PIG Mag 73

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Mensile. Numero 73, Giugno 2009




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S E AW E A R



Backstage servizio “Aymeline” foto di Matteo Convenevole

PIG magazine 73, Giugno 2009 Direttore Editoriale: Daniel Beckerman Direttore Responsabile e Creativo: Simon Beckerman Senior Editor: Sean Beolchini Managing Editor: Valentina Barzaghi (valentinab@pigmag.com) Production Manager & Pr: Stefania Mapelli (stefania@pigmag.com) Fashion: Sean Beolchini (moda@pigmag.com) Ilaria Norsa (moda@pigmag.com) Music: Giacomo De Poli (musica@pigmag.com) Cinema: Valentina Barzaghi (cinema@pigmag.com) Art & Media: Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com) Design: Maria Cristina Bastante (design@pigmag.com) Books: Marco Velardi (libri@pigmag.com) Videogames: Janusz Daga (jan@pigmag.com) Redazione Grafica: Stefania Di Bello (teffy@pigmag.com) Info: mail@pigmag.com

Leder (foto), Allison Miller (stylist), Mari Hattori (makeup), Takeo Suzuki (hair), Dana (model), Sylvia (model) e Aymeline (model).

Contributors Gaetano Scippa (musica), Marco Lombardo (musica), Piotr Niepsuj, Fabiana Fierotti (moda), Andrew Laumann (foto), Sacha Maric (foto), Yara De Nicola (foto), Retts Wood (foto), Andrea Spotorno (foto), Sacha Maric (foto), Jonathan

Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A. Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy). Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46

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Special Thanks Caterina Napolitani, Piera Mammini, Caterina Panarello, Marco Amato e Matteo Convenevole. Marketing Director & Pubblicità: Daniel Beckerman adv@pigmagazine.it Pubblicità per la Spagna: SDI Barcelona Advertising & Graphic Design Tel +34 933 635 795 - Fax +34 935 542 100 Mov.+34 647 114 842 massi@sdibarcelona.com Gestione & Risorse Umane: Barbara Simonetti Edizioni B-arts S.r.l. www.b-arts.com Direzione, Redazione e Amministrazione: Via S. Giovanni sul Muro 12 - 20121 Milano. Tel: +39 02.86.99.69.71 - Fax: 02.86.99.32.26 Presidente: Daniel Beckerman Pig Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001

Distribuzione per l’Italia: SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI).

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Sommario Interviste:

84: Martin De Thurah

78: Andrew Weatherall

68: Doves

62: Our Legacy

58: Risto Bimbiloski

106: Aymeline Foto di copertina di Sean Michael Beolchini.

Interviste:

Moda:

Street Files:

72: Beach House

90: Dana & Sylvia

48: London

Servizio di Jonathan Leder

Foto di Yara De Nicola

Regulars 10: Bands Around 14: Fart 16: Shop 18: Libro: Andy Beach 20: Design 22: Pig files 38: Moda: I like my whisky old and my women young 46: Flickr Buddy of the Month 122: Musica 128: Cinema 136: Libri 138: Whaleless 140: Webster 144: Videogames

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Bands Around

Foto di Meschina

Pilooski Fila, Corso Como - Milano Nome? Pilooski Età? 35 (tra pochissimo) Da dove vieni? Parigi Cos’hai nelle tasche? Soldi Qual è il tuo vizio segreto? La sauna e i gamberetti Chi è l’artista/band più sorprendente di oggi? Siriusmo, Mr. Oizo, Smith N Hack, DJ Koze e Joakim (a volte) Di chi sei la reincarnazione? Mi piace pensare che io sia unico, ma ovviamente non lo sono. Che poster avevi nella tua camera quando eri piccolo? C’era una volta il West Ennio Morricone , e la copertina del disco Pass The Dutchie Ci dici il nome di un artista o una canzone italiana? Qualsiasi cosa di Ennio Morricone, Bruno Nicolai e Bruno Spoerri.

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Bands Around

Foto di Meschina

Richard Norris Fila, Corso Como - Milano Nome? Richard Norris Età? Abbastanza grande per fare tardi Da dove vieni? Londra Cos’hai nelle tasche? Fisherman’s Friend, degli euro, sterline e corone Svedesi. Qual è il tuo vizio segreto? La magia Chi è l’artista/band più sorprendente di oggi? The Phantom Band Di chi sei la reincarnazione? Di me stesso. Che poster avevi nella tua camera quando eri piccolo? Blondie Ci dici il nome di un artista o una canzone italiana? I Goblin. Spaccano.

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www.bluedistribution.com


Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte

Di Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com)

Brush By, Leonardo Betti, Biennale Arte (www.labiennale.org/it/arte), Giardini, Arsenale e in vari luoghi di Venezia, dal 7 giugno al 22 novembre 2009

Il doppio è un concetto che affonda le radici nel profondo del nostro io. Forse perché spesso le esperienze vanno fatte due volte per essere verificate. Il primo uomo col fuoco si è scottato due volte prima di capire. Forse perché tutti abbiamo a che fare con l’altra nostra parte, quella nascosta. Che sia il femminile/maschile nascosto, il doppelganger o il lato oscuro della forza. Ogni cosa è il suo opposto. E con le dita due è la vittoria. Benvenuti alla biennale del doppio. 14 PIG MAGAZINE



Shop

Intervista a Bruno e Salvatore di Fabiana Fierotti. Foto di Piotr Niepsuj.

Visioni Pop Vagando per le stradine di corso Buenos Aires, un giorno mi sono imbattuta in questa specie di Mecca per i cultori del Vinile. Ho subito pensato che sarebbe stato perfetto per il nostro shop, così ho preso il loro volantino e ho chiamato. Pensate che quando ho detto di essere di PIG e di voler fare un’intervista mi hanno risposto: “Ma, forse hai sbagliato numero…”. Questo perché purtroppo Visioni Pop, dopo due anni di sopravvivenza rischia di chiudere. Quindi correte lì, potrete trovare dischi di ogni genere, rarissimi, a costi veramente bassi (tutti al 50%). Non permettiamo che una perla come questa sparisca! Ciao ragazzi, come vi chiamate? Da dove venite? S: Io mi chiamo Salvatore, sono originario di Torre Annunziata, in provincia di Napoli, e vivo qui a Milano da circa 10 anni. Mi sono trasferito per lavoro e qui ho conosciuto il mio socio, nonché amico, Bruno. La musica ci ha fatti unire a ci ha spinto ad aprire questo piccolo negozietto assolutamente in controtendenza. B: Io mi chiamo Bruno, vengo da Avellino, e sono venuto anche io a Milano in cerca di lavo-

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ro. Io e Salvatore ci siamo conosciuti in un pub, davanti a una birra… S: Si diciamo che la Guinness ha fatto da collante. È stata importante… B: Si… poi è entrata in gioco la musica, andare in giro a comprare cd e vinili… finchè non ci siamo imbattuti in questo negozio. Il proprietario voleva venderlo… Sempre lo stesso tipo di negozio? B: Si lo stesso genere, ma senza vinili… e ci stiamo provando! Ma dove li pescate tutti questi vinili?

B&S: Quasi tutti da privati che se ne liberano per i motivi più svariati: o perché non sono più interessati o si sono convertiti al cd o per……… decessi! Gli eredi decidono di disfarsene… Meglio il vinile o il cd? B: Il vinile è più bello per mille cose: la copertina, il suono sporco… S: Diciamo che sono due stili di ascolto e anche di vita differenti. Il vinile comporta tante cure, devi dedicargli del tempo, pulirlo, girarlo… il cd invece è più figlio dei nostri tempi, una cosa più frenetica, lo ascolti in macchina, magari lo dimentichi… tende a far perdere di vista l’aspetto culturale. Una curiosità… come li pulite voi i vinili? Me lo chiedo da sempre e necessito di una dritta perché i miei dischi sono pieni di polvere e non so più come fare! B: Dipende dal grado di maniacalità! Esistono anche delle macchine per pulirli… S: Ma noi siamo più “artigianali”… diciamo che bisogna usare una spazzolina per togliere la polvere e nei casi più estremi acqua distillata con una piccola percentuale di alcol, da passare con un panno. Invece parliamo un po’ dei generi musicali: vi concentrate più su uno in particolare o spaziate… S: No, no , non abbiamo posto alcun limite all’acquisto e alla vendita di prodotti. Ognuno ha i propri gusti, del resto! B: Poi i risultati di questi due anni ci hanno dato ragione… abbiamo visto che si può vendere di tutto, dai dischi di Albano a quelli di oscuri cantanti che hanno stampato tre copie e c’è gente che li cerca in maniera forsennata. Mentre voi che musica ascoltate? S: Io ascolto fondamentalmente rock, però non mi fermo più o meno di fronte a niente. La classica però è la escluderei… B: Sicuramente la musica che amo di più è il prog italiano anni ’70. Il metal quella che non riesco proprio ad ascoltare… E non sei il solo! Ma, parlando un po’ della crisi dell’industria musicale e del vinile, perché secondo voi la gente non ha questo culto del passato? S: Secondo me il problema è che in passato sono stati fatti un po’ di errori… sarebbe troppo facile dire il costo del cd, che è sicuramente uno degli aspetti importanti… 20/22€ per un cd è davvero un costo assurdo. La musica dovrebbe essere sicuramente disponibile per la maggioranza delle persone, mentre oggi è concepita solo come un sottofondo che ti accompagna, ma non in maniera fondamentale. Prima, e parlo per esperienza personale, appena avevi un po’ di soldi andavi a spenderli tutti in dischi! B: Pensa che io ho lavorato per un anno intero in discoteca con il solo scopo di andare a comprare i dischi il lunedì… Via Gaffurio, 5 Milano visionipop@libero.it 0266985912


The Fre Bo estyle

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Books

Intervista e foto di Marco Velardi

Andy Beach Andy era a Milano a fare da negoziante all’ Everyday Life Objects Shop per otto giorni durante il Salone del Mobile dello scorso Aprile. È un ruolo che, affianco al suo seguitissimo blog Reference Library, si sta ritagliando da meno di un anno e che gli sta permettendo di commissionare fanzine, edizioni e tant’altro ad artisti da tutto il mondo. Lo abbiamo incontrato prima che ripartisse per la prossima avventura.

Com’è nata l’idea di iniziare Reference Library? Ho cominciato con il blog circa due anni fa con l’idea di organizzare immagini e idee per forse aprire un negozio, un giorno. La maggior parte dei miei post sul blog sono classificati come gli oggetti che non ho mai vinto (su eBay). È una collezione di oggetti e cose che mi piacciono. Ultimamente, questa mia passione si è trasformata in una vera e propria attività dandomi la possibilità di diventare un curatore o editore indipendente e crescendo in maniera molto organica dal blog alla realtà. Da quando hai iniziato a produrre fanzine? Per il progetto Mini-Exhibition #8, il mio temporary shop da KIOSK a New York, ho commissionato alcuni nuovi prodotti, tra cui stampe in edizione limitata di Damien Correll, Kindra Murphy e Nicholas Santore. È stato un processo emozionante quello di lavorare con artisti nel produrre edizioni e oggetti. Recentement, per il negozio Everyday Life Objects Shop a Milano durante il Salone del Mobile, ho commissionato due nuovi prodotti, le mie prime due fanzine di Andy Rementer e di Jessica Williams. Come scegli gli artisti con cui collaborare? Mi piace lavorare con artisti di cui conosco il lavoro e con cui mi trovo a mio agio. Credo che si debba creare sempre un rapporto di intesa e preferisco fare in modo che ci sia pochissima interferenza da parte mia e che gli artisti si esprimano liberamente. Per fortuna ho molti amici talentuosi e finora è stato un processo facile da gestire. Di cos’altro ti occupi oltre a Reference Library? Vivo a Philadelphia e ho famiglia li. Al momento sto pensando alle prossime collaborazioni, altre fanzine, delle stampe e forse anche una borsa. Quest’estate gestirò un nuovo temporary store a Los Angeles presso il negozio South Willard. Se ti chiedo di darmi una definizione di editoria indipendente? Editoria indipendente è un termine che racchiude tanti elementi, da un piccolo editore come J&L Books fino al pubblicare informazioni su un blog o fotocopiare e distribuire una fanzine. Per quanto mi riguarda, con il blog e

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le commissioni che produco, è difficile considerarmi ancora un publisher ma alla fine è proprio ciò che faccio. Del futuro dell’editoria cosa ne pensi? Non mancano di sicuro persone che continueranno a pubblicare, leggere o spendere soldi nell’editoria. Quello che diventerà più difficile

da trovare saranno le cose di qualità e le nuove idee. Un libro che consiglieresti? The Big Orange Splot di Daniel Manus Pinkwater, un libro per bambini pubblicato nel 1977. referencelibrary.blogspot.com



Simple Sylvain

Di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com)

Dicono di lui che è tra i più promettenti giovani designer belgi. Ed è vero, perchè immagina e crea oggetti semplici, utili, ma assolutamente speciali. Sylvain Willenz ama le forme chiare e quel design che sa essere essenziale senza essere minimal. Quest’anno ha esposto in due location al Salone del Mobile. A noi racconta come è andata, come ha deciso di diventare un designer e tante altre cose… Ciao Sylvain. Raccontaci di te, in poche parole. Alto (questo non cambierà mai), veloce (durante la settimana), spontaneo (ma qualche volta no), cartoonish (questo ha a che fare con il mio amore per i cartoni animati). Che cos’è il design? Non sono un teorico. Ho le mie convinzioni personali sul design e sugli oggetti. Ma non mi interessa puntualizzare e definire le cose con troppa precisione. Allora passiamo alle questioni pratiche: il design deve essere utile? Certamente. Penso che un oggetto debba essere innovativo, interessante nei termini di

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concept e di idee, perfino sperimentale. Ma più di tutto, alla fin fine deve avere un senso ed essere utilizzabile. Altrimenti è solo un aggeggio. Quando hai deciso che saresti diventato un designer? Sono sempre stato creativo. Quando ero un bambino non ho mai avuto nè tv, nè videogames. Non mi sono mai piaciuti e non li ho mai desiderati. Così da piccolo mi costruivo le cose da solo. Credo di aver sempre desiderato di “fare” le cose. Quando avevo diciassette anni ho scoperto che cosa facevano i designer e ho deciso che era quello che volevo diventare.

Ti ricordi qual è stata la tua prima “creazione”? Non lo so. Dovrei pensarci un po’ troppo e questo vuol dire che non sono davvero interessato a trovare una risposta. Preferisco parlare di oggi… Guardiamoci un po’ intorno. Chi sono i sono i tuoi designer o artisti preferiti? Ce ne sono moltissimi davvero… Gli Eames, Catiglioni, Grcic. Sugli artisti, mmm, non sono sicuro. E’ che non sono molto bravo a capire l’arte. Mi piace l’arte, ma da una prospettiva formale e materiale. Preferisco cose come il fotogiornalismo o cose con cui non ho affatto familiarità…


e probabilmente perché hanno un referente visivo nelle cose che già conosciamo. Ho letto sul tuo sito web che stai realizzando dei progetti con il vetro… Sono stato invitato dal CIRVA (è il Centro Internazionale per la Ricerca sul Vetro e sulle Arti Plastiche di Marsiglia) per una residenza. In realtà per ora ci sono stato poche volte e ho fatto solo qualche esperimento con le varie tecniche del vetro. E’ abbastanza difficile come progetto, perché c’è molto della bottega artigiana e io sto cercando di immaginarmi come fare qualcosa che sia un oggetto, ma che non sia un vaso. E ovviamente mi sono bloccato sui vasi, al momento. Sei stato a Milano per il Salone del Mobile. Hai visto qualcosa di interessante? Quest’anno sono stato pochissimo tempo a Milano, così non ho visto molto. Sono stato perlopiù nella galleria dove esponevo la serie Candy e da Established&Sons dove erano esposte le luci Landmarks. E le tue due mostre come sono andate? Alla grande. I mobili Candy sono andati bene, credo. Ma è un progetto di cui non

sono ancora completamente soddisfatto. Deve evolvere in qualcosa di nuovo che vada a sostituire questa prima serie. Qualcosa di più forte, spero. Le Landmarks light sono piaciute al pubblico. Sono molto contento di questa collezione. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Spero di fare qualche progetto industriale in più quest’anno, come gli hard disk per Freecom. E probabilmente presto inizierò a lavorare ad una nuova serie per Establish & Sons, per la collezione del 2010. Ci sono alter aziende a cui devo rispondere con alcune idee. Così da adesso a dicembre sarà un periodo creativo! Tra i progetti che hai già realizzato qual è quello che ami di più? Torch e Freecom Mobile Drive sono due progetti molto speciali per me. Rappresentano in un certo senso una conquista. Sono i miei prodotti più genuini! E se non avessi fatto il designer che cosa avresti fatto? Il cantante, in una blues band. www.sylvainwillenz.com

Landmarks series - fotomontaggio di studio

Che cosa ti ispira? Molte cose. Naturalmente mi piace vedere come sono fatti gli oggetti, come funzionano, come sono costruiti, quali materiali e quali processi industriali li hanno prodotti. Non c’è una precisa ispirazione. Direi che ha a che fare con il modo in cui osservi le cose e le interpreti. Guardando i tuoi oggetti mi sembra che tu preferisca soprattutto le forme semplici e chiare. Eppure – penso – il tuo non è minimalismo e credo che questo sia uno degli aspetti più interessanti nel tuo lavoro… …Sì, semplice e chiaro. Ma con una scossa sottile. Mi piace l’idea di guardare gli oggetti e di reinterpretarli in un modo nuovo, ma senza fare qualcosa di mai visto o di aggressivo. Il design e le forme che arrivano da chissà dove non mi interessano a meno che non stiano davvero cambiando le cose. Naturlamente niente di tutto ciò è minimalismo. Penso che non ci sia nome per questo. A me piace disegnare oggetti che siano nuovi che diano alle persone l’impressione di esserci sempre stati, perché sono semplici

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PIG files

Di Giovanni Cervi

Fino alla fine della mente Tra Philip K. Dick e Wim Wenders. La tedesca Neurotronics ci porta a un nuovo livello di relax device. Laxman Innertainment System è un innovativo, quasi fantascientifico, sistema di stimolazione mentale. Funziona come un lettore Mp3, ci sono già inserite musiche, ma se ne possono aggiungere facilmente, a cui sono stati aggiunti degli speciali occhiali che emettono impulsi luminosi. L’effetto è quello di vedere “con la mente” un caleidoscopio luminoso, mentre si ascolta musica o suoni naturali; le onde emesse, a seconda dell’intensità voluta, stimolano diversi gradi di relax. C’è chi starebbe lì per ore. Il futuro è arrivato. www.neurotronics.eu

Hour of Darkness

Tarantula Photo by Oliver Rath

I mostri i giapponesi li hanno proprio nel cuore. Non si spiega in altro modo il perché per festeggiare i 150 anni dall’apertura del porto di Yokohama, abbiano dovuto chiamare due ragni meccanici giganti. Le megalitiche creature sono opera dei francesi la Machine, specializzati nella costruzione e nell’animazione di spettacolari creature giganti. Arriverà anche questa volta Godzilla a difendere la terra del Sol Levante? event.yokohama150.org/en

Dopo aver invaso il mondo, tanto che non se ne può più, con milioni di pezzi di bambolotti da collezione in vinile, la new pop art generation sta esplorando nuove vie. Tra tutti c’è un artista tedesco, Stefan Strumbel, che ha avuto un’intuizione con una marcia in più. Recuperare i vecchi orologi e cucù e rivisitarli, rivestirli, con i classici temi dell’arte low brow. Tradizione e innovazione fuse nello scoccare della mezzanotte, con una rondine sanguinante o un cervo zombie che escono dalla loro tana per avvertirci del tempo che passa. Inesorabile. deine-heimat.blogspot.com

E luce fu Un incrocio tra una snowball e una città immaginaria dei fratelli Wachowski, ecco cosa mi sembrano queste lampade ideate dal John Pomp Studio. Il vetro e la luce sono all’origine delle cose se si pensa simbolicamente all’atto di soffiare dentro un globo infuocato di minerali cristallini. Nulla di più contemporaneo, mi vien da dire. Che sia questo passato che ci riserva il futuro, nel suo eterno ciclo di ritorni? Essere soffiati o soffiare. www.johnpomp.com

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Cactus da accarezzare Non vi è mai capitato di sentirvi soli alla scrivania? Sì, c’è Facebook, Skype e altri social network o sistemi di interazione virtuale. Ma a volte non bastano, la solitudine si combatte anche con una presenza reale, seppur silenziosa. Forse da questo punto è partito il progetto Domsai di Matteo Cibic. Piccoli bonsai da compagnia, con caratteristiche e caratteri diversi. Ognuno ha un’anima differente dalle altre, in prezioso vetro. Nutriteli, accuditeli, accarezzateli. www.monotono.it

Palazzo del raccolto Si chiama Harvest ed è il progetto della prima fattoria della metropoli 2.0. quanto cambieranno le città nel futuro non possiamo immaginarlo, seppur abbiamo qualche fugace illuminazione, ma di sicuro ci saranno molte costruzioni che legheranno a doppio filo passato e futuro. Questo progetto di Romses Architect ne è prova e premonizione. Sembra un museo ma sono campi coltivati. Ne sorgeranno molti, sempre se sopravvivremo a macchie solari e profezie maya varie… www.romsesarchitects.com

Branco di Lupi Il design finlandese è spesso fatto di legno, natura e paganesimo. Teemu Järvi non è da meno. Quello che Teemu propone a Playful, fiera del design newyorkese, sono una serie di scatole modulari, solo in apparenza grezze. Il gusto finnish è deciso, ma le decorazioni vengono incontro anche a chi vive lontano dai laghi e dalla natura. Per lupi suburbani. www.jarvi-ruoho.com

Bici bamboo Non credete a chi vi spaccia biciclette elettriche come ecologiche. Cosa c’è di meno inquinante di un mezzo a pedali? Nulla? In realtà si sta diffondendo, soprattutto oltreoceano, la moda delle biciclette col telaio in bambù, quindi meno zinco, meno alluminio e più natura. La cosa particolare è che sono anche belle e si possono costruire da soli, in molti vendono kit fai da te o organizzano corsi. Le attendiamo presto anche qui. Si piegano ma non si spezzano.bamboobikestudio.com

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Feature on Designer: Komakino Intervista a Federico Capalbo e Jin Kim di Fabiana Fierotti. Foto di Yara De Nicola. Ciao! presentatevi. (età, città, origini...) Federico: Federico, italiano, 27 anni e Jin, Coreana. Ci siamo conosciuti a Firenze nel 2004, io ero lì a studiare Lettere, Jin lavorava in un Ufficio Stile; l'anno successivo abbiamo deciso di spostarci insieme a Londra. Quando avete deciso di intraprendere la strada del fashion design? F: Siamo fortemente influenzati da altre forme di espressione: cinema, musica, letteratura... Personalmente non ho mai programmato una carriera come fashion designer, il design é arrivato in maniera naturale come espressione nella quale far convergere diverse e svariate influenze. Come e quando è nato il brand KOMAKINO? F: Da quando ci siamo incontrati avevamo l'idea di lavorare assieme. Una volta in Inghilterra Jin ha iniziato a lavorare come garment graphic designer per diverse Case ed io, in attesa di dare l'avvio al nostro progetto, ho studiato Menswear alla Central Saint Martins. Abbiamo iniziato da subito a cucire i primi pezzi per noi ed i nostri amici, nel Settembre 2007 abbiamo presentato la nostra prima collezione. Il nome del brand ha forti echi musicali, giusto? F: Si, è ispirato al pezzo dei Joy Division. Quante persone lavorano con voi?A ridosso della fashion week ci avvaliamo dell'aiuto di un assistente e di un paio di

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macchinisti; siamo forse un po' ossessivi con il nostro lavoro, produciamo a Londra in maniera da riuscire a seguire tutto anche in fase di produzione. Cercate di spiegare il concept centrale della vostra collezione ss09. Si basa su un concetto di liberazione ed allo stesso tempo di perdita e disillusione; personale quanto, più in generale, universale e di conseguenza anche politica (ovviamente vista come espressione sociale, non come dichiarazione di parte). Abbiamo così cercato di tradurre questo concetto in simboli e simbolismi, come spesso facciamo nelle nostre collezioni, ma questa volta anche in una maniera più palesemente grafica. La SS09 è un soldato, un qualsiasi soldato, che perde una guerra, una qualsiasi guerra: what ends when the symbols shatter? Come mai il menswear? E' semplicemente sempre stato più vicino allo stile di design di entrambi. Raccontateci della vostra esperienza al Vauxhall Fashion Scout. Quando ci hanno chiamati da Blow per proporci uno show durante la scorsa Fashion Week eravamo praticamente pronti per fotografare il Look book. Nel giro di dieci giorni abbiamo dovuto reimpostare alcuni outfits e pensare la collezione per la passerella. Ancora più rapidamente i team di Blow e del VFS sono riusciti ad organizzare uno show per

tre designers. Come brand siamo totalmente indipendenti, perciò siamo rimasti contenti non soltanto del risultato ma anche del fatto di avere il supporto di un gruppo così professionale ed organizzato. Pensate che Londra vi offra tutte le opportunità che desiderate per la vostra carriera o vi piacerebbe trasferirvi da qualche altra parte? Vorremmo evitare di ricalcare luoghi comuni e spenderci nell'elogio di una Londra unica, ricca, avanguardista... sono soltanto alcuni degli aspetti di una città - e di un ambiente - ovviamente piena di contraddizioni. E' tutto l'insieme della città ad affascinarci e farci sentire a nostro agio. D'altro canto, da un punto di vista professionale, sarebbe stato forse più difficoltoso avviare il nostro progetto in un'altra capitale: Londra offre molto anche in termini di visibilità (siamo stati i primi a rimanere sorpresi quando, dopo una sola collezione, siamo stati invitati ad esporre in Giappone) e sicuramente sarebbe sciocco da parte nostra tentare di spostarci altrove in questo momento. Progetti futuri per voi e il marchio? Al momento stiamo disegnando alcuni gioielli che ci piacerebbe includere nella prossima collezione SS10. www.komakinodesign.com


Š 2009 adidas AG. adidas, the Trefoil, and the 3-Stripes mark are registered trademarks of the adidas Group.

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Blog of the Month: Cachemire & Soie Intervista ad Anne-Solange di Fabiana Fierotti

Ciao! Come ti chiami? Quanti anni hai? Ciao, mi chiamo Anne-Solange, ho 30 anni, vivo a Parigi e sono una sognatrice professionista. Lavori? Sono una scrittrice. Scrivo racconti. Ma ovviamente anche molte altre cose per gli altri. A volte lavoro come fotografa, per siti come Modepass, Ykone… e qualche volta per gente a cui piacciono le mie foto. Ma la fotografia è molto più un hobby per me, che un lavoro normale. Descriviti in tre parole. Ricercatrice di fortuna. Pazza per la cucina. Decisamente innamorata. Quando hai inaugurato il tuo blog? Circa tre anni fa perché avevo bisogno di un posto dove raccogliere le piccole cose della mia vita quotidiana: foto, pensieri, situazioni divertenti, oggetti…Raccontaci della tua attività di blogger. Ti occupa molto tempo? Si e no. Si, perché se conto ogni ora spesa

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sul mio blog è davvero un sacco di tempo! Ma no, perché senza il blog, farei esattamente lo stesso: osservare, far foto, scrivere note, collezionare begli oggetti. Il mio blog serve solo a “mostrare” qualcosa che faccio sempre. Esci sempre con una macchina fotografica in borsa? Ahahah, si! Prende un sacco di spazio nella borsa e dè piuttosto pesante, ma si. Non esco ma senza. Che tipo di macchina usi? Come molta gente, sto usando una ESO 400D – reflex Canon. La lente è una 50mm 1:1.8. Ma, proprio per la pesantezza della borsa di cui ti parlavo prima, voglio comprare una compact camera, magari la meravigliosa (e non troppo costosa) Panasonic lumix lx3. Qual è il tuo bar preferito a Parigi? Amo “La Grappe D’Orgueuil”, un tipico wine bar francese. Comunque tutta la Rue des Petit Carreaux è un posto

meraviglioso dove passar le serate (La Grappe d'Orgueil - 5, Rue des Petits-Carreaux - 75002 Paris). Il tuo negozio preferito? Wow! Posso averne SOLTANTO uno? Bene, non è proprio il mio preferito (amo scoprire posti, non ho davvero un solo negozio preferito), ma se venite in Francia dovete per forza fare un salto da MERCI, un nuovo charity shop creato dai fondatori di Bonpiont, il luxury brand per bambini. Molto bello e interessante (Merci – 111, Boulevard Beaumarchais - 75003 Paris). Il posto dove ami andare da sola? Decisamente il museo Rodin. Il giardino è meraviglioso e si può prendere il thè, quando il tempo è sereno. Il posto più romantico di Parigi. (Musée Rodin - 79, rue de Varenne - 75007 Paris) ww.cachemireetsoie.fr


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Pulp Art Book Spaghetti Western a gogo, 2001: Odissea nello Spazio, gialli americani tascabili, Kill Bill, Indiani d’America, Jackie Kennedy, 70’s. Questo tutto quello che potrete trovare all’interno di PULP ART BOOK, creato dal video maker Neil Krug, in collaborazione con la top model, nonché fidanzata, Joni Harbeck. Davvero qualcosa di diverso. Il libro uscirà nei prossimi mesi, probabilmente alla fine dell’estate. Intervista a Neil Krug e Joni Harbeck di Fabiana Fierotti.

