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L'EDITORIALE

di Eugenio Leopardi, Presidente Utifar

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QUESTIONE DI IMMAGINE

tiamo entrando nel pieno della campagna vaccinale contro il Sars-cov2. Sulle diverse reti televisive, ormai da settimane, si rincorrono immagini di fiale di vaccini e operatori che, con cura, le suddividono in dosi. A differenza di altri vaccini, non si tratta di siringhe predosate, ma occorre un’accurata manualità nella preparazione. Ed ecco, allora, che si vedono medici ed infermieri intenti in queste delicate pratiche preparatorie. Ma nessuno ha pensato di coinvolgere i farmacisti. Eppure sarebbe il nostro “mestiere” quello di allestire i medicinali. Ricordate le polemiche iniziali quando non si comprendeva bene se una fiala contenesse 5 o 6 dosi di vaccino? Forse, un farmacista avrebbe saputo dare la risposta in pochi minuti, evitando una confusione che ha avuto dei tratti perfino grotteschi. Ma come mai rimaniamo sempre fuori dai giochi? Perché la nostra professione è considerata solo quando la si esercita all’interno delle quattro mura di una farmacia? Per dare una risposta a queste domande occorrerebbe fare un’accurata analisi dell’evoluzione della nostra professione nel corso degli anni. Tuttavia, anche se ci volessimo soffermare agli ultimi mesi, potremmo vedere che le organizzazioni di categoria spesso non riescono a portare avanti una visione unitaria. Sembra quasi che esse si muovano solo per ottenere risultati da rivendicare al proprio interno. Così facendo, l’immagine del farmacista nel suo insieme non riesce ad emergere. Eppure le altre professioni riescono a presentarsi alle istituzioni e all’opinione pubblica in modo diverso. Ricordate all’inizio della pandemia, quando da un lato c’erano i medici ospedalieri considerati eroi e quelli di medicina generale che non rispondevano al telefono? Ebbene, neppure in quel caso si sono percepite polemiche interne e tutta la categoria dei medici ha lavorato nella stessa direzione per rafforzare il proprio ruolo e la propria immagine. Noi non ci riusciamo, e dovremmo iniziare a darci delle risposte sul perché ciò continui ad accadere. Questo mio pensiero non vuole essere un atto di accusa, io per primo mi sento coinvolto, bensì un voler condividere uno stato d’animo e un voler dare uno stimolo verso un percorso di miglioramento. Questo cambio di passo, a mio avviso, è necessario e Utifar è pronta a ragionare con le altre organizzazioni dei farmacisti per trovare un’unione di intenti che possa rafforzare l’immagine di tutta la categoria. Se le nostre organizzazioni faticano a lavorare in modo coeso, è anche vero che noi singoli farmacisti ci mettiamo del nostro per delegittimare la nostra immagine professionale. La forte pulsione commerciale che anima molti colleghi viene percepita all’esterno come una scelta ben precisa di abbandonare la professionalità per seguire i settori che garantiscono (o sembrano garantire) maggiori profitti. Così, quando si entra in una farmacia, si notano subito gli espositori di giocattoli e di solari, ma non si vede quasi mai il laboratorio galenico e un farmacista che ci lavora. Nonostante queste considerazioni amare, rimango convinto che esistano ancora dei margini per rivalutare la nostra immagine professionale. La campagna vaccinale contro il Sars-cov2 è solo agli inizi e, come già accade in Inghilterra e in altri Paesi, le farmacie potrebbero essere coinvolte e diventare parte attiva di questo grande progetto sanitario. Anche se non si riuscirà, da un punto di vista normativo, ad essere autorizzati a vaccinare, mettiamoci a disposizione con la nostra professionalità, con le nostre strutture per far abituare i cittadini e la politica a vedere la farmacia come un punto di riferimento per le vaccinazioni. Sarà un investimento per insistere sull’autorizzazione e abilitazione del farmacista a vaccinare attivamente. È un’occasione da cogliere. Non sarà certamente l’ultima, ma, di certo, questa non possiamo lasciarcela scappare.

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SOMMARIO

n. 2 marzo 2021

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IL TEMPO E LA SCIENZA

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UNA POLTRONA PER DUE

di Alessandro Fornaro IL RUOLO DI ACE2 NEL COVID

di Giulia Sanino

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COVID-19

I RISCHI PER L'APPARATO GENITALE MASCHILE

di Alessandro Fornaro

Direttore responsabile Eugenio Leopardi

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DELLA FIDUCIA E DELLA RESPONSABILITÀ

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OMEOPATIA: TRA MERCATO E COMUNICAZIONE

Responsabile editoriale Alessandro Fornaro Comitato di redazione Alfredo Balenzano - Floriano Bellavia - Emilia Bernocchi Alessandro Maria Caccia - Giancarlo Esperti Eugenio Leopardi - Giuseppe Monti - Luigi Pizzini Giulio Cesare Porretta - Roberto Tobia Progetto grafico e impaginazione Emanuela Esquilli Proprietà editoriale Utifar Associazione senza fini di lucro PIAZZA DUCA D'AOSTA 14 - 20124 MILANO Pubblicità Emanuela Esquilli tel. 338 2847513 email: manuela.esquilli@gmail.com - utifar@utifar.it Direzione e Redazione PIAZZA DUCA D'AOSTA 14 - 20124 MILANO tel. 02 70608367 - 70607263 fax 02 70600297 La collaborazione alla rivista è aperta a tutti i farmacisti. Manoscritti, dattiloscritti, fotografie o altro materiale iconografico, anche se non pubblicato, non si restituiscono www.utifar.it - utifar@utifar.it

Intervista a Silvia Nencioni di Alessandro Fornaro

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Nuovo Collegamento Rivista ufficiale di UTIFAR Anno XXII n. 2 marzo 2021 Registrazione del tribunale di Milano n. 12 del 11/01/2000 ROC n. 6782 (registro operatori Comunicazione) Tiratura del presente numero 20.000 copie - Certificate e autorizzate

FERTILITÀ E STILI DI VITA Intervista a Valeria Valentino di Eugenio Genesi e Francesco Garruba

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LA GESTIONE DELL'OSTOARTROSI IN FARMACIA di Paolo Levantino

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SBIANCAMENTO DENTALE: TUTTO CIÒ CHE C'È DA SAPERE di Marzia Boifava

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IBS

UN DISTURBO SISTEMICO, NON SOLO INTESTINALE

di Daniela Mammoli

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Immagini Adobestock Stampa D'auria Printing S.p.A. Zona industriale Destra Tronto 64016 S. Egidio della Vibrata - TE

di Alessandro Maria Caccia

IL FIENO GRECO

UNA PICCOLA PIANTA CON GRANDI BENEFICI di Paolo Levantino

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IL CANE CHE SI MORDE LA CODA COME INDIVIDUARE GLI OBIETTIVI DI UNA SOCIAL MEDIA STRATEGY DI SUCCESSO

di Monica Faganello

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AVANGUARDIE DEL BENESSERE di Elena Bottazzi

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DALLE AZIENDE WORK IN PROGRESS di Luca Melchionna

CONSULENZE UTIFAR


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RICERCA

IL TEMPO E LA SCIENZA di Alessandro Fornaro, giornalista e farmacista

COME E ACCADUTO PER MOLTI ALTRI SETTORI, ANCHE NEL MONDO DELLA SCIENZA L’EMERGENZA PANDEMICA HA MESSO IN EVIDENZA UNA SERIE DI PUNTI DI DEBOLEZZA DEL SISTEMA, RENDENDO PIÙ PALESE LA NECESSITÀ DI UN CAMBIO DI PASSO PER IL PROSSIMO FUTURO. ANALIZZANDO LE CRITICITÀ EMERSE, PROVIAMO AD IMMAGINARE UN RUOLO DIVERSO PER LA FARMACIA DEL FUTURO. L’arrivo della pandemia, dichiarata ufficialmente dall’Oms lo scorso 11 marzo, ha cambiato la vita di moltissimi ricercatori che, esattamente un anno fa, hanno chiuso i file di ricerca sui quali stavano lavorando per aprirne altri, totalmente inaspettati, nuovi. All’improvviso, in batter di ciglia, la scienza si è focalizzata su un nuovo virus, il Sars-Cov2. Un sondaggio condotto dall’Università di Harvard ci racconta che nel 2020 il 32% dei ricercatori ha abbandonato ciò su cui stava lavorando per dedicarsi ai nuovi studi. Del resto, le domande alle quali rispondere erano (e restano) moltissime: da dove è arrivato il virus, come si trasmette, quanto rimane sulle superfici? Che tempo di incubazione ha la malattia, che sintomi provoca, perché colpisce più gli uomini che le donne? A quale distanza ci si contagia, che ruolo ha l’inquinamento dell’aria sulla trasmissione?

Si è studiato di tutto rispondendo, in verità, a poco niente. In sette mesi, la banca dati PubMed è stata inondata da studi e ricerche. A dicembre del 2020, se ne potevano contare 74.000: quasi 10 volte il totale di quelli pubblicati nel corso degli anni sul virus dell’ebola, scoperto nel lontano 1976. Anche le riviste più importanti hanno avuto le proprie caselle di email intasate dagli aspiranti autori. A settembre del 2020, il New England Journal of Medicine aveva ricevuto 30mila richieste di pubblicazioni, il doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ci si sono buttati tutti a capofitto, nella ricerca sul Covid. Nuovi finanziamenti, possibilità di essere pubblicati e accrescere il proprio curriculum accademico o la più nobile speranza di essere utili all’umanità sono state tra le spinte propulsive di questa mega produzione letteraria. Tuttavia, nonostante questi sforzi, è sotto gli occhi di tutti che qualcosa non ha funzionato. Non fraintendetemi! Grandi risultati sono arrivati nel campo della diagnostica, con test che hanno ormai raggiunto una buona attendibilità e ci consentono, anche in farmacia, di scovare gli infetti. Per non parlare del miracolo vaccini: mai era accaduto prima che si trovasse una soluzione vaccinale così efficace e in così poco tempo. Tuttavia, nel campo della comprensione della patologia e delle relative cure non si può certo cantare vittoria se, nel momento in cui scrivo, Nuovo COLLEGAMENTO

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RICERCA E COSÌ, SIA NELLA RICERCA, SIA NELLA COMUNICAZIONE E NELLA NARRAZIONE PUBBLICA, SI È CONFUSO IL VIRUS SARSCOV2 CON LA MALATTIA CHE ESSO PUÒ SCATENARE: COVID -19 ovvero un anno esatto dopo la scoperta dell’infezione in Italia, i protocolli domiciliari prevedono ancora “Tachipirina e vigile attesa”. Dove si inceppa il sistema? LA BIOCHIMICA DIMENTICATA A fronte della grandissima produzione di studi che abbiamo visto, sono stati davvero pochi quelli condotti a livello biomolecolare per comprendere i veri meccanismi della patologia. Biochimici e farmacologi sono stati superati a destra da infettivologi, epidemiologi e virologi che, nel proprio Dna, hanno l’imprinting di studiare e contrastare il diffondersi dell’epidemia. E così, sia nella ricerca, sia nella comunicazione e nella narrazione pubblica, si è confuso il virus Sars-Cov2 con la malattia che esso può scatenare, ovvero quella reazione infiammatoria di tipo autoimmune che interessa non solo i polmoni, ma anche molti altri distretti dell’organismo e che non abbiamo ancora compreso in fondo. Questa scarsa comprensione dei meccanismi biochimici e patologici della malattia rallenta l’individuazione di una prevenzione efficace, l’arrivo di nuove cure e la comprensione della potenziale efficacia di armi che abbiamo già a disposizione nel nostro repertorio farmaceutico. IL PARADOSSO DEI TROPPI LAVORI Forse, la grande mole di produzione scientifica ha, paradossalmente, determinato più confusione che benefici. In un articolo pubblicato sulla testata statunitense “The Atlantic” è ripreso nel nostro Paese da “Internazionale”, Ed Yong ci propone un interessante ragionamento. Secondo l’autore, “la ricerca di terapie per il covid-19 è stata rallentata da una lunga serie di studi poco rigorosi che hanno dato risultati inutili e in alcuni casi fuorvianti. Molte delle migliaia di sperimentazioni cliniche avviate si basavano su un campione troppo limitato per dare risultati statisticamente validi. In alcuni casi gli studi non avevano il gruppo di controllo, l’insieme di pazienti ai quali viene somministrato un placebo e che costituiscono una base di 6

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confronto su cui valutare gli effetti di un farmaco. Altri studi si sovrapponevano tra loro. Almeno 227 riguardavano l’idrossiclorochina, il farmaco antimalarico che l’ex presidente Donald Trump ha promosso per mesi. Studi importanti alla fine hanno confermato che l’idrossiclorochina non serve contro il covid-19, ma nel frattempo centinaia di migliaia di persone erano state reclutate per partecipare a ricerche inutili. Durante una catastrofe, quando gli ospedali si riempiono di pazienti e i morti aumentano, è difficile mettere in piedi uno studio accurato”. In effetti, questa grande produzione di studi, molto spesso poco rigorosi, permette a chiunque di trovare conferma alle proprie convinzioni pregresse, scovando tra la letteratura “le prove” che le consolidano. Abbiamo assistito, per dirla tutta, alla scienza delle certezze individuali, piuttosto che alla scienza del dubbio. Questo è grave, è vero. Ma fa parte dell’essere umano. E lo scienziato, nel corso del 2020, ha dimostrato di essere, forse, più umano dell’uomo comune. IL FATTORE TEMPO Con ogni probabilità, questo accadeva anche prima della pandemia, ma le singole convinzioni individuali trovavano la sintesi nei congressi, nelle metanalisi della letteratura e nel tempo che, alla fine della fiera, riconosce la ragione alle visioni corrette. L’emergenza ha accelerato tutto, ha eliminato il fattore tempo e, contestualmente, ha spostato il dibattito dai congressi ai talk show. Il confronto, insomma, è diventato mediatico e lo spettacolo non è stato dei migliori. Tornando alla produzione letteraria, il sistema, in tempi normali, trova le soluzioni nel tempo e nel confronto tra scienziati. Del resto, occorre riconoscere il fatto che la singola pubblicazione clinica è sempre interpretabile. Lo è nel metodo scelto per lo studio, per esempio, oppure nella tipologia di popolazione arruolata. O, ancora, nella dose del medicinale somministrato, che magari qualcuno può obiettare essere troppo alta, mentre per altri troppo bassa. Il sistema della validazione delle idee attraverso


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LA GERARCHIZZAZIONE DEL SAPERE SCIENTIFICO SCHIACCIA PROPRIO I LUMINARI PIÙ ACCREDITATI, CHE ASPETTANO INFORMAZIONI DALL’ALTO E SPESSO NON HANNO IL TEMPO PER CONDIVIDERLE CON I PROPRI ASSISTENTI

la letteratura è quindi lento e ha bisogno di conferme e di una sintesi condivisa. Ma la pandemia non consente questi processi lunghi e non si sono trovate le soluzioni adeguate ai bisogni dell’emergenza. Da un lato, l’assenza di studi pubblicati viene utilizzata come grimaldello per demolire ogni nuova idea o teoria. Questo è accaduto per esempio, per le evidenze emerse sull’utilizzo di farmaci già disponibili per altri disturbi. In aggiunta a questo, si è venuto a creare uno scostamento temporale molto forte tra ciò che si conosce già e ciò che viene pubblicato. Un esempio? In questi gironi la rivista The Lancet ha pubblicato uno studio che conferma come il virus Sars-Cov2 possa provocare miocarditi e morti per infarto. In tempi normali, questo studio sarebbe accolto come una interessante novità. L’emergenza, invece, ha imposto un’osservazione clinica sul campo e questa correlazione, di fatto, si conosce già da mesi. Insomma, la ricerca corre troppo più veloce dei tempi necessari alle pubblicazioni e alle successive revisioni sistemiche della letteratura. LA GERARCHIZZAZIONE DEL SAPERE SCIENTIFICO Un ulteriore aspetto da prendere in considerazione è rappresentato dalla forte gerarchizzazione delle conoscenze in ambito scientifico. Non tutti gli operatori sanitari sono uguali, lo sappiamo. Si va dal primario ospedaliero, al medico di famiglia del paesino di montagna; dal ricercatore in carriera, al farmacista rurale; dall’accademico, all’infermiere di corsia. Per anni, si è costruita una gerarchia del sapere che forse non rispecchia per intero la realtà delle cose. Lo sappiamo tutti, è inutile nasconderlo: accade spesso che chi conduce operativamente lo studio non figuri poi tra i primi firmatari della pubblicazione. Questo porta ad un gap di conoscenze tra chi studia e chi firma. Inoltre, nei giorni convulsi del

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2020, chi aveva ruoli di dirigenza e di gestione ha avuto davvero poco tempo per studiare e per districarsi tra le pubblicazioni, preso da impegni di corsia, ospedali stracolmi, lezioni ed esami via zoom, interviste e impegni quotidiani che forse, in alcuni casi, non hanno lasciato tempo alle attività di aggiornamento. A ben pensarci, la gerarchizzazione del sapere scientifico schiaccia, in un certo senso, proprio i luminari più accreditati, che aspettano informazioni dall’alto (EMA, OMS, ecc.) e spesso non hanno il tempo per condividerle con i propri assistenti. Mentre è proprio dal basso, tra i borsisti, tra i ricercatori più giovani, che si formano le competenze ed evolvono le conoscenze. Questo meccanismo fa sì che quando un ricercatore ha un’intuizione o un medico di medicina generale trova una terapia efficace, o un farmacista comprende un ipotetico meccanismo d’azione, queste novità, arrivando dal basso, trovino sempre il medesimo muro e la stessa risposta non detta, ma troppo spesso pensata: “Se non lo so io che sono importante, e se non lo dicono le istituzioni, cosa vuoi saperne tu che non sei nessuno”. Ritornando ad un anno fa, ricordiamo che il primo caso di Covid in Italia fu diagnosticato grazie all’intuizione di una giovane anestesista di Codogno che ha bypassato le linee guida formulate delle istituzioni. Un esempio lampante di come, a volte, le gerarchie in ambito scientifico si discostino dalle reali competenze sul campo. IL CASO DELL’IDROSSICLOROCHINA L’analisi di Ed Yong che abbiamo citato prima non fa una piega, se non, a mio avviso, nella conclusione sugli effetti del farmaco, confermando, indirettamente, quanto le stesse evidenze possano essere interpretate in maniera differente a seconda del proprio punto di partenza. Ma andiamo con ordine. E’ condivisibile il fatto che 227 studi sono troppi ed è vero che la quasi


RICERCA

AD UN ANNO ESATTO DALL’INIZIO DELLA PANDEMIA E DEI PRIMI STUDI SULL’IDROSSICLOROCHINA, NON SIAMO ANCORA DI GRADO DI AVERE UNA RISPOSTA DEFINITIVA SULLA SUA UTILITÀ TERAPEUTICA

totalità di questi è stata interrotta per problemi che sono emersi in corso d’opera o, comunque, perché era strutturata davvero male. E’ condivisibile anche il fatto che gli ospedali, mentre stanno affrontando un’emergenza che impedisce anche la normale routine, fatichino a strutturare studi solidi e impeccabili. Ecco allora che, per rispondere alla domanda sull’efficacia dell’idrossiclorochina, la comunità scientifica, o meglio, le istituzioni scientifiche, hanno preso i risultati di uno studio considerato solido (lo studio Recovery dell’università di Oxford) e hanno tratto le proprie conclusioni. Per il meccanismo di cui sopra, ovvero per la gerarchizzazione delle idee, tutti i professori e gli esperti hanno poi preso per buone le conclusioni di Oxford e non hanno dedicato tempo per comprendere come lo studio era stato condotto e, men che meno, a spulciare tra i 227 studi sul medesimo argomento che, seppur confusi, avrebbero potuto dare qualche elemento aggiuntivo di conoscenza. O meglio, non proprio tutti. lo studio Recovery sull’idrossiclorochina è stato fortemente criticato da una ventina di esperti internazionali che, in un documento poco conosciuto, hanno avanzato una serie di dubbi spesso fondati. Il principale di questi dubbi riguardava il fatto che il medicinale fosse stato testato su un campione di soggetti ricoverati e in fase avanzata della malattia, quando invece il farmaco, sulla base dei propri meccanismi d’azione, ha un utilizzo potenziale sui pazienti ai primi sintomi e in terapia domiciliare. In effetti, questa non è una questione di lana caprina, ma un elemento essenziale che non può certo essere trascurato. Di parere analogo è il Consiglio di Stato della Repubblica Italiana il quale, accogliendo nello scorso mese di dicembre un’interpellanza di alcuni medici ha concluso che non ci sono evidenze sufficienti per negare l’efficacia di idrossiclorochina nelle prime fasi della malattia Covid-19 e ha, di fatto, costretto l’Aifa a rivedere

le proprie circolari attraverso le quali indicava l’impossibilità di prescrizione del farmaco. Il Consiglio di Stato, nelle prime pagine della sua lunga Ordinanza (chissà in quanti hanno davvero letta per intero le 30 pagine), ricorda come “l’azione farmacologica della molecola, quale emersa in vitro, sarebbe molteplice e in particolare comprenderebbe: a) l’aumento del PH endosomiale con la conseguente inibizione della fusione tra membrana della cellula e virus; b) l’inibizione della glicosilazione del recettore cellulare Ace2 che interferisce ulteriormente con il legame tra virus e recettore Ace2; c) l’inibizione del trasporto del virus dall’endosoma all’endolisoma, richiesto per il rilascio del genoma virale all’interno della cellula d) l’effetto immunomodulatorio”. Ora, i meccanismi d’azione sono importanti e noi farmacisti li sappiamo comprendere bene. Del resto, lo abbiamo studiato all’università e sappiamo che un farmaco agisce tramite un meccanismo ben preciso. Prima ancora degli studi clinici a determinare se un medicinale ha un’azione terapeutica sono le conoscenze biochimiche e molecolari. Successivamente, gli studi sugli animali e poi, ancora, quelli clinici confermeranno o smentiranno l’ipotesi iniziale. Durante il primo anno di pandemia, la mancanza del tempo necessario per completare questi normali processi ha fatto sì che si dovesse scegliere una strada: riferirsi alle evidenze molecolari o a quelle cliniche? Si è scelta la seconda strada e la scarsissima presenza di farmacisti nei posti decisionali ha fatto il resto. Si sono ascoltati solo medici e infettivologi, ignorando i farmacisti, i farmacologi e tutti coloro per i quali le argomentazioni che contano non sono solo le evidenze numeriche, ma, prima ancora, quelle biochimiche. Sta di fatto che, alla fine della fiera, ad un anno esatto dall’inizio della pandemia e dei primi

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RICERCA NON SAPREMO MAI QUANTE VITE AVREBBERO POTUTO ESSERE SALVATE SE ALCUNI MEDICINASLI SI FOSSERO SPERIMENTATI IMMEDIATAMENTE O SE SI FOSSE AVVALLATA LA LORO POTENZIALE EFFICACIA A PARTIRE DALLA CONOSCENZA CONSOLIDATA DEL MECCANISMO D’AZIONE studi sull’idrossiclorochina, non siamo ancora di grado di avere una risposta definitiva sulla sua utilità terapeutica. IL CASO TOCILIZUMAB Se le modalità di reclutamento adottate dallo studio Recovery dell’Università di Oxford possono apparire discutibili per confermare l’efficacia dell’idrossiclorochina, esse sembrano invece perfettamente calzanti per un altro farmaco che ha fatto parte dello studio: il tocilizumab. Per chi non se lo ricorda, questa molecola fu la prima a suscitare qualche speranza terapeutica in Italia. Il professor Ascierto di Napoli l’aveva testata con successo già nello scorso mese di marzo su un campione estremamente limitato di pazienti. Il meccanismo d’azione di questo medicinale era già ben conosciuto: inibizione della cascata citochimica. Si era quindi ipotizzato che questo farmaco, utile per l’artrite, potesse ridurre la gravità dei sintomi nei pazienti ospedalizzati e in fase avanzata della malattia. Del resto, anche il Covid, nelle sue forme più gravi, è una reazione infiammatoria autoimmune. Tuttavia, una severa campagna mediatica, unita alle dichiarazioni di molti esperti televisivi che si sono affrettati a dire che il medicinale non poteva essere utilizzato a causa della mancanza di evidenze scientifiche in letteratura ha riportato il medicinale nell’oblio. Poche settimane fa, a sorpresa, lo studio Recovery ha invece dato ragione ad Ascierto, confermando la sua utilità nella gestione ospedaliera dalla malattia. Non sapremo mai quante vite avrebbero potuto essere salvate se il farmaco si fosse sperimentato immediatamente o se si fosse avvallata la sua potenziale efficacia a partire dalla conoscenza consolidata del suo meccanismo d’azione. Gli esempi citati non vogliono inasprire polemiche esistenti o colpevolizzare qualcuno. Al contrario, sono solo due episodi che ho voluto proporre con l’unico scopo di ragionare attorno alla scienza impazzita con la quale, da diversi 10

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mesi, i cittadini si confrontano, senza capire molto dei meccanismi che sottendono a delicati equilibri interni. Noi farmacisti siamo dentro e, allo stesso tempo, fuori dal sistema della ricerca. Ma siamo parte di quel mondo scientifico cui è stata, per troppo tempo, tolta la parola per una presunta scarsa autorevolezza. Sì, arriviamo dal basso, ma, a volte, le cose le capiamo bene e le sappiamo anticipare. Questa nostra sobrietà, unita alla mentalità di volere comprendere la chimica delle cose ci rende ottimi osservatori. Tuttavia, è giunto forse il momento di vederci riconosciuto un ruolo maggiore: abbiamo molto da dare e, forse, è peccato tenerci in disparte ad osservare come la scienza evolve e impazzisce.


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RICERCA SCIENTIFICA

UNA POLTRONA PER DUE IL RUOLO DI ACE2 NEL COVID

di Giulia Sanino, farmacista

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l sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) svolge un ruolo fisiopatologico fondamentale nell’ipertensione. Gli “attori” coinvolti sono i protagonisti di una fine regolazione, fondamentale per i meccanismi fisiopatogenici alla base dello sviluppo delle patologie cardiovascolari. Sars-Cov2 ha deciso di usare proprio il RAAS come bersaglio, non solo per entrare nella 14

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cellula ma anche per “beffarsi” dei nostri sistemi di regolazione omeostatica. Una sorta di cavallo di Troia, per ingannare in modo subdolo i nostri efficienti meccanismi di controllo. Comprendere il ruolo di questo sistema di regolazione è fondamentale per capire la patologia e l’ubiquità dei disturbi provocati dal virus.


RICERCA SCIENTIFICA

Cercheremo subito di immergerci in quello che sembra un insieme complesso di meccanismi, ma che in realtà, in fondo, si può riassumere in pochi concetti che permettono di avere una visione chiave della strategia adottata da un virus tanto furbo quanto infido. Partirei da un’immagine: una bilancia, che possa definire l’importanza dell’equilibrio di questo sistema. Sui due piatti della bilancia troveremo da una parte angiotensina II, un ormone polipeptidico di cui poi elencheremo le azioni; sull’ altro piatto della bilancia invece troveremo Ace2, un recettore che si può essenzialmente trovare sotto due forme: una libera ed una legata alla membrana extracellulare.

IN ASSENZA DI SARS-COV2 In condizioni fisiologiche, l’angiotensina I, sintetizzata a partire dalla renina, viene convertita in angiotensina II dall’enzima di conversione dell’angiotensina, che è appunto Ace (angiotensin converting enzyme). Per cui : RENINA  ANGIOTENSINA I  (ACE)  ANGIOTENSINA II. L’angiotensina II ha, tra i suoi effetti: vasocostrizione, ipertensione, fibrosi e apoptosi.

Oltre a questi effetti, l’attivazione del RAAS ha anche un ruolo in diversi stati patologici anche attraverso la promozione di fenomeni infiammatori. Per questi motivi, quando il nostro organismo percepisce una disregolazione ed un aumento dei livelli di angiotensina II, inizia ad escogitare un modo per contrastarla, e lo fa attraverso Ace2: ne aumenta la trascrizione. L’enzima 2 di conversione dell’angiotensina (Ace2) promuove infatti il rilascio di peptidi vasoattivi come ossido d’azoto, bradichinina e PGE21 che hanno effetti vasodilatatore, antiinfiammatorio ed organo-protettivo. L’attività enzimatica di Ace2 sembra possa ridursi con l’invecchiamento ed essere più efficiente nei soggetti di sesso femminile. Ma attenzione! Ace2 è un recettore che si trova sulla superficie della membrana in forma LEGATA alla membrana. Come recettore transmembrana, esso deve essere tagliato in modo proteolitico. Per dirla in parole più semplici, la sua “testa” (la tasca) deve essere decapitata, da alcune proteasi (Adam 17, ad esempio), che “liberano” la forma libera di Ace2, la quale si va a legare ad angiotensina II trasformandola in angiotensina 1-7, un peptide più corto che ha AZIONI BENEFICHE tra cui, come detto, vasodilatazione, effetti anti-fibrolitici e antinfiammatori. Angiotensina 1-7, attivando una serie di reazioni a cascata, riesce così a contrastare gli effetti negativi di angiotensina II. Perchè questo meccanismo si esplichi, serve che Ace2 sia disponibile. IN PRESENZA DI SARS-COV2 Ora passiamo a lui, Sars-Cov2. Che effetti produce nell’organismo? Sappiamo tutti, fin dai primi giorni della pandemia, che il virus utilizza la forma stabile e legata di Ace2 e la “sequestra”, ossia sfrutta proprio questo recettore di membrana per entrare all’interno della cellula. Nuovo COLLEGAMENTO

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RECENSIONI

RICERCA SCIENTIFICA

LA FORMA LIBERA DI ACE2, FUNZIONA DA “TAPPO”, È CIOÈ IN GRADO DI TRATTENERE IL VIRUS STESSO, LEGANDOSI ALLA SUA SPIKE PROTEIN, IMPEDENDO CHE IL VIRUS STESSO POSSA LEGARSI AL RECETTORE ACE2 PRESENTE SULLA MEMBRANA

J. Loscalzo, A. L. Barabási, E. K. Silverman

LA MEDICINA DELLE RETI Una nuova visione sistemica della malattia e della cura Anno di pubblicazione 2020 Formato cm 15 x 22,5 ISBN 978-88-5523-027-8 Pag. 544 € 38,00

Davanti a noi c’è una nuova frontiera della medicina. Big data, genomica e approccio quantitativo all’analisi basata sulle reti possono essere usati in sinergia per permettere alla medicina di ampliare i suoi orizzonti come mai prima d’ora. Un nuovo campo della ricerca medica in rapida trasformazione, che promette di rivoluzionare sia la diagnosi che la cura delle malattie dell’uomo, viene affrontato in questo saggio attraverso i contributi dei maggiori esperti che daranno ai lettori la sintesi di quanto è stato fatto finora e di quanto ancora c’è da fare. Per lunghissimo tempo i ricercatori hanno provato a individuare i difetti molecolari delle singole patologie con l’intento di sviluppare terapie mirate per curarle, ma questo paradigma ha trascurato l’intrinseca complessità delle malattie umane e ha spesso portato a trattamenti inadeguati o a troppi effetti collaterali. Invece di forzare la patogenesi all’interno di un modello riduzionista, la medicina delle reti considera la molteplicità dei fattori che influenzano le malattie basandosi su diversi tipi di reti. Poiché la maggior parte delle componenti cellulari sono connesse le une alle altre attraverso intricate relazioni a livello metabolico e proteina-proteina, l’analisi delle reti è destinata a giocare un ruolo cruciale. A causa di queste interazioni, i difetti genici possono – attraverso una rete molecolare – influenzare l’attività di altri geni che invece non hanno difetti. Raramente, infatti, una malattia è la conseguenza di un difetto di un solo gene quanto piuttosto delle perturbazioni di questa rete.Loscalzo, Barabási e Silverman ci offrono dunque un approccio sistematico per comprendere malattie complesse tramite la spiegazione delle caratteristiche uniche della medicina delle reti e delle nuove rivoluzionarie prospettive che sta delineando.

L’ingresso avviene attraverso il sistema dell’endocitosi, ovvero il virus entra insieme ad Ace2. Di conseguenza, sulla superficie della cellula si avrà una downregulation recettoriale, che altro non è che una DIMINUZIONE di recettori Ace2. Limitando i recettori Ace2 disponibili, il virus toglie quindi la possibilità al nostro organismo di contrastare le azioni negative dell’angiotensina II. In parole povere, sottrae dalla superficie cellulare il substrato essenziale, che è Ace2 il quale, nella sua forma libera, come abbiamo detto sopra, è in grado di legarsi ad angiotensina II e trasformarla in angiotensina 1-7 che è protettiva. Ma non è finita qui! In effetti, si potrebbe pensare che un ridotta presenza di Ace2 potrebbe determinare un minore ingresso del virus e limitare i danni della patologia. In realtà, le cose stanno esattamente nel modo contrario, in quanto la forma LIBERA di Ace2, funziona da “TAPPO”, è cioè in grado di trattenere il virus stesso, legandosi alla sua SPIKE PROTEIN, impedendo che il virus stesso possa legarsi al recettore Ace2 presente sulla membrana. Per spiegarvela con un’immagine, è come se Ace2 fosse una poltrona, su cui il virus si vuole sedere. Se la trova summa membrana, vi si siede per poi entrare insieme alla poltrona nella cellula e replicarsi. Se invece la trova in forma libera, si siede e si addormenta. Il virus non vede l’ora di adagiarsi comodamente sopra le poltrone Ace2, ma nel momento in cui ci si siede sopra, le porta via, se le porta dentro e quel pavimento rimane un pavimento senza poltrone, per cui quando aumenta l’ANGIOTENSINA II, sarà libera di esplicare le sue azioni negative, perché non trovera più nessuna POLTRONA VOLANTE (FORMA LIBERA DI ACE2), che vorrà farla sedere inattivandola e trasformandola in ANG 1-7. Per cui: + virus – poltrone volanti  + ANG II + fibrosi + vasocotrizione.


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COVID-19

RESEARCH

Naso come porta d’ingresso per il SARS-CoV2 Il modo in cui il virus entra nel corpo: il coronavirus colpisce prima la mucosa nasale e poi migra verso i polmoni *

Materiale divulgativo riservato alle categorie professionali specializzate.

Le docce nasali possono ridurre la durata della malattia e possono ridurre la diffusione del virus e la trasmissione ai membri della famiglia. ** Nella maggior parte degli infetti sintomatici, il SARS-CoV-2 porta prima a segni di malattia nel tratto respiratorio superiore e successivamente anche nelle vie aeree inferiori. Tuttavia, non è chiaro se il virus utilizzi il tessuto della gola o piuttosto le mucose del naso come portale d'ingresso. Ora gli scienziati americani della Carolina del Nord stanno usando metodi innovativi per dimostrare che il virus è particolarmente bravo a infettare le cellule della mucosa nasale e da lì a farsi strada nel tratto respiratorio inferiore. Hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista specializzata "CELL". I ricercatori hanno utilizzato due approcci per indagare la via dell'infezione. Da un lato, hanno già costruito sulla base di dati genetici esistenti un Virus SARS-CoV-2 artificiale

che si illumina di verde quando eccitato dalla luce a fluorescenza. D'altra parte, hanno utilizzato un metodo altamente sensibile per quantificare la quantità del recettore di ingresso ACE2. Utilizzando entrambi i metodi, hanno esaminato diversi tipi di cellule umane nella mucosa nasale, faringea e bronchiale e hanno scoperto che la quantità di ACE2 diminuiva lungo il percorso dalle vie aeree superiori a quelle inferiori e che il virus era anche in grado di infettare meglio le vie aeree superiori. È interessante notare che sono state principalmente le cellule ciglia nel tratto respiratorio superiore e la mucosa bronchiale ad essere colpite dall'infezione. Il tasso di infezione relativamente alto della mucosa nasale porta i ricercatori alla conclusione che il virus attacca prima le cellule della cavità nasale e da lì viene intrappolato dai fluidi corporei nelle aree profonde dei polmoni.

CONCLUSIONE: sciacquare il naso protegge e aiuta! Studi & Link * SARS-CoV-2 Reverse Genetics Reveals a Variable Infection Gradient in the Respiratory Tract; Hou et al., 2020, Cell 182, 429-446 July 23, 2020 ** COVID-19 I nasal showers in times of Corona: useful or risky? I Or. Elke Oberhofer; springermedizin.de; 07/28/2020 Current evidence

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RICERCA SCIENTIFICA

COVID-19

I RISCHI PER L'APPARATO GENITALE MASCHILE

di Alessandro Fornaro, giornalista e farmacista

I

risultati di una recente analisi sistematica della letteratura, condotta da alcuni ricercatori italiani ed ancora in fase di pubblicazione, dimostra che l’apparato genitale maschile e le basse vie urinarie sono coinvolte nei danni tissutali indotti dalla malattie Covid-19. Le evidenze della ricerca “SARSCoV-2 infection affects the lower urinary tract and male genital system: a systematic 20

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review“ possono tornare di grande utilità per il farmacista. Essere a conoscenza di queste correlazioni è il punto di partenza per indirizzare i soggetti che presentano disturbi, talvolta lievi, all’apparato genitale e urinario dopo un’infezione da Sars-cov-2 per le valutazioni più opportune, evitando l’automedicazione o terapie improvvisate.


RICERCA SCIENTIFICA

Sappiamo che l'ingresso di Sars-Cov-2 nelle cellule ospiti dipende dall'espressione cellulare di due elementi fondamentali: l’enzima di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2) e la serina proteasi 2 transmembrana (TMPRSS2). Questo ruolo dei recettori Ace2 e le conseguenze in vari distretti del coinvolgimento del sistema renina-angiotensina sono elementi centrali per comprendere la sintomatologia del Covid-19. In questo numero di Nuovo Collegamento, ne parliamo approfonditamente nell’articolo di Giulia Sanino a pagina 14. Inizialmente, gli studi sulla nuova patologia si sono soffermati sui danni a livello polmonare. Tuttavia, essendo tutti i principali sistemi fisiologici umani caratterizzati da una differente espressione del recettore Ace2, diventa intuitivo che nella sintomatologia possano essere coinvolti altri distretti. Il rischio della diversa vulnerabilità dei vari organi nella patologia scatenata dal virus Sars-Cov-2 può essere correlato proprio ale differenze nell’espressione di questi recettori ed è proprio la variabilità fisiologica di questa espressione il background biologico che può spiegare il diverso coinvolgimento di singoli organi o tessuti nella presentazione clinica di Covid-19. Al tempo stesso, la variabilità di Ace2 potrebbe spiegare le differenze individuali che tutti ben conosciamo: in alcuni soggetti i danni sono contenuti, in altri, al contrario, sono molto rilevanti. Parlando di distretti dell’organismo che possono essere coinvolti nella patologia, recentemente è emersa la prova che il tratto urinario inferiore è un potenziale bersaglio per l'infezione da Sars-Cov-2 proprio a causa di una significativa espressione di Ace2 nelle cellule uroteliali. Questi recettori sono stati trovati anche nel testicolo umano dove regolano la fisiologia delle cellule di Leydig, delle cellule di Sertoli e della spermatogonia. Il sistema urinario e genitale maschile sono quindi considerati a rischio di Sars-Cov-2 e potenzialmente in questi distretti dell’organismo possono manifestarsi sintomi legati a Covid-19.

Si tratta di sintomi talvolta vaghi e comunque poco conosciuti, ai quali, tuttavia, i medici dovrebbero prestare particolare attenzione. Partendo da queste considerazioni, Massimiliano Creta, del Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Riproduttive e Odontostomatologia dell’Università Federico II di Napoli e Caterina Sagnelli, del Dipartimento di Salute Mentale e Medicina Pubblica, Sezione di Malattie Infettive, Università della Campania "Luigi Vanvitelli" di Napoli, in collaborazione con altri ricercatori italiani, hanno condotto una revisione sistematica degli studi disponibili al fine di evidenziare i dati della letteratura sul coinvolgimento dei sistemi urinario e genitale maschile nell'infezione da Sars-Cov-2. Lo scopo dichiarato di questa revisione è di offrire agli specialisti in urologia e malattie infettive una panoramica su questo argomento per svolgere al meglio la loro attività in questa nuova realtà clinica e, si spera, sviluppi la voglia di effettuare studi e ricerche approfondite sull'argomento. Al tempo stesso, queste evidenze possono essere di grande utilità per noi farmacisti che siamo a contatto con il pubblico e possiamo raccogliere sintomatologie considerate “leggere”, oppure “particolari” da persone, magari anche molto giovani, che hanno contratto il Covid in maniera poco grave e che, anche a distanza di tempo, possono osservare delle manifestazioni ai tratti genitale e urinario che difficilmente vengono associate all’infezione da Sars-Cov-2. Dalla revisione emerge che il fastidio o il dolore scrotale con evidenza radiologica di alterazioni infiammatorie del testicolo e/o dell'epididimo sono i disturbi genitali maschili più frequentemente descritti. Studi post-mortem su pazienti deceduti per sindrome respiratoria acuta grave (SARS) hanno mostrato la presenza di orchite con evidenza istologica di danno infiammatorio immuno-mediato. Altro sintomo spesso riscontrato è una cistite associata a Covid-19. In particolare, alcuni autori hanno recentemente ipotizzato che, nei pazienti con Covid-19 che hanno manifestato “de novo”

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RICERCA SCIENTIFICA

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gravi sintomi urinari, un aumento delle citochine infiammatorie rilasciate nelle urine e/o attive nella vescica possono essere responsabili di questo disturbo e delle disfunzioni vescicali associate. Dati recenti della letteratura hanno riportato che i pazienti con cistite associata al Covid, sia uomini che donne, riferiscono frequentemente sintomi “de novo” delle basse vie urinarie come aumento della frequenza urinaria e nicturia. Degno di nota è anche l’aumento della frequenza urinaria. Abbiamo voluto dare voce a questo studio che, nel momento in cui scriviamo, è stato approvato ma non ancora pubblicato e che, perciò, potrebbe subire qualche piccola modifica. Riteniamo infatti molto importante questa ulteriore evidenza che il Covid-19 è una malattia caratterizzata dall’interessamento di diversi distretti dell’organismo, probabilmente a causa dell’espressione in ciascun distretto (e per ciascun individuo) dei recettori Ace2. Può colpire gli endoteli di polmoni, cuore, testicoli e altri distretti. Pensate che alcuni studi hanno evidenziato financo la capacità di Spike, la proteina che il virus usa per legarsi ad Ace2, di superare la barriera ematoencefalica. La strada per comprendere questa grave malattia è solo all’inizio, ma riteniamo giusto che il farmacista stia al passo con le evidenze delle scienza e non resti chiuso tra i propri muri o tra quelli della informazione scarsa e centellinata che taluni vorrebbero fare passare. Il farmacista è colui che vede i pazienti, lo ripetiamo ogni volta. Egli ascolta e può indirizzare i propri consigli nella giusta direzione, se è adeguatamente informato. In virtù di questa sua prerogativa, sarebbe utile se al farmacista fosse riconosciuto un ruolo più attivo nella vigilanza e nel monitoraggio della patologia. Noi continuiamo a sperarlo. Tornando allo studio, nelle conclusioni gli autori ricordano come i pazienti con Covid-19 possano avere segni, sintomi e caratteristiche radiologiche e di laboratorio indicativi di un coinvolgimento delle basse vie urinarie e del sistema genitale maschile. La ricerca ricorda anche che la spermatogenesi può essere compromessa nei pazienti con infezione moderata. Ancora un piccolo mattone per comprendere meglio questa patologia e ricordarci che è importante contrastarla nel migliore dei modi, senza abbassare al guardia.


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PROFESSIONE FARMACIA

DELLA FIDUCIA E DELLA RESPONSABILITÀ

“La fiducia si guadagna goccia a goccia, ma si perde a litri”, diceva Jean-Paul Sartre.

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di Alessandro Maria Caccia, segretario Utifar

ueste parole del filosofo francese, considerato uno dei più importanti rappresentanti dell'esistenzialismo, rappresentano bene la situazione nella quale si trova la farmacia di oggi. Per quanto ci sforziamo di fare un buon servizio, andare incontro alle esigenze del cittadino, costruire quella stima che ancora ci viene riconosciuta, ci sarà sempre il momento in cui, per la sbadataggine di qualcuno, in un sol colpo, metteremo a repentaglio quel patrimonio di fiducia conquistato a gran fatica. Bastano, per esempio, cinque minuti di Striscia la Notizia per sminuire sei mesi di servizio serrato, indefesso, non perfettamente tutelato, rischioso, fatto durante la pandemia. 24

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Questo complesso meccanismo di costruzione della fiducia avviene tra il cittadino e noi, ma avviene anche tra noi farmacisti e le nostre cooperative. Per spiegarmi, prendo spunto dalle importanti dichiarazioni di due autorevoli colleghi che sono intervenuti a Farmacista più, svoltosi via etere nel mese di novembre. I due colleghi ai quali mi riferisco sono il Presidente di Federfarma Servizi, Antonello Mirone, e il Presidente di Cef, la più importante Cooperativa di farmacisti in Italia, nonché Presidente di FederfarmaCo, Vittorino Losio. “Momenti di crisi e di cambiamento come quelli attuali - ha detto Mirone - ci fanno capire come solo un'azione sinergica, che veda la coope-


PROFESSIONE FARMACIA

razione degli attori coinvolti, riesca a essere determinante. Le difficoltà non possono essere affrontate in solitudine, ognuno per sé, ma è solo unendo le forze verso un comune obiettivo che si possono superare le fasi più critiche. La distribuzione intermedia di proprietà dei farmacisti ha supportato appieno la farmacia, mettendo in campo soluzioni innovative per rispondere a nuove esigenze, e questo ha garantito il servizio al cittadino”. “Oggi - ha continuato il presidente di Federfarmaservizi - alle farmacie viene richiesto un approccio sempre più professionale e, per rivendicare un ruolo sanitario più completo, alle spalle non possono che esserci le società di farmacisti, che le assistano e le supportino anche nella fornitura di servizi. Solo questo modello di coesione è in grado di mettere le farmacie nelle condizioni di essere indipendenti, competitive e professionali. La distribuzione di proprietà di farmacisti dovrà sempre più essere un partner di riferimento con cui realizzare accordi forti di collaborazione, perché solo insieme sarà possibile affrontare al meglio le difficoltà e i cambiamenti”. A queste parole sono seguite le dichiarazioni di Vittorino Losio, secondo il quale “la farmacia è sotto attacco su vari fronti. Stiamo assistendo sempre più a fenomeni di concentrazione della proprietà. Se vogliamo tutelare il sistema, così come lo abbiamo conosciuto finora, occorre mettere in campo una reazione forte. Ma dobbiamo anche capire che la principale difesa della capillarità e della professionalità siamo noi stessi. In questa direzione, la sinergia, la coesione tra la distribuzione di proprietà e le farmacie devono crescere, perché altrimenti non è possibile garantire un modello di indipendenza. Da parte nostra, faremo di tutto perché la farmacia continui a svolgere quel ruolo essenziale per la popolazione e per il Ssn che ha oggi, ma è il momento di impegnarsi tutti verso questo comune obiettivo”. Due dichiarazioni, queste, che richiamano la categoria ad un momento di fondamentale rifles-

sione e di discussione attorno all’evoluzione a al futuro, ormai “liquido” della farmacia. All’interno della categoria, serve un vero momento di discussione, se vogliamo anche duro e violento, che consenta a noi farmacisti, o meglio a chi ci rappresenta, di indicare una strada univoca. Una sola, ma fortemente condivisa e, soprattutto, chiara. Veniamo ora alla seconda parola che merita una riflessione profonda: responsabilità. E’ chiaro che chi porterà avanti un progetto di questo tipo se ne dovrà assumere tutta la responsabilità. Abbiamo assistito, anche nel recente passato, a Stati Generali dai quali è emerso ben poco. Una passerella di illustri personaggi con conclusioni che sono svanite come lacrime nella pioggia. Non ci possiamo più permettere l’assenza di un progetto forte perché, se andiamo avanti così, all’interno delle nostre aziende farmacie e all’interno delle aziende cooperative, di lacrime ne scorreranno ancora parecchie. Abbiamo posto tanta fiducia alle nostre aziende e, in futuro, come giustamente dice il Presidente Losio, ne dovremo dare ancora di più. Come contropartita esigiamo senso di responsabilità da parte di chi porterà avanti le nostre istanze e difenderà i nostri interessi. Mi riferisco anche alla responsabilità da parte di chi amministra le aziende dei farmacisti titolari, con una vigilanza assidua, ininterrotta, indelegabile sia dal punto di vista amministrativo, che politico. Troppe volte abbiamo visto andare male le cose perché si è delegato troppo. Dobbiamo fare questo sforzo di coesione tra la distribuzione dei farmacisti e la proprietà delle farmacie indipendenti, ma analogo sforzo di coesione e aggregazione dovrebbero farlo anche i responsabili delle aziende di farmacisti tra di loro…quelle che oggi sono rimaste. Anche questo è senso di responsabilità. Nuovo COLLEGAMENTO

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INTERVISTA

OMEOPATIA,

TRA MERCATO E COMUNICAZIONE Intervista a Silvia Nencioni

Nel corso degli ultimi anni, in Francia, abbiamo assistito ad una riduzione del rimborso statale sui medicinali omeopatici, fino ad arrivare alla non rimborsabilità. Discutendo di questi accadimenti con Silvia Nencioni, amministratore delegato di Boiron Italia, abbiamo voluto allargare lo sguardo sulla salute del mercato omeopatico nel nostro Paese.

S

di Alessandro Fornaro, giornalista e farmacista

ilvia Nencioni, in un anno davvero difficile come è stato il 2020, è arrivata da oltralpe la notizia che la Francia ha sospeso la rimborsabilità dei medicinali omeopatici. Come commenta questa decisione? E quali scenari si aprono? Quando si parla di rimborsabilità, sia che si tratti di medicinali, sia che si faccia riferimento 26

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a prestazioni sanitarie di altro tipo, non si può prescindere dalla disponibilità delle risorse con le quali ogni Paese deve fare i conti. Per fare un’analisi accurata, occorrerebbe quindi entrare nei dettagli della situazione francese e valutare aspetti di ordine socioeconomico che sono lontani da noi. Se vogliamo invece fare un ragionamento più allargato e decontestualizzato, dobbiamo dire che, quando viene tolta la rimborsabilità ad un medicinale, questo ha anche a che fare con aspetti culturali.


INTERVISTA

Mi spiego meglio: circa un anno e mezzo fa, quando è stata sollevata la questione, un’indagine aveva rivelato che circa il 74% dei francesi era contrario al fatto che i medicinali omeopatici non venissero più rimborsati. Del resto, questo dato è facilmente comprensibile, se si pensa che il 77% della popolazione utilizzava come consuetudine l’omeopatia. Detto questo, per rispondere alla domanda sui possibili scenari che si possono aprire in Francia, dobbiamo anche prendere in considerazione il fatto che, generalmente, chi usa l’omeopatia lo fa in maniera complementare ad altre terapie. Questo fa sì che le riflessioni economiche dello Stato francese che, chiaramente, ha privilegiato terapie farmacologiche salvavita e ha deciso di escludere dalla rimborsabilità gli omeopatici, non dovrebbero avere grandi ricadute sull’utilizzo della medicina omeopatica tra la popolazione francese. Di certo, decisioni di questo tipo scaturiscono da argomentazioni di carattere economico e sociale. Ma non escludono considerazioni scientifiche. A suo avviso, quanto ha inciso la solidità delle evidenze scientifiche a supporto dell’omeopatia in questa decisione? Il tema della scientificità delle prove è stato effettivamente un argomento preso in esame nella decisione. È comunque molto difficile valutare la terapia omeopatica nella sua completezza. Una cosa è valutare un singolo principio attivo e deciderne il regime di rimborsabilità. Altra questione è riuscire a valutare l’impatto di una scelta che riguarda l’intero comparto della medicina omeopatica nel suo insieme. Partendo da questo presupposto, sono comunque state fatte delle riflessioni che hanno riguardato l’annosa questione di valutare con gli occhi della medicina basata sulle evidenze una terapia, come quella omeopatica, che risponde ad altri parametri e che, come ben sappiamo, ha valenze differenti. Per esempio, la scelta della terapia è fortemente individualizzata. Detto questo, gli studi di letteratura sull’omeopatia ci sono e sono facilmente consultabili nelle banche dati.

In definitiva, quella francese è stata una decisione che ha preso in considerazione molti parametri, tra i quali anche quelli delle evidenze. Ma sarebbe sbagliato pensare che l’omeopatia è stata declassata per carenza di prove scientifiche anche perché è ormai sdoganato il fatto che la ricerca esiste ed è solida anche nel campo dell’omeopatia. Se poi ci chiediamo se la ricerca è sufficiente o se è esaustiva, la risposta è che ci sono ancora moltissimi ambiti da approfondire. In effetti, gli omeopatici sono presenti in tutto il mercato a livello europeo come farmaci e sono registrati seguendo criteri che riguardano caratteristiche di sicurezza, affidabilità e clinica. Di questo bisogna sempre tenere conto. Venendo al mercato italiano, la decisione francese ha avuto qualche ripercussione tra i medici prescrittori o tra i colleghi farmacisti in termini di fiducia? Avete avuto dei riscontri in questi senso? Devo dirle che da parte di medici e farmacisti non siamo stati sollecitati sulla questione. Questo, molto probabilmente, per il fatto stesso che in Italia la questione della rimborsabilità per l’omeopatia non è mai stata oggetto di discussione. Del resto va anche detto che in Francia erano rimborsati solo i medicinali omeopatici equivalenti, come i granuli e i tubi dose, e non le specialità che, anche oltralpe, sono considerate Otc. Veniamo allora all’Italia e alle specialità omeopatiche di automedicazione. Che dati avete riscontrato nel corso di questo anno difficile un po’ per tutti? Sappiamo tutti come le sindromi influenzali siano state pressoché inesistenti in questa stagione invernale. In generale, quindi, ne ha risentito il mercato dell’intero comparto dei sintomatici per l’influenza, come, per esempio i medicinali per la tosse. Al contrario, il mercato del comparto riferito all’immunità ha avuto una crescita consistente e, nell’insieme, almeno per quanto ci riguarda, le perdite sono quasi state bilanciate. Nuovo COLLEGAMENTO

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INTERVISTA

IL FARMACISTA CHE VEDE NELL’OMEOPATIA UN SETTORE CHE OFFRE INTERESSANTI SOLUZIONI PER LA SALUTE, HA UN ELEMENTO IN PIÙ PER CONSOLIDARE LA RELAZIONE CON I PROPRI INTERLOCUTORI

Riferendoci ai dati complessivi dell’automedicazione in farmacia, il mercato ha fatto registrare la perdita del 2% che, visto il periodo, non è certo un cattivo risultato. Riferendoci solo al mercato omeopatico, il calo è stato del 6%. La differenza tra questi due dati risiede nel fatto che per le aziende del comparto, lo scorso anno è stato il primo in cui diverse referenze sono uscite dal mercato, a seguito dell’iter regolatorio degli omeopatici. Di fatto, in questi anni non sono stati presentati dossier di registrazione per tutti i medicinali omeopatici che erano in commercio. Inoltre, alcuni medicinali, laddove c’erano le caratteristiche necessarie, sono diventati integratori. Questo insieme di cose ha chiaramente avuto delle ripercussioni in termini di mercato per le aziende di omeopatia e i minori risultati rispetto all’intero settore degli Otc risente di questa situazione particolare che si è venuta a creare. Tornando al mercato in generale, hanno fatto registrare ottimi risultati anche altri comparti come quello del sonno. Questi dati fanno riferimento al sell-out della farmacia. Il rapporto tra farmacia e omeopatia è certamente consolidato. Capita, tuttavia, di assistere a polemiche, che in genere divampano sui social all’interno dei gruppi professionali, che vedono come oggetto l’efficacia dell’omeopatia. Personalmente, ritengo che siano dibattiti di cattivo gusto, che talvolta nuocciono all’immagine dell’intera categoria. Mi spiego meglio. Mettere in dubbio l’efficacia di prodotti che si vendono è quantomeno paradossale. Se i farmacisti non sono i primi a credere nei medicinali che dispensano, come si può risultare credibili all’esterno?

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Ma le voglio girare la domanda. Come si fa ad essere credibili quando si è i primi a non credere nell’efficacia di ciò che si vende? Sono assolutamente d’accordo. Fortunatamente, la maggior parte dei farmacisti non la pensa in questo modo, tanto è vero che ai nostri incontri formativi partecipano sempre diverse centinaia di farmacisti, e le garantisco che questi incontri sono sempre più richiesti. Ma concordo sul fatto che, qualora non ci sia un’adesione con ciò che si propone in farmacia, la credibilità di un professionista viene a cadere agli occhi dei pazienti. Personalmente ritengo che in questi casi la competenza in omeopatia faccia la differenza. E quando un farmacista acquisisce tale competenza, ha certamente uno strumento in più per consolidare la relazione coi propri interlocutori. Lo conferma anche una recente indagine Doxa Pharma, l’omeopatia è per definizione un approccio terapeutico che valorizza la relazione perché si basa sulla personalizzazione della terapia e consente al farmacista di fare qualche domanda in più e conoscere meglio chi ha di fronte. In questo momento poi, nel quale anche i farmaci sono facilmente accessibili online, talvolta anche a prezzi più convenienti, se da cliente ho bisogno di un consiglio, andrò da quel professionista con cui ho un rapporto di fiducia perché ha saputo propormi il medicinale più adatto per il mio problema di salute. Ecco, in conclusione ci tengo a ribadire che la medicina è fatta di più opportunità terapeutiche da scegliere in base alla situazione: gli approcci non si escludono, ma sono complementari e ciascuno di essi può offrire ottime opportunità per la salute dei pazienti.


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FERTILITÀ

E STILI DI VITA Intervista a Valeria Valentino

di Eugenio Genesi e Francesco Garruba, farmacisti fondatori del blog "In caso di..."

Tra le specie viventi, la nostra non è la più fertile. Si calcola infatti che, per la donna, la possibilità di essere fecondata, se ha un rapporto nel periodo fertile, non superi il 25% e questa probabilità decresce con l'età del partner. Esistono varie cause alla base di questo dato, non sempre fisiche. Ma esistono anche nuove opportunità, offerte dalle più recenti scoperte scientifiche. Ne parliamo con Valeria Valentino, specialista in Fisiopatologia della Riproduzione, presso l'UOS Procreazione Medicalmente assistita dell'Ospedale Versilia.

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n farmacia, ogni giorno, sempre più donne ci dicono che sono costrette a ricorrere a cure farmacologiche, spesso dispendiose, mirate a favorire il concepimento, celando quindi una possibile infertilità. Dott.ssa Valentino, è davvero quello dell'infertilità un "fenomeno" in via di sviluppo? L’Italia è tra i paesi con il più basso indice di natalità. Sono 90 milioni, infatti, le coppie nel 30

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mondo che sperimentano problemi di fertilità, 25 milioni solo in Europa. Negli ultimi anni il tasso di fertilità è calato ovunque, anche in Africa, dove è crollato dal 5,1 (2000-2005) al 4,7 (20102015). In Italia, ogni anno, nascono sempre meno bambini e dati relativi al 2017 confermano questa tendenza. Le statistiche mostrano che l’Italia detiene, purtroppo, un record negativo rispetto alla media UE tanto per il numero di bambini nati (464,000 nel 2017), quanto per il tasso di fertilità, pari a 1,34, mente negli altri


STILI DI VITA

Paesi Europei il valore medio è di 1.60. Il registro dell’Istituto Superiore di Sanità, reso obbligatorio dalla Legge 40/2014, per esempio, riporta che sono stati dati alla luce circa 100.000 bambini con tecniche di fecondazione assistita nel 2017, questo sottolinea che circa ¼ dei bambini nati in Italia sono nati grazie a questa tecnologia. Probabilmente è da attribuire ad una tendenza sempre maggiore a cercare la prima gravidanza in eta’ più avanzata, spesso però la credenza comune è che la fecondazione assistita possa dare risposta ai problemi riproduttivi su base biologica cioè legati all’invecchiamento. L’età media della donna in Italia al primo parto è di 31.8 anni, un fattore quindi che contribuisce sulla fertilità e diminuisce le possibilità di rimanere incinta. Tutto questo dipende da un cambiamento mediatico, ma soprattutto sociale: si pensa che tutto sia possibile sempre, l’eterna giovinezza anche nella riproduzione. Purtroppo, però, biologicamente il nostro corpo non è programmato così. Per tale motivo soprattutto l’infertilità è una patologia sociale sempre più diffusa. Secondo i dati OMS, in Italia l'infertilità riguarda il 15% delle coppie che non sono riuscite a concepire dopo almeno 12 mesi di rapporti regolari non protetti. A cosa dobbiamo principalmente questi numeri? Si attualmente le statistiche dell’OMS riferiscono 15-20% di coppie infertili nel mondo. Innanzitutto occorre distinguere tra le cause che colpiscono le donne nel 39.2% dei casi, le patologie che colpiscono gli uomini nel 25,8% dei casi, l’infertilità di coppia (18,2%) e quella idiopatica (16,2%), cioè non spiegabile con le attuali tecniche di diagnosi. Uno dei principali fattori che contribuiscono all’infertilità femminile, come accennavo prima, riguarda l’eta’ alla quale si cerca la prima gravidanza. Dal punto di vista fisiologico, il periodo migliore per avere un figlio è infatti tra i 20 e i 25 anni, passata questa fase la fertilità comincia gradualmente a ridursi, subendo un conside-

revole calo dopo i 35 anni e riducendosi moltissimo dopo i 40. Questo dipende dalla nostra biologia, le donne nascono con un numero programmato di ovociti e con l’avanzare dell’età questa riserva si riduce. Inoltre, con il passare dell’età, gli ovociti invecchiano presentando più anomalie cromosomiche. Diversa è la considerazione dell’età per quanto riguarda l’utero: solo alcuni studi dimostrano una correlazione tra “età dell’utero” e rischio di aborto spontaneo. Una delle cause più comuni d’infertilità, a cui tutti ormai sono sensibilizzati, è l’endometriosi. Consiste nella presenza di tessuto endometriale in sede ectopica, a livello pelvico (ovaie, salpingi, legamenti utero-sacrali, setto retto vaginale) o nel miometrio (adenomiosi). Questa patologia, oltre a causare danno organico meccanico, causa anche una infiammazione cronica generalizzata a livello pelvico tale da non garantire il corretto funzionamento degli organi genitali ai fini procreativi. In Italia, si calcola che circa 3 milioni di donne soffrano di endometriosi e circa 30-40% di esse abbiano problemi di infertilità. Altra causa, spesso comune alla coppia più che alla sola donna, sono le malattie sessualmente trasmissibili purtroppo ancora troppo sottovalutate e causa di più del 25% delle cause di infertilità in coppie giovani al di sotto dei 30 anni Anche il fumo causa infertilità. Le fumatrici hanno tassi di infertilità più alti come gli uomini fumatori, il fumo è da solo causa del 13% dell’infertilità di coppia in Italia. Le cause sono da attribuire alle sostanze tossiche (nicotina, cadmio e benzopirene, soprattutto) che vanno a finire nel liquido follicolare e nelle cellule, gli ovociti, interferendo con il normale processo maturativo degli stessi. Le cause endocrine di infertilità sono molteplici, la più nota è la sindrome dell’ovaio policistico, con cui spesso anche voi farmacisti vi confrontate. Questa sindrome provoca seri problemi con l’ovulazione, i cicli si verificano senza produzione di ovociti e le mestruazioni sono irregolari o del tutto assenti. Altro aspetto che voi spesso incontrate nel quotidiano approccio e counselling all’utente, sono i problemi di peso. Nuovo COLLEGAMENTO

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STILI DI VITA

Sia l’obesità che l’eccessiva magrezza possono influenzare la capacità procreativa di un individuo. In questo caso la condizione può essere reversibile, nel senso che se si recupera il peso forma anche la fertilità migliora. E' quindi presente una forte componente ambientale, dettata dalle abitudini e dallo stile di vita. Può quindi l'alimentazione giocare un ruolo? Recenti studi hanno evidenziato come una dieta in stile mediterraneo possa aumentare i tassi di fertilità. Si giustissimo, le cause dell’infertilità oggi non sono solo sociali, quali l’aumento degli anni scolari, il lavoro e la carriera, lo scarso supporto dello Stato alla genitorialità, ma sono anche cause ambientali. Consideriamo che anche se noi attuassimo uno stile di vita corretto con adeguate ore di riposo notturno, adeguata alimentazione e attività fisica moderata, come consigliata dall’OMS, comunque viviamo in una mondo in cui gli interferenti ambientali sono impattanti in maniera determinante. Tutti noi quotidianamente ascoltiamo notizie riguardanti gli interferenti endocrini, ma fondamentale è pensare come agiscono sulla fertilità e quindi combatterli quotidianamente con sostanze ossidanti. Recenti studi hanno dimostrato che una maggiore aderenza delle donne a una dieta in stile mediterraneo, tradizionalmente basata sul consumo regolare di frutta e verdura ricca di antiossidanti e fibre, omega-3 sotto forma di pesce grasso, cereali integrali e MUFA da oli vegetali, può aumentare i tassi di fertilità riducendo il rischio di obesità, ipertensione, insulino-resistenza e diabete e inoltre è stata associata a circa il 70% di rischio inferiore di disturbi ovulatori. Esistono poi alcuni nutrienti che, se supplementati nella maniera corretta, possono essere degli importanti coadiuvanti al raggiungimento del concepimento. Mi riferisco ad esempio ai corretti apporti di MUFA, folati, potassio e fibre. 32

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Secondo quanto rileva uno studio presentato alla European Society of Human Reproduction and Embriology (ESHRE) ad Instanbul dai ricercatori della Harvard School of Public Health, l’avocado sarebbe in grado di triplicare le possibilità di successo per le coppie che si sottopongono alla fecondazione in vitro grazie all’alta percentuale di acidi grassi monoinsaturi contenuti. Tra le 147 donne sottoposte al trattamento presso il Massachusetts Genera Hospital Fertility Center, coloro che avevano mangiato gli importi più elevati di grassi monoinsaturi, hanno dimostrato avere il 3,4% di possibilità in più di avere un figlio dopo la fecondazione assistita rispetto a chi aveva consumato quantità inferiori. Al contrario le donne che mangiavano principalmente grassi saturi, come quelli che si trovano nel burro e nelle carni rosse, avevano prodotto meno ovuli adatti al trattamento Per quanto riguarda i folati, voi farmacisti più di tutti, sapete quanto sia importante nella donna, ma da recenti studi anche nell’uomo. La vitamina B9 o acido folico appunto, è essenziale per la sintesi del DNA e delle proteine ed è importante per la formazione dell’emoglobina, necessaria per i tessuti che vanno incontro a processi di proliferazione e differenziazione, come i tessuti embrionali. Esiste infine un quadro psicologico da tenere in considerazione. Ansia, depressione e problemi nel rapporti di coppia sono variabili quasi sempre presenti? Vista la grande incidenza e l’estrema delicatezza di questa tematica molti studi hanno cercato di individuare le cause e conseguenze anche sul piano psicologico della diagnosi di infertilità di coppia. La condizione di infertilità genera spesso un senso di depressione, ansia, sofferenza vuoto, rabbia che possono sfociare in forte stress a causa del pensiero costante della infertilità e la ricerca quasi incontrollata di soluzioni. Anche il ricorso alle tecniche di procreazione assistita o all’adozione possono causare forte


SCUOLA di

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stress, impattando sia a livello di impegno di risorse e di tempo, ma soprattutto a livello fisco ed emotivo. Allo stesso modo però alcune ricerche hanno dimostrato che una condizione di vita caratterizzata da forti livelli di stress e disagio possono ridurre la fertilità agendo su aspetti biologici e fisici, oltre che sulla frequenza e disponibilità al rapporto sessuale della coppia. Nello specifico il forte stress agisce sull’attività gonadica della donna, sull’assetto ormonale, trasporto e impianto dell’embrione, mentre negli uomini si notano alterazioni della spermatogenesi. Possiamo concludere affermando che l'infertilità è un problema della coppia? Assolutamente concordo con te, l’infertilità è una diagnosi di coppia, non c’è “la colpa” di un elemento singolo, nella maggior parte dei casi è una patologia della coppia e va vissuta e combattuta insieme e soprattutto il cambio dello stile di vita deve essere proposto alla coppia e non solo alla donna, che per abitudine tende più a prendersi cura di sé per ottenere la tanto desiderata gravidanza. “I figli si fanno in due” dico sempre banalmente forse, ma è per sottolineare l’importanza di un sostegno sempre costante per entrambi gli elementi della coppia.

Bibliografia Chavarro J.E., R.E.J. (2007). Dietary fatty acid intakes and the risk of ovulatory infertility Kevin B. Comerford, I.K. (2016). The Role of Avocados n Maternal Diets during the Preconceptional Period, Pregnancy and Lactation M.M. Mertinez Pacheco, R.L. (2011). Folates and Persea Americana Mill Schisterman E.F., M.S. (2014). Lipid concentrations and couple fecundity: The Life Study. The Clinical Journal of Endocrinology Metabolism

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33 Nuovo Informazioni: 02Collegamento 70608367 - utifar@utifar.it Nuovo COLLEGAMENTO



PROFESSIONE FARMACIA

LA GESTIONE DELL'OSTOARTROSI IN FARMACIA

di Paolo Levantino farmacista clinico e consulente nutrizionale, Presidente Agifar Palermo, scientific writer

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’osteoartrosi è la più̀ comune patologia muscolo-scheletrica, caratterizzata da dolore e limitazione funzionale, che si associa ad una significativa diminuzione della qualità di vita. La prevalenza, stimata attorno al 20-30% della popolazione, è destinata ad aumentare per il progressivo allungamento dell’aspettativa di vita. Noi farmacisti, grazie alla presenza costante e capillare nel territorio, siamo i primi professionisti a cui spesso si rivolgono tali pazienti. L’approccio di prima linea, secondo le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), prevede di fornire, ai pazienti con OA, delle chiare e accurate informazioni per comprendere la natura della loro condizione, e di consigliare un adeguato stile di vita.

PERDITA DI PESO Il sovrappeso e l’obesità rappresentano dei fattori predisponenti ed aggravanti di molte forme di artrosi in virtù del sovraccarico funzionale che impongono alle articolazioni portanti. Una graduale riduzione del peso corporeo, in rapporto all’età, alle condizioni generali del soggetto e alle eventuali patologie associate, è indispensabile per limitare la progressione della malattia e migliorare la qualità di vita. È stato osservato che una riduzione del peso corporeo del 10% porta a una riduzione del dolore e a un miglioramento della mobilità, auto riferita e misurata tramite il test del cammino di 6 minuti, nei pazienti con OA al ginocchio. Consigliamo ai pazienti di non saltare la colazione, Nuovo COLLEGAMENTO

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PROFESSIONE FARMACIA

di masticar lentamente, di evitare insaccati e bevande zuccherate e incrementare il consumo di sostanze nutritive con azione antinfiammatoria, come gli acidi grassi polinsaturi Omega-3. ATTIVITÀ FISICA Bisogna evitare la sedentarietà, responsabile della perdita del tono muscolare e della riduzione della stabilità di un’articolazione. Consigliamo così di realizzare un adeguata attività fisica che includa esercizi aerobici e di resistenza. È stato dimostrato che una camminata di 30-60 minuti, due-tre volte a settimana, riduce il dolore nei pazienti con OA al ginocchio, migliora le prestazioni e il benessere. Prove recenti hanno sottolineato anche il beneficio dell’aerobica acquatica. Il galleggiamento dell’acqua riduce lo stress da carico sulle articolazioni e può contribuire a un maggior grado di riduzione del dolore rispetto all’aerobica terrestre. Accanto a tale esercizio si pone l’esercizio di resistenza, fondamentale per rafforzare i gruppi muscolari e migliorare l’equilibrio. Va ricordato a tali pazienti che qualsiasi esercizio è meglio di niente e che basta poco per veder i benefici. L’effetto dell’esercizio sul dolore e sulla funzione, se intrapreso regolarmente per 3 mesi, è sicuro e può ridurre il ricorso agli antiinfiammatori. INTEGRATORI Oltre agli interventi sullo stile di vita, possiamo consigliare il ricorso ai nutraceutici. Una revisione sistematica e meta-analisi, che riassume tutti gli studi randomizzati controllati con placebo disponibili sull’efficacia degli integratori alimentari per il trattamento dell’OA, sottolinea che la Boswellia, la curcumina e l’estratto di zenzero sono i nutraceutici con maggiori evidenze, sebbene sono necessari ulteriori studi per confermare ciò. Tali sostanze sono in grado di ridurre il dolore e la rigidità, attraverso un’azione antiinfiammatoria, migliorando la funzionalità dell’articolazione. In uno studio di sei mesi, i pazienti che hanno assunto una combinazione di zenzero, Boswellia serrata e N- acetilglucosamina, hanno riportato una riduzione dei marcatori infiammatori, un miglioramento significativo della distanza percorribile senza dolore, e dei sintomi valutati attraverso il questionario Womac. TRATTAMENTI FARMACOLOGICI DI PRIMA LINEA Il trattamento farmacologico di prima linea prevede l’uso di farmaci antiinfiammatori topici non 36

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steroidei (FANS). Una metanalisi, che ha incluso 76 trial randomizzati per un totale di 58.451 pazienti, ha mostrato che, tra i FANS, il più efficace, per il trattamento del dolore e della disabilità fisica dell’osteoartrosi, è il diclofenac. Naturalmente, prima di consigliare qualsiasi trattamento farmacologico, è importante essere consapevoli delle condizioni mediche del paziente e dell’uso concomitante di altri farmaci, per evitare rischi ed interazioni. Nei pazienti con dolore articolare alla mano e al ginocchio, i FANS topici possono essere altrettanto efficaci dei FANS orali e, a parte delle reazioni cutanee locali occasionali, sono estremamente sicuri. Un trattamento topico alternativo può esser dato dall’utilizzo della capsaicina. È importante ricordare ai pazienti che i trattamenti topici per il dolore articolare non hanno pieno effetto dalla prima applicazione e che per entrambi gli agenti (FANS e capsaicina) raccomandanti dalla NICE possono essere necessarie fino a 2 settimane per aver il massimo beneficio. L’IMPORTANZA DEL NOSTRO RUOLO COME PROFESSIONISTI DELLA SALUTE Noi farmacisti, guidati da linee guide internazionali, possiamo così aiutare il paziente con OA a migliorare la qualità di vita, grazie a dei consigli mirati sullo stile di vita e indirizzandolo all’utilizzo del rimedio o farmaco più indicato alla sua esigenza. Lo studio TOPIK ha mostrato che grazie al consiglio dei farmacisti vi era un miglioramento significativo del dolore nei pazienti con OA e una riduzione dell’utilizzo dei FANS per via orale. Noi farmacisti siamo anche nella posizione ideale per monitorare i progressi del paziente, aggiornare le raccomandazioni in base al miglioramento, alla persistenza o peggioramento dei sintomi, e indirizzar il paziente ad altri professionisti sanitari, ove appropriato. Bibliografia: • Helmick CG, Felson DT, Lawrence RC, et al. Estimates of the prevalence of arthritis and other rheumatic conditions in the United States. Arthritis Rheum. 2008; 58: 15-25. • McInnes IB, Schett G. The pathogenesis of rheumatoid arthritis. N Engl J Med. 2011; 365: 2205-19. • National Institute for Health and Care Excellence. Community pharmacies: promoting health and wellbeing. NICE guideline [NG102]. 2018 • Dietary supplements for treating osteoarthritis: a systematic review and meta-analysis. Br J Sports Med. 2018 Feb;52(3):167-175. • Kolasinski SL, et al. American College of Rheumatology/Arthritis Foundation Guideline for the Management of Osteoarthritis of the Hand, Hip, and Knee. Arthritis Care & Research 2020 • Da Costa BR, et al. Effectiveness of non-steroidal anti-inflammatory drugs for the treatment of pain in knee and hip osteoarthritis: a network meta-analysis. Lancet 201.


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SBIANCAMENTO DENTALE: TUTTO CIÒ CHE C’È DA SAPERE

a cura della dottoressa Marzia Boifava, igienista presso lo Studio Todisco, Desenzano del Garda

LA MAGGIOR PARTE DELLE PERSONE È INSODDISFATTA DEL COLORE DEI PROPRI DENTI, IL SOGNO DI TUTTI È QUELLO DI AVERLI BIANCHI COME LE STAR DELLA TV. DIETRO A QUEL SORRISO SI NASCONDONO RESTAURI PROTESICI COME LE FACCETTE DENTALI E LO SBIANCAMENTO 38

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COS’E’ LO SBIANCAMENTO DENTALE ? Lo sbiancamento, o toothbleaching, è un trattamento clinico appositamente studiato per migliorare il colore dei denti. Questo procedimento è eseguito dai professionisti (odontoiatra e igienista dentale) mediante l’utilizzo di un gel a base di perossido d’idrogeno o perossido di carbamide, che una volta esposto a particolari fonti luminose, si attiva liberando ossigeno.


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Una volta liberato, questo gas penetra nella struttura del dente, innescando reazioni di ossido-riduzione che scompongono le molecole delle macchie in composti più piccoli, incolori e facilmente eliminabili. I prodotti professionali non creano danni alle gengive o allo smalto. LIMITI È fondamentale sapere che lo sbiancamento dentale professionale è controindicato in caso di gravidanza, allattamento, per i pazienti di età inferiore ai 18 anni e per chiunque sia allergico ai perossidi, in caso di denti fratturati, abrasi o erosi che potrebbero presentare una forte sensibilità, o elementi con estese ricostruzioni estetiche e con patologie in atto. Non sono buoni candidati i pazienti poco collaborativi al mantenimento della loro igiene orale. Ponti, corone o restauri non vengono sbiancati quindi, alla fine del trattamento, non si uniformano nel colore con il resto dei denti. È consigliato eseguire lo sbiancamento prima del rifacimento dei restauri protesici. POSSIBILITÀ Dopo un accurato esame del paziente e un’attenta analisi intraorale il professionista decide se eseguire il trattamento e il protocollo da seguire. Le metodiche sono: Sbiancamento professionale alla poltrona: viene applicato il gel sui denti e attraverso un’apposita luce questo si attiva. Si eseguono due applicazioni da circa 20 minuti nella stessa seduta in modo da raggiungere risultati ottimali. Sbiancamento professionale domiciliare: il paziente si reca in studio per le impronte della sua dentatura dalle quali si ricaveranno le mascherine e le siringhe contenenti il prodotto sbiancante da applicare durante tutta la notte. Tutto ciò eseguito sempre sotto la supervisione e le indicazioni dello specialista.

CONSEGUENZE Il trattamento di sbiancamento dentale, come qualsiasi atto, presenta alcuni inconvenienti che si possono verificare anche durante una terapia eseguita nel migliore dei modi. In molti casi si ottengono ottimi risultati, ma non esiste un metodo per sapere quanto verranno sbiancati i denti. L’età, la dieta, le abitudini di vita delle persone e le caratteristiche dei denti influiscono sul loro colore naturale. Spesso, durante o a seguito del trattamento, può verificarsi sensibilità dentinale a causa della disidratazione dentale. Per tener sotto controllo questo episodio è consigliato bere tanta acqua e utilizzare dei dentifrici remineralizzanti e desensibilizzanti contenenti nitrato di potassio, fluoruro di sodio, fosfato di calcio o idrossiapatite. MANTENIMENTO La durata dello sbiancamento è del tutto variabile e individuale. Seguendo le indicazioni dei professionisti, in media i risultati raggiunti durano dai 15 ai 17 mesi. Consigliamo di: • Eseguire il trattamento domiciliare con mascherine personalizzate. • Avere un’eccellente controllo della placca batterica e sottoporsi ai richiami di igiene orale professionale. • Evitare fumo, bevande o cibi che pigmentano (cioccolata, vino rosso, coca-cola, liquirizia, mirtilli, caffè, te’). • Utilizzare tre volte a settimana un dentifricio whitening contenente 1450 ppm di fluoro. Diverso è lo smacchiamento, ovvero la rimozione delle macchie estrinseche causate da agenti esterni al dente che si legano direttamente alla superficie, alla placca o al tartaro. Sono tipiche dei fumatori, di chi beve tanti caffè, tè, tisane, di chi mangia tanta liquirizia o frutti rossi, di chi assume farmaci o di chi utilizza per lunghi periodi collutori con clorexidina (senza ADS=anti discoloration system). In questo caso il paziente si sottopone ad una seduta di igiene orale professionale.

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INTESTINO IRRITABILE

IBS?

UN DISTURBO SISTEMICO, NON PIÙ SOLO INTESTINALE

di Daniela Mammoli, Dott.ssa in Chimica e Tecnologia Farmaceutica

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onna giovane, residente in zone urbane, con una vita costellata di impegni lavorativi e familiari che possono essere causa di stress. Soffre di una patologia inspiegabile ma debilitante sia dal punto di vista fisico che emotivo. Questo è l’identikit più probabile delle persone che soffrono di sindrome dell’intestino irritabile (IBS), una malattia che colpisce un numero elevato di persone in tutto il mondo e che viene sotto diagnosticata. 40

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Nel mondo questa condizione ha raggiunto una prevalenza tra il 10%-15% e dalle ultime statistiche mediche ufficiali emerge che le donne sono circa 1,5 volte più colpite degli uomini1. La sindrome dell’intestino irritabile ha anche un significativo effetto sulla sfera sia sociale che emotiva. Chi è affetto da IBS, infatti, subisce un peggioramento della propria qualità di vita. In altri termini, il problema può essere causa di ansia e depressione.


INTESTINO IRRITABILE

Questo perché oltre a essere una patologia dolorosa e debilitante viene percepita, da chi ne soffre, come un tunnel senza uscita, facendo nascere un vero e proprio rapporto conflittuale tra la persona e il proprio intestino. Se a ciò si aggiunge il fatto che la fascia di popolazione maggiormente colpita ha un’età compresa tra i 15 e i 50 anni è facile capire come questa problematica di salute sia tutt’altro che secondaria2. L’organo che ha un ruolo cruciale nella sindrome dell’intestino irritabile è l’intestino. Ma non è l’unico. Viene coinvolto anche il sistema immunitario. Da sempre l’intestino è stato oggetto di studio e rappresenta la fonte di tanti disturbi e disagi. Per capire l’entità e anche il risvolto economico, di questi problemi si pensi che il mercato dei prodotti per il tratto gastrointestinale in farmacia, parafarmacia e canale GDO rappresenta il 21 % del totale della salute commerciale3. In passato quando si avvertivano disturbi come diarrea, dolore addominale e gonfiore si tendeva a parlare di “colite spastica” o “colon irritabile” e la difficile diagnosi portava ad associare i sintomi a casi di isteria, per l’elevata sensibilità delle pazienti affette o a casi di ipocondria come nel caso del malato immaginario. Oggi grazie all’evoluzione della scienza si è giunti a definire un quadro più complesso tale da poter essere definito Sindrome dell’Intestino Irritabile. Per sindrome si intende un quadro clinico, caratterizzato da più sintomi e/o segni che si presentano con modalità tipica, ben riconoscibile clinicamente. Solitamente una sindrome è sostenuta da più fattori causali. Trattandosi di una patologia complessa va approcciata non con una visione riduzionistica, in cui l’organismo viene concepito a “compartimenti stagni” ma con una visione sistemica in cui tutti i compartimenti parlano e sono collegati da fitte reti di relazioni tra cellule, organi e tessuti, come oggi viene anche confermato dalla Systems Medicine.

L’IBS è noto come un disagio di natura funzionale caratterizzato da un insieme di sintomi che possono coinvolgere l’intestino, parzialmente o completamente. Fino a poco tempo fa era difficile diagnosticarla, oggi invece gruppi internazionali di esperti, riuniti sul tema dei Disturbi Gastrointestinali Funzionali, hanno elaborato dei precisi criteri diagnostici conosciuti col nome di criteri di Roma IV. Hanno infatti individuato nel dolore addominale associato alla defecazione o alla variazione nella frequenza o nell’aspetto delle feci, dei segnali tipici dell’IBS. Sulla base della visione sistemica è possibile ridisegnare l’IBS come la contemporaneità di vari fenomeni. Prima fra tutti l’aumento della permeabilità della mucosa intestinale che determina l’esposizione degli strati sottostanti della stessa ad un contatto con sostanze irritanti (batteri, virus, alimenti ecc.); l’attivazione del sistema immunitario associato alle mucose (MALT); un’infiammazione e un’alterazione del metabolismo del triptofano/serotonina, i principali mediatori dell’organismo dell’umore e della motilità intestinale. Proprio il MALT ha un ruolo cruciale. È presente non solo a livello della mucosa gastrointestinale ma anche uro-genitale, dei polmoni, degli occhi e della pelle e rappresenta la prima sentinella del sistema immunitario. Questo perché è esposto continuamente ad agenti esterni e a patogeni ambientali. Sono infatti zone di guardia del sistema immunitario e sono popolate da tanti “combattenti” come i linfociti T e B, plasmacellule e macrofagi. E proprio l’alterazione di questi siti può contribuire a infiammazioni croniche, all'autoimmunità, all'aumento delle risposte allergiche e all’IBS. Come afferma la Dott.ssa Sara Diani, Medico esperto di medicina integrata e Network Medicine, ricercatrice e docente: "La cosa fondamentale è che, nonostante la separazione anatomica dei siti MALT, questi sono funzionalmente collegati in quello che è stato definito il

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INTESTINO IRRITABILE

sistema immunitario comune della mucosa. È per questo che a volte l'ingestione di alimenti contro cui siamo sensibili provoca starnuti o una lieve raucedine, ad esempio. Quindi il MALT è un’unità immunitaria funzionale che costituisce un vero e proprio compartimento di attivazione del sistema immunitario e dell’infiammazione. Nello specifico, è il primo che si attiva nelle malattie croniche, essendo esposto ai fenomeni e patogeni ambientali. Questa è la prima chiave per analizzare l’IBS e altre patologie correlate dal punto di vista sistemico" conclude Diani. L’attuale terapia dell’IBS, si è concentrata perlopiù su approcci nutrizionali e trattamenti sintomatici, ovvero nel dare sollievo ai singoli sintomi (diarrea, stipsi e dolore). In particolare, per la diarrea ad antidiarroici, per la stipsi ai lassativi osmotici, di contatto e a farmaci che favoriscono la progressione delle feci come gli agonisti recettoriali 5-HT4 mentre per il dolore ad antispastici e antidepressivi triciclici. La ricerca scientifica nell’ambito delle sostanze naturali ha introdotto degli importanti sviluppi per il trattamento dell’IBS focalizzandosi sull’alterata permeabilità della mucosa intestinale. Un recente studio preclinico pubblicato su Nutrients ha dimostrato come diverse classi di sistemi di sostanze naturali (mix di sostanze naturali estratte da piante) sono in grado di proteggere la mucosa intestinale controllando indirettamente l'infiammazione e allo stesso tempo modulando la risposta immunitaria. Tra queste sostanze vanno citate le resine, i polisaccaridi e i polifenoli. In particolare, la sinergia del sistema di molecole a base di resine di incenso, polisaccaridi di aloe, nonché polifenoli di camomilla e melissa sono in grado di interagire con la superficie della mucosa intestinale formando un film protettivo. Il risultato è un'azione benefica su gonfiore, distensione addominale e dolore4. Per sommi capi dunque la Sindrome dell’Intestino Irritabile può rappresentare un problema invalidante in molte persone, specialmente nelle donne, e può irrompere, sconvolgendo, senza preavviso i programmi delle persone. È un disturbo che può presentarsi ad intervalli di tempo variabile ma, generalmente, nell’ambito di un periodo limitato nel corso di un anno.

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Più spesso in concomitanza di cambi di stagione, situazioni di stress, infezioni intercorrenti e impiego di farmaci che determinano effetti indesiderati sull’apparato gastrointestinale come antibiotici e antinfiammatori. Può sembrare un disturbo insormontabile ma attraverso il consulto e un’attenta analisi di un medico è possibile identificare il problema. In ultimo, da dimostrate ricerche scientifiche le sostanze naturali si sono dimostrate efficaci nel trattamento della Sindrome dell’Intestino Irritabile. Come afferma il Professor Enrico Stefano Corazziari, Senior Consultant presso la Gastroenterologia dell’Istituto Clinico Humanitas, Rozzano "L’utilizzo dei dispositivi medici trovano un favorevole effetto sui disturbi dell’IBS e trovano riscontro nella pratica medica quotidiana. Il tutto è supportato dagli esiti di valutazioni cliniche eseguite sia nell’ambito della medicina generale che in quello specialistico della gastroenterologia. In definitiva è possibile ricorrere a dispositivi medici a base di sostanze naturali complesse che,agendo in maniera sinergica tra di loro, possono agire contemporaneamente su più fattori causali dell’IBS. In particolare l’azione di questi complessi naturali si svolge sia proteggendo e rinforzando la barriera mucosa , sia agendo come antinfiammatorio ed antiossidante a livello della parete intestinale"5. Bibliografia Grundmann O and Yoon S. L. (2010). Irritable Bowel syndrome: Epidemiology, diagnosis and treatment: An update for health care practitioners. J. Gastroenterol and Hepatol: 1-9. 2 Rey E, et al. (2009) Irritable bowel syndrome: Novel views on the epidemiology and potential risk factors. Digestive and Liver Disease 41: 772-80. 3 Fonte dati IQvia, dati MAT marzo 2020, canale farmacia, parafarmacia e corner GDO. 4 Parisio C, et Al. Researching New Therapeutic Approaches for Abdominal Visceral Pain Treatment: Preclinical Effects of an Assembled System of Molecules of Vegetal Origin. Nutrients. 2020 Jan; 12(1): 22 5 Corazziari ES Medical devices made of substances in the management of patients with gastrointestinal diseases, Pharmadvances, 2020 01s: 28-30 https://doi.org/10.36118/ pharmadvances.01.2020.08s


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IL FIENO GRECO:

UNA PICCOLA PIANTA CON GRANDI BENEFICI

di Paolo Levantino farmacista clinico e consulente nutrizionale, Presidente Agifar Palermo, scientific writer

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l fieno greco è una pianta erbacea annuale, appartenente alla famiglia delle Fabacee. Le parti utilizzate della pianta sono i semi maturi essiccati, ricchi di saponine steroidee, alcaloidi, mucillagini, flavonoidi e fibre.

EFFETTO IPOGLICEMIZZANTE E IPOLIPEMIZZANTE Il fieno greco migliora il quadro glucidico attraverso l’azione della componente mucillagginosa, della trigonellina e della 4-idrossileucina (Fig. 1). Diverse revisioni sistemiche2-3 e meta analisi4-5 sottolineano che i semi di fieno greco possono essere un’opzione complementare promettente per la gestione del diabete. Gli estratti, infatti, migliorano il controllo glicemico nei pazienti con 44

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diabete di tipo 2, riducendo la glicemia a digiuno, a 2 ore post-carico e l’emoglobina glicata. Inoltre, una revisione recente6 di 15 studi randomizzati mostra che il consumo di fieno greco è efficace anche nel ridurre il colesterolo totale, i trigliceridi, le LDL e nell’aumentare le HDL. Pertanto, i può essere utilizzato efficacemente anche come agente ipolipemizzante nei pazienti con diabete di tipo 2. I possibili meccanismi d’azione sono mostrati nella figura 26-7. EFFETTI SULLA SALUTE SESSUALE In uno studio multicentrico8, a braccio aperto, condotto su 50 volontari di sesso maschile (età compresa tra 35 e 55 anni), per un periodo di 12 settimane, i risultati mostrano che la supplemen-


FITOTERAPIA

Figura 1. Effetto ipoglicemizzante

Figura 6. Effetto dell’integrazione di fieno greco sulla frequenza sessuale.

Figura 3. Effetti ipolipemizzanti

tazione di 500 mg di fieno greco, arricchito con il 20% di protodioscina, è efficace nel migliorare la conta e la motilità degli spermatozoi, il livello di testosterone libero, la prontezza mentale e la libido. In un altro studio9, condotto su uomini anziani e di mezza età, è stato osservato che gli estratti di fieno greco riducono i sintomi di una possibile carenza di androgeni, migliorano la funzione sessuale e aumentano il livello di testosterone, grazie all’inibizione della 5-ą-reduttasi e dell’aromatasi. Ma gli studi non si limitano al solo genere maschile. Infatti, il fieno greco è stato studiato anche per contrastare il calo della libido nelle donne10 e nel trattamento della sindrome dell’ovaio policistico11. In quest’ultimo caso è stato

dimostrato che l’estratto di fieno greco aumenta in maniera significativa i livelli di ormone luteinizzante (LH) e follicolo stimolante (FSH), regola il ciclo mestruale e riduce il volume ovarico e il numero di cisti. SICUREZZA Il fieno greco è considerato sicuro e certificato come ingrediente GRAS (generally recognized as safe) negli Stati Uniti. Nessun evento avverso grave è stato riportato e i parametri biochimici ed ematologici si mantengono nei range fisiologici. Potete richiedere la bibliografia all'autore all'indirizzo paololevantino@gmail.com

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#FARMACISTADIGITALE

IL CANE CHE SI MORDE LA CODA COME INDIVIDUARE GLI OBIETTIVI DI UNA SOCIAL MEDIA STRATEGY DI SUCCESSO

di Monica Faganello, farmacista digital marketing specialist per la farmacia

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ennady Vaynerchuk, pioniere statunitense nel web marketing e nei social media, sostiene che “non importa quanti ti seguono, ma quanti ti prestano attenzione». Ciò significa che il modo corretto per approcciare oggi i social media e per impostare una strategia social di successo, si basa più sulla qualità degli utenti che sulla quantità degli stessi. Di conseguenza una farmacia che ha una pagina Facebook o un profilo Instagram aziendali, non 46

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deve tanto puntare sul numero di followers e di like ma sul coinvolgimento reale che riesce ad ottenere da questi. Il coinvolgimento o engagement, infatti, è strettamente legato al concetto di lead, uno tra i principali obiettivi di una social media strategy efficace. Se la pagina Facebook o Instagram della vostra farmacia attira utenti esclusivamente attraverso la pubblicazione continua di offerte promozionali, non può avere successo.


#FARMACISTADIGITALE

Ciò che dovete privilegiare è la condivisione di contenuti rilevanti e pertinenti in grado di comunicare la vostra professionalità, il vostro valore e l’unicità di offerta di prodotti e servizi esclusivi e specifici che rispondono ai reali bisogni e necessità delle persone/clienti. Contenuti pertinenti all’argomento trattato e rilevanti per quell’argomento stresso vi rendono autorevoli nel vostro settore quindi credibili. In questo modo avrete l’opportunità di generare nuovi contatti (lead) di qualità, evitando di creare una community di utenti occasionali e solamente invogliati dalla scontistica del momento. L’obiettivo finale della presenza nei canali social per una farmacia è di attirare e fidelizzare un’audience di persone realmente interessate. Solo questo modo di operare creerà fiducia di acquisto nel tempo. Purtroppo, questo concetto è ancora ignorato dalla maggior parte delle farmacie che continuano a considerare le piattaforme social come una vetrina di offerte e promozioni e non un potente mezzo di comunicazione per dare visibilità al ruolo sociale del farmacista e della farmacia territoriale per la tutela e prevenzione del benessere e della salute del cittadino. Perché l’utente che fa numero ma non è realmente interessato, risulta essere solo dannoso? Nei social media l'approccio qualitativo agisce sulle metriche di rendimento, ovvero sugli Insight. L’algoritmo di Facebook, infatti, ragionando sul concetto di qualità e non di quantità, premia con maggior visibilità i tuoi contenuti a tutti i tuoi fans, solo proporzionalmente alla percentuale di fans che riesci a coinvolgere. Per la piattaforma ciò che conta non è la social base o i like, ma il tasso di coinvolgimento degli utenti, quello che in gergo si chiama engagement. Avere quindi tanti followers ma dormienti, ti penalizza perché i tuoi contenuti verranno resi meno visibili da Facebook anche a quei followers realmente interessati a quello che tu vuoi comunicare. In un meccanismo tipo “cane che si morde la

coda”, il numero finale di persone che vedranno i tuoi contenuti diminuirà, diminuiranno le interazioni e di conseguenza il numero di nuovi contatti e di vendite. Per questo motivo c’è una regola che è bene rispettare quando si progetta un calendario editoriale: la regola dell’80/20. Su 100 post pubblicati, il 20% può essere dedicato a promozioni, offerte ma l’80% deve essere rappresentato da contenuti di valore. Queste considerazioni ci aiutano a capire quali sono gli obiettivi primari a cui una social media strategy deve puntare per avere un ritorno economico vantaggioso a fronte degli investimenti fatti (persone, tempo, denaro speso). OBIETTIVI DI UNA SOCIAL MEDIA STRATEGY PER LA FARMACIA • Il numero di fan della pagina o social base. • Il tasso di interazione o engagement cioè la percentuale di utenti che interagisce con i contenuti della pagina. • La raccolta di nuovi contatti. • L’acquisizione di nuovi clienti o lead generation. • La fidelizzazione. • Il numero di clienti che entrano nella vostra farmacia e che decidono di acquistare anche online perché stimolati e attratti dai contenuti pubblicati attraverso le piattaforme social. I primi due, cioè la social base e l’engagement, rappresentano la base di partenza per raggiungere gli altri obiettivi, quelli davvero importanti che sono alla base di ogni attività commerciale, ovvero la lead generation, la fidelizzazione del cliente e l’acquisto finale o vendita. Perché ricordiamolo, la farmacia, pur dovendo osservare un codice etico, rimane sempre e comunque un’attività commerciale che deve generare profitti. I social media quindi non hanno, come molti ancora oggi molti pensano, obiettivi aziendali diversi da quelli del punto vendita fisico, ma bensì gli stessi. Nuovo COLLEGAMENTO

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#FARMACISTADIGITALE

Una presenza social efficace rappresenta quindi un nuovo canale di comunicazione per la farmacia che deve interagire e integrarsi coerentemente con il canale fisico per obiettivi di business comune. I social, infatti, rivestono un ruolo fondamentale nel percorso di acquisto del potenziale cliente perché è in queste piazze virtuali che abitualmente le persone cercano informazioni e prendono decisioni di acquisto. Se il contenuto pubblicato sarà tanto coinvolgente da stimolare commenti, condivisioni, like, click questo, genererà relazione e credibilità e la vendita sarà una logica conseguenza di un rapporto di fiducia creato in precedenza tra la farmacia e il cliente/utente. COME GESTIRE I SOCIAL MEDIA DI UNA FARMACIA La maggiore criticità che ho colto parlando con i farmacisti, è racchiusa in due frasi: • “Sono un farmacista non sono un social media manager!”. • “Non ho tempo!”. È vero: per essere presenti con successo nelle piattaforme social bisogna impegnare tanto tempo, essere costanti e avere una cultura digitale di base. La formazione digitale è imprescindibile: se non ti formi ti fermi. Come può un farmacista titolare risolvere queste problematiche? Ci sono tre scenari POSSIBILI. 1. Può individuare un collaboratore adatto nel suo team di farmacisti con competenze digitali o investire per formarlo digitalmente. Deve decidere con lui gli obiettivi della strategia social e deve farlo lavorare sui social con focus e costanza (almeno part time). 2. Se nel team della farmacia nessuno può occuparsi dei social media, il titolare deve affidarsi a un freelance o ad un’agenzia ma deve guidare attivamente il loro lavoro per centrare gli obiettivi. Ciò presuppone una cultura digitale di base: per collaborare con gli specialisti bisogna parlare lo stesso linguaggio. È necessario investire in formazione digitale! 3. Il titolare è appassionato di social, ci vuole 48

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dedicare del tempo ma si fa aiutare da collaboratori esterni per le cose più tecniche. Quest’ultimo è lo scenario ideale perché il titolare rappresenta la sua attività e nessuno meglio di lui la conosce e puoi esprimere la sua identità e i suoi valori comunicandoli anche nelle piazze virtuali. Nei social, infatti, le persone vanno per raccogliere informazioni che rispondano alle loro necessità, ma vanno soprattutto per relazionarsi con te, in prima persona: ricorda che prima del prodotto la gente compra la tua persona. Nei social devi metterci la faccia! PER ESSERE VINCENTE SUI SOCIAL Devi essere SMART. S come SPECIFIC: scegli il tipo di social con cui comunicare, individua l’obiettivo e il messaggio che devono essere specifici per la tua attività. Parti dalle 5 W: who, what, where, when, which, why. M come MISURABILE: devi cioè essere in grado di misurare e valutare i risultati ottenuti, saper analizzate i dati (Insights) e aggiustate il tiro per le prossime mosse. A come ACHIEVABLE: scegli un obiettivo alla tua portata ma ambizioso. R come RELEVANT: se rispondi ai bisogni in modo rilevante, creando contenuti attinenti al target che vuoi raggiungere e a cui vuoi comunicare, creerai un’esperienza di acquisto attorno al tuo prodotto. T come TIME BASED: identifica il timing di pubblicazione ideale dei contenuti cioè orari, frequenza e giorni, e rispettalo. Questo potenzierà l’efficacia dei tuoi post e delle tue campagne. Il mio personale consiglio è quello di essere curiosi e di cercare di impostare il giusto mindset: lasciare andare i blocchi personali e decidere di iniziare ad attuare una comunicazione digitale di valore, significa cogliere un’opportunità che rappresenta il futuro della vostra attività: siete a un bivio, o si rimane ancorati a un passato che non esiste più o si investe in formazione digitale per sé stessi e per il proprio team. info@farmacista-digitale.it


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AMBIENTE E SALUTE

AVANGUARDIE DEL BENESSERE

di Elena Bottazzi, farmacista

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ello scenario in continua evoluzione a cui si assiste si osserva come i contorni dell’offerta della farmacia cambino rapidamente adeguandosi alle esigenze emergenti e al futuro. Non si tratta però di un fenomeno isolato: questa è la tendenza in diversi settori. Ne è un esempio la nota casa automobilistica Audi. L’innovazione, la sostenibilità e la salvaguardia delle persone all’interno dell’ambiente 50

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è il perno attorno a cui ruota una delle ultime esperienze che vede protagonista il territorio veneto di Cortina d’Ampezzo. Partner dei Campionati del Mondo di Sci Alpino di Cortina 2021, Audi nel tempo ha creato sul territorio ampezzano un vero hub per l’innovazione sostenibile. Già Partner delle zone di Madonna di Campiglio e dell’Alta Badia e della Fondazione Italiana Sport Invernali, è stata protagonista attiva di campagne che favoriscono l’utilizzo di energia


AMBIENTE E SALUTE

a basso impatto ambientale, attraverso l’installazione di numerose colonnine di ricarica elettrica. Questi dispositivi sono integrati nel territorio e immersi nell’arredo urbano, per un miglior rispetto del contesto, e consentono di monitorare l’ecosistema e raccogliere dati che vengono poi studiati ed elaborati per continuare a migliorare l’interazione uomo-ambiente (Audi outdoor digital experience). Per quanto riguarda il territorio di Cortina, individuata come location d’avanguardia e laboratorio d’innovazione, in occasione dei Mondiali Audi ha svelato in anteprima il modello definitivo della granturismo elettrica, esponendola nel centro della località turistica; non è la prima volta che il territorio ampezzano si presta come scenario alle novità ibride e elettriche. Così come, per tutto il periodo dei Mondiali, la casa automobilistica ha messo a disposizione della municipalità venti autovetture, che a zero emissioni abbinano prestazioni sportive e sono studiate per ambienti invernali. L’installazione "Cortina e-portrait" mostra dati su temperatura, precipitazioni, rumore ambientale e condizioni di guida osservati dalle stazioni di rilevamento ambientale Audi, sfruttando l’intelligenza artificiale basata su machine learning e reti neurali per l’interpretazione dei dati, grazie a Celi, società H-Farm. Audi inoltre ha riqualificato il territorio di Fiames, a 4 km dal centro Cortina, realizzando una pista prova permanente di driving experience, l’unica del territorio alpino, per i modelli elettrici. Durante i Mondiali l’area ha ospitato anche l’Audi e-tron charging station, hub di ricarica che consente l’alimentazione simultanea di otto auto contemporaneamente. Infine, gli Audi Talks, appuntamenti che hanno seguito le varie tappe delle gare, e che proseguono oltre, proponendo diversi spunti di riflessione, dalla presenza femminile negli sport invernali, all’equilibrio mente-corpo e cucina sana e locale alla sostenibilità ambientale che si coniuga con eccellenza e performance.

L’idea del benessere dell’intera persona non confinato solo al settore della salute caratterizza anche la particolare proposta del Pronto Soccorso e dell’ Ambulatorio Gastronomico dei fratelli Benigni, a Bergamo, luoghi dove "si curano i dolori dell’anima con il cibo". I nomi "prestati" dal canale salute, intendono porre l’accento sulle proprietà curative che può avere l’alimentazione e di come i piatti vengono preparati e consumati. Il Pronto Soccorso, una gastronomia a portata di mano, per esigenze più rapide e in linea con le restrizioni e difficoltà del periodo, pone attenzione ai metodi di conservazione degli alimenti, privilegiando per esempio il sottovuoto, per permettere alla clientela di allestire il piatto a domicilio mantenendo il più possibile inalterate le caratteristiche organolettiche. Per questo viene dedicato tempo alla comunicazione e ai suggerimenti migliori per un’esperienza sensoriale adatta a mente e corpo. Pur non essendo ancora riusciti a raggiungere la conservazione e la cottura plastic-free, al Pronto Soccorso così come all’Ambulatorio viene comunque posto l’accento sulla sostenibilità e sull’impatto ambientale. All’Ambulatorio si può comprendere ancora meglio quanto il settore gastronomico possa offrire in termini di attenzione alla persona nella sua interezza: oltre ai classici della tradizione lombarda, vengono affiancate proposte appartenenti ad altre località, ma caratterizzati tutti da prima qualità nella scelta degli ingredienti e da una cucina che preferisce distinguersi con un tocco di semplicità, riconoscendosi soprattutto nella classica preparazione delle ricette, più che sulle tendenze "molecolari" o sulla sofisticazione. Dai piatti tipici locali, fino al pesce e alle erbe scelte con cura, la proposta è variegata e attenta anche per esempio alle esigenze della clientela vegetariana. Per curare i dolori dell’anima, ma allo stesso tempo cercando di condividere e raddoppiare le gioie, in un ambiente intimo e tranquillo, in

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AMBIENTE E SALUTE

cui i piatti non intendono solo soddisfare l’appetito, ma anche il gusto, una sensazione che si trova un gradino al di sopra. Il forte legame con il territorio e la tutela dell’uomo all’interno del proprio ambiente è la filosofia di base anche di un’iniziativa lombarda, il Sole e la Terra, nata come gruppo di acquisto, che nel tempo si è ampliata e ha aperto il proprio punto vendita completo di ristoro, alle porte di Bergamo. La ricerca e la diffusione di prodotti biologici e biodinamici, la promozione di stili di vita ecocompatibili caratterizzano l’esperienza all’interno del punto vendita. Nel tempo è stato posto sempre più l’accento sulla sostenibilità, scegliendo per esempio contenitori totalmente biodegradabili per frutta e verdura, normalmente dichiarati tali, ma ecocompatibili solo intorno al 40% e avendo un occhio di riguardo anche verso il sociale,

attraverso la donazione del ricavato della tassa sui sacchetti a un’associazione di volontariato locale. L’attenzione all’ambiente passa dall’utilizzo di materiale biodegradabile anche per gli scontrini, scelta non comune, oltre a un’attenta raccolta differenziata. Sempre in linea con questa filosofia, la presenza di luci led in tutto il punto vendita, prodotti sfusi e canali preferenziali nella commercializzazione di referenze a km 0 e provenienti da distributori locali. L’offerta presta attenzione ai consumatori celiaci, vegani e vegetariani o con particolari necessità nutrizionali; anche il punto di ristoro, oltre a condividere l’idea di alimentazione sana e naturale, offre spazio per la scelta consapevole, per un momento d’incontro e scambio, oppure per l’opzione dell’asporto, soprattutto in questo periodo, attraverso appositi box per le preparazioni.

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WORK IN PROGRESS RIFLESSIONI E CONSIGLI SU COME APPROCCIARSI ALLA RISTRUTTURAZIONE DELLA FARMACIA

a cura di Luca Melchionna, architetto

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ra i quesiti che giungono in redazione, emergono spesso i dubbi che nascono nel momento in cui si decide di ristrutturare la propria farmacia. Abbiamo chiesto lumi all'architetto Luca Melchionna, consulente di Utifar per progettazione e spazi retail. Affrontare una ristrutturazione, a volte, si rivela un’esperienza traumatica. Le cause possono essere le più disparate. Spesso un motivo di tensione, eufemisticamente parlando, è la confusione dei ruoli e, quindi, delle responsabilità. Occorre ricordare che oggi il farmacista si trova a dover dare risposta, anche simultaneamente, ad una serie di incombenze sempre più estranee alla sua professione. Occuparsi anche della Direzione Lavori o del cantiere diventa un esercizio sempre faticoso, spesso inutile, talvolta dannoso.

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Comprendo bene il senso di euforia, di partecipazione che si prova nel dare vita ad un progetto e comprendo la volontà di controllo sulla regolare esecuzione delle opere. Ma in un cantiere sono previste le figure professionali per farlo. Per quanto riguarda la parte emozionale, invece, ognuno la vive come crede. A monte di tutto c’è il progetto. Ovvero: 1) cosa voglio ottenere; 2) a quale costo; 3) in quanto tempo. Il valore di questa analisi è direttamente proporzionale al tempo che le si è dedicato. In questa fase si definisce anche l’attribuzione dei ruoli e delle responsabilità. Chi si occuperà, ad esempio, della redazione delle pratiche amministrative, chi delle verifiche normative, chi dei rapporti con Asl o SFT, chi della Direzione Lavori e così via.


NUOVI PROGETTI

Può succedere che molti degli incarichi vengano. svolti da un solo professionista piuttosto che da diverse figure. In ogni caso ricordiamoci che anche il committente, cosi come il professionista, è responsabile di quello che firma. Non ha valore appellarsi al fatto di non essere un tecnico. Sarebbe come pretendere dall’Avvocato di vincere la nostra causa e, nel caso si perda, dire che non siamo avvocati e dunque non siamo responsabili del mandato conferitogli. Ovviamente ci sono responsabilità alle quali un tecnico, una azienda, un fornitore non possono sottrarsi. E capita anche che nella formula “chiavi in mano”, il general contractor si occupi di tutto. In questo caso bisogna sapere che il controllore ed il controllato coincidono. Ciò non significa assolutamente che le cose andranno male, ma essere consapevoli aiuta a scegliere bene.

Proviamo a dare qualche consiglio: Studiate bene il progetto. Studiate con la stessa attenzione tutte le aree della farmacia. La vostra farmacia è fatta da Farmacisti, non solo dai clienti. Se si lavora in una confort zone, si lavorerà meglio anche a banco. Nei progetti non valgono i colori, le rese virtuali, i disegni affascinanti. Valgono le quote, le misure scritte. Un metro è un metro. Non è “tanto ci si passa“ o “poi lo vediamo in cantiere”. La vostra scrivania, ad esempio, potrà anche essere di solo 80 cm, ma lo avete deciso ed avete misurato dal vero. Avete fatto una analisi ed avete preferito dare più spazio ad altro. Cosa diversa è immaginare di avere una scrivania standard perchè nel progetto c’è disegnata una persona che sembra starci comodamente ed invece poi trovarsi con uno spazio inutilizzabile. Pretendete dai vostri professionisti una alternativa. In genere il “non si può fare” non esiste. Si puo’ fare quasi tutto ma a determinate condizioni. Sarebbe opportuno conoscerle per poter decidere. Leggete bene le descrizioni dei preventivi. Se qualcosa non vi è chiara, chiedete più informazioni scritte. Non date per scontato nulla. È nel vostro diritto e un professionista, azienda, fornitore serio non avrà problemi a rispondervi. Questo vi farà scegliere consapevolmente. Chiedete un cronoprogramma dei lavori. Documento molto importante che tutti gli attori del cantiere devono discutere, condividere e sottoscrivere. Chi lavora può sbagliare. Tutti. Dunque trovo utile, in fase di consegna, redigere, insieme agli esecutori e al Direttore dei Lavori una lista che contempli sia eventuali mancanze (finiture non a regola d’arte, arredi danneggiati, elementi mancanti e/o non funzionanti etc) che eventuali aggiunte richieste dal committente. Anche questa lista diventa un documento univoco e facilmente gestibile da tutti. E vi aiuterà a rispettare il budget. Dunque, se il tempo è denaro, investire bene il tempo nella preparazione e nel progetto vi farà risparmiare denaro ed una buona dose di antiacido, anche se a prezzo di costo. Buona ristrutturazione.

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CONSULENZE UTIFAR Riservate ai soci e gratuite

Se sei socio di Utifar e hai bisogno di una risposta ad un quesito di carattere legale, fiscale, del lavoro, di una consulenza professionale o indicazioni su come allestire un preparato magistrale, invia il quesito per fax o via e-mail a: SEGRETERIA UTIFAR PIAZZA DUCA D'AOSTA, 14 MILANO TEL. 02 70608367 FAX 02 70600297 E-MAIL: utifar@utifar.it

I CONSULENTI UTIFAR FISCALI: Studio Brunello e Partner LEGALI E LEGISLATIVE: Avv. Claudio Duchi, Avv. Paolo Leopardi GALENICHE: Dr.i. Adalberto Fabbriconi, Piero Lussignoli, Mario Marcucci, Pietro Siciliano MEDICINE NON CONVENZIONALI: Prof. Rocco Carbone, Dr.ssa Valentina Petitto ASSICURATIVE: Mutua Tre Esse ENPAF: Dr. Paolo Giuliani BANCARIE E FINANZIARIE: Dr. Giampiero Bernardelle PROGETTAZIONE SPAZI RETAIL E ADEGUAMENTO NORMATIVE: Arch. Luca Melchionna

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I MONITOR IN FARMACIA Vorrei installare degli schermi per mostrare ai clienti informazioni e offerte, sia in vetrina che all’interno della farmacia. Quali autorizzazioni sono necessarie? Quali tasse andrei a pagare? Scegliere un monitor anziché una TV mi permetterebbe di evitare di pagare eventuali canoni RAI? Il monitor in vetrina è considerato al pari di una pubblicità all’esterno? Cosa non posso eventualmente mostrare su questi monitor? Ai sensi dell'art. 17 comma 1 lett. a) del D. Lgs. 15/11/1993 n. 507 è esente dall'imposta comunale sulla pubblicità “la pubblicità realizzata all'interno dei locali adibiti alla vendita di beni o alla prestazione di servizi quando si riferisca all'attività negli stessi esercitata, nonché i mezzi pubblicitari, ad eccezione delle insegne, esposti nelle vetrine e sulle porte di ingresso dei locali medesimi purchè siano attinenti all'attività in essi esercitata e non superino, nel loro insieme, la superficie complessiva di mezzo metro quadrato per ciascuna vetrina o ingresso”. Nel caso di specie si ritiene che il monitor relativo al sistema di videoinformazione collocato internamente alla farmacia rientri nella citata causa di esclusione. Viceversa, le caratteristiche del monitor collocato sul ripiano della finestra sembrano ostacolare il riconoscimento dell'esenzione. In ogni caso, anche in virtù della potestà regolamentare attribuita dall'articolo 3 del D. Lgs. 507/1993 ai Comuni, si consiglia di verificare presso il competente Ufficio tributi l'occorrenza di giustificata causa di esenzione. Si segnala che, ai sensi della lettera b) dell'art. 17 del citato decreto, qualora il messaggio proposto dal sistema fosse esclusivamente diretto a diffondere avvisi al pubblico relativi all'attività svolta (ad esempio orari di apertura, turni), si rientrerebbe in un'ulteriore fattispecie di esenzione dal pagamento dell'imposta. Avv. Paolo Leopardi


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FARMACISTA RICERCATORE Vi scrivo per chiedervi una consulenza riguardo la compatibilità tra una posizione di ricercatore universitario e la partecipazione a una società di farmacisti. Sono laureata in CTF, abilitata alla professione di farmacista e attualmente ho un incarico di ricercatore a tempo determinato (RtdA) presso l'Università. Da ottobre 2019 ho scelto il regime lavorativo a tempo definito. Vorrei ora entrare a far parte della farmacia dei miei genitori che è una Sas, mantenendo la mia posizione universitaria. Posso essere inserita come socio? Se si, posso svolgere attività lavorativa all'interno della farmacia? Sin alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 11 del 5 febbraio 2020 la posizione di socio di una società speziale era sottoposta ai noti vincoli d’incompatibilità dettati dagli articoli 7 e 8 L. 362/91 così come modificati dalla L. 124/2017 nonché art. 13 L. 475/1968. Quindi, l’interessata non avrebbe potuto partecipare alla “società di famiglia”. La pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale, viceversa, consentirebbe la partecipazione sociale purchè, tuttavia, il socio in questione non “sia coinvolto nella gestione della società”. Quindi, nella fattispecie l’interessato potrebbe rivestire il ruolo di socio accomandante senza aver problemi. Ovviamente, la sentenza in parola è direttamente applicabile solo alla fattispecie oggetto del giudizio esaminato e non è applicabile alle fattispecie similari salvo che le Amministrazioni locali non la recepiscano senza proporre ostacoli interpretativi. Per quanto concerne la possibilità di svolgere l’attività lavorativa nella farmacia, detta ipotesi non permette un riscontro certo ma proprio una delle prime sentenze conseguenti a quella della richiamata sentenza della Corte Costituzionale (TAR Toscana n. 223 del 20 febbraio 2020) nel recepire il dettame della Corte ha evidenziato che “non essendo egli un farmacista iscritto all’albo e non essendo in alcun modo coinvolto nella gestione della società in accomandita semplice in questione, all’interno della quale egli riveste la posizione di accomandante”. Ebbene, dalla lettura di detta sentenza sembrerebbe che l’assenza di incompatibilità sia determinata non solo dalla mancanza di ruoli gestori ma anche dalla condizione di non essere farmacista iscritto all’albo. E’ ovvio che questa interpretazione è solo cautelativa e potrà essere completamente stravolta

da provvedimenti resi in diversa direzione. Per questo motivo, sarà opportuno chiedere un parere preventivo all’Autorità Sanitaria competente onde evitare strascichi e contenziosi non voluti. Avv. Paolo Leopardi LA POSITIVITÀ DEL CONIUGE Vorrei sapere se una farmacista il cui coniuge è risultato positivo al Covid-19 può continuare l'attività in farmacia, oppure se deve sospenderla soltanto in caso di sintomatologia respiratoria o esito positivo al tampone. La FOFI, in una recente circolare, ricapitola tutte le misure valide per farmacie e parafarmacie contenute nelle normative aggiornated al Dpcm del 3 novembre 2020. In particolare, da parte della Fofi viene ricordato che “prima dell'accesso al luogo di lavoro dovrebbe essere rilevata la temperatura corporea del personale” e anche eventualmente nel caso di comparsa di sintomatologie riconducibile al Covid-19. In caso di “temperatura superiore ai 37,5 non dovrà essere consentita la permanenza ai luoghi di lavoro. Le persone in tale condizione devono essere immediatamente isolate e non dovranno recarsi al Pronto soccorso”. A sua volta “il lavoratore comunica la situazione al proprio medico di medicina generale, che stabilisce i giorni di assenza”. Il certificato inviato all'Inps contiene la motivazione della richiesta e la diagnosi. Nel caso la certificazione della malattia contenga anche il codice Covid-19, il lavoratore è segnalato dal medico alla propria Asl per l'avvio della gestione del malato. Superato il periodo di malattia in assenza di ulteriori sintomi è il medico di Medicina generale che pone termine al periodo di malattia. In ogni caso, “la sanificazione dei locali è obbligatoria e immediata in caso di esiti positivi di lavoratori. È fortemente raccomandata comunque la sua periodicità con una frequenza di almeno 1 volta ogni 10-15gg, in funzione della tipologia e delle modalità di esecuzione”. In generale, oltre a “igienizzazione e pulizia quotidiana”, anche “l'areazione dei locali è una parte importante del biocontenimento. E' necessario favorire quanto più possibile la stessa durante il normale orario di lavoro”. Da parte del lavoratore, a ogni modo, viene racNuovo COLLEGAMENTO

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comandato il rispetto del “distanziamento sociale con il cliente-utente”, ma anche “interpersonale di almeno 1 metro, ponendo particolare attenzione ai comportamenti di prevenzione anche nelle fasi operative extra lavoro (per esempio riunioni, pausa pranzo, e così via)”. Per quanto riguarda la gestione dei casi accertati, della quarantena - di persone sane per la durata del periodo di incubazione - e dell'isolamento - di casi di documentata infezione -, il riferimento più recente è la circolare del Ministero della Salute del 12 ottobre 2020. In particolare, in caso di positività occorre distinguere tre situazioni: se il tampone è positivo e il soggetto è asintomatico, “il rientro in comunità avviene dopo un periodo di «almeno 10 giorni dalla comparsa della positività” ma con “esecuzione di test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test)”. Nel caso, invece, di soggetto sintomatico, il “rientro in comunità avviene dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo) accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test)”. Ci sono poi i casi positivi a lungo termine, cioè coloro che, pur non presentando più i sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per Sars-CoV-2: in caso di assenza di sintomatologia da almeno una settimana, potranno interrompere l'isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie in caso di fragilità. Avv. Paolo Leopardi I SERVIZI DELL’ESTETISTA Mi piacerebbe dedicare una stanza più che ad una cabina estetica ad una sorta di ambulatorio di chirurgia estetica per trattare piccole ferite, ustioni di primo grado, volendo fare iniezioni perioculari di botulino. La stanza è separata dalla zona vendita ed è dotata di lavabo. I servizi sarebbero naturalmente svolti incaricando un chirurgo estetico, o un infermiere secondo i casi. La legge 1/90 prevede: “l’attività di estetista comprende tutte le prestazioni ed i trattamenti eseguiti sulla superficie del corpo umano il cui scopo 60

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esclusivo o prevalente sia quello di mantenerlo in perfette condizioni, di migliorarne e proteggerne l’aspetto estetico, modificandolo attraverso l’eliminazione o l’attenuazione degli inestetismi presenti . Tale attività può essere svolta con l’attuazione di tecniche manuali, con l’utilizzazione degli apparecchi elettromeccanici per uso estetico, di cui all’elenco allegato alla presente legge, e con l’applicazione dei prodotti cosmetici definiti tali dalla legge 11 ottobre 1986, n. 713. Naturalmente “sono escluse dall’attività di estetista le prestazioni dirette in linea specifica ed esclusiva a finalità di carattere terapeutico” , perché l’estetista – questo è sicuro – non è un professionista sanitario. Quindi, sia i trattamenti eseguiti con il ricorso alle sole tecniche manuali che quelli praticati con l’ausilio degli specifici macchinari indicati in allegato alla L. 1/90 – e che elenchiamo di seguito – sono parimenti riservati all’estetista e a nessun altro: • Vaporizzatore con vapore normale e ionizzato non surriscaldato; • Stimolatori ad ultrasuoni e stimolatori a microcorrenti; • Disincrostante per pulizia con intensità non superiore a 4 mA; • Apparecchio per l’aspirazione dei comedoni con cannule e con azione combinata per la levigatura della pelle con polvere minerale o fluidi o materiali equivalenti; • Doccia filiforme ad atomizzatore con pressione non superiore a 80 kPa; • Apparecchi per massaggi meccanici al solo livello cutaneo, per massaggi elettrici con oscillazione orizzontale o rotazione; • Rulli elettrici e manuali; • Vibratori elettrici oscillanti; • Apparecchi per massaggi meccanici o elettrici picchiettanti; • Solarium per l’abbronzatura con lampade UV-A o con applicazioni combinate o indipendenti di raggi ultravioletti (UV) ed infrarossi (IR); • Apparecchi per massaggio ad aria o idrico con aria a pressione non superiore a 80 kPa; Scaldacera per ceretta; • Attrezzi per ginnastica estetica; • Attrezzature per manicure e pedicure; • Apparecchi per il trattamento di calore totale o parziale tramite radiofrequenza restiva o capacitiva; • Apparecchio per massaggio aspirante con coppe


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di varie misure e applicazioni in movimento, fisse e ritmate e con aspirazione non superiore a 80 kPa; • Apparecchi per ionoforesi estetica sulla placca di 1 mA ogni 10 centimetri quadrati; • Depilatori elettrici ad ago, a pinza o accessorio equipollente o ad impulsi luminosi per foto depilazione; • Apparecchi per massaggi subacquei; • Apparecchi per presso-massaggio; • Elettrostimolatore ad impulsi • Apparecchi per massaggio ad aria compressa con pressione superiore a 80 kPa; • Soft laser per trattamento rilassante, tonificante della cute o foto-stimolante delle aree riflessogene dei piedi e delle mani; • Laser estetico defocalizzato per la depilazione; • Saune e bagno di vapore. Di conseguenza, eviterei le prestazioni a carattere terapeutico riservate ai professionisti sanitari (in primis il medico dermatologo). Avv. Paolo Leopardi ASSUNZIONE IN FAMIGLIA Ho intenzione di implementare presso la nostra farmacia un servizio di consegna a domicilio per il quale ho necessità di assumere una lavoratrice, non farmacista, alla quale affiderei inoltre lo sviluppo dei canali di comunicazione social e marketing. La farmacia è configurata come SNC e la mia volontà è di assumere mia moglie per svolgere, anche tramite Smart working, le mansioni previste. La problematica che ci viene sollevata dal consulente del lavoro è che il rapporto di lavoro che verrebbe a crearsi possa escludere accertamenti INPS unicamente se l’assunzione fosse configurata in un contesto di impresa familiare. Si chiede quale possa essere l’inquadramento lavorativo più consono e coerente a quanto descritto. Per quanto riguarda le società di persone (Snc, Sas...), generalmente il rapporto subordinato instaurato tra parenti non è riconosciuto, salvo il caso delle prestazioni rese in forma occasionale. Nelle altre ipotesi, il rapporto viene considerato collaborazione familiare ed assoggettato agli obblighi contributivi delle gestioni previdenziali autonome: il familiare, in pratica, è iscritto come collaboratore familiare - coadiutore presso una delle gestioni Inps dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti...).

Si può comunque giustificare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra familiari, dimostrando l’effettivo esercizio del potere direttivo e gerarchico del socio che ha il controllo della società verso il familiare dipendente: dimostrare la subordinazione, però, non è affatto semplice, in quanto è richiesta una prova rigorosa. Detta prova sarà possibile solamente in presenza di determinati indici di subordinazione: onerosità della prestazione e corresponsione di un compenso a cadenze fisse; presenza costante presso il luogo di lavoro previsto dal contratto; osservanza di un orario di lavoro (il titolare si avvale dell’attività del familiare con continuità e programmazione). Se la presenza di questi elementi è provata (attraverso, ad esempio, la presentazione di buste paga, giornaliere, etc.), il lavoro subordinato potrebbe essere considerato valido a tutti gli effetti, a prescindere dal vincolo di parentela. Tuttavia l'INPS, come evidenziato dal Consulente del Lavoro del richiedente, difficilmente riconosce detta subordinazione nonostante qualche precedente giurisprudienziale in tal senso (Sezione Lavoro della Cassazione n. 23129/2010). Avv. Paolo Leopardi IL LABORATORIO NEL LOCALE VICINO Attualmente abbiamo un laboratorio galenico quindi produciamo multipli officinali con estratti vegetali appartenenti alle liste autorizzate. Vorremo produrre ed esporre anche prodotti contenenti vitamine, minerali eccetera. Poiché il TAR ha sentenziato che si può aprire un laboratorio galenico della farmacia anche in locali non legati alla piantina della farmacia ma adiacenti, noi vorremo: aprire un laboratorio galenico in un locale vicino alla nostra farmacia e avendo più spazio a disposizione fare anche la richiesta per aprire un laboratorio di integratori (ovviamente distinto e separato dal galenico).Sapreste indicarmi la legislazione e le procedure da seguire? Il TAR Lombardia, sezione di Milano, ha affermato, effettivamente, la possibilità per una farmacia di organizzare il proprio laboratorio in un locale -non accessibile al pubblico- separato dalla farmacia stessa. A dare origine al contenzioso era stato il diniego opposto dalla Azienda sanitaria locale (Ats), su conforme parere del ministero della Salute, a tal Nuovo COLLEGAMENTO

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Domande e Risposte

fine interpellato dalla Regione Lombardia. Il TAR, con sentenza n. 659 del 22 aprile 2020, rileva che dalle norme richiamate dalla Ats (artt. 109, 110 e 119 Tuls), “non si ricava affatto una chiara incompatibilità in astratto della separazione fisica di una parte del laboratorio galenico con la restante parte della farmacia, né si ricava -per converso- la necessità che, ai fini del corretto espletamento del servizio farmaceutico, debba sussistere un collegamento fisico, oltre che funzionale, tra tutti i locali della farmacia, ivi inclusi quelli che nulla hanno a che vedere con l’accesso degli utenti”. In particolare, il richiamato art.109 Tuls, secondo il TAR Lombardia non fornisce “ulteriori indicazioni preclusive di una articolazione della sede su più locali, non fisicamente collegati”. Inoltre, la formula “locali annessi”, prevista dall’art. 110 del Tuls (in merito al subentro nella titolarità di una farmacia), non costituisce un riferimento univoco a locali fisicamente collegati, come peraltro dimostra anche l’istituto del dispensario. Anche il riferimento all’art. 119 Tuls -che l’Ats richiamava per far discendere dal principio della responsabilità personale del titolare l’impossibilità che essa sia articolata in locali separati- secondo il TAR non osta, perché nuove norme non impongono più al titolare una gestione diretta e personale dell’esercizio e dei beni patrimoniali e, pertanto, non comportano criticità a una separazione dei locali. Infine, il TAR afferma che neppure la “quantità” degli allestimenti modifica la loro natura di preparati galenici magistrali. Infatti, quando l’attività si concretizza nell’esecuzione di una ricetta magistrale, il prodotto rimane pur sempre galenico, e non diventa “industriale”. A nulla vale, continua la sentenza, il richiamo a quanto sanzionato dal TAR Puglia sul divieto di autoanalisi in locali separati, poiché tale sentenza riguardava l’erogazione di prestazioni analitiche di prima istanza, che per loro natura implicano, a differenza dall’allestimento di preparati galenici, l’utilizzo di locali della farmacia aperti al pubblico. Tuttavia, come detto precedente, regola esclusivamente la fattispecie analizzata e, pur rappresentando un precedente, potrebbe non essere recepito dall'Autorità competente al rilascio dell'autorizzazione nella Regione di riferimento. Di conseguenza, la procedura e la legislazione da utilizzare, saranno le vecchie norme, peraltro richiamate nella sentenza citata oltre a quelle locali

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ma facendo riferimento alla novità rappresentata dalla sentenza. Di seguito se l'Autorità recepirà l'istanza positivamente tutto si concluderà positivamente per l'interessata, viceversa, se l'Autorità non accogliesse l'istanza, sarà necessario attivare il contenzioso innanzi al TAR locale facendo leva sul precedente giurisprudenziale. Avv. Paolo Leopardi E-COMMERCE DELLA FARMACIA Ho avviato un e-commerce legato alla farmacia per la vendita di integratori alimentari, cosmetici e altri prodotti per il benessere e l’igiene. Per il momento non ho intenzione di richiedere l’autorizzazione per la vendita on-line di SOP e OTC. Vorrei sapere se, senza la predetta autorizzazione, posso vendere tramite il mio e-commerce integratori alimentari come, per esempio, quelli che aiutano la funzionalità prostatica. La vendita di farmaci online è regolamentata dall’art.112- quater del D.lgs. n. 219/2006 – così come modificato dal D.lgs. n. 17/2014, che ha recepito la Direttiva 2011/62/UE – e dalle circolari emanate dal ministero della Salute a gennaio e maggio del 2016, che disciplinano la procedura di richiesta di autorizzazione e le modalità di vendita su internet. Sono ammessi alla vendita online solo i farmaci senza obbligo di prescrizione (Sop) e i farmaci da banco (Otc), presenti in un apposito elenco disponibile sul sito dell’Aifa. Si possono inoltre acquistare su internet prodotti parafarmaceutici e omeopatici, salvo che il produttore abbia precisato che il medicinale può essere venduto solo dietro presentazione di ricetta medica (nel qual caso può essere acquistato solo nei punti vendita fisici). Mentre, quindi, è permessa la vendita di integratori e prodotti afferenti al benessere, è vietata la vendita sul web dei farmaci che necessitano di ricetta medica, dei medicinali veterinari (tranne quelli senza obbligo di ricetta ad azione antiparassitaria e disinfestante per uso esterno, nonché i farmaci per piccoli animali da compagnia) e le formule officinali. La vendita di medicinali e prodotti farmaceutici mediante e-commerce è consentita solo ad alcune categorie di soggetti autorizzati alla vendita di medicinali mediante i canali off-line, ovvero le farmacie, le parafarmacie e i così detti “corner salute”


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presenti negli esercizi commerciali della Grande Distribuzione, che hanno ottenuto la licenza e l’autorizzazione alla vendita da parte del Ministero della Salute. Avv. Paolo Leopardi IL LAVORO DURANTE FERIE E PERMESSI Un farmacista dipendente a tempo pieno, durante le ferie o permessi, piò lavorare in altra farmacia con accordo di tutte la parti? Quali adempimenti deve seguire con le Asl di riferimento? Per le ferie è previsto il veto dal CCNL per i permessi ciò non è previsto ma i permessi possono essere utilizzati solo per motivi di necessità tra i quali, ovviamente, non rientra il secondo lavoro. Avv. Paolo Leopardi CONSERVAZIONE DELLE BOLLE DI CONSEGNA Per quanto tempo occorre conservare le bolle di consegna di farmaci (non solo stupefacenti) e ossigenoterapia? Si possono archiviare digitalmente? E in tal caso quali procedure occorre seguire? Basta la semplice scansione e il salvataggio su un disco? I termini di conservazione sono 5 anni per il fisco e 10 anni per il codice civile. E’ ammessa la conservazione digitale che non avviene mediante una semplice scansione o salvataggio su disco bensì con una procedura che cristallizza e rende non più modificabile il dato salvato digitalmente. Solitamente questi servizi vengono offerti dalle stesse software house che rilasciano i gestionali contabili oppure è possibile rivolgersi ai provider che forniscono servizi digitali (es. CNS,SPID,PEC). Avv. Paolo Leopardi EMULSIONE ORALE CON PROPANOLOLO Vorrei chiedere informazioni sull’allestimento di una emulsione O/A per uso orale. Chiedo qualche esempio per una formulazione semplice e, nello specifico, il principio attivo da formulare è il propranololo cloridrato. Ecco una formulazione: Propranololo 100 mg. Acqua depurata conservata ml 20 Acido citrico soluzione al 25% 0,4 ml Sciroppo semplice q.b. a 100ml. Per procedere, sciogliere completamente il propranololo nella quantità prescritta di acqua.

Aggiungere gran parte della quantità prevista di sciroppo semplice. Portare a pH 3 con l'acido citrico e portare infine a volume con la restante parte di sciroppo semplice. Periodo di stabilità 45 giorni. Conservare a temperatura compresa tra 2 e 8 °C. Conservare a riparo dalla luce. Confezionare in contenitore scuro avendo cura che non ci sia all'interno del contenitore primario aria residua. Si potrebbe utilizzare una siringa scura o protetta dalla luce in modo che ad ogni somministrazione non ci sia aria residua all'interno del contenitore. Adalberto Fabbriconi, Piero Lussignoli, Mario Marcucci, Pietro Siciliano IL REGISTRO DELL’ALCOOL Buongiorno, vorremmo sapere se e' obbligatorio continuare ad aggiornare il registro di carico e scarico dell'alcool anche quando il quantitativo di alcool etilico non denaturato, soggetto a pagamento di accisa, presente in laboratorio e' inferiore ai 20 litri. Abbiamo iniziato a compilare il registro a marzo quando abbiamo superato i 20 litri di alcool etilico non denaturato detenuto in farmacia, ora siamo costantemente al di sotto di questi quantitativi. La norma che regolamenta l'utilizzo dell'alcol etilico (denaturato o meno) è Il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. Tale norma relativamente all'uso di Alcool etilico denaturato utilizzato in farmacia indica che chiunque intende detenere in deposito alcole etilico denaturato (anche le farmacie) in quantità superiori a 300 litri, deve farne denuncia al competente U.T.F.. Le ditte che conservano nei propri locali di vendita, alcool denaturato, in quantità superiori a 300 litri già confezionato in recipienti dalla capacità nominali di cc. 250, 500, 750, 1000, 2000 e 5000 chiusi in modo ermetico, tale che non sia possibile l'apertura senza lasciare tracce visibili di effrazione, sono esonerate dