PIG Mag 77

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Mensile. Numero 77, Novembre 2009

Italia €5 - U.K. £6,50 - France €8 - Germany €9,30 Spain €8 - Greece €7,70 - Finland €8,50 - Malta €5,36 Japan ¥2.250 - Austria €8,90 - Portugal €6,30

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Tim Barber di Tinyvices dopo la press-opening della mostra NY Minute a Roma. Foto di Piotr Niepsuj.

PIG magazine 77, Novembre 2009 Direttore Editoriale: Daniel Beckerman Direttore Responsabile e Creativo: Simon Beckerman Senior Editor: Sean Beolchini Managing Editor: Valentina Barzaghi (valentinab@pigmag.com) Production Manager & Pr: Stefania Mapelli (stefania@pigmag.com) Fashion: Sean Beolchini (moda@pigmag.com) Ilaria Norsa (moda@pigmag.com) Music: Giacomo De Poli (musica@pigmag.com) Cinema: Valentina Barzaghi (cinema@pigmag.com) Art & Media: Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com) Design: Maria Cristina Bastante (design@pigmag.com) Books: Marco Velardi (libri@pigmag.com) Videogames: Janusz Daga (jan@pigmag.com) Redazione Grafica: Stefania Di Bello (teffy@pigmag.com) Info: mail@pigmag.com Contributors Gaetano Scippa (musica), Marco Lombardo (musica), Piotr Niepsuj, Fabiana Fierotti (moda), Nacho Alegre (foto), Marina Pierri (musica), Karin Piovan, Emanuele Fontanesi (foto), Hugo Villard (hair & make up), Marina (model), Chris Heads (foto), Cristina Du Puys (make up artist), Michele

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Garziano (hair stylist), Lou Bedlam (foto), Skye Parrott (foto), Zoe Ghertner (foto), Giordano Walter (model), Rebecca Larsson (moda), James Pearson-Howes (foto) Claudia Jakubowska (model), Natalia Kozior (model). Special Thanks Bianca Beckerman, Caterina Napolitani, Piera Mammini Giancarlo Biagi e Jessica Greco. Marketing Director & Pubblicità: Daniel Beckerman adv@pigmagazine.it Pubblicità per la Spagna: SDI Barcelona Advertising & Graphic Design Tel +34 933 635 795 - Fax +34 935 542 100 Mov.+34 647 114 842 massi@sdibarcelona.com Gestione & Risorse Umane: Barbara Simonetti Edizioni B-arts S.r.l. www.b-arts.com Direzione, Redazione e Amministrazione: Via S. Giovanni sul Muro 12 - 20121 Milano. Tel: +39 02.86.99.69.71 - Fax: 02.86.99.32.26 Presidente: Daniel Beckerman Pig Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001 Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A. Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy). Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46 Distribuzione per l’Italia: SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI).

Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20 Distribuzione per l’estero: S.I.E.S. Srl Via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel. 02.66.03.04.00 - Fax 02.66. 03.02.69 - sies@siesnet.it Abbonamenti: B-Arts S.r.l. Tel. +39 02.86.99.69.71 email: abbonamenti@pigmag.com I versamenti devono essere eseguiti sul CC Postale numero 38804795 intestato a B-Arts S.r.l Spedizione in abbonamento postale 45% art. 2 comma 20/B Legge 662/96 Milano. Contenuto pubblicitario non superiore al 45%. Per informazioni su distribuzione e abbonamenti internazionali: international@pigmag.com Pig all’estero: Grecia, Finlandia, Singapore, Spagna, Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia, Germania. Pig è presente anche nei DIESEL Store di: Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, Milano, Roma e Treviso. Pig Magazine è edita da B-arts editore srl. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.



Sommario

Interviste:

76:Yacht

62: Zoe Cassavetes

40: Pamela Love

66: The xx Foto di copertina di Sean Michael Beolchini.

82: New beats from London: Eglo Records, Werk Discs e Hyperdub

Moda:

Street Files:

92: Marina

104: Claudia & Natalia

48: NY Minute - Roma

Servizio di Emanuele Fontanesi

Servizio di Chris Heads

Foto di Piotr Niepsuj

Regulars 14: Bands Around 18: Fart 20: Shop: Supermarket Sarah 18: Libro: Alessio Ascari 24: Design 26: Pig files 42: Moda 44: Photographer of the Month: Lou O’Bedlam 116: Musica 122: Cinema 124: Libri 126: Whaleless 128: Pig Waves 130: Videogames 12 PIG MAGAZINE


UNTIL THE DAY YOU DIE. THE REGENT.

nixonnow.com


Bands Around

Foto di Meschina

FatBoy Slim Cocoricò - Riccione Nome? Norman Cook Età: 46 Da dove vieni? Brighton, Inghilterra Che cos'hai nelle tasche? Sigarette, telefono e una memory stick. Qual è il tuo vizio segreto? Brighton & Hove Albion F.C. Chi è l'artista/band più sorprendente di oggi? Crookers Di chi sei la reincarnazione? I fratelli Marx Che poster avevi nella tua cameretta quando eri piccolo? The Sex Pistols Ci dici il nome di un artista o una canzone Italia? Crookers

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Bands Around

Foto di Meschina

Sara Schiralli Magnolia Parade 2009 - Milano Nome? Sara Schiralli Età: 34 Da dove vieni? Inghilterra Che cos'hai nelle tasche? Niente, mi piace viaggiare leggera. Qual è il tuo vizio segreto? Sigarette. Sto provando a smettere da tanto tempo. Chi è l'artista/band più sorprendente di oggi? Kings Of Leon Di chi sei la reincarnazione? Di mia nonna. Che poster avevi nella tua cameretta quando eri piccola? Axl Rose Ci dici il nome di un artista o una canzone Italia? Zucchero

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Di Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com)

Foto di Manolo Remiddi

Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte

Valentina Tanni Mi sono sempre chiesto cosa muova le persone che stanno nel mondo dell’arte. Gli artisti è facile, si sa, è il sacro fuoco che li divora. Ma tutti quelli che ci stanno intorno? Galleristi, curatori, critici, agitatori… cosa li spinge? Fart prosegue con la sua indagine intervistando Valentina Tanni, blogger, curatrice e critica. Ricordi il tuo primo approccio con l'arte? E quello con la tecnologia? Il mio primo approccio con l'arte non me lo ricordo, a dire la verità. Mi sembra che faccia parte dei miei interessi da sempre, anche se c'è stato un lungo periodo in cui pensavo di farla, più che di studiarla. Dopo il Liceo Artistico però ho scoperto una passione per la scrittura che ha finito per prevalere. L'approccio con la tecnologia invece me lo ricordo molto bene perché è stato piuttosto tardivo! Più che altro, non potrò mai dimenticare il mio primo modem, quello è stato veramente uno spartiacque della mia storia recente. Potremmo dire che ho una vita A.D. e una vita P.D. Cosa pensi dello stato dell'arte oggi? Difficilissimo rispondere brevemente a questa domanda. Credo che fare arte oggi sia difficile. Perché è dura essere originali e perché i condizionamenti che provengono dal sistema sono molto forti. Ed anche diffi-

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cile emergere per via dell'enorme rumore di fondo. Tuttavia io penso che il fatto che gli strumenti per creare siano a disposizione di un maggior numero di persone possa essere solo un bene. Per l'umanità e per l'arte. L'arte contemporanea fa molta fatica a confrontarsi con il passato, spesso tende a imitarlo, ma non sa farlo proprio. Si vedono troppi esercizi di stile in giro. Personalmente, quello che amo dell'arte è la sua capacità di generare visioni, realtà alternative, punti di vista inimmaginabili. Come passi le tue giornate tra blog e vita reale? Internet fa parte della vita reale a tutti gli effetti. E occupa, sia per lavoro che per passione, gran parte delle mie giornate. Ma io ci sguazzo come Poldo in mezzo ai panini. Le mie giornate non hanno uno schema preciso, alterno lavoro, scrittura, jogging, mostre, cinema, serate con gli amici. Ah, e telefilm, naturalmente… Quali? Lost perché dopo quattro

anni ancora riesce a spiazzarmi. Dr House perché subisco il fascino del genio bastardo. Dexter perché sa raccontare i lati oscuri. Californication perché talvolta è davvero scorretto. Ma nel mio cuore l’Oscar va a una sitcom: The IT Crowd, pure umorismo inglese in salsa nerd. L'avventura (artistica) più eccitante che hai vissuto? L'esperienza che ricordo con maggior entusiasmo è quella di Mediaterrae, un progetto di residenza per musicisti e videoartisti che si è svolto in Irpinia nel 2007. È stata, sia umanamente, che creativamente, una settimana eccezionale. Immagina decine di artisti provenienti da tutte le parti del mondo riuniti in un paesino campano durante una festa antica come il Carnevale. Sono rimescolamenti culturali che fanno scintille. E anche i lavori prodotti lo testimoniano. www.valentinatanni.com www.whokilledbambi.co.uk



Shop

Intervista a Sarah Bagner di Fabiana Fierotti.

Supermarket Sarah Ditemi se questa non è la parete più bella che voi abbiate mai visto. Si tratta del “supermarket casalingo” di Sarah, creativa londinese con le mani in pasta in un paio di bei progetti e una passione sfrenata per gli oggetti strani e gli abiti vintage. Questa in particolare, è stata curata dal designer Fred Butler. Il sodalizio è sicuramente riuscito. Ciao Sarah, come stai? Molto bene grazie. Dove ti trovi in questo momento? A Londra. Cosa stai facendo? Sto fotografando alcuni dei miei nuovi acquisti svedesi che ho trovato durante un recente viaggio. Sono molto entusiasta… Raccontaci la nascita di Supermarket Sarah.L’idea si muoveva nella mia testa alquan-

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to astrattamente qualche anno fa. Lavoravo come creativa online e volevo realmente tornare a sentire e toccare il mondo. Cominciai con il mercatino di Portobello e amavo incontrare persone e interagire con loro. Assistevo anche stylist importanti ed iniziai a sentire uno stile tutto mio. Il mio ragazzo, Henrik Delehag, è un

artista e mi ha aiutato a trovare la mia vocazione. Realizzai che il web avrebbe fatto al mio caso nuovamente, ma questa volta in un modo differente. Dove si trova? A casa mia in Ladbroke Grove, Londra. Qual è il concept principale del negozio? Supermarket Sarah è un supermarket con una personalità. Nel mondo di oggi fatto di brand omologati questo è un negozio dove gli articoli non hanno scadenze di vendita e sono tutti pezzi unici. È la mia selezione di cose strane e belle e di grandi, giovani talenti. Cosa vendi esattamente? Il sito ha una gamma di design dal vintage a oggetti personalizzati. C’è una selezione di creazioni di designer emergenti come qualche inaspettata curiosità. Sono tutti pezzi unici con una storia da scoprire. Mi piace il modo in cui decori le pareti. Cosa ti ispira? Sono ispirata dai mercatini delle pulci e dai porta bagagli delle macchine. Mia zia Katya, che vive ad Ystad, in Svezia, ha da sempre accumulato cose e mi gira la testa dall’eccitamento quando faccio irruzione nel suo armadio. Raccontaci della collaborazione con Fred Butler. Come vi siete conosciuti? Studiavamo entrambi alla Brighton University, ma allora non lo conoscevo; ci siamo incontrati recentemente ad un’inaugurazione alla Photographers Gallery, tramite un nostro amico in comune, Alex Cunningham (anche lui ex studente della Brighton), un brillante stylist che lavora spesso con Fred. Alex conosce lo stile del mio supermarket e mi ha presentato a Fred. Ho ammirato i suoi lavori per un po’ di tempo da lontano e quando ci siamo conosciuti ho pensato che sarebbero stati adatti per il mio Supermarket. Fred lavora spesso con materiali che trova in giro, come tessuti e spugne, e li trasforma in bellissime creazioni moda. Pensi che collaborerai con altri artisti nei prossimi mesi? Si. A ottobre Henrik Dekehag (www.benrik.co.uk) sarà ospite per curare la nostra parete artistica “ANTI-FRIEZE” che coinciderà con la fiera Frieze Art, quindi guardate il sito! La super illustratrice Phoebe Eason (www. phoebeeason.com) allestirà una parete e così anche il collettivo Peep Show (www.peepshow. org.uk). Sposteremo anche i nostri “muri” in spazi veri. Faremo una mostra a Poke London, al The Biscuit Building su Red Church street, e spero di occuparmi delle facciate abbandonate di tutti i negozi della città. Faremo una festa di lancio in un supermarket a Brick Lane a Dicembre, dove i corridoi saranno pieni di ogni tipo di cose curiose e delizie. www.supermarketsarah.com


elementskateboards.com

MICHAEL MACKRODT

HITCHCOCK JACKET - PIONEER DENIM


Books

Intervista di Marco Velardi. Foto di Piotr Niepsuj.

Alessio Ascari Nel panorama internazionale dell’editoria indipendente, intesa come riviste e periodici, si pensa poco all’Italia, ma da qualche anno c’è in giro Alessio Ascari, che prima con Mousse, e ora con Kaleidoscope, sta rivoluzionando il panorama cartaceo di questo paese e anche d’Europa. Kaleidoscope è solo al terzo numero ma è già sulla bocca di tutti, siamo andati a chiedere ad Alessio come mai. Da quanto esiste Kaleidoscope. Quali sono state le motivazioni iniziali? Kaleidoscope esiste solo da qualche mese, da marzo 2009. Alla base di questo nuovo progetto c'è l'idea di una "rivista espansa". Era da tempo che io e i miei collaboratori pensavamo a come oggi una rivista abbia senso se non si limita ad agire solamente sulla carta stampata, sul "printed matter", e quindi abbiamo dato vita a una piattaforma versatile, fatta di più anime e più obiettivi. Nello specifico, Kaleidoscope ha principalmente tre tentacoli: il primo è un magazine gratuito di arte contemporanea e non solo, il primo ad essere distribuito in tutta Europa; il secondo è lo spazio espositivo a Milano, dotato anche di un bookshop specializzato in riviste internazionali; il terzo tentacolo è quello della casa editrice, intesa in senso più classico e dedicata alla produzione di libri, cataloghi ed edizioni. Quanti numeri di Kaleidoscope hai pubblicato finora? Tre. Il quarto esce a inizio novembre. Da qui a selezionare gli artisti e collaboratori con cui lavori, qual è il tuo criterio di scelta? Naturalmente la sintonia con il nostro progetto (possiamo dire l'attitudine kaleidoscopica?). E poi c'è una cosa che non sarebbe male definire autorevolezza: per ogni contenuto ci ingegniamo per individuare il collaboratore di riferimento più preparato ed esperto. Se ti chiedo di darmi una definizione di editoria indipendente? Si è indipendenti quando si è "piccoli ma incazzati". Noi lo siamo. Ti occupi di altro oltre a Kaleidoscope? Kaleidoscope occupa almeno l'80% della mia vita, e credo sia lo stesso per ogni piccolo editore che si dedica al proprio progetto con passione, mettendo da parte le divisioni tra "vita-lavoro" e "giorno-notte". A volte mi capita di scrivere qua e là per riviste e cataloghi e di dedicarmi a progetti curatoriali e mostre. Del futuro dell'editoria cosa ne pensi? Il futuro è adesso. Un libro che consiglieresti? The Paris Review, una magnifica collezione di interviste a scrittori e protagonisti dell'universo letterario, tutte tratte dall'omonima rivista americana (ne usciranno 8 volumi). www.thekaleidoscope.eu

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Sandra and Johannes Forme pure, colori saturi. Oggetti semplici, che raccontano storie. Ecco, il segreto di Sandra Tan e Johannes Schiebe è proprio questo qui: ogni cosa custodisce una storia, che è tutta da ascoltare. E loro, un po’ designer, un po’ cantastorie le raccontano agli altri. Il design si fa leggero: quello che conta è la connessione che crea, l’empatia. Non c’è bisogno di altro. Così studio Taschide crea lampade, mobili, piccoli complementi: puff che paiono ricci di mare, sedie con la finestra, per sbirciare dietro le spalle, guardaroba sospesi, appendi abiti sparpagliati, specchi per principesse senza regno, calzini per le zampe dei tavoli. Surreali, concreti, improbabili, indispensabili. Intervista di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com) Ciao Sandra, ciao Johannes. Raccontateci qualcosa di voi… Siamo simpatici, passionali, cosmopoliti… Tipicamente tedeschi ;-) Quanti anni avete? Sandra: 29 Johannes: 33 Dove vivete? Ad Offenbach. E’ vicino Francoforte. Lì abbiamo anche il nostro studio. Che cos’è per voi il design? Il design è… il nostro mestiere! Essere creativi è la nostra abilità nella vita. Ci vediamo

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come dei cantastorie a tre dimensioni. E ne abbiamo di storie da raccontare!!! Ma il design deve essere utile? Dipende da che cosa s’intende con la parola “utile”. “Utile” nel senso di funzionale non è l’aspetto più importante nei nostri progetti. Per noi è più importante creare un’utile “connessione” con chi userà l’oggetto o con chi lo guarda per la prima volta. Questa connessione, questa “storia”, questa specie di “interpretazione” è ciò che lega un oggetto alle persone. E’ ciò che

rende un oggetto adorabile e desiderabile. Quando avete deciso che sareste diventati designer? Quando avete iniziato a lavorare in questo campo? Johannes: Nella scuola dove ci siamo diplomati l’arte era una delle materie principali, come pure il design. Sandra ha frequentato anche l’Accademia, io ho iniziato a lavorare, poi ho frequentato un corso di due anni in Furniture Making in Gran Bretagna , quindi – quando sono tornato in Germania – mi sono iscritto all’Università. Abbiamo avviato il nostro studio nel 2004.


Qual è stato il vostro primo progetto? La collezione “mirror, mirror on the wall”. L’abbiamo presentata all’inizio del 2005. Qual è la vostra fonte d’ispirazione? E’ difficile dirlo. Qualche volta siamo influenzati dai viaggi che facciamo, dai film che vediamo, e anche… sì! se mangiamo qualcosa di davvero buono. Dipende dalla situazione, da come ci sentiamo, dal progetto a cui stiamo lavorando in quel momento. Probabilmente sono le esperienze che facciamo la nostra vera fonte d’ispirazione. I vostri oggetti sono spesso semplicissimi, ma abbastanza concettuali. E’ un po’ come se giocaste con gli aspetti… inaspettati della vita. Che ne pensate? E’ vero? Come cercavamo di spiegare prima, il modo in cui l’oggetto reagisce con chi lo usa è viceversa è molto importante per noi. E’ la storia, quello che un prodotto dice e che ognuno conosce… La vita crea e racconta le storie migliori. Ecco, queste storie, questi concetti essenziali spesso sono all’origine della maggior parte dei nostri progetti. Mi sembra anche di vedere una certa allure “pop” in alcuni dei vostri prodotti… Dici davvero? Non ci avevamo pensato… Se è così, non era stato pianificato. Qualche volta utilizziamo colori saturi e forme “forti” proprio per sottolineare un’idea o la forma stessa. Oggi bisogna sempre cercare di tirarsi fuori dal mucchio e questo è uno dei modi per farlo. Quali sono i vostri prossimi progetti? In questo momento abbiamo un po’ di cose in ballo con diverse aziende, ma come puoi immaginare non possiamo parlarne… Però possiamo parlare di un altro progetto che stiamo portando avanti con l’architetto Susanne Stahl. Si chiama Susan & John (il sito web è www.susanundjohn.de) ed è una sorta di sperimentazione con lo spazio, i materiali, le forme… Date un’occhiata al sito! Vi farete un’idea… E tra i progetti già realizzati? Ce n’è uno a cui siete particolarmente affezionati? E’ difficile risponderti… Non’c’è “l’oggetto”… ogni nuovo prodotto che andiamo a realizzare, nel momento in cui ci lavoriamo diventa l’oggetto. Ed è lui… finchè non ci mettiamo a lavorare a qualcos’altro! Dove si può acquistare qualcosa di Taschide studio? Quello che non è prodotto da un’azienda è prodotto in piccolissimi lotti da noi. Il modo più semplice è acquistare da internet, passando per il nostro sito. E se non foste diventati designer? Che cosa avreste fatto? Sai una cosa? Non ci abbiamo davvero mai pensato! www.taschide.com

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PIG files

Di Giovanni Cervi

Girlfriend in a Gym Per molti andare in palestra è una vera palla. Forse uno dei motivi è che molte son proprio tristi. Già uno non è ben predisposto, se poi anche l’ambiente non aiuta… questo devono aver pensato gli architetti dello studio Koz mentre progettavano questo arcobaleno (anche l’interno è così!) per spinning, pumping etc etc. Generazione work out www.koz.fr

This charming radio

Foto di Véronique Huyghe

Innovazione e colore hanno fatto la fortuna di molti prodotti industriali. La speranza è che anche questa Hélio DAB Radio non finisca in fondo a un magazzino dimenticato dagli dei del design. La parte colorata è un innovativo sistema di pannelli solari, studiati per rendere al massimo in interni, la base è la radio autoalimentata e l’effetto psichedelico non è dato sapere se sia dovuto o voluto dalla designer Léa Longis. Generazione PIG Radio bold-design.org

The boy with the light in his side Una molletta che trasforma qualunque cosa acchiappi in una lampada. Detta così sa di follia, o magia. Nella realtà è la geniale idea di Sunghoo Lee. Un led da un lato, la zigrinatra dall’altro e la pulizia nel disegno, un ditto, un filo, un foglio di carta. Qualunque cosa. Generazione led. www.sungholee.kr

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Book in glove Si chiama Libri questo scaffale ideato dal designer svedese Michaël Bihain. Non sarà certo un caso, forse con qualche riferimento al “librarsi”, alla leggerezza. Sembra esile ma è robusto e può sopportare parecchio peso nonostante la semplicità. Per I tomi più pesanti e non solo. Generazione topi di biblioteca. www.swedese.se



Di Giovanni Cervi

Foto Höweler + Yoon Architecture / Squared Design Lab

PIG files

Last night I dreamt an alga loved me Sembra che le micro alghe siano la fonte energetica del futuro, molto più efficienti rispetto ai vari oli combustibili. L'innovativo progetto di Höweler + Yoon Architecture e Squared Design Lab, Eco-pods, prevede la coltivazione e trasformazione di alghe in moduli prefabbricati assemblabili, rendendo così autunomo anche un intero palazzo, oltre a dargli un'estetica alla Evangelion! Algae generation www.hyarchitecture.com - www.squareddesignlab.com

How turned is now?

