’ho conosciuto meglio; è una persona molto divertente. Ha una cultura musicale incredibile: conosce migliaia di indie band che io non ho mai neanche sentito nominare. Viene da un background completamente diverso dal mio, e questa cosa mi piace. Ultima cosa. Parlando con Adriano Canzian, tempo fa, mi ha detto che non è rimasto in ottimi rapporti con Hell... Tu sei stato uno dei fiori all’occhiello della Gigolo... Sono in buoni rapporti con Hell. Gli ho mandato un sms un paio d’ore fa perchè qualcuno mi ha detto che è ad Amburgo. Anche io ho avuto problemi con lui... Ma conosco come gira questo business. E conosco il personaggio. Ma è stato Hell che ha dato il via alla mia carriera. E’ venuto da me fino a Montreal. Gli avevo mandato il mio primo cd mixato, Mixed Emotions, il migliore. Anche meglio del DJ Kicks... A proposito, come mai non ne fai più? Ne uscirà uno presto, credo. Dicevamo di Hell, è venuto da me, a Montreal: (tutto in un inglese teutonico) “tu sei cool, Sunglasses At Night sarà un successo, vieni con me”. Mi ha dato tutto. Mi ha presentato a tutti, ha suonato i miei dischi, ha prodotto i miei dischi: è grazie a lui se sono qui ora. Ci siamo voluti bene, è stato come un fratello maggiore per me. Penso che il suo problema a un certo punto sia diventato l’ego. Era convinto che Fischerspooner, Miss Kittin e gli altri dovessero tutto a lui, all’etichetta. Tutto qui. Abbiamo avuto dei problemi ma ora siamo ok. Questa è la cosa più importante per me, anche se non siamo più amici come un tempo. Hell è un gran DJ, è stato un pioniere, ma ci sono delle persone tagliate per il business e altre che non lo sono. Capisco. Potrei andare avanti per ore... Ma finiamola qui, sotto con le foto. Va bene. Ah! Sai che se non avessi scelto “ciao”, l’avrei chiamato “ragazzi” il disco?


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Kinga Burza Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di Harley Weir.

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Nata in Polonia, cresciuta in Australia e trapiantata a Londra, Kinga Burza a soli 28 anni è una delle donne che più promettono di sfondare nell'industria del videoclip. Sarà il nome da pop star, la sua bellezza solare o la sua simpatia, ma non si può fare a meno di rimanere completamente calamitati da questa ragazza con i capelli rossi conosciuta da tutti grazie allo stravisto “I Kissed a Girl” di Katy Perry. Successo inaspettato per lei, che tra le tante ha diretto anche Ladyhawke, Kate Nash e ultimamente sta regalando la sua estetica eighties a La Roux. La sua carriera nasce come hobby: ancora studente alla University of South Wales e in seguito alla UTS di Sydney, si esercita nella ripresa realizzando piccoli lavori video per i suoi amici musicisti, finché il suo talento non viene notato e quella strada che le sembrava un po' favolistica da percorrere, diventa realtà. L'ho contattata in un freddo pomeriggio londinese, dove sta svernando con il suo ragazzo, guardando film e leggendo libri, godendosi un po' di pausa dopo un 2008 che l'ha vista saltare da un set all'altro. Aspettando di vederla ancora all'opera, ci siamo lanciati nell'esplorazione del suo mondo colorato e davvero "girl power".

Ciao Kinga! Come stai? Hey ciao! Sto molto bene grazie. Qui a Londra fa un freddo davvero terribile, ma cerco di sopravvivere stando coperta il più possibile e tentando di non uscire di casa a meno che proprio non ce ne sia la necessità. Quindi come stai trascorrendo questi giorni di gelo? Dalle tue parole posso capire che sei in un momento di relax... O stai comunque lavorando da casa? Finalmente mi sto godendo un piccolo periodo di pausa. Ho iniziato l'anno nuovo girando il nuovo video per La Roux, il singolo si chiama In For The Kill, ma avevo già in mente da un po' che subito dopo mi sarei presa un break, per leggere libri e guardare film. Alla fine dello scorso anno ho lavorato a cinque progetti contemporaneamente e non ho avuto assolutamente più tempo libero. E' assurdo... ti giuro che non avevo nemmeno modo di guardare un film, a meno che non lo facessi mandandolo avanti velocemente, anche solo per guardare di cosa parlava! Ti confesso che la cosa mi aveva davvero inaridita e stavo incominciando ad essere affamata di nuovi stimoli, così ho deciso di prendermi questi freddi mesi invernali per ibernare e fare tutto ciò che avevo accantonato da tempo. Ottimo programma per l'inverno... In effetti ho visto che nell'ultimo anno ti sei data veramente da fare, sicuramente sei una delle poche donne che stanno avendo davvero successo nel campo del videoclip (tra le donne sei la prima che ho deciso di intervistare). Trovo che sia un universo popolato soprattutto da uomini... sei d'accordo? Davvero? Grazie mille per avermi scelto come prima, ma non credo che sia esattamente come dici tu, anche se non ci allontaniamo troppo. La verità è che è davvero dura! Ti dicevo che non sono completamen-

te d'accordo con te perché ci sono davvero moltissime donne produttrici, un ruolo richiesto e che ha davvero tante responsabilità... Certo, non sono registe, ma differenziarle non ha molto senso per me. Spero comunque di essere un possibile modello aspirazionale per molte giovani filmakers. D'altronde penso che se davvero vuoi fare una cosa ci devi solo provare, a prescindere dalle statistiche. Se si sta ad ascoltare tutto, non si arriva da nessuna parte. Mi diresti il nome di una donna che svolge la tua stessa professione e che stimi particolarmente? Ho sempre amato moltissimo Floria Sigismondi; viene da un background fotografico e trovo che i suoi video riescano a trasmettere davvero tantissime caratteristiche del suo stile. Sono molto particolari, stilisticamente curati; è come se avesse avuto il lusso di trascorrere un sacco di tempo a sperimentare in una camera oscura. Non ne sono sicura, ma ho sentito che ora sta lavorando ad un film che dovrebbe parlare di fuggitivi e sono terribilmente eccitata all'idea! Non vedo l'ora di sapere qualcosa di più dettagliato in merito e se fosse vero, di vederlo! Floria Sigismondi piace moltissimo anche a me... non sapevo nulla del film, sembra davvero intrigante, più che altro sono curiosa di assaporarne l'estetica dark... Prima di continuare a parlare del tuo lavoro, vorrei però sapere qualcosa di più su di te. So che sei polacca d'origine... La tua famiglia vive ancora lì? Quanti anni fa te ne sei andata? Sono nata a Cracovia, ma la mia famiglia è immigrata in Australia quando io avevo solo un anno e così non posso dire di aver aver mai veramente vissuto in Polonia. I miei genitori vivono a Sidney, mentre il resto dei miei parenti (zii, cugini, nonni...) sta ancora

in Polonia e ogni tanto li andiamo a trovare. Ok, quindi... sei nata in Polonia, hai vissuto e studiato in Australia e poi ti sei trasferita a Londra. Quale luogo senti più come casa tua? Ovviamente non credo sia la Polonia... No, certo... Credo di essere sempre stata culturalmente molto confusa. In Australia la mia educazione polacca mi ha fatto sentire diversa dagli altri e quando andavo in Polonia mi sentivo troppo australiana. Quindi credo che Londra, con il suo cocktail di culture e persone che arrivano da ogni parte del globo, sia il posto in cui mi sento di più a casa. Però è in Australia che hai studiato cinema... ma com'è iniziata la tua esperienza nel campo dei videoclip? Sì, ho studiato in Australia. Diciamo che sono sempre stata ossessionata dai video musicali, già da quando ero davvero giovane, ma non credevo potesse diventare una strada da percorrere per fare carriera. Il tutto è cominciato perché volevo fare esperienza di ripresa realizzando video per i miei amici, molti dei quali suonano in band. E' stato così fino a quando un giorno, il mio piccolo hobby è diventato un lavoro a tutti gli effetti e questo è successo quando la Partizan mi ha chiesto se volevo entrare a far parte del loro gruppo. Che tipo di regista sei sul set, più formale o ti piace prenderla anche come divertimento? Credo di cercare sempre di rendere tutto il più tranquillo e divertente possibile, ma anche se non lo lascio trasparire, interiormente sono davvero stressata. Ma puoi capire che, dopo non aver praticamente dormito per tutta la settimana che precede l'inizio delle riprese e cercando di continuo di fare tagli giganti alla lista delle cose da fare perché hai un tempo limitato di lavoro