Descrivetevi: città, età, lavoro… Joni: Sono un’archeologa, modella, proprietaria terriera, barista, designer di gioielli, viaggiatrice, lettrice avida, pianista, caffeina dipendente. Neil: Sono un promo director capellone che va avanti a forza di caffè. Mi fa schifo tirare fuori i piatti sporchi dal lavandino. Dove siete in questo momento? Joni & Neil: Per ora ci troviamo a Lawrence, Kansas e stiamo per tornare a NYC. Cosa farete nelle prossime ore? Joni: Prenderemo il nostro progetto Pulp Art Book, viaggeremo per fare qualche altra foto per il libro, mi metterò sotto con la mia linea di gioielli Plume by Joni, berrò del caffè e guiderò la mia motocicletta… Neil: Finirò Pulp Art Book e il mio film Invisibile Pyramid e un sacco di promo su cui ho lavorato giorno e notte dell’ultimo mese. Dove e come vi siete conosciuti? Joni & Neil: Tramite un’amica in comune, Cherie, viaggiando lo scorso ottobre. Qual è stata la prima cosa che avete pensato dell’altro? Joni: Quando ho incontrato Neil per la prima volta lui stava guidando come un matto un SUV sul marciapiede dell’aeroporto, perché stava per perdere l’aereo… Mi ha colpita subito quando fosse bello e commentai quanto volessi tagliare i capelli corti come i suoi . Neil: Conoscevo Joni per fama da anni, nella mia cerchia di amici era la perfezione del genere femminile. Anni fa lei lavorò da un fioraio molto

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famoso a Lawrence. Ci passavo davanti tutti i giorni per cercare di incrociare il suo sguardo o cercare un pretesto per attaccare bottone. Ogni uomo ha provato almeno una volta nella vita l’ansia di avvicinarsi a una bella donna ed è qualcosa che si impara col tempo, ma in quei giorni fu devastante per me. Uscire con lei divenne impossibile quando cominciò a viaggiare per il suo lavoro di modella. Dopo poco la sua partenza la sua leggenda diventò imperscrutabile e questo fu un duro colpo per me. Ma allora state insieme! Joni: All’inizio eravamo soltanto amici, finchè non sono cascata nelle sue frasi romantiche e i suoi gesti (ahahah). Neil: I sogni diventano realtà. Quando avete iniziato a parlare del vostro progetto fotografico? Joni & Neil: E’ successo tutto per caso. Eravamo in camera da letto, una notte, e stavamo scattando delle foto con la Polaroid di Neil e il copricapo indiano che avevo creato; ci è piaciuto così tanto il risultato che abbiamo pensato di fare un semplice libro auto-prodotto. Solo quando abbiamo pubblicato qualche immagine su internet abbiamo visto che il progetto stava prendendo il volo e che bisognava pensarlo in scala più grande. Come mai il nome PULP? Joni & Neil: Abbiamo notato che il tipo di foto che eravamo inclini a scattare ricordavano molto le copertine dei libri tascabili o le vecchie copertine degli LP, quindi il nome PULP è venuto fuori

naturalmente dopo poco tempo. Di cosa si tratta essenzialmente? Jony & Neil: Catturare il mood e l’estetica di quel periodo, mettendoci del nostro. Come immaginate il libro tipograficamente? Jony & Neil: Dovrebbe essere un “coffee table art book” diviso in varie vignette che raccontano ognuna una storia diversa, che approfondisca un genere che ci piace. Ci rendiamo conto che non tutti potranno identificarsi in ogni singola storia, ma speriamo che riescano a coglierne almeno una. Neil, che tipo di pellicola e di macchina hai usato? Neil: Ho scattato prima con una Polaroid SX-70 e una polaroid automatica 100 land degli anni ’60, con una pellicola polaroid 600 & 669 scaduta. La scelta di usare queste macchine e pellicole per il progetto è stata semplice perché il mood e la resa delle foto appare esattamente come sarebbe se Joni avesse posato per un editoriale psichedelico 40 anni fa. Joni, come sei entrata nei vari personaggi? Joni: Ogni personaggio era qualcuno che ho sempre voluto interpretare, un’idea che volevo mettere su pellicola da anni. Come modella, ti chiedono costantemente di rispondere a ciò che il cliente o il fotografo stanno cercando. Con questo progetto ho potuto realizzare ciò che io stavo cercando. La libertà artistica che ci abbiamo messo. È ciò che rende questo progetto con Neil così divertente. Giochiamo e lavoriamo insieme, impersoniamo tutti questi tipi e scene


nate tra di noi. Quando presenterete il libro? Joni & Neil: Crediamo che sarà pronto per Agosto. Non abbiamo ancora la data definitiva. Raccontateci un po’ del vostro passato. Il più grande progetto finora realizzato? Joni: Ho fatto la modella negli ultimi 10 anni e sono stata così fortunata a viaggiare e lavorare con delle persone stupende. Sinceramente, PULP è il progetto migliore e più esaltante a cui abbia mai lavorato. Neil: Da quando ho memoria, i film sono sempre stati qualcosa verso cui gravitavo. Il mio primo promo è stato un video musicale dei Boards of Canada, girato in super 8 un paio di anni fa, che al momento rimane uno dei miei lavori preferiti. Quel video lanciò la mia collaborazione con la Range Life Records, che promuove artisti come Dri e più recentemente, White Flight. Qualche mese fa ho girato un video musicale per il singolo Tomorrow di Ladytron e adesso sto lavorando sui video di White Flight e Ratatat. Invisibile Pyramid e PULP sono stati i più impegnativi, ma PULP di sicuro il più divertente. Neil, come procedi nella creazione di un video e da dove trai ispirazione? Neil: Per i video musicali l’ispirazione viene semplicemente dal brano. Mi siedo, lo ascolto e immagino come potrebbe esistere in forma visiva e lascio che il mio istinto faccia tutto il resto. Joni, tutti conoscono la tua fama di modella. Come hai pensato di intraprendere questa carriera? Joni: Quando ero una ragazzina mi si presentavano sempre occasioni di lavoro nel mondo della moda, ma non le ho mai prese seriamente finchè non sono cresciuta. La possibilità di viaggiare e guadagnare dei soldi miei sono state le principali attrattuve. Tendo a essere perfezionista e mi aspetto molto da me stessa, quindi non sono mai arrivata a dire: “Ok, ce l’ho fatta”. Mia madre mi ha sempre detto di essere la peggior critica di me stessa, cosa verissima, e che mi piace di più spingermi e provare a ottenere di più anche quando sto avendo successo. Che programmi avete per le vacanze estive? Joni & Neil: Quest’estate speriamo di poter andare in Nuova Zelanda a trovare un amico, Justin dei White Flight, e girare altri video per lui; andare dalla sorella di Neil che sta studiando in Francia; finire e organizzare mostre per PULP e trasferirci a New York. Amiamo essere tremendamente impegnati, quindi ogni nuovo progetto è sempre il benvenuto! Ne avete alcuni in mente per i prossimi mesi? Joni & Neil: Si, oltre a PULP, vogliamo girare un paio di video: uno si chiama Orange Marmalade e speriamo di farlo in Egitto. Un segreto mai svelato? Joni: La prima persona che abbia mai baciato era una ragazza. Neil: La mia famiglia voleva che mi facessi prete. Il vostro motto? Joni: We are all going to die in the end anyway so just go for it. Neil: Non ne ho ancora trovato uno. www.pulpartbook.com

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Will Sweeney Intervista di Panic Room. Foto di Tara Darby.

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ALAKAZAM è la seconda formula magica più conosciuta nel mondo, come mai non ABRACADABRA? Non c’è in realtà un motivo ben preciso..sicuramente mi è rimasto impresso uno sketch in cui un personaggio di un fumetto pronunciava la parola Alakazam, e poi il suono che ha, non trovi? Quando ti sei scoperto illustratore? Prima di tutto mio papà è un artista nonchè illustratore e diciamo che da lì è partita la mia passione... e poi da ragazzino quando frequentavo il college seguivo lezioni di scultura e pittura e ho sempre amato libri e fumetti. Ti ricordi il soggetto che aveva il tuo primo disegno? Tua mamma l’ha appeso al frigo? Ti sembrerà inquietante, ma il mio primo soggetto era un castello nel quale il diavolo inforcava la morte. Pensa che a scuola durante le lezioni disegnavo sempre e i professori chiedevano ai miei genitori se fossi un ragazzino normale! Dove acquisti di solito gli inchiostri? So che quelli giapponesi sono molto buoni. Qual è il tuo strumento preferito per disegnare? Gran parte del materiale in Giappone (matite, gomme, inchiostri..) e la carta a Londra. La cosa essenziale per creare è la matita ma sono un amante della Bic, potrei disegnarci un intero fumetto. Nei tuoi disegni compare sempre del cibo, qual è il tuo piatto preferito? La pasta con bottarga e zucchine di Armando e Cristian a Milano! Ma quando sono in Italia è impossibile decidere, troppo difficile! Che effetto ti fa portare i tuoi disegni ad una forma tridimensionale? Mi piace molto l’idea che i miei disegni diventino toys ma se ti devo dire la verità quando ero piccolo i giocattoli erano tutta un’altra cosa. Oltre ai B movies cosa ti appassiona e collezioni? Libri! So che ami i vinili? Di quali non potresti farne a meno? Di questi 3: The Cramps - Gravest Hits. Vivian Stanshall - Men Opening Umbrellas Ahead. The Soft Machine - 1st LP. Se fossi uno dei tuoi personaggi, chi ti piacerebbe essere e perché? È difficile risponderti perché ci sono io dentro ogni mio personaggio, ma se proprio devo scegliere vorrei essere qualcuno completamente diverso da loro e non chiedermi perché.. Con chi vorresti collaborare per il progetto Alakazam oltre ai grandi artisti con cui hai già lavorato (James Jarvis, Nicola Pecoraro, ecc..)? Gary Panter e poi… William Blake, Max Ernst, Giorgio De Chirico.. Cosa fa di Alakazam un brand così diverso dagli altri? Che non siamo mai in tempo con le collezioni e che siamo un collettivo di più artisti.. www.panicroom.it


Focus On: Chicks On Speed. Intervista Ad Alex Murray-Leslie e Melissa Logan di Fabiana Fierotti.

Foto di MustafaTunc

Ciao ragazze, come va? Fantasticamente! Siamo in tour in Scandinavia, suoneremo a Stoccolma stasera, e adesso stiamo aspettando fuori dall’aeroporto di Malmo. Melissa suona il sassofono e io lavoro a maglia seduta su una panchina… Dopo Stoccolma dove siete dirette? Il tour è quasi finito, quindi stiamo per tornare a casa. Melissa vive ad Amburgo e io a Barcellona; Kathi è a Berlino adesso perché sta per avere un bambino e Anat sta lavorando al suo progetto da solista a Londra… quindi per ora giriamo con Fau Fau, la batterista dei Koko Von Napoo. Quando avete deciso di creare una vostra collezione di vestiti? Abbiamo iniziato a creare abiti proprio quando abbiamo iniziato con il gruppo; è stata una sorta di necessità… In realtà compravamo i vestiti da H&M e poi li restituivamo il lunedì… dopo di che abbiamo cominciato a comprare la pelle e tagliarla nel backstage prima dello show per poi incollarcela addosso con il nastro telato. Qual è il concept dell’ultima collezione? Si tratta di una collaborazione con Insight Australia, un brand street e surf super cult in Australia. La collezione si chiama Insight on Chicks on Speed ed esplora le idee di appetitoso (yummy) e disgustoso (yucky) attraverso delle grafiche. Volevamo celebrare le surfiste creando una collezione solo per loro! Quindi la vostra esperienza è strettamente legata alla musica… Si, si tratta di interdipendenza: la moda ha bisogno della musica e viceversa, la loro connessione è sottovalutata. Le colab tra designer e musicisti fin’ora fanno schifo perché non lavorano insieme abbastanza! Se si mettessero a stretto contatto dall’inizio della collezione e sviluppassero insieme un concept e la musica per la sfilata, allora sarebbe davvero speciale! Cosa avete in mente per il futuro? Stiamo pianificando un grosso progetto con Crystal Ball in Giappone, combinando musica e moda, più una nuova collaborazione con Designers Against Aids. Stiamo curando gli eventi Girl Monster in tutto il mondo. www.chicksonspeed.com

Camper Ft. Loreak Mendian. Per la collezione ss09, Camper e Loreak Mendian hanno deciso di unire le loro culture per una capsule collection di scarpe che uniscono lo stile nautico a quello degli indiani d’America. La pelle è morbidissima e i modelli, oltre che i colori, super basic: scarponcini alti o bassi in bianco, grigio e nero. A Milano, potrete trovare la collezione nei negozi monomarca Camper. www.camper.com - www.loreakmendian.com F.F.

Vier Fuscse Vor Fuchsbau Filep Motwary è un designer, fotografo, giornalista, illustratore e infine, blogger. Ebbene si, riesce a gestire tutto questo popò di roba (beato lui). Maria Mastori è una designer di gioielli. Entrambi sono greci, Filep di Cipro, Maria di Atene. I due si sono conosciuti proprio qui, alla Couture House Loukia, dove Filep era assistente del designer e Maria era in lizza per diventare freelance designer di accessori. Insieme hanno costruito questa fantastica collaborazione. Per la collezione ss09 le parole chiave sono: balze, vita, pelle, Edie Sedgwick, giallo, fucsia e pop. Metterle insieme e sviluppare un unico concetto non è poi così difficile… si tratta dell’estate. unnouveauideal.typepad.com F.F.

Vans: Off the Wall Proprio in questi giorni esce il primo libro Vans, che racconta i 40 anni di vita del marchio californiano, tra street culture, musica e sport. Nelle sue pagine potrete conoscere la storia di rider (Tony Alva, Steve Caballero, John Cardiel, Shaun Palmer e Joel Tudor), musicisti (Descendents, KISS, AFI e Bad Brains ), artisti (Mister Cartoon, Neckface e Robert Williams) trend setter e mondi che hanno influenzato e collaborato con Vans nella creazione delle sue scarpe. www.vans.com/vansbook F.F.

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Permanent Vacation Intervista a Alexandra Blom e Amanda Rydenstam di Ilaria Norsa. Cos'è Permanent Vacation? E' il mondo di due amiche, Alexandra Blom e Amanda Rydenstam, un mondo fatto delle persone che conosciamo e di tutto ciò che ci circonda. Il risultato fisico e creativo di tutto ciò è in pratica il nostro brand di abbigliamento. Cosa fate? Facciamo tutto quello che vogliamo. Insieme disegniamo e creiamo tutto e ci occupiamo personalmente di ogni aspetto, dal design alla fotografia alla parte economica. Al di là delle collezioni e degli indumenti, Permanent Vacation rappresenta per noi l'amicizia, la famiglia e la nostra vita. Dove avete sede? Nel nostro gigantesco studio bianco sulla costa occidentale della Svezia. Quando avete iniziato? Non esiste un "prima" e un "dopo": lo abbiamo sempre fatto, in un modo

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o nell'altro. Ma l'inizio di una vera e propria attività commerciale va fatto risalire a circa due o tre anni fa. Perché lo fate? Ce lo chiediamo tutti i giorni, ma poi ci diciamo anche, perché no? Cos'altro potremmo fare? Quindi andiamo avanti così. Descrivete Permanent Vacation in tre parole: Permanent Vacation 4-ever Perchè avete scelto questo nome? Cosa significa? E' un nome fantastico perché descrive bene quello che siamo, quello che facciamo e in generale la nostra filosofia. Non tracciamo dei confini tra le diverse sfere della nostra vita e del nostro essere, la nostra ambizione è che il lavoro, gli amici e la nostra vita siano parte della stessa semplice ma importante unità. Dove trovate ispirazione? Non parlerei di una vera e propria consapevole ricerca di ispirazio-

ne. Facciamo quello che ci sentiamo di fare. Alla fine le nostre creazioni nascono sempre dalla nostra vita e dalla nostra amicizia. Descrivete la collezione per la Primavera-Estate 2009. E' un contributo alla vacanza in generale. Siamo sempre affascinate dal modo di vestirsi che si ha in vacanza: è easy, divertente e colorato. Sembra un buon punto d'inizio per un buon modo di vivere. La vostra Top 5 del momento: Amore, capelli lunghi, camicie bianche, denim azzurro chiaro. Progetti per il futuro: Un'estate infinita. Dove è venduta la vostra collezione? In negozi selezionati in giro per la Svezia, Danimarca, Lussemburgo, Francia e Canada. E poi c'è il nostro shop-online che spedisce in tutto il mondo per 5 euro. www.permanentvacation.se/shop


The Greatest Bareback Rider of All Time

Certo, niente male per essere il nome di una collezione di vestiti… la aw09 di Therese Rawsthorne, designer australiana, è proprio ispirata al mondo delle cavallerizze del passato, audaci e ribelli, ma estremamente femminili. Tutto si combina in arricciature, balze e frange, su polsi e orli. Bianco neve, blu ceramica, rosa pallido e viola polveroso contrastano con il nero. Gli abitini diventano espressione della femminilità tipica delle silhouette create dalla designer, in chiave vintage o geometrica. Il tutto crea un effetto potente, ma raffinato. www.thereseraestorne.com F.F.

We likey! ... questi deliziosi occhialoni by Sonia Rykiel! www.soniarykiel.com I.N.

Margaret Howell Ss09. Quella di Margareth Howell è stata la prima sfilata che ho visto alla settimana della moda di Londra, a Febbraio. È stato amore a prima vista. Non perché si trattasse di qualcosa di esagerato con uno stile particolare. Ciò che mi ha subito attirato è stato quello che definirei un femmineo rigore nelle linee e nei colori. A primo impatto, infatti, sembra di trovarsi davanti ad abiti disegnati con una logica maschile, ma con una particolare struttura che li rende perfetti per la donna e solo per lei. Niente nastri e merletti, insomma. Solo l’essenziale. www.margarethowell.com F.F.

So lovely Ecco il rimedio a tutte le laptop cover orrende che ho visto in giro ultimamente. Si tratta di Nido, brand sudamericano che ricicla stoffe vintage per la creazione di custodie www.nido-web.com.ar F.F.

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Ph. by David Sims

Visionaire Solar Issue

Se pensavate di aver già visto tutto, non avevate ancora visto il Visionaire Solar Issue, 56esimo numero della storica e sempre sorprendente pubblicazione americana realizzato in collaborazione con Calvin Klein. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nella storia della carta stampata. Senza esagerare. Volevate gli effetti speciali? Ce li hanno dati: per esso è stata utilizzata una tecnologia d’avanguardia che ha permesso di creare una serie di stampe “prodigiose” che da black&white si colorano magicamente quando esposte alla luce del sole - per la gioia di grandi e piccini! Tra i contributors e gli artisti che hanno preso parte all’ambizioso progetto citiamo Mario Sorrenti, M/M Paris, Yoko Ono, Peter Lindbergh, Ugo Rondinone, Inez Van Lamsweerde & Vinoodh Matadin, Ryan McGinley, Glen Luchford, David Sims e tanti altri. I preziosi volumi, ambitissimi come sempre perché in serie limitata di 3.000 esemplari, sono disponibili anche nei negozi Calvin Klein... Have fun! www.visionaireworld.com - www.calvinklein.comI.N.

Pitti ricco, mi ci ficco!

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Christopher Kane P/E 2009"

A Firenze dal 16 al 19 giugno è in scena "Pitti People", ricchissima 76esima edizione di Pitti Uomo. On schedule una serie di anteprime esclusive fra cui, la sera del 17, l'attesa presentazione del menswear p/e 2010 Undercover del giapponese Jun Takahashi. Inaugurate negli stessi giorni anche la mostra alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti “La Sardegna veste la moda”, il progetto di collaborazione tra Philippe Starck e Ballantyne alla Leopolda e la retrospettiva fotografica sui dieci anni di moda maschile firmata da Roberto Cavalli, in scena la sera del 16 giugno presso il Cavalli Club Firenze...Sono già stanca. Questa volta inoltre una serie di giovani blogger-fotografi itineranti trasformeranno la rassegna fieristica in un grande set fotografico da cui scaturiranno circa 3.000 immagini che troveranno posto in una gigantesca installazione. In pratica saremo fotografatissimi, quindi pettinatevi, lavatevi i denti, evitate le magliette grigie (le temperature sono sempre tropicali) e portatevi un paio di occhiali da sole per "le tipiche occhiaie dei post party" (sperando che ce ne siano)... Proprio quello che serviva al mondo, una nuova ondata di fotografi assatanati e blogger itineranti. Strike a pose! Sempre durante la manifestazione si terrà la prima edizione di “Who is on next?/Uomo”, concorso destinato alla ricerca dei talenti della moda maschile in collaborazione con Alta Roma e L’Uomo Vogue. Al vincitore sarà dedicato un evento nell’edizione del gennaio 2010. E negli stessi affollatissimi giorni inaugura anche il primo monomarca fiorentino A.N.G.E.L.O. Vintage Clothing in via dei Cimatori 25 che, oltre all'abbigliamento in vendita, ospiterà anche il progetto "Small Museum", area che prevederà una serie di allestimenti (sei nell'arco dell'anno) dedicati a designer e maison storiche, le cui creazioni verranno man mano pescate dall'enorme archivio di A.N.G.E.L.O. e presentate al pubblico. Il primo appuntamento sarà giustamente dedicato al marchese fiorentino Emilio Pucci (alcuni dei cui capi più preziosi sono in vendita proprio in questi giorni su www.yoox.com). www.angelo.it Per quanto riguarda Pitti W_Woman Precollection, la sezione dedicata al womenswear, un ruolo di rilievo spetterà al vintage con una sezione ad hoc, mentre Villa Vittoria ospiterà "Designer Collection" un concentrato di creatività e ricerca, habitat ideale per alcuni enfant terrible del made in Britain (Christopher Kane, Emma Cook, Les Chiffoniers, Markus Lupfer, Preen, Richard Nicoll e Giles). Dulcis in fundo E come special guesta volta sarà il duo newyorkese Proenza Schouler a sfilare in anteprima assoluta con le sue creazioni per la p/e 2010 il 18 giugno a villa La Petraia. www.pittimmagine.com 36 PIG MAGAZINE


Vacanze, sole e spiaggia Non è mai troppo facile trovare un costume da bagno che ci piaccia veramente. Questi del brand australiano Zimmermann, hanno soddisfatto tutte le mie esigenze. Design vintage, motivi floreali, silhouette perfetta. Se volete aggiudicarvene, uno potete comprarli sul sito www.net-a-porter.com o dare un’occhiata su www.zimmermannwear.com F.F.

Breaking news and shockings rumor ! I.N. Chanel si riconferma in questi giorni come vera potenza del lusso tra sfilate a Venezia (cruise 2010) e Mosca (collezione Paris-Moscou), due film per il grande schermo di cui vi avevamo già parlato (“Coco avant Chanel” di Ann Fontaine uscito qualche giorno fa nelle sale e “Coco Chanel e Igor Stravinsky” di Jan Kounen, presentato a Cannes) e dulcis in fundo, un libro scritto da Alfonso Signorini. Wow. Ahahahha. chanel.com Intanto quella simpaticona di Carla Bruni passa un brutto quarto d'ora: una serie di scatti piccantissimi e video compromettenti di lei e del suo precedente fiancé Raphael Enthoven sono infatti stati sottratti dalla casa del filosofo e rischierebbero di essere venduti e resi pubblici... Ahi Ahi Carlà... altro che castigatissimi tailleurini sotto al ginocchio... Un'altra First Lady se la passa invece molto meglio: si tratta dell'incorreggibile Posh che ha da poco siglato un accordo per la produzione della linea Victoria Beckham Sunglasses con Cutler and Gross. Il suo marchio sta dunque crescendo! Evviva! Prosegue anche il suo sodalizio con Armani, che la consacra protagonista della campagna pubblicitaria a/i 2009 dell’underwear Emporio Armani. Dopo più di dieci anni di attività a Londra, la designer svedese AnnSofie Back rientra a Stoccolma per ricoprire il ruolo di direttore creativo di Cheap Monday. cheapmonday.com Questo mese viene presentata la prima resort collection di Peter Copping per Nina Ricci che sarà in vendita da dicembre. Si chiude così, con l'esordio dell'ex braccio destro di Marc Jacobs, l'avventurosa saga che ultimamente aveva visto lo "sfortunato" Theyskens al centro di una serie di rocambolesche smentite e riconferme da parte della maison. La prima sfilata ufficiale firmata Copping sarà invece presentata a marzo a

Pegleg NYC & Opening Ceremony: Per la primavera-estate 2009 Pegleg NYC e Opening Ceremony hanno collaborato alla realizzazione di un'esclusiva capsule collection maschile. La collezione - che include canottiere, t-shirts, cardigan, pantaloncini e costumi dalle deliziose stampe floreali o caratterizzati dal tema ricorrente della bandiera americana - è in vendita esclusivamente negli Opening Ceremony stores di New York ed LA e on-line su www.openingceremony.us I.N.

Parigi. Si è risolto con una transazione sicuramente da leccarsi i baffi il contenzioso apertosi tra la maison Valentino e Alessandra Facchinetti in seguito al licenziamento poco galante della stilista lo scorso ottobre 2008. Diciamo che il qui pro quo è stato risolto a botte di milioni. Tutto è bene quel che finisce bene. A Milano nel palazzo Diesel di via Stendhal ha aperto il restaurant e lounge bar Circle. Parallelamente, il marchio sta rilanciando il progetto Diesel:U:Music per la ricerca di nuovi talenti della musica. L’iniziativa si arricchisce quest’anno di nuove piattaforme di supporto: dalla stazione radio online (24/24 dieselmusic.com), alla possibilità per due artisti di realizzare una tournée in dieci città del mondo, fino alla produzione di un videoclip e relativo merchandising. dieselmusic.com Sembra ci sia un po' di amarezza tra Marc Jacobs e Madonna a causa di uno spiacevole misunderstanding che ha lasciato Marc giustamente perplesso: Mrs. Ciccone avrebbe infatti chiesto al designer (e amico?) di scrivere una calorosa lettera di raccomandazione per il suo ventiduenne boy-toy brasiliano Jesuz Luz in modo da permettergli di restare negli Stati Uniti dando così un futuro allo loro grande storia d'amore. Madonna avrebbe prima smentito e poi riconfermato con imbarazzo la vicenda... ahahahha adoro! Inaugurato in questi giorni a Edimburgo il primo Hotel Missoni al mondo (il prossimo aprirà in a Kuwait City). Manca invece ancora un mese all'inaugurazione della mostra londinese "Workshop Missoni: Daring to be Different", che sarà ospitata dalla Estorick Collection Of Modern Italian Art fino al 20 settembre. missoni.it

Olanic Olanic è un nuovo brand inglese, creato da Niki Taylor, che si è fatta notare da Mackintosh, con cui ha collaborato per la stagione ss09, per la sua incredibile abilità tecnica che combina a uno spiccato senso artistico nella creazione di forme e tagli precisi e all’uso di materiali e tessuti dalle stampe uniche. Per la aw09, Niki si è avvalsa della partecipazione di Kim Coleman, visual artist che ha allestito una particolare presentazione al Vauxhall Fashion Scout di Londra, giocando con il riflesso degli specchi per risaltare la perfetta simmetria degli abiti. Potete acquistare le sue creazioni su www.ninaandlola. com o dare un’occhiata sul sito: www.olanic.co.uk F.F.