Bignouth strikes again Dall’Inghilterra una proposta di packaging alternativi per i prodotti da supermercato importati. Considerando che un prodotto più arriva da lontano e più inquina (e spesso la cosa è inversamente proporzionale al controllo qualità), perché non esplicitare sull’etichetta il luogo di provenienza? La responsabilità degli acquirenti sarà sempre più importante (e sensibile) in futuro. Fuck CO2 generation. www.jwgreynolds.co.uk

There’s a light… Alla base del progetto Joint (così si chiama questa lampada in cartone riciclato) c’è la luce che attraversa le fronde degli alberi, una natura accogliente ed empatica. Giochi di luce gettano ombre nella stanza, grazie agli elementi a incastro, che con le diverse strutture richiamano le quattro stagioni (non la pizza N. d. R.). Cartoon generation. www.3ego.eu

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Giocare con le dimensioni è un classico del design degli ultimi 20 anni. Esplicitare elementi, creare corto circuiti mentali e sensoriali. Ne è un buon esempio questa lampada di Marco Lana. La luce si piega alle nostre abitudini e si accende e spegne cose se essa stessa fosse un interruttore. Play generation lana-savettiere.com



Feature on Designer: Satyen Kumar Intervista di Fabiana Fierotti

Ciao Satyen, puoi presentarti ai nostri lettori? Sono un menswear designer, Satyenkumar Patel, uno dei grandi nomi al Central Saint Martins MA, quando mi sono laureato nel 2001. Focalizzando la mia attenzione sullo stile maschile, sulla sartoria e sul pret à porter, la mia prima tappa è stata la collezione principale di Versace, a Milano. Dopo quattro stagioni di duro lavoro da Versace sono tornato a Londra per consultare Ashish designer che ha vinto per tre volte il premio New Generation, prima di proseguire da solo. Cosa ne pensi della London Fashion Week? Cosa hai provato a prendervi parte? LFW è una grande esperienza, specialmente per i talenti emergenti nella metropoli culturale che è Londra. Esserne stato parte è stata una grande esperienza, specialmente l’uscita della mia prima sfilata, che è stata straordinariamente accolta nella giornata del menswear. Puoi rivelarci qualche anticipazione sulla tua prossima collezione? Un viaggio caleidoiscopico attraverso una lente, ispirato dall’alba e al tramonto, dove un ragazzo fa i primi passi negli anni novanta, toccando la parte lussuosa di questi con in sottofondo la musica dei Petshop Boys, acid underground, Chicago house e scene visive di Domino Dancing e Zalman King’s Wild Orchide. Ci sono accenti di colori e blocchi, nei dominanti toni base dal grigio/carne all’esplosivo Azzurro, Rossetto, Lavanda e Corallo con tocchi di tie-dye contro caleidoscopiche stampe e trasparenze. E riguardo l’aw09? La aw09 vede la parte sartoriale del menswear, è focalizzata su lussuosa sartoria e outwear, l’usuale splash di colori e l’uso di nuovi tessuti non associati con il menswear. Tutto riguarda la propria immagine maschile dell’ OCD. Perché il menswear? È estremamente impegnativo creare un nuovo look e stile da uomo. Come dovrebbe essere esteticamente l’uomo perfetto? Moderno, creativo, interessante e ossessionato dalla propria persona. Qual è il primo ricordo che puoi legare alla moda? Mentre uscivo dalla mia prima sfilata durante LFW e quando lavoravo per Donatella Versace.Parlaci dei tuoi progetti futuri. Far crescere il mio nome come designer, rendere ogni stagione fresca, moderna ed entrare nel mercato internazionale. Dove possiamo trovare i tuoi capi? UK, Oki-ni.com e Daniel Jenkins. www.satyenkumar.co.uk 30 PIG MAGAZINE


distribuito da ANA. infoline: +39 0733 781322 www.anadivision.com


Blog of the Month: Foxy Man Intervista a Nadia Napreychikov di Fabiana Fierotti. Ciao Nadia, come stai? Benissimo, grazie! Da dove vieni? Raccontaci un po’ delle tue origini. Sono nata in Russia, ma vivo a Melbourne ormai da molto tempo. Dove ti trovi in questo momento? Sono seduta sul letto, nella mia stanza, con il computer sulle gambe. Cosa hai fatto oggi? Vorrei tanto avere una risposta più eccitante, ma la verità è che ho lavorato tantissimo. Parliamo un po’ del tuo blog. Quando e come ti è venuto in mente di averne uno? Ero un’avida lettrice di blog di moda prima di inaugurare Foxyman. È molto difficile leggere ed essere coinvolti dai blog senza essere tentati di averne uno proprio. Penso che sia per questo che ci sono sempre più blog che compaiono in rete continuamente. Come lo descriveresti? Si tratta di un diario creativo istantaneo dove posto sia le mie ispirazioni, che la loro realizzazione. Cerco di non analizzare troppo il contenuto e mantenerlo il più possibile intuitivo e spontaneo. Se dovessi usare dei sostantivi, quali sarebbero? Orgoglio e gioia. Perchè il nome Foxy Man? È un omaggio a “The Crack Fox”, il mio personaggio preferito di una commedia Britannica che si chiama “The

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Mighty Boosh”. Cosa fai nella vita reale? Sto per finire il mio quarto anno di fashion design, ma, cosa più importante, sto lavorando a una grande ed interessante collaborazione, che verrà lanciata molto presto! Hai degli idoli? Jean Paul Gaultier è un dio! La cosa più carina da fare a Melbourne? Prendere il traghetto, dopo un paio di drink,

e attraversare il fiume. Lo shop che non possiamo perdere? DISCOUNT. È online, Potete trovare maggiori informazioni sul mio blog! Qualche suggerimento per il perfetto outfit invernale? Assicuratevi solo di stare al caldo… Finalmente una risposta sensata! thefoxyman.blogspot.com



Brand highlight

Testo di Fabiana Fierotti. Foto di Piotr Niepsuj. Model: Giordano Walter.

New Era 59fifty Quando ho iniziato a documentarmi sui New Era Caps, non credevo di trovarmi di fronte un brand che nel 2010, compirà addirittura 90 anni. La sua storia inizia infatti nel 1920: Ehrhardt Koch eredita da una zia ben 5000$ e decide di buttarsi nel mercato dei cappelli, tentando la fortuna. È nel 1934 che Koch decide di realizzare i primi New Era da baseball. In pochi anni è già un successo e numerose squadre cominciano a richiedere esemplari customizzati dei cappelli. Nel 1954 vengono rimodernizzati e ridisegnati, assumendo le forme e il nome che oggi è quasi un mito: 59fifty, AKA “the Brooklyn Style cap”. Noi di PIG, oggi, abbiamo voluto ritrarre i New Era nel loro spirito contemporaneo, ovvero come espressione della street culture e come elemento della vita di ogni giorno. www.neweracap.com

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Katie Eary Una grande passione per i libri e un altrettanto spiccato senso dell’umorismo sono ciò che salta subito all’occhio in Katie Eary, menswear designer londinese. Noi abbiamo voluto farle un paio di domande, giusto per capire cosa le passava per la testa mentre disegnava le sue creazioni per la stagione aw09, davvero... particolari? macabre? decadenti? Di tutto un po’.

Ciao Katie, puoi presentarti ai nostri lettori? Ho 21 anni (qualcuno potrebbe dire che ne ho 26 ma sono dei bugiardi), disegno abbigliamento per uomo, ho appena fatto la mia sfilata durante la settimana della moda di Londra. Disegno da 7 anni... Faccio ancora fatica a ricordare il mio nome, a volte rido da sola quando penso a come sono arrivata qua... Ho una passione per i libri. Sono totalmente distrutta, ma felice come una pasqua. Si sono povera, ma ogni giorno felice. Anche se a volte sento che è troppo e non posso più reggere questo stile di vita troppo hardcore, faccio la sfilata ed il successo è così straordinario che voglio rifare tutto da capo. Come

stai e dove ti trovi in questo momento? Sto bene dopo aver dormito tutto il weekend dopo mesi senza sonno a causa dello show che stavo preparando. Sono a casa della mia migliore amica a Camden, Londra. Abbiamo appena mangiato toast con i fagioli, una tazza di tè e letto un enorme quantità di email... è ora di guardare un pò di vecchie schifezze in TV. Cosa di cui abbiamo sentito la mancanza negli ultimi 2 mesi... Cosa farai oggi? Oggi mi divertirò (dopo la mia tazza di tè) a fare un vestito per Lady Gaga di corda rossa. L'estetica delle tue silhouettes è molto particolare, puoi cercare di spiegarla? Vesto personaggi immaginari che ho

creato nella mia mente leggendo libri, tutte le mie collezioni si ispirano ai libri. Puoi descrivere la tua collezione? Un giro sulle montagne russe attraverso l'inferno, un viaggio per il pianeta più strano, un viaggio con gli esseri più bizzarri, noi stessi. O come la maggior parte dei critici l'hanno descritta "Indossare il tuo interno nel tuo esterno"... ahahah Dove vendi la tua collezione? Per la maggior parte faccio cose su misura, ci sono alcuni capi che si possono acquistare in un negozio chiamato Digitaria, a Londra. O semplicemente mandatemi una mail! Comunque presto sarà attivo il mio online shop. F.F. www.katieeary.co.uk

We Likey! Ci piacciono sempre le scarpe di Acne ma queste per l'Autunno Inverno 2009 piacciono di più! www.acnestudios.com Di Ilaria Norsa

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Some girls are bigger than others Comoda, calda, accogliente, graziosa. La collezione per l'Autunno/Inverno 2009 firmata Rachel Comey (Fresh Designer dello scorso Maggio - PIG 72 N.d.R.) è all'insegna del comfort. Morbidi golfoni e cardigan multi-strato sono abbinati a shorts in pelle, abitini e bluse in seta. Le stampe sono quelle caratteristiche dell'estetica proposta da Rachel, piacevolmente inconsuete e delicatamente femminili: rose capricciose, ombrelli, delicati boccioli e simpatiche scimmiette popolano il guardaroba delle giovani nomadi metropolitane mandate in passerella dalla giovane stilista americana. Il look è completato da caldi pellicciotti, tessuti leopardati, berretti in pelliccia e sciarpe con cappuccio. Per il freddo più pungente o solo per vezzo. www.rachelcomey.com I.N.

You can leave your hat on Benoit Missolin nasce ad Avignone trentasei anni fa; da bambino passa il tempo a creare abiti per il suo Snoopy e a scarabocchiare i quaderni di scuola riempiendone i margini con fantasiosi vestiti. La passione per la moda cresce con lui e i suoi schizzi colpiscono Christian Lacroix in persona che diventa per Benoit una specie di mentore. Una volta preso il diploma il giovane Missolin si trasferisce a Parigi: nella capitale frequenta la Chambre Syndicale de la Couture Parisienne e lavora poi come apprendista nella maison del suo maestro, nonché in quelle di Thierry Mugler e Jean Colonna. Nel 1997 presenta la sua primissima collezione, ma è nel 2002 che arriva la consacrazione con l'assegnazione del prestigioso Swiss Textiles Award: da allora Benoit ha saputo attirare sempre più attenzione sui suoi copricapo dall'estetica Pop giocando con i cliché e con il concetto di naïve. Potete acquistare i suoi cappelli, cappellini e cerchietti couture on-line all'indirizzo eshop.benoitmissolin.com oppure presso Misty Beethoven (Roma) e Funny Shop (Genova). All'estero invece li trovate da Liberty e Browns Focus (Londra) e al Bon Marché (Parigi). www.benoitmissolin.com I.N.

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Vans x Rick Griffin Vans lancia un nuovo progetto realizzato in onore di Rick Griffin, artista del movimento Psichedelico degli anni ‘60. Cresciuto nella California del sud, tra surf, street art e hippies, Griffin iniziò a lavorare per Surf Magazine, seguendo un percorso artistico che lo portò a disegnare poster, locandine di concerti e per finire il suo famoso personaggio animato, Murphy, icona del surf. Ricordiamo anche il celebre poster con l’occhio volante disegnato per Jimi Hendrix e lo storico logo della rivista Rolling Stone. www.vans.com F.F.

The Cassette Society I jeans chiari mi fanno proprio impazzire. Poi se è total look ancora meglio. Motivo per cui ho deciso di pubblicare questo di The Cassette Society, brand australiano super fresh. Se vi piace, potete visitare il sito www.thecassettesociety.com. au e fare razzia di vestitini, jeans, collant, cappelli e chi più ne ha più ne metta, a prezzi assolutamente cheap. Yuppie. F.F.

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The Gentlewoman E’ prevista per Marzo 2010 l’uscita di una nuova rivista dedicata alle donne, al loro stile, alla loro cultura, presentata da Fantastic Man. Si tratta di The Gentlewoman, pubblicazione curata da Penny Martin, famosa scrittrice di showstudio.com e contributor di Vogue, Harper’s Bazar, i-D e molti altri. The Gentlewoman punta a nuovi contenuti, non ad essere la solita rivista di stile senza anima, ma al giornalismo puro che racconti di donne moderne e impegnate socialmente. Il tutto sarà condito con fotografia, design e moda, ovviamente. www.fantasticman.com F.F.


Pump, the 20th anniversary. Olè! Intervista a Paul Litchfield di Fabiana Fierotti. Cosa ti ha fatto venire in mente l’idea del Pump? Prima di arrivare da Reebok ero un pompiere e quando ero sul luogo a cercare di stabilizzare un arto o aiutare una persona sotto shock, utilizzavamo delle ingessature gonfiabili che aiutano a immobilizzare gli arti. Quindi parte dell`ispirazione viene dall’industria medica. Quando hai iniziato a lavorare per Reebok? Avevo terminato un Master e avevo iniziato a lavorare su un PHD in chimica e ebbi l’opportunità di fare della ricerca in Scozia a proposito delle performance delle calzature atletiche. Quando tornai, mi fu offerta l’opportunita di lavorare con Reebok, quindi la colsi al volo. Ma come è fatto esattamente il Pump? È composto da due strati di plastica saldati insieme in modo da creare uno spazio vuoto. Il tutto è pensato in modo da avvolgere il piede. Abbiamo creato un numero di camere d’aria e una varietà di Pump diversi che rispondessero a vari attributi dal punto di vista funzionale e che creassero quindi diverse categorie, come quelle della pallacanestro e della corsa. Nel 1989, quando uscì Reebok Pump, ricordo che era una scarpa costosa: credi che questo abbia contribuito a renderla una scarpa elitaria? Le scarpe da basket al tempo costavano all’incirca 100 dollari e , aggiungendo il Pump, il prezzo saliva fino a 170 euro, perchè si usava una tecnologia completamente nuova. La feci diventare una scarpa che avesse più a che fare con le attrezzature sportive che con delle semplici scarpe da ginnastica. Che direzione vedi prendere al Pump oggi, dopo 20 anni di esistenza? Abbiamo delle novità per piuttosto entusiasmanti, che stiamo creando in questo momento; stiamo per introdurle alla gente e tutto questo è veramente entusiasmante e spero che porti a una rinascita del taglio su misura nell’ambito della calzatura. www.reebok.com

Clothing for the emotionally dispossessed Siamo di fronte a uno dei nuovi, ennesimi, talentuosi frutti della Central Saint Martin’s di Londra. Si tratta di Gabriella Gonzales, che per la stagione aw09, si è ispirata a una donna-guerriero bella, senza esserne consapevole, vulnerabile solo intimamente. La collezione è basata inoltre sui simboli della cultura underground e su una netta destrutturazione di ogni ovvio significato e clichè. Non vi ricorda un po’ Vivienne Westwood? gabriellamarinagonzalez.blogspot.com F.F.

Litter Rachel e Mackenzie sono due sorelle di San Francisco. La loro linea di gioielli ha meno di un anno e sta già spopolando sui blog e sulle riviste di tutto il mondo. Litter ha un anima vintage, un po’ trash, che ci piace tanto. Questo cervo a forma di anello poi! Date un’occhiata su www. littermb.com o se siete in vena di viaggi oltreoceano, fate un salto nei loro negozi di Los Angeles e New York. F.F.

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Pamela Love Intervista di Ilaria Norsa. Ritratto di Skye Parrott.

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Ha un cognome strepitoso, vive a Brooklyn, suona la batteria nelle Scorpio Rising, è stata l'assistente di Francesco Clemente, crea gioielli per stilisti come Zac Posen e Yigal Azrouel, è la migliore amica di Julia Restoin Roitfeld, ama andare in bici, è esperta di cinema, parla col suo gatto e ha una linea di gioielli tutta sua che è assolutamente figa. Come lei. Pamela dice che tutto questo le è capitato un po' per caso e che non è il tipo da far piani. Sarà, ma non riesco a pensare a niente di più azzeccato dei suoi gioielli, con quell’aria un po’ macabra e un non so che di mistico. S'ispirano al lavoro di artisti del calibro di Joseph Cornell, Lee Bontecou, Hieronymus Bosch e Alejandro Jodorowsky e nascono dal suo amore per l'astrologia, la scienza, l'anatomia, la religione e la magia. Facile restarne ammaliati… Ciao Pam, come stai? Bene, grazie! Dove ti trovi? Sono nella mia stanza d’albergo a Londra. Come mai ti trovi in Inghilterra? Sono qui per un press day e per un “trunk show” da Liberty.

2009: Sono stata molto ispirata dalla magia e dal misticismo di tutto il mondo. I pezzi sono molto pesanti e ricchi di dettagli. Hai recentemente collaborato con Zac Posen per la creazione dei gioielli e degli accessori per la sua sfilata Autunno/Inver-

Cos’altro pensi di fare a Londra? Domani sarò tutto il giorno da Liberty ma la sera spero di andare in un bar a Brick Lane. Parlaci un po’ di te Pam: Sono nata a New York e cresciuta in Florida. Ho studiato cinema e pittura all’università di New York. Love è il tuo vero cognome? Si Sei fortunata, è bellissimo! Cosa fai nella vita? Sono una designer di gioielli. E prima cosa facevi? Ho lavorato per molti servizi fotografici, film, ecc. e per un periodo sono stata l’assistente dell’artista Francesco Clemente. Wow, lui è grande! Dove vivi? A New York. Perché design di gioielli? Non lo so è semplicemente qualcosa che mi sono trovata a fare. Da quanto tempo lo fai? Da tre anni ormai. Descrivi te stessa in tre parole: Passionale, divertente, artistica. Descrivi le tue creazioni in tre parole: Pesanti, decorative, forti. Da dove trai ispirazione? La mia ispirazione viene da ogni cosa… arte, musica, architettura, viaggi, religione, magia, mitologia, astrologia ecc. Quante persone lavorano con te? Il numero cambia in continuazione. Ci sono gli stagisti che vengono e vanno, ma ho sempre un minimo di tre persone che lavorano con me. Come procedono le cose? Intensamente! Parlaci della collezione Autunno/Inverno

no 2009… Questa collaborazione mi ha dato molto da lavorare! Penso che il risultato sia molto eclettico. Bello e allo stesso tempo un po’ punk. Questa non è stata però la tua prima esperienza in campo di collaborazioni, me ne viene in mente anche un’altra con Yigal Azrouel... In effetti ho lavorato con un sacco di designer in passato incluso il mio caro amico Frank Tell, bravissimo stilista di abbigliamento femminile. Ne hai altre in programma? Al momento sto lavorando a una collaborazione con Derrick Cuz di “Black Sheep and Prodigal Sons” per la Primavera/Estate 2010. C’è qualcun altro là fuori (nel campo della moda o non) con cui vorresti fortemente lavorare? Mi piacerebbe lavorare con l’artista Lee Bontecou. E al di là del lavoro, che progetti hai adesso? Andare in New Mexico, Arizona e California. Wow! Non male… E di New York cosa mi dici? Adesso non so dirti niente perché mi trovo a Londra! Tu vivi a Brooklyn: dammi la tua attuale Top Five del “quartiere” 1-Five Leaves, per cenare. 2-Fluke, per gli abiti vintage. 3-Oak, per gli abiti non vintage. 4- DAddys- per un grog caldo. 5-Glasslands, per i concerti. E un consiglio: c’è qualche talento emergente (arte/musica/moda) dalle tue parti che dovremmo tener d’occhio?

Più di uno! Miles Benjamin Robinson è un fantastico cantautore. Jess Rotter, un magnifico illustratore con una sua linea di T-shirt chiamata “Rotter and Friends”. Black Sheep e Prodigal Sons, invece è la mia linea preferita di gioielli, oltre la mia naturalmente. Infine Nomia, straordinario brand di abbigliamento. Wow, grazie! A proposito di talenti, tu sei anche una musicista! Suoni la batteria con le “Scorpio Rising”… che genere suonate? E’ difficile da spiegare… dovresti venire a sentirci suonare! Sul vostro myspace (myspace.com/scorpiorising13) nelle influenze citate Nirvana, Black Sabbath, Led Zepplin, Smashing Pumpkins, Sonic Youth, Syd Barret, Talking Heads, Brian Eno, Patti Smith, Janis Joplin… Mi piacereste di sicuro! Tu cosa ami ascoltare di più? Ascolto sempre Neil Young. Qual è stata l’ultima cosa che hai visto che ti ha veramente ispirata? Il deserto Cosa ti piace fare nel tuo tempo libero? Mi piace andare in giro con la mia bicicletta. Sei innamorata? Si. Non potresti vivere senza…? La mia assistente. Di cosa ti vergogni: Non ve lo posso raccontare perchè me ne vergogno. Cosa ti fa arrabbiare? La politica Cosa ti fa ridere? Mio fratello. Quali sono i tuoi piani per il futuro? Cerco di non fare piani e vedere soltanto quello che succede. Dimmi qualcosa che non ti ho chiesto e che credi dovremmo sapere: Parlo con il mio gatto…un sacco. Ah. www.pamelalovenyc.com

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Cry Baby

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1.Jean Paul Gaultier 2.H&M Divided 3-4. Givenchy 5.Armand Basi One 6.Hussein Chalayan 7.Miss Sixty 8.Givenchy 9.Armand Basi One 10.Marc Jacobs 11.Yves Saint Laurent 12.H&M Divided 13.Yves Saint Laurent 14.Alexander Wang 15-16-17.ACNE

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1.Armand Basi One 2.Yves Saint Laurent 3.Jimmy Choo 4.Marni 5.H&M 6.Surface To Air 7.Versus by Christopher Kane 8.Yves Saint Laurent 9.Surface To Air 10.Diesel Denim Gallery 11.Yves Saint Laurent 12.Alexander Wang 13.Poltock and Walsh 14.Nina Ricci 15.Topshop 16.Rick Owens 17.Sonia Rykiel 18.Ring 43


Photographer of the Month: Lou O’ Bedlam A cura di Sean Michael Beolchini.

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Come ormai avrete capito, ogni mese ci piace girovagare alla ricerca di fotografi. Ci perdiamo tra librerie, nelle infinite communità online e nei fotoblog con temi affascinanti. Dopo ore di belle figliole, paesaggi mozzafiato e tanti maghi di photoshop, ci imbattiamo spesso in piccole gemme di fotografia amatoriale, che non dovreste lasciarvi sfuggire.

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Come ti chiami? Luciano Noble II Da dove vieni? Los Angeles, California, USA Dove vivi? Hollywood, California Che lavoro fai? Sono un EMT (guido le ambulanze) Ci campi con la fotografia? No, la fotografia è per divertimento, non per lavoro. Quanti anni hai? 31 Quanti anni ti senti? Ho il corpo di un venticinquenne, ma la testa di uno di settanta. Come descriveresti le foto che pubblichi su Flickr? Ritratti. Onesti, semplici ritratti. Perchè hai deciso di far parte di una photoblog community? Per trovare altri fotografi con la stessa mentalità ed avere un feedback del mio lavoro. Fai parte di qualche altra photoblog/community di questo tipo? Flickr, Tumblr. Hai il tuo proprio photoblog, se si quale? Si ce l'ho, blog.louobedlam.com Quale è la migliorecosa che hai ottenuto attraverso il tuo spazio su Flickr? Soldi. Perchè hai deciso di scattare queste ragazze? Le ho viste nelle foto e mi sono sembrate molto autentiche. Le ragazze che fotografi sono amiche o ragazze che incontri per caso in giro? Entrambi. Qualche volta amiche, altre amiche di amiche, altre ancora donne che trovo tramite altri

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fotografi. Hai una modella preferita? E’ sempre difficile scegliere una preferita. Quelle che mi piacciono di più sono quelle con cui tendo a lavorare molto, quindi le mie preferite sono quelle di cui ci sono più scatti. Bionde, castane o rosse? Castane. Cosa trovi più attrattivo in loro? La forza. Di cosa hai più paura di loro? Non posso dire che abbia paura delle donne. La paura è la mente killer. E cosa ammiri di loro? Ammiro la loro abilità nel sopportare di essere comandate da me. Quale è la tua "big picture"? Non ne ho una. Cerco di non pianificare troppo in avanti, la maggior parte delle volte non sono molto bravo a farlo. Cosa altera la tua percezione? Perlopiù, LSD. Qual è il tuo fotografo preferito? Un'altra domanda tosta. Ne ho alcuni: Annie Liebovitz, Martin Scholler, Julia Galdo, Ian Broyles, Laura Taylor, Stanley Kubrick. Che tipo di macchine fotografiche usi? Uso una Polaroid 680, una Mamiya c330 e una Canon 5d. Che macchina vorresti usare? La nuova Leica digitale srl. Quale sarà il tuo prossimo servizio? Spero uno valido. blog.louobedlam.com - www.flickr.com/people/louobedlam

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Street Files. NY Minute Roma - di Piotr Niepsuj. Special thanks: adidas.

Quando abbiamo saputo l'elenco degli artisti che avrebbero esposto al Macro Future a Roma in occasione della mostra "NY Minute" siamo impazziti (in pratica l'intera scena d'arte contemporanea di New York!). Non potevamo quindi fare altro che preparare le valigie e partecipare all'apertura. Siamo partiti due giorni prima per vedere come stavano procedendo i preparativi e per fare due chiacchiere con gli artisti che sono venuti a Roma e con Kathy Grayson, la curatrice della mostra (intervistata nel numero di ottobre).

Nome? Aaron Bondaroff aka The Downtown Don Età? 32 Da dove vieni? Coney Island, Brooklyn, NYC. Your favourite word: Word La parola che ti descive meglio: Legendar Child (Bambino leggendario) La persona che più ti vuoi tenere stretto: Il mio più mitico nemico Cos’hanno in comune Roma e New York? Le strade sudice, la storia storica e “that fucking attitude” E cosa invece li differenzia? “The fucking attitude” Chi vorresti conoscere e dove? Questa città ha bisogno di clistere Hai qualche rimpianto? Piango da solo mentre dormo tutte le notti.

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Nome? Patrick Woodard Griffin Età? 26 Da dove vieni? Huston, Texas La tua parola preferita: ACAB (All Cops Are Bastards) La parola che ti descive meglio: cosa? La persona che più ti vuoi tenere stretto: mio fratello Cos’hanno in comune Roma e New York? In entrambe le città non riesci a camminare E cosa invece li differenzia? 24hr delis Chi vorresti conoscere e dove? Hank Williams SR Hai qualche rimpianto? In continuazione, ma non lo ammetterò mai con nessuno. In verità l’ho appena fatto. Non importa.