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giornaliero,un po' di pressione te la senti addosso... Anche perché vorresti che quello che hai in mente fosse il risultato poi del tuo lavoro finale ed è complicato far quadrare tutto! Come organizzi il tuo lavoro in modo da non impazzire del tutto? Ho un aiuto regia che mi aiuta ad organizzare tutto il progetto, anche se poi spesso ci ritroviamo a stravolgere il piano fissato lavorando fuori dagli orari stabiliti. Spostare le macchine da presa e cambiare le luci può davvero consumare un sacco di tempo in più rispetto a quello che hai programmato e saperlo in anticipo aiuta ad organizzare le riprese nel modo più produttivo possibile. Non so come farei senza qualcuno che mi da una mano... Una buona divisione dei compiti sicuramente ti aiuterà un sacco... ma lavori sempre con qualcuno o ti capita anche di essere da sola a provvedere ad alcune parti della realizzazione? In verità quando propongo un'idea lo faccio sempre da sola, così come quando lavoro al trattamento, ma quando il progetto è confermato, un producer mi aiuta a organizzare le riprese, a creare mood board e story board, una breve lista di cose da fare e tutto il resto... Il primo giorno di riprese ci raccogliamo con il team che è stato scelto per il video e tutti insieme iniziamo una splendida giornata di shooting. E' così che mi piace lavorare! Non potrei davvero immaginare di fare la regista senza nessuno che sia disposto a collaborare con me. Guarda, senza sviolinate, ma credo che grazie ai tuoi lavori ora ci sia un sacco di gente che vorrebbe lavorare con te. Tra tutti i tuoi video ce n'è uno che preferisci? Direi il video di Foundations per Kate Nash, che mi ha fatto vincere sia come miglior talento emergente sia per il Best Pop Video del 2008 ai British Music Awards. Mi piace perché penso sia davvero carino e perché questi sono gli unici premi che ho vinto durante la mia carriera. Era da quando avevo sette anni che non vincevo una competizione... Hai realizzato davvero tanti video per Kate Nash e credo che, forse, tu abbia contribuito anche a donarle uno stile riconoscibile. Ci avete lavorato insieme, vi siete trovate perché molto simili o altro? Ah, no! Non credo proprio di essere simile a lei! Kate è una ragazza adorabile. Le piacciono il tea e le torte, la poesia e qualsiasi cosa fatta a mano. E' davvero un tipo molto femminile e adora indossare abiti carini; così per i video le facciamo sempre mettere vestiti vintage molto colorati, quelli che lei usa anche nella vita di tutti i giorni... Visto

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che le sue canzoni parlano sempre di come si fa ad essere una "ragazza nazionale", una vera donna inglese, non c'è altra soluzione che farle portare abiti di "posh designer brands". Quello per Kate Nash è anche il video a cui ti senti maggiormente legata o ce ne sono altri? Se ti devo dire un video a cui sono particolarmente legata ti citerei Homecoming dei The Teenagers, ma anche Back Of The Van per Ladyhawke o Quicksand per La Roux. Sono stati tutti realizzati con budget irrisori e ho avuto un po' di difficoltà a farli uscire. Ho sudato giorni e notti per fare questi lavori, chiedendo uno sforzo extra alle mie orecchie, non accettando che il problema dei pochi finanziamenti avesse ripercussioni sul risultato finale del mio lavoro e pregando tanto di ottenere il risultato che volevo, perché era davvero dura ti assicuro! Anche tu mi parli di low budget... Molti dei tuoi "colleghi" che ho intervistato mi hanno detto che a volte però, realizzare i video con un budget ridotto è anche un modo per riuscire a tirar fuori la propria parte più creativa. Concordi o credi che non sia del tutto così? Direi sì e no. Ultimamente l'ho fatto perché amo talmente tanto la musica degli artisti per cui sto lavorando che viene da sé (è stato così con La Roux e Ladyhawke) e lo farò ancora solo nel caso in cui volessi usare una mia idea per artisti giovani che non hanno budget, ma con cui voglio collaborare, perché comunque la prima cosa di cui mi importa sono ancora gli artisti e la musica che mi piace. Ma bisogna mettersi in testa che low budget vuole anche dire che né io né quelli che lavorano per me verrebbero pagati. Tutto ciò obiettivamente è qualcosa che non ci si può permettere perché posso pensare che il mio gruppo di lavoro sia anche disposto a farmi favori, ma io, come loro, devo pagare comunque un affitto! In aggiunta, credo di avere realizzato davvero molti video, di aver fantasticato su luci particolari, sofisticati movimenti di camera, sull'utilizzo di gru, lenti e prospettive diverse, ma non c'è una di queste cose che ti ho elencato che si può sperimentare se lavori in low budget. Su questo nessuno ti può dar torto... Tra i tuoi lavori low budget mi citavi il video che hai realizzato per Ladyhawke: quali tecniche hai utilizzato per Back Of The Van? Come ti accennavo prima non avevamo molti soldi a disposizione, così per renderlo davvero interessante gli ho dato quell'aspetto anni '80 che ha anche la track, girando tutto con una tube camera, il tipo di macchi-

na da presa più diffuso per le performance live appunto negli anni '80. Durante la fase di montaggio poi abbiamo sovrapposto uno sull'altro tutta una serie di parti video a cui siamo andati ad aggiungere uno sfondo galattico, per dare al risultato finale un effetto simile a quello del film Xanadu (1980, Robert Greenwald). Sai che lei a Settembre si è esibita per la festa di PIG? E' stata davvero grandiosa...


siete amiche quindi? Tu sei mai stata in Italia? Sì, adoro Pip, è davvero grandiosa. Siamo amiche, ma non ci vediamo quasi mai, lei è sempre in tour ed è davvero difficile beccarla... Mi dicevi dell'Italia, certo che ci sono stata e anche parecchie volte. Adoro l'Italia! Sono stata a Roma, Firenze e sulla costiera amalfitana in vacanza, per poi tornare a Roma e Torino per seguire il mio fidanza-

to in tour (Kinga è fidanzata con James Righton dei Klaxons). Il tuo stile, riprendendo quello che mi dicevi prima, in effetti ricorda molto quello usato negli anni '80. Ti piace da sempre o ti ci sei ritrovata ad usarla? Non credo che i miei lavori siano molto anni '80, anche se appena si presenta l'occasione li faccio così... mi piace. Ma tieni conto che comunque sono la prima a ritrarre le mani

se rischio di fare video di bassa qualità, che fanno fumo e che hanno un look scadente. Il mio obiettivo è sempre quello di realizzare qualcosa di adatto all'artista con cui sto lavorando, prima di tutto... Il tuo video preferito degli anni '80? Club Tropicana degli Wham, ti fa venire davvero voglia di andarti a bene un cocktail in piscina con George Michael. Solitamente i video che preferisco sono quelli divertenti,

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come questo che ho citato. Parlami un po' del video che hai realizzato per James Blunt. Direi che gli hai regalato una veste totalmente nuova... E' stata una tua idea o ci avete lavorato insieme? Lui come si è prestato? Diciamo che la label di James voleva dargli un'immagine più fresca e nuova, per questo mi hanno chiamato. James Blunt è un ragazzo adorabile e un vero professionista, ma non ha avuto molto tempo da dedicare alla preparazione del video. In pratica è volato a Londra solo per girare e dovevo tener conto che era in tour già da diciotto mesi. Non sono riuscita ad approfondire come fosse caratterialmente, non ce n'è stato modo, così ho dedotto che forse era troppo preso dal lavoro e dal viaggio per avere qualcosa da dire. Scusa, ma su internet si trovano cose strane, tipo un montaggio che farebbe dedurre che hai collaborato con Britney Spears... non è così vero? Lo vorrei tanto... Ma no, ti confermo che non è così, anche se mi piacerebbe davvero un sacco, sarebbe un sogno che diventa realtà! In effetti mi sembrava strano, anche se è un peccato, immagino che potresti tirar fuori qualcosa di davvero figo. Sempre indagando un po' si te, scusa per l'indiscrezione, ho visto molte foto in cui sei ritratta a party di ogni tipo... Sei un tipo festaiolo? No, davvero! Mi sento un po' una cretina, soprattutto quando c'è questo freddo! Preferisco stare a casa, cucinare un'ottima cena, bere vino, leggere un libro o guardare un film con il mio ragazzo. A volte però mi sento presa da una strana sensazione di claustrofobia e quindi cerco di tenermi in equilibrio uscendo, mi viene voglia di prendere una carrozza e di andare ad una festa, ma ti assicuro che è molto raro che mi succeda in questo periodo dell'anno. E come sono i tuoi rapporti con i ragazzi della Ed Banger? Ti ho vista in alcune foto in loro compagnia... Ho conosciuto So Me e Gaspard dei Justice perché Sasha (Nixon), la mia rep, li ha portati con sé alla festa per il mio ventiseiesimo compleanno. Da allora siamo diventati amici e ogni volta che i ragazzi della Ed Banger sono in città ci vediamo e ci facciamo delle grasse risate. Inoltre, lo scorso mese So Me ha disegnato me e il mio gatto su una delle loro nuove t-shirts, sono davvero cool, facendomi diventare ufficialmente una delle ragazze della Ed Banger. E con quelli della Partizan? Ti piace in particolare il lavoro di qualcuno di loro? Ogni regista londinese che ne fa parte è un