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I like my whisky old and my women young Ovvero il manuale del perfetto gentiluomo del XXI secolo - aka pratico vademecum ai must have della primavera-estate 2009 (e di tutti i tempi). Per ogni dandy che si rispetti (e tutti i Chuck Bass del pianeta). Di Ilaria Norsa 1

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1.Converse 2.Comme Des Garcons 3.Koss 4.APC 5.Vintage 6.Maison Martin Margiela 7.Ezekiel 8.Syd Barrett “The Madcap Laughs� 9.Daniele Alessandrini 10.Stussy Deluxe 11.Gibson 1973 12.Ralph Lauren 13.Supreme 14.Persol 15-16.APC 17.Stan Smith adidas

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18.Bob Dylan “Highway 61 revisited” 19.Givenchy 20.Bazaar by Five Four 21.Hugo Boss 22.Nike Jordan 23.Supreme 24.Obey 25.Converse 26.April77 27.Supreme 28.Unis 29.Fred Perry by Raf Simons 30.Hass 555 ELD 31.Folk 32.Hugo Boss 33.Brooks Brothers 34.Vintage Fila 35.Alife 39


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1.Dior Homme 2.J Crew 3.Costes Room Spray 4.Super 5.Borsalino 6.Oscar Wilde “The Portrait of Dorian Gray”- Fantastic Man 7.Dunhill 8.Supreme 9.Vintage Fendi 10.Vintage Burberry 11.Leica 12.YMC 13.Tom Ford 14.Comme Des Garcons 15.April77 16.Prada 17.Nike 18.Rolex 19.Vans 20.Albert Camus “L’etranger” 21.Kiehls 22.Opening Ceremony 23.Marni

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24-25.Hugo Boss 26 Bazaar by Five Four 27.Dior 28.Vintage 29.Moliere’s “Le Borgeois Gentilhomme” 30.Patek Philippe 31.Arne and Carlos 32.April77 33.Dunhill 34.Maison Martin Margiela 35.Chateau Yquem 1958 36.Hugo Boss 37.Vintage Levis 38.Moscot 39.Dior Homme 40.Energie 41.Lanvin 42.Smithson 43.Fred Perry by Raf Simons

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1.APC 2.Monocle Issue 3.Persol 4.APC 5.Brionvega 6.Pierre Hardy 7.Smithson 8.Be Positive 9.Ralph Lauren 10.Folk 11.Fred Perry by Raf Simons 12.Marni 13-14.Ralph Lauren 15.Common Projects 16.Apartamento 17-18.Modern Amusement 19.The Velvet “Underground & Nico” 20.NDC 21.Marni 42 PIG MAGAZINE


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22.Moscot 23.Hendrick’s 24.April77 25.Benjamin Bixby 26.Moleskine 27.APC 28.Henrik Vibskov 29.Dr Martens 30.Folk 31.Smithson 32. Raf Simons 33.Patek Philippe 34.ACNE 35.Fred Perry 36.Nick Cave & The Bad Seeds “The boatman’s call” 37.Fender Jaguar Claydot 1965 38.Burberry 39.Lee 40.Casely Hayford

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1.Burberry Prorsum 2.Lou Reed “Transformer 3.Ralph Lauren 4.Super 5.Lacoste 6.James Joyce “Ulysses” 7.Maison Martin Margiela 8.Very Vintage 9.Diesel Black Gold 10.Ralph Lauren 11.Maison Martin Margiela 12.Ralph Lauren 13.Volta 14.Ralph Lauren 15.Diesel 16.Ralph Lauren 17.Eastpak by Raf Simons 18.Ralph Lauren 19.Vans x Taka Hayashi 20. APC 21.Yves Saint Laurent

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22.Deborah Curtis “Touching from a distance” 23.Common Projects 24.Dior Homme 25.Moscot 26.Borsalino 27.Rolex 28.Smithson 29.Diptyque 30.Common Projects 31.Veronique Branquinho 32.Ricoh 33.Ralph Lauren 34.Casely Hayford 35.Giorgio Brato 36.Man About Town 37.Vintage Levis 38.Fred Perry by Raf Simons 39.Surface To Air 40.Television “Marquee Moon” 41.Marni

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Flickr buddy of the month: Robert S Johnson III www.flickr.com/photos/3-rsj A cura di Sean Michael Beolchini.

Come ormai avrete capito, ogni mese ci piace girovagare su flickr e dopo ore perse dietro foto di belle figliole, paesaggi mozzafiato e tanti maghi del photoshop si trovano anche delle piccole gemme di fotografia amatoriale, che non dovreste lasciarvi sfuggire!!! Da dove vieni? Sono nato a Colorado Springs nel Colorado, ma poi cresciuto nelle vicinanze del Texas Dove vivi? Attualmente vivo a Brooklyn, New York. Che lavoro fai? Lavoro come fotografo e assistente fotografo, occasionalmente installo anche piccole radio e antenne per cellulari. Ci campi con la fotografia? La fotografia paga solo una parte delle mie bollette, vorrei che mi pagasse di più, ma un giorno sarà così spero. Descrivi le foto che pubblichi su Flickr. Ho cercato di uploadare dei segmenti del mio lavoro, per riuscire ad usare flickr più che come un semplice spazio d’esibizione. Uploado sia le cose che mi sono state commissionate sia quelle che vanno a formare una sorta di diario personale, piuttosto che parti dei miei progetti personali. Sono davvero interessato alla psicologia, quella della camera, e alla personalità: queste sono gli aspetti con cui mi approccio alla fotografia. Perché hai deciso di far parte di una fotoblog community? Mi piace flickr perché l’hanno fatto i miei amici. Volevo mostrare i miei lavori , ma non avevo nessuno a cui farli vedere. Ho quindi pensato di scattare per un pubblico più vasto e a quel tempo, così come oggi, questo è prerogativa di flickr. Fai parte di qualche altra fotoblog community di questo tipo? Non sono membro di altre fotoblog communities, flickr appaga già ciò che il mio voyeurismo desidera. Qual è la miglior cosa che hai ottenuto attraverso il tuo spazio su Flickr? La cosa migliore che ho ottenuto da flickr è sicuramente finire su PIG. Chi è il tuo fotografo preferito? Non ho un fotografo preferito. Guardo costantemente immagini, da quelle che hanno fatto la storia della fotografia a quelle più contemporanee, ma non saprei dire quali sono le mie preferite. Questo è quello che mi interessa ora, quello lo sarà poi, mi piace questa immagine, un po’ di stile, ma non troppo poco. Che macchine fotografiche usi? Quella che uso di più per gli shoot sono una t4, una usa e getta o una kodak. Uso anche una 35mm slr Yashica e una Hasselblad medio formato. Usi Flickr anche a scopi sessuali? O per broccolare? Non ho mai consapevolmente approcciato qualcuno attraverso flickr. Lo usi mai a scopi di lucro? Non ho mai fatto soldi direttamente attraverso flickr.

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Nome? Emma Bailey Età? 20 Da dove vieni? Londra Cosa ti rende felice? Stare con le persone che conosco Di cosa sei più orgogliosa nella tua vita? Del trekking attorno lo Zambia Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? I designers freschi di diploma Cosa farai stanotte? Starò con il mio coinquilino

Street Files. London di Yara De Nicola

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Nome? Patrick Nagle Età? 23 Da dove vieni? Fargo, U.S.A. Cosa ti rende felice? Quando c'è il sole a Londra Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Della mia bicicletta Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? Nulla Cosa farai stanotte? Andrò in un ristorante in Stoke Newington

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Nome? Daniel Thawley Età? 20 Da dove vieni? Sydney, Australia Cosa ti rende felice? BBQ, alla domenica Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Della mia indipendenza Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? Katie Eary Cosa farai stanotte? Blogging

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Nome? Erin Lawrie Età? 21 Da dove vieni? West Yorkshire Cosa ti rende felice? Il mio coniglio Di cosa sei più orgogliosa nella tua vita? Di lavorare, un sacco. Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? Meadham Kirchhoff Cosa farai stanotte? Incontrerò amici

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Nome? Oh Yi Età? 23 Da dove vieni? Jamaica Cosa ti rende felice? La musica. I fiori. I Magazines. Di cosa sei più orgogliosa nella tua vita? La mia famiglia, i miei amici e me stessa. Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? Sfortunatamente non ero qui. Cosa farai stanotte? I compiti.

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Nome? Harry Jacobs Età? 22 Da dove vieni? Londra Cosa ti rende felice? Collezionare 78 giri vintage. Suonare il saxofono. Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? La mia musica al saxofono Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? Nulla Cosa farai stanotte? Il DJ

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Nome? Rory Mckee Età? 19 Da dove vieni? Belfast Cosa ti rende felice? Il sole Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Chiedimelo tra qualche anno Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? Non lo so Cosa farai stanotte? Indubbiamente qualcosa di stupendo

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Nome? Dolly Oladini Età? 18 Da dove vieni? Londra Cosa ti rende felice? Suonare il violino, recitare e cantare Di cosa sei più orgogliosa nella tua vita? Sto giusto cercando di capirlo Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? I parties Cosa farai stanotte? Starò tranquilla con il mio ragazzo.

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Nome? Yachi Età? 30 Da dove vieni? Giappone Cosa ti rende felice? Il sole Di cosa sei più orgoglioso nella tua vita? Di essere felice Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? Nulla. Cosa farai stanotte? Tempura party

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Nome? Areum Giun Età? 21 Da dove vieni? Sud Corea Cosa ti rende felice? Tutto ciò che è fashion Di cosa sei più orgogliosa nella tua vita? Il mio lavoro da artista, la mia famiglia e il mio ragazzo Qual è la cosa migliore che hai visto durante la settimana della moda? Christopher Kane Cosa farai stanotte? Guarderò dei film

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Risto Bimbiloski La Macedonia, mi ha raccontato Risto che ci è nato trentacinque anni fa, è un paese bellissimo, ma un po’ matto. I paesaggi sono mozzafiato, il temperamento meridionale e la politica corrotta. E’ una società matriarcale, dalle tradizioni radicate, in cui le donne imparano a lavorare a maglia fin dalla più tenera età e in cui “ti puoi sentire bizantino, ottomano, Tito, Nasser & Nehru”. Mi ha raccontato anche del “burek I yogurt”, dell’influenza turbofolk proveniente dai Balcani, dell’affascinante mix etnico, del social-comunismo progressista con cui è cresciuto e dei costumi tradizionali, caratterizzati da un mix d’influenze tra Est e Ovest. E proprio dell’incontro-scontro tra questi due mondi si nutrono le creazioni metropolitane di Risto, espressioni tangibili di un universo estetico consacrato a tale peculiare equilibrio: in esse l’artigianalità e le tecniche più tradizionali della lavorazione a maglia macedone sono combinate al design ultra moderno e sofisticato di stampo occidentale. Oggi Risto vive a Parigi, lavora da Louis Vuitton e dirige la sua label personale: un family business nato qualche anno fa come piccolo laboratorio artigianale e la cui produzione è tutt’ora mandata avanti da mamma Bimbiloski in Macedonia..

Intervista di Ilaria Norsa. Foto Andrea Spotorno.

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Ciao Risto, come stai? Tutto bene. In realtà mi sento molto “da venerdì” anche se è mercoledì. Dove ti trovi? Sono alla mia scrivania da Louis Vuitton. Wow! Che fai? Sto bevendo il caffè del dopo pranzo e dò un’occhiata qua e là ai blog su internet. Hai già menzionato Louis Vuitton... ma vorrei fare un passo indietro prima e vorrei che ti presentassi e ci dicessi qualcosa di te: Adesso abito a Parigi, dove mi sono trasferito 15 anni fa. Sono nato in Macedonia, in una bella città, Ohrid, vicina a un bellissimo lago. Che bello... Nel periodo della mia infanzia e dell’adolescenza Ohrid era un paese con un’interessantissima scena musicale, un mix etnico davvero affascinante e un social-comunismo progressista. Naturalmente tutto questo ha influito molto sulla mia formazione e sul mio modo di essere. Com’è avvenuto il tuo primo approccio alla moda? Me lo ricordo ancora benissimo… anche se in realtà all’inizio volevo lavorare per la NASA ed ero un ragazzino ossessionato dai videogiochi! Mio padre era un agente di commercio per una compagnia tessile e mia madre mi chiedeva consigli giornalieri sui suoi outfit. Poi è arrivato “1991: The Year Punk Broke” (pellicola del 1992 diretta da Dave Markey che documenta una serie di tour europei tenuti nel 1991 da

band come i Sonic Youth e i Nirvana - N.d.r.), e io ho iniziato a disegnare vestiti. Quindi avevi diciassette anni quando hai capito che volevi diventare un designer... e come sei arrivato da Ohrid a Parigi? Ho conosciuto una coppia francese che frenquentava la scuola di moda a Parigi. Diedero un’occhiata al mio portfolio da principiante e mi incoraggiarono a provare ad entrare nella loro scuola. L’anno dopo andai a Parigi per la prima volta e riuscii ad entrare alla “Duperre”, una scuola d’arte nazionale. Era una scuola divertente, un po’ grunge e quasi “anti-fashion”. Sembrava più che altro un parco giochi dove fumarsi gran canne. Dopo un ciclo di tre anni, con la guida del nostro mentore Pierre Hardy, lasciai la scuola per diventare assistente di Thierry Mugler e Jean Colonna. Quindi passai tre anni a fare freelance nella campo della direzione artistica, lavorando a progetti di moda e musicali. Quando e come è nato il tuo brand? Raccontaci la storia! Ho presentato la mia prima collezione al tredicesimo Festival d’Hyeres nel 1998. Mio fratello Alek, che vive a New York, mi suggerì di commercializzare alcuni dei miei pezzi: da allora abbiamo lavorato insieme allo sviluppo del brand. Poco dopo, ho scoperto le grandi possibilità e abilità nel settore della lavorazione a maglia in Macedonia, così abbiamo iniziato a organizzare un atelier artigianale. A quel punto abbiamo messo su una nostra casa di produzione diretta

da mia madre sempre in Macedonia. Quindi si tratta di un vero e proprio “family business”! Grande! Quante persone lavorano con te? Adesso abbiamo circa 100 dipendenti che lavorano sulla collezione. Molti di loro mi hanno seguito fin dall’inizio, quindi abbiamo condiviso un sacco di alti e bassi in questa esperienza e abbiamo molto in comune. Descrivi una tipica giornata lavorativa nel tuo studio: Potrei facilmente descrivere un giorno di lavoro alla scrivania di Louis Vuitton, ma non altrettanto facilmente per il mio brand perché non è una cosa così frequente che io mi dedichi a quello integralmente. Durante la giornata collaboro con il mio assistente che segue la collezione in modo indipendente: io mi limito a fare avanti e indietro. Magari facciamo un aperitivo per ricapitolare il tutto e spesso continuiamo la notte con le conferenze su Skype tra Parigi, New York e la Macedonia. Vivo a Parigi, lavoro con fornitori italiani, il mio ragazzo vive a Milano, produco in Macedonia e presento la collezione a NY!! Mamma mia! Praticamente sei una mina vagante! Con tutti questi impegni, come si è sviluppato il tuo brand nel corso degli anni? All’inizio era un laboratorio per la mia creatività personale. Le collezioni erano sporadiche e un po’ caotiche. Ma da una stagione all’altra ha cominciato ad essere un lavoro vero, più concentrato e maturo. Adesso mi piace lavorare a

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una collezione in termini di stile piuttosto che limitatamente ai capi d’abbigliamento. Descrivimi la tua estetica: “Acid elegance”. In che modo le tue origini macedoni influenzano la tua concezione estetica? Stai cercando di raggiungere e trasmettere una specie di equilibrio tra Est e Ovest? Mi lascio decisamente influenzare da questo incontro-scontro tra Est e Ovest. La Macedonia è adesso per me un posto familiare e allo stesso tempo “nuovo” così come Parigi, quindi mi piace ri-scoprirla. Sono sicuro che le mie origini diano una piega personale al guardaroba metropolitano a cui sto lavorando. Raccontami qualcosa sul tuo paese d’origine e sulle sue donne: È un paese bello, ma matto. Paesaggi mozzafiato, temperamento meridionale e politica corrotta. Ti puoi sentire bizantino, ottomano, Tito, Nasser & Nehru, e tutto questo è mischiato alla crescente influenza turbofolk proveniente dai Balcani. E la moda com’è in Macedonia? Mi incuriosisce sapere qualcosa dei costumi tradizionali e delle usanze, ma anche della situazione attuale e delle avanguardie estetiche in questo campo.... Il costume tradizionale macedone si può definire un vero e proprio tesoro. Lo adoro per il mix di influenze che noti nei diversi indumenti: tra Est e Ovest. Esplosioni di colori, tecniche e volumi con una nota erotica subliminale. Esattamente tutto ciò che applico al mio lavoro. Ci sono alcuni designer emergenti, scuole di moda o trend emergenti tra i giovani? Ho visto recentemente una sfilata di una scuola privata macedone e sono rimasto piacevolmente colpito dal risultato. Conosco anche un paio di macedoni che lavorano con successo nella moda, quindi forse è un suolo fertile per i talenti della moda. La tua famiglia vive ancora in Macedonia: vai spesso a trovarli? Cosa ti piace fare quando torni a casa? Mi piace molto andarci, stare un po’ con la mia famiglia e darci dentro senza pudore con la cucina di mia madre. È una grande cuoca, tanto che organizza anche il catering per i nostri clienti in showroom. Qual è il tuo tipico piatto macedone preferito? Burek I yogurt. Non l’ho mi mangiato ma mi viene l’acquolina... E la tua pietanza occidentale preferita? Cheeseburger. Adoro. C’è qualcosa di tradizionale del tuo paese d’origine che ami particolarmente? Il vestito con cui è stata seppellita mia nonna... purtroppo però non lo posso più vedere. E tra le usanze occidentali? L’intimo da uomo. Cosa non ti piace del tuo paese d’origine? I costumi corrotti. E di Parigi? La burocrazia. Tornando al tuo lavoro, il tuo talento è stato notato da Louis Vuitton e nel 2006 hai iniziato una collaborazione con questo importan-

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tissimo brand... raccontami un po’! Fui scelto per disegnare la collezione di maglieria e jersey da uomo. Era un periodo in cui ero messo malissimo economicamente, i cacciatori di teste non riuscivano a trovarmi una posizione adatta e non sapevo come andare avanti. È stato incredibile ricevere una telefonata dalle risorse umane di Louis Vuitton che volevano propormi un lavoro! Ovviamente mi sono organizzato in modo da continuare a gestire il mio brand ufficialmente. Cos’è l’avanguardia per Risto Bimbiloski? Qualcosa che Jeremy Scott ha proclamato alla fine degli anni ’90? Quanto è importante il lavoro a maglia all’interno della tua collezione? Direi che è il suo carattere distintivo. Descrivi la donna Risto Bimbiloski. Preferisco non immaginare donne a cui vadano bene i miei abiti ma che i miei abiti vadano bene ad alcune donne. Vorrei che ci fosse libertà nella classificazione del tipo di donna (o di uomo) a cui possano piacere le mie creazioni. Ma sicuramente devono avere un certo budget per possederle… Se potessi avere qualsiasi modella per le tue creazioni, chi sceglieresti? Hai una musa? Recentemente sono fissato con Rita Levi Montalcini. Credo che starebbe benissimo con il mio “caftano cosmico”! Ahahah, geniale! Visto che non so esattamente che cosa sia il “caftano cosmico” parlami un po’ della collezione “Hypernova” per la PE09: da dove hai tratto ispirazione? Dal fenomeno ipotetico delle Hypernova: stelle enormi che collassano in un buco nero. Poi mi sono mosso in una direzione su cui voglio ancora lavorare: creare qualcosa di pericoloso e bello. Le foto della collezione sono state scattate da Andrea Spotorno con una modella d’eccezione: la nostra, a questo punto comune, amica Roxane, Pr director di Acne Jeans. Lei è assolutamente favolosa e Spotorno molto bravo. Come hai realizzato tutto questo? Come hai detto tu, sono stato e sono tutt’ora affascinato da Roxane. È una donna molto elegante e magnetica. Venne per le vacanze estive a casa mia in Macedonia e lì decidemmo che avrebbe curato lo styling del lookbook. Mi presentò Andrea, che ammiravo molto come fotografo. Alla fine io e lui ritenemmo che non ci sarebbe stata modella migliore di Roxane. Il risultato è bellissimo. Sì... E per quanto riguarda “Hunter”, la collezione per l’autunno-inverno 2009 cosa mi dici? L’intera idea dietro la collezione è la caccia: sociale, animale o tradizionale. Volevo lavorare su un guardaroba per una ragazza a cui piace “cacciare”, quindi lo scenario ideale mi è sembrato quello del nightclubbing. E per le foto del lookbook a cosa hai pensato? Quando ho deciso di andare a New York per presentare la collezione alla stampa americana ho pensato al mio fotografo preferito che vive lì: Marcelo Krasilcic. Ho preso un caffè con lui e ha accettato. Poi David Vandewal si è unito al

progetto come stylist e abbiamo scattato. Ancora una volta un buon risultato e visto che non organizzo ancora sfilate per mostrare le mie collezioni, il lookbook è un mezzo di comunicazione molto importante per me, quindi ad esso mi piace lavorare con gente di talento. Mi sembra giusto! Dove è venduta la tua collezione? Molto negli Stati Uniti: da Opening Ceremony, Bergdorf Goodman, Bird… E poi in Asia e Australia. Ma in Europa è ancora un pò difficile trovarla. Specialmente in Italia: non è ancora disponibile… Peccato, speriamo che questa intervista serva a rimediare a questa lacuna. A te piace fare shopping? Devo ammettere che detesto lo shopping. Noooooo!!?? Sì, ho pazienza solo per l’intimo, i calzini e le scarpe. Ma non hai nemmeno un negozio preferito a Parigi, anche al di là di quelli di moda? Sì adoro Julhes, il mio negozio di formaggi e vino preferito. Penso di essere diventato un po’ francesino… Beh, i vini e i formaggi francesi sono il massimo....Che musica stai ascoltando ultimamente? Durante la creazione della collezione “Hypernova”, ho scoperto Glass Candy e mi sono totalmente innamorato di lei. Ha una piccola stupenda etichetta che si chiama “Italians do it better”. Producono anche Chromatics. Durante il making della collezione “Hunter” ho ascoltato jazz in una radio mono davvero cheap. E poi ho dei classici che ascolto continuamente: Can, Sonic Youth, Pixies e Roxy Music. Ahhh i Roxy Music sono la mia passione... Se invece potessi tornare indietro nel tempo e vivere un particolare momento della storia della moda, quale sarebbe? “Le Palace” negli anni ’80. E tra i designers di oggi chi ammiri? Un bel po’ di gente, ma se vuoi i nomi ti darò solo le iniziali: AA, MM, MJ... Martin Margiela, Marc Jacobs, AA? Misterioso! Cosa ti sarebbe piaciuto fare se non fossi diventato un designer? Mi sarebbe piaciuto da morire fare lo scrittore, per viaggiare e lavorare allo stesso tempo. Qual è la prima cosa che fai al mattino quando ti svegli? Salto con la corda. Ammazza, che voglia! Dimmi qualcosa di cui ti vergogni: Non ci penso neanche! Cosa ti fa arrabbiare (a parte le domande indiscrete)? Discorsi ostinati da ubriachi che non condivido. Anche a me... oddio ma dobbiamo diventare migliori amici! Potremmo andare a prenderci un caffè se passi da Parigi... Volentieri! Che piani hai per il futuro? Sfilare a New York a Settembre. In bocca al lupo!


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Our Legacy Tre ragazzi, più o meno della nostra età, di poche parole ma molti fatti. A nemmeno trent'anni hanno già messo in piedi un pregevole brand d'abbigliamento maschile, una casa editrice dalle scelte ricercate, una raffinata pubblicazione e uno store che a Stoccolma, città in cui vivono, è un punto di riferimento per artisti, intellettuali, hipsters, insiders e giovani svedesi dai gusti accurati e dall'aria distinta. Con Our Legacy, Christopher, Jockum e Richardos raccontano una storia, partendo da un presupposto che è l'affermazione di un valore intrinseco al capo di abbigliamento, quello di essere portatore di un significato profondo e inestimabile, in quanto carico di connotazioni storiche; perché ogni oggetto, ogni dettaglio, ogni piega di un tessuto può raccontare il vissuto di una persona. Spesso un abito è l'unico ricordo tangibile che resta di un nonno, di una persona cara che non c'è più. E proprio sul fascino che può esercitare una mente matura con le sue storie da raccontare, sull'esperienza e sull'apprezzamento dell'invecchiamento pongono paradossalmente l'accento questi intraprendenti giovanotti che di esperienza ancora ne hanno poca, ma di intuito e gusto innegabilmente molto. Non si tratta di "vintage" o peggio, di "finto vintage", anche se la sensazione è che questi abiti siano stati indossati da una generazione di gentleman d'altri tempi. Si tratta di un credo estetico ben più radicato. Di una ricerca precisa e instancabile. Della creazione di capi d'abbigliamento senza tempo, lontani anni luce dai trend e allergici alle date di scadenza. Si tratta dell'istituzione di un immaginario così dettagliato che finisce per riscrivere la storia di ieri senza averla realmente esperita, proprio come quando uno racconta una bugia così tante volte e con tale convinzione che finisce per crederci. Riscrivendo la storia di ieri Our Legacy guarda avanti, così avanti da far sua anche quella di domani. Senza riferimenti. Senza pretese. Senza orologio. E senza data di scadenza. Intervista a Cristopher Nying, Jockum Hallin, Richardos Klarén di Ilaria Norsa. Foto Mathias Sterner.