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Nome? Ara Peterson Età? 36 Da dove vieni? New England La tua parola preferita: : Psychedelic (psichedelico) La parola che ti descrive meglio: Weird (strana) La persona che più ti vuoi tenere stretto: Bridget Cos’hanno in comune Roma e New York? Lo stesso sentimentalismo E cosa invece li differenzia? Il sarcasmo Chi vorresti conoscere e dove? La mia grandiosa nonna al Cafè Backgammon Hai qualche rimpianto? Il nome che voi avete dato a questa rivista.

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Nome? Aurel Schmidt Età? 26 Da dove vieni? Kamloops BC, Canada La tua parola preferita: Love (amore) La parola che ti descive meglio: il mio ex ragazzo La persona che più ti vuoi tenere stretto: I turisti Cos’hanno in comune Roma e New York? E cosa invece li differenzia? Chi vorresti conoscere e dove? Hai qualche rimpianto? No

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Nome? Mort Età? Una trentina Di dove sei? NYC Cosa indossi oggi? Vestito di Dockers, maglietta di Brooks Brothers, cravatta di Mister Mort e cappello Vintage Qual è la cosa più bella che hai visto qui? Il tavolo da Ping Pong al Pool Tradeshow Qual è il tuo film preferito? The Fiddler on the Roof L’acquisto migliore Nome? Tim Barber 30LDa dove vieni? New York La tua parola preferita: Meadow (prato) La parola che ti descive del mese scorso? UnaEtà? canoa ’evento meglio: Weirdo (matto) La persona che non vorresti perdere nei prossimiche più ti vuoi tenere stretto: non lo so ancora Cos’hanno in comune Roma e NewLa York? Chiese fotografica e cavalli E cosa invece li differenzia? L’età Chi vorresti conoscere e dove? Me stesso nel futuro Hai mesi? mia mostra all’Urban qualche rimpianto? Di aver detto cose davvero deplorevoli. Outitters

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Nome? Rafael de Cardenas Età? 34 Da dove vieni? New York La tua parola preferita: Candy how I say it (Caramelle, come lo dico io) La parola che ti descive meglio: Ass Candy La persona che più ti vuoi tenere stretto: mia mamma Cos’hanno in comune Roma e New York? La mutabilità E cosa invece li differenzia? La mutabilità Chi vorresti conoscere e dove? Lady Gaga nelle girandole di Jim e Ara, ora! Hai qualche rimpianto? Ne ho tanti, ma me li dimentico spesso. Mi sento come se il cuore mi venisse strappato dal petto.

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Nome? Benjamin Jones Età? 32 Da dove vieni? Pittsburgh La tua parola preferita: Hawk (falco) La parola che ti descive meglio: Tall (alto) La persona che più ti vuoi tenere stretto: Christina S. Gregory Cos’hanno in comune Roma e New York? Le rovine E cosa invece li differenzia? La lunghezza del minuto Chi vorresti conoscere e dove? Mario Batali che attraversa la piazza e viene a sedersi al nostro tavolo. Hai qualche rimpianto? Nintendo 64

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Nome? Evan Gruzis Età? 30 Da dove vieni? Milaukee, Wisconsin La tua parola preferita: Vino Nobile La parola che ti descive meglio: Here (qui) La persona che più ti vuoi tenere stretto: me stesso Cos’hanno in comune Roma e New York? Non saprei sono appena arrivato. E cosa invece li differenzia? Come sopra Chi vorresti conoscere e dove? Amici in stanze buie Hai qualche rimpianto? Mai

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Different people, different places PIG magazine for NIKE. Testi di Fabiana Fierotti. Foto di Piotr Niepsuj.

Negli anni in cui in Inghilterra e in America stava esplodendo il fenomeno punk, nell’Oregon, Geoff Hollister, dipendente Nike, si ingegnava su come aiutare i poveri atleti, sottoposti a duri allenamenti, a difendersi dalle bassissime temperature del posto. È’ così che nasce la AW77, oggi meglio conosciuta come “scuba hood”, una felpa in grado di proteggerli dal freddo e dalle intemperie, dotata di un collo più ampio e di una zip a metà altezza, per conservare il calore. Sappiamo tutti come da anni la AW77 sia diventata parte integrante dell’abbigliamento street e non solo espressione di un esclusivo mondo sportivo. Proprio per documentare questo aspetto, abbiamo scelto sei location e sei tra le persone più interessanti incontrate durante le nostre serate a Milano, e abbiamo mandato il nostro fotografo Piotr a ritrarle con indosso le scuba hoodies, seguendo le loro personali attitudini. A parte la stanchezza devastante che ci ha colti dopo tre giorni di festa continua, le immagini parlano da sole… www.nike.com 56 PIG MAGAZINE


Alessia, Giovedì sera, Galleria Patricia Armocida La ragaza nella pagina accanto si chiama Alessia e ha una grande passione per le biciclette e le piste ciclabili. L’ho incrociata alla Galleria Patricia Armocida, in occasione dell’apertura del Bicycle Film Festival. Avevamo parlato delle mostre precedenti in questa galleria- Parra ed Espo - e anche questa non è stata da meno. Bellissima, con tanta gente e tante tante bici.

Rebecca, Giovedì notte, Bruttoposse Rebecca (a.k.a. Rebs) è la nostra nuova stagista moda; l’ho incontrata alla Sacrestia, dove ogni giovedì si tiene il Bruttoposse, serata easy, carina e informale. Rebs si è appena trasferita a Milano e si diverte da matti. 57


Luca, Venerdì notte, Pink is Punk. Luca è venuto da Parma per sentire il suo amico Talker, che venerdì ha suonato ai Magazzini Generali, durante il Pink is Punk, party che si tiene nella saletta sotterranea del club, super underground. Luca è un bravissimo fotografo e con un altro amico, Giulio, sta preparando un servizio moda per il nostro prossimo numero.

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Clark, Domenica notte, in giro Ho iniziato il weekend con l’arte e mi sembra giusto terminarlo allo stesso modo. Domenica sera, io e il mio amico Clark siamo andati in giro in stile easy... un paio di chiacchiere, due scritte e mille risate.

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Giulio, Sabato notte, Concerto Yacht Giulio invece è di Genova e ha aperto un blog (www. thesparetimetyper.com) con il suo amico Basetta, invitando anche altre persone a scrivere. E’ venuto a sentire Yacht alla festa di chiusura del Bicycle Film Festival. Abbiamo ballato come dei pazzi in prima fila per tutto il concerto. L’intervista agli Yacht la troverete proprio su questo numero. Sono davvero bravi.

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Piotr, a casa, dopo il weekend Eccomi nell’ascensore di casa mia, dopo questo bellissimo weekend. Sono stato in mille posti ed ho incontrato mille persone. Sono devastato, ma felice. Vado a dormire perchè domani mattina devo andare in ufficio. Yo! 61


Zoe Cassavetes Intervista di Valentina Barzaghi. Foto Š2009 SoFilles Productions / Montpensier Film.

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Come si riesce a fare una intro esaustiva e concentrata su Zoe Cassavetes? Zoe è cinema a 360°. Regista indipendente che spazia dalla tv, con la fortunata serie “Hi Octane” realizzata in collaborazione con l’amica Sofia Coppola, al cinema, con il romantico e intimo “Broken English”. E se il cognome non vi dicesse nulla, ripassiamo un po’: Zoe è figlia del celebre regista John Cassavetes e dell’attrice Gena Rowlands, nonché sorella di Nick e Alexandra. Insomma, un’altra famiglia caposaldo del cinema made in U.S.A. Usata già in giovane età come attrice per alcune pellicole degli amici di papà, finisce per capire che la recitazione non fa per lei e quindi cambia prospettiva spostandosi dietro alla macchina da presa. E da qui l’ascesa... Zoe si distanzia dal resto della famiglia per stile, con una delicatezza e sensibilità, che sono più tipiche del cinema europeo. Non ci stupisce scoprire quindi che ora vive a Parigi e ci piace pensare che una fetta della sua avventura verso la capitale francese ce l’abbia raccontata proprio in “Broken English”, da noi mai distribuito. L’abbiamo contattata durante una pausa di lavoro dalla sua ultima fatica, di cui però si proibisce di parlare perché dice che porta rogna... non ci rimane che aspettare.

Ciao Zoe! Piacere di conoscerti... Come stai? Ciao! Sto molto bene, grazie per avermelo chiesto! Ti trovo in un periodo di relax o sei già sotto pressione con il lavoro? Guarda, sono appena uscita da un periodo lungo e rilassante di vacanza che ho trascorso tra la campagna italiana e quella francese. Ho lavorato così tanto in questi anni, che sentivo proprio il bisogno di prendermi una pausa abbastanza lunga. Ma, già ora sto lavorando ad un altro script, quindi... Lo so che non è molto educato da chiedere a una signora, ma... quanti anni hai? Ho 39 anni e non mi dispiace che tu me lo chieda perché penso davvero che sia fantastico. Per una cosa su tutte: conosco meglio me stessa. La prima cosa che hai pensato quando ti sei alzata stamattina? Che cavolo di ore sono? Descriviti usando tre aggettivi. Oh, è difficile... a dire il vero non sono molto brava in questo tipo di cose. Qualsiasi cosa dico mi farebbe comunque sentire troppo piena di me. Ti ricordi la prima volta che sei stata su un set? Veramente no, ma sai, sia mamma che papà hanno realizzato davvero tantissimi film tra le mura di casa nostra, quindi è come se fossi cresciuta in un set. Ma quindi, hai dovuto frequentare anche una scuola o ti è bastato "vivere in famiglia" per imparare i fondamentali per diventare una buona regista? Mi sono sempre sentita a mio agio su un

set perché è qui che sono stata allevata, ma anche oggi credo comunque di avere ancora tantissimo da imparare. Quando ero più giovane ho girato un sacco di scuole perché il mio intento era quello di diventare un'attrice, ma poi ho capito che non ero tanto brava e quindi ho lasciato perdere. E così mi sono messa nel posto che trovavo più confortevole, ovvero dietro alla telecamera. Ho lavorato prima come assistente di produzione e poi come aiuto regista. Entrambe le esperienze mi hanno davvero aiutato a diventare la regista che sono ora e spero, una buona regista. Mi hai parlato di "buona regista", ma vorrei capire cosa intendi. Cosa deve avere secondo te un regista per essere ritenuto valido? Beh, innanzitutto un buon regista deve avere una propria e specifica visione, ma deve anche essere aperto a collaborazioni. Personalmente credo che sia importante innanzitutto avere un buon feeling non solo con gli attori, ma anche con il resto del gruppo, soprattutto con il resto della troupe. Scusa la domanda, non vorrei essere indiscreta, ma non hai mai avuto paura di essere considerata sempre e solo "la figlia di tuo papà"? Quali sono - se ce ne sono state - le difficoltà che hai dovuto affrontare? Nel bene e nel male, io sono figlia di mio padre. Non lo posso negare e sono davvero orgogliosa di questa grossa eredità. Diciamo che subisco già molto stress derivante dalla mia arte, che se dovessi anche preoccuparmi di valutare di essere brava tanto quanto mio padre sarebbe finita. Io sono io,

con il mio modo di pensare e la mia visione della vita; ci tengo a condividere tutto ciò. Mi ritengo molto fortunata di appartenere a una famiglia che mi ha sempre incoraggiata a scrivere, a immaginarmi storie e far emergere sentimenti, sensazioni. Se ci pensi bene, comunque, a tutte le persone succede di trovarsi da sempre all'interno di un business familiare. Qual è il più bel ricordo che hai di tuo padre sul set? John era un grande leader. Aveva una gioia infinita per quello che faceva. Amava "condurre" il set e trovava il contributo di qualsiasi persona fondamentale. Era un grande in quello che faceva, ma riusciva anche ad essere un uomo molto divertente e premuroso. Mi piaceva davvero moltissimo guardarlo lavorare ed ero estasiata nel vedere cosa riusciva a creare con gli attori in quei momenti. E invece che tipo di regista sei tu sul set? Amo girare. Amo quel legame che si crea durante le riprese. C'è molto più entusiasmo a lavorare con le persone e con le loro idee. Così mi trovo sempre ad avere un mood allegro. Non sopporto le persone che urlano, è qualcosa che non potrei tollerare su un set perché sono convinta che non ne uscirebbe nulla di buono da un lavoro fatto in questo modo. Adoro anche vedere gli attori in azione. Quando scrivi una cosa te la immagini in un determinato modo, ma gli attori poi apportano sempre qualcosa di nuovo e innovativo nella resa finale. Quando non sei sul set cosa ti piace fare? Le persone generalmente sono convinte che quando le riprese sul set sono ultimate, sia

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ultimato anche il lavoro da fare per il film, ma invece c'è ancora davvero un sacco di roba prima di chiudere. E tutta la parte che inizia da qui mi piace moltissimo: sto parlando della post produzione. No, ok... ma dicevo nel tuo tempo libero, fuori dal lavoro. Ma guarda, solitamente scrivo, cerco di pensare al prossimo film che voglio realizzare. Scrivere richiede molto tempo. Oltre a questo mi piace anche fare fotografie e collaborare ad altri piccoli progetti. E' un bene tenere sempre ben accordati i propri strumenti. Avrei un sacco di domande da farti, molte sulla tua vita in famiglia, ma non vorrei tediarti troppo e quindi proverò a restringere il campo a una sola. Mi racconteresti qualcosa sulla routine familiare di casa Cassavetes? Sai, tipo quelle leggende che ci si immagina da fuori, come la consuetudine di un pranzo domenicale insieme ad un altro grande regista che veniva a trovare tuo padre... Oh mamma, non saprei davvero da dove iniziare, ma a dire il vero preferisco non rispondere a questa domanda perché vorrei che il vissuto della mia famiglia e mio con mio padre, rimanessero qualcosa di conosciuto solo alle persone che lo hanno vissuto. Prendila come una mossa di gelosia. Inoltre, capisco che per qualsiasi amante di cinema al mondo la mia situazione familiare, con tanto di amici illustri, possa sembrare un sogno, ma io non l'ho mai sentita così. Per me era semplice e normale vita. Capisco e perdona l'insistenza, ma ci sarà stata una persona che hai incontrato nella tua vita di tutti i giorni come io posso incontrare il collega d'ufficio di mia mamma, e che ti ha affascinato molto... Quello sì. Direi Peter Falk, anche perché adoravo la serie Colombo. Lui e sua moglie Shera volevano sempre giocare con me quando ero piccola. Ok. Sono soddisfatta e passo ad altro argomento. Parliamo un po' del tuo film più famoso, Broken English. Da cosa hai preso spunto per la trama? Mi ero accorta che un sacco di donne soffrivano perché non riuscivano a trovare "l'amore". Ma avevo notato che molte di esse stavano percorrendo la strada più sbagliata per arrivare a ciò che desideravano perché erano arrivate al punto di considerare questa, come l'unica cosa che importava davvero al mondo, quando invece avevano un sacco di altri aspetti più importanti nelle loro vite che avrebbero potuto perseguire. Inoltre, quando a queste donne capitava di

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avere davvero tra le mani ciò che volevano, non sapevano cosa farci, come comportarsi e come gestire la situazione. Ed ecco il tutto... Tua mamma è un'attrice famosa, come tua nonna, tua sorella, tuo fratello... Forse è per questo che nel film il personaggio di Nora è ossessionato dagli attori, con cui continua ad avere rapporti fallimentari? E tu? Penso che chiunque, in un certo qual modo, sia ossessionato dagli attori. D'altronde sono coloro che creano fantasie, fingendo di essere qualcun altro. Tuttavia sono figure che ci sono familiari e, avendo un rapporto di coppia con qualcuno di loro, bisogna comunque tener presente che nemmeno loro conoscono noi, con tutte le accezioni sottese del caso. Per quanto riguarda il film non credo che quella di Nora sia una vera e propria ossessione per gli attori, in fondo ne conoscerà bene solo uno. Nora è una donna abbastanza insicura, influenzata dal fatto che senza un uomo non possa essere davvero felice. Quanto c'è di autobiografico in lei? Uso un sacco di me stessa per le mie storie, più che altro per come mi relaziono ad esse attraverso le situazioni che vivo, ma non posso spiegare a nessuno come avviene questo meccanismo. La magia sta proprio in questo e non è possibile trasmetterla a qualcuno. C'è qualche situazione che tu definiresti vietata per un primo appuntamento? Tipo, secondo me il ristorante è out, perché sei imbarazzato e non ti godi la cena... Oh mamma, non ne ho la minima idea. Non ci avevo mai pensato a questa cosa... Comunque sto insieme alla stessa persona da talmente tanto che non saprei dirti... E anche prima, non è che sia mai stata una da tanti appuntamenti, quindi non sono molto adatta a suggerimenti... Mmmhhh... Ok, ma ti ricordi la tua prima cotta? Direi di no purtroppo. Hai una tua personale idea romantica di rapporto? Sono arrivata alla conclusione che questo non si possa definire. Probabilmente saprò rispondere a questa domanda solo quando avrò novant'anni. Inoltre credo che le persone, nel mio caso le donne, siano troppo fossilizzate sull'idea di "uomo ideale". Su questo mi trovi d'accordo... ma ti è mai capitato di vivere una relazione da favola come quella del film? Sì certo. La gran parte di quello che sto

vivendo ora era come mi immaginavo sarebbe dovuta essere la storia mentre lavoravo al film. Ok, ho finito di farmi gli affari tuoi in campo sentimentale. Tornando al film e ad altri tuoi lavori: sono tutti accomunati dalla presenza stabile di Parigi come sfondo... A proposito di quello che mi chiedevi prima... Ora io vivo a Parigi e direi che per il momento sono indissolubilmente legata a questa città. Passiamo ad un altro tuo lavoro, quello che ho visto proiettato per la prima volta a Circuito Off: Samedi Soir, differente dai tuoi soliti perché rivisita l'erotismo da un punto di vista femminile. C'è stato qualcosa che hai trovato imbarazzante nella realizzazione? No, non è stato assolutamente imbarazzante. Non avrei mai accettato il progetto se l'avessi trovato in qualche modo imbarazzante. Anzi, a dirti il vero quando sei sul set trasformi il tutto in qualcosa di molto tecnico perché devi lavorarci come su qualsiasi altra scena che avresti girato. Devi essere professionale e farlo. Beh, il tuo cortometraggio è basato per la maggior parte su scene di sesso molto esplicite... Nessun problema davvero? No, è stato un gioco di squadra e non abbiamo avuto difficoltà. Abbiamo usato due camere, il che penso abbia aiutato tutti a finire il proprio lavoro il prima possibile e con la miglior resa dal punto di vista filmico. Certo, immagino che non sia stato facile per gli attori fare tutto ciò che gli spettatori possono vedere e che tutti erano lì a vedere sul set. Però abbiamo fatto in modo che avessero coperture di qualsiasi tipo e che il tutto fosse fatto il più velocemente possibile. Ok... cambiamo totalmente argomento... ti piace fare shopping? Ti ho vista anche ad un sacco di foto di sfilate... Oh sì, certo. Adoro i vestiti, anche se spesso non lo faccio solo per piacere, visto che "il fashion" è anche una parte del mio business. Comunque adoro andare per negozi, soprattutto quando sono in giro per il mondo, avendo sempre un occhio di riguardo per quelli vintage. E invece, a proposito di musica, cosa ti piace ascoltare? Ascolto davvero un sacco di musica, non saprei dirti un genere a cui sono legata di preciso. Sicuramente, quando scrivo ascolto solo musica classica. Ah ecco! In questo periodo mi piace un sacco l'ultimo di Pete Doherty. Se trovassi la lampada magica e il genio ti


chiedesse di esprimere tre desideri, cosa gli chiederesti? Egoisticamente gli direi che amo l'idea di saper parlare correttamente dieci lingue, che vorrei avere un flusso continuo e illimitato di denaro sul mio conto e che ciascuno di quelli che amo (compresa me ovviamente) morissero nel modo più indolore possibile e davvero a tarda età. Se avessi sulle spalle anche il peso del mondo invece direi... Che siano resi reversibili gli

effetti del riscaldamento globale, risolvere il problema dell'alimentazione nel mondo e che non esista più il cancro. Ce ne sono talmente tanti altri però.... Qual è la cosa che ti fa più paura al mondo? L'assenza di umanità che le persone hanno verso i propri simili. E le cose che proprio non sopporti? L'ignoranza, la chiusura mentale e la crudeltà.

Se non fossi diventata una regista, quale altro lavoro ti sarebbe piaciuto fare? Uno dei miei più grandi sogni sarebbe di avere un mio piccolo ristorante dove io potrei stare in cucina a dilettarmi. Quindi sai cucinare... Quale piatto ti riesce meglio? Adoro cucinare, mi rilassa davvero un casino. Posso fare qualsiasi cosa, da una semplice pasta a qualcosa di più complesso come piatti di cucina greca o francese.

L'ultimo film che hai visto e che ti è piaciuto? Mi è piaciuto molto The Hurtlocker di Katheryn Bigalow. Un film davvero potente su un plotone di soldati in Iraq che hanno il compito di disinnescare bombe. Un tuo collega di cui stimi particolarmente il lavoro? Tenendo presente che sono una grande cinefila, è difficile citare qualcuno in particolare lasciando fuori tutti gli altri. Tra i

miei coetanei mi piacciono moltissimo Sofia Coppola, Wes Anderson e Noah Baumbeck. Trovo anche molto interessanti e particolari Christophe Honore e Faith Akin, per come trattano i rapporti umani: hanno un punto di vista sempre molto particolare. E se invece ti chiedessi di citarmi un giovane regista che secondo te dovremmo tenere d'occhio? Ce ne sono un sacco che adoro, soprattutto in questo periodo. I miei preferiti sono Lee

Daniels e Azazel Jacobos. Che cosa hai in serbo per il futuro? Ora sto lavorando ad un paio di progetti, ma non amo parlarne, almeno fino a quando non li avrò portati a termine. Sei felice? Dipende dai momenti. Cosa farai dopo questa intervista? Sono pronta a tornare al lavoro. Allora ciao Zoe e buon lavoro Ciao

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The xx Intervista di Depolique. Foto di Sean Michael Beolchini.