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grande amico. Quando andiamo in ufficio a lavorare, stiamo seduti tutti insieme e lavoriamo intorno ad un grande tavolo, senza mai essere competitivi tra noi. Ci consultiamo spesso riguardo i nostri lavori, ci supportiamo e ci complimentiamo a vicenda. Adoro ciascuno di loro e trovo sia davvero stimolante essere circondata da così tanti talenti creativi, che sono anche persone amiche. E' dall'ufficio di Londra che ho potuto ammirare i lavori di Nima Nourizadeh e Saam. I loro video sono sempre davvero perfetti. Adoro anch'io Nima, soprattutto il video che ha realizzato per L.E.S. Artistes di Santogold. Se mi dovessi fare il nome di un emergente nel settore, chi dovremmo tener d'occhio secondo te? Adoro Ray Tintori e il quartetto francese Megaforce, sono davvero straordinari. Concordo, i video di Ray Tintori per MGMT sono straordinari, anch'io lo tengo d'occhio da un po', così come quelli dei Megaforce: il loro video per Metronomy (A Thing For Me) è geniale... ma tornando a te, raccontami qualcosa sulla tua collaborazione con Katy Perry... Ti immaginavi un tale riscontro? No davvero! La mia rep di L.A. mi aveva mandato la track. Sapevo che la canzone stava andando bene e che lei è una ragazza carina, ma non potevo immaginare che rimanesse per sei settimane di fila al primo posto della classifica US e che all'improvviso lei diventasse una pop star conosciuta. Dovrei avere ancora una ciocca delle sue extensions e a pensarci potrei tentare di venderla su ebay, così farei un sacco di soldi! Non sarebbe male... Ah ah ah, potresti provarci davvero... Dimmi, se dovessi rappresentare il termine Sexy con una immagine quale sceglieresti? Una qualsiasi delle fotografie che Terry Richardson ha scattato per il calendario Vogue 2009. Per continuare a farmi gli affari tuoi... mi dicevi che sei fidanzata. Riesci a conciliare il rapporto di coppia con la tua vita lavorativa? Insomma, stai diventando sempre più famosa e sei anche una bella ragazza. Sì, ho un ragazzo davvero adorabile, che fra l'altro mi chiede di ringraziare Simon per averlo portato un po' in giro per Milano l'ultima volta che è stato lì. Lui è davvero entusiasta del mio lavoro e mi da supporto; penso che il fatto di lavorare per la stessa industria aiuti entrambi perché ognuno capisce le difficoltà e le circostanze in cui si trova l'altro. Ti è mai capitato di avere qualche fan un po' invadente?

No mai, gli unici fans che ho sono i miei genitori. Sono la loro unica figlia e quindi credo sia normale. Aspetta però, ho uno che mi insegue su myspace mandandomi in continuazione mail da differenti account e chiedendomi quando dirigerò qualcuno dei suoi script. Sono davvero felice che abiti a Los Angeles e non a Londra. Pensa che incubo... I tuoi registi preferiti? Mi piacciono i film di David Lynch, Dominik Moll, Lukas Moodyson, Louis Malle, Krystof Kieslowski, Michel Gondry, PT Anderson, Darren Aronofsky, Sophia Coppola, Clint Eastwood, Alfred Hitchcock, John e Zoe Cassavette. Ce ne sono così tanti da dire, ma diciamo che i lavori di questi che ti ho citato sono stati con me davvero per tanto tempo e ogni volta che mi sembra di essermeli dimenticati, vado a riguardarli immediatamente e li trovo sempre ottimi film. L'ultimo film che hai visto e ti è piaciuto? The Wrestler (di Darren Aronofsky), molto triste, ma davvero potente. Non hai mai pensato di fare tu un film? Su che genere ti butteresti? Sì, ultimamente sto leggendo qualche script e un giorno vorrei fare un film, ma per ora preferisco aspettare il progetto giusto. Penso che quello che mi piacerebbe più fare sarebbe un film al femminile, su un gruppo di ragazze giovani, perché è un universo che conosco bene. Che musica ti piace ascoltare? Ascolto un po' di tutto e mi piace farlo ogni giorno. La musica oggigiorno è la cosa a cui si può avere più facilmente accesso e quindi onnipresente nella società. Qualche volta penso che ci sia fin troppa musica! Ultimamente mi piacciono Bat For Lashes, Janelle Monae, Vivian Girls, Little Joy, The Big Pink e La Roux. Hai molti amici musicisti? Sì, quelli con cui lavoro e quelli che incontro alle feste. Inoltre, il mio ragazzo è un musicista e di sicuro il mio migliore amico. Progetti futuri? Mi diletto con qualche accordo, leggo, guardo un sacco di film e preparo una sorta di studio sotto le scale così potrò mettermi lì a scrivere appena ricomincerò di buona lena. Una domanda che non ti ho fatto ma a cui vorresti rispondere? Non saprei, mi hai fatto un sacco di domande, penso che sia l'intervista più lunga che io abbia mai avuto... Cosa farai dopo quest'ultima domanda? Mangerò un souffle al cioccolato e poi guarderò un film con il mio ragazzo. Allora buon film e grazie. A te, ciao.


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Shaula Photographer: MIKO LIM Stylist: KEITH WASHINGTON Photo Assistant: YUJI MURAKAMI Fashion Assistant: NOEL BILLET Models: SHAULA VOGUE Shot in Shibuya Tokyo, Japan

Coprispalle by ALEXANDRE HERCHCOVITCH

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Maglietta KSUBI, hot pants by ADIDAS ORGINALS & DIESEL

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Maglietta by PROTOTYPE BY MILOK

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Abito completo di giacca e pantalone by ET MAMONAKIA, scarpe by MELISSA

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Maglietta by PROTOTYPE BY MILOK, borsa a forma di Torre Eifel by TOPSHOP

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Maglietta by PROTOTYPE BY MILOK, borsa a forma di Torre Eifel by TOPSHOP

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Pantaloni by ALEXANDRE HERCHCOVITCH

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Cappotto nero by DERECUNY, pantaloncini McQ BY ALEAXANDER McQUEEN, scarpe by TOPSHOP

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Collana MISS SIXTY, canotta by TOPSHOP, hot pants by LILID

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Giacca by BERNHARD WILLHELM, lingerie by RESTERODS, collana by MISS SIXTY

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Vestito by DREAMANDAWAKE

Sleep Photographer: EMERIC GLAYSE - www.emericglayse.com Stylist: AMANDA ERICSSON Model: LINA SCHEYNIUS

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Shirt by SESSUN, autoreggenti AMERICAN APPAREL, bretelle DREAMANDAWAKE

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Lingerie HANRO OF SWITZERLAND, jeans by LEE

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Body AMERICAN APPAREL

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Top PUMA

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Pantaloni SESSUN

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Camicetta DREAMANDAWAKE, bikini PUMA

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Scarpe by TRETORN

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Top SESSUN, mutande ADIDAS

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Piglist:

A circa un mese di distanza dall’uscita del loro terzo album, “Begone Dull Care”, previsto per maggio, ecco dieci canzoni scelte Jeremy Greenspan e Matt Didemus, i Junior Boys, per ingannare l’attesa.

Max Tundra - Which Song Theo Parrish - Goin' Downstairs Jean Claude Risset - Mutations Yellow Magic Orchestra - Seoul Music Nils Lofgren - Goin' Back Animal Collective - My Girls Benge - 1974 Oberheim SEM Peter Dundov - Oasis Carl Craig & Moritz Von Oswald - Recomposed 3 Cluster & Eno - Cluster & Eno

Foto di Marco Velardi

Junior Boys


Musica Album del mese Di Depolique e Marco Lombardo.

Tiga - Ciao! (PIAS) Dopo quasi una decade in costante ascesa, Tiga arriva di slancio al secondo lp, consolidando con decisione la sua posizione di forza nella terra di nessuno. Praticamente una dittatura naturale in mancanza di alternative credibili che sappiano riunire in un unico personaggio le differenti figure di DJ, produttore, discografico, cantante e chi più ne più ne metta. Avanti nella direzione di sempre, già celebrata da Sexor. Un colpo al cerchio e uno alla botte, uno schiaffo e una carezza, dividendosi tra dancefloor e canzoni “da autore”, fiancheggiato da quella che se non una scena sicuramente è il suo entourage. Soulwax (su tutti), Jesper Dahlback, Jori Hulkonnen, Zdar e Jake Shears; a cui vanno aggiunti gli ultimi colpi di mercato James Murphy e Gonzales. Ciao! esalta la vena pop del poliedrico canadese con Luxury (un omaggio a Sweet Harmony dei Beloved?) e il nonstop erotic cabaret di Turn The Night On, ma più che altro nasce come un disco pop, scritto carta e penna al pianoforte, mettendo a nudo la day version del canadese. Agli ultras della versione notturna restano (e non è poco) la mostruosa Mind Dimension e la debordante What You Need. Tutto il resto sta magicamente in bilico come tra il giorno e la notte. Che sia l’alba o il tramonto è solo un punto di vista. Depolique

Bat For Lashes - Two Suns (EMI) Bat For Lashes raggiunge la notorietà nel 2006, grazie al video del brano What’s a Girl To Do, contenuto nel disco d’esordio Fur and Gold. Tre minuti di piano sequenza memorabili che seguono l’artista inglese durante una passeggiata notturna in bicicletta mentre un mondo onirico, popolato da biker acrobatici e mascherati, scorre alle sue spalle. Atmosfere sinistre che evocano David Lynch e Donnie Darko e che ben descrivono un universo sonoro dalle vaghe atmosfere gotiche, venato di irresistibili ingenuità hippie. A due anni di distanza da quella prova ancora acerba, Natasha Khan ritorna ora con un album maturo, a tratti entusiasmante, fatto di un pop visionario che rimanda alla tradizione cantautorale un pò aliena di Kate Bush, allo sperimentalismo arty di Laurie Andersson e all’approccio naïf di Sally Oldfield. Two suns raccoglie infatti l’eredità del predecessore e ne mette a fuoco le intuizioni, dipingendo nell’aria arcane melodie elettroniche e intime confessioni acustiche. Accompagnata dagli Yeasayer e dal cameo finale di Scott Walker, la bella Natasha si destreggia sicura tra le pieghe dei suoi vari alter ego, in un rituale alchemico suggestivo e seducente. La reginetta pop del 2009? M.L.