Ciao ragazzi, come va? Molto bene grazie, è un bel momento intenso! Perché, cosa fate? E dove siete? Siamo nel nostro nuovo studio a Stoccolma, un ufficio senza finestre. In questo momento stiamo cercando di mettere insieme un meeting strategico, ma i nostri telefoni continuano a suonare ininterrotamente! Presentatevi: chi siete? Siamo quelli di Our Legacy. Datemi qualche dettaglio in più… Cristopher Nying e Jockum Hallin sono coloro che hanno fondato Our Legacy nel 2006, mentre Richardos Klarén si è unito alla compagnia circa un anno e mezzo fa. Come vi definireste? Siamo tre buoni amici. Siamo sensibili e molto dediti a ciò in cui crediamo… Quanti anni avete e dove vivete? Cristopher è del 1981, mentre Jockum e Richardos del 1980. Viviamo a Stoccolma, in Svezia. Come vi siete conosciuti? Cristopher e Jockum vengono dallo stesso

paese (Jönköping) e sì sono conosciuti lì. Poi quando si sono trasferiti a Stoccolma hanno conosciuto Richardos. E’ stato amore a prima vista. Romantico. E oggi come descrivereste il vostro rapporto? Buoni amici che si ascoltano e si prendono cura l’uno dell’altro. E l’idea migliore è quella che vince… Ma non litigate? Sì, a volte sì, ma per lo più si tratta di litigi costruttivi. Cos’avete imparato l’uno dall’altro? Ogni momento impariamo qualcosa di buono dall’altro, diciamo che la vita è fatta di questo il più delle volte. Cosa avete in comune? Molto! E cosa non sopportate? Niente. L’odio è una cattiva energia. Come siete zen. E di poche parole… ma buone. Chi fa che cosa? In realtà è difficile dividersi il lavoro quando sono solo tre persone a fare il lavoro che an-

drebbe fatto da molte più persone… Cavolo quindi siete davvero solo voi tre? Sì! Diciamo che ognuno di noi è coinvolto in più o meno ogni aspetto della produzione e del processo creativo. Naturalmente abbiamo diverse responsabilità, ma è difficile essere specifici a riguardo… Probabilmente questo è anche uno dei nostri punti di forza, perchè ogni cosa deve essere filtrata attraverso il pensiero di ognuno di noi tre, il che rende meno scontato il fatto che venga approvata, ma questo alla fine la rende più speciale. Descrivetemi una vostra tipica giornata lavorativa: Un sacco di lavoro di ogni sorta in un tempo ristrettissimo. Poco tempo per fermarsi a riflettere… Ma c'è stato un momento in cui vi siete fermati e vi siete accorti di avercela fatta? (A parte naturalmente questo momento, in cui venite intervistati per PIG Magazine!! Ah ah…) Penso che quel momento in realtà non sia ancora arrivato… Credo che il grande successo

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per noi sia ancora dietro l’angolo… o almeno ce lo auguriamo! Credo che alcune volte la nostra visibilità nel mondo della moda sia dovuta al fatto che i nostri vestiti sono esposti nei negozi e vengono pubblicati sulle riviste più fighe: questo genera confusione nel senso che la gente ci percepisce come una grande azienda, e non immagina che invece siamo solo tre ragazzi che cercano di cavarsela facendo quello in cui credono. Come descrivereste l'estetica di Our Legacy? Viva, versatile, in continua evoluzione ma in lenta trasformazione. Avete una speciale ammirazione e predilezione per gli indumenti classici, anche un po’ "datati"… quanto conta la tradizione nel vostro lavoro? Come riuscite a farla rivivere nei vostri abiti? La tradizione in sè per sè non è così importante per noi, ma la storia sì. La storia rappresenta per noi una continua fonte d’ispirazione: cerchiamo di mettere qualcosa di vecchio in un contesto nuovo. Cosa intendete quando affermate di creare “prodotti senza tempo”? Si tratta di prodotti che diventano più belli col passare del tempo e materiali che non sono affetti da alcun trend stagionale (ciò naturalmente implica che la qualità sia molto alta). Così voi in qualche modo ridefinite il classico guardaroba da uomo: come ci riuscite? Prendendo i materiali tradizionali e portandoli sotto una nuova luce/epoca, tenendo sempre presente la creatività. Un esempio potrebbe essere il blazer destrutturato per rendere la sua filosofia un po’ più bohemienne. Fate molta attenzione ai tessuti: perché questo aspetto è così importante per voi? Spesso scegliamo tessuti che pensiamo siano vivi. Tessuti che appariranno ancora più belli dopo averli usati e lavati. Ogni abito dovrebbe avere un suo tessuto più che un colore. È molto raro per noi scegliere il nero perché non si addice al nostro gusto per gli abiti "vivi". Preferiamo usare materiali rozzi o che sono stati colorati per raggiungere quelle tonalità difficili da definire. Qual è il vostro capo d'abbigliamento preferito? Un paio di stivali in pelle. Qualcosa che avreste voluto aver disegnato voi? Ci sono un sacco di cose che ammiriamo, ma pensiamo che ogni disegno abbia il suo giusto inventore dietro. Qual è il trend migliore di tutti i tempi secondo voi? Non ci piacciono particolarmente i trend. Le persone si prendono troppo sul serio nel mondo della moda. Cosa vi ispira? Le persone che cercano di essere se stesse e non farsi influenzare dai trends. Le persone coraggiose che si battono per un ideale. Qual è l’ultima cosa vista che vi ha davvero 64 PIG MAGAZINE

ispirato? La vittoria di Obama alle elezioni. A sundried youth è il nome della vostra collezione per la primavera-estate 2009: da dove viene l’ispirazione, di cosa si tratta? Si tratta dell'affermazione dei valori interiori e dell’importanza di comprendere la bellezza di un’anima antica o di un oggetto, come un abito invecchiato naturalmente. Una mente che ha fatto tante esperienze, può raccontare molte storie differenti. A volte una mente complessa ha bisogno di cose, come i vestiti, per ricordare a sé stessa tutti i momenti epici che hanno davvero dato un senso alla propria vita. In quest'ottica, un vestito usato è di per sé carico di significato in quanto portatore di storia. Gli abiti vecchi possono dire tanto su un uomo, o sui traguardi della sua vita. Talvolta può essere tutto ciò che ci rimane di un padre che non c’è più, un'eredità che un padre lascia al proprio figlio e che ne crea un ricordo tangibile. In momenti come questo, Our Legacy tenta di andare controcorrente e creare abiti senza tempo che diventano più interessanti e belli con gli anni. Con questi presupposti, Our Legacy produce abiti fatti su misura con orli sdruciti, come se fossero stati usati da generazioni e generazioni di anziani gentleman. A Sundried Youth racconta la storia di un uomo che ricorda la sua giovinezza, riportando alla mente tutti i posti dove è stato felice, attraverso un filtro opaco. e guardando attraverso il suo guardaroba, raccolto con cura negli anni, associando ogni abito a un’occasione speciale. Se la vostra collezione fosse un periodo, quale sarebbe? Il 2010. Una persona famosa? Preferiamo i "non famosi”. Un artista? Josef Beuys. Una canzone? Here comes the Warm Jets di Brian Eno. Un film? La Vita è Bella. Cosa potete dirci invece dell'Autunno-Inverno 2009? Il concept della collezione A Sundried Youth si mantiene, ma il sentimento è più ruvido, più maturo. Bellissimi toni ruggine misti a tessuti vintage italiani e giapponesi. Chi vi piacerebbe che indossasse i vostri vestiti? Tutti quelli a cui piacciono i nostri abiti e li terrebbero addosso per molto tempo. Fino a farli puzzare! E a voi cosa piace indossare? Tante cose, ma dobbiamo sempre sentirci naturali. Dove sono venduti i vostri abiti? In più di 20 paesi, ma per nominarne solo un paio: Barney’s a NY, Libertys a Londra, Beams International a Tokyo, Très Bien Shop in Svezia, Storm a Copenhagen e poi tanti altri… Avete anche un negozio tutto vostro… cose

vendete? Quando avete aperto, dove e perché? Sì siamo molto felici di questo. Ci dà l’opportunità di mostrare la nostra collezione e di dare sfogo alla nostra visione estetica. Vendiamo l’intera collezione Our Legacy e alcuni libri di fotografia prodotti da Libraryman. Abbiamo l’ufficio e lo showroom nello stesso edificio, quindi è fantastico. L’indirizzo, Krukmakargatan 24-26, include lo shop APC, Papercut, Nitty Gritty Shop e il parrucchiere D.O.O.M. Wow! Tappa imperdibile di un soggiorno a Stoccolma! E in giro per il mondo quali sono i vostri negozi preferiti? I negozi di alimentari. Ce n’è uno a Stoccolma che si chiama Marianned Fisk (pesce) che vende il miglior tonno del mondo… Oltre allo store siete coinvolti in molti progetti in campi differenti… Track Bike, a Narrative Book, Les Gentilhommes, Natural Process, The trainer, non riesco a starvi dietro… Ci interessiamo a molte cose diverse e cerchiamo di superare e cancellare i convenzionali confini tra moda, arte, ecc… stiamo semplicemente provando a fare ciò che vogliamo e ciò che ci piace nel miglior modo possible, in modo da poterne esserne fieri. Bravi. Organizzate anche delle mostre, giusto? Lavoriamo in stretta collaborazione con il curatore Tony Cederteg. È lui la forza guida dietro questo. Con lui e Linda Berlin, tu Christopher hai fondato Libraryman nel 2008. Parlami di questo interessante progetto: Libraryman Co., Ltd. è una casa editrice concentrata sulla fotografia contemporanea. Vogliamo convertire l'entusiasmo per la fotografia nella nostra produzione di libri in limited edition, dal momento che siamo tutti collezionisti e ammiriamo la fotografia. Oltre i libri abbiamo una serie mensile che si chiama A day in the life of... dove i fotografi ritraggono un giorno delle loro vite in bianco e nero. E cosa mi dici invece di The Publication? The Publication è un elemento vitale di Our Legacy: è una pubblicazione, appunto, che ci permette di darci da fare con varie stampe, libri e di foto ad esempio, e poi lookbook e progetti speciali. E voi quali riviste comprate/rispettate? Ci piacciono Fanzine 137, Apartamento, Encens, 032c, Paradis, PIN-UP e Foam, tra le altre. I blog vi piacciono? Siamo un pò nostalgici... estimatori un po' vecchio stampo delle riviste e dei libri. Quindi misuriamo la nostra cultura con giornalisti e scrittori di pubblicazioni su carta stampa. Ma allora siete degli integerrimi ed eleganti anziani gentiluomini rinchiusi nel corpo di tre giovanotti!


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Il vostro ultimo lavoro Some cities era uscito nel 2005. Avete impiegato quattro anni per tornare sulle scene. Cosa è successo in tutto questo tempo? Prima di tutto abbiamo fatto un lungo tour per promuovere Some Cities dopodiché, stremati da anni di lavoro senza praticamente alcuna sosta, abbiamo deciso di staccare la spina per un po’, per prenderci una vacanza dai Doves. Io mi sono ritirato in campagna, ho ricaricato le batterie, cercando di vivere una vita normale per qualche mese. Nessun viaggio, poca mondanità. Dopo dieci anni di continui sballottamenti in giro per il mondo avevo bisogno di fermarmi, non ho più il fisico né l’età di quando

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abbiamo iniziato… (ride). E’ stato difficile portare a termine il vostro quarto disco? Non è stato facile. Non ti nascondo che ci sono stati periodi in cui ci siamo chiesti se sarebbe mai venuto alla luce. Tutti e tre abbiamo attraversato momenti privati molto delicati in questi ultimi anni. Lutti, delusioni sentimentali e cose del genere. Lavorare a un nuovo disco ci ha aiutato a distrarci dai nostri universi personali, funzionando come una valvola di sfogo. Abbiamo registrato Kingdom of Rust nel nostro studio di campagna, senza alcuna pressione esterna, senza nessuna scadenza specifica. A volte però questa scelta si è rivelata un’arma

a doppio taglio perché avremmo potuto continuare a registrare le nuove tracce all’infinito. Siamo arrivati a dubitare delle nostre capacità e a interrogarci se avesse ancora un senso pubblicare dei dischi. Se fossimo all’altezza… Poi le canzoni hanno iniziato a prendere forma e l’entusiasmo è tornato, più forte di prima. Vi sentite sollevati ora che l’album è stato completato? Puoi dirlo. Soprattutto dopo aver impiegato dei mesi per decidere la scaletta dei brani. E’ stato un lavoro estenuante. Noi concepiamo l’album ancora come un corpo unico, con una sua storia, una sua totalità, e non come una semplice raccolta di singoli. Quindi la disposi-


Doves I Doves sono una band anomala nel panorama affollato della scena musicale d’oltre manica. Hanno raggiunto più volte la vetta delle classifiche inglesi, venduto palate di dischi, raccolto centinaia di migliaia di fan ai loro concerti. Eppure sono rimasti un gruppo minore, lontano anni luce dalle copertine patinate o dai tabloid più popolari, quasi immuni, o forse del tutto disinteressati, alle varie seduzioni del circo della celebrità. Troppo schivi, troppo normali, troppo concentrati sulla loro musica. In dieci anni di onorata carriera hanno concesso pochissimo ai cacciatori di gossip, lasciando che i loro dischi parlassero più di ogni chiacchiera pruriginosa o di qualche fotografia mondana. In occasione del quarto album in studio intitolato “Kingdom of Rust” abbiamo raggiunto telefonicamente Jimi Goodwin, il cantante del gruppo, per farci raccontare qualcosa di più del fenomeno brit più longevo del decennio. Intervista di Marco Lombardo. Foto di Retts Wood.

zione delle tracce ha la stessa importanza del montaggio per un regista. Abbiamo provato decine di soluzioni diverse e le abbiamo testate nelle circostanze più disparate sino a quando non abbiamo trovato la chiave giusta. Qual è il significato del titolo di questo nuovo lavoro? E’ semplicemente un titolo che ci è sembrato appropriato sin dal primo momento in cui abbiamo intitolato la canzone, che poi è finita sull’album, in quel modo. Crediamo sintetizzino entrambi l’atmosfera che ha pervaso queste registrazioni. Altri giornalisti mi hanno chiesto se era un’allusione ai tempi di crisi che stiamo vivendo a livello internazionale ma in realtà per

noi ha una valenza molto più privata e personale. Ci piace comunque l’idea che sia un titolo aperto a diverse interpretazioni. E’ come un viaggio on the road… Quali credi siano le principali differenze tra questo disco e quelli che l’hanno preceduto? In Kingdom of Rust abbiamo cercato di ampliare lo spettro del nostro suono, giocando come mai in precedenza con alcune influenze elettroniche come i Kraftwerk o la colonna sonora di Blade Runner scritta da Vangelis. Un esempio evidente di questo nuovo approccio è riscontrabile in Jetstream che, non a caso, è il brano di apertura del disco. Per il resto abbiamo continuato ad indagare quei codici che

ci contraddistinguono ormai da parecchi anni, provando a perfezionarne le sfumature… Cosa vi ha influenzato durante la scrittura di Kingdom of Rust? E’ difficile rispondere con lucidità, ci sono talmente tanti livelli inconsci che entrano a far parte dell’ispirazione. Credo ci sia una forte componente legata alla natura in queste canzoni, probabilmente dovuta al luogo dove le abbiamo scritte e registrate. Molte domande e riflessioni personali, molti libri che abbiamo letto, soprattutto Italo Calvino e poi un sacco di musica hip-hop anche se di fatto non penso si possa sentire sul disco… (ride)… Qual è la tua canzone preferita dell’album?

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Kingdom of Rust è stato sin dall’inizio il brano attorno al quale sono partite le registrazioni ed è stato anche il più immediato e facile da scrivere. Sul disco infatti abbiamo incluso il primo demo, senza ulteriori ritocchi o riscritture… Poi ti ritrovi a suonare dal vivo e ti accorgi di come altre canzoni subiscano una nuova metamorfosi, acquisendo nuovi significati… E’ una sorpresa continua che rende questo lavoro sempre nuovo e interessante… Quante canzoni avete registrato? Siamo partiti da una rosa di almeno sessanta idee diverse, ovviamente poi non le abbiamo completate tutte… Come scegliete quale canzone finirà o meno sulla tracklist finale? Dopo tanti anni insieme abbiamo sviluppato una sorta di intuito collettivo che ci permette d’individuare istintivamente cosa funziona e cosa no. Anche se poi ci sono delle divergenze che rallentano il processo di registrazione perché siamo un gruppo democratico e portiamo avanti solo le idee che soddisfano tutti e tre i componenti… A volte in effetti è un po’ complicato come approccio… (ride)… Raccontami della collaborazione con Tom Rowlands dei Chemical Brothers nel brano 10:03 … Tom è un amico... Come spesso capita in queste occasioni si parlava di fare qualcosa insieme da mesi, senza però avere mai il tempo di concretizzare davvero l’idea. Questa volta ci siamo riusciti. Ci ha raggiunto in studio e gli abbiamo chiesto di aiutarci ad arrangiare un paio di canzoni… Affidare a un’altra persona l’arrangiamento di un tuo brano è un modo di lavorare molto interessante, che non avevamo ancora sperimentato. Ti permette di vedere aspetti e potenzialità del tuo lavoro là dove non avresti mai creduto. Tom è un musicista di grandissimo talento… Non avete mai pensato di tornare a suonare musica elettronica come ai tempi del vostro primo gruppo: i Sub Sub? No, non in quella direzione. E’ stato un periodo che si è concluso con l’incendio del nostro studio di registrazione, anche se in realtà a quel punto stavano già sviluppando un suono molto più organico… Molto più simile ai Doves che non ai nostri esordi… Se non ci fosse stato quell’incendio non ci sarebbero stati i Doves? E’ impossibile risponderti. Eravamo già in una fase di profondo cambiamento, questo è sicuro… In un certo senso ci siamo trovati di fronte a un bivio: o smettiamo o cambiamo genere. Si è trattato davvero di prendere una decisione così semplice. Bianco o nero. E sotto alcuni aspetti è stato liberatorio ed intrigante ripartire completamente da zero… Ti piacerebbe ritrovarti nella stessa situazione anche oggi? Stai scherzando? Non avremmo né l’età né l’energia per una ripartenza del genere… Non intendevo un nuovo incendio! Per un attimo ho pensato che ti riferissi a quello! (ridiamo) 70 PIG MAGAZINE

Comunque no, adesso siamo soddisfatti così. Abbiamo costruito qualcosa che ci rispecchia completamente e siamo contentissimi di essere tornati a suonare dal vivo. Segui ancora la scena dei club? C’è qualcuno che ti piace in particolare? Sono curioso per natura quindi sono alla continua ricerca di nuova musica, nuovi input. In realtà in questo momento preferisco l’hip-hop alla dance, soprattutto nelle sue varianti più sperimentali. Un produttore che ammiro moltissimo comunque è James Holden… Quali artisti hanno contribuito alla tua formazione musicale? C’è talmente tanta di quella roba che non saprei davvero da dove partire. Credo che Jimi Hendrix e i Clash mi abbiano influenzato più di qualunque altro quando ero ragazzino… Ti ricordi ancora il primo concerto a cui hai assistito? Puoi dirlo, I The Clash… Davvero? Avevo otto anni, mi ci portò mio padre, che era un grandissimo appassionato di musica… Sono stato molto fortunato in quel senso. Aveva un ottimo gusto… La tua canzone preferita di tutti i tempi? E’ assolutamente impossibile sceglierne una, cambia in continuazione di giorno in giorno… Cosa vi spaventa di più come band? In questo caso avevamo paura che dopo tanto tempo lontano dalla scene la gente semplicemente si fosse dimenticata di noi, o non fosse più interessata alla nostra musica… E ovviamente non è stato così… No, infatti. Siamo molto fortunati, sinora il tour è stato fantastico. In questi anni abbiamo costruito uno zoccolo di fan fedelissimi… Le copertine dei giornali e le attenzioni della stampa fanno piacere, nobilitano il tuo lavoro ma se poi i concerti sono semi deserti vuol dire che hai fallito nella cosa più importante: il contatto con il pubblico. Soprattutto ora che il mercato della musica è cambiato così radicalmente… In tutta onestà, mentre stavamo scrivendo il nuovo disco, più volte ci siamo chiesti se la nostra casa discografica avrebbe telefonato per informarci che ci scaricavano… E’ un periodo assurdo nel music business, il mondo nel quale abbiamo iniziato a lavorare negli anni novanta non esiste più… Però Kingdom of Rust ha esordito direttamente al numero due delle classifica dei dischi più venduti in Inghilterra… Non sai che sollievo, almeno ci siamo assicurati come minimo un altro disco… (ride)… Cosa ti spaventa di più come individuo invece? Le malattie mentali, la depressione. Purtroppo nella mia famiglia ci sono molti casi del genere, quindi spesso mi interrogo se capiterà anche a me, se ho un qualcosa di oscuro, pronto ad attendermi al varco, nelle vene… Se non fossi un musicista che lavoro ti piacerebbe fare? Qualcosa con la natura di mezzo… Forse il guardaparco… Sarebbe splendido… (ride)… O meglio ancora il regista di documentari…

Hai un regista preferito? Jim Jarmusch, senza ombra di dubbio. Adoro ogni suo film ma Down by Law è il mio favorito in assoluto… Al secondo posto metterei Wim Wenders… Sei un appassionato di serie televisive? C’è ne qualcuna che segui con particolare affezione? The Wire, è la serie tv definitiva! Hai mai avuto una ragazza italiana? Puoi dirlo (ride sorpreso), è stato fantastico! Ci siamo frequentati per pochissimo ma è stato molto divertente… A dispetto di molte delle band inglesi con le quali avete condiviso l’esperienza di raggiungere la vetta della top ten dei dischi più venduti in UK, voi non avete mai davvero popolato i tabloid con le vostre storie personali…


Perché è un aspetto del successo che non ci ha mai interessato. La verità è che se vuoi rimanere fuori da determinate situazioni puoi farlo. Se vuoi davvero mantenere la privacy intorno alla tua vita di tutti i giorni è possibile riuscirci… O forse non siamo poi così interessanti… (ride)… Che ricordi hai dell’Hacienda, il locale storico della scena di Madchester… Sono stati anni memorabili, in cui sembrava che tutto fosse possibile, abbiamo visto tante di quelle band straordinarie... Non hai idea di quanta droga girasse all’epoca, siamo fortunati ad esserne usciti indenni… Immagino che sia durante quei party leggendari che abbiate conosciuto Bernard Sumner, che in seguito avete coinvolto nel brano dei Sub Sub This Time I’m Not Wrong… Esattamente e che pezzo fighissimo! Credo che

in un certo senso abbia gettato le basi di ciò che poi sarebbero stati i Doves, spingendomi a finire dietro un microfono… Non siete mai stati tentati di trasferirvi a Londra? Stai scherzando? Manchester è molto meglio… Tutti i nostri amici sono qui, le nostre famiglie… Quando eravamo dei ragazzini poi c’era la migliore scena musicale inglese… E’ ancora così? Forse non a quel livello ma il successo degli Elbow ha riportato l’attenzione sulla città e un certo clima d’entusiasmo… Jez e Andy Williams sono fratelli, ti sei mai sentito una sorta d’intruso nella loro famigliola? Ci conosciamo da più di vent’anni, e come se facessi parte anche io della famiglia ormai… (ride)…

Siete ormai degli habituè di Glastonbury, ci sarete anche quest’anno? Si e non vediamo l’ora. E’ passato un po’ di tempo dalla nostra ultima esibizione. Abbiamo optato per il palco più piccolo, dedicato a John Peel, suoneremo per ultimi la serata di venerdì… Molti si sono lamentati che non era grande abbastanza per noi e che avremmo dovuto scegliere il secondo palco, ma questa volta volevamo un’atmosfera più da club… Per scatenarci a dovere e avere un contatto più diretto con il pubblico… E se doveste sbancare il botteghino da qui a fine giugno? Non cambierebbe nulla, non siamo una band che ambisce alle grandi arene. Certo non ci dispiacerebbe ma la cosa più importante è avere dei fan fedeli e duraturi…

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Beach House Intervista di Marco Lombrado. Foto di Andrew Laumann.

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Ci sono artisti che non appartengono a questo mondo. Ne respirano l’aria, ne affrontano lo sguardo, ne osservano i rapidi movimenti. Restando però sospesi, incapaci di rincorrerlo. In un sogno permanente. I Beach House sono così: attori di una storia senza dimensione temporale, privi di copione. Questo almeno è quello che i loro album parrebbero suggerire. Suscitando luoghi onirici e solitari, venati di malinconia. Poi invece capita d’incontrarli davvero Victoria Legrand e Alex Scally. E quelli che immaginavi come fantasmi, imprigionati in un limbo di sensi di colpa, si rivelano ragazzi in carne e ossa, stropicciati da un lungo tour in giro per l’Europa. Occhiaie d’ordinanza e umorismo contagioso al seguito. Giovani e leggeri, a dispetto della loro musica. Pig li ha incrociati di passaggio a Milano, impegnati nella promozione di Devotion, il loro secondo disco. Un piccolo gioiello dream pop, impalpabile e notturno. 73


“Baltimora più che essere entrata a far parte della musica che facciamo, più che averci ispirato, ci ha fornito un luogo dove isolarci, senza molte interferenze esterne. Un luogo neutrale, accogliente, che ci ha permesso di trovare la solitudine che stavamo cercando”.

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Ciao ragazzi, come state?

ceva a entrambi…

solo un artificio, un gioco estetico. Gran parte

Victoria: Mi sento completamente vuota (at-

Avete intitolato il vostro secondo album De-

della musica pop nasce in quel modo, e io non

tacca ridendo) E tu? (rivolta a Alex)

votion. Devozione a che cosa?

voglio cadere in quella trappola… Nella no-

Alex: Io invece mi sento completamento pie-

A: Devozione alle cose e alle persone in cui

stra musica ha più importanza la dimensione

no (sogghignando)…

credi…

inconscia…

V: Lo vedi. Siamo lo ying e lo yang.

V: …che vuoi proteggere, mantenere, miglio-

A: E la componente edificante…

Come è andato sinora il vostro primo tour

rare (improvvisamente più seri)…

Qual è la ragione per cui scrivete canzoni?

italiano?

Il vostro nome fa pensare all’estate mentre

A: Non c’è una ragione specifica, è un biso-

V: Direi bene, siamo soddisfatti, anche se un

la vostra musica sembra adattarsi perfetta-

gno fisico… Personalmente ho la tendenza a

po’ stanchi. Non mi cambio da due giorni. Si

mente all’autunno. Qual è la vostra stagione

sentirmi incompleto e la musica, per qualche

vede? Puzzo per caso? (esplode in una risata

preferita?

strano motivo, è l’unica cosa in grado di far

fragorosa)

A: L’inverno.

svanire quella sensazione…

No, non sembra. Mi avvicino per odorare

V: Anche per me. Odio l’estate. Davvero. Sof-

V: Le motivazioni che stanno dietro ai Beach

meglio. No davvero. Te lo direi.

fro tantissimo il caldo. Mi sento morire appena

House sono molto più semplici di quanto ti

V: Sei sicuro?

arriva l’estate…

aspetteresti. C’è veramente poco d’intellettua-

Secondo me sei a posto. Hai i jeans sporchi

E’ per questo che le vostre canzoni suonano

le in quello che facciamo. L’approccio è molto

però…

così autunnali?

più istintivo e viscerale. Andiamo avanti per

V: Maledetti jeans bianchi! Devo ricordarmi

V: Può darsi. In realtà credo che la reazione

intuizioni, per tentativi.

di non portarli più in tour… Puoi indossarli un

vari da persona a persona. La musica ha il po-

Abbiamo bisogno della musica ma non ri-

giorno soltanto dopodiché iniziano a trascinar-

tere di evocare le stagioni ma anche i colori.

flettiamo sulla natura di quel bisogno… Ci

si dietro i segni dei posti in cui sei stata…

La nostra intenzione non è mai stata quella

limitiamo a rincorrere una necessità e ad ap-

Quanti anni avete?

d’ispirarci all’autunno in particolare. Alcuni co-

pagarla…

V: 57

lori rimandano spontaneamente a determinati

Quindi non è un mezzo che usate per sfug-

A: 59 (ridono complici, di quell’euforia caz-

periodi dell’anno…

gire dalla vita di tutti giorni?

zona incontrollata che spunta spesso per la

A: Anche alcuni stati d’animo…

V: Non è tanto una fuga quanto più una rein-

troppa stanchezza).

Siete entrambi di Baltimora?

terpretazione della realtà…

Come vi siete incontrati?

V: Alex è nato e cresciuto a Baltimora, io mi ci

Con che musica siete cresciuti? C’è qualche

V: Ci siamo incontrati attraverso un’agenzia di

sono trasferita quattro anni fa.

artista in particolare che ha cambiato la vo-

appuntamenti al buio.

Credete che questa città abbia in qualche

stra vita quando eravate adolescenti?

A: Non è vero, è stato a un ballo del liceo.

modo influenzato la vostra musica?

V: Le persone possono avere una certa in-

L’ho vista seduta in un angolo…

V: Baltimora più che essere entrata a far parte

fluenza nella mia vita ma mai nessuno ha avuto

V: E hai pensato: chi è quella sfigata? Con

della musica che facciamo, più che averci ispi-

il potere di cambiarla…

quel vestito orrendo…

rato, ci ha fornito un luogo dove isolarci, senza

A: Tutti i gruppi o i musicisti che ho ascoltato

A: Sono andato a parlarle e le ho rubato il

molte interferenze esterne. Un luogo neutrale,

in questi anni hanno aggiunto qualcosa, non

cuore…

accogliente, che ci ha permesso di trovare la

saprei dirti come, ma sono convinto che tutto

Siete fidanzati?

solitudine che stavamo cercando.

quello che ascolto entra a far parte di me…

V: No.

Baltimora è la seconda città americana con il

V: A dodici anni ero una cheerleader. Ho

Lo siete mai stati?

più alto tasso di omicidi. E’ una cosa che voi

ascoltato i Nirvana ed è cambiato tutto…

V: No.

percepite vivendoci?

(ride). E’ l’unico gruppo che ha avuto quel tipo

A: In realtà non ci possiamo vedere.

A: Non proprio. Solo alcuni quartieri ema-

d’impatto su di me…

Cosa vi ha spinto inizialmente a suonare in

nano quest’energia che ovviamente è legata

A: Per me è successo solo con Stevie Won-

una band?

all’ambiente della droga e della criminalità in

der…

V: Entrare nello star system del rock!

generale. Ci sono molti ghetti a Baltimora e

V: Da bambina poi ero ossessionata da Micha-

A: La ricerca della verità e dell’amore assolu-

le ondate di violenza rimangono all’interno di

el Jackson…

to… (non riescono a smettere di ridere, com-

quei confini, raramente escono da quelle stra-

Cosa state ascoltando al momento?

piaciuti per averle sparate grosse).

de. Noi viviamo in quartieri vicini ma molto più

A: Un sacco di italo-disco…

Eravate amici prima di dar vita ai Beach

tranquilli. La violenza di quelle zone è un qual-

Davvero? Come mai? Ha che fare con il fatto

House?

cosa di palpabile anche se noi, per fortuna, la

che siete in tour in Italia?