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Sono arrivati come una sospirata nuvola che oscura il sole in una delle estati più calde che ricordi, con un album che ci ha lasciato estasiati. Come alieni di un film di fantascienza che sbarcano in punta di piedi sulla terra e suggeriscono di guardare le cose da un altro punto di vista. Che non avevamo considerato. Come rapiti, ci siamo rifugiati in questa zona d’ombra, uno spazio protetto, un luogo dove il tempo si ferma, dove restare soli con i nostri pensieri e le nostre emozioni. Appena ventenni (da qui il nome) The xx nascono ufficialmente quasi cinque anni fa. Cresciuti nel sud di Londra, i quattro si conoscono a scuola, quella Elliot School che dieci anni prima avevano frequentato anche Burial, Hot Chip e Kieran Hebden. Evidente l’influenza degli alfieri del nuovo suono britannico, così come dei decenni passati (dalla new wave a Bristol) nella musica del gruppo, che però, spogliata di tutto, si riduce alle canzoni, alle parole e alle voci di Romy e Oliver, inseparabili, amici da una vita, mente, anima, ma soprattutto cuore dei The xx. Voliamo a Londra per incontrarli, è domenica mattina e sono le nove. Chissà che voglia hanno di lasciare il letto per incontrarci. Con solo venti minuti di ritardo arriva Baria, tastiere e chitarra del gruppo. Timida e un po' preoccupata dall'assenza degli altri ci chiede se è la prima. Dimostra forse anche meno dei suoi vent'anni. Un quarto d'ora e arrivano Oliver - voce, basso e leader, insieme a Romy, della band e Jamie, il talento che ha prodotto il tutto e sta dietro a beats e samples. Oliver è sorridente, fiero, sicuro di sé. Jamie probabilmente maledice la sveglia e chi gliel'ha fatto fare e si butta sul divano stretto nella sua giacca a dormicchiare. Passa un'ora e Romy non arriva, decidiamo di cominciare a registrare le nostre chiacchiere. Oliver si scusa e dice che parlerà a nome

Il gruppo però è nato quando io e Romy ne avevamo quindici: gli anni in cui ti innamori della musica, cominci ad uscire, ad andare ai concerti e a frequentare i negozi di dischi. Ci è venuta voglia di formare un gruppo anche a noi, così abbiamo cominciato con un po' di cover e poi, piano piano, a scrivere qualcosa di nostro. Conoscevamo Baria perché avevamo studiato musica insieme a scuola, così l'abbiamo coinvolta nel progetto con l’idea di ricreare nel modo migliore i brani dal vivo. Abbiamo suonato come trio in giro per un anno, un anno e mezzo, prevalentemente a Est, con un CD di beats che andava come base. Può essere molto scomodo, perchè devi seguire la traccia, e se sbagli o perdi il tempo... E’ finita. Tutto è cambiato quando Jamie si è unito al gruppo, circa due anni fa. Adesso lui suona i beats dal vivo insieme a

suo. Jamie sonnecchia. Baria sorride e sbadiglia. Romy arriverà.

noi e tutto è diventato molto più naturale. La nostra musica ne ha guadagnato in fluidità. Qual è la prima cover che tu e Romy avete provato? O: Mmm... Wham! Wake Me Up Before You Go Go, sfortunatamente... Esiste una registrazione di quella versione? O: Si, che nessuno ha mai sentito: è terribile. Eravamo solo io e Romy a suonare sopra

Mi raccontate la vostra storia? Oliver: Conosco Romy da quando avevamo tre anni. Abbiamo sempre frequentato le stesse scuole: siamo cresciuti insieme. Jamie e Baria li abbiamo conosciuti alle medie, più o meno a dodici anni.

un beat funky house. La nostra scusa è che l'avevamo fatta per farci due risate... Avete in programma di fare altre cover? O: Ne abbiamo appena registrata una per il lato B del prossimo singolo. E' la cover di un super hit inglese dell'anno scorso, si chiama Do You Mind. Qual è invece la prima canzone che avete registrato come The xx? O: Un brano che non c'è sull'album. Si può sentire sul nostro myspace, Blood Red Moon. E' lei la prima. E' un bel pezzo. O: Vero? Quella canzone ci ha fatto capire che eravamo sulla buona strada. La riprendiamo e ascoltiamo spesso, anche durante le registrazioni dell'album l'abbiamo fatto, proprio perchè eravamo soddisfatti di come suonava. Oliver, com'è stato per te e Romy "aprire" la band, il vostro rapporto, a due "nuovi componenti"? O: Ci siamo conosciuti a scuola, eravamo abituati a suonare insieme e siamo ottimi amici da tempo... Direi abbastanza naturale. E' stato più difficile cominciare con Romy: è davvero imbarazzante cantare davanti al tuo migliore amico. La classica situazione tipo: "comincia tu per primo dai, no comincia tu!...". Anche condividere i testi è stato particolarmente difficile. Per voi invece? Com'è stato entrare nella band? Baria: Avevamo già suonato insieme a scuo-

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la. Le cose sono andate bene fin da subito. Cominciare a suonare in giro, quando hai quindici, sedici anni è un'esperienza davvero incredibile. Per te Jamie? Jamie: E' stato naturale, anche se non è che mi piacesse molto l'idea di suonare dal vivo e non l'avevo mai fatto. Mi hanno chiesto di suonare la batteria ma non me la sentivo e ho trovato un'alternativa. O: Nessuno di noi è un animale da palcoscenico. Soltanto ora cominciamo ad avere più confidenza, a scioglierci e a divertirci sempre di più, show dopo show. C'è voluto un po' di tempo. Eravate molto timidi? O: Lo siamo ancora. Ed è positivo perchè rende tutto molto più emozionante. C'è chi nasce performer e riesce ad esibirsi con estrema facilità e naturalezza; noi non siamo quel tipo di persona. Per condividere la nostra musica con gli altri però è necessario suonare dal vivo. Adesso finalmente cominciamo anche a divertirci. Tra l'altro la vostra musica dal vivo non è che richieda grandi performance... O: Direi di no... Nemmeno da parte del pubblico... B: Suonare davanti ad un pubblico immobile fa un certo effetto. La vostra musica è molto notturna. Ascoltarla all'alba però è il massimo... O: La notte è il momento migliore per ascoltare la nostra musica. Anche perchè sono le ore in cui la maggior parte dell'album è stato concepito. E poi Jamie l'ha prodotto lavorando tra le nove di sera e le nove di mattina Adesso capisco perchè sei così stanco... J: E' l'orario ideale per lavorare. Non c'è niente e nessuno che ti distrae. O: Anche Romy la pensa così, è il momento che preferisce per scrivere... Quando sei così stanco che potresti addormentarti da un momento all'altro, quando il tuo corpo è così debole che tutte le sensazioni sono amplificate. Tutti dormono e tu godi di un'insolita libertà. C'è stato un periodo, mentre lavoravamo al disco, agli inizi, in cui vivevamo come vampiri. Dormivo la maggior parte del giorno e mi svegliavo più o meno al tramonto. Cosa mi dite di questa scuola che avete frequentato? La stessa di Burial, Kieran Hebden e Hot Chip... Ne parlano tutti come se fosse un fattore determinante... O: Proprio no. Era una scuola normale...

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Però studiavate musica... B: Potevamo scegliere tra diverse materie complementari: recitazione, cinema, musica... Le lezioni di musica non erano niente di che, erano semplicemente una delle possibilità che avevamo. O: A scuola c'era un'atmosfera molto rilassata, avevamo molto tempo a disposizione. Potevamo andare in sala musica e provare, suonare e registrare su dei multitraccia. Non ho mai capito se fosse un modo per stimolare la nostra creatività o semplicemente per liberarsi di noi: "andate in sala musica e non ci rompete...”. Gli artisti di cui parlano i giornali hanno frequentato la nostra scuola dieci anni prima di noi, quindi non posso parlare per loro. E poi è una scuola gigante, con oltre duemila studenti. Adesso non siete più studenti... O: No. Romy si era iscritta ad una scuola d'arte appena terminata la nostra, mentre noi siamo andati a lavorare. Poi quando i concerti hanno iniziato ad aumentare, era il periodo in cui abbiamo conosciuto le persone della nostra etichetta e abbiamo cominciato a lavorare con loro, ci siamo trovati di fronte ad un bivio. Fortunatamente i nostri genitori sono stati comprensivi e hanno capito che era quello che volevamo fare. Così noi ci siamo licenziati, mentre Romy non si è iscritta al secondo anno. Come siete entrati in contatto con la Young Turks (XL)? O: Più o meno due anni fa si sono presentati alla fine di uno show. Ci hanno offerto un posto dove provare e hanno cominciato a trovarci un po' di date in giro. Non erano i primi a farsi vivi con noi, c'erano già stati altri che avevano manifestato grande apprezzamento nei confronti del nostro lavoro e ci avevano proposto di pubblicare qualcosa. Ma eravamo giovanissimi, avevamo solo cinque o sei canzoni e non ci sentivamo pronti a buttarci nella mischia. Loro sono gli unici che hanno messo davanti a tutto i nostri interessi. Per un anno non abbiamo fatto altro che provare, scrivere canzoni e suonare dal vivo. Soltanto allora ci hanno chiesto se ci sentivamo pronti per registrare qualcosa, se avevamo in mente di pubblicare un album. Guardando quello che succede ai nostri colleghi ho capito come lavorano le altre etichette: non ti danno tempo di maturare, di sviluppare quello che hai dentro. Noi ce ne abbiamo messo... Se siamo usciti ora è perchè prima non eravamo pronti a farlo.

Ma alla fine quanto tempo ci è voluto per arrivare a questo disco? O: Dipende come la vedi. Queste sono praticamente tutte le canzoni che abbiamo mai scritto. Ci sono brani che risalgono a quando avevamo sedici anni, come brani che abbiamo scritto sette mesi fa. Da questo punto di vista è un disco che ha richiesto un bel po' di tempo... Poi c'è stata la registrazione. J: Abbiamo registrato tutto più o meno in un mese e mezzo, poi io ce ne ho messi altri due o tre di lavoro in studio. Considerando che alcuni brani hanno quasi cinque anni... Il tempo è quello. Jamie hai avuto difficoltà con la produzione del disco? J: Nonostante sia la prima cosa che ho prodotto e non avessi mai lavorato con altri produttori, non ho avuto molte difficoltà; avevo a disposizione tutto quello che mi serviva: tempo, spazio (ho lavorato nel mio studio) e un'idea chiara della direzione che volevamo dare al suono dell'album. Prima che cominciassi abbiamo passato due settimane insieme, per accertarci che le canzoni suonassero esattamente come volevamo. L'idea di fondo era restare il più semplici possibili, evitare di sovraprodurre il tutto affinchè non suonasse come un disco pop. Volevamo conservare lo spirito dei demo ma renderlo più ascoltabile per un pubblico più ampio. Curioso, perchè solitamente i gruppi all'esordio fanno l'opposto: cercano di buttare dentro di tutto e di più... J: Abbiamo lavorato anche con altri produttori, ma mettevano troppo del loro nella nostra musica. Cercavano di riempire gli "spazi" che lasciamo liberi... Finiva che suonavamo come loro, non come noi. Così abbiamo capito che non era quello che avevamo in mente per l'album. Uno di questi è Diplo; come siete entrati in contatto con lui? O: Tramite la XL, che è anche la casa discografica di MIA... Ci siamo incontrati in studio, ma giusto per divertirci un po'... Qui a Londra? O: Si, nello studio della XL, un vecchio garage minuscolo trasformato in uno sala di registrazione. Ci siamo chiusi lì dentro per un paio di giorni con l'idea di provare un po' e sentire cosa veniva fuori. Niente di ufficiale. Ci siamo divertiti tantissimo e abbiamo anche imparato diverse cose. Il disco non sarebbe stato lo stesso senza queste esperienze che abbiamo fatto con lui e con


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altri produttori. Chi altro? O: Riton... Kwes, un giovane produttore emergente londinese. Poi con Lex e qualcun altro... B: ...James Rutledge O: Siamo contenti di aver avuto la possibilità di lavorare con queste persone. Abbiamo imparato molto. Ci sono dei pezzi sull'album in cui riconosco la loro mano, i loro consigli. Mi piacerebbe rifare un'esperienza del genere in futuro. Ci siamo divertiti molto nello studio della XL, a Notting Hill, nel bel mezzo del Carnevale. Incredibile. Quando volevamo fare una pausa uscivamo e ci trovavamo in mezzo alla gente che festeggiava, con le casse fuori dalle finestre che sparavano dancehall e Lil'Wayne. Poi tornavamo in studio e ci veniva voglia di gonfiare di bassi le canzoni... Salvo poi riprenderci e renderci conto che forse non era una buona idea.. Sarei molto curioso di sentire The xx prodotti da Diplo, mi sembrate proprio situati a due estremi opposti... O: Più che una vera e propria produzione si è trattato di una sorta di collaborazione tra noi e lui. In futuro lavorerete ancora in questo modo? J: Mi piacerebbe. Magari potrei collaborare comunque con altri produttori. C'è qualcuno chi stimi particolarmente? J: Mi piace molto Paul Epworth. Sta facendo cose molto interessanti. O: ...Mount Kimbie E' uno dei produttori che ha remixato Basic Space no? O: Si, anche Pariah è bravissimo. Avete già del nuovo materiale? O: Sto cominciando a scrivere di nuovo soltanto ora. Ho dato alcune idee a Romy. Lei non mi ha ancora passato niente, quindi non c'è ancora materiale nuovo vero e proprio, ma abbiamo ricominiciato a lavorare. Stiamo facendo anche un po' di remix. J: Diversi remix. Stiamo anche lavorando ad un mixtape da vandere durante i nostri concerti. Penso che lo registreremo in tour. Sarà un mixtape di cose vostre o con anche altri artisti? J: Prevalentemente cose nostre. Qual è la vostra traccia preferita dell'album? Io personalmente adoro Intro? B: Anche io, insieme a Night Time. O: Night Time è quella che preferisco suonare. A me piace molto Shelter, poi Stars e anche Infinity. Potrei dirle tutte. Sono molto orgoglioso del disco. I miei brani preferiti cambiano ogni settimana... Ma forse Stars è

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“Molte delle canzoni sono state scritte pensando che nessun altro al di fuori di noi le avrebbe ascoltate”.


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la mia preferita. J: Io dico Heart Skipped A Beat e Fantasy. Qual è invece il brano più recente? O: Dopo aver registrato la maggior parte del disco ci siamo presi un break per capire se avevamo ancora qualcosa da scrivere. Sono venute fuori due canzoni nuove: Shelter e Infinity. Le abbiamo scritte praticamente in contemporanea. A proposito di Infinity, la somiglianza con Wicked Game di Chris Isaak è evidente... O: Sono cresciuto con Chris Isaak. Mio padre è un suo grande fan e Wicked Game è una delle mie canzoni preferite di sempre. Non ha mai smesso di ronzarmi in testa. Un giorno eravamo io e Romy ed è venuta fuori Infinity, non saprei dirti come. Riascoltando l'album oggi, c'è qualcosa che cambiereste o avreste voluto fare diversamente? O: Non c'era una deadline per il disco, potevamo finirlo quando volevamo. Abbiamo finito e ricominciato da capo sei volte. Fino al punto in cui ti fissi su dettagli insignificanti e inizi a cambiare cose che nessuno noterebbe... Ma sono soddisfatto al 100%. Sarei morto se riascoltando il disco mi fosse venuto in mente che avrei potuto suonare meglio una cosa piuttosto che un'altra. J: Sono un perfezionista e volevo che tutto fosse perfetto. Anche perché si trattava del nostro primo album e doveva rappresentarci al meglio. Anche la masterizzazione... L'abbiamo rifatta tre volte perchè non ero soddisfatto. Alla fine siamo usciti con qualcosa di veramente buono. Dopo l'uscita dell'album, Jamie, ti sono arrivate richieste di produrre altri artisti? J: No, per il momento no. E poi ora come ora non ne avrei il tempo. Soprattutto se consideri i remix e quanto stiamo suonando dal vivo. E' una cosa che ti interesserebbe fare in futuro? J: Si, se trovassi una band che mi fa davvero impazzire si. A che remix stai lavorando? J: A uno per gli Yacht, mi sembra si chiami The Afterlife, che dovrebbe uscire come singolo dopo Natale. E ne ho appena finito uno per Florence & The Machine di You've Got The Love; sarà sul lato B del loro prossimo singolo. Oliver e Romy l'hanno anche ricantato, è fortissimo. C'è qualche artista di oggi che trovate realmente innovativo? J: Al momento Micachu & The Shapes sono

il mio gruppo preferito, specialmente dal vivo. E poi ci sono un bel po' di produttori britannici dubstep o UK funky che stanno uscendo in questo momento. C'è roba davvero interessante in giro oggi. Puoi farmi un paio di nomi? J: Joker, Zed Bias, Mount Kimbie... E tanti altri... O: Dal punto di vista dei gruppi penso che sia un periodo molto interessante. Oltre a Micachu mi piace molto questa band che ci ha supportato nel tour britannico; si chiamano Trailer Trash Tracys. E poi sicuramente The Big Pink, bravissimi dal vivo. Come vi vedete tra dieci anni? O: Non ci ho mai pensato. Non saprei... Non mi vedo lontano dalla musica. Avrò trent'anni, quindi dovrei essere ancora in forma e in grado di fare musica. A un certo punto mi piacerebbe scrivere anche per altri. J: Considerando il tempo che ci abbiamo messo a fare il primo album, vorrei prendermi un bel po' di tempo per lavorare al prossimo, magari proprio dieci anni. Non mi interessa aspettare tanto tempo, l'importante è che sia perfetto. B: Penso che tra dieci anni potrei avere dei bambini... Qual è il primo disco che avete comprato? O: Ho fregato un sacco di dischi ai miei e a mia sorella, ma non ricordo con precisione il primo disco che ho comprato. A quattordici anni ho comprato un disco di Missy Elliott, ma prima sicuramente qualcosa di Lenny Kravitz. B: Uno dei Limp Bizkit, avevo dodici o tredici anni... A quel tempo li amavo. J: Qualche compilation di musica pop sfigata, niente di emozionante. E l'ultimo? O: Lavorando per una casa discografica hai la possibilità di avere bel po' di cose interessanti prima che escano. L'ultimo che ho comprato però è probabilmente il Best Of dei Cocteau Twins, ad Amsterdam. J: Io ho preso un una specie di showcase della Hyperdub in vinile, un 12". B: Non ne compro da tanto. Probabilmente addirittura Lullabies To Paralyze dei Queens Of The Stone Age. E' come se il vostro fosse il disco giusto uscito al momento giusto, qualcosa che in tanti stavano aspettando. Vi è capitato di avvertire questa sensazione parlando con qualcuno? O: E' una cosa che ci hanno già detto, ma non so mai cosa dire a proposito...

J: Sicuramente era il momento giusto per noi. E' come se avesse soddisfatto una specie di desiderio di calma e di quiete. Dopo il new rave e il baccano che caratterizza parte della nuova musica dance anche qualcun altro ha cominciato ad smorzare i toni e ad abbassare i BPM... O: Non ho mai pensato a noi come parte di una scena e davvero non riesco ad immaginarlo. Magari sta succedendo ora, ma non mi sembra proprio. Tre o quattro anni fa il revival new wave e il new rave erano la next big thing, è vero, ora però non vedo trend dominanti e mi sembra sia una cosa buona perché lascia alla gente la possibilità di seguire quello che gli piace senza farsi troppo influenzare. Credo sia qualcosa che stimoli l'originalità. Magari potrebbe essere il vostro album il primo mattone di una nuova "tendenza"... Magari tra due mesi ci saranno band in giro che si ispirano a voi... O: Sinceramente non ci ho mai pensato. Non è una cosa che mi darebbe fastidio, anzi. B: E' così difficile fare previsioni sulla musica, specialmente oggigiorno. Tutto cambia così velocemente che non si puoi mai dire. J: Credo che sia bello ispirare qualcun altro. Un giorno leggeremo su un giornale: "questi sono i nuovi xx"... O: Sarebbe davvero strano. Anche perchè siamo stati paragonati a così tanti gruppi che mi sembrerebbe assurdo vedere paragonato qualcuno a noi B: Io penso che mi farebbe piacere. O: Si, forse si. C'è qualcuno tra gli artisti a cui vi hanno paragonato che ha esercitato effettivamente una certa influenza sul vostro modo di essere? O: Sicuramente i Cure. Sono cresciuto con i Cure. Mia mamma e mio padre sono loro grandi fan. Anche dei Portishead siamo ammiratori. Poi ci sono paragoni o collegamenti con artisti che non conoscevo. Come ad esempio i Cocteau Twins. Adesso ho iniziato ad ascoltarli e devo dire che mi ritrovo molto nelle loro cose. Sono diventato un fan. Si è parlato di Young Marble Giants, ma anche lì... Non li conoscevo. Romy è stata paragonata a Tracy Thorn di Everything But The Girl ed effettivamente ci sono delle somiglianze. Tra l'altro una delle mie canzoni preferite è la loro On My Mind. Diciamo che non ci sono band a cui ci han-

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no paragonato che mi hanno fatto pensare: "no, loro proprio no". Sono tutti grandi gruppi che rispetto. Vi aspettavate tutto questo successo? O: A dire il vero da quando abbiamo finito e pubblicato il disco è stato tutto un: "vai, vai, vai, non ti fermare". Una sfilza di concerti e impegni senza fine, quindi non sono molto aggiornato su quello che sta succedendo. Il nostro manager, e so che lo fa per il nostro bene, non ci dice molto. E' impressionante girare il mondo e vedere tante persone che vengono ai nostri show. Faccio fatica a rendermi conto del fatto che molte delle date del nostro tour europeo sono sold out. L'Inghilterra a volte può essere una specie di bolla... E' strano quando la tua musica riesce ad uscire. Resta il fatto che tutto è cominciato quasi per gioco, un modo come un altro per ingannare il tempo. Non ci saremmo mai

Appena alza la testa Oliver la fulmina letteralmente e lei ritorna alla posizione di partenza. Romy, considerando che tu e Oliver vi conoscete praticamente da una vita, posso chiederti quali sono i primi ricordi che avete insieme? R: Non saprei dirti se i primi ricordi che ho di Oliver provengano da delle fotografie o appartengano alla vita reale perchè avevamo appena due o tre anni... Comunque ho in testa un'immagine di noi due piccolissimi che suoniamo lo xilofono. Invece ho un ricordo curioso di Jamie: io che arrivo a scuola e lo trovo con la testa completamente rasata... Litigate spesso? R: Litighiamo come potrebbero fare due fratelli: "quello è il mio drink, no è il mio...". Per cose stupide. Due minuti e tutto passa.

J: Mi è piaciuto The Wackness. Una storia molto semplice, di un ragazzo che cresce a New York, ma ha una colonna sonora hiphop fantastica B: Knowing, l'ultimo di Nicolas Cage. Carino. L'ho visto sull'aereo mentre andavamo a New York. C'è una scena in cui un aereo si schianta proprio a NY... E guardarlo lì al buio a chissà quanti metri da terra non è il massimo... Avete sempre vissuto a Londra? O: Si, Sud di Londra. Tutti, da sempre. Quanto pensate che questa città abbia influenzato il vostro modo di fare musica? O: Forse è semplicemente il fatto di vivere in una grande città, difficile dire avendo sempre e solo vissuto qui. Sicuramente a Londra succedono tante cose, c'è un mix di culture differenti e una proposta musicale estremamente varia. Sei esposto a una grande quantità di stimoli.

aspettati che potesse succedere una cosa del genere, anche perché molte delle canzoni sono state scritte pensando che nessun altro al di fuori di noi le avrebbe ascoltate. Quindi non sapete se l'album sta vendendo? B: Ora no. Quando è uscito l'abbiamo visto in classifica, alla posizione trentaequalcosa... Poi è sparito. Da allora non abbiamo più avuto aggiornamenti. J: E non voglio averne. Spero solo di vendere abbastanza da poter fare un secondo album. Beh, avete dieci anni di tempo... J: Ahahah! Si! Com'è cambiata la vostra vita? O: Riuscire a dormire nei nostri letti è diventata una cosa rara: passiamo da un hotel all'altro. Ma mi piace questa momento. Se fare l'album è stato un processo davvero lento e senza particolari deadline... Da quando è uscito all'improvviso siamo diventati impegnatissimi. Pensa che ci hanno dato un calendario per l'anno prossimo: domani abbiamo un day off qui a Londra, ma per il prossimo dobbiamo aspetttare il giorno di Natale... Uscite insieme anche quando non dovete suonare? O: Il mio gruppo di amici è molto ristretto e loro sono miei grandi amici... Usciamo spesso insieme. Ma finiamo sempre a fare o a parlare di musica...

Non abbiamo quasi mai fatto grandi litigi. Ti piace suonare dal vivo Romy? R: Si, credo di stare piano piano abituandomi. Il fatto di suonare così tanto ed in posti differenti è davvero emozionante. Siamo passati dai piccoli club ai grandi festival estivi e al tour con Florence & The Machine, di fronte a pubblici sempre più numerosi. Non mi sveglio più pensando: "questa settimana ho un concerto"; adesso ne abbiamo uno al giorno. E suonare così tanto da sempre più fiducia in me stessa. Prima ho chiesto agli altri quale fosse il primo disco che hanno comprato... R: La cassetta di It's Like That, Run DMC vs Jason Nevins. E l'ultimo? R: Il cd di un gruppo svedese che si chiama JJ. Me l'ha passato il nostro manager Guardate molta TV? O: Io si. B: Io no, odio la TV R: Guardavo molta TV nella mia camera da letto, poi l'ho persa. Non la guardo più. Magari qualche volta quando siamo in tour in hotel, se c'è qualche bel film in onda. Il mio programma preferito è Later With Jools Holland. Saremo suoi ospiti settimana prossima. Avete visto qualche film interessante di recente? R: Ho visto La Vie En Rose, il film sulla vita di Edith Piaf. Molto dark e abbastanza triste, ma stimolante. O: C'è questo film che tutti mi dicevano di guardare perchè bellissimo ma proprio per questo motivo non lo guardavo. Alla fine l'ho visto e mi sono innamorato, Let The Right One In (Lasciami Entrare).

J: Londra ha una vibrazione particolare. Non so bene dire come e cosa mi ha influenzato ma sono sicuro che ha giocato un ruolo importante questa città sul mio modo di essere. C'è qualche altro posto che avete visto di recente in cui vi piacerebbe vivere? O: New York R: Siamo stati lì per dieci giorni, è stato davvero emozionante. E' così diversa e simile allo stesso tempo. Il vantaggio è che non avevo il problema della lingua. Mi piacerebbe parlare altre lingue perchè altrimenti sarebbe difficile vivere in un altro paese. Siete religiosi? B: Io, si penso di essere l'unica. Sono musulmana, ma non praticante. O: Io vengo da una famiglia non religiosa. J: Io ho frequentato una scuola religiosa e credo che sia stato quello ad allontanarmi dalla religione... R: Anche la mia famiglia non è religiosa, ma sento di credere in qualcosa, di avere fede. Ma non mi identifico in nessuna figura religiosa. Siete felici? O: Mai stato più felice B e R: Siamo molto stanche, ma a parte questo siamo felici. Sognate spesso? O: Io sogno praticamente tutte le volte che dormo R: Ultimamente sto facendo sogni davvero intensi e realistici nelle stanze d'albergo. Mi capita di svegliarmi all'improvviso e chiedermi se stesse succedendo davvero. Vivo questa specie di sequenze cinematografiche in cui qualcuno cerca di uccidermi...

Arriva Romy, due ore e mezza di ritardo. Sguardo basso, mortificata e un po' imbarazzata. Si siede vicino a me e mi chiede scusa almeno undici volte.

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“La notte è il momento migliore per ascoltare la nostra musica”.

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Yacht Intervista di Marco Lombardo. Foto di Piotr Niepsuj.