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Musica Album del mese

In Flagranti - Brash & Vulgar (Discograph) Sasha & Alex tornano sul luogo del delitto, eccitati come non mai. Un orgia di suoni e visioni che va dallo Studio 54 a YouPorn. Torbidi loop post moroderiani, bassi debordanti e vocalist vogliose in cerca di gloria. Altro che pop porno...

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa.

WhoMadeWho - The Plot (Gomma) Quasi 4 anni per dare un seguito all’lp d’esordio, ma n’è valsa la pena. Per nulla intimoriti dall’escalation nu disco di cui furono tra i precursori, i due Tomas e Jeppe confezionano la loro contromossa intelligente, capace di svariare con eleganza tra Zappa e Kraftwerk. Bentornati.

Meravigliosamente osceno.

AAVV - Beyond The Wizard’s Sleeve Reanimations Vol. 1 (NSM) PB&J, Tracey Thorn, Findlay Brown e Midlake. Solo alcuni dei personaggi rianimati dalla premiata ditta Erol - Richard Norris. C’è chi salpa felice verso spiagge baleariche, chi assaggia la solitudine mistica del deserto e chi si sveglia nel mezzo di una cerimonia tribale.

Peter Bjorn & John - Living Thing (Wichita) Dopo aver ipnotizzato mezzo mondo con il fischiettio di Young Folks, il trio svedese pubblica il quinto disco della carriera. Il suo masterpiece. Produzione genialoide del solito Yttling: più scarna, ritmica ed elettronica del solito. Per una band in stato di grazia. M.L.

Yeah Yeah Yeahs - It’s a Blitz! (Polydor) Continua l’avventura dei Blondie del nuovo millennio. La band americana in questo terzo disco sposta il baricentro verso un suono più elettronico e mostra, come mai in precedenza, una sensibilità melodica stratificata, limpida. Segno di una maturità definitiva. M.L.

Kris Menace - Idiosyncrasies (Compuphonic) Più che un debut album un best of. Kris ci mette tutto: produzioni, collaborazioni, inediti e remix. Totale 26 tracce e 11 remix. Un tris per capire come mai nel giro di quattro anni Christophe Höffel sia diventato uno dei produttori e remixer più stimati e richiesti al mondo.

Wildbirds & Peacedrums The Snake (Leaf) Voce, percussioni, silenzi e poco altro. Dimenticate i confetti pop cari ai loro connazionali svedesi, Mariam e Andreas ritornano con nuove schegge impazzite, tra teatro, blues, punk e free jazz. Come i White Stripes al rovescio alle prese coi loro peggiori incubi.

Juan Maclean - The Future Will Come (DFA) Nel suo secondo LP Maclean rivisita il synth-pop anni ’80 alternando la sua voce con quella di Nancy Whang e schiacciando l’acceleratore su ritmi funk e sintetizzatori. Il risultato è molto gradevole, ma meno innovativo del disco d’esordio. Less Than Human (League)? G.S.

Chelonis R. Jones - Chatterton (Systematic) Ricordate I Don’t Know? Chelonis si muove ora in acque elettroniche scure e torbide. Suoni sporcati con eleganza e scaldati dalla sua splendida voce per una vasca nella dark-wave (Underdog Anomaly), nella dance (Barefoot Through Hell) o in entrambe (l’epica Pompadour). G.S.

El Perro Del Mar - Love Is Not Pop (Licking Fingers) Giuro. Ho provato a trattenere ogni entusiasmo. Ho ascoltato il disco venti volte di fila. Non potevo crederci. La Svezia lo ha fatto di nuovo. Ci ha regalato un nuovo capolavoro assoluto. Prodotto da Rasmus Hagg degli Studio. L’amore non è pop. E’ arte. M.L.

Dusty Kid - A Raver’s Diary (Kompakt) E’ di casa nostra uno dei maggiori talentini della techno di oggi. Il giovanissimo Paolo Alberto Lodde da Cagliari, dopo averci fatto saltare per aria con The Cat, va in pressing sui big del circuito con un discone vario e visionario. Da tenere d’occhio.

Jenny Wilson - Hardships! (Gold Metal Recordings) Continua l’avventura della cantautrice svedese. Dopo un esordio illuminante nel 2006, Jenny conferma la verve sofisticata e istrionica della sua scrittura rielaborando r&b americano e canzone d’autore, in un calderone di citazioni pop e trucchi avantgarde. M.L.

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Black Dice - Repo (Paw Tracks) A furia di suonare nei luoghi più imprevedibili, i tre avanguardisti hanno affinato la loro alchimia sonora basata su ritmi pandemici e frattali digitali. Rispetto al collettivo animale, i BD si divertono ancora a destrutturare il pop e a giocare con ironia sulla sperimentazione. G.S.

Au Revoir Simone - Still Night, Still Light (Our Secret Record Company) E’ il titolo stesso a suggerirlo. Il trio di New York è tornato. Con le sue chincaglierie elettroniche fatte di luci e ombre. Ancora una volta. Confidenze eteree e umorali. Per un folk marziano, retro futuribile. 2009. Odissea sulla terra. M.L.

AGF/Delay - Symptoms (BPitch Control) Lo spoken word effettato di Antye Greie e la base battente di Sasu Ripatti rivelano più urgenza del precedente Explode. I due, uniti nell’arte come nella vita, danno sfogo a uno scenario industriale che, dopo il trip al velluto di Connection, si fa via via più freddo e duro. G.S.

Crystal Antlers - Tentacles (Touch & Go) e colorato garage multiforme, venato di psichedelia, divagazioni post e attitudine punk. Interessanti gli incastri melodici ricoperti da strati di rumore ben bilanciati, mai fini a se stessi. M.L.

Harmonic 313 - When Machines Exceed Human Intelligence (Warp) Mark Pritchard (Global Communication) immerge come olio lubrificante nella sua macchina techno e hip-hop da Detroit (cap 313), dubstep, 8 bit ed elettronica kraftwerkiana. In un mondo fantascientifico ormai popolato da robot non c’è via d’uscita. G.S.

Prefuse 73 - Everything She Touched Turned Ampexian (Warp) In attesa di sentire Diamond Watch Wrists, Herren ci regala un altro originale capitolo illbient, interamente registrato su Ampex analogico. Un flusso di psichedelia diffusa o campionata, “machine funk” e quant’altro si possa usare in campo avant. G.S.

I Monster - A Dense Swarm Of Ancient Stars (Twins of Evil) Non mi sorprenderei se Sucker for your sound, il primo singolo estratto dal nuovo album del duo di Sheffield, diventasse uno dei tormentoni di quest’anno. A fare da contorno un pugno di piacevoli stramberie di pop elettronico e psichedelico. M.L.

Still Flyin - Never Gonna Touch The Ground (Moshi Moshi) Sorpresa del mese per il sottoscritto. Più che una band un collettivo aperto, con base a San Francisco. Una ventata primaverile, rigenerante, irresistibile, che porta con sé un entusiasmo contagioso e una leggerezza solare. Liberatoria. Indie Popsteady? M.L.

Royal Bangs - We Breed Champions (Audio Eagle) L’energico quintetto del Tennessee suona un indie-rock di stampo garage con qualche stramberia elettronica. Alle buone doti di scrittura si aggiunge il cantato di Ryan Schaefer, come se un novello e adrenalinico Robert Smith si mettesse a stridere con gli Strokes. G.S.

Luke Vibert - Rhythm (Soundofspeed) Altro album dedicato a J. Dilla, Rhythm è un ritorno un po’ ruffiano di Vibert alle sue radici hip-hop. Al ritmo oscillante, molto in voga di questi tempi, si sovrappongono sample e arrangiamenti jazz, soul e reggae, ma anche synth e vocoder à-la Daft Punk downtempo. G.S.

Miss Kittin & The Hacker - Two (Nobody’s Bizzness) Lungi dal capolavoro First Album ha segnato un’epoca. A 10 anni dal primo incontro l’Hacker c’è, la Hervé no. Che non sapesse cantare si sapeva, ma senza il piglio da stronzetta snob che l’ha resa celebre... Naturale immaginare il tutto con una Karin Drejer al suo posto.

The Virgins - s/t (Atlantic) Mi propinano questi The Virgins da ormai due anni, da ogni dove. Evidentemente hanno amici influenti altrimenti non mi spiegherei. Siamo ai livelli delle più anonime meteore del college rock USA anni ‘90, al massimo una versione per sedicenni degli Strokes. E che cazzo.