V: No, ci siamo incontrati per via della musica,

viviamo solo esternamente.

A: Non proprio. Il batterista che ci accompa-

attraverso un conoscente in comune. Inevi-

Sogno e malinconia sembrano essere due

gna è un esperto di musica dance e di italo-

tabilmente lo siamo diventati, altrimenti non

elementi fondamentali del vostro immagina-

disco in particolare.

saremmo qui. Più tempo passiamo insieme più

rio estetico…

V: E’ stato lui ad iniziarci al verbo… In questi

c’è bisogno di pazienza. La chiave sta nell’aver

A: Forse, ma non è qualcosa che cerchiamo

giorni non facciamo altro che ascoltare La dol-

sviluppato un alto livello di comprensione

consapevolmente. Non è una formula che pro-

ce vita di Ryan Paris.

reciproca…

viamo a ricreare ogni volta che scriviamo un

A: E poi siamo in piena ossessione per l’ame-

Come avete scelto il vostro nome?

brano. E’ un fatto molto più spontaneo, molto

ricano Roy Orbison e la sua Drove in the

A: L’abbiamo trovato nei biscotti della fortuna.

più naturale, non c’è alcuna forzatura.

night…

V: Prendila come una metafora. E’ spuntato

V: Non traggo ispirazione ne dai sogni ne

V: Ci piace tutto ciò che ha una melodia obli-

all’improvviso nel corso di una conversazione e

dalla malinconia. Lo odierei se arrivassi al un

qua, perversa, inusuale…

lo abbiamo tenuto… Ha un significato aperto,

punto di sedermi al pianoforte con l’intenzio-

Se non foste dei musicisti che lavoro vi pia-

nulla di specifico. Evoca un’immagine che pia-

ne di scrivere un brano malinconico: sarebbe

cerebbe fare?

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A: Il contadino

Ritrovarsi un audience con cui non condividia-

V: Il terzo membro dei Daft Punk o la loro spo-

V: La prostituta

mo nulla. Solo perché qualche rivista o sito

gliarellista!

A: Potresti lavorare vicino alla mia fattoria…

web ha deciso che siamo cool.

A: Arthur Russell

E da un po’ che siete in giro per l’Europa,

La mia paura più grande è venir fraintesi, avere

Ho incontrato i Fleet Foxes poco tempo fa

che idea vi siete fatti del vecchio continen-

il pubblico sbagliato per le ragioni sbagliate.

e alla mia domanda su quale fosse il loro

te? Quali sono le maggiori differenze che

V: Essere percepiti più grandi di quello che si

disco preferito del momento hanno risposto

avete notato rispetto agli Stati Uniti?

è in realtà può essere molto pericoloso… Non

Devotion dei Beach House. Voi cosa ne pen-

V: Gli idioti e gli ipocriti ci sono ovunque.

vorrei entrare a far parte di un sistema che ti

sate della loro musica?

A: Negli States la gente sembra più curiosa

fa apparire come una band di successo inter-

V: Li adoriamo. Sia musicalmente che umana-

e più incline alle novità musicali: un gruppo

nazionale quando in realtà sei solo un gruppo

mente. Siamo stati in tour con loro: sono per-

quindi rischia di essere dimenticato in fretta. In

come tanti altri.

sone dolcissime e artisti straordinari. Abbiamo

Europa invece è più facile costruirsi un pubbli-

Ritrovarsi ai concerti un sacco di gente solo

trascorso giorni favolosi insieme.

co fedele e duraturo… Mi sembra che ci sia un

perché qualcun altro ha deciso che in quel

A: Non c’è nessuno in questo momento in

rapporto meno superficiale con la musica…

momento sei figo mentre alle persone della

grado di giocare con le armonie a quel livello.

Cosa vi manca di più degli Stati Uniti quan-

tua musica non importa nulla. Sono al tuo

Sentite di appartenere a una scena in par-

do siete all’estero?

show solo perché è un evento mondano dove

ticolare? Qualcuno con cui condividete un

V: Il senso dell’umorismo, il sarcasmo.

farsi vedere…

approccio e un’estetica precisa?

A: Le autostrade.

Cosa ne pensate di tutta l’attenzione che vi

V: I Fleet Foxes sicuramente…

E di Baltimora?

ha dedicato Pitchfork, ne siete orgogliosi o

A: Poi ci sono un sacco di band di Baltimora

A: I miei amici.

vi da fastidio?

alle quali siamo particolarmente legati, più in

V: In questo momento non so se mi manca

V: Non possiamo che esserne orgogliosi. Lo

termini di approccio e di amicizia però…

qualcosa… Tutte le mie varie paranoie forse…

seguiamo regolarmente e crediamo sia uno

Avete voglia di farmi qualche nome?

C’è qualcuno in particolare che vi piacereb-

dei media musicali più qualificati e intelligenti

A: Future Islands, Video Hippos, Dan Deacon

be intervistare?

in circolazione. Hanno dei bravissimi scrittori

V: Una band elettronica chiamata Adventure

A: David Bowie: per metterlo alle strette e ca-

e un interesse genuino nei confronti della

A: Sono tutti gruppi eccellenti.

pire finalmente se è un poser o no…

musica…

Che animale vi piacerebbe essere?

V: Britney Spears. Così dopo potremmo uscire

Quali sono i momenti più memorabili della

V: Un gatto gigantesco. Un leopardo meglio.

a devastarci insieme. Sarebbe divertente… Oh

vostra carriera come Beach House? Gli hi-

Per andare in giro a terrorizzare qualche italia-

Britney guardati! Sei di nuovo bellissima! Quel

ghlights?

no, in particolare quel coglione che prima di

ragazzo era solo un coglione! Non preoccu-

A: E’ stato tutto un inferno sinora…

arrivare qui non ci ha fatto parcheggiare il fur-

parti, andrà tutto bene…(esplodiamo in una

V: Gli highlights sono una cosa strana. Spesso

gone e lasciare gli strumenti davanti al locale

risata immaginandoci la scena).

non hanno nulla a che fare con uno show.

solo perché stava parlando al telefonino sedu-

Se potessi rinascere uomo chi ti piacerebbe

Riguardano fatti e aneddoti prima o dopo un

to comodamente in macchina, in doppia fila…

essere?

concerto.

A: Forse un cane. Non saprei davvero…

V: Non sai quanto mi piacerebbe! E’ diverten-

Le persone che incontri, le cazzate che fai.

V: Tu potresti essere un uovo… (riesplode a

te che tu mi faccia questa domanda perché

Sono quelle le cose che ricordi alla fine di un

ridere scomposta)

proprio oggi ho chiesto ad Alex che tipo di

tour, che rendono tutta l’esperienza un fatto

Qual è la prima cosa che farete ritornati a

uomo potrei essere e non ha voluto rispon-

unico.

Baltimora?

dere…

A: Suonare la nostre canzoni in giro per il

V: Ripartirò immediatamente. Adesso che mi

A: Posso rispondere adesso…

mondo è già un privilegio comunque…

sono abituata alla vita da tour, a vivere pratica-

V: Ok ma devi essere serio, non provare a far-

Qual è stato il complimento che vi ha reso

mente su un furgone buona parte della gior-

mi incazzare…

più orgogliosi?

nata, sarà dura riadattarsi… Andrò a registrare

A: Hai presente il bassista dei Jesus Lizard?

V: Chiunque abbia voglia di condividere con

delle backing vocals per il nuovo singolo dei

V: Stai attento, potrei ucciderti…

noi la passione per la nostra musica ci rende

Grizzly Bear e accompagnerò i Walkmen in un

A: Quello con i capelli lunghi, sempre unti e la

incredibilmente fieri di quello che stiamo fa-

paio di date dal vivo.

barba incolta, un po’ grassottello…

cendo…

Dove vi piacerebbe avere la vostra casa sul-

V: Ma stai zitto! Perché?! Anche da uomo devo

E’ una gioia immensa sapere che un brano dei

la spiaggia?

essere un cesso? Perché?! A me piacerebbe

Beach House è entrato a far parte della vita di

V: Su una di quelle magnifiche spiagge nere

sembrare uno dei Creedence Clearwater e far-

un’altra persona…

della Nuova Zelanda. Quando sarò vecchia,

mi tutte le ragazze! Cosa che a te invece non

Cosa vi spaventa di più personalmente?

non adesso…

riesce particolarmente bene…

V: La morte

A: Non ne ho idea, forse potrei costruirmi una

E se tu Alex dovessi rinascere donna?

A: Perdere gli amici

casa proprio davanti a quella di Vittoria, solo

A: Kate Bush?

Come immaginate voi stessi tra dieci anni?

molto più bella…

V: Come no! Perché non Katie Holmes allora,

A: Pelato, con la pancia, senza nessuno intor-

V: Oddio sarebbe orribile. Mi comprerei subi-

che sfigato… (risate)

no… (ride)

to un cannone per distruggertela o la brucerei.

Cosa vi spaventa di più come band?

V: Probabilmente l’unica cosa certa è che io

Sarebbe tremendo vederti fuori al mattino

A: Instaurare un rapporto disonesto tra di noi,

e Alex non ci parleremo più e vivremo in due

sempre impegnato ad aggiustare qualcosa

i nostri fan e la musica che facciamo… Avere

emisferi diversi… Ok, scherzo piccolino… Non

o indaffarato nei lavori di casa. Intollerabile!

gente che ci segue solo perché fa figo farlo,

vorrei mai che succedesse… (rivolta ad Alex)

Oppure la ridurrei un macello ogni volta che

senza nessun interesse reale per quello che

Se foste una band elettronica chi vi piace-

esci, per ricordarti costantemente che nulla è

siamo…

rebbe essere?

perfetto.

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“Non traggo ispirazione né dai sogni né dalla malinconia. Lo odierei se arrivassi al un punto di sedermi al pianoforte con l’intenzione di scrivere un brano malinconico: sarebbe solo un artificio, un gioco estetico”.

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Andrew Weatherall Novotel, stanza 709. Il grigiore delle pareti stride con l’aria frizzante che avvolge la notte milanese di Elita, un po’ meno con la nuvola di fumo dietro cui si materializza la sagoma di Andrew Weatherall. Con la cicca sempre accesa in bocca, il leggendario dj e produttore sopravvissuto all’acid (house), che ha lanciato i suoni di Madchester e il rock screamadelico sulle piste di 24 hour party people, siglato gli anni d’oro della Warp e remixato chiunque dai My Bloody Valentine a Villalobos, si presenta all’appuntamento lucido e disponibile. Un vero gentleman inglese. La sua visione spaziale di musica moderna sfida uno stile senza tempo e una passione, nemmeno troppo velata, per il rock’n’roll anni Cinquanta. Un uomo tenace, che ha rischiato e messo in discussione i propri principi, ma è riuscito a mantenerli solidi. La metafora della sua vita, rubata a un pescatore del Mare del Nord, è tatuata sugli avambracci: “Fail we may, sail we must (Possiamo fallire, ma dobbiamo navigare)”. Intervista di Gaetano Scippa. Foto di Piotr Niepsuj Special thanks: Annalaura Giorgio (Elita)

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Sei in giro da un bel po’, cosa ricordi dei tuoi esordi? Agli inizi è stato tutto molto casuale. Vent’anni fa la maggior parte delle persone andava nei club per divertirsi, ascoltare buona musica, prendere droghe e conoscere ragazze. Come me del resto. Avevo una discreta collezione personale di dischi e, quando l’acid house cominciò a diffondersi in Inghilterra, io ero quello che andava a suonare alle 6 di mattina. Mettevo di tutto, elettronica, reggae, punk. Non mi vedevo come un dj, ero considerato il tipo che suonava un sacco di musica strana quando erano tutti già strafatti. Pensa, trasportavo i miei dischi in un sacchetto di plastica… In una delle prime date, uscendo dalla macchina, la busta si incastrò nello sportello e si squarciò facendo cadere a terra tutti i vinili. Col tempo ho fatto sempre più date in prima serata, quindi dovevo mettere pezzi house e techno. Ma essere dj allora non era un grande affare, non c’era il clamore di oggi, nessuno voleva diventare dj a tutti i costi. Si suonava per il gusto di farlo, per il piacere della musica. A stento si guadagnava qualcosa. Anzi, io spendevo molto più in dischi di quanto ricevessi come compenso. Tra l’altro volevo rimanere anonimo, ma uno dei primi club scrisse sul volantino il mio nome e quello è rimasto. Mi apprezzavano perché amavo ciò che facevo, non perché volevo diventare famoso. A parte l’edonismo, quali differenze tra l’essere dj oggi e vent’anni fa? Oggi ogni settimana escono centinaia di migliaia di dischi house e techno, mentre prima non era facile trovare in giro musica, non c’era una così ampia scelta. Allora c’erano pochi negozi e ogni volta che usciva un disco nuovo si lottava per averlo. Ricordo ancora la corsa quando uscì French Kiss dei Lil’ Louis… c’era gente che si pestava per l’ultima copia disponibile! I dj suonavano cose diverse, dall’house all’elettronica anni Ottanta, proprio perché non c’era tutta la disponibilità di adesso. La gente richiedeva loro certe canzoni perché erano gli unici ad averle. Invece dei computer e del download si usava l’immaginazione. Oggi invece basta andare in giro con un laptop e scaricare le ultime uscite, che è molto pratico ma poco fantasioso. E’ fantastico che chiunque possa fare musica, ma purtroppo si è perso il controllo sulla qualità. Dici di essere molto esigente con te stesso. Come fai a resistere circondato da uscite di bassa qualità? E’ difficile sopravvivere in un mondo usa e getta, dove le mode cambiano ogni settimana. Ma forse è per questo che piaccio alle persone, per il mio background ventennale. Chiunque abbia una storia alle spalle parte avvantaggiato, specie nei momenti di crisi economica. Ricevo tuttora parecchie offerte per serate per via della mia esperienza e,

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spero, anche per la qualità. Continuo a fare questo mestiere perché amo la musica, sono molto curioso e critico verso me stesso. Non mi piace lasciare le cose al caso, sono sempre alla ricerca di obiettivi nuovi e più difficili, ma non ho mai raggiunto la perfezione. Per fortuna, perché in quel caso dovrei cambiare lavoro. Com’era il tuo pubblico nel periodo dell’acid house? C’era più psichedelia all’epoca o negli anni Sessanta? Nel periodo acid la gente era più eclettica e aperta di mente, non voleva rimanere ancorata allo stesso tipo di musica per tutta la sera. Ma non era semplice accontentarla. Mi è capitato diverse volte di essere spintonato mentre ero in consolle, specie all’inizio di carriera. Una volta, in un grande club di Ibiza, mi tirarono letteralmente giù dalla postazione dopo quattro dischi perché considerati troppo strani dai gestori. Oggi è tutto tematico e ristretto a un solo tipo di sound, dalle serate minimal a quelle disco, a meno che non si abbia l’opportunità di suonare per tre o quattro ore di fila. Quanto alla psichedelia, beh, è un discorso difficile da spiegare. Per quanto mi riguarda risale ai primi anni Ottanta, molto prima dell’acid house, quando assumevo parecchi acidi e consideravo come musica psichedelica quella dell’elettricità. Passavo ore seduto in bagno ad ascoltare il ronzio elettrico della caldaia e fissavo un qualsiasi punto sulla parete o per terra, che mi sembrava un mondo. Una piega del letto era una montagna da scalare. Musica o meno, sotto LSD ogni cosa dal punto di vista visuale mi appareva psichedelica. In effetti non so cosa sia la musica psichedelica, anche se ovviamente certi dischi degli anni Sessanta vengono associati ad essa. Com’è nata la tua passione per la musica? Il primo amore è stato per il rock’n’roll degli anni Cinquanta, che ho scoperto nel 1974 (avevo 11 anni), periodo in cui era revival in Europa. Fu il primo genere di musica a suscitarmi qualcosa, a farmi sentire strano. Lo stesso mi accadde con il glam rock di T.Rex, Slade e The Glitter Band. Sapevo che il glam altro non era che rock’n’roll basilare vestito con pantaloni appariscenti e chiome lunghe. Poi uscì un film, That’ll Be The Day (dal titolo di Buddy Holly) sul passaggio in Inghilterra a fine anni Cinquanta dal rock’n’roll al rhythm’n’blues e i Beatles, con i Teddy Boys ecc., che influì molto sul mio immaginario. Crescendo in periferia, poi, il tutto si amplificava. Pensa a come potevi sentirti se uscivi per strada vestito come David Bowie in Starman a Top Of The Pops! Quella fu una delle cose più esaltanti che abbia mai visto nella mia vita. Da allora, anche attraverso il punk, ho sempre associato la moda alla musica. Che moda associavi all’acid house?

A dire il vero l’ecstasy mi apriva la mente ma distruggeva tutto il resto, compreso il mio gusto nel vestirmi facendolo diventare alquanto improbabile (ride, ndr). Nonostante che la moda acid fosse molto hippy, io mi limitavo a portare i capelli lunghi. Mai messo vestiti con i fiori! Però portavo abiti più colorati rispetto alla decade precedente, quando vestivo di nero o in mimetica perché ossessionato dal dark di Joy Division e New Order e dal pesante industrial dei Throbbing Gristle. Per questo l’arrivo dell’acid house e l’assunzione di ecstasy sono stati per me come una vacanza di dieci anni, in cui ho ritrovato la leggerezza (ride, ndr) che avevo perso nel mondo postindustriale. Le canzoni erano tutte più allegre, ma forse era solo l’effetto della droga che mi mandava in pappa il cervello. A un certo punto però ho dovuto smettere, perché mi presentavo a serate sempre più importanti in condizioni pietose, lanciavo i dischi per aria e mi prendevo in giro da solo. Non ero più in grado di fare seriamente il mio lavoro, mi pagavano bene e rischiavo di perdere tutto. In che anno hai smesso di prendere acidi? Ho iniziato nel 1984, quando un amico mi portò la roba da New York, e ho smesso dopo un uso poco costante nel 1994-95. Gli anni del tuo picco artistico. Come hai fatto a conciliare l’attività di dj con quelle di produttore e remixer? E’ semplice, specie se produci o fai remix di musica dance. Devi fare il dj nei week-end per sapere cosa succede in pista, e se questo ti esalta il lunedì quando entri in studio sei molto più ispirato. E se sei ispirato in studio, quando torni nel club suoni meglio. Le due cose si alimentano a vicenda. La mia attività di remixer è decollata dopo la produzione di Loaded e ovviamente di Screamadelica dei Primal Scream. Avevo già fatto qualcosa per gli Happy Mondays, New Order e altri gruppi, ma prima di allora nessuno aveva preso in considerazione i Primal Scream. Quel disco è stato una sorta di progetto che ha anticipato l’indie-dance di adesso. Eri consapevole che avresti cambiato le sorti del rock per le generazioni a seguire? Non ci ho mai pensato. Essendo appassionato di musica dance, ho sempre apprezzato i gruppi rock come i Primal Scream che frequentavano i club per la mia stessa passione, per ballare, non per farsi notare o peggio ancora per fare carriera. Ho rifiutato di remixare molte band per questo motivo. Loro li vidi per la prima volta a un concerto che dovevo recensire come giornalista per l’NME, e mi fecero un’ottima impressione. Poi li rividi scatenarsi in pista a una serata dove facevo il dj e da lì nacque il nostro sodalizio, in modo naturale e artistico. Ero sicuro che non se la sarebbero presa se avessi eliminato le voci e modificato le percussioni dei loro pezzi.

Come vi siete presentati? Era un lunedì, serata acid house allo Spectrum di Londra. Il mio manager Jeff Barrow era anche il loro addetto stampa. Venne da me con un pezzo dei Primal Scream dicendomi: “Non se lo fila nessuno, sei l’unico a cui può piacere. Fanne il cazzo che vuoi!”. La musica migliore nasce dalle situazioni più casuali come quella, dove artisti e musicisti si incontrano perché è l’unica cosa che sanno fare, non sanno comunicare in altro modo. Se ti siedi intorno a un tavolo facendo equazioni, grafici e classifiche non ottieni quasi mai nulla. Ti succedono ancora situazioni del genere? Non così. Mi piace ancora fare remix, ma è naturale avere alti e bassi come in tutti i lavori. In questo periodo mi va bene, mi sono arrivate molte richieste. Sto lavorando per Manic Street Preachers, Adult e Florence and the Machine. Succede sempre così, si torna alla ribalta dopo aver fatto un bel remix, che nel mio caso è stato un brano dell’anno scorso, Uptown dei Primal Scream. Mi diverto tuttora a sentire le tracce di altri artisti, capire come mettono insieme le varie parti ed entrare nella loro testa. Non si finisce mai di imparare. Chi ti ha colpito di recente? Joe Gideon & The Shark, un duo londinese composto da fratello e sorella che suonano un po’ come The White Stripes meet The Bad Seeds. Li ho conosciuti come opening act di Nick Cave, una bomba! Adoro Pete Molinari, un cantautore prodigio che ha registrato il suo primo album nella cucina di Billy Childish e canta country alla vecchia maniera come Hank Williams e Patsy Cline. Poi ci sono alcuni come Fuskee e Shaun Johnston che fanno ottima musica disco psichedelica, lenta e groovy, molto meno noiosa di certa techno e minimal… Mi piace la minimal e in genere la musica funzionale e dritta, però mi ha un po’ stufato ultimamente. Cosa ne pensi di producer acclamati come Erol Alkan? Erol è un tipo strano, l’ho sentito solo un paio di volte a Londra e mette musica un po’ troppo indie per i miei gusti, cose tipo Klaxons che non mi esaltano. Mi piacciono alcune sue produzioni, ma in generale lo preferisco come remixer. Uno dei miei remix dell’anno è la sua versione con Richard Norris di Ulysses dei Franz Ferdinand sotto l’alias Beyond The Wizard’s Sleeve. Cosa ti ha influenzato per il tuo ultimo album Andrew Weatherall vs the Boardroom? Quel disco mi piace molto, perché riassume un po’ tutto il mio trascorso post-punk, dub e techno. Così come il mio primo album da solista (A Pox On The Pioneers, ndr), che uscirà tra un paio di mesi e rappresenta trent’anni della mia storia musicale, ma non è influenzato solo dalla musica. Mi condiziona ogni forma d’arte, la pittura, la letteratura e i film,

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soprattutto le storie sui gangster degli anni Quaranta e Cinquanta che condensano in una frase o in una scena il trash e il pulp. Questi racconti, scritti da autori spesso sottovalutati, si trovano nei libri che un tempo si vendevano per strada con quelli comici, e sono brevi ma molto efficaci. Adoro anche la capacità di sintesi di autori come Checov e Conrad, perché quando si scrive una canzone pop di tre minuti bisogna fare lo stesso, condensare in poche parole intere situazioni. A volte la pittura è un modo più immediato per esprimere emozioni e sentimenti, per cui anch’io mi diletto con questa forma artistica, soprattutto con la serigrafia e la xilografia. L’artwork dell’ultimo disco così come quello dei Two Lone Swordsmen è opera mia. Da ragazzo andavo malissimo a scuola ed ero un po’ troppo hooligan, per cui a 18 anni provai a entrare alla scuola d’arte ma ero troppo ribelle anche per quella (ride, ndr). Ha senso fare un album di musica dance, quando sembra più logico un singolo o un remix? In effetti è difficile fare un album che suoni bene nel suo insieme e non una semplice raccolta di tracce, problema di gran parte delle uscite techno ed elettroniche. Ma credo di esserci riuscito col mio ultimo album, dove ogni pezzo dura al massimo quattro minuti e il disco nel complesso funziona. Ho fatto tutto da solo, specie in fase di scrittura, proprio per renderlo omogeneo e non scendere a compromessi con le idee di altre persone, per non dipendere da nessuno ed essere completamente consapevole e responsabile del risultato. Se farà schifo sarà solo colpa mia. Sei stato paragonato al produttore Joe Meek per i tuoi metodi di registrazione... Oh mio dio, quell’uomo era un mito! Ho persino intitolato Meek uno strano 12” in suo onore. Il processo di scrittura che adotto all’inizio è tipico dell’elettronica: scrivo linee melodiche con computer e tastiera. Anche se non è una traccia dance, parto sempre dalla ritmica, dalle linee di batteria (dal vivo o campionata) e basso, poi passo agli accordi. Quindi lo sviluppo diventa più organico, nel senso che si aggiungono parti strumentali. Vivo in una zona di Londra molto creativa e diversi musicisti passano da casa mia, chi con una chitarra (come è successo con gli Adult), chi con altri strumenti. E ci suonano sopra, dando alla base elettronica un suono quasi live. Chi suona gli strumenti nel tuo primo disco solista? Suono da solo la batteria, le tastiere e canto. Da dieci anni ho smesso di spendere denaro nell’acquisto di dischi per trovare e campionare i suoni giusti, perché con un drumkit posso crearli di persona e anche meglio in un buono studio di registrazione. Non è la prima volta che canti. 82 PIG MAGAZINE

Infatti, a 16 anni cantavo in un gruppo groove (A Fractured Touch, ndr) ma per anni non l’ho più fatto. Ho ripreso per i due album di Two Lone Swordsmen, con qualche difficoltà (ride, ndr). Avrei fatto più soldi e sarei diventato più popolare se avessi fatto cantare qualcuno dei miei amici famosi. Ma non sarebbe stata la mia musica. Non mi piacciono le collaborazioni nei dischi dove ci sono diversi cantanti… Per migliorare le mie capacità vocali ho dovuto cantare dal vivo nei festival, davanti a migliaia di persone. E’ stata una prova durissima, come scalare una montagna, anche perché arrivavo da un periodo un po’ difficile della mia vita ed ero molto insicuro. Mi avrebbero potuto fischiare, lanciare oggetti contro. Cantare non è stata solo una scelta artistica, ma anche personale. I live mi hanno rafforzato interiormente e aiutato a prendere confidenza con la mia voce, che all’inizio era nella media ma alla fine, nel nuovo album, è davvero soddisfacente. Consideri ancora Primal Scream e Clash le migliori rock band al mondo? (Ride di gusto, ndr) Sono ancora tra le mie preferite, non ci sono molti gruppi rock buoni in giro. Sono un fan dei Rolling Stones, ma preferisco tornare indietro con la memoria agli anni Cinquanta. Probabilmente il miglior gruppo rock al mondo era The Johnny Burnette Trio, ma anche Gene Vincent e i Blue Caps. C’è una differenza enorme tra il rock e il rock’n’roll, non a caso quest’ultimo ha qualcosa in più, il roll. A me piace il rock’n’roll, non il rock. Molta musica rock è troppo rigida per i miei gusti, non ha lo swing. Cosa provi a essere considerato una leggenda vivente? (Ride e ironizza, ndr) Mi alzo la mattina, mi guardo allo specchio e dico: “Guarda che leggenda!”. All’inizio del successo ero un po’ fuori controllo e troppo arrogante, ma era solo un misto di eccitazione e insicurezza. Una maschera per nascondere le mie fragilità. Perché ero sempre stato ossessionato dalla musica, avevo letto NME per anni e un bel giorno, all’improvviso, aprivo gli occhi e ci trovavo dentro la mia immagine. Quindici anni fa se qualcuno veniva lì a farmi i complimenti mi gasavo o lo mandavo a quel paese con atteggiamento snob. Adesso sono molto più calmo, direi un gentleman, mi limito a ringraziare con gentilezza. Non mi piace il successo in sé, voglio che lo status sia fondato su basi solide, su ciò che ho prodotto. La cosa più soddisfacente per me non è la fama, ma la certezza di aver fatto un buon lavoro. Hai mai sfruttato la tua fama per conquistare le ragazze? Yeah, ma non entro nei dettagli (ride, ndr). Soprattutto nei primi due anni dopo l’uscita di Screamadelica, mi trovavo spesso circondato da groupies e quindi… era puro divertimento. Poi, verso la metà degli anni Novanta, mi

sono reso conto che le uniche cose in comune che avevo con le persone che mi circondavano erano la stanza dell’hotel e quella merda di droga che consumavamo. Da circa dieci anni preferisco mettermi al lavoro piuttosto che andare alle feste. E ora? Com’è il tuo stile di vita? (Scherzando, ndr) Sono tornato a prendere quella merda di droga. No dai, faccio un gran bel lavoro. E mai come ora che è così difficile vendere dischi, è importante rimanere concentrati e fare le cose sul serio. Mi è capitato ancora di partecipare ai party e prendere droga, ma quattro anni fa ho avuto problemi molto seri. Ero arrivato a consumare 2 o 3 grammi di cocaina e una bottiglia di brandy tutti i giorni. Ho realizzato di essere arrivato al limite, ero disposto a vendere lo studio di registrazione e se lo avessi fatto avrei perso il lavoro, tutto. Ho smesso di colpo. Ho sofferto molto, sia fisicamente sia mentalmente, ma ho fatto una scelta. Mi sono divertito alle feste e con la droga, ma mi diverto di più a fare musica. Ti alzi ancora alle sei del pomeriggio la domenica? No, no! E’ un rischio se devo suonare il sabato sera, specie in Europa, ma cerco di alzarmi comunque a un’ora decente. In settimana sono abituato a svegliarmi presto la mattina, per poter lavorare in studio da mezzogiorno alle otto di sera. Otto ore, come qualsiasi lavoratore. Non mi piace sforare, piuttosto che star lì seduto sulle stesse cose alle quattro di notte, preferisco andare a casa e svegliarmi il mattino dopo con idee fresche. Ho sempre avuto una forte etica del lavoro, fin da ragazzo, quando mi svegliavo alle sei del mattino per andare a fare l’operaio. Con la crisi economica e la quantità di musica in giro bisogna lavorare il doppio per restare allo stesso posto. Mark E. Smith (The Fall, ndr) ha detto: “La gente pensa che il rock’n’roll sia il mestiere più facile al mondo, ma sei fai rock’n’roll in modo serio è il mestiere più difficile al mondo”. Ho letto questa sua affermazione cinque anni fa in piena session di cocaina e ho pensato che aveva ragione. Sarei dovuto uscirne subito. Cosa desideri per il tuo futuro? Nulla di quanto già non abbia. Sono la persona meno competitiva al mondo. Non è mancanza di ambizione, solo il desiderio di continuare a fare musica, scrivere, dipingere, iniziare un nuovo programma alla radio, rimanere me stesso. Ho raggiunto un buon equilibrio e uno stile di vita che mi piace, mi permette di essere felice senza compromessi pur non essendo miliardario. Per il mio futuro voglio mantenere il sistema che ho costruito negli ultimi dieci anni ed essere completamente responsabile di me stesso e delle mie azioni.