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Lo scorso ottobre si è tenuto a Milano uno degli eventi più importanti della stagione autunnale: il Bicycle Film Festival. Una rassegna dedicata non soltanto agli amanti del cinema e delle biciclette, ma anche a quelli della buona musica. Grazie agli organizzatori del BFF infatti abbiamo assistito all’esibizione di uno dei gruppi più discussi e celebrati dell’anno, gli YACHT. Non ci siamo fatti sfuggire l’occasione d’intervistare il duo di Portland, Oregon. Come vi chiamate? Jona Bechtolt e Claire L.Evans. Quanti anni avete? J: Ventotto C: Ventiquattro Come vi siete conosciuti? J: Ho incontrato Claire nel 2005, il giorno dopo aver assistito per la prima volta alle “Marfa Mystery Lights”, un fenomeno ottico che ha reso celebre la cittadina di Marfa, nel nord-ovest del Texas. Ero in tour, in viaggio da Austin verso la California. Ci siamo incrociati suonando nello stesso locale di Los Angeles. Lei cantava in un gruppo noise mentre gli YACHT erano ancora una “one man band”. E’ stato amore a prima vista. L’anno dopo ci siamo rincontrati e abbiamo deciso di registrare qualche brano insieme. Canzoni che sono finite nell’album del 2007 I Believe In You. Your Magic Is Real. A che punto Claire è entrata in piante stabile nella band? C: Il giorno in cui abbiamo deciso di andare in Texas insieme, per assistere al fenomeno di queste luci misteriose. Marfa è un piccolo paese sperduto, a tre ore di distanza da qualunque altro agglomerato urbano. Vicino al deserto e al confine con il Messico. Qui ogni notte compaiono delle palle luminose che si muovono sospese nell’aria, disegnando movimenti all’orizzonte. Nessuno studio è mai riuscito a dare una spiegazione scientifica all’origine di queste forze, così sono nate una miriade di teorie cospirative. Dopo aver assistito alle “Mistery Lights” abbiamo deciso di trasferirci a Marfa per un pò. Inizialmente volevamo registrare due album separati ma una volta in Texas i nostri progetti sono cambiati. Era fondamentale condividere quell’esperienza insieme. Vivete ancora a Marfa quindi? J: No, siamo tornati a Portland, in Oregon. C: Viaggiamo così tanto che alla fine ci sembra di non vivere da nessuna parte. J: I nostri amici e tutte le nostre cose sono a Portland. Anche se in realtà non ci siamo mai. Dove siete cresciuti? J: Io sono nato in una piccolo paese di pescatori, si chiama Astoria Organ, a due ore di macchina da Portland. A tredici anni poi mi sono trasferito con la mia famiglia in città.

C: Io sono nata in Inghilterra. Mio padre è inglese, mia madre francese. Ho vissuto in Francia sino all’età di otto anni, poi anche noi ci siamo spostati a Portland, dove ho trascorso la mia adolescenza. Mi sono trasferita a Los Angeles nel 2002. In seguito ho incontrato Jona e sono tornata a vivere in Oregon. Cosa ha portato di nuovo Claire nel mondo degli YACHT? J: Ha introdotto un nuovo immaginario estetico e un approccio alla scrittura per me del tutto inediti. I brani di questo disco all’inizio sono nati come una breve raccolta di mantra, a volte melodici, altre atonali. Claire mi ha spinto a confrontarmi con un processo compositivo incentrato sul definire prima l’essenza dei messaggi da trasmettere e poi la loro forma. Attorno a quel nucleo di significati in seguito abbiamo costruito delle strutture pop. Su Myspace citate l’artista e designer italiano Bruno Munari come una delle vostre influenze. J: Siamo affascinati dai suoi studi legati ai triangoli. Sia io che Claire siamo ossessionati da quella forma geometrica. Il mio primo contatto con un triangolo è avvenuto da piccolo, attraverso il logo del gruppo degli Alcolisti Anonimi. Ho due fratelli maggiori ed entrambi ne facevano parte. Non l’ho più dimenticato. C: Gli studi di Bruno Munari analizzano perfettamente la complessità del significato dei triangoli nella storia dell’uomo attraverso l’arte, il design, l’architettura. Sono forme simboliche che hanno alimentato le culture e le religioni più diverse. E continuano ad avere un impatto enorme anche nella società contemporanea. Sino ad incarnare l’essenza di un gruppo pop come il vostro. C: Proprio così. E’ una forma che evoca tantissimi significati differenti al punto di diventare un simbolo neutro, aperto alle più svariate interpretazioni. Era questo l’aspetto che volevamo collegare agli YACHT. Un segno immediatamente riconoscibile dal punto di vista grafico ma allo stesso tempo indecifrabile nei contenuti. Per noi il triangolo non è soltanto un logo con il quale riconoscere una band ma il simbolo di una comunità, di un gruppo di persone, quasi una

religione. Alcune punk band erano molto vicine a questo tipo di concezione, penso ai Black Flag o ai Germs. I fan di questi gruppi non solo si riconoscevano nella musica ma soprattutto nel modo di vivere e interagire con la realtà circostante, come se fossero parte di una tribù. Allo stesso tempo però sul vostro sito tenete a sottolineare che non siete un Culto. J: Lo abbiamo specificato perché di recente attorno agli YACHT si è raccolto un gruppo di amici con il quale discutiamo delle scelte e dell’estetica della band. Non vogliamo che tutto questo venga percepito dall’esterno come una scelta elitaria, massonica, che possa far sentire esclusi i nostri fan in favore di non meglio identificati adepti. C: Inoltre oggi, nella società moderna, l’uso della parola “culto” ha assunto una connotazione negativa con la quale non vogliamo essere identificati. Non siamo una setta ma una comunità. Come siete entrati in contatto con la DFA? J: Li ho contattati in maniera molto prevedibile, grazie alla mail che ho trovato sul loro sito web. E’ stato un salto nel buio. Volevo che remixassero il brano di una mia vecchia band, i The Blow. Così ho conosciuto Jonathan Galkin, il fondatore dell’etichetta: aveva già sentito parlare di noi e gli piacevano i nostri brani. Da quel momento in poi abbiamo continuato a scriverci e ha iniziato a tenere d’occhio i miei progetti. Una mattina del 2007 ho ricevuto una sua telefonata. Gli Lcd Soundsystem cercavano una band per aprire i loro concerti durante il tour in Nord America, che sarebbe iniziato di lì a due giorni. Senza neanche riflettere ho risposto che eravamo disponibili. E’ andata bene a quanto sembra… J: E’ stata un’esperienza fantastica, le persone che lavorano alla DFA sono straordinarie. Ho scritto il brano Summer Song dopo quella tournee, come un omaggio all’etichetta e al gruppo di James Murphy. Non avrei mai pensato che la pubblicassero come singolo e che ci avrebbero chiesto di entrare nel loro rooster. Firmare per la DFA ha influenzato il suono e le registrazioni del vostro nuovo album See Mystery Lights?

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J: No, non credo. Il disco è stato ispirato esclusivamente dal fenomeno delle luci di Marfa. La nostra attenzione si è focalizzata su un discorso spirituale andando oltre l’aspetto musicale. Non abbiamo mai ragionato in termini di suoni mentre scrivevamo l’album. Ci siamo fatti influenzare da riflessioni legate alla religione, all’arte, al design, alla storia, non dalla musica. I ragazzi della DFA sono stati coinvolti nella produzione? C: No, abbiamo registrato tutto da soli. La prima versione dell’album che abbiamo mandato alla casa discografica era lunga nove minuti, un collage di mantra e bozze minimali. Entusiasti ci hanno spinto a trasformarlo in un disco pop. E’ stato interessante riuscire a sviluppare quei frammenti di musica e testo in strutture complesse, mantenendo allo stesso tempo lo spirito mantrico della ripetizione come nucleo delle canzoni. La musica pop è un canale privilegiato per trasmettere messaggi densi di significato, perché agisce sull’inconscio delle persone.

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La gente ascolta per ore i propri brani preferiti, spesso senza fare attenzione ai contenuti che veicolano. Qualcosa d’impalpabile però si sedimenta sempre a livello emotivo nell’ascoltatore e lo coinvolge affettivamente molto più di qualunque altro mezzo di comunicazione. Dopo la pubblicazione di See Mystery Lights avete registrato il mixtape Anthem of The Trinity che include tutte le influenze musicali finite sull’album. Dai Talking Heads agli INXS, da Arthur Russell ai Bad Brains. Una mossa promozionale molto interessante. J: In realtà non si è trattato di marketing. E’ stato un esperimento. Durante la lavorazione dell’album ci siamo concentrati su aspetti molto diversi, nessuno di questi legato alla musica. L’intento era di liberarsi il più possibile da ogni riferimento consapevole ad altri gruppi o estetiche musicali, dando priorità ai messaggi da veicolare e all’immaginario estetico nel quale immergere le canzoni.

Dopo aver ultimato il disco ci siamo seduti ad ascoltarlo per capire quali erano state le influenze inconsce. Abbiamo annotato su un foglio di carta tutti i brani e gli artisti che ci sono venuti in mente e ne abbiamo fatto una compilation. Qual è l’idea dietro al video Psychic City? C: Quel video nasce dalla profonda fascinazione degli YACHT per ogni forma di rituale ancestrale, che sia una religione tradizionale o un credo pagano. Siamo interessati al mistero dei simboli e alle connessioni profonde tra le diverse culture e mitologie che hanno attraversato la storia dell’uomo. In Psychic City mettiamo in scena una sorta di allegoria dove io impersono le religioni più antiche - babilonesi, assire, greche – e allo stesso tempo rappresento l’oscurità. Jona invece incarna una spiritualità più moderna, legata al Cattolicesimo e all’Ebraismo, oltre ad essere vestito di bianco per evocare la luce. Nel finale queste forze contrapposte s’incontrano simbolicamente con un bacio tra i due personaggi.


E’ stato difficile girare quella scena? C: No perché siamo fidanzati. Davvero? Non lo sapevo! C: Cerchiamo di non pubblicizzare la cosa, per non distogliere l’attenzione dalla musica. Non crediamo ci sia nulla di particolarmente interessante. Avete aperto alcuni concerti per gli Yeah Yeah Yeahs. Come è andata? C: Benissimo, sono persone straordinarie, hanno un pubblico molto attento e generoso. J: Tra l’altro siamo legati da alcune coincidenze curiose. Anche loro hanno registrato il disco It’s a Blitz nel deserto del Texas, proprio nel periodo in cui noi eravamo a Marfa. Non ci siamo mai incrociati ma alcuni nostri amici texani ci avevano informati della loro presenza nella zona. Immediatamente abbiamo pensato che fosse qualcosa di più che una semplice casualità. Due anni dopo dividevamo lo stesso palco. Di recente siete stati coinvolti in una bagarre sulla pirateria digitale. Cosa è suc-

cesso? Come è cominciata? J: E’ iniziata con un’intervista che ho rilasciato a un blog specializzato in tecnologia. Mi hanno chiesto quali software usassi per registrare la musica e i video degli YACHT e ho risposto che utilizzavo principalmente un plug-in scaricato illegalmente. L’autore di quel programma ne è venuto a conoscenza e ha iniziato ad attaccare me e Claire a livello personale sul suo forum. Dopodiché la discussione si è allargata su altri blog e si è ingigantita quando Pitchfork ha riportato la notizia. C: E’ stato un periodo spiacevole. Gli autori di quei blog non si sono limitati a discutere della questione “pirateria”, hanno iniziato ad insultarci sul piano individuale. Credo sia comunque valsa la pena di portare un argomento del genere in superficie. Non si parla mai di musicisti che usano software pirata, nessuno lo ammette. E’ un tabù. J: Solo perché abbiamo ricevuto molte recensioni positive, rilasciamo interviste e andiamo in tour da un continente all’altro,

non vuol dire che siamo diventati ricchi. E’ una visione completamente distorta della realtà. Riusciamo a malapena a pagare l’affitto. Gruppi come noi difficilmente possono permettersi di sborsare cifre astronomiche, e spesso ingiustificate, per programmi di musica o di editing video. Siamo onesti. Ci siamo messi a nudo. Chi è l’autore della copertina di See Mystery Lights? J: E’ un artista che abbiamo incontrato a Marfa, si chiama Boyd Elder. E’ uno dei tanti personaggi singolari che abbiamo conosciuto nel deserto. Si è trasferito lì da quasi trentanni. Dopo aver assistito al fenomeno delle “Mystery Lights” ha deciso di mollare tutto e andare a vivere in Texas. E’ l’autore della copertina del secondo disco più venduto della storia, il Greatest Hits (1971-1975) degli Eagles. C’è qualche altro artista italiano che apprezzate in maniera particolare? C: Il futurismo ma siamo in ambito artistico. J: Mi piace l’Italo-Disco, anche se non ricor-

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do nessun nome in questo momento. C: Adoro Pasolini. Uccellacci e uccellini è uno dei miei film preferiti di tutti i tempi. All’università ho seguito dei corsi dedicati al vostro cinema. Amo Fellini, De Sica, il neorealismo. Da quale stato d’animo traete maggiore ispirazione? C: Credo che i nostri dischi nascano da una sorta di distacco volontario dalla realtà. Tendiamo ad isolarci quando registriamo un album. Per un certo periodo è come se vivessimo sospesi. Smettiamo addirittura di ascoltare musica per non essere influenzati dal mondo esterno. Qual è stato sinora il momento più importante della vostra carriera? J: Vedere le “Marfa Mystery Lights” ha cambiato radicalmente le nostre esistenze e il nostro modo di fare arte. Ha aperto una nuova fase nelle nostre vite. C: E inoltre ha scatenato tutta una serie di eventi che ci hanno portato sino a questo punto. Ci siamo incontrati grazie a quelle luci, abbiamo scritto un album insieme, siamo entrati in contatto con la DFA e così via. Qual è stato l’ultimo film che avete visto? Siete andati al cinema, lo avete guardato in dvd o lo avete scaricato? J: Ho scaricato Suburbia di Penelope Spheeris qualche giorno fa, bellissimo. C: Un capolavoro datato 1984. Lo abbiamo visto sul nostro laptop, in una stanza d’albergo. Andare al cinema ultimamente è diventato un lusso quasi esotico perché viaggiamo in continuazione. Il nostro consumo mediatico avviene per lo più attraverso il computer portatile. L’ultima volta che siete andati al cinema cosa avete visto? J: Eravamo a Boston e abbiamo guardato Surrogates, un pessimo film di fantascienza con Bruce Willis. Un calderone di tutti i luoghi comuni del genere. Deludente. Che macchina guidate? C: Una Wolksvagen Golf del 2000. E’ ora di cambiarla, sta cadendo a pezzi. In quale film vi piacerebbe recitare? C: Star Trek, il film del 1972! Senza alcun dubbio! J: Anch’io! Cosa vi spaventa di più come band? C: Il fallimento. J: L’umiliazione pubblica. C: E l’eventualità di non essere presi sul serio. Come persone? C: Io ho paura del buio. E mi spaventano i ponti. Ogni volta che ne attraverso uno devo chiudere gli occhi. J: A me terrorizzano i granchi (ridono scom-

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posti) Se poteste rinascere del sesso opposto al vostro, chi vorreste essere? C: Denzel Washington. Mi piacerebbe sapere cosa si prova a essere così fighi! J: Anch’io vorrei essere un’attrice. Diane Lane probabilmente. Se non foste dei musicisti che lavoro fareste? J: Non ci consideriamo dei musicisti. Credo sia limitante. Gli YACHT sono molto di più che una semplice band. C: Definire il ruolo di un artista con una sola definizione è mortificante. Cerchiamo di avere più sfumature possibili. Se potessi scegliere comunque mi piacerebbe fare l’astronauta. Qual è la vostra serie televisiva preferita? C: Star Trek di fine anni sessanta. J: Curb Your Enthusiasm di Larry David, un’esilarante sit-com americana. Se poteste viaggiare indietro nel tempo in quale periodo storico vi piacerebbe vivere? C: Adoro questa intervista! Davvero! J: Di solito sono sempre così noiose. C: Vorrei vivere nella Parigi degli anni venti. J: Io nella Los Angeles degli anni cinquanta. C: O magari nei tardi anni settanta. L.A. era un posto magico per la musica in quel periodo. Avrei voluto essere un punk nella Città degli Angeli. Vi ricordate il giorno in cui è morto Michael Jackson? Come lo avete saputo? Dove eravate? C: Eravamo all’aereoporto di Chicago. J: E’ stato surreale. Ne parlavano tutti ma non riuscivamo a capire cosa stesse accadendo. La notizia non era ancora stata riportata dalle televisioni. Ho controllato su Twitter e ho avuto la conferma che era successo qualcosa. C: Alla fine i televisori dell’aeroporto hanno iniziato a trasmettere il telegiornale: era tutto vero. J: E’ stato un giorno molto strano. Avete qualche rituale prima di salire sul palco? J: Facciamo stretching, meditazione per circa venti minuti e beviamo dell’acqua frizzante. Se aveste l’opportunità di parlare al voi stesso bambino, cosa gli direste? J: Non saltare da quello scivolo Jona… Mi sono rotto il braccio all’età di nove anni. C: Rilassati Claire, andrà tutto bene. Avevate qualche poster nella vostra camera da letto quando eravate adolescenti? C: Io un poster gigante del quadro di Salvador Dalì The Temptations of St.Anthony. Lo vidi per la prima a quattro anni in un museo e ne rimasi completamente rapita.

Un giorno andai in un negozio d’arte con mia madre e provai a descriverlo al proprietario. Gli raccontai di questi cavalli con le gambe lunghissime, in mezzo a un deserto pieno di simboli religiosi. “So cosa stai cercando” mi rispose il vecchietto con l’aspetto da bibliotecario. Così mi ritrovai questa gigantografia surrealista nella stanza, tra le bambole e gli hula-hop. J: Credo di essere stato un ragazzino abbastanza problematico. Nessun poster per me. Solo pareti bianche, asettiche. Praticate qualche sport? J: Non proprio. Mi affascina il rituale che li circonda. Anche se non mi definirei uno sportivo. C: Faccio esercizio fisico regolarmente ma neanch’io sono una salutista accanita. Vale lo Yoga? Quanto è grande il vostro appartamento? Qual è la vostra stanza preferita? J: Viviamo in un monolocale con una stanza da letto che di giorno trasformiamo nel nostro ufficio. Abbiamo un armadio che copre tutta una parete, un’ampia finestra e un cucinino. C: Difficile dire quale sia la mia stanza preferita… (ridiamo). Avete ascoltato il nuovo disco di Jay-Z? A me è piaciuto, nonostante le critiche negative. C: No, non ancora. Ve lo chiedo perché in quell’album c’è un brano che si chiama D.O.A-Death of Autotune, l’applicazione musicale che modula la voce in maniera robotica, portata alla ribalta da Cher e sdoganata definitivamente da Flo-rida e T-Pain. Ho letto che siete grandi fan di quel software. J: E’ vero. Ci affascina come sia entrato di prepotenza a far parte dell’estetica pop di questi anni. C: Ci piace quel tipo di suono futuristico e retrò allo stesso tempo. Trasforma chiunque in un ottimo cantante. E’ molto democratico. Ci sono dei gruppi musicali che hanno cambiato le vostre vite? J: Da piccolo i Beatles, poi Run DMC, i Black Flag e infine i Nirvana, che mi hanno spinto a lasciare la mia piccola cittadina di provincia. C: Sono cresciuta ascoltando un sacco di musica francese, tipo Jacques Brel ma il primo gruppo che ha davvero cambiato la mia esistenza sono stati gli Weezer, con l’album Pinkerton. Me ne vergogno un pò ma è così. Da ragazzina ero una fan scatenata, al punto di aprire un fan-club. All’epoca non avevo nessuna cultura musicale e loro hanno rappresentato la chiave d’accesso a tutto un nuovo mondo inesplorato…


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FunkinEven, Fatima, Alexander Nut (Eglo Records) “Siamo raver di terza generazione, cresciuti tra feste d’n’b, hip hop e techno, abbiamo ascoltato di tutto e assorbito con il subconscio anche cose che ci piacevano meno, i cui suoni sono diventati per noi sempre più familiari” - Alex Nut

E’ domenica sera e il Plastic People, lo storico club di East London che ospita le serate più ambite e all’avanguardia della bass culture (FWD>>), è già imballato. Non fanno più entrare, è un locale non autorizzato che è stato già chiuso due volte e non può rischiare un nuovo sigillo. Per fortuna incrociamo lo sguardo timido di Sam Shepherd, che ha appena terminato il suo set come Floating Points e ci accompagna nel basement. Lo spazio è minimo, la temperatura rovente, il soundsystem mostruoso. I bassi di Plastician rimbalzano 82 PIG MAGAZINE

sulle pareti e si scaraventano su decine di corpi ammassati e oscillanti, tra cui ci destreggiamo per raggiungere in consolle Alexander Rogers, in arte Alex Nut. In un rapido scambio di battute ci accordiamo per un incontro più tranquillo, la sera successiva, al diner lì di fronte. Verranno lui, Sam e Fatima della scuderia Eglo. “Sono cresciuto negli anni ’80 a Wolverhampton, una noiosa cittadina delle West Midlands dove la gente trascorre le serate a ubria-


New beats from London: Eglo Records, Werk Discs e Hyperdub Dopo l’acid house, la massa critica britannica è stata scossa solo dal movimento UK garage e dall’esplosione del dubstep. Ma anche quest’ultimo, che ha onorato le migliori tradizioni rave in quasi dieci anni, sembra sul punto di esaurirsi o quantomeno lancia segnali di cedimento. In realtà a Londra non si parla della fine prematura di un genere, ma più orgogliosamente di evoluzione del suono underground, che sta sempre più assorbendo i ritmi hip hop, wonky e funky house, senza abbandonare Detroit e la Giamaica, e in alcuni casi si sta riscoprendo soul e pop. Un’evoluzione che ha visto nascere alcune realtà musicali entusiasmanti, piccole etichette indipendenti guidate da giovani dj e produttori di talento con una cultura e un gusto musicale pari solo alla loro intraprendenza DIY. Abbiamo incontrato le menti e gli artisti di tre label, selezionate tra quelle emergenti (la Eglo Records dell’astro nascente Floating Points e di Alexander Nut, mattatore della radio pirata Rinse FM, accompagnati da Fatima), quelle più stilose (la Werc Discs di Actress e Lukid) e quelle che in 5 anni hanno già fatto storia (l’Hyperdub di Steve “Kode9” Goodman, Darkstar e King Midas Sound), per capire il loro background e, soprattutto, in quale direzione si stanno muovendo. Testo di Gaetano Scippa. Foto di James Pearson-Howes. carsi nei pub e non condivide il mio interesse per la musica”, inizia a raccontare Alex. “Nel 2003, a 21 anni, mi sono trasferito a Londra e iscritto all’università di musica. Qui ho conosciuto persone con le stesse aspirazioni: produrre musica, djing, fondare un’etichetta”. Come tanti ragazzi giunti a Londra per inseguire un sogno, Alex si tuffa senza perdere tempo in varie esperienze di clubbing e promozione. Per tre anni lavora a tempo pieno per l’agenzia Zzonked, dove impara i meccanismi dell’industria discografica, di Internet e

della radio. Quindi decide di mettersi in proprio, per lavorare con gli amici conosciuti al Plastic People o al suo programma su Rinse FM. Tra questi la coinquilina Fatima, notata nel club mentre saltava sul microfono, e Sam, di cui per caso scopre la musica su Internet. “Dopo averlo contattato mi ha mandato oltre 20 tracce che nessuno aveva voluto pubblicare, tra cui il primo 12” della Eglo, For You/ Radiality”, spiega Nut. “A distanza di un anno ci siamo incontrati e abbiamo discusso su quali etichette sarebbero state adatte alla 83


sua musica, arrivando alla conclusione che ne avremmo aperta una insieme”. Sam ha almeno 12 anni di produzioni alle spalle, che Alex comincia a suonare nei club e alla radio grazie all’amico Charles Holgate aka Nomad. “Ci siamo conosciuti a una serata FWD legata a Rinse FM e gli ho dato alcuni mix. Poco dopo mi ha offerto uno spazio alla radio sul broken beat. Ho accettato, anche se mettevo un mix di Flying Lotus, Hudson Mohawke e qualsiasi altra cosa cross genere (ride, ndr)”. E mentre spende parole generose per Sarah Lockhart e Geneeus, che da 15 anni tengono in piedi la radio nonostante due chiusure, Nut racconta come sono cambiati i gusti a Londra negli ultimi anni. “C’è stato un miscuglio amichevole tra generi: influenzati da gente come Benji B, Plastician e Dam-Funk, ormai tutti i dj non suonano più solo un unico stile di musica. Gran parte dei nostri gusti musicali si sono sviluppati sulle strade di Londra, dal drum’n’bass al 2step, fino al garage, al grime, al dubstep e chiaramente alla funky house come adesso. In 10 anni è cambiato molto nella storia musicale del Regno Unito, che ha una grande tradizione di clubbing e cultura rave. Siamo raver di terza generazione, cresciuti tra feste d’n’b, hip hop e techno, abbiamo ascoltato di tutto e assorbito con il subconscio anche cose che ci piacevano meno, i cui suoni sono diventati per noi sempre più familiari. Se spremi tutti questi stili differenti ottieni comunque un’anima soulful che ci accomuna e che anche nei suoni più duri e violenti non ci fa mai sconfinare nell’industrial o nella gabber”. Con la sua visione romantica del mondo e stufo del cinismo imperante, “dei discografici cocainomani e delle stronzate che propinano”, Alex vuole controllare il proprio destino e punta a far emergere i talenti con sincerità e rispetto. Sam Shepherd (Floating Points) ascolta divertito la conversazione con Alex, e intanto si degusta un frappé al pistacchio e un cestello di patate fritte. Finché tocca a lui raccontare qualcosa di sé, dalla formazione classica e jazz alla passione per l’elettronica vintage: “Ho 23 anni. Mio padre è un vicario e quando ero piccolo mi fece fare un provino nel coro della cattedrale di Manchester. A 8 anni mi iscrisse a una scuola di musica per bambini che non mi piaceva (perché si studiava dalle 8 del mattino alle 8 di sera), ma il primo tour con il coro nella cattedrale di Ruen, in Francia, fu entusiasmante”. Quando il suo timbro di voce cambia, Sam è costretto a lasciare il coro ma non la scuola, perché oltre a cantare ha imparato pianoforte e composizione, in particolare le tecniche di composizione e armonizzazione di Bach. Vince vari concorsi di musica classica, ma nel frattempo si diverte a scrivere pezzi di musica elettronica. “A scuola – continua con minuzia – usavano un nuovo studio digitale, troppo complicato per me, ma c’era anche un vecchio studio di registrazione inutilizzato, dove mi lasciavano provare vecchi strumenti. A 13 anni imparai a usare Korg MS20, Yamaha CS80, registratori a cassette a 8 tracce, Akai S90 e campionatori a 8 bit. Tutta roba analogica, calda e coinvolgente”. A 15 anni gli capita di provare i sequencer, ma preferisce inserire strumenti reali come un trombone, campionare il tintinnio di un mazzo di chiavi o i rumori di estintori e aspirapolvere, come quello usato per l’EP Vacuum Boogie. “E’ stato uno dei miei primi campionamenti, che ho poi trasformato in accordo con una tastiera”, spiega Shepherd. “Una delle cose che amo dell’elettronica è la possibilità di prendere suoni semplici, grezzi e cambiarli in qualcosa che puoi sentire in un club. Può sembrare stupido, ma in For You il rullante non è altro che la seduta del gabinetto di casa mia, mentre la grancassa è la porta della mia cucina che sbatte!”. Per anni si interessa a Stockhausen, Xenakis, Wishart, ai workshop della BBC e alla musica concreta, anche se durante le