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Film del mese

Di Valentina Barzaghi

Che - L’argentino Di Steven Soderbergh. Che - L'argentino è la

propone di delineare per il grande pubblico il

solo luce naturale e un nuovo prototipo di ci-

prima parte del film a due episodi (la seconda

ritratto dell'uomo che sta dietro al mito, la sua

nepresa digitale chiamata RED, che unisce la

Che - Guerriglia sarà nelle sale l'1 maggio) re-

ascesa nella rivoluzione cubana, la stessa che

qualità di una pellicola 35 mm alla convenien-

alizzato da "boh, non so ma cosa aspettarmi"

lo portò a trasformarsi da giovane con ideali

za del digitale puro. L'interpretazione del Che

Steven Soderbergh. A parte la velata ironia da

ferrei a comandante rivoluzionario. Il regista

viene affidata a un perfetto Benicio Del Toro,

snob, è vero che il regista americano ha avu-

si muove in maniera saggia tra le pagine di

vincitore a Cannes come Miglior Protagonista

to una carriera talmente altalenante, che va

storia, decidendo di tralasciare quegli stralci

Maschile per questo ruolo, che del film è

dal bellissimo e indipendente Bubble a robe

che avrebbero scatenato sicura polemica

anche produttore e sembra perfettamente a

indigeste come Intrigo a Berlino, che quando

tra le opposte fazioni di chi vuole Castro e il

suo agio nelle vesti di quell'uomo pacato che

si sente che ha fatto un film sul Che, non si

Che come eroi nazionali e chi invece li con-

quando non era impegnato in operazioni di

sa che smorfia improvvisare: felicità o fredda

sidera leader totalitari rossi che applicarono

guerriglia, amava abbandonarsi alla lettura e

paura? Possiamo rilassarci, il film è davvero

anch'essi restrizioni alla libertà di persona; lo

alla donna della sua vita, alle interviste con i

un ottimo ritratto di una delle più famose

stesso rapporto tra Fidel e Guevara non viene

giornalisti e alla riflessione. Che - L'argentino

(passatemelo, ormai è così) icone pop del XX

approfondito, le contraddizioni ovvie gene-

è la parte di vita che Guevara ha dedicato alla

secolo. Un po' di storia. E' il 26 Novembre

rate da due modi di pensare molto diversi,

realizzazione della sua (e non solo) utopia,

1956 quando Fidel Castro salpa per Cuba

il primo da politico che però non imbraccia

quella stessa che nel prossimo capitolo però

accompagnato da ottanta ribelli per rove-

un fucile, il secondo da combattente colto,

dovrà scontrarsi con la dura realtà. Un film

sciare la dittatura di Fulgencio Batista, leader

ma troppo uomo per essere a capo di un go-

da vedere perché finalmente si ha la possi-

assoluto di Cuba dal 1952, anno in cui con un

verno, avrebbero portato il ritratto in strade

bilità di conoscere un po' di più la storia di

colpo di stato si era investito della carica di

senza via d'uscita. Per la realizzazione del film

quell'uomo che ora viene usato come santino

presidente e aveva sospeso le libere elezioni.

sono occorsi sette anni di ricerche intense, tra

appiccicato a una maglietta, senza sapere

Tra le fila di quel manipolo di ribelli c'è un

materiale cartaceo e i moltissimi video con cui

nemmeno cosa davvero abbia rappresentato

giovane medico argentino che pochi anni

i ribelli hanno documentato passo per passo

e cosa sia stata la sua vita, sia nell'accezione

prima aveva cominciato a fare attività politica

la loro esperienza, e il regista ha voluto infon-

positiva che negativa. Per fortuna adesso che

in Guatemala: il suo nome è Ernesto "Che"

dere nella pellicola un effetto realtà simile a

è arrivato Obama, le vendite saranno un po'

Guevara. La prima pellicola di Soderbergh si

quello di un documentario, usando pressoché

in calo...

126 PIG MAGAZINE


Cinema e in cui è proprio lui invece l’unico ad essere segretamente ateo. Franklyn è una favola urbana dalle connotazioni dark e, come in tutte le fiabe che si rispettino, mette in scena un groviglio di elementi diversi: dall’eterna lotta tra bene e male alla suspense, dalla magia alla redenzione. Guardando questa pellicola si fa un tuffo di testa nel concetto di destino, il cui senso viene dato sia dall’alternarsi delle ambientazioni - una reale e l’altra surreale - sia dai legami tra i personaggi, che si incontrano in momenti e luoghi diversi delle proprie singole esistenze. L’individualità dei quattro protagonisti, da cui traspare la triste, ma reale, idea di solitudine a cui si deve rassegnare l’essere umano, viene resa magistralmente da McMorrow con la costruzione di un universo a sé stante per ciascuno di loro, un contesto

Franklyn Di Gerald McMorrow. Ambientato simultaneamente nella Londra contemporanea e in un’ipotetica città del futuro dominata dal caso e chiamata Meanwhile City, Franklyn è la storia di quattro anime le cui esistenze sono unite dal fato, dall’amore e dalla tragedia. A Londra incontriamo Emilia (Eva Green), una donna giovane e bella, ma cinica e depressa, costretta a vivere per ragioni familiari in uno squallore bohemien che la deprime, portandola a passare da un suicidio

all’altro. Sempre qui vivono anche Milo (Sam Riley, il vero motivo per cui sto recensendo questo film), un professionista di talento appena scaricato sull’altare, che va alla ricerca della purezza del primo amore, ed Esser (Bernard Hill), uomo religioso che arriva a Londra sulle tracce del figlio reduce della Guerra del Golfo e appena sfuggito alle cure psichiatriche. Preest (Ryan Phillippe) è invece il temuto vigilante di Meanwhile, un luogo dove la religione regna incontrastata

che inoltre riesce ad evocare i sentimenti a cui è soggetto il personaggio: quello di Emilia ricorda il sogno, quello di Milo è quasi privo di luce, quello di Esser è vuoto, mentre quello di Preest è cupo ed avvolto da un senso di oppressione. Un film che trova nella fantasia l’escamotage narrativo per una critica alla società moderna, al suo cinismo, all’ossessione per il credo religioso e all’accettazione passiva di un potere folle in nome della fede.

se, anche se questo non ne sente ragione. Presentato all'ultimo Festival di Cannes, non ha avuto molto successo di critica (forse perché i critici quando ridono si indignano pensando di perdere credibilità?), ma è un prodotto che nel suo genere è ben confezionato, soprattutto se si tiene conto che di film sul cinema nel cinema se ne sono visti talmente tante che, se non fos-

se stato un minimo originale, avrebbe provocato solo orticaria senza soluzione di cura. Un gioco di specchi che diverte senza la pretesa di erigersi a film d'autore, ma che assolve alla sua funzione di essere un buon prodotto d'intrattenimento per il vasto pubblico. E poi ci sono Tucci e Turturro che nelle loro caricature sono fantastici e varrebbero da soli tutto il biglietto...

What Just Happened? Di Barry Levinson. ITA. Disastro a Hollywood. Ennesimo cast stellare per il regista di Rain Man - L'uomo della pioggia e Sleepers, che negli ultimi anni ci aveva un po' deluso con pellicole tedio come L'invidia del mio miglior amico e L'uomo dell'anno: De Niro, Sean Penn, John Turturro, Stanley Tucci, Bruce Willis e Robin Wright Penn, tutti insieme per una commedia brillante, un dietro le quinte sul patinato universo di Hollywood. De Niro, infatti, si cala nei panni di un produttore cinematografico che, mentre sta cercando di digerire un divorzio forzato, deve affrontare questioni difficili sul lavoro. La prima è convincere un regista particolarmente attaccato alle sue idee, a togliere una scena dal suo film già montato: nella pellicola il protagonista (Sean Penn) muore, ma prima di lui a fare una brutta fine è il suo cane e la cosa non viene apprezzata né dal pubblico delle preview né dal distributore. La seconda è far capire a Bruce Willis, che interpreta se stesso (come d'altra parte Sean Penn), che deve tagliarsi la fluente barba che si è fatto crescere in previsione dell'imminente inizio delle ripre-

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DVD

Di Valentina Barzaghi

Lezione 21 Di Alessandro Baricco. Baricco al cinema non era sufficiente ci tediasse con film tratti dai suoi romanzi (vedi Seta), che seppur poetici, romantici e ben scritti, ci sono usciti un po' fuori dagli occhi... doveva pure mettersi a girarli... ed ecco Lezione 21. Del professor Mondrian Kilroy, celebre non è la simpatia, ma una lezione tenuta all'università (la Lezione 21, appunto) in cui smontava il mito della Nona Sinfonia di Beethoven, con particolari riferimenti all'Inno alla Gioia. A questa vicenda centrale, se ne legano altre, tutte accomunate da qualche rapporto con l'opera musicale. E' il 7 Maggio 1824 quando a Vienna si tiene la prima esecuzione pubblica della Nona; lo stesso inverno un violinista viene trovato morto assiderato, con ancora tra le dita strette il suo strumento. Se è vero, che dalla lettura dei suoi romanzi da tempo traspariva l'esigenza di un cambiamento, di una trasformazione da parola a immagine, è anche vero che proporre alla vista virtuosismi e un esercizio di stile troppo raffinato, dopo un po' stanca. Mi spiego con parole più semplici: se voleva che gli battessimo le mani perché è stata bravo al suo battesimo da regista, gliele battiamo, ma se pretende che lo facciamo convinti che abbia fatto davvero un buon film e che ci abbia emozionato, io personalmente le rimetto in tasca.