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Martin De Thurah Martin De Thurah è destinato, più di chiunque altro, a raccogliere l’eredità dei maestri Michel Gondry, Spike Jonze e Chris Cunningham, nel dare una dignità artistica al linguaggio del video-clip. Danese, 35 anni, ha lavorato con nomi del calibro di Kanye West, Editors, Futureheads, Mew, Glasvegas ma è, soprattutto, l’autore di uno dei video più intensi e spettacolari del decennio: “What Else Is There” dei Royksopp. Un clip visionario che attinge nel profondo della dimensione onirica del suo autore, sintetizzando una visione estetica personalissima, ripresa anche nei due mediometraggi “Young Man Falling” e “We who stayed behind”. Senza dimenticare uno dei capolavori dell’anno: il suo ultimo -entusiasmante- video girato per “When I grow up” di Fever Ray… Il danese ha un futuro luminoso davanti e PIG lo ha intervistato in esclusiva, trovandolo in procinto di partire per la sua prima retrospettiva monografica. Dove? A Bogotà, in Colombia! Miracoli della globalizzazione… Intervista di Marco Lombardo. Foto di Sacha Maric. Colors & retouch: Werkstette.

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Ciao Martin, come stai? Benissimo grazie, è una splendida giornata di sole da queste parti. La prima dopo parecchi giorni di freddo e pioggia costanti… Dove ti trovi in questo momento? Sono negli uffici della Bacon, la mia casa di produzione. In realtà sono in cortile a prendere un po’ di sole, spero di abbronzarmi un po’ durante questa intervista! Sei a Copenaghen quindi? Esatto, sono a casa, ma domani parto per Bogotà… Bogotà? Sì, andrò ad inaugurare la mia prima retrospettiva monografica. Un evento collegato a un film festival, dove verranno proiettati i miei due cortometraggi e in seguito terrò un seminario. La tua fama quindi è arrivata sino in Colombia… Non posso che esserne felice e ovviamente sorpreso. Le cose stanno andando parecchio bene ultimamente… Hai voglia di raccontarmi la tua storia e cosa ti ha spinto a diventare un filmmaker? Ho iniziato a dipingere al liceo e per anni mi sono dedicato soltanto alla pittura. Avevo un atelier e mi occupavo principalmente di arti figurative e grafica. A un certo punto però ho sentito il bisogno di entrare in una scuola d’arte per affinare la tecnica e allargare i miei orizzonti. All’inizio ho pensato di iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti, ma nel frattempo stava crescendo in me l’esigenza di confrontarmi con un nuovo mezzo espressivo, che mi desse l’opportunità di uscire dal mio guscio e di confrontarmi con il mondo esterno. Dipingere è fondamentalmente un fatto privato, ma io a quel punto sentivo il bisogno di interagire, di condividere le mie idee con altre persone, immergermi in una realtà che avesse una dimensione più collettiva. Così, quasi per gioco, senza nessuna reale speranza di farcela, ho fatto un test di ammissione alla scuola di cinematografia. Le possibilità che mi prendessero erano quasi nulle: venivano selezionati soltanto sei persone ogni due anni, a seconda dei vari dipartimenti, a fronte di una richiesta di centinaia e centinaia di aspiranti cineasti. Immagino già l’happy ending della storia… Sì esatto, con mia grande sorpresa sono stato selezionato. Non avevo mai lavorato con il cinema e quindi ero nervosissimo, avevo paura che non sarei mai stato all’altezza. C’era però qualcosa nel linguaggio cinematografico che mi affascinava, qualcosa di unico, in grado di smuovermi all’interno, più di qualsiasi altra arte. Ero attratto da questo mezzo che non conoscevo, volevo appropriarmi dei suoi segreti, padroneggiarne la tecnica. Ho imparato moltissimo in quegli anni, soprattutto a mescolare stili diversi: fiction, animazione, documentario. Il tuo primo video musicale? E’ venuto dopo la scuola, nel 2004. Dovevo girarlo con una mia amica artista, per una cantante danese: Lise Westzynthius. Durante la fase di preparazione però questa mia amica abbandonò il progetto per andare a lavorare a Londra e io decisi di continuare da solo, anche

se non avevo la minima idea di come sarebbe andata a finire. Incontrai Lise, la cantante, e rimasi subito colpito dalla sua pelle pallidissima e le scattai delle foto. Soprattutto dei dettagli delle sue vene. Da lì presi l’idea di concentrarmi sul suo corpo e in particolare sulle sue vene e il sangue che vi scorreva all’interno. In animazione ho trasformato il suo flusso sanguigno in disegni dalle forme astratte, lungo le gambe, le braccia e così via. Come se un qualcosa di pericoloso stesse avanzando dentro di lei… Nonostante la mia inesperienza quel primo lavoro è piaciuto moltissimo… Il video musicale è stato sin dall’inizio un mezzo con il quale volevi cimentarti e costruirti una carriera o è stato un incidente di percorso? All’epoca ero più che altro interessato a creare un linguaggio personale. Sin dai tempi della scuola ho cercato di combinare le forme d’espressione più diverse, alla ricerca di un’estetica specifica, altamente riconoscibile. Spesso un film si limita a raccontare una storia attraverso le immagini, traducendo la parola scritta. Io volevo evitare questa strada, caricando ogni inquadratura con diverse sfumature e livelli di significato differenti, applicando al cinema un approccio che ho ereditato dalla pittura. Il video musicale è un mezzo altamente evocativo, che permette di sperimentare molto, lasciando all’artista o al gruppo di turno il compito di comunicare con le parole, mentre al regista spetta arredare lo spazio visivo suggerito dalla musica. E’ un’ottima palestra creativa. Dopo quel primo video rimasi entusiasta perché ero finalmente riuscito ad esprimermi in maniera profonda. Poco tempo dopo altre band hanno iniziato a contattarmi e ho capito di voler approfondire la mia relazione con quel formato, sperando un giorno di arrivare a dirigere degli artisti di caratura internazionale. Non avrei mai creduto che un giorno sarebbe successo davvero… Sino a quando non è arrivata la proposta dei Royksopp a smentirti… Esatto, loro sono stati la prima band davvero famosa con la quale ho lavorato… Mi racconti com’è andata? I Royksopp erano alla ricerca di un regista da più di un mese quando si sono imbattuti in Human dei Carpark North: un video che mi è valso i primi riconoscimenti internazionali e che ha diffuso il mio nome, per la prima volta, al di fuori dei circuiti locali. Quando mi hanno contattato, per chiedermi di girare un clip per loro, ero nel mezzo di un altro progetto, nello specifico con i Mew, una band danese. What Else Is There però era la mia canzone preferita del loro album e nonostante non avessi tempo, perché impegnato con un altro gruppo, ho deciso incoscientemente di accettare lo stesso la proposta. L’occasione era troppo importante. Ho chiamato il mio editor e gli ho detto che sarei stato leggermente in ritardo con il video dei Mew e la mattina stessa mentre ero in ufficio, quasi nel panico, ho scritto di getto l’idea per What Else Is There. La sera prima

avevo avuto uno di quei sogni ricorrenti che faccio sin da quando sono bambino: un sogno dove mi muovo fluttuando attraverso differenti spazi emozionali, attraverso paesaggi diversi, all’interno dei quali mi sposto concentrandomi sui miei stati d’animo. E’ un sogno che faccio da quando ho otto anni: i movimenti del mio corpo non sono più collegati a delle reazioni muscolari ma a delle reazioni emotive. Ho deciso che quel sogno sarebbe stato il soggetto principale per il video dei Royksopp. La protagonista infatti in What Else Is There non compie un movimento fisico ma bensì mentale… In seguito ho aggiunto, a quel primo livello di significato, un riferimento ad una sensazione che spesso mi attraversa nella vita quotidiana ma che non sono mai riuscito davvero a decifrare: un senso di attesa, quasi un desiderio inconscio, affinché avvenga un qualcosa di drammatico che interrompa il corso ordinario della giornata, svegliandomi dal torpore della routine. Ecco perché ho voluto inserire in lontananza le immagini di una tempesta incombente: per evocare quella sensazione, per suscitare quello stato d’animo, come se qualcosa d’irrimediabile stesse per accadere. Un altro aspetto importante del soggetto riguardava il concetto di sdoppiamento e identificazione: la protagonista infatti a un certo punto smette di fluttuare nell’aria e cammina in una stanza che sembra un dipinto rinascimentale, dove incontra se stessa. Non a caso però questa se stessa è un’altra persona, nello specifico Karin Dreijer dei The Knife… Come puoi constatare avevo tra le mani un’idea molto astratta e stratificata… Ho scritto tutto in poco più di due ore, quasi in uno stato di dormiveglia… Quanto tempo hai impiegato invece a trasformare il soggetto in immagini? Ho avuto pochissimo tempo: un giorno per le riprese principali, uno per i dettagli e neanche due settimane per la post-produzione. Dopodiché sono volato a Parigi per mostrarlo ai Royksopp e ai tipi della casa discografica… E ovviamente se ne sono innamorati… No, di fatto la prima visione è stata un disastro. La stanza dove tenemmo la riunione era inondata di luce e lo schermo della televisione che usammo per lo screening era scurissimo, non si vedevano altro che dei riflessi indistinti su una superficie nera. Ogni tanto qua e là si riusciva appena a intravedere il viso della protagonista. Ti lascio immaginare l’imbarazzo generale. Nonostante ciò sono stati tutti gentilissimi e mi hanno ricoperto di cd prima di rispedirmi in Danimarca. Qualche giorno dopo mi hanno telefonato per congratularsi: avevano visto il video su una televisione normale, in condizioni di luce neutre. Ho tirato un sospiro di sollievo. Come hai convinto Karin Dreijer a farsi riprendere nel video dei Royksopp? Le ho detto che avrebbe soltanto mangiato una mela, per non più di due secondi. E’ bastato quello a convincerla (ride). Il giorno dopo era a Copenaghen nel mio studio di posa… Karin è una persona fantastica e molto divertente. Ci siamo piaciuti all’istante. Riesce sem85


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pre a farmi ridere… Immagino si tratti di stima reciproca, dato che poi ti ha affidato la regia di When I Grow Up, brano tratto dal suo esordio solista come Fever Ray… Ho incontrato i suoi manager lo scorso novembre a Londra, e mi hanno subito proposto di girare il video del secondo singolo estratto dal suo nuovo album. Ero entusiasta all’idea anche perché a dirigere il primo era stato chiamato un mio caro amico, nonché un regista dal talento straordinario, Andreas Nilsson. Hai avuto totale libertà artistica in questa occasione o Karin ha voluto mettere il suo zampino? Karin mi ha dato campo libero. Si è limitata ad approvare il progetto. Il budget a disposizione era molto basso quindi ho limitato il tutto a una sola location. Ancora una volta il soggetto è nato da un intreccio stratificato di ricordi e suggestioni. Come la sensazione di calma che mi avvolgeva tornato a casa da scuola, nel sobborgo residenziale di Copenaghen dove viveva la mia famiglia. Tornavo a casa a piedi e ad accogliermi c’era sempre un silenzio profondo, gli adulti erano ancora al lavoro, e l’intero quartiere era deserto. Ho pensato d’inserire una giovane ragazza in questo scenario, aggiungendoci una piscina. Un’idea che mi è venuta riguardando alcune foto che ho scattato durante un mio viaggio in Polonia. Sfogliando quelle foto mi ha colpito la desolazione di una piscina abbandonata che avevo fotografato. Ho deciso d’inserirla nel video come il luogo adibito a uno strano rituale privato, in cui l’acqua prende vita seguendo la danza di una ragazzina solitaria. Abbiamo girato tutto in un solo giorno, con l’aiuto di un sacco di amici, tutti entusiasti di far parte del progetto. Ci siamo ammazzati di freddo ma è stato uno dei set più divertenti al quale mi sia capitato di partecipare. Un altro video dalla straordinaria intensità visiva è quello di Flowers and Football Top dei Glasvegas… I Glasvegas, in questo caso, volevano una video performance dove fosse presente la band al completo. Avevano visto alcuni miei video ed erano affascinati dal modo in cui filmavo i gruppi. Siamo partiti da quel presupposto per poi sviluppare altre dimensioni testuali. La polvere che attraversa in maniera ricorrente le diverse scene del clip e connette le vite dei vari personaggi, la tempesta che consuma le loro esistenze, una storia d’amore fragile e tormentata, appena accennata. In questo video volevo rappresentare tutta una serie di emozioni elementari, molto minimali. Creare un’atmosfera densa di solitudine e di connessioni tra gli elementi del mondo naturale e i sentimenti più basilari dell’uomo… Hai lavorato anche con Kanye West per il video di Flashing Lights. Alla fine però il tuo lavoro è stato accantonato ed è stato rigirato il tutto con Spike Jonze. Cosa è andato storto in quell’occasione? Credo che il risultato fosse troppo europeo per i loro gusti. Abbiamo avuto molti problemi nel corso della lavorazione, soprattutto sul piano

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della produzione. I tempi si sono dimostrati troppo stretti, in parte a causa della limitata disponibilità di Kanye. Anche se di fatto non è stata colpa di nessuno, le cose non hanno semplicemente funzionato. Le aspettative erano altissime. Kanye avrebbe voluto un video dall’alto contenuto emotivo ma la mia visione non ha incontrato la sua estetica. E’ un peccato perché quel video può non essere un capolavoro, ma mostra Kanye West in una dimensione inedita, a mio avviso interessante. Spike Jonze in seguito si è semplicemente limitato ad aiutarlo a concretizzare un’ idea personale, che aveva già scritto di suo pugno… C’è qualche gruppo in particolare con il quale ti piacerebbe lavorare in futuro? Ce ne sono molti in realtà. I Depeche Mode ad esempio, o i Sonic Youth… Quali artisti hanno contribuito alla formazione della tua estetica? E’ difficile da dire, in maniera lucida. Sono influenzato dai pensieri e dagli stati d’animo più che dall’estetica. Ci sono moltissime cose che probabilmente hanno concorso a formare la mia personale visione del mondo, ma credo che in primo piano ci sia un livello inconscio a fare da filtro con la realtà esterna. Sono attratto dalle persone che hanno un aspetto vulnerabile ma allo stesso tempo una forte carica emozionale, mi interessa la complessità dell’essere umano… Credo sia la mia stessa sensibilità a generare la mia estetica, e non qualcosa di esterno… Con quale criterio accetti o meno un lavoro? Hai mai rifiutato di girare un video perché la musica non ti piaceva? Succede molto spesso. Anche se il più delle volte la ragione che mi spinge a rifiutare una commissione è la mancanza di tempo. Purtroppo è successo di recente con i Depeche Mode e gli Yeah Yeah Yeahs… Mi è dispiaciuto, ma proprio non avevo il tempo materiale… Sono sicuro che ci saranno altre occasioni in futuro… Stai lavorando a dei nuovi video in questo momento? Si, con i Mew, per cui ho già diretto un video in precedenza… E poi collaborerò con un’artista svedese, Jenny Wilson. Parallelamente alla tua carriera da regista di video-clip stai portando avanti anche quella relativa ai cortometraggi d’autore, con la prospettiva immagino di convogliare entrambe in un vero e proprio lungometraggio. Hai voglia di parlarmi un po’ di questa tua seconda “carriera”. Ho avuto la fortuna di vedere sia Young Man Falling che We Who Stayed Behind e sono rimasto estasiato dalla purezza e dall’intensità delle immagini. Emerge un talento cristallino e un immaginario poetico stratificato ed estremamente personale… Young Man Falling è stato il mio esordio alla regia, al di là ovviamente del discorso relativo ai video-clip. La sceneggiatura è frutto di una collaborazione tra me e Rune Schjott, un mio amico scrittore. Per un lungo periodo abbiamo fatto degli incontri in cui passavano intere serate a raccontarci della nostra adolescenza e della nostra infanzia, raccogliendo così un 88 PIG MAGAZINE

bagaglio di appunti da elaborare. Il più delle volte erano storie che riguardavano il senso di alienazione e di inadeguatezza che abbiamo attraversato in quegli anni. Sin dall’inizio è stato chiaro che i protagonisti sarebbero stati dei personaggi introversi, anche se dall’esterno avrebbero dovuto mantenere un’energia positiva e un candore adolescenziale. Abbiamo lavorato con un budget praticamente inesistente e attori non professionisti, ma, dalla prima inquadratura, mi sono reso conto di avere qualcosa di prezioso tra le mani. E’ stato un lavoro complesso e difficilissimo, gestire tutti gli aspetti di un film vero e proprio, anche se in formato cortometraggio, ma alla fine il senso di soddisfazione è stato inappagabile. I miei lavori non sono mai esplicitamente autobiografici, non raccontano storie che mi sono realmente accadute, sono frutto però di una profonda rielaborazione delle mie esperienze personali, riproposte attraverso un filtro estetico, e questo comporta un legame fortissimo con tutto quello che faccio come filmmaker. In ogni singola immagine c’è un pezzo di me, della mia storia… We who stayed behind invece mi è stato commissionato. La casa di produzione doveva girare un film sulla povertà infantile, e a lungo sono stato indeciso se accettare l’offerta o meno. Soltanto quando ho sviluppato un’ idea, un percorso legato al mio retaggio emozionale, sono stato in grado di dirigerlo. Ho memorie molte malinconiche della mia infanzia, per me è stato un periodo di grandi paure, incertezze, tormenti quasi apocalittici. Nel film però volevo immettere un evocativo senso di speranza perché è quello che credevo i bambini volessero vedere. E, d’altra parte, era quello che volevo provare io stesso, come adulto. We who stayed behind non è altro che una favola moderna… Quanto è importante la musica nella tua vita? E’ fondamentale, mi accompagna in ogni momento. Dall’istante in cui mi alzo sino a quando vado a dormire. Mi aiuta a concentrarmi nel lavoro, mi aiuta a mettere a fuoco le idee… Che cosa ti piace ascoltare? Di tutto, dai Pixies a Laurie Andersson… In quale film ti sarebbe piaciuto recitare? Avrei voluto avere il ruolo di Martin Sheen in Apocalypse Now o di Woody Allen in Manhattan… Cosa ti spaventa di più come persona? Il non riuscire a trovare un equilibrio tra il lavoro e il resto della mia vita. Come regista? Sono spaventato quando non so cosa sto facendo… Se potessi rinascere donna chi ti piacerebbe essere? Catherine Deneuve, o Michelle Obama (scoppiamo a ridere). Hai un video-clip preferito? Adoro All is Full Of Love, diretto da Chris Cunningham per Bjork e The Hardest Button To Button di Michel Gondry, per i White Stripes… Sono due maestri del genere… Come ti immagini tra dieci anni?

Indosserò un cappello, avrò un po’ di pancetta e due figli meravigliosi. Probabilmente non vivrò più in Danimarca e sarò in procinto di girare il mio quarto lungometraggio… Un attore che ti piacerebbe dirigere? Jean Paul Belmondo, Sean Penn e perché no, Johnny Depp. Se non fossi un regista che lavoro vorresti fare? L’ imprenditore forse, di Import/Export (ridiamo)… Qual è la sensazione che provi con maggiore frequenza in una giornata qualunque? Il desiderio di baciare combinato ad un’inquietudine costante. In senso positivo però… Se potessi viaggiare indietro nel tempo in quale epoca storica ti piacerebbe vivere? Il rinascimento. Qual è stata la prima cosa che hai pensato quando ti sei svegliato questa mattina? Dove ho messo il computer? Cosa fai di solito prima di andare a dormire? Ho l’abitudine di scrivere alcune mail, quelle personali, che non sono riuscito a mandare durante la giornata lavorativa… Se avessi l’opportunità di parlare al te stesso bambino cosa gli diresti? Don’t worry, is going to be ok… Quali poster avevi nella tua cameretta da piccolo? Quello di Top Gun, una pantera nera, e una donna con il seno prorompente (ride) Il tuo film danese preferito? Le onde del destino di Lars Von Trier, anche se in realtà è un film che ho visto molti anni fa. E’ più che altro un ricordo… Non so se penserei la stessa cosa riguardandolo oggi… La tua serie Tv preferita? Un qualsiasi programma della Bbc con gli animali… Ti piacerebbe lavorare con la televisione? Ad un progetto adatto a me, perché no. Si tratta sempre di comunicazione. Esiste della televisione di grande qualità. Anche se voi italiani immagino non ne sappiate un granché… (ride) Quanto dovremo aspettare per un tuo lungometraggio? Di fatto ho già iniziato a lavorarci. Probabilmente si tratterà di un thriller. Non ne sono ancora sicuro. Vorrei iniziare a girarlo entro la fine del prossimo anno. Cosa ti manca di più di Copenaghen quando sei all’estero? La mia bicicletta, soprattutto in estate. Come trascorri il tuo tempo libero? Cerco di stare con i miei amici il più possibile e mi piace ballare, anche se non si direbbe… In effetti mi sarei aspettato un altro genere di risposta, fai qualche ballo in particolare? No (esplode a ridere), I do my own dance… Immaginavo, e sono sicuro che ti riesca anche particolarmente bene… Cosa farai dopo questa intervista? Andrò a mettermi un po’ di crema doposole. Non vorrei ustionarmi prima di arrivare in Colombia!


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Dana & Sylvia Photographer: JONATHAN LEDER Stylist: ALLISON MILLER Makeup: MARI HATTORI Hair: TAKEO SUZUKI for Salon Shizen Models: DANA@ MC2mm & SYLVIA@ Code

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Sylvia: top by MISS SIXTY pantaloni in pelle by URBAN OUTFITTERS

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Dana: cardigan con bordo nero by BETSEY JOHNSON, bikini ADIDAS, cappello vintage da SCREAMING MIMI'S Sylvia: bikini by 55DSL, fascia per capelli vintag stylist's own, scarpe by URBAN OUTFITTERS

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Dana: body by BETSEY JOHNSON, pantaloncini MISS SIXTY, cintura vintage stylist's own Sylvia: top bianco by 55DSL, giacca by BETSEY JOHNSON, leggings by SCREAMING MIMI'S cintura URBAN OUTFITTERS

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Dana: body by URBAN OUTFITTERS, cintura MISS SIXTY Sylvia: babydoll by URBAN OUTFITTERS

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Dana: body by URBAN OUTFITTERS, cintura by Miss Sixty Sylvia: babydoll by URBAN OUTFITTERS

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Dana: Giacchetta corta in jeans MISS SIXTY, leggings by BETSEY JOHNSON. Sylvia: Body vintage e jeans by URBAN OUTFITTERS

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Dana: vintage top SCREAMING MIMI'S pantaloncini by URBAN OUTFITTERS. Sylvia: top by ADIDAS ORIGINALS coulotte in pizzo by SCREAMING MIMI'S

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Sylvia: cardigan con rose by BETSEY JOHNSON, reggiseno vintage by SCREAMING MIMI'S pantaloni in pelle URBAN OUTFITTERS, cintura vintage by SCREAMING MIMI’S Dana: top by FRED PERRY, reggiseno by BETSEY JOHNSON, jeans by LIPS

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Silvia: body in jeans by MISS SIXTY, bandana vintage stylist's own collana con croce stylist's own

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Occhiali vintage, borsa MIU MIU, scarpe NICOLE BRUNDAGE

Aymeline Photographer: SEAN MICHAEL BEOLCHINI Stylist: ILARIA NORSA Model: AYMELINE at Women Hair & Make up: SARA at Orea Malia Production: STEFANIA MAPELLI Asstnt Ph: GIOVANNI GALILEI Asstnt Stylist: FABIANA FIEROTTI Special thnks: Marco Amato e Matteo Convenevole

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Costume MIU MIU, scarpe NICOLE BRUNDAGE, occhiali vintage VALENTINO

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Costume vintage, scarpe NICOLE BRUNDAGE, occhiali DIOR

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Costume SESSUN, scarpe SALVATORE FERRAGAMO

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Telo MARC JACOBS, scarpe D&G

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Costume vintage YVES SAINT LAURENT, scarpe NICOLE BRUNDAGE

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Tutina - costume SEE BY CHLOE, spilla a fiore D&G, occhiali DIOR

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Costume DIESEL, occhiali SUPER, scarpe SALVATORE FERRAGAMO

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Costume M MISSONI, occhiali vintage SONIA RYKIEL

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Costume vintage YVES SAINT LAURENT, scarpe e orecchini STELLA McCARTNEY

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Costume vintage YVES YSL, scarpe SAINTeLAURENT, orrecchino scarpe STELLA STELLA MCCARTNEY McCARTNEY

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Costume STELLA McCARTNEY scarpe SALVATORE FERRAGAMO, occhiali SUPER

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Costume SESSUN, occhiali vintage

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Piglist: Questo mese lo spazio della nostra Piglist abbiamo voluto lasciarlo a Little Boots e La Roux, due tra le nuove starlette del panorama electro pop internazionale. Entrambe si esibiranno al Sonar 2009; consideratela una sorta di anticpazione...

La Roux 1.Mr. Scruff feat. Feebi - Honeydew 2.Sly And Robbie - Boops (Here to Go) 3.Heaven 17 - And That's No Lie 4.Tears For Fears - Broken 5.Tears for Fears - Everybody 6.Wants to Rule The World 7.Roots Manuva - Do Nah Bodda Mi 8.Noel - Dreams Come True 9.John Maus - Times is Weird 10.Terence Trent D'Arby - Sign Your Name 11. Florence and the Machine - Rabbit Heart

Little Boots 1.Beach Boys - Don’t Worry Baby Una canzone grandiosa, mi piace quando nel ritornello cambia di tonalità. Me l’ha suonata il mio fidanzato la prima volta che siamo usciti, quindi ha un valore sentimentale per me.

2.Kate Bush - Lionheart Mi piace il fatto che parli dell’Inghilterra... E che lei sia vestita da leonessa sulla copertina dell’album.

3.Gary Numan - Are Friends Electric I synth e il testo di questo brano sono bellissimi.

4.The Human League - Keep Feeling Fascination Le melodie sono fantastiche e mi piace molto il punto in cui dice: “la conversazione cambia non appena tramonta il sole”.