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superiori ascolta e apprezza di tutto, dal jazz all’hip hop, alla techno e al d’n’b. Al momento di iscriversi all’università, però, invece che scegliere il Royal College of Music come i suoi amici, opta per la facoltà di farmacia. “Ero stufo di studiare composizione classica, in una fase in cui campionavo la lavastoviglie avevo bisogno di sfogarmi, di vivere situazioni più folli come in un normale corso di laurea”. L’energia con cui Sam affronta la vita è inesauribile: gli bastano 4


Lukid, Actress (Werk Discs) “Per creare al meglio devo distruggere in qualche modo la mente e lavorare sul subconscio, come mi è capitato con la serie Thriller” - Actress

ore di sonno prima di andare nel laboratorio del suo PhD la mattina presto, lavorare sodo tutto il giorno, e la sera dedicarsi alla musica. Giusto il tempo per godersi un po’ di house, che ascolta con attenzione da un paio d’anni, ma anche ritmi siriani e indiani. “L’anno scorso in India ho comprato 80 dischi, film e colonne sonore di Ananda Shankar, che mi fa letteralmente impazzire. E’ riuscito a unire oriente e occidente con una musica folle, calda e psichedelica.

Spero di organizzare una serata a tema!”. Parlando di musica world, cogliamo l’occasione per interpellare Fatima, mc versatile di madre svedese e padre del Gambia, da 3 anni a Londra dopo aver vissuto a Stoccolma. “Sono cresciuta ascoltando musica africana dell’ovest, soul e hip hop. Ho iniziato a cantare nei cori di scuola, poi in varie band, finché mi sono trasferita

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Kode9 (Hyperdub) “Quando la novità minimale si è esaurita, la nostra musica ha iniziato a suonare troppo arida e noiosa. E’ successo appunto con il dubstep, nato dall’idea di sottrarre elementi soul al UK garage secondo la metodologia del dub, che a sua volta sottraeva elementi al reggae. Il processo di sottrazione si è esaurito però quando sono rimasti solo basso e beats. Per evolvere ora bisogna trovare nuove strade”

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a Londra dove ho partecipato a serate di freestyle”. Fatima, che per sbarcare il lunario fa la commessa, ha registrato pezzi con Floating Points, FunkinEven e produttori esterni. “L’estate scorsa sono andata a L.A. da un amico fotografo, Eric Coleman, che mi ha introdotto a Ras G e Shafiq Husayn dei Sa-Ra”. Nel suo primo EP c’è anche Dam-Funk, conosciuto alla serata Stones Throw al Cargo. “Quando Damon mi ha sentita cantare mi ha chiesto di mandargli dei beat. Adoro la sua personalità e la vibrazione positiva dei suoi pezzi”. Il giorno successivo incontriamo Darren J. Cunningham aka Actress davanti la chiesa di St. Metthew, nel quartiere sud di Brixton. E’ una tiepida e soleggiata mattina di fine settembre, il giardino antistante è occupato da un’umanità al rallentatore, ragazzi e anziani di colore che fumano erba e bevono birra in libertà. Raggiunti da Luke “Lukid” Blair, Darren ci propone di seguirlo dal suo barbiere di fiducia, nella via della sua infanzia, per parlarci di sé durante un servizio fotografico ad hoc: si farà disegnare sulla nuca il logo della Werk Discs. Con Alex Nut ha in comune la città natale, Wolverhampton, e come lui si trasferisce a Londra per espandere i propri studi professionali e di post-produzione. “Nel 2002 promuovevo serate in un piccolo pub di Camberwell, il Funky Monkey. Producevo musica quando tornavo dall’università ed ero sempre alla ricerca di persone con cui fare eventi: non volevo sentire techno e house per tutta la notte, ma coprire l’intero spettro di musica”. Il clubbing è lo stadio iniziale che lo porta al lancio della Werk Discs, un marchio slegato dalla tecnica e dall’ovvietà, che punta invece su qualità e divertimento. Un collettivo costituito da Darren, l’amico Gavin Wheel e gli artisti che suonano alle loro serate. La distribuzione di demo porta all’uscita di Werk One EP, il primo mini album contenente pezzi di Actress, Byte Stripes, Ben Codec, Cut Out, Mr. Lizard e Format.K, stampato in 600 copie andate a ruba perché trainate dal fenomeno dubstep. “In realtà la Werk – precisa Cunningham – è più legata a soul, funk, hip hop e house. Ma negli ultimi anni, grazie al dubstep, l’interesse verso la musica e il numero di artisti originali sono aumentati, un po’ come nel periodo harcore e rave”. La ricerca mirata di artisti lo porta alla Jahtari, con l’idea che il digidub possa piacere anche agli estimatori del dubstep più legati all’elettronica. Poi rimane colpito dalla personalità di Lone (Matt Cutler di Kona Triangle, ndr), il cui album Friends & Ecstasy dai suoni anni ’80 si avvicina alla concezione del suo misterioso progetto Thriller. “Zomby invece è un camaleonte – continua descrivendo un altro personaggio del suo roster –, mi ha mandato un sacco di musica bleepy che ho scartato perché simile alle uscite su Hyperdub. Ma quando è arrivato il materiale rave, quello di Where Were U In ’92?, ho pensato che fosse divertente da pubblicare”. Proseguiamo l’intervista nel seminterrato di un negozio di vinili funk e soul, dove Darren rivela di essere più influenzato dai propri artisti che dai dischi dell’adolescenza, e dai familiari, che gli hanno trasmesso la passione per Dionne Warwick, Marvin Gaye e la Motown. Il cugino lo introduce al primo hip hop di N.W.A, Public Enemy e Ice Cube, di cui è grandissimo fan. Quando inizia a fare il dj, invece, comincia ad acquistare dischi hardcore da rave e acid. “Al Tribal Gathering di Luton nel 1996 vidi Jeff Mills, Derrick May, Felix Da Housecat, Daft Punk, Adam F. Una rivelazione per me 16enne, che mi spinse a comprare qualsiasi cosa di Detroit, poi Chicago, French disco, New York disco e Chicago house”. Il primo lavoro di Actress, Hazyville, viene concepito in un momento

poco fortunato, in cui l’interesse è rivolto alla Warp e ad altre label di elettronica. Ma le difficoltà si trovano anche dentro le mura del suo appartamento a Brixton: quando prova a suonare la musica in progress, i coinquilini si lamentano e lo costringono ad ascoltare il lavoro in cuffia. Fuma moltissimo accanto alla 808, e questo influenza il mood del disco, morbido, sotterraneo, a tratti claustrofobico. “Per creare al meglio devo distruggere in qualche modo la mente e lavorare sul subconscio, come mi è capitato con la serie Thriller. Credo che alterare le proprie percezioni sia necessario a livello artistico, per cercare altrove la propria ispirazione, ma non a livello di produzione. Un producer deve mantenere il controllo e la padronanza tecnica su quello che deve fare”. Mentre sorride estraendo un disco di Bryan Loren del 1984, cerchiamo di approfondire il concept di Thriller, un’avvincente serie di 12” uscita senza label che solo con il passaparola è stata ricondotta alla Werc. “Thriller nasce dalla sperimentazione e dall’evoluzione del suono anni ’80, anche nella grafica diversa dei tre 12”: il primo, in cui Lukid remixa due vecchie e sconosciute tracce r’n’b che ascoltavo da giovane (BBQ/Genie), è totalmente nero con lo spazio vuoto. Nel secondo (Swarm/Hubble) inizia l’evoluzione e qualcosa riempie lo spazio. Nel terzo (Freak For You/Point And Gaze) l’umanità si è formata e interagisce in un club tipo Studio 54. Finiranno in una raccolta, ma ho in serbo un album nuovo per Thriller”. Darren quindi si sbilancia anticipando qualche dettaglio sul prossimo disco come Actress: “Uscirà a febbraio per la Honest Jon’s, l’etichetta di Damon Albarn. Sono rimasto sorpreso e felice quando mi hanno contattato, perché pubblicano dischi di Maurizio, Moritz Von Oswald e Hypnotic Brass Ensemble. A livello di sound, il nuovo disco penetra in modo più diretto ed esplosivo di Hazyville, come sentirai dalla traccia The Wrong Potion”. Lukid è molto più timido di Actress e preferisce soffermarsi in modo quasi maniacale sui dettagli tecnici. “Ho iniziato a studiare musica 10 anni fa a scuola, ma già a 11 anni suonavo la chitarra rock. I miei fratelli maggiori mi facevano ascoltare Public Enemy e drum’n’bass, mentre a scuola imparavo Logic. All’università ho seguito corsi di produzione musicale, ma mi divertivo di più a casa, da solo, a produrre musica con laptop, registratore, chitarra e drumkit, mischiando campioni, registrazioni al mic, software e sintetizzatori. Mi piace lavorare su un loop ispirato a qualche canzone o film (sono un fan di Taxi Driver) per cercare di mantenere l’equilibrio tra ascolto e astrazione. Ma non voglio essere catalogato in un genere, perché in fondo anche il wonky non è stato inventato adesso, vedi Sa-Ra e Dabrye, il mio produttore preferito”. L’incontro a Camberwell con Steve Goodman non è semplice. Il fondatore dell’Hyperdub è sommerso dagli impegni e stufo dell’hype che lo circonda. Ma in fondo anche lui sa che è momento di autocelebrazioni, con l’uscita della raccolta Hyperdub sui primi 5 anni, e quindi si concede con cortesia regalandoci riflessioni profonde e pillole accademiche sul percorso dell’etichetta che ha lanciato Burial, prima di addentrarsi sull’evoluzione del suono UK e sul suo primo libro, Sonic Warfare. “Dopo 5 anni la musica della Hyperdub è cambiata perché influenzata da un ambiente in mutazione. All’inizio era minimale, solo basso e beats: la prima uscita di Kode9, Sine Of The Dub, cover di Sign O The Times di Prince, era una pulsazione base con spoken word. Poi si è schiarita, è diventata più colorata, melodica e orientata alla pista da ballo, anche se diverse uscite sono ancora a metà strada.

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Capita di frequente nell’elettronica, che col tempo tende a colorarsi in mille sfaccettature. Nel frattempo l’audience si è allargata, specie grazie al dubstep, i gusti musicali e i generi sono cambiati. Quando la novità minimale si è esaurita, la nostra musica ha iniziato a suonare troppo arida e noiosa. E’ successo appunto con il dubstep, nato dall’idea di sottrarre elementi soul al UK garage secondo la metodologia del dub, che a sua volta sottraeva elementi al reggae. Il processo di sottrazione si è esaurito però quando sono rimasti solo basso e beats. Per evolvere ora bisogna trovare nuove strade”. Quel che più interessa a Steve è il fatto che in UK la bass culture mantenga una forte personalità, consapevole del suo orientamento verso la funky house, dopo che il garage ha portato al grime e al dubstep, il primo sempre più verso l’hip hop e il secondo arrivato sul dancefloor in gran ritardo. “L’UK garage era ballabile, uptempo, soulful, ma con uno stile ritmico unico. Questo è lo stile a cui si avvicina di più il post-UK garage, come lo vediamo oggi, così aperto da poter ottenere pezzi oscuri e altri più r’n’b. Se il 2step e il funky sono in qualche modo accomunati dall’elemento soul, il garage questo lo confondeva del tutto, anche senza la presenza di voci femminili, tagliando le voci, velocizzandole, usandole come elementi ritmici. Questo trattamento era chiamato ‘hypersoul’ o scienza della voce. Cosa che il funky non fa, perché è più convenzionale, non processa le voci in modo significativo. Non sono contrario al lato soulful, ma abbiamo bisogno di canzoni essenziali. La cosa più interessante di funky, garage e 2step, ma anche di jungle, d’n’b, grime e dubstep, sono appunto i ritmi, programmati a metà tra l’house e l’hip hop”. L’Hyperdub rimane una realtà a basso profilo, che tuttora opera in modo virale e senza forzature. L’etichetta non è diventata grande, è solo più visibile grazie a Burial, che ha toccato le corde emotive degli ascoltatori: i suoi 2 album sono gli unici che hanno venduto. Steve decide cosa pubblicare senza fare previsioni di vendita, però il fatto che Burial sia andato bene gli ha reso più semplice l’attività e permesso di produrre altre cose. Tra il 2001 e il 2003 l’Hyperdub era un web magazine, di cui Burial apprezzava gli articoli. Era un fan degli intervistati, tipo El B, che non trovava altrove. “Mi ha spedito lettere scritte a mano, foto e cd con la sua musica – confida Steve – fino al 2002. Nel 2004, quando è partita la label, ascoltando suoi vecchi pezzi come South London Boroughs, Broken Home e Distant Lights, ho pensato che avrei dovuto pubblicare anche musica di altri artisti, a cominciare dal primo album di Burial. Non mi sarei mai immaginato un successo simile”. Le attività di Goodman non si esauriscono con l’etichetta, anzi, lo scozzese dedica parte del suo tempo all’università di East London – dove insegna film sound design, teorie di tecnologia musicale e suono interattivo – e parte alla scrittura. Scrive articoli sull’afrofuturismo (“per capire la connessione tra i miei dischi preferiti, principalmente black ma dal taglio cosmico o tecnologico”) e pubblica il suo primo libro. Sonic Warfare, in uscita per MIT Press, parla degli utilizzi e degli abusi nei soundsystem, l’uso di suoni ad alta intensità per disperdere e per attrarre le persone. “Una delle cose più interessanti che ho scoperto è stato l’uso del suono da parte dei militari U.S.A. in Vietnam per sviluppare le tecniche di annientamento psicologico ‘wondering soul’ o ‘wondering ghost’: sfruttando una concezione buddista, secondo cui se si muore di morte violenta il proprio spirito vaga senza pace nell’aldilà, i militari avevano realizzato un montaggio audio di voci spiritiche come fossero quelle di soldati morti o antenati, trasmesse ai vietcong dagli speaker degli elicotteri durante i bombardamenti”.

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La nostra hypergiornata si conclude al Borders di Islington, nel faccia a faccia con due tra i più interessanti artisti dell’etichetta di Kode9: Darkstar e King Midas Sound. Chiediamo prima a James Young, metà del duo con Aiden Whalley dei Darkstar, di parlarci del progetto: “Nasco come dj house e techno, mentre Aiden ha un background come chitarrista rock. Abbiamo costituito i Darkstar e pubblicato il primo 12” nel 2007, quando Steve ci ha contattato per il pezzo Out Of Touch. Aiden si occupa di accordi e melodie, io li incasino un po’ con le linee di basso, i campionamenti e le voci. Se l’insieme funziona scriviamo i testi. Il nostro primo LP uscirà il prossimo marzo e conterrà pezzi nuovi che, anche grazie all’arrivo di un cantante, avranno la forma canzone. E’ una sfida scrivere canzoni pop e suonare dal vivo come una band, ma più divertente che fare pezzi dance strumentali”. L’elettropop dei Darkstar e il “dread soul” dei King Midas Sound di Kevin Martin non hanno nulla in comune, se non la ricerca della canzone melodica perfetta. Kevin tiene a precisare che il gruppo è formato da lui e Roger Robinson, a cui si è aggiunta la cantante giapponese Hitomi (Dokkebi Q) che canta in tre pezzi del nuovo album. “Waiting For You – spiega – può apparire malinconico al primo ascolto, ma nasconde un’energia molto positiva. Ci abbiamo messo tre anni e mezzo per prepararlo, perché all’epoca stavo lavorando a tre diverse uscite, tra cui The Bug. Molte persone si sono soffermate solo sull’aggressività di The Bug, senza cogliere la poetica dub di Roger. Questo mi ha spinto a fare musica lontana dalla pista da ballo, poco aggressiva, da after club”. E così, dopo anni spesi a odiare la gente, le canzoni, la melodia e la struttura, a causa dei suoi trascorsi post punk, free jazz noise d’assalto (God) ed elettronica disturbata (Techno Animal con Justin Broadrick e John Zorn), Kevin punta tutto sui vocalist e sull’influenza della musica giamaicana. “Posso ancora produrre pezzi strumentali, ma i brani che hanno cambiato la mia vita sono cantati. Non posso più fare a meno della voce: quella giusta può cambiare le emozioni, dare un senso nuovo alla musica. Con i God era solo odio, mentre gran parte della musica dance che ascoltavo, tipo il dubstep, era solo formula senza anima. La musica di KMS ha la loro stessa intensità, ma esamina uno spettro opposto, di emozioni e attrazioni primitive invece che aggressioni primitive, di implosioni invece che esplosioni: è musica sensibile e fragile, non meccanica, è amore nei suoi massimi aspetti, gioiosi e dolorosi”. Un po’ come ciò che esplorava il lovers rock in UK, dapprima sottogenere del reggae snobbato in Giamaica perché considerato troppo blando e neutrale, in seguito accettato e apprezzato per l’enfasi sui toni, le emozioni più pure e l’innocenza perduta o tradita. “Non voglio ricreare il lovers rock ed essere retro, semmai reinterpretarlo seguendo le mie radici”, specifica il produttore. “Nonostante l’ossessione per le produzioni di King Tubby e la collezione di 7” di Linton Kwesi Johnson, odio tornare indietro. Per guardare avanti non devo distruggere le strutture, ma affrontarle dall’interno, sovvertirle, stratificarle. Solo ora mi rendo conto di quanto fosse facile fare musica noise, ma anche di quanto il trip hop di Bristol, per esempio, non fosse riuscito a superare certi livelli di psichedelia diventando musica da bar. Per questo mi sento più affine al reggae che al trip hop: Tricky destrutturava, io invece voglio stare dentro le canzoni e cercare un equilibrio tra sperimentazione e melodia, tra messaggio politico e seduzione, come faceva Marvin Gaye. Non voglio essere conservatore, la musica mi deve drogare, sopraffare, non sortire un unico effetto sulla mia mente”.


King Midas Sound (Hyperdub) “Con i God era solo odio, mentre gran parte della musica dance che ascoltavo, tipo il dubstep, era solo formula senza anima. La musica di KMS ha la loro stessa intensitĂ , ma esamina uno spettro opposto, di emozioni e attrazioni primitive invece che aggressioni primitive, di implosioni invece che esplosioniâ€?

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Karim Rashid & Nissan: Think Outside The Parking Box Pubbliredazionale. PIG Mag per Nissan Di Mariacristina Bastante.

Problemi di parcheggio? Tranquilli ci pensa Nissan, con un concorso fatto apposta per i giovani designer. Si parte dal crossover Qashqai e s’arriva a ripensare in maniera originale il concetto di parcheggio urbano. E tra i membri della Giuria, un designer che di visioni audaci se ne intende: Karim Rashid. Qui ci racconta che ne pensa, a proposito di automobili, parcheggi e la difficile arte del progettare‌ 90 PIG MAGAZINE


Ciao Karim, raccontaci qualcosa a proposito del nuovo concorso Nissan “Think Outside The Parking Box”, in cui farai parte della giuria… La premessa è molto interessante: non si tratta di creare un macchina, ma di inventare qualcosa di nuovo che abbia a che fare con i mezzi di trasporto. E’ incredibilmente affascinante, davvero! Si può pensare a qualcosa di temporaneo o a qualcosa che rimanga nel tempo. Il tema è ampio a sufficienza da prestarsi a qualunque interpretazione. E a te è venuto già in mente qualcosa? Sai, io vivo in perenne ispirazione. Ovunque io sia, in aereo, in una città straniera, in casa o in albergo, le parole che sento, gli oggetti che vedo… penso sempre, immediatamente a come modificarli. Quando mi è arrivato il bando per la competition ho subito avuto un paio di idee carine, ma forse non dovrei parlarne… Il parcheggio è una questione davvero seria ormai. Quando arrivo a San Paolo, o a Mosca, o in città più piccole come Bratislava, o Belgrado, o Londra è evidente che ovunque le macchine stanno congestionando le città. A New York non esistono più le corsie per ciclisti… ed è impressionante come la città sia peggiorata. Muoversi all’ora di punta (tra le tre e le sette del pomeriggio) è praticamente impossibile. Se ci pensi, perdere una corsia è come far scomparire un quarto della città. Forse si potrebbe fare qualcosa con degli ascensori o inventare delle altre forme di parcheggio. A New York non c’è neanche una segnaletica orizzontale per i posti auto, ognuno può mettere la macchina come vuole. Forse qualche linea disegnata ci vorrebbe… Ecco questa potrebbe essere un’idea: semplici linee dipinte. Chissà se c’è qualche metodo matematico per risolvere il problema del parcheggio. Qui a New York, non so se avete la stessa cosa anche in Italia, ci sono un sacco di garage dotati di gru, che mettono le macchine una sopra all’altra! Si può partecipare a questo contest utilizzando qualunque mezzo espressivo. Dal video, all’illustrazione. Che ne pensi? E’ un grosso cambiamento. Quando sono entrato nel mondo del design, alla fine degli anni settanta, se volevi presentare un’idea c’era un solo modo per farlo… a mano! Potevi usare ogni tipo di pennarelli, pastelli, o matite… Arrivavi da qualche parte solo se eri molto bravo a disegnare. La possibilità di vincere o no un concorso si basava tutta sulla bravura che uno aveva nel disegno. Adesso qualunque giovane architetto o designer sa usare alla perfezione i programmi informatici: è un segno di quanto la tecnologia

stia diventando uno strumento importantissimo. Tutti se la cavano bene col 3D, il prossimo passo saranno i video e le animazioni. Dal punto di vista critico, tutto questo è straordinario. In un concorso come questo, per esempio, puoi veramente capire i progetti, mentre prima, guardando solo i disegni, restava tutto molto astratto, vago. Adesso puoi vedere i materiali, la connessione tra un elemento e un altro, puoi spostare le varie componenti… la tecnologia ci ha avvicinato alla realtà, in un certo senso. E’ fantastico. Nel mio ufficio, per esempio, nello stesso giorno possiamo studiare una quindicina di versioni diverse dello stesso prodotto, cambiando la forma, o i materiali… in passato mi ci voleva almeno una settimana. C’è un prodotto che ti piace proprio per il suo design? Avendo disegnato così tanti oggetti, un po’ ovunque nel mondo, tendo ad essere un po’ critico. Per me niente è perfetto. Però la macchina Nissan Cube è molto carina… e non lo sto dicendo solo perché si tratta di Nissan. Recentemente ci sono entrato dentro per la prima volta: ci sono queste specie di finestre asimmetriche che proseguono su tutta la parte posteriore della macchina, così che quando sei al posto del guidatore e guardi dietro hai una visuale molto aperta. Guardi sopra alla tua spalla destra e vedi tutte le macchine che hai dietro. E’ una bella trovata, molto furba. Ti eccita l’idea che potresti scovare un nuovo talento tra i partecipanti al contest? Sì, sarà affascinante. Quel mi piace in un concorso di queste dimensioni è che parteciperanno persone da ogni parte del mondo. Sarà grandioso. Da una parte è come se il mondo si stesse “ritirando”: sembra quasi che pensiamo tutti alla stessa maniera, ma dall’altra parte il mondo è così diverso. So che vedrò proposte molto estreme e proposte estreme che trovano la loro origine a seconda del contesto. Perché quando pensi ad uno spazio per il parcheggio o ad uno spazio in cui mettere la tua macchina è inevitabile che queste cose abbiano a che fare con il contesto in cui vivi. Una città o un piccolo paesino presentano condizioni completamente differenti. Sono curioso di vedere che cosa succederà. Come immagini la tua macchina ideale? Devi sapere che è da dieci anni che desidero progettare una macchina. Ma non la penso partendo dall’archetipo esistente. Se potessi disegnarla adesso metterei il paraurti davanti, il motore sopra e poi, a scendere, il portabagagli. Sarebbe un disegno molto semplice, come quello che può fare un bambino.

Se devo immaginare una macchina a idrogeno, o elettrica, allora l’intero telaio, alla base, potrebbe essere composto da un sacco di batterie o celle, il che significa che non avresti bisogno di un portabagagli o di un cofano per metterci il motore dentro. E se manca il motore, allora puoi davvero ricominciare daccapo: hai solo una piattaforma e puoi partire dal niente, non ci sono marce e le sedute all’interno si possono ruotare, in modo da poter andare avanti o indietro. Oppure le quattro ruote possono lavorare indipendentemente, così, appena vedi un parcheggio, puoi fermarti e posizionarti di fianco. Radicale e semplicissimo… E’ che bisogna ripensare tutto… Ad esempio, quando vado in aereo mi dico sempre: perché devo stare rivolto in avanti? Se sono con mia moglie, o con un mio amico, perché non possiamo sederci uno davanti all’altro come in treno?E’ che siamo incastrati negli archetipi. Lo siamo da settantacinque anni… Dovremmo abbandonarli, specialmente quando andiamo a creare una nuova tipologia di oggetti. Qual è il tuo background nel design? Ho studiato disegno industriale, ho finito nel 1983, poi fino al ’91 ho lavorato in uno studio, quindi nel ’93 ho aperto il mio ufficio, qui, a New York.Ho sempre evitato di specializzarmi troppo: i designer di solito tendono a farlo… si specializzano in illuminazione, mobili, o in oggetti particolarmente ricercati. Io ho cercato, invece, di mantenere una certa varietà e per i primi cinque anni mi sono davvero sforzato per convincere le aziende a lavorare con me… poi le cose si sono iniziate a muovere. Adesso continuo a fare di tutto: dalle scarpe con i tacchi, ai computer, agli alberghi… tutto e niente, come dire! Oppure tutto ciò che può avere un effetto sulle persone, sulle loro esperienze. Ed è questo il denominatore comune dei tuoi progetti? Sì, esattamente, perché non penso mai all’archetipo, o all’oggetto, isolato dall’esperienza umana, ma vedo tutto insieme, tutto connesso. Ora, per esempio, sto lavorando ad un sex shop a Berlino e sto disegnando una linea di abbigliamento in Italia e una nuova bottiglia per la linea di cosmetici di Hugo Boss. Ognuna di queste cose riguarda l’esistenza umana. Quando vedi la fotografia di un oggetto isolato, di una sedia su un fondo bianco, non vuol dire che vedi un mobile. E’ l’interazione con l’uomo a fare il prodotto. Su pigmag.com già online il teaser della campagna Nissan QASHQAI realizzata da “Le Creative Sweatshop”. Enjoy! www.karimrashid.com - www.nissan.it

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Marina Photographer: EMANUELE FONTANESI Styling: EMANUELE FONTANESI Hair & Make Up: HUGO VILLARD Model: MARINA

Vestito DIESEL

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Pantaloni McQ, camicia stylist own, maglioncino stylist own, scarpe vintage

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Vestito MISS SIXTY


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Vestito MISS SIXTY

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Vestito DIESEL, scarpe vintage

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Cappotto MISS SIXTY, vestito DIESEL, scarpe CHANEL


Maglioncino DIESEL, leggings stylist own, scarpe CONVERSE

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Cappotto MISS SIXTY,vestito DIESEL, calze vintage

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Gonna MISS SIXTY, camicia stylist own


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Claudia & Natalia

Photography: CHRIS HEADS Stylist: ILARIA NORSA Asstnt. Stylist: FABIANA FIEROTTI Studio asstnt: STEFANIA MAPELLI Hair: MICHELE GARZANO at Face to Face Make-up: CRISTINE DU PUYS Models: CLAUDIA JAKUBOWSKA and NATALIA KOZIOR at Women Special Thanks: JESSICA GRECO

Pelliccia vintage

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Scarpe MOSCHINO CHEAP AND CHIC

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Pantaloni MARIA FRANCESCA PEPE, collana e cintura vintage

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Gonna MOSCHINO CHEAP AND CHIC, orecchini VALENTINO GARAVANI

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Gioielli MARIA FRANCESCA PEPE

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Calze LOUIS VUITTON

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Claudia: guanti MISS SIXTY, Natalia: vestito SALVATORE FERRAGAMO

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Claudia: Scarpe MOSCHINO CHEAP AND CHIC, Natalia: tutina SEE BY CHLOE, scarpe D&G

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Piglist:

Tra i protagonisti dei nostri ascolti estivi con l’EP Ayrton Senna, direttamente da Barcelona la playlist dei Delorean.

Delorean 1. Bflecha - Ceja de carnival 2. Dj Tone - Breathe again 3. Florence and the machine - You've got the love (The xx remix) 4. Dominant legs - Young at love and life 5. Rick Ross - Here I am 6. Hudson Mohawke - Overnight 7. Ne-yo - Miss independence (Instrumental) 8. Black lips - Startin over 9. Guido - Orchetal lab

Foto di Nacho Alegre.

10. Ruff Squad - R u double f?

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Musica Album del mese

King Midas Sound Waiting For You (Hyperdub) Di Gaetano Scippa. Tutto comincia con le serate Bash al Plastic People di Londra, dove Kevin Martin e Loefah puntano su reggae, dancehall e hip hop in stile J. Dilla perché stufi dei ritmi e dei tempi sempre uguali del dubstep. Tra personaggi come Jerry Dammers, Nicollete e Roots Manuva, Martin conosce Roger Robinson, vocalist originario di Trinidad, con cui condivide la passione per il dub. Lo coinvolge in London Zoo di The Bug, dove però la sua poetica passa in secondo piano rispetto all’aggressione sonora del disco. E’ così che Martin concepisce il suono di Re Mida, ipnotico, fragile e intenso al

tempo stesso. Lo vuole distante dalla pista da ballo, semmai da ascoltare quando si torna a casa dopo una serata. E ci riesce benissimo con Waiting For You, dove lavora sulle emozioni e sulle sensazioni più intime che si posso provare da soli, insonni, a notte inoltrata. Ritroviamo la malinconia del Burial di Untrue, che però giocava con i ritmi del 2step-garage. Qui invece il focus è sul dub, sul lovers rock degli anni ’70 e soprattutto sulla struttura stratificata di voci e canzoni. Il “dread soul” emanato dal falsetto di Robinson, ancor più sorprendente quando si intreccia con la femminilità vocale di Hi-

tomi (Dokkebi Q), è un trip al rallentatore. Il suo incedere narcotico e reiterato, ma non meccanico, si sedimenta da subito in Cool Out, nella nostra testa, che non se ne libera fino alla fine del viaggio. Con Lost si lambiscono i territori ibridi di The Eternals e Kill the Vultures, mentre echi di chitarra ci accompagnano nel limbo di Outer Space. L’avventura nello spazio prosegue in Miles & Miles, finché l’atmosfera agrodolce dei suoni e dei testi svela tutto il suo splendore politico in Earth A Kill Ya: “The Earth will kill you if you try to kill it…”. Uomo avvisato mezzo salvato. G.S.

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Musica Album del mese

Di Depolique, Marco Lombardo, Marina Pierri e Gaetano Scippa.

Dead Man’s Bones - s/t (Anti Records) Progetto che doveva essere più ampio prima di naufragare, quello dell’attore Ryan Gosling e del socio Zach. Resta un fascinoso disco di folk spettrale registrato insieme a un coro di bambini che abbraccia un’immaginario che va dalla Famiglia Addams agli Arcade Fire.

Memory Tapes - Seek Magic (Acéphale) Da una cantina del New Jersey. Vecchi nastri dimenticati di My Bloody Valentine, Galaxie 500, New Order, Police, Boards Of Canada e Saint Etienne. Fantasmi impolverati di un genio prolifico quanto defilato di nome Dayve Hawk. Il mio disco del mese e sorpresa dell’anno. M.L.

FaltyDL - Bravery (Planet Mu) A pochi mesi dal primo lavoro Love Is A Liability, il newyorkese Andrew Lustman bissa con 8 nuove tracce tra elettronica e 2step di burial-iana memoria (Made Me Feel So Right), accenni hip hop (Mother Beam) e disco (Discant). In tutti i casi è notevole il lavoro sui tempi e sulle voci. G.S.

Washed Out - Life of Leisure (Mexican Summer) Anni ottanta e psichedelia. Soft-rock ed elettronica. Pellicole romantiche. Fuori sincrono. Confessioni sovraesposte. Polaroid sbiadite. Emulsionate con sapienza da Ernest Greene. Sorprendente chimico pop dal South Carolina. Con licenza di commuovere. Adorabile. M.L.

CFCF - Continent (Paperbag Records) Dopo essersi fatto largo nella blogosfera a colpi di interessanti remix il canadese Michael CFCF Silver si concede sulla lunga distanza. Disimpegna con stile e grande delicatezza tra italo, balearic e piano house. Una piacevole sorpresa.

The Flaming Lips - Embryonic (Warner) Wayne Coyne è un genio, oltre ad essere la reincarnazione fantascientifica di Syd Barrett. Embryonic lo conferma. Un doppio album caleidoscopico, psichedelico, frammentario. Concepito in un’altra galassia, negli anni settanta, sotto l’effetto di droghe ancora da inventare. M.L.

Ian Brown - My Way (Polydor) Sesto album solista per Ian Brown, indimenticabile leader degli Stone Roses. My Way esce ventanni dopo il seminale esordio con la band inglese e rappresenta l’apice della sua nuova carriera iniziata nel ’98. Mescolando con maestria Brit-pop e sonorità urban di ultima generazione. M.L.

Karen O & The kids - Where the Wild Things Are (Dgc/Interscope) La cantante degli YYY scrive la colonna sonora del nuovo film di Spike Jonze. Accompagnata dalla sua band, qualche amico e un coro di bambini, raccoglie una manciata di filastrocche folk. Umorali, malinconiche, a tratti irresistibili. M.L.

Ytre Rymden Dansskola - s/t (Full Pupp) Nuove prelibatezze in arrivo dalla Norvegia. Via Full Pupp - label di Prins Thomas - ecco il debutto di YRD (in italiano Scuola Di Danza Dello Spazio Profondo), duo che come suggerisce il nome predilige escursioni cosmiche e confondenti battiti al rallentatore. Bene bene.

Girls - Album (Matador) Christopher Owens è il nuovo feticcio indie d’esportazione U.S.A. Cuore sofferente, biografia incerta dai tratti leggendari, un’intera valigia di retorica del dolore e dello spaesamento da declinare. In uno degli esordi dell’anno, tra Roy Orbison, Elvis Costello, Morrissey e i Beach Boys. M.L.

Dam-Funk - Toeachizown (Stones Throw) “L’ambasciatore” del boogie funk primi ’80s di L.A. è un mago retrofuturista dei synth, con cui crea accordi melodici perfetti e li completa con ritmi hip hop, talvolta accelerati (Fantasy), e voci al vocoder, perfino aliene (Brookside Park). A ognuno il suo, a noi questo disco. G.S.

2562 - Unbalance (Tectonic) Seguito del riuscito Aerial, il dubstep di Unbalance si colora – già dalla cover – di melodie al sapor di synth analogico (Love In Outer Space) ed esalta i pattern ritmici con un ottimo uso del rullante. Se un occhio rimane strizzato alla techno, un altro si rivolge alla pista da ballo. G.S.

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Did - Kumar Solarium (Foolica Records) I Did sono di Torino e suonano un post-punk teso e ballabile, arricchito di sfumature kraut-rock e contaminazioni ritmiche Afrobeat. Non inventano nulla in questo disco d’esordio ma si dimostrano un giovane gruppo talentuoso, di respiro internazionale. Da tenere d’occhio. M.L.

UXO - Uxo1 (Queenspectra) Gioiello di syntherama e sci-funk (MJ vs Neda), bassi dub, scorie industrial e Badalamenti (la marcia blues Without You). La prima parte è più elettronica, nella seconda Madlib (Love Is In The Airhorn) e Dabrye condividono il taglio cosmico. Una bomba sonora che si spera esploda al più presto. G.S.

Boys Noize - Power (BoysNoize Records) Secondo album per Alex Ridha, dj e produttore, che ci aveva già entusiasmato nel 2007 con l’esordio “Oi Oi Oi”. “Power” amplifica le qualità di un talento fuori dal comune e introduce nuove sfumature più sperimentali. Confermando il tedesco tra i primi della classe. M.L.

Cold Cave - Love Comes Close (Matador) Dimenticate certo electro pop solare, leggero, evasivo... Ecco l’altro lato della medaglia, quello oscuro e rumoroso. Lo rappresentano ad arte i Cold Cave di Filadelfia. Tra “storici” dolori di ieri e i tormenti di oggi (i Crystal Castles di I.C.D.K. o le Au Revoir Simone in ecstasy di Life Magazine).

RSD - Good Energy (Punch Drunk) Esce per la label di Peverelist questa raccolta di RSD, che racconta l’evoluzione del suono di Bristol negli ultimi tre anni di Rob Smith, già da fine anni ’80 al centro della bass culture. Un disco legato alla dancehall che esplora il lato più atmosferico e meno metallico del dubstep. G.S.

Kings Of Convenience - Declaration of Dependance (EMI) Se vi sono mai piaciuti i KOC, sapete esattamente a cosa andate incontro mettendo su DOD. Dopo 5 anni non é cambiato assolutamente nulla: chitarre, sussurri, occasionale sagacia, dolcezza, sarcasmo. Ed ecco, se vi sono mai piaciuti, probabilmente non chiedete altro. M.P.

Jori Hulkonnen - Man From Earth (Turbo Recordings) Dopo dieci anni con la F Com Jori passa alla Turbo dell’amico Tiga. Probabilmente contagiato dal mood di casa, il finlandese spinge come non mai: MFA sembra infatti più una raccolta di anthem da club che un lp. Sugli scudi i discodrammi, ovviamente, specialità del maestro.

Syntaks - Ylajali (Ghostly) Ambient pop elettroacustico che disegna splendidi paesaggi, distesi tra Vangelis e Eno, con influssi shoegaze e onirismo anche grazie all’uso di voci femminili eteree. Progressioni strumentali (il crescendo di She Moves In Color) e ancora rarefazioni, come la quiete dopo la tempesta. G.S.

Neon Indian - Psychic Chasms (Lefse) Alan Palomo viene dal Texas. Nel suo nuovo progetto si circonda di sintetizzatori d’annata, samples vocali felpati, melodie eteree e vinili italodisco. Il risultato è un dream-pop elettronico che parte dalla sperduta provincia americana per arrivare dritto al cuore. M.L.

Dead Seal - Corpus Animus (Auralism) Aperto da Dolgama, ottima cavalcata elettronica, questo disco è l’opera prima di Derrick Boyd, producer e polistrumentista di San Francisco. Tra techno e house chiaroscura, i momenti migliori si respirano con gli innesti organici e nell’inseguimento finale di King Burk. G.S.

Miss Yetti - Zuckerbrot und Peitsche (Gold & Liebe) Miss Yetti rende il proprio suono minimale, con melodie e ritmi ripetuti, ma anche con la sua voce calda e limpida (Why) o ipnotica (Nass). Apprezziamo le improvvisazioni electro, in un continuo stimolo carota-bastone, e la bonus track con Robert Görl dei DAF. G.S.

Das Pop - s/t (News) Nell’anno d’oro dei Phoenix non c’è gloria per le imitazioni. Con tutto il rispetto, è lì che i belgi Das Pop sembrano andare a parare. E poi farsi produrre dai Soulwax e non tirare fuori niente di originale è quasi un delitto. Peccato per Fool For Love: pensavo fosse amore invece erano remix...

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Film del mese

Di Valentina Barzaghi

Jennifer’s Body Di Karyn Kusama. Ci avviciniamo a questo film con il sapore dell'amore appena consumato con Sam Raimi e il suo Drag Me To Hell, ma lì stiamo parlando di super produzione per un target nettamente diverso, nonostante le finalità rimangano molto simili. Grazie al cielo alcune di queste pellicole, che io adoro del cinema made in U.S.A. arrivano anche da noi, forse supportate da un caso chiamato Diablo Cody - a chi il nome non dicesse nulla, afferri istantaneamente le chiavi di casa, esca e vada a recuperarsi Juno, di cui la Cody è sceneggiatrice, torni e se lo veda in lingua per favore. Jennifer's Body è rintracciabile alla voce Horror Sexy Teen Movie: Jennifer è una bomba di cheerleader (interpretata da quella figa spettacolo di Megan Fox), amica di Needy, la classica nerd ai primi bollori, fidanzata con Chip, un geek tenero e sensibile (i luoghi comuni del cinema di genere si sprecano). La sera in cui Needy accompagna Jennifer al locale di turno perché vuole far colpo sul membro di una band che suona lì, scoppia un casino: un incendio distrugge tutto mentre la ragazza viene salvata esanime dalle fiamme, ma il vero incidente deve ancora accadere. Mentre la cittadina deve affrontare la catastrofe, la ragazza si riprende con una fame insaziabile (e non sessuale!)... di 120 PIG MAGAZINE

maschi. Ma quando l'amica Needy scopre la mutazione, organizza un piano per salvare il ballo scolastico e la città dalla furia sanguinaria. Se Juno era già un film con battute e situazioni davvero esilaranti, ma comunque legate alla realtà, qui la Cody si è davvero sbellicata, usando un immaginario ben rodato di genere per costruirci sopra una sceneggiatura da sballo (lo so, sono ripetitiva, ma film come questo per me hanno l'obbligo di essere visti in lingua originale), strabordante di slang e rimandi a una pop culture di cui la giovane sceneggiatrice è ormai diventata uno dei capisaldi. I puristi dell'horror non credo che ne rimarranno molto entusiasti, ma chi pensa che Jennifer's Body sia destinato a quel pubblico sbaglia: è semplicemente una indie teen comedy che per estro e divertimento si veste d'horror. Stop. E adesso voi mi direte... Bene, brava... ma la regia visto che stiamo andando a vedere un film? Beh, questo è uno dei molti casi in cui il regista si è dovuto limitare a trasporre fedelmente il copione per tirarne fuori qualcosa di super. D'altronde la Kusama, non è che si sia mai distinta per un estro particolare, sebbene gran parte dei suoi lavori abbiano tentato d'indagare da una prospettiva diversa l'universo giovanile, soprattutto quello delle ragazzine

incazzate (suo è Girlfight). Anzi, se una cosa negativa si può dire di questo film è che mentre la Cody si aggira sicura nella creazione di una commedia, la Kusama a volte tenta di rientrare esteticamente nei ranghi dell'horror che però poco si addicono a quello che viene detto. Si poteva cavare ancora più trash! Jennifer's Body era una delle ultime pellicole, insieme a 28 Months Later di Danny Boyle e Accidentes con S. B. Cohen, che la Fox Atomic - quella parte degli studios dedicata alle commedie per target young - stava producendo prima della chiusura avvenuta per mano della casa madre non molti mesi or sono. Peccato... secondo me con questo film poteva recuperare denaro e stima, visti filmacci come I Love You, Beth Cooper. Molto divertente (lo so che guardate la pagina di fianco e pensate "ma questa, con Coppola, Cohen e Mann che escono mette sta minchiatella come film del mese!?!", ma a me piace quando un film ha estro e questo ne ha parecchio), femminista quanto basta per far saltare sulle poltrone un sacco di donne inacerbite con il genere maschile con tanto di dito medio alzato... ma tanto, i ragazzi che le accompagneranno manco se ne accorgeranno, imbambolati con faccia furba a guardare Megan Fox!


Cinema

Tetro Di Francis Ford Coppola. Bianco e nero d’autore con Vincent Gallo per Coppola. Potrei finirla qua e so che in poche parole vi avrei già convinto ad andare a vedere questo film, ma perché lasciarci così in fretta? Coppola, arrivato alla modica età di 70 anni, è uno dei pochi ancora in grado di sapersi rinnovare: già due anni fa ci aveva ammaliato con un film lontano dalla sua estetica narrativa come Youth Without Youth, che in pratica non si è cagato nessuno, ma di una bellezza strabordante. Ora passa a questo gioiellino indipendente che ruota intorno alle vicende di una famiglia di immigranti italiani: il capofamiglia è un direttore d’orchestra completamente dedito a se stesso e ai figli. Il primo di questi, Tetro, è un poeta che decide di rifugiarsi a Buenos Aires, in una comunità d’artisti, per dare un taglio netto alla sua vita e ai suoi legami. Tetro è un melodramma dalle tinte delicate con cui Coppola racconta anche molto di se stesso allo spettatore, dal rapporto con i parenti musicisti alla concezione di famiglia onnipresente, ai suoi film: in Tetro chiari sono i rimandi al capolavoro Rumble Fish (non è un caso che dunque che in un primo momento il regista volesse che fosse Dillon a interpretare la parte di Tetro), non solo per la scelta del bianco e nero, ma anche per l’inserimento di giovani tormentati. Assolutamente da vedere.

A Serious Man Di Joel e Ethan Cohen. Ed eccoci alla pellicola di quest’anno dei Cohen, che non smentiscono né la loro prolificità intelligente né il loro innato talento. Ancora una volta i due fratelli sono alle prese con storie di “ordinaria follia” nella vita di poveri malcapitati. In questo caso il protagonista si chiama Larry Gopnik (Michael Stuhlbarg) ed è un professore di fisica di una tranquilla università del midwest. E’ il 1967 quando la sua vita va a rotoli: la moglie lo lascia per un suo collega che le ispira più sicurezza, ha il fratello disoccupato gli vive in casa, il figlio Danny frequenta la scuola ebrea ma è uno scansafatiche, mentre la figlia Sarah gli ruba i soldi per riuscire a farsi una plastica al naso. Esaurito, Larry chiede aiuto a tre differenti rabbini. A Serious Man è una dark comedy per cui i Cohen hanno preso spunto da tutto il loro repertorio precedente (di personaggi e di quella spirale di sfiga che ha un inizio ben preciso e che finisce per travolgere tutto e tutti), per creare di nuovo qualcosa di travolgente e che fa davvero spaccare dalle risate. Senza dimenticare che con il loro humor che rasenta il grottesco e con i loro personaggi inspiegabilmente iellati, i Cohen non mancano in verità di far passare diffuse tematiche della nostra quotidianità (accentuata dal fatto che sia made in U.S.A.): dai problemi sull’instabilità familiare a quelli sulla moralità di volere un’operazione facciale per motivi estetici. Come al solito, cult.

Public Enemies Di Michael Mann. Probabilmente l'unico e grande motivo per andare a vedere questo film è Johnny Depp (che sia chiaro, non è per la bava, ma per la bravura), ma non credo che sia tralasciabile. Così come il fatto che i gangster movie mi hanno sempre divertita, anche se quelli come questo sono velati da quella patina di super produzione hollywoodiana che mi lascia in parte indispettita (ci voleva più di noir cavolo!). Un po' di storia che non guasta mai, anche se penso che ai più sia nota: Depp interpreta John Dillinger, uno dei più famosi fuorilegge degli anni della Grande Depressione. Non c'era banca che non riuscisse a rapinare in raid lampo, non c'era prigione da cui non riusciva ad evadere, supportato dalle simpatie popolari che incolpavano le banche di aver causato il tracollo finanziario del paese. Il problema di questo film, fra l'altro uno dei più attesi di questa stagione (e per questo preferisco recensirlo cosicché sappiate...) non è altro che un giochino stilistico ricalcato da Mann sulla falsa riga di uno dei suoi capolavori, Heat (1995, con Al Pacino, De Niro, Voight). Thomas, cavolo, anche Collateral è uno dei miei film preferiti, ma sta caccia al gatto e al topo sempre con lo stesso schema narrativo, non ha un po' rotto i maroni anche a te?