Rachel getting married Di Jonathan Demme. ITA. Rachel sta per sposarsi. Lasciate le vesti di personaggi più soft come quelli di Il Diavolo veste Prada e Get Smart, Ann Hathaway indossa quelli dell’inquieta Kym, tossicodipendente in fase di riabilitazione che torna a casa dalla famiglia per il matrimonio della sorella Rachel. Scritto dalla figlia di Sidney Lumet (buon sangue non mente!) e diretto dal regista de Il silenzio degli innocenti e Philadelphia è uno di quei classici film che ti porta ad evitarlo se leggi la trama prima di

andare al cinema... sarebbe un grosso errore! E’ vero che al centro della vicenda ci sono incomprensioni familiari mai svelate e la scalata della protagonista verso la riconquista di autostima, ma Rachel Getting Married è realistico, non cade nel superficiale e scontato, non cerca di mitragliare lo spettatore con continui stati di dolore e tristezza ingiustificati, dosa il tutto con molte parentesi ironiche. Dietro la macchina da presa Demme vuole dare alla vicenda un taglio documentaristico inaspettato e racconta

la sua protagonista utilizzando la chiave della compassione... non facile! Da vedere perché è il film in cui sembra che Ann Hathaway abbia davvero doti d'attrice, tanto che è stata pure candidata all'Oscar per questo ruolo, subito smentite dalla sua recente partecipazione nel terribile e drammaticamente vaginale Bride Wars. Date una possibilità, anche a una delle donne più sopravvalutate di tutti i tempi (sia in bellezza che in bravura!), perché il film ne vale davvero la pena!

The Mist Di Frank Darabont. Di questo film non se n'è sentito tanto parlare, forse perché ogni volta che esce una pellicola tratta da Stephen King ormai, si sbuffa pensando a quando arriverà il giorno in cui finalmente finiranno i suoi romanzi adattabili al grande schermo, evitando un tedio consolidato per generazioni di amanti del buon cinema. Sta di fatto che la pellicola in questione invece è uno dei rari casi in cui un pregiudizio sbagliato può portare fuori strada: il regista, d'altronde, non è il primo degli sconosciuti che non sapendo come sfondare punta su King "almeno due soldi me li faccio di sicuro", ma il signor Frank Darabont, quello di Le Ali della Libertà e Il Miglio Verde. Darabont conosce e ama King (suo è anche Stephen King. Movie Collection), di cui ne sa esaltare la parte più inquietante e potenziarne la valenza simbolica. Tratto da un racconto incluso nella raccolta di Scheletri, The Mist narra l'arrivo in una piccola cittadina di una tempesta violenta seguita da una nebbia fitta. Man mano che la foschia avanza la città viene occupata anche da forze militari che però non si capisce da dove provengano e quale sia la loro missione. Quando gli abitanti capiscono che la nebbia è sinonimo di pericolo, si rinchiudono in un supermercato, pensando di essere al sicuro. Ma è a questo punto che invece l'incubo avrà inizio.

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News

Intervista di Valentina Barzaghi

Riziero (Riz) Ortolani Il 5 Maggio debutterà al Teatro degli Arcimboldi di Milano, la prima OperaMusical di uno dei più grandi compositori italiani, che deve soprattutto al cinema la sua popolarità internazionale: Riziero (Riz) Ortolani. “Il Principe Della Gioventù”, questo il titolo, si svolge in pieno Rinascimento (1478), durante il complotto ordito dalla famiglia dei Pazzi contro quella dei Medici per assicurarsi la supremazia in Firenze. Abbiamo raggiunto telefonicamente il maestro, impegnato con il suo collaboratore più stretto, Roberto Gori, negli ultimi ritocchi.

Mi può descrivere Il Principe Della Gioventù usando tre aggettivi? E' difficile usare solo tre aggettivi per descrivere la vastità di temi contemplati in quest'opera, dal dramma all'invidia, dalla follia all'amore... Direi che è attualissima, legata al concetto di gioia, vista sia come trasporto passionale sia come caratteristica della gioventù. L'opera porta in scena uno dei periodi di maggior fioritura per l'arte in Italia. Perché questa scelta e come ha cercato di rendere in musica questo senso di rinascita? Secondo me era la tematica più forte d'impatto, che si poteva scegliere volendo fare un musical del genere in Italia, ma anche perché in fondo è davvero una storia moderna. Mi ricordo che quando ero a NY si parlava moltissimo dei fratelli Kennedy, soprattutto per il film appena uscito di Oliver Stone (JFK, un caso ancora aperto). Si diceva che fosse stata una congiura e ho cominciato a riflettere. Pensare che nel '500 da noi ci fosse stata una cosa analoga, l'ho trovato di grande interesse, soprattutto perché dimostra come alcuni fatti si ripetono ciclicamente nel corso della storia. Una volta era la famiglia Pazzi a contendersi il potere per invidia, anni dopo i Kennedy. La storia si ripete sempre. Mi racconta come si organizza nel suo lavoro? Per prima cosa bisogna tener conto della storia, della sua costruzione. E' su questo che si regge il tutto e il vero punto di partenza... Ti

faccio alcuni esempi: c'è un brano che ho chiamato Amante Mia, associato al personaggio di Lorenzo la cui amante era la sua città, oppure un altro intitolato Amo il Mio Odio per Franceschino, un uomo che sapeva solo odiare. Tutto deve avere una coerenza narrativa, ma poi deve anche riuscire concentrarsi in una linearità musicale. Ci è voluto molto tempo, anni; ho dovuto anche orchestrare, registrare, trovare i personaggi... è stato un lavoro complesso. Quali sono le differenze più grandi che ha riscontrato tra la composizione per il cinema e quella per un'opera teatrale-musical? Il cinema è totalmente diverso da un'opera come questa e quindi anche l'approccio con cui mi relaziono è diverso. Nel cinema sono un semplice collaboratore del regista, il mio spazio è limitato così come lo deve essere la mia creatività. Qui invece sono libero di muovermi più liberamente. Diciamo che mi ha fatto bene per un po' fare qualcosa di diverso... Ho collaborato a talmente tanti film, che sentivo proprio la necessità di cambiare un po' aria, di fare qualcosa che non ne avesse nulla a che vedere con il mio repertorio precedente, che avesse sì a che fare con l'italianità, ma da un altro punto di vista. Ma quindi, parlando dei suoi progetti futuri... Crede che continuerà sulla strada del teatro, tornerà al cinema o aspetta di vedere come andrà il debutto de Il Principe della Gioventù e poi deciderà? Il cinema non l'ho abbandonato e mai lo ab-

bandonerò, già ora sto lavorando ad un altro progetto... Il cinema è il mio sogno, la mia vera realizzazione... quello che sognavo di fare da bambino è quello che faccio e mi sento fortunato. Ho studiato al conservatorio di Pesaro e subito dopo mi è stata data la possibilità di sviluppare il mio talento: dopo una breve gavetta, ho fatto il mio primo film, Mondo Cane (1962), che ha girato il mondo permettendomi da subito di farmi conoscere a livello internazionale, da Berlino alla Francia, da Londra a Hollywood. E poi penso che il teatro sia un lavoro molto diverso: è interessante e forse richiede più responsabilità. Lo rifarei se troverò un altro soggetto che mi coinvolge come questo. Se non avesse fatto questo lavoro, quale altra professione le sarebbe piaciuto esercitare? Il comandante di una Portaerei Americana, sono un appassionato della Marina. Nel corso della sua vita avrà risposto ad un'infinità di domande... ma mi potrebbe dire una cosa che non le hanno mai chiesto, ma a cui le sarebbe piaciuto rispondere? Guarda, non so se è proprio una domanda, ma ti confesso una cosa... Preferirei essere chiamato Riziero, cosa che non succede mai perché ormai tutti mi conoscono come Riz. Lo terrò presente... Le prometto che nell'intervista la citerò sempre come Riziero (ride)... Dai... Riziero, tra parentesi Riz. www.rizortolani.com www.ilprincipedellagioventu.it

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Libri

Di Marco Velardi

Hanatsubaki and Nakajo Hanatsubaki è il termine Giapponese per la camelia. La camelia è un fiore famoso per la sua bellezza, il suo profumo puro e pulito è quasi sconosciuto, un po’ come Hanatsubaki la rivista lanciata da Shiseido nel 1937, quasi impossibile da trovare al di fuori del Giappone. Per festeggiare i quarant’anni di art direction di Masayoshi Nakajo, dal 1968 al 2008, PIE Books pubblica un elegantissimo volume che finalmente aprirà le porte di uno dei segreti dell’editoria giapponese

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al grande pubblico internazionale. Sarebbe più appropriato chiamarla una piccola monografia dedicata ad uno degli art director giapponesi più importanti degli ultimi decenni. Sfogliando tra le pagine di Hanatsubaki si scoprono gemme di grafica e moda, immagini e impaginati del tutto attuali nonostante si risalga anche agli anni ‘70. PIE Books sorprende sempre per la qualità nel catalogare, in puro stile editoriale giapponese, con grande minuzia e anche in questo

caso ci troviamo davanti ad un volume che rimarrà nel tempo e con molta probabilità diventerà un classico da collezionare. www.piebooks.com Titolo: Hanatsubaki and Nakajo Autore: Masayoshi Nakajo, Casa editrice: PIE Books Anno: 2009 Dimensioni: 23,3 x 29,7 cm Prezzo: 49.00 €