5.Madonna - Dress You Up In My Love E’ una bella canzone pop, divertente, specialmente da ballare quando sei fuori.

6.Burt Bacharach - The Look Of Love Suonavo questa canzone negli hotel quando facevo jazz. Burt è un cantautore strepitoso.

7.Kylie Minogue - Confide In Me La mia canzone preferita di Kylie: mi piacciono gli archi e il video è davvero bello. E’ un pezzo abbastanza strano per lei, per la principessa del pop... Molto sperimentale. 8.Patrick Cowley & Sylvester - Do U Wanna Funk

9.Britney Spears - Toxic Sono un grande fan di Cathy Dennis, l’autrice di questo pezzo. E un brano molto astuto...

10.Lisa Loeb - Stay I Missed You Una delle mie canzoni preferite di quando ero una teenager, a Blackpool.

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Foto di Meschina

Perfetta per un DJ set: è divertente e ha un’ottima presa sul pubblico.


16th Barcelona’s International Festival of Advanced Music and Multimedia Art www.sonar.es

18.19.20 June

orbital, grace jones, animal collective, fever ray, crystal castles, late of the pier, carl craig, crookers, moderat, jeff mills, deadmau5, sebastian, buraka som sistema, richie hawtin, james murphy & pat mahoney (lcd soundsystem special disco set), mujava, rriiccee, luomo, micachu & the shapes, erol alkan presents disco 3000, little boots, konono nº 1, ebony bones, la roux, mary anne hobbs, heartbreak, snd, byetone, alva noto, atom tm, joker, dan le sac vs scroobious pip, rob da bank, marcel dettmann, shed, bomb squad, beardyman, brodinski, don rimini, breakbot, busy p, bullion, filastine, mike slott, martyn, michna, roland olbeter + tim exile + jon hopkins, lukid, joe crepúsculo, james pants, dsl, lars horntveth + bcn216, mark jones, xxxchange, jamie woon, dorian concept, goldielocks, tarántula vs. o.c.g, outlines, lusine, institut fatima, the sight below, colch-ón vs. suma, the gaslamp killer… listen to them at SonarRadio www.sonar.es an initiative of

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Musica Album del mese Di Depolique e Marco Lombardo.

Passion Pit - Manners (Columbia) Dopo aver messo in subbuglio la blogosfera con un singolo che strizzava l’occhio ai The Avalanches (Sleepyhead tratto dall’ep Chunk of Change del 2008), i Passion Pit hanno deciso di fare il grande passo, lasciandosi ammaliare dalle sirene della Columbia. Se ci troveremo davanti un fuoco di paglia o delle future pop star, sarà il tempo a stabilirlo. Intanto i presupposti perché la band americana si riveli un successo internazionale piuttosto che una bufala ci sono tutti. “Manners”, l’album d’esordio del quintetto del Massachusetts, è infatti una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Una macchina da guerra coloratissima, intenzionata ad insidiare la hipsterdittatura di MGMT, Hot Chip, Cut Copy e compagnia patinata. Il falsetto di Michael Angelakos è d’altronde irresistibile mentre l’irrequietezza romantica delle varie The Reeling, Moth’s Wings e Eyes as candles non potrà che raccogliere proseliti in giro per il mondo. Uno dei dischi dell’anno. Che sa di splendore giovanile e amori fragili come fiori di carta. M.L.

Crocodiles - Summer Of Hate (Fat Possum) Nati a San Diego ma persi nei rumorosi eighties britannici, Charles Rowell e Brandon Welchez, rockers in ecstasy amanti di Jesus & MC e Spacemen 3, partecipano con il loro contributo, accanto a Wavves e The Pains Of Being Pure At Heart, alla festa del revival UK. Cavalcate supersoniche e melodie iperglicemiche fritte e rifritte ad alto voltaggio, neanche fossero condannati alla sedia elettrica. Dall’organetto surf del neo hit I Wanna Kill al beat allucinato di Soft Skull (In My Room) dritti fino a Refuse Angels, il brano che probabilmente i Black Rebel Motorcycle Club avrebbero sempre voluto scrivere prima di indossare stivali con gli speroni, avventurarsi e perdersi nelle distese americane. Non mancano i momenti più riflessivi, come Here Comes The Sky e Sleeping With The Lord, ballad bagnata nell’acido che sembra citare la più nota Lord Can You Hear Me. E anche se l’impressione è quella di un limpido déjà vu, l’elettricità che resta sulla pelle è una preziosa sorpresa. Depolique

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Musica Album del mese

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa.

Eels - Hombre Lobo (Vagrant) La bio di Mr. E guardatela altrove. Qui solo per sottolineare che, se non l’avete già fatto, il settimo album a nome Eels, è indubbiamente quello giusto per innamorarsi di lui. Canzoni che parlano di desiderio: uno schiaffo e una carezza, uno via l’altra... Scientifico. Magnifico.

Danger Mouse&Sparklehorse -Dark Night Of The Soul (Powerhouse) Patrocinato da sua maestà David Lynch, che si occupa dell’aspetto visuale del progetto, e con un cast stellare, ispiratissimo, questo disco è destinato a diventare uno dei casi dell’anno, amalgamando alla perfezione le varie anime dei protagonisti. M.L.

Gossip - Music For Men (Sony BMG) L’amore ai tempi dei Gossip. Non potendo “togliere” mastro Rubin aggiunge. Un pugno di synth e la sensazione di aver aperto un po’ le finestre per far prendere aria all’ambiente. Il che non significa che i tre si siano rammolliti. Anche perché valla a calmare quella furia di Beth...

Nathan Fake - Hard Islands (Border Community) In HI il sapore sognante e progressivo di Drowning in A Sea of Love non si perde, ma accelera andando a picchiare sugli angoli più spigolosi della techno. Lavoro pregevole e senza compromessi. G.S.

Malakai - Ugly Side Of Love (Invada) Bristol, diversi anni dopo. Sotto l’egida di Geoff “Portishead” Barlow vede la luce l’esordio dei Malakai. Sull’onda del revival psichedelico Scott e Gee, partono dalla specialità casa, il buon vecchio trip hop, per cucinare un piatto che potrebbe deliziare pure ai fan di Syd Barrett. Uno degli esordi dell’anno.

Papercuts -You Can Have What You Want (Memphis Industries) Con l’aiuto di Alex Scally dei Beach House, l’americano Jason Quever scrive una manciata di brani preziosi e raffinati che si muovono leggeri e sognanti tra The Zombies e Grizzly Bear, trasformando in epica notturna i suoi tormenti interiori. M.L.

Adiam Dymott - Adiam Dymott (Razzia Records) Splendida regina black dedita a un rock n’roll dall’altissimo potenziale radiofonico. Tatuaggi, caschetto nero impertinente, sguardo spigoloso e una manciata di canzoni che potrebbero scalare le classifiche di mezzo mondo. A partire dalla spaccapietre I miss you. M.L.

Patrick Wolf - The Bachelor (BCM) Di nuovo indipendente dopo l’esperienza major, Patrick Wolf torna con un concept nato doppio e poi diviso. Due, come le facce dell’androgino menestrello, in questo mondo di emozioni agrodolci e sonorità retrofuturistiche, in bilico tra Medio Evo e Star Trek di cui è l’unico sovrano incontrastato.

Cortney Tidwell - Boys (City Slang) Dai sogni di Goldfrapp agli “incubi” di Beth Gibbons, Cortney si muove tra classiche ballads bucoliche, reminiscenze shoegaze e un paio di macchinazioni elettroniche. Tutt’attorno aleggia il mood spettrale che va per la maggiore (vedi Bat For Lashes e Soap&Skin). Altro che Nashville.

Black Moth Super Rainbow - Eating Us (Memphis Industries) Pensa agli Air in versione droghe pesanti, come hippies a spasso a smanettare in un campo di vocoder. A dirigerli metti Dave Friedman (Flaming Lips e Mercury Rev) il sognatore... Solo allora capirai in che razza di trip ti sei infilato.

Au - Verbs (Aagoo) Sul terzo gradino del podio weirdo folk, dopo Animal Collective e Akron/Family, salgono gli Au di Portland. La prima parte di Verbs trascina con cori, fanfare, esplosioni di natura e colore, la seconda è più intimista e ipnotica. Disco un po’ anacronistico, ma non si può essere perfetti. G.S.

Woods - Songs Of Shame (Woodsist) Strana creatura lo-fi, questi americani Woods. Autori di melodie rustiche e pastorali figlie di una West Coast immaginaria, governata da Lou Barlow e J Mascis. Un disco che sembra registrato all’alba, da musicisti ubriachi, con apparecchiature troppo vecchie per disfarsene… M.L.

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Laurent Garnier - Tales Of A Kleptomaniac (F Communications) Ennesimo capolavoro stilistico. Molti rimandi afro, come l’apertura marziana in chiave funk, l’hip hop francoalgerino, la pista da ballo ethiopique e il grime sud-africano, ma anche porno sulla pay tv e schegge impazzite tra drum’n’bass e dub. G.S.

Meanderthals - Desire Lines (Smalltown Boys) Gli Idjut Boys e Rune Lindbaek uniscono le forze e la loro straordinaria conoscenza della materia cosmic/ balearic disco, confezionando un album strumentale evocativo e psichedelico. Pronti a lasciare la terra per avventurarvi in un viaggio nella Nebulosa di Orione? M.L.

A Mountain Of One - Institute Of Joy EP (Vital) I “Collected Works” li hanno portati alla ribalta come una delle novità più interessanti degli ultimi anni. Il nuovo album non smentisce le attese, virando il cosmic rock degli esordi verso eleganti territori folk, mantenendo l’attitudine progressive invariata. Magici. M.L.

Kikumoto All Stars House Music (Gigolo) Vero e proprio tributo ai padri pionieri della House Music - da DJ Pierre a Jackmaster Funk - quello del produttore australiano Cam Farrar, qui nei panni di Kikumoto (da Tadao Kikumoto, l’inventore di TB-303 e TR-909). Niente di realmente originale ma l’operazione è sincera e ben fatta. Alla fine un ottimo “Bignami”...

Krikor & The Dead Hillbillies Land Of The Truth (Tigersushi) Tra Dead Man, ambient music e Joy Division arriva via Tigersushi l’allucinato esordio di Kirikor. Segue l’exploit di quello che potremmo definire il versante più colto del nuovo suono francese; vedi Joakim, DIRTY, Zombie Zombie e compagnia bella.

Tortoise - Beacons Of Ancestorship (Thrill Jockey) I Tortoise sono tra i pochi negli anni ‘90 ad aver generato un suono proprio, ancor oggi protagonista di un rock contemporaneo che assorbe con classe cinematica qualsiasi genere altro, dall’elettronica al jazz, dalla techno a Morricone. In una parola: unici. G.S.

The Low Anthem - Oh My God, Charlie Darwin (Bella Union) Si muove sulle coordinate del miglior folk pop americano questo terzetto di Rhode Island. Inseguendo il successo di Fleet Foxes,Wilco e The Shins. Senza mancare di personalità, grazie ad inserti country originali e un autentico richiamo alle origini. M.L.

The Legends - Over And Over (Labrador) Nuovo disco per i The Legends di Johan Angengård, il padrone in casa Labrador. Il techno pop caramelloso dell’ultima prova discografica lascia il posto ad un indie pop infarcito di rumore bianco, krautrock e melodie 60’s, confermando il talento camaleontico dello svedese. M.L.

Louderbach - Autumn (M_nus) Troy Pierce e Gibby Miller producono ottima electro techno oscura che attualizza Joy Division e DAF senza l’uso di chitarre. Bassi e synth stranianti portano sulla pista da ballo per non pensare al domani, mentre Shine è il singolo che Colder e Fisherspooner non hanno saputo scrivere. G.S.

Manuel Tur - 0201 (Freerange) Tra i più acclamati producer deep house, il tedesco centra alla grande il suo primo LP. 0201, caldo e coeso, evoca paesaggi sonori intimi o vacanzieri. E’ stato realizzato dall’autore nella sua stanza da letto e come tale va ascoltato. Per fare cosa non è difficile immaginarlo. G.S.

The Rifles - Great Escape (Promo) Tra le decine di gruppi nu-brit che escono ogni settimana sembrava quasi impossibile. E invece ecco i Rifles che sferzano pezzi uptempo dai sobborghi di Londra. Melodie smithsiane, ritornelli accattivanti, testi taglienti e mai banali. Per dirla alla NME, the next big thing. G.S.

Sue - Homephilosophy (Z-Music) Sue è l’ultimo nome lanciato da un social network in Germania. Elettropop atmosferico e catchy con una voce languida che guida pezzi semplici ma ben prodotti, adatti a trasformare le fantasie adolescenziali dei Rasmus in derive indie di stampo Notwist e Postal Service. G.S.

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Film del mese

Di Valentina Barzaghi

Coraline Di Henry Selick. Coraline non ci interessa tanto per la storia raccontata, sebbene nasca dalla magica penna di Neil Gaiman, quanto per l'innovazione cinematografica che propone: è il primo film d'animazione in stop motion ad essere stato concepito e fotografato in 3D stereoscopica. Il fatto che questo progetto sia stato affidato alla competenza di Henry Selick, già creatore di Nightmare Before Christmas e Jack e la Pesca Gigante, aggiunge al tutto quella componente artistica degna di nota che ci fa tirare un sospiro di sollievo. Per non parlare di quella autorale: nonostante Coraline si proponga come un film destinato alle masse, essendo palesemente una rivisitazione di un classico della letteratura come Alice Nel Paese Delle Meraviglie, solo gli accaniti "burtoniani" ne usciranno davvero soddisfatti. Atmosfere dark, realtà più simili a quelli di un videogames (riecheggia la cupa, gotica e violenta atmosfera di un cult del 2000 come American McGee's Alice,

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adattamento in versione videogames della più celebre favola di Lewis Carroll), con tanto di movimenti di camera minimi dentro i quali avanzano personaggi con una live action aderente ai vecchi lavori di Selick e un aspetto grafico che ricorda molti fumetti degli anni '50 - '60. La protagonista, come lo dice il titolo stesso, è Coraline, una ragazzina esuberante e curiosa che si è appena trasferita dal Michigan in Oregon. Sente la mancanza dei suoi vecchi amici e i suoi genitori sono troppo occupati con il lavoro per dar retta al suo continuo bisogno di svago. Rassegnata che quel posto non abbia nulla di davvero intrigante, scopre invece una porta magica che una volta attraversata la condurrà in un altro universo, una vita parallela alla sua, ma molto più divertente, in cui è sempre al centro dell'attenzione e che ha diverse componenti surreali. Ma quando la sua "Altra madre" incomincia a fare piani per trattenerla per sempre lì, Coraline dovrà ingegnarsi per riuscire a fuggire e salvare la

sua vera famiglia. Per tirare un po' le somme, visto che poi non vorrei che usciti dal cinema, il vostro pensiero cadesse come un'ascia sulla mia testa; Coraline è il classico film che ami o che trovi banale. A me è piaciuto perché unisce una fiaba classica a temi di crescita adolescenziali senza spalmarli di quintalate di miele, anzi... Perché non vuole accattivare, ma intrigare, riuscendoci; perché muove le fila da Burton, ma poi riesce a scavalcarlo per aderire al racconto originale; perché è visivamente straordinario; perché è intelligente e anche se fosse stato realizzato con un'animazione tradizionale non avrebbe perso nessuna delle sue particolarità; perché riesce a trasmettere l'idea che a volte, la realtà sia più terrificante e folle della fantasia; perché non è un film per bambini. Credo di aver detto tutto... Poi se non vi piace, come vi dicevo, questa volta sono disposta ad accettare quella frase che di solito mi fa accartocciare le budella: "Sono gusti!".


Coco Avant Chanel . L’amore prima del mito Di Anne Fontaine. Gabrielle “Coco” Chanel era una donna dal passato triste, che non voleva appartenere al suo tempo. La regista Anne Fontaine cerca di percorrere la vita dall’artista, dall’infanzia di orfana all’inizio della passione come umile sartina di provincia, da mantenuta del ricco amante Etienne Balsan a donna innamorata che però sa benissimo di non poter diventare una moglie, da ribelle che rifugge le convenzioni del tempo indossando gli abiti dei suoi amanti al trionfo come creatrice d’alta moda. Una leggenda che è stata per anni sinonimo di libertà femminile, di stile e caparbietà. Audrey Tautou è perfetta nel ruolo, forse anche perché la sceneggiatura è stata scritta proprio per farla calzare su di lei, riuscendo a far emergere anche il lato più fragile e dolce dell’artista. Un buon biopic che ha il pregio oltrettutto di fornire una panoramica sui primi anni ‘60 del secolo scorso, con i suoi postumi bellici, le difficoltà economiche e le fatiche prima della rinascita, fino a quell’emancipazione femminile di cui Chanel si fa portavoce con le sue creazioni. Un mito arrivato fino ad oggi, tanto che si è guadagnata di diritto un posto tra le cento persone più influenti del nostro tempo nella classifica redatta dalla rivista Time.

I Love Radio Rock Di Richard Curtis. Richard Curtis è l’uomo che ha scritto alcune delle commedie romantiche inglesi più famose di tutti i tempi, da Quattro Matrimoni e Un Funerale, a Notthing Hill, colui che ha “inventato” Hugh Grant appiccicandogli addosso il ruolo del goffo e strampalato personaggio per cui le donne smaniano. Curtis in I Love Radio Rock si stacca però dal suo pupillo sopperendo con un cast davvero spettacolare: Philip Seymour

Hoffman, Kenneth Branagh, Emma Thompson, Bill Nighy... ci vorrebbe l’elenco telefonico per dare spazio a tutti. Anche in questo caso lo humor non manca, ma il regista ci fa fare un salto temporale nel memorabili anni ‘60. E’ il periodo più prolifico e sensazionale per il pop britannico e mentre la BBC programmava solo due ora circa di rock’n’roll alla settimana, una radio che aveva la sua sede su una nave molto particolare

al largo della Gran Bretagna, lo faceva 24 ore su 24. Più della metà della popolazione britannica si sintonizzava sulla frequenza della radio. Quentin è il capo di Radio Rock, Carl è suo figlio. Quando la madre impone al ragazzo di andare a stare per un po’ di tempo dal padre per capire cosa vuole davvero fare nella sua vita, Carl trova un mondo assolutamente fuori dal comune ad accoglierlo. Non poteva chiedere di meglio.

Garage Di Lenny Abrahamson. Garage è una pellicola intima e delicata. Vincitrice del Festival di Torino e reduce da riconoscimenti alla scorsa edizione del Festival di Cannes (Premio Cicae Art and Essai Cinema), arriva finalmente anche in Italia e tra tante porcate blockbuster che escono nel mese di Giugno porta una boccata d'aria fresca (per fortuna ha vinto dei premi, altrimenti col cavolo che veniva distribuito... solita solfa, ho smesso di prendermela). La vicenda raccontata in Garage è semplice, una storia comune che sarà accaduta spesso e ovunque: Josie è un uomo che gestisce un piccolo garage con annessa stazione di servizio in una piccola cittadina irlandese. Il suo carattere timido e ingenuo lo fa etichettare come "lo scemo del villaggio", un perfetto capro espiatorio. Josie è felice con poco: una birra, una passeggiata, una nuvola. Quando in officina inizia ad essere affiancato da un aiutante, un ragazzo minorenne, è contento di aver finalmente trovato una persona con cui stringere amicizia. Con lui si comporta proprio come si fa con un amico, tra una birra e un video porno, fino a quando la madre del ragazzo non lo denuncia. Un film intenso e drammatico. Da vedere.

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DVD

Di Valentina Barzaghi

Revolutionary Road Di Sam Mendes. Revolutionary Road è il film più bello di Sam Mendes e, azzarderei, nella top 3 dei miei film preferiti di questo 2009 iniziato da poco, quello che mi domando ancora come sia potuto essere escluso dagli Oscar. La pellicola è tratta dall'omonimo romanzo di Richard Yates, che già nel 1961 aveva scosso gli animi della società americana, letteraria e non, per lo sguardo disilluso con cui descrive i rapporti umani e i sentimenti che li condizionano. Yates stesso avrebbe voluto lavorare all'adattamento cinematografico del suo capolavoro, ma i diritti venduti da tempo e la sua precoce morte causata da una vita di vizi e tormenti non glielo permisero. La storia, ambientata in America negli anni '50, po-

trebbe sembrare quella di un comune matrimonio: Frank (Di Caprio) ed April (Winslet) si innamorano, si sposano e trovano una casa in cui vivere insieme in Revolutionary Road. Prima della loro unione erano due persone con ideali ed obiettivi, che si ritenevano talmente speciali da essere sicuri che la monotona vita di provincia, i figli e la routine per il mantenimento non li avrebbero cambiati. Ma possono davvero due persone staccarsi dalla vita "normale" e riuscire a rimanere uniti? Frank ed April ci provano, innescando una serie di reazioni a catena dai risvolti tanto aspettati, quanto tragici nel loro essere reali. E' proprio questo il punto: Mendes non si focalizza solo sul dove e sul quando, ma anche sul come,

indaga con uno sguardo intimo l'evoluzione di coppia, tanto che ogni spettatore riesce ad identificarsi con i protagonisti. Potremmo essere in qualsiasi posto del mondo e in qualsiasi epoca, ma le dinamiche sono le stesse: l'apparenza che fa credere che tutto vada bene se chi ci circonda pensa sia così; l'insoddisfazione per ciò che si ha, ma il poco coraggio di cambiare le carte in tavola per paura di scoprirsi veramente; vedere la fuga come unica soluzione di liberazione e cambiamento. Se l'obiettivo di Yates era quello di darci uno schiaffo in pieno viso, Mendes riesce quantomeno ad aprirci gli occhi. I cuori più sensibili ne usciranno sgomenti, per gli altri sarà una bella lezione di "cinema letterario".

Milk Di Gus Van Sant. Gus Van Sant cullava il sogno di portare sul grande schermo la storia di Harvey Milk da molto tempo. Sono stati anni di ricerche dettagliate in cui il regista di Paranoid Park e Last Days si è dato da fare per rispondere esaustivamente alla domanda: chi era Harvey Milk? Il film inizia il giorno in cui Milk (Sean Penn) abita a New York e compie 40 anni, ma convinto di dover dare un senso diverso alla sua vita, decide di trasferirsi con il suo compagno Scott Smith (James Franco) a San Francisco, dove aprono un piccolo negozio di fotografia, il Castro Camera, che ben presto diventa il “cantiere generale” e il punto di riferimento per tutti gli omosessuali d’America. Sono gli anni ‘70, quelli che ci mostrano un’America di transizione, in cui c’è speranza e voglia di un cambiamento, ma in cui regna ancora scetticismo, razzismo e omofobia da parte di quella fetta di popolazione conservatrice secondo cui i gay dovrebbero vivere solo in relativa libertà. Sono infatti gli anni della politica del terrore di Anita Bryant e John Briggs, sostenitori della Proposition 6, che chiedeva di bandire i docenti omosessuali dalle scuole insieme a tutti coloro che li sostenevano. Harvey è un populista tenace, convinto che il governo esista per andare incontro ai bisogni di tutti i membri della società e così, aiutato dai ragazzi che animano il Castro Camera (Emile Hirsch, Diego Luna, Joseph Cross...), si candida alla carica di Consigliere Comunale due volte senza risultati. Sarà il terzo tentativo a regalargli il tanto sudato incarico, ma non senza prevedibili ripercussioni. Gus Van Sant riesce nel suo tentativo di volerci mostrare i molteplici aspetti della figura di Milk: quello di politico tenace, di icona che in solo otto anni riuscì a cambiare la condizione degli omosessuali negli U.S.A., ma anche in quelli più umani. Milk riusciva ad essere tutto questo perché fondamentalmente rimaneva un amico sincero e un amante fedele, un uomo disposto a dare in prestito la sua voce alle minoranze perché credeva veramente nella sua causa. Van Sant lo dipinge come un uomo qualunque, con i suoi pregi e le sue debolezze, senza scivolare su troppo facili sbrodolature melodrammatiche. Anche la scena finale è di composta naturalezza, nel suo silenzio e nella sua umana paura. Nel 1999 la rivista Time ha nominato Harvey Milk tra i 100 eroi ed icone del XX sec. Quella di Sean Penn è di certo una delle sue interpretazioni miglior, che gli ha valso un meritatissimo Oscar.

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SOLD OUT

OASIS

GIOVEDI’ 16

FANGORIA GANG OF FOUR GLASVEGAS KEVIN SAUNDERSON PRESENTS: INNER CITY LIVE MYSTERY JETS TELEPATHE THE WALKMEN

ALDO LINARES ANNI B SWEET LA BIEN QUERIDA THE BISHOPS THE CORONAS JUSTUS KÖHNCKE NAIVE NEW BEATERS NO REPLY OBLIQUE WE ARE STANDARD

KINGS OF LEON

VENERDI’ 17

CHRISTINA ROSENVINGE COOPER THE HORRORS JAVIER CORCOBADO MAGAZINE MAXÏMO PARK NACHO VEGAS PAUL WELLER YUKSEK BOYS NOIZE FIGHT LIKE APES INFADELS DJ’S JOE CREPÚSCULO NUDOZURDO

FRANZ FERDINAND

SABATO 18

2 MANY DJ’S ELBOW FOALS JOSELE SANTIAGO LAURENT GARNIER LILY ALLEN PEACHES RUSSIAN RED TELEVISION PERSONALITIES AEROPLANE BELL X1 GUI BORATTO THE MIGHTY STEF RATOLINES STEVE AOKI TADEO THE UNFINISHED SYMPATHY

THE KILLERS

DOMENICA 19

<<RINÔÇÉRÔSE>> CALEXICO FRIENDLY FIRES GIANT SAND HELL LATE OF THE PIER PETER DOHERTY THE PSYCHEDELIC FURS TV ON THE RADIO WHITE LIES CATPEOPLE DAVID KITT FLOW KLAUS & KINSKI LYKKE LI POPOF ...E MOLTRI ALTRI

NANO

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News

Di Valentina Barzaghi

23° Festival Mix Milano Presso il Teatro Strehler di Milano, tra il 4 e l’11 di Giugno avrà luogo uno dei festival più interessanti che la città ospita da anni e arrivato alla sua 23ma edizione: il Festival Mix Milano - di Cinema Gaylesbico e Queer Culture. L’edizione celebrerà tutti quei movimenti, sia politici che letterari, sia artistici che visionari, che dalla fine degli anni ‘60 hanno lavorato per sradicare pregiudizi e compromessi, sognando un mondo migliore, che ancora oggi non conosciamo, ma verso cui stiamo avanzando. Il festival, come lo dice il nome stesso, propone un mix, una fusione di diversi media, dal cinema al teatro, dai libri alla musica. Sarà all’interno di questo coinvolgente scenario che verrà proiettato in anteprima per l’Italia il film Rage dell’inglese Sally Potter, con Jude Law e Judi Dench. La pellicola racconta la storia di un blogger che con una piccola camera intervista per una settimana varie persone che scorrono nel dietro le quinte della sfilata di uno stilista mediorientale: ognuno parla liberamente, mentre intorno avanza il vociare di una protesta, e quando il filmato viene messo in rete provoca reazioni violente. Una messa in scena essenziale che muove le fila da alcune sperimentazioni teatrali degli anni ‘70 e che racconta la prepotenza dell’apparenza sull’essere, con una critica molto più che velata al mondo della moda con la sua “ansia da celebrità”. Da non perdere.

Bananaz: un film sui Gorillaz Le mura di riservatezza costruite attorno all'immagine dei Gorillaz vengono finalmente abbattute con questo documentario-backstage sulla vita e la creazione del progetto musicale voluto da Damon Albarn insieme all'artista Jamie Hewlett. Sette anni di riprese realizzate dal regista Ceri Levy sono qui condensante in un montaggio che lascia largo respiro all'intrusione nella parte creativa della band, sia quella legata al disegno sia quella musicale. Tra notti insonni e sigarette, discussioni ed entusiasmo, la storia dei Gorillaz da concept allo stato embrionale a successo planetario. Per i fans.