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DVD

I Love Radio Rock Di Richard Curtis. Richard Curtis è l’uomo che ha scritto alcune delle commedie romantiche inglesi più famose di tutti i tempi, da Quattro Matrimoni e Un Funerale, a Notthing Hill, colui che ha “inventato” Hugh Grant appiccicandogli addosso il ruolo del goffo e strampalato personaggio per cui le donne stravedono. Curtis in I Love Radio Rock si stacca però dal suo pupillo sopperendo con un cast davvero spettacolare: Philip Seymour Hoffman, Kenneth Branagh, Emma Thompson, Bill Nighy... ci vorrebbe l’elenco telefonico per dare spazio a tutti. Anche in questo caso lo humor non manca, ma il regista ci fa fare un salto temporale nel memorabili anni ‘60. E’ il periodo più prolifico e sensazionale per il pop britannico e mentre la BBC programmava solo due ore circa di rock’n’roll alla settimana, una radio che aveva la sua sede su una nave molto particolare al largo della Gran Bretagna, lo faceva 24 ore su 24. Più della metà della popolazione britannica si sintonizzava sulla frequenza della radio. Quentin è il capo di Radio Rock, Carl è suo figlio. Quando la madre impone al ragazzo di andare a stare per un po’ di tempo dal padre per capire cosa vuole davvero fare nella sua vita, Carl trova un mondo assolutamente fuori dal comune ad accoglierlo. Non poteva chiedere di meglio. Richard Curtis fa di tutto per farsi stimare dal suo pubblico proponendo una pellicola divertente, con tanta ottima musica e mettendo in scena una fetta della storia inglese, che è stata anche l’utopia di milioni di giovani. I Love Radio Rock è un omaggio di Curtis alla generazione della rivoluzione culturale, quella che è iniziata proprio grazie alla musica. Una rivoluzione colorata, sessuale, provocatoria, ai limiti del volgare, ma divertente e spensierata. Questi gli elementi identificativi di allora e questi gli ingredienti del film oggi. Una commedia diversa da quelle che il regista ha portato sul grande schermo fino ad oggi, ma che proprio per questo ha quel tocco autorale che ce la fa apprezzare di più, lungi da storie d’amore tradizionalmente strampalate e personaggi marcatamente british. I Love Radio Rock è da vedere perché ci mette di buon umore, soprattutto in clima quasi estivo, è ricca di buoni sentimenti e di scene esilaranti, ma soprattutto perché usciti dal cinema sarete ancora talmente presi dalla musica che vorrete immediatamente lanciarvi sulla prima pista da ballo nelle vostre vicinanze. I suoi personaggi sono strepitosi: da Bill Nighy nel ruolo del capitano Quentin (definitivamente l’uomo della mia vita) a quello di Rhys Ifans in quelli dello speaker più amato dalle donne Gavin, da quelli di Philip Seymour Hoffman nei panni de Il Conte a quelli dell’antagonista Dormandy, interpretato da un inaspettato Kenneth Branagh in vesti hitleriane. Una delle migliori commedie dell’anno.

Star Trek Di J.J. Abrams. Non si sa se a brandizzare questo film sia più la saga che l'ha reso celebre o il suo regista, dicesi J.J. Abrams, per i salutisti della "no television" anche detto Mr. LOST. Un uomo, una strategia di mercato: quando arrivò a Roma per la prima del film disse che prima di cimentarsi nella sceneggiatura, Star Trek non sapeva nemmeno cosa fosse, ma che poi si è appassionato strada facendo e ha deciso di girarlo da sé (boh...). Sta di fatto che la trama dell' undicesimo capitolo è coerente con gli altri proprio perché da essi si sa anche distaccare; rilegge con budget molto elevato e in chiave moderna le particolarità che hanno reso Star Trek un fenomeno cult. Abrams è un fantastico narratore, un incantatore di masse, in grado di tenere lo spettatore sospeso e di incuriosirlo, emozionandolo (i fans si commuoveranno all'eco di "Questi sono i viaggi dell'astronave Enterprise" con tanto di motivetto). Non solo... Alle sue dipendenze il quarantenne Abrams ha scelto un cast tecnico (da sceneggiatori a produttori) di ultimo grido, per non parlare di quello artistico, in cui schierati troviamo Chris Pine - Kirk, Zachary Quinto - Spock, Eric Bana - Nero, Winona Ryder - Amanda Grayson e molti altri ancora. E come non parlare dell'operazione di marketing creata attorno al film? Già dal 2007 è stata distribuita una versione ridigitalizzata incentrata sulle vicende del capitano Pike per poi lanciare sul sito ufficiale una campagna virtuale, seguita da merchandising. Assurdo... ma la cosa più incredibile ancora è che, in questo caso e per una volta, tutto questo caos è mosso da un film che vale davvero la pena vedere. Abrams per due ore di film riesce a non perdere mai il ritmo (senza aver bisogno di illimitati bang bang, ferraglia e fuochi, come consuetudine in film di genere), ma lascia che siano soprattutto i toni umoristici e le psicologie dei personaggi a regnare sovrane. Per Abrams prima di ogni cosa c'è la scrittura, a cui perfettamente poi adatta uno stile visivo. Ed è furbo, non si mette mai i bastoni tra le ruote da solo: decide così di basare il suo racconto su uno stravolgimento spazio-temporale su cui ormai è rodato, riuscendo lo stesso a stupire. Fa cadere lo spettatore nel suo tunnel senza via di fuga, facendogli dimenticare abbagliato che non sta inventando nulla di nuovo o originale, facendolo divertire proprio perché gioca con meccanismi noti a tutti, ma lo fa da prestigiatore rodato. Abrams è incensurabile. Se non l'avete visto al cinema (peccato!) correte a procuravi il dvd. Anche se non siete fans (vedi la sottoscritta) avrete di che divertirvi.

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News

Di Valentina Barzaghi

Torino Film Festival, 13 - 21 Novembre Il festival di Torino è da sempre un piccolo gioiello splendente all'interno del panorama festivaliero italiano. Quest'anno giunge alla sua 27^ Edizione e le sorprese non mancheranno di certo. Il neodirettore della kermesse Gianni Amelio presenta un programma che si snoda come da consuetudine in diverse aree, dal concorso internazionale lungometraggi alla sezione Italiana.doc (dedicata a lungometraggi documentari italiani inediti), fino ad arrivare all'ampio spazio per il breve metraggio (nelle sezioni Italiana.corti o Spazio Torino). Al momento della stesura di questo articolo è già stato reso noto che il film d'apertura quest'anno sarà Nowhere Boy di Sam Taylor Wood, storia dell'adolescenza di John Lennon tratta dal libro Imagine: Growing Up with My Brother John Lennon scritto da Julia Baird, sorellastra di una delle icone del XX secolo. Trepidante attesa invece ci sarà per l'arrivo di due big del cinema mondiale (tra i tanti): Francis Ford Coppola, che qui ritirerà un premio speciale per la sua casa di produzione America Zoetrope e presenterà Tetro (sua ultima e imperdibile fatica per cui speriamo palesarsi anche Vincent Gallo), e Emir Kusturica. Non riuscendo in poche righe a parlare di tutto ora, credo proprio che non mi rimarrà che preparare i bagagli...

Gigantic Di Matt Aselton. Il film del mese da cercare via web se vi interessa vederlo. Solo il cast secondo me è un motivo valido per procacciarsi questa romantic comedy: Paul Dano (Little Miss Sunshine), Zooey Deschanel (500 Days Of Summer), John Goodman (non credo che servano presentazioni...). Brian è un ragazzo di 28 anni che lavora in un negozio di materassi svedesi e il cui più grande sogno è riuscire ad adottare un bambino cinese, anche se essendo giovane e single non ha nessun requisito a suo favore. Nel negozio in cui lavora, un giorno arriva un uomo (Goodman) che vuole comprare un materasso che poi sarà ritirato da sua figlia Harriet, una giovane e adorabile ragazza con grosse lacune emotive, con cui Brian comincia ad avere una travagliata relazione. Alla sua prima pellicola, il regista Matt Aselton costruisce un piccolo affresco amoroso che sfocia in tinte surreali, contornato da personaggi secondari divertenti (soprattutto il ricercatore-amico di Brian che fa esperimenti sulla sopravvivenza con i topi e beve in aggeggi da laboratorio vodka blu home made o il tipo che vuole ammazzare di botte Brian senza un apparente motivo), ma a cui non manca quel lato tragico tipico di ogni storia d'amore, anche se, proprio come in ogni relazione che si rispetti, si arriva a domandarsi dove ci stia conducendo la narrazione... Un film carino su cui si poteva scavare-lavorare di più, ma che per una serata svago è fin troppo intelligente.

Let Me In Dopo il successo pressoché planetario dell'omonima pellicola di Tomas Alfredson (una delle mie top 3 di questo anno che volge al termine - in italiano Lasciami Entrare), il cinema U.S.A. - notoriamente sempre a caccia di spunti made in europe - non si poteva certo far scappare il remake istantaneo ed ecco quindi che la Overture Films è già al lavoro. Il progetto si preannuncia interessante: alla regia abbiamo l'impavido Matt Reeves (Cloverfield). Il cast annovera invece Richard Jenkins nel ruolo del padre, mentre in quello dei due giovani protagonisti ci saranno Kodi Smit-McPhee (The Road) e Chloe Moretz (Kick-Ass). Difficile fare previsioni su questa produzione, quindi ci toccherà aspettare l'autunno del 2010, augurandoci che tutta la poesia che Alfredson era riuscito ad assorbire e mostrare dal romanzo di John Ajvide Lindqvist non venga qui brutalmente tralasciata a favore di una spettacolarità per cui il cinema a stelle e strisce è noto, ma che qui risulterebbe una storpiatura (il romanzo infatti accennava a tutta una parte di intese violenze che il regista svedese aveva volutamente tralasciare a favore del legame che si crea tra i due ragazzini). 123


Libri

Di Marco Velardi

Bibliographic: 100 Classic Graphic Design Books Bibliographic: 100 Classic Graphic Design Books suona imponente, pretenzioso, ma non lo è per niente. Jason Godfrey ci spiega nella sua introduzione di come abbia scelto i 100 libri e traspare chiaramente l’intento di presentare una raccolta di cataloghi non impossibile o forzatamente introvabile. Molti di questi titoli sono ancora disponibili sul mercato a prezzi accettabili, a parte i pochi rari in mano solamente alle biblioteche, come Die Neue Typografie di Jan

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Tschichold. La classificazione usata è molto funzionale, passando dalle monografie alle raccolte antologiche, dai volumi di storia della grafica ai manuali tecnici, con una dettagliata descrizione di ogni singolo volume accompagnato da una buona dose di spread fotografici dei contenuti. Cos’altro si potrebbe chiedere di più? Avere in libreria tutti e 100 i volumi? Perché non provarci con tanta pazienza, pronti a spendere, e in certi casi una buona dose di fortuna che non

guasta mai. Noi abbiamo già iniziato! www.laurenceking.com Titolo: Bibliographic: 100 Classic Graphic Design Books Autore: Jason Godfrey Casa editrice: Laurence King Publishing Anno: 2009 Dimensioni: 28,8 x 23,5 cm Prezzo: 30 £


Studio Culture Titolo: Studio Culture Autore: Tony Brook e Adrian Shaughnessy Casa editrice: Unit Editions Anno: 2009 Dimensioni: 23 x 16,5 cm Prezzo: 24.95 £

Unit Editions è una nuova casa editrice inglese fondata da Tony Brook e Adrian Shaughnessy. Studio Culture è il loro primo libro, fresco di stampa, ma già un classico da non lasciarsi sfuggire. Se si dovessero fare classifiche dei più bei libri dell’anno non ci sarebbero dubbi sull’inclusione di Studio Culture. Vi starete chiedendo perché? Il motivo è la semplicità dell’idea, raccontare spaccati di vita di 28 degli studi di grafica più importanti al momento, con interviste dettagliate e foto degli ambienti, e la maestria nell’esecuzione del progetto. Ma se dico grafica, non pensatela nel modo più classico, qui si parla di creativi, perle come Experimental Jetset, Pentagram, Milton Glaser inc. e Lehni-Trüb. La forza di questo piccolo volume risiede nella capacità di ispirare veterani e giovani leve, esplorando la vita di studio e le meccaniche, a volte nascoste, ma così semplici e affascinanti che possono trasformare un team di lavoro in un’unica essenza. www.uniteditions.com

Les Cahiers Purple Il mondo cambia e cambiano anche le sue riviste. Così è stato per Purple, nato nel 1992, mutato alle varie occasioni, seguendo gli istinti dei propri editori, Olivier Zham e Elein Fleiss. Ed è proprio Elein che cambia di nuovo, dopo un anno di silenzio dall’ultima uscita di Purple Journal, rieccoci con Les Cahiers Purple, una rivista che diventa libro di 300 pagine, con cadenza annuale e suddivisa in piccoli cahiers, quindici per l’esattezza, ognuno quasi fosse un capitolo a se stante. Forse scontato, ma mai troppo, in questo primo numero Elein ci porta nei suoi luoghi preferiti, Tokyo, Parigi, Lisbona, Buenos Aires, New York, Rio de Janeiro, ogni luogo con un suo tema, ma tutti accomunati dal fondino grigio delle pagine e l’imperativo bianco e nero delle immagini e testi. Una cosa è certa, il maggior respiro e la profondità di questo progetto editoriale si sentono rispetto a Purple Journal. Sarà forse la scadenza annuale a darci la sensazione di potersi prendere tutto il tempo che si vuole per leggerlo? www.laurenceking.com - www.purple.fr

Titolo: Les Cahiers Purple Autore: Elein Fleiss Casa editrice: Les Editions Purple Anno: 2009 Dimensioni: 24 x 19,5 cm Prezzo: 15 €

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Whaleless

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Un mondo senza balene. Inquinamento e pratiche di pesca insostenibili stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza dei grandi cetacei. Questo è uno spazio dedicato a chiunque voglia esprimere la propria indignazione, rabbia, vergogna, incredulità, preoccupazione… con ogni mezzo espressivo, dall’illustrazione alla canzone, dall’animazione alla fotografia e oltre. Visitate i siti internet www.whaleless.com e www.myspace.com/whaleless per ulteriori

Opera di Michelangelo Arista

informazioni e per visionare la gallery dei lavori giunti fino ad ora. Be creative, save a whale.

Naughty Hai mai visto una balena? Mai vista. Che rapporto hai col mare? E' una meraviglia, profondo e buio. Non posso farne a meno, vederlo già da lontano mi fa respirare. Se tu potessi scegliere di trasformarti in un abitante marino, quale sceglieresti? E perché? Vorrei essere un cavalluccio marino! E' come 126 PIG MAGAZINE

un giocattolo! Divertente! Qual è il tuo elemento preferito tra aria, acqua, terra e fuoco? Perché? Terra. Perché vivo in campagna, non esiste profumo migliore della terra lavorata. Mette pace. Vedere il ciclo vitale dei dodici mesi, ogni volta che alzo lo sguardo trovo colori diversi. E' una cura contro l'incertezza. La terra non mi ha mai tradito.

Pensi che l'arte sia fine a se stessa o che debba avere un messaggio o un riflesso su chi guarda? L'arte deve giovare prima di tutto chi la pratica. Se chi esprime la propria arte non acquista in prima persona un riscontro emotivo, difficile allora riuscire a comunicare qualcosa anche agli altri. E' un delicato meccanismo vissuto nel silenzio. Come descriveresti il mondo nel quale viviamo? Spietato e distratto. E come lo immagini tra 20 anni? Stanco. Ci dici qualche parola da associare al tuo modo di fare arte? Senti questa, ci tengo a raccontarla. Durante la maturazione i girasoli seguono il movimento del Sole, che fa nel suo percorso da Est verso Ovest. Una volta che sono pienamente fioriti, lo stelo si irrigidisce e si blocca. Questi, ormai maturi, si fermano tutti a fissare verso est, dove il Sole sorge. Io credo che Madre Natura è arte. I cinque sensi la raccolgono, la seminano e la riproducono. Non esiste un vero e proprio stile personale per eccellenza, ogni arte è riconducibile. Io faccio ciò che sono. Niente nasce dal niente. Molti non lo sanno. Come hai realizzato questa balena? Pensando di dover uccidere qualcosa di estremamente bello e intoccabile. Ho pensato ai bastardi. A cosa stai lavorando ora? Ho fatto una serie di illustrazioni raffiguranti i segni zodiacali per un settimanale italiano. Ora sto preparando un lavoro sul tema del Pigmalione (Ovidio - Metamorfosi) da esporre qui nelle Marche. In ogni caso è diventato un lavoro cercare lavoro… Hai un sogno/incubo ricorrente? Sogno sempre il cibo, i supplì, gli spaghetti di soia. Eppure peso 63 kg. arista.ultra-book.com


www.pigradio.com


PIG Waves

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Immagini e parole che ruotano intorno a una keyword: Scarecrow Spaventapasseri, ancestrale allontanatore di corvi neri e spiriti, difensore del raccolto.

“Spaventapasseri si nasce, si uccide, si muore”.

“Ovunque proteggi. Ma da chi?” 128 PIG MAGAZINE


www.lastfm.it/search?q=scarecrow&from=ac - “Scarecrow soundtrack”.

it.wikipedia.org/wiki/Stan_Winston - “Professione: creatore di mostri”.

www.imdb.com/find?s=all&q=scarecrow - “Cent’anni di solitudini”.

www.dissacration.com/2007/10/10/i-12-spaventapasseri-piu-strani-al-mondo/ - “Origine della specie”.

www.amurderofscarecrows.com - “Game over”. 129


Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

PIG’s Most Played. Multiplayer is megl’che uan. Mini Ninjas _ Xbox360

Zombie Apocalypse _ Xbox360

Lancio in grande stile per questi piccoletti gommosi. Sei piccoli Ninja -Hiro, Futo, Suzume, Tora, Kunoichi e Shun- ognuno con speciali abilità nel maneggio delle armi samurai. Un ritorno al passato. Uno strano mix tra i platform e le avventure fumettose alla Spyro. Animazioni e grafiche super curate, facile e intuitivo, è perfetto per le pause di relax.

E’ stupido è sporco è cattivo. Un meraviglioso arcade ammazza-zombie come non ne vedevamo da tempo. Da godere al top in multiplayer, questo splatter da un milione di morti è una delizia per gli istinti omicidi. Chi non desidera massacrare orde di cadaveri con un M60? E con un lanciafiamme? Provate la motosega!

Need For Speed Shift _ PS3

E’ possibile migliorare la perfezione? I ragazzi di Infinity Ward hanno superato i loro limiti con questo secondo capitolo che si prepara ad essere un successo senza precedenti. Dalla Russia a Rio, la guerriglia non ha confini. La nostra modalità preferita? Special Forces naturalmente.

Niente di nuovo sotto il sole, eppure, visto l’enorme ritardo nella pubblicazione di GranTurismo questo titolo potrebbe essere la risposta alle preghiere di noi appassionati di automobilismo. La grafica è superba, il parco macchine comprende creature meravigliose come McLaren, Maserati GT1, Pagani Zonda F, Audi RS4, e Porsche 911 GT3 RSR oltre a numerosi modelli di Audi, Bmw, Lamborghini, Honda e Nissan. Velocità, dinamica e circuiti sono curati al limite delle possibilità umane. Il miglior Need FS mai uscito. 130 PIG MAGAZINE

COD Modern Warfare 2 _ PS3

Muramasa _ Wii Il platform che mancava su Wii. Scorrimento orizzontale come non si vedeva dai tempi di Strider, fondali curatissimi, musiche e sonoro giappo-giappo e quel tocco retrò che esalta. Due personaggi per tre modalità di gioco differenti e una storia tutta da scoprire. Sul podio come miglior titolo 2009 per Wii.


C.so di Porta Ticinese 80 - Milano - 02 89056350- WWW.THESPECIAL.IT


Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

There’s always a girl La trilogia GTA IV targata Rockstar fa il pieno di munizioni e carburante. Eccessivo, violento, scintillante. The Ballad of Gay Tony è il terzo capitolo della saga GTA IV. Completa la Trilogia ambientata a Liberty City incentrandosi sulla vita notturna in tutte le sue criminali sfumature. Riuscire a migliorare la perfezione non è certo uno scherzo, ma i ragazzi di Rockstar sanno il fatto loro e ci confezionano quello che è a nostro giudizio il miglior capitolo dell’intera saga. Il più assurdo, intrigante, incredibile

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scenario mai creato a nostra disposizione: Liberty City ulteriormente ampliata e implementata. Nuovi quartieri, nuovi palazzi da visitare –e distruggere- nuovi Night Club. Un enorme parco dei divertimenti da devastare a nostro piacimento. “Sulla decappottabile bianca, con un mitragliatore M249 sotto il sedile e il vento tra i capelli, Luis Lopez guarda il cielo in cerca di un dannatissimo areostato. Dovrebbe esserci

scritto: The World is Yours” ma lui è Tony Manero con i muscoli, mica quel nano di Scarface! La storia è semplicemente intricata, il nostro eroe è Luis Fernando Lopez, braccio destro dell’impresario di Night Club Tony Prince -detto Gay-. Come fedele cane da guardia dovrà sistemare tutte le grane del capo: donne, droga, estorsioni, ricatti, attentati e omicidi. Difficile da descrivere, a volte si ha la


sensazione di guardare un film, altre volte di interpretarlo, uno di quei HollywoodB-movie che alla fine piacciono proprio perché sono così. Niente di scontato a parte l’insuperabile ironia che trasforma ogni funerale in una commedia. Un mix perfetto tra l’atmosfera “east Europe” del quarto capitolo e la lucida follia dell’insuperabile San Andrea’s. Santo Domingo batte Russia 2-0. Abbiamo pregato molto per questo e la risposta è arrivata veloce e devastante come un proiettile calibro 60. Le missioni sono una più folle dell’altra: dentro grattacieli di vetro a massacrare colletti bianchi e motociclisti, pilotando elicotteri o in caduta libera con il paracadute a 300 km/h sull’obiettivo. Su motoscafi rubati o alla guida di supercar, vomitando fuoco e ferro per mandare in polvere decine di volanti LCPD. Se proprio volete esagerare, salite a bordo di un carro armato e puntate

il centro città. Fate avvicinare le SWAT, con calma, quando sono abbastanza vicine premete X per inaugurare il parco giochi della morte! Volete vedere che effetto fa sui bravi cittadini? Provate a inserirvi nel traffico all’ora di punta, i semafori sono optional! Ancora più armi, ancora più potenti: il nuovo fucile AA12 spara proiettili blindatissimi capaci di lanciare persone e veicoli a metri di distanza. Nel caso la missione fosse troppo dura ci pensa lui a spianarvi la strada del paradiso di Charles Manson. Se non amate la confusione, ci sono le cariche di C4 da piazzare sulle strade. Un semplice pulsantino rosso metterà un po’ d’ordine nel caos della ridente metropoli. Un caldo benvenuto per le bande rivali che vogliono rovinare lo smalto delle vostre unghiette laccate oro. Sorriso a 24 carati nella nuvola di polvere e detriti mentre ricarichi l’UZI. Molte le missioni da completare, tra quelle che seguono la storia

principale e quelle secondarie. Non solo pugni e pistole: mandare avanti due Night Club non è facile come sembra –anche se champagne e ragazze non mancano- e poi c’è da far pratica con il paracadute nel caso servisse per qualche missione suicida. La cosa divertente è che tutte le storie dei capitoli GTA IV si intrecciano e ritroviamo qua e là vecchi amici e noti piantagrane slavi. Capiterà così di incontrare Nico e di farci quattro chiacchere -che faccio, gli sparo?- “Liberty City è il mondo più vivo che abbiamo mai creato e gli episodi ci permettono di intrecciare storie e gameplay attraverso la città in modi del tutto nuovi,” ha detto Sam Houser, fondatore di Rockstar Games. Lui non sbaglia un colpo e sceglie per il trailer di apertura i Roxette con She’s Got The Look, alzare il volume della radio e staccare i giunti della capote. Sorridi, domani andrà peggio.

Luis Fernando Lopez, nato a Algonquin più o meno 26 anni fa. Famiglia dominicana trapiantata negli USA. Pelle scura, capello corto e un forte accento sudamericano. Luis è già apparso negli altri episodi della serie GTA IV incrociando le vite di Niko Bellic e Jonny.

Da mettere alla prova su strada la Super Diamond -una RR Phantom superpotente- e la F620 che è di fatto un mix tra una Maserati GranTurismo e una Jaguar XK. Per i “boss” consigliamo la Serrano, una Mercedes S extralusso.

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