The Language of Things Oggetti, oggetti e ancora oggetti. Ci circondano, non possiamo fare a meno di accumularli pur essendo consci che nove volte su dieci non ce ne faremo granché. In cinque capitoli, Deyan Sudjic, direttore del Design Museum di Londra, ci porta in viaggio attraverso un mondo che affonda in un mare di cose, il nostro mondo. The Language of Things è un libro che magari non vi aprirà solamente gli occhi sul consumismo più sfrenato di cui siamo gli stessi fautori, ma probabilmente vi offrirà anche uno spaccato di esperienze e spunti per capire meglio il significato della parola “design” ai giorni nostri, e quanto ci si trovi ad utilizzarla inappropriatamente. Che il vero lusso sia di possedere il meno possibile? Una domanda che vi porrete spesso durante la lettura di questo volume assolutamente coinvolgente. Rimane sempre il dubbio… Cosa farne una volta letto? www.penguin.co.uk Titolo: The Language of Things Autore: Deyan Sudjic Casa editrice: Allen Lane Anno: 2008 Dimensioni: 12,9 x 19,8 cm Prezzo: 20.00 £

Graphics /Films Se state leggendo questa recensione e non sapete ancora chi è Mike Mills, non continuate oltre, ma infilatevi in una libreria o sul sito della Damiani e ordinatevi una copia di Graphics / Films immediatamente. Avete ancora dubbi? Vi ricordate il video Sexy Boy degli Air o la copertina di Washing Machine dei Sonic Youth? Mike era la mente dietro tutto ciò, e non solo, le sue collaborazioni vanno ben oltre, da progetti con Beck, Beastie Boys e Marc Jacobs. Il quarto volume nella saga di Aaron Rose per Damiani celebra uno dei creativi più interessanti degli ultimi quindici anni, compilando, quasi come fosse un curriculum, progetti grafici, video, installazioni, libri e fanzine prodotti finora, dandoci una panoramica molto interessante e onesta. Sfogliandone le pagine si nota quella precisione e umiltà che permeano il lavoro di Mike Mills e lo hanno reso una superstar indie a tutti gli effetti. www.damianieditore.com

Titolo: Graphics / Films Autore: Mike Mills Casa editrice: Damiani Anno: 2009 Dimensioni: 24,5 x 32 cm Prezzo: 40.00 €

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Whaleless

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Un mondo senza balene. Inquinamento e pratiche di pesca insostenibili stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza dei grandi cetacei. Questo è uno spazio dedicato a chiunque voglia esprimere la propria indignazione, rabbia, vergogna, incredulità, preoccupazione… con ogni mezzo espressivo, dall’illustrazione alla canzone, dall’animazione alla fotografia e oltre. Visitate i siti internet www.whaleless.com e www.myspace.com/whaleless per ulteriori informazioni e per visionare la gallery dei lavori giunti fino ad ora. Be creative, save a whale.

In a desert of frost (whaleleaf's blues) Hai mai visto una balena? Avrò avuto quattordici o quindici anni. Non era ancora piena estate e in spiaggia eravamo in pochi bagnanti e qualche pescatore. A un certo punto uno di loro urla d’avere avvistato una balena. Si trattava di una giovane balenottera. Ne ho visto il dorso mentre era in superficie per una sfiatata. È stato emozionante. Che rapporto hai col mare? Sono nato una sera di novembre in una clinica sul mare a Catania, città nella quale ho vissuto i primi diciotto anni della mia vita. Il mare è sempre stato il Luogo Sacro in cui lasciare scivolare lo sguardo, incantato dal non poter raggiungere nessun confine ed estasiato da un sentimento di Profondo Amore e Assoluto Rispetto. Se tu potessi scegliere di trasformarti in un abitante marino, quale sceglieresti? E perché? L’Hippocampus, perché ha una forma favolosa e perché è il maschio a custodire le uova nella tasca ventrale fino al “parto”. Sembra l’abitante di un mondo surreale disegnato da un bambino visionario. Qual è il tuo elemento preferito tra aria, acqua, terra e fuoco? Perché?

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L’Acqua, senza dubbio. Sarà che sono nato sotto il segno dello Scorpione con ascendente in Cancro e luna in Pesci, ma l’acqua è l’unico luogo in cui mi sento veramente e finalmente a casa. Nel mio immaginario simbolico è l’elemento di unione della vita con la morte, lo spazio-tempo della trasformazione, della rinascita. Pensi che l’arte sia fine a se stessa o che debba avere un messaggio o un riflesso su chi guarda? Non credo che esista l’ “Arte” e spero che nulla sia mai fine a se stesso, sarebbe terrificante. Io credo che le “Invenzioni” siano il frutto di un complesso gioco di fantasmi e che questo gioco sia attivo in ognuno di noi, nel pittore come nella casalinga. Quello che cambia, a mio parere, è l’oggetto sul quale si investono le proprie passioni, la magia di una traduzione altrimenti impossibile. Come descriveresti il mondo nel quale viviamo ? Imprevidente. Ogni decisione viene presa come se non vi fosse un domani. Anche nel dialetto siciliano manca il tempo futuro dei verbi. È un evidente sintomo di sfiducia e pessimismo. Ci dici qualche parola da associare al tuo modo di fare arte? In quello che faccio c’è la mia vita. Ci sono, come

Opera di Francesco Viscuso

Whaleless al Festival della Fotografia Europea di Reggio Emilia., dal 30 Aprile.

dicevo prima, tutti i miei fantasmi e io gioco il loro gioco dandoli “a vedere”, sebbene mai nella loro Verità, tanto che tornano e ritornano ogni volta indossando nuovi travestimenti. Fare immagine è per me l’unica possibilità di sopravvivenza, l’unico modo per non soffocare. Come hai realizzato questa balena? Ho prelevato l’immagine di una balena dal web, l’ho alterata con Photoshop, l’ho stampata su carta in una ventina di copie e sono andato insieme a questo mio piccolo “branco” di balene di carta a Villa Ada, cielo minaccioso. Aveva smesso di piovere da poco e le balene si sono gettate nelle pozzanghere e sono volate sugli alberi. Sono diventate foglie e malinconia e alcune tra loro fotografie. A cosa stai lavorando ora? Al momento, oltre alla fotografia, i miei progetti aperti sono “ SE.TE ” e “ Wert ”. Il primo è un progetto basato sulla correlazione tra suono, immagine e performance insieme alla musicista romana Lili Refrain. Wert è invece l’Altro che mi abita e si occupa di Fotografia Sonora. Il suo sogno è di musicare le scatole di Joseph Cornell. www.myspace.com/francescoviscuso


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Webster

Di Raf “I feel Lucky” Mancuso webster@pigmag.com

Raf Mancuso è un detenuto dimenticato in un carcere dismesso; la sua unica libertà è la banda larga.

www.the-impossible-project.com Utopia è un’azione sociale ed emotiva che può cambiare uno status quo ma che non tutti capiscono. Edwin Land, inventore delle pellicole fotografiche istantanee, ha detto: non appoggiare un progetto a meno che non sia manifestamente importante e quasi impossibile. Un manipolo di eroi folli ha preso la fabbrica olandese della Polaroid, che ha cessato la produzione nel luglio 2008, con lo scopo di sviluppare una nuova pellicola compatibile con le vecchie care Polaroid. Aiutiamoli.

Fishing >> Creatività e arte, alta e bassa. Dalle gallerie famose anche sulla luna alle strade, dal mondo sommerso alle scrivanie di chi decide se una pubblicità va censurata o no. Una serie di istinti primordiali all’amo dei quali abboccare piacevolmente, per lasciarsi andare col sorriso. 134 PIG MAGAZINE


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Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

PIG’s Most Played. Niente più mezze stagioni. Il mondo si divide tra incubi splatter e divertenti partite a tennis. American Psycho dove sei? Let’s Tap. (Wii) Yuji Naka ci stupisce con effetti speciali. Aprendo la maxi confezione di Let’s Tap si capisce subito che non si tratta del solito gioco. Totalmente da montare il supporto di cartone sul quale appoggiare i telecomandi Wii. E a che serve? Non roviniamo la sorpresa. La grafica è nippo-pop-techno-arcade, ricorda tanto i vecchi cabinati da sala giochi, quelli con i colori fluo e i neon sui fianchi. Magico esempio di sensata confusione. 5 minigiochi degni di essere vissuti da soli o con gli amici, anche se il massimo naturalmente è fare gruppo e casino. Il miglior rhythm game sul mercato. Tom Clancy’s H.A.W.X. (PS3) Se non siete proprio dei nerd della simulazione aerea, HAWX è il gioco che fa per voi. La differenza che c’era tra una partita ad Afterburner e una a Falcon. La grafica è strepitosa, mille particolari e dettagli sia in cielo che in terra. Più di 50 aerei da pilotare e un nuovo sistema di visuali per le manovre più azzardate. Probabilmente la modalità online multiplayer darà grandi soddisfazioni: otto giocatori per un chilometro di fuoco e fiamme. Sgancio il napalm?

Mario Power Tennis. (Wii) Vi è piaciuto il tennis di Wii Sport? Andrete pazzi per questa riedizione in salsa Mario&c. Martelli giganti al posto delle racchette, coccodrilli in campo e palline di fuoco. Mescolate il tutto con un 136 PIG MAGAZINE

infinità di colpi speciali e il pranzo è servito. Tutto il necessario per sudare sette camicie sfidando gli amici. Altro che tranquillo salotto di casa tua…

The house of the dead:overkill (Wii) Ambientazione anni ’70 per questo spin-off della serie. Grafica mix Grindhouse/Strippers nella miglior tradizione dei remake splatter alla Tarantino. Sangue come se piovesse, budella sulle pareti e fucili a pompa. Tutto il necessario per un tranquillo WK di paura. Se finite la modalità Arcade, sbloccherete la Director’s Cut. Livelli più estesi, più cadaveri per le strade e una difficoltà più alta. Ancora poco? Andando oltre si sblocca la modalità “sex machine” con due pistole.

Fear 2 Project Origin. (PS3) Isolamento, fantasmi e silenzio. L’atmosfera è così terrificante che persino Kurt Russel potrebbe darsela a gambe. Tecnicamente è perfetto. Ha classe, ha humor ha la grafica e c’è persino una storia da raccontare. Anche se è da veri nerd, impossibile non menzionare la possibilità di distruggere qualsiasi cosa a colpi di fucile. Stanze devastate, sangue sulle pareti, tentacoli terrificanti e buchi neri. Tutto al buio con i mostri che saltano fuori a velocità assurde. Se cercate su Youtube troverete parecchi filmati di gente che si fa venire un infarto giocando la notte.


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L’anno dei morti viventi. Il 2009 sembra aprirsi con un’alba livida, ma per gli zombie sono sempre “Money money money”! Non si può negare agli zombie un certo fascino. Da che l’uomo esiste sulla terra, sembra attratto maniacalmente dall’idea di un cadavere che cammina. Dal più famoso figlio di Dio agli splatter che l’amico Quentin rimasterizza per la gioia di tutti. Ma è il mondo dei games che più di tutti si ispira a questi mostri senz’anima e alla loro delirante cinematografia anni ‘80. Quel Romero mai eguagliato, quella cassetta di Fulci riavvolta mille volte sulla stessa scena. Proprio in quegli anni sono stati girati i capolavori assoluti del genere: Zombie, Il Giorno degli Zombie, L’alba dei morti Viventi. Ma chi sono questi morti che camminano? Per rigor mortis sono lenti, stupidi e senza cervello. Non conoscono né pietà, né paura né dolore. Hanno fame di carne umana e non sanno il perchè. Sopratutto sono migliaia, forse milioni. La fine della civiltà per mano di propri simili trasfor-

mati in cannibali senza cuore. Un vero incubo pop-nucleare Made in Reagan. Tutto questo sangue non poteva che solleticare la fantasia di sviluppatori e software house. Le serie più famose sono ormai diventati titoli di culto: House of the Dead e Resident Evil spaccano al cinema come sulle console. Gli ingredienti sono gli stessi da sempre, ma le tecnologie possono aiutare a vivere esperienze via via più terrificanti. Titoli molto diversi fra loro uniti da un unico scopo, un colpo in testa e si passa al prossimo cadavere ambulante. Impossibile non citare lo stragiocato Left for Dead e il bellissimo Dead Rising finalmente in uscita su Wii. Le citazioni dal cinema si sprecano. Spendiamo un paio di consonanti per capire il perché di tanto successo: ci sono alcune cose che rendono questa carneficina particolarmente gratificante. La prima è che il sangue scorre a fiumi. Si può

Imperdibile Call of Duty World at War - "Nazi Zombies". Una volta finito il gioco, si attiva una speciale modalità Zombie dove i cari vecchi nazi si trasformano in terrificanti non-morti. Da godere in multiplayer, uniti nel massacro.

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decapitare, impalare, segare e spappolare a volontà. Non c’è colpa nel trasformarsi in macellai della domenica. Sono ex-esseri umani, mica è omicidio! La seconda cosa è che di solito sono tanti, tantissimi e si muovo lenti. Nemici perfetti per applicare tutte le regole del novello chirurgo da campo. La terza è il fatto che solitamente il mondo come lo conosciamo è infestato dai resurretti. Nessun essere umano rompipalle nel raggio di chilometri. Si può fare e dire ciò che si vuole. Un UZI nuovo? Si sfonda la vetrata di un’armeria e si sceglie la marca preferita. Una Corvette del ‘69? Nessun problema, o la si prende in prestito da un cadavere, oppure si entra direttamente in concessionario senza passare dalla cassa. Interi supermercati deserti aspettano solo di essere svuotati. Omicidio e rapine senza punizione sono cinicamente il succo del discorso. Va bene, alcuni titoli

CounterStrike non poteva non avere il suo modmodaiolo. Ed ecco che da tempo è possibile fare la guerra ai sacchi di pus! Jack_Jack rulez!


aggiungono la storia, personaggi, vittime e sopravvissuti. Ma sono sacrificabili. La vera paura nasce dal senso di solitudine che l’alba di un mondo senza vita può dare. Non puoi parlare con i morti. Loro non si fermeranno mai. Stanno però nascendo nuove tipologie di zombie. Li chiamano “infetti” e a volte corrono come lepri. Non sono proprio scemi, si possono comandare e addestrare. Sulla falsa riga della visione di Danny Boyle, molti stanno rispondendo al richiamo dei morti-di-corsa. Infartati della maratona di NYC sono inferociti per non aver conquistato il podio e si rifanno mangiandosi il giudice. Qui nel vecchio continente però, si continua a preferire la vecchia versione. Volete mettere il fascino dell’orda putrefatta che esce lentamente dai palazzi e si riversa nelle strade di una città devastata? Zombies Ate My Neighbors, SNES. Capolavoro del genere realizzato dalla LucasArts nel ’93. Un vero e proprio omaggio a tutti i B movie del passato. Scampati alla tradizionale infezione, un ragazzo e una ragazza dovranno combattere orde di non morti a suon di posate, piatti e pistole ad acqua. Interi quartieri dovranno essere ripuliti prima di poter passare al

livello successivo. Se amate il genere non potete perderlo. E’ considerato a ragione un gioco di culto anche per la chicca finale: l’ultimo livello è ambientato negli studi della Lucas. Oltre ad incontrare nelle varie stanze gli impiegati della software house, troverete George Lucas in persona. Dead Rising, Wii. Probabilmente il miglior gioco di Zombie mai prodotto e pensato. Un assoluto capolavoro nel suo genere. E’ tutto quello che i maniaci dello splatter anni ‘80 possono desiderare. Ambientazione perfetta, migliaia di non morti e sangue a volontà. Nella parte di Frank West vi ritroverete intrappolati in un mega centro commerciale infestato (più o meno 55.000 zombie sparsi in ogni dove). Lo scopo è quello di sopravvivere 72 ore aspettando l’arrivo dei soccorsi. La struttura del gioco è davvero particolare. Si potranno infatti salvare alcuni superstiti sparsi qua e la per tutta la mega struttura, oppure ci si potrà dedicare alla fotografia d’autore. A tal proposito esistono forum dedicati per le migliori istantanee. Un misto di sangue e umorismo degno di papà Romero. House of the dead Overkill, Wii. Dopo The

Per PS2 ancora da provare il pessimo Zombie Virus. Alla guida di un'ambulanza possiamo investire tutti i morti che ci pare e piace. L'importante è salvare i superstiti e portarli all'ospedale senza fare incidenti.

Zombie Burn uscito su PS3 è un divertente massacro stile Zombies Ate my Neighbors. Un vero e proprio remake, se non fosse che grazie alla potenza della console Sony i morti viventi sono migliaia sullo schermo! Ah, goduria sanguinaria. Apertissimo il contest di Dead Rising. Se vi sentite veri fotografi, potete sperimentare le scene più assurde. Indossare i costumi più stupidi e macellare gli zombie vestiti da donna!

House of The Dead 2&3 Return ecco pronto un nuovo capolavoro SEGA. Overkill è il ritorno al classico. Pistola alla mano questo titolo è decisamente pulp. Carne cruda, budella e cadaveri a volontà. Spara e ricarica per abbatterne il più possibile. Un antistress senza compromessi. Dopo una dura giornata di lavoro, lasciate il vostro Mii a casa e spappolate un paio di teste in allegria. Amen. Resident Evil 5, PS3. Il suo vero nome è Biohazard ed è l’ottavo capitolo della serie. Capcom ha da sempre amato il genere “cadaveri che camminano” (ricordate di sicuro Ghost’n’Goblins) e questa volta supera se stessa. In un’Africa totalmente infestata, Chris e Sheva dovranno cavarsela nel mezzo di un’epidemia terrificante. Il titolo ha suscitato numerose polemiche per la presenza di Zombie neri da massacrare. Alcuni hanno parlato di razzismo, dimenticando però tutti gli Zombie bianchi morti, quelli messicani e quelli giapponesi del passato. Si potrebbero offendere se non fossero già morti! In Giappone, il titolo per Playstation ha venduto 300.000 copie il primo giorno, indice di attesa mostruosa da parte dei fans della serie. Imperdibile.

Zombie Mansion è il titolo di genere per iPod e iPhone. Il telefono del momento non può rinunciare alla moda del momento. Però il gioco fa schifo.

Touch the Dead è il titolo in uscita su Nintendo DS. Finalmente un po' di violenza e sangue sulla console più amata dalle famiglie italiane! Locandine anni '80 per dare al tutto il tipico look horrorpulp. Il cinema e i videogames si scambiano le parti e si mescolano facendo nascere un nuovo genere di remake. Avete visto Zombie Strippers? Ecco.

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