How To Be How To Be è un film indipendente, diretto dal giovanissimo ed esordiente Oliver Irving e interpretato da quel bonazzo che ora scopriamo anche essere meno “ce l’ho solo io” nonostante il successo planetario di Twilight, Robert Pattinson. Il film non si sa se arriverà mai nelle sale italiane (anche se, visto che un film con Pattinson lo vanno a vedere tutte, non sarei così pessimista) e quindi se ci tenete a vederlo sarebbe bene che lo recuperaste via web. How To Be racconta la storia di un giovane che dopo essere stato lasciato dalla sua ragazza è costretto a tornare a vivere dai suoi. Art, questo il suo nome, è depresso: musicista incompreso, dopo aver letto il libro di una sorta di guru del comportamento, tale Dr. Ellington, se lo porta in casa dei suoi genitori speranzoso di porre fine ai suoi problemi relazionali sia con i genitori che con il resto del mondo. La pellicola parteciperà a diversi Festival internazionali e ha già conquistato alcuni premi, tra cui quello come Miglior Attore al Festival Internazionale del Cinema di Strasburgo. Da vedere perché ha una buona dose d’ironia, è divertente, una storia tenera e sensibile. Pattinson, che è anche musicista, interpreta anche tre pezzi inclusi nella soundtrack del film.

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Far Yeeeast!

Yeaaaah! Con questo slogan yankee-oriented siamo stati accolti a Udine dal FEFF 11- Far East Film Festival, “il più grande festival del cinema asiatico”, giunto con successo alla sua undicesima edizione. Da progetto locale per la gioia di pochi cinefili nostrani, ad essere conosciuto e riconosciuto come “il più grande festival del cinema asiatico”, come campeggia dal maxiposter all’ingresso del teatro, con una Gioconda con bacchette da sushi tra le mani. Una pacifica invasione di produttori, registi, visitatori, curiosi e giornalisti è sbarcata a Udine da ogni parte del mondo per la grande scorpacciata di videospecialità cinesi, coreane, filippine, giapponesi, indonesiane, malesi, tailandesi. E poi Taiwan, Singapore, dall’oriente con furore per la gioia dei nostri occhi rotondi. Far East: da ultima, frontiera

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della settima arte a una nuova sfida agli studios occidentali. Nei 9 giorni della manifestazione abbiamo riscoperto i “generi”, ai quali il nostro cinema si è ormai arreso: dal “thriller medico” al picchiaduro, dall’action demenziale al più intenso dei drammi, fino al più spettacolare dei fantasy ad alto budget. Dobbiamo dirlo, dalla terra dove sorge il sole il cinema sembra essere risorto con una luce più fulgida. Abbiamo incontrato registi e produttori, alcuni col pallino di calci volanti e pugni a catena altri più estetici ed introspettivi. E’ stato il festival delle tentazioni (digitate Fahrani e Shu Qi su Google

immagini…), dello shopping irrinunciabile (come resistere ai dvd dei film appena visti in bella mostra sul banco del bookshop?). Un festival che come un drago si è snodato nelle vie del centro storico dove piccole bancarelle esponevano dai gattini portafortuna in ceramica alle edizioni limitate di Goldrake e Jeeg Robot ai pregiati kimono ricamati. Una grande tentazione che continuava negli eventi notturni, con dj set inediti in Italia e con la Notte Gialla con negozi aperti e locali in festa fino a tardi. Un “gong!” che non dimenticheremo tanto presto.


La classifica dei vincitori per PIG: Fish Story (Nakamura Yoshihiro, Japan, 2008)

Crazy Racer (Ning Hao, Cina, 2008) Un campione del ciclismo abbandona le gare per doping accusando il suo sponsor di averlo drogato. Fuori dallo sport si trova coinvolto in una rete criminale animata da pusher thailandesi, gangster taiwanesi, poliziotti incapaci e persino un bizzarro impiegato delle pompe funebri. Gang sanguinarie sdrammatizzate da tante gag comiche. Per intreccio di storie parallele riunite da un evento comune (uno spettacolare incidente stradale), per musiche, montaggio e ritmo narrativo, un evidente omaggio al cinema gangsta di Guy Ritchie, con chiari riferimenti al maestro Tarantino.

4 storie in diversi periodi. 1973-1975: in scena una una scancagnata punk band. 1982: uno studente pusillanime ma di buon animo sfruttato da amici senza scrupoli. 2009: il cameriere di un traghetto e una passeggera adolescente che si è persa, fanno amicizia. 2012: a 5 ore dallo schianto di una cometa sulla terra, un uomo in sedia a rotelle capita in un negozio di dischi dove sorprende un cliente che discute della suddetta punk band col proprietario che intanto afferma che un paladino della giustizia salverà il mondo dalla catastrofe che incombe. Il film è un continuo flash back e forward uniti dall’arrivo della cometa nella quarta storia. Il messaggio del film è svelato solo nell’ultimo minuto.

K-20: Legend Of The Mask (Sato Shimako, Japan, 2008)

Ip Man (Wilson Yip, Hong Kong, 2008) Giudicato uno dei più impressionanti film d’azione della scuola di Hong Kong, Ip Man narra la storia di Yip Man, maestro di kung fu, famoso per aver insegnato l’arte del wing chun a Bruce Lee nella Hong Kong degli anni cinquanta. Tutto inizia con la dominazione giapponese negli anni trenta di Foshan nella quale, dopo aver steso i prepotenti locali, Yip preoccupa anche nelle forze di occupazione che gli ordinano di insegnar loro i segreti di questa micidiale arte marziale. Fermo e patriottico Yip rifiuta, come strenuo difensore della sua bandiera davanti all’invasore. Grande il protagonista Donnie Yen nella resa dei conti finale.

Le vertigini di Spider-Man, i duelli di Batman ad altezze incredibili in un paesaggio retro-futuristico con chicche fantasy. Un supereroe attinto dal mistero narrato da Rampo “Il demone dalle 20 facce”. Originale l’incipit: “1949, in un Giappone che ha evitato la Seconda Guerra Mondiale”. Il misterioso demone mascherato ruba ai ricchi saltando muri, tetti. Il detective star, fidanzato con una ricca quanto incantevole e ingenua fanciulla, è sulle sue tracce. Nel frattempo un funambolo del circo viene assoldato da uno sconosciuto per un incarico che lo porterà ad essere scambiato per il demone. Dopo la prigionia eccolo allora allearsi con il detective per catturare il demone.

Radit & Jani (Upi, Indonesia, 2008) Sesso, droga e rock’n’roll. Problema droga affrontato con realismo, cosa strana per il contesto indonesiano. Una coppia di innamorati, Radit e Jani (lei è la bellezza mozzafiato Fahrani), lei con minigonne e stivali, lui pelle e tatuaggi, vivono di espedienti e da sbandati. Sognano il Messico ma non hanno nemmeno i soldi per l’affitto. Lei perde il lavoro per la gelosia di lui e lui il suo posto in una band per motivi di droga. Lei rimane in cinta e parte il melodramma. La relazione traballa e il personaggio di Radit si evolve per salvarla, la sua maturazione incolla lo spettatore alla poltrona. Anche lei diventa devota e responsabile. Crescono. Dolcissimi momenti di tenerezza e intimità. Il rock percorre il film non solo come colonna sonora ma anche e soprattutto come anima della narrazione. Finale con magone.

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Libri

Di Marco Velardi

H.P. Ci sono pochi fotografi che hanno saputo affrontare il mondo della moda così come Harri Peccinotti, indossando ove necessario i panni di art director, grafico e artista. Creando un immaginario tutto suo, di donne sexy, sportive, indipendenti, ritratte su spiagge da sogno o sullo sfondo di originali set di moda. Diventato famoso per gli scatti dei calendari Pirelli del 1968 e 1969 e per il lavoro di art direction sul mensile Nova, Da-

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miani ne celebra il mito con un libro appena uscito e assolutamente carico di ispirazione per i mesi estivi, quando farà caldo e a chi non piacerebbe trovarsi a nuotare nel mondo di Harri Peccinotti. Il volume presenta tutta la sua produzione fotografica più importante e non solo, in un viaggio di immagini e colori, spregiudicato e seducente, passiamo dagli scatti pubblicati su magazine di moda fino agli impaginati e alle copertine

di libri e dischi creati da Peccinotti nell’arco di un quarantennio. www.damianieditore.it Titolo: H.P. Autore: Harri Peccinotti Casa editrice: Damiani Anno: 2009 Dimensioni: 33 x 23 cm Prezzo: 45.00 €


Sunbird Titolo: Sunbird Autore: Jason Fulford / testi di Adam Gilders Casa editrice: J&L Books Anno: 2000 Dimensioni: 29,5 x 23,5 cm - Prezzo: 70.00 €

Immaginate un viaggio attraverso gli Stati Uniti a bordo della vostra Pontiac Sunbird, osservando gli spazi e la gente intorno a voi, catturandone i riflessi con la vostra macchina fotografica. Tutto ciò che di più Americano esiste lo troverete nelle pagine di Sunbird di Jason Fulford, pubblicato per la casa editrice J&L Books nata lo stesso anno da Jason e la fidanzata Leanne Shapton. Non aspettatevi immagini forti o provocatorie, ma precisione e una vocazione per la composizione e la ricerca del quotidiano, quasi banale, fino a renderlo interessante. Reminiscente di William Eggleston, il lavoro di Jason è uscito anche in un secondo volume Crushed ma Sunbird rimane la sua prima monografia, assolutamente da ricercare su internet per non farla mancare alla propria collezione. www.jandlbooks.org

Your Golden Opportunity Is Comeing Very Soon Apri la cassetta della posta e dentro trovi un libro tutto bianco, incellofanato, senza loghi familiari, di ancor di più familiari case editrici, e ti chiedi se sia uno scherzo o un bella sorpresa. Certamente la seconda, e così senza dir niente a nessuno RJ Shaughnessy, 30 anni, auto pubblica il suo secondo libro, dopo l’esordio con Death Camp due anni fa. Una piccola tiratura di 500 copie, tutte numerate e firmate da RJ, per 37 scatti in bianco e nero raffiguranti luoghi sconnessi, foto notturne di perimetri stradali deturpati da incidenti già avvenuti, e ormai dimenticati. Una traccia indelebile di qualcosa che forse solo RJ riesce a vedere, racchiusa in un libro da cui traspare l’intenzione di voler lasciare alle spalle le foto di ragazzini disadattati, e con un po’ di prepotenza si vuole consacrare libro d’arte, o forse meglio dire libro d’artista. www.rjshaughnessy.com

Titolo: Your Golden Opportunity Is Comeing Very Soon Autore: RJ Shaughnessy Casa editrice: RJ Shaughnessy Anno: 2009 Dimensioni: 31,1 x 24,8 cm - Prezzo: 50.00 $

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Whaleless

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Un mondo senza balene. Inquinamento e pratiche di pesca insostenibili stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza dei grandi cetacei. Questo è uno spazio dedicato a chiunque voglia esprimere la propria indignazione, rabbia, vergogna, incredulità, preoccupazione… con ogni mezzo espressivo, dall’illustrazione alla canzone, dall’animazione alla fotografia e oltre. Visitate i siti internet www.whaleless.com e www.myspace.com/whaleless per ulteriori

Opera di Natalia Saurin

informazioni e per visionare la gallery dei lavori giunti fino ad ora. Be creative, save a whale.

Sono io forse il mare? Hai mai visto una balena? Dal vivo purtroppo mai… Che rapporto hai col mare? Mi piace moltissimo, anche se ammetto di sognare sempre i mari dei tropici, lì diventa magia. Se tu potessi scegliere di trasformarti in un abitante marino, quale sceglieresti? E perché? Se ti rispondevo un annetto fa sarei andata sicura sulla medusa, è bellissima e vaga sospesa nel blu. Ora come ora ti direi il pesce cubo, l’ho visto una volta dal vivo ed è speciale; mi ha conquistata per i colori e per i suoi pois. Qual è il tuo elemento preferito tra aria, acqua, terra e fuoco? Perché? Sicuramente l’acqua perché è alla base della vita, è sensuale, trasparente e mutevole. Pensi che l'arte sia fine a se stessa o che debba avere un messaggio o un riflesso su chi guarda? L’arte in qualsiasi delle sue

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forme è comunicazione e come tale per esistere ha bisogno dell’altro. Attraverso l’arte si possono porre delle domande, suggerire delle risposte o semplicemente suscitare delle emozioni. Come descriveresti il mondo nel quale viviamo ? ILLOGICO, pochissime cose nella nostra società hanno senso. Fondamentalmente penso che l’essere umano non si voglia abbastanza bene. E come lo immagini tra 20 anni? Lo immagino di sicuro migliore. Ci dici qualche parola da associare al tuo modo di fare arte? Userei delle dicotomie: reale/finzione, esterno/interno… Nelle mie immagini cerco sempre di fermare il tempo e di muovermi in quello spazio che c’è fra reale e finzione. Utilizzo spesso la messa in scena e cerco di semplificare togliendo livelli visivi, che per me rappresenta un modo di

unire interno ed esterno. Altre parole: magia, frustrazione e desiderio. Come hai realizzato questa balena? Mi sono messa dentro la vasca da bagno con la balena, io in piedi e lei invece ad ogni scatto si muoveva. Tanti tanti scatti che poi ho unito digitalmente. A cosa stai lavorando ora? Continuo con il mio progetto delle tovaglie da cucina, alcune delle quali saranno esposte a Padova per Quotidiana fino a giugno. E poi sto preparando lo storyboard per il mio prossimo video, il terzo di una trilogia sulla cucina e sul colore. Hai un sogno/incubo ricorrente? Ho un sogno ricorrente a puntate, sono sempre all’interno di un palazzo/castello e ogni volta mi ritrovo in stanze diverse e ricordandomi degli altri sogni cerco di avanzare…che fatica. natalia.saurin.it



Webster

Di Raf “I feel Lucky” Mancuso webster@pigmag.com

Raf Mancuso è un detenuto dimenticato in un carcere dismesso; la sua unica libertà è la banda larga.

www.tomdeiningerart.com Prendi la spazzatura. Ogni giorno. Guarda quanta ne produci. Che ci fai? Dove la butti? Se sei fortunato sotto casa. Se sei sfortunato, come me, DENTRO casa (che poi se ben guardiamo è quello che facciamo tutti, se non ci limitiamo al concetto di casa quattro mura). C’è chi la usa e ci fa arte. Certo, ci vuol talento, ma è sempre un bel modo di usarla. E diffidate da tutti quelli che dicono che fanno arte con la spazzatura, spesso la materia prima è uguale al risultato.

Re:Oh World >> Icone e mondi, luci e visioni. La drammaticità di quello che ci circonda in una raccolta degna di un museo di ordinaria follia. E se il mondo reale va verso la profezia Maya, quello virtuale dove è diretto? A giudicare dai risultati qui raccolti direi verso una sana pazzia, di quelle che illuminano. 140 PIG MAGAZINE


www.joachimknill.com

www.knowawall.com/86gregyale

www.sanna-annukka.com

www.robertsandtilton.com

www.lysergid.com

www.anthonylister.com

www.stephanzirwes.com

www.romansigner.ch

www.flickr.com/photos/heiwa4126

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Al Salone con la mobile PIG Magazine for Nintendo.

Bella, divertente, con 2 occhi sempre puntati su quello che la circonda. La compagna ideale per un Salone senza meta, appuntamenti e orologio. Nintendo DSi, terza generazione della console “mobile” più venduta al mondo. “Il Salone è mobile perchè la città si muove con lui”. Pig recepisce il messaggio a modo suo e decide di muoversi con lei: la nuova Nintendo DSi. Testarla proprio durante questo grande evento ci sembra un’ottima idea. Vediamo che effetto fa, vediamo se regge il ritmo! Si parte in scooter, Pig crew ridotta per superare agilmente ingorghi e code. Licenza di scattare foto, registrare suoni, fare musica. L’ampio Salone con servizi è una location ideale per giocare, fare nuove conoscenze e divertirsi. Senza l’ansia della mappa da seguire a tutti i costi, animati dalla sola molla della scoperta del bello, del curioso, con le antenne belle ritte sui mille segnali in agguato ad ogni angolo. Un’occasione per mettere alla prova le capacità del piccolo gioiello di casa Nintendo. Le cose interessanti non mancano: tra spazi espositivi ufficiali e gli eventi del Fuori Salone, o sei veloce e leggero oppure schiatti sul cemento. Una Disneyland del design fatta di vernissage, cocktail, eventi, concerti. Uno dietro l’altro. Console, cellulare, cuffiette e portafogli, chiudi le tasche che poi ti vola per terra tutto e ci perdiamo il contest! Per orientarsi fa tutto lei, basta collegarsi al 142 PIG MAGAZINE

web e lasciarsi guidare dalle sue indicazioni. Per gli eventi in calendario poi niente paura, recuperiamo facilmente tutte le indicazioni stradali, gli orari e le info. Risalendo fiumi di folla sempre in piena, la cui corrente prende vita già sulle banchine delle fermate “chiave” della metro. Grandi pietre in mezzo alla corrente. Irresistibili zoo di cose e persone in posa per noi e per la fotocamera della DSi. Così giochiamo a scattare quello che ci circonda, a deformarlo ricorrendo al programma di fotoritocco. A quella mettiamo i baffi, a quello strappiamo un sorriso, effetto caledoscopio per la donna col cagnolino tatuato Chanel. Qualcuno si accorge di essere ripreso e chiede spiegazioni. Nessun trucco, è proprio la console portatile di Nintendo! Sorrisi, scambi di impressioni, volti increduli e stupiti… Abbiamo attenuato la noia dell’attesa dei mezzi, sdrammatizzato i trasferimenti a bordo di bus, tram e metro verso i grandi stand, gli showroom di Porta Romana, Isola e Tortona, le feste brandizzate un po’ ovunque. Nella confusione generale ci siamo rifugiati nella nostra piccola isola portatile dalla quale riemergere al momento giusto!


Dal micro al macro col DSi si fa di tutto. In tempo reale! Il massimo è la foto deformata: il soggetto si mette in posa perfetta e da lì in poi nulla va secondo i piani! Posa da Facebook? Ecco che ti piazzo la chioma fuxia e gli occhi da gollum. Poi salvo e passo alle veline a caccia di notorietà. Con i baffi da mario sono perfette!

Vuoi sapere il grado di parentela tra te e il tuo amico? C’è un software per calcolare l’affinità. Niente di meglio per attaccare bottone con lo standista o la modella di turno. Peccato, solo cugini di secondo grado!

È ora di ripartire e mentre scorriamo le foto salvate sulla SDcard ci ritroviamo nel centro della movida DopoSalone: Tortona esplode come la Chueca a Madrid. Elettricità nell’aria, modelle senza book a zig zag tra gli scooter in coda, operatori del settore con badge aziendale in bellavista sul doppiopetto delle grandi occasioni. Il popolo del design si riversa negli studi e nei negozi reinterpretati e allestiti per l’occasione. Li riconosci subito gli spazi, hanno fuori bandiera e messaggi di riconoscimento, come un biglietto da visita. Cammina, scatta, naviga. Entra in chat con quelli collegati al momento nella zona per avere informazioni in tempo reale. C’è la coda lì? Com’è? La DSi si dimostra una perfetta compagna di viaggio, consuma poco e pesa niente. Per ritrarre e archiviare le foto dei progetti migliori, esposizioni d’avanguardia e iniziative di intrattenimento creando foto-gallery e sound-gallery personalizzate. È anche utile per socializzare perché incuriosisce. È un po’ come andare al parco col cane bello, attiri più del miele per le api! A tutti piace farsi fotografare, basta dire che poi li tagghi su FB. Loro però non sanno che gli aggiungiamo al volo il cappello di Mario e le orecchie da PIG! DSi è piccola, leggera, facile e intuibile. 300 mila visitatori in 6 giorni di Salone sono tanta roba. Non li abbiamo fotografati tutti e molti di loro hanno sicuramente sorriso. Sorrisi coi baffi, grazie a Nintendo DSi.

Dalle ricette di cucina cinese al sintetizzatore della Korg. Nella piccola di casa Nintendo non manca nulla. Le due fotocamere non sono potentissime ma il DSi stupisce con le mille applicazioni che rendono ogni scatto unico e folle. In puro stile nippo-maniaco. Si passa così dalla registrazione e distorsione della voce a un più serio DJ set. Se poi avete una scheda SD decente, ci potete caricare sopra musica e foto dal computer. Collegarvi in rete per scaricare software e giochi dai canali DSiWare vi terrà sempre aggiornati sulle utime follie in uscita.

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Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

PIG’s Most Played. Questo mese poche idee e tanto noia-marketing ci spingono a rivalutare nuovi e vecchi capolavori. Punch Out (Wii) Nel 1984 Genyo Takeda regalava ai possessori di NES il primo gioco di vera boxe. Se poi uno aveva i soldi per comprarsi il Power Glove si raggiungeva il massimo del realismo (ricordate quel guanto di plastica pieno di bottoncini?). Oggi esce su Wii il remake di questo storico titolo. Nuova veste 3D realizzata con una sorprendente tecnica Cell-shading e interazione grazie a Wii e Nunchuk. Per farsi il fisico e allenare velocità e riflessi non serve più andare sul ring. Forse...

Oblivion Elder Scrolls IV (Xbox 360) Ok, abbiamo finito il primo capitolo anni fa. Poi abbiamo finito anche le espansioni di Knights of the Nine e Shivering Isles ma non ci è bastato. Oblivion è un gioco infinito, in pratica ci sarebbe sempre qualcosa da fare, sempre un’avventura da completare o una medaglia da conquistare. Adesso abbiamo cinque case, quasi tutte le gilde sono sotto il nostro controllo e molti cavalli. Ma non basta mai. In attesa delle prossime espansioni, scelgo l’arredamento per la casa in campagna e lucido la nuova armatura imperiale per il mio cavallo. Prego i ragazzi di Bethesda Softworks di darsi una mossa per altri capitoli...

Steel Battalion (Xbox) Nel 2002 Capcom si inventa questo capolavoro. Mega robot -mech- si sfidano in battaglie del terzo millennio. Funziona sulla vecchia Xbox ma grazie ad un incredibile cockpit ultrarealistico

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questo gioco non morirà mai. Quaranta tra tasti e pulsanti da gestire, due joistick e pedaliera per comandare questi bestioni di acciaio. Probabilmente il miglior simulatore di battaglie tra robot mai progettato rimane nella nostra postazione fissa in redazione. Voci di corridoio parlano di una versione per Nintendo Wii, ma il fascino dell’originale rimarrà insuperato.

Gran Turismo 5 Prologue (Playstation 3) Tra una 24 ore di Dubai e una partita a bordo della TT bianca di famiglia siamo sempre in attesa del possibile nuovo capitolo GT. Sembra incredibile che a distanza di anni, Polyphony Digital e Sony non siano anche solo leggermente preoccupate per il ritardo. Noi restiamo sul pezzo e non smettiamo di sognare. Ancora un giro, solo uno. Nürburgring con pioggia, via i controlli di trazione e tutta l’elettronica non necessaria. Ci divoriamo il Prologue da mesi e non siamo mai stufi. HD o no rimane uno dei titoli più belli su PS3. Kazunori Yamauchi, se ci sei, batti un colpo!

7 Cities (iPhone) Se avete finito e strafinito Field Runners ecco un altro titolo da non perdere. Un Tower Defense Game con ambientazione “piratesca” che ci lancia nella difesa delle Sette Città Dorate. Grafica curata, otto mappe, cinque torrette e dodici skill da sviluppare. Per poco più di due euro cosa volete di più?!



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Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

Noby Noby Boy. Il piccolo che fa grande la Play3. Dai creatori di Katamari Damacy in esclusiva su PSN il gioco più strano del 2009. Tutto chiappe, vermi e maiali volanti. Quante cose riuscirò a mangiare oggi? Quanto lungo riuscirò a diventare? Quante galline mi cavalcheranno? Riuscirò ad annodarmi intorno a quella cosa gigante? E se faccio la catapulta? E se lego quei due palazzi insieme e poi li ingoio? Le nuvole si possono prendere al lazzo? Arriviamo su marte? Dalla follia di Keita Takahashi, autore del primo Katamari spunta su Playstation3 Noby Noby Boy. In giapponese, il termine significa stiracchiarsi, rilassarsi,

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prendersela con calma, ed è esattamente quello che il gioco vuole da noi. Protagonista un serpente rosa porcello che si mangia il didietro e diventa lungo il triplo. E’ tutto molto semplice e intuitivo. Testa e chiappe si muovono separatamente, comandate dai due pad e unite dal sempre più lungo cordone vermoso multicolore. Lo spazio e il tempo si piegano alla legge del cibo e della più totale demenza: ambientazioni con tartarughe giganti, eschimesi che cavalcano

Koala, robot e legionari romani. Tutto si può mangiare, tutto si può attorcigliare, annodare, incasinare. I livelli vengono generati casualmente, si passa dalla piccola città piena zeppa di automobili, biciclette e motorini al bosco di scimmie volanti e maiali viola. Tutto è assurdo e volutamente senza senso. Insomma, un po’ li mangi, un po’ li porti a spasso sulla schiena e un po’ ti allunghi. Lo scopo del gioco alla fine è proprio questo: allungarsi a dismisura per raggiungere il


massimo della dimensione possibile. Il risultato viene subito inviato -alla fine di una sessione- alla nostra GIRL spaziale. Sarà lei a raccogliere i risultati dei giocatori di tutto il mondo per poi allungarsi a sua volta fino a raggiungere i vari pianeti. Nuovi pianeti che sono a loro volta nuovi schemi disponibili da giocare. Prima la Luna –già raggiunta dopo soli 4 giorni di cooperativa online-, poi Marte e poi chissà... Capito niente? Nemmeno gli abitanti degli strani mondi che ci circondano. Capita che rimangano a guardare mentre il nostro serpentone si divora la loro casa, cani che scappano a zampe levate, scimmie attonite e bambini cinesi in coma. La gioia più grande deriva proprio da questo stato di meraviglia, dalla fondamentale

scoperta scientifica che mangiare una palma produce una rumorosa scorreggia, o che la gravità sopra le nuvole cambia in maniera casuale. E’ la sperimentazione ossessiva del cazzeggio rispetto alla totale anarchia degli schermi di gioco. A volte, ci sono così tanti oggetti sullo schermo che la Play rallenta! Non è il gioco perfetto. I comandi risultato frustranti quando BOY si allunga a dismisura e non si capisce più dove sia la testa e dove il culo. L’engine fisico non è realistico, anzi, è gommoso e fumettoso. E’ tutto quello che ci si potrebbe aspettare da un nuovo capitolo di Katamari Damacy: migliaia di piccoli oggetti meravigliosi, personaggi ridicoli, suoni strani, musiche divertenti, trovate geniali e magiche. Una combinazione che

ci riporta più o meno ad un’età compresa tra i 5 e i 9 anni, che dopo dieci ore passate davanti ad una scrivania non è poi così male come idea. C’è poi l’interazione con la comunità online per raggiungere tutti i pianeti del sistema solare: uniti a formare un unico enorme vermone mangiatutto. Questo è il vero scopo, uniti per andare alla scoperta di nuove terre da mangiare e annodare. I filmati con le imprese migliori si possono caricare direttamente su Youtube, potete mandare un messaggio umiliante ad un amico in rete che comparirà sulla pancia del suo BOY e sperimentare il quattro giocatori. Groviglio di tubi colorati e teste gommose! Il Nodo Bandiera Ganciato in barca non mi viene mai, qui riesce perfetto ogni partita!

In arrivo anche la versione iPhone che si interfaccerà direttamente con quella per PS3. Questo aiuterà tutti i fan del gioco a raggiungere il Grande obiettivo: la GIRL grande come tutto il sistema solare. Un gruppo di ricercatori ha stimato, che alla velocità corrente, ci vorranno ancora 820 anni per giungere a tali dimensioni!

Il bisnonno di Noby Noby è il famosissimo Snake. Uscito alla metà degli anni ’70, questo gioco è diventato un classico di tutti i telefoni Nokia dal 1998 in poi. L’idea base è la stessa: un serpente che deve crescere e per farlo si mangia tutto quello che trova!

Quando mangiate qualcosa, dalle chiappe di BOY esce un suono: è il nome dell’oggetto mangiato. Ad esempio, se ingoiate un cane si sentirà la parola “dog” oppure “inu” (che è la parola giapponese per cane). Keita assicura che le parole escono in modo casuale per permettere alle persone di imparare il giapponese! La stessa cosa vale per le lettere romane e gli hiragana sparsi qua e la per il mondo, potrete mangiarle in sequenza emettendo ad esempio la frase “I love you”, registrare il filmato su Youtube e inviarlo alla fidanzata –noi sconsigliamo-.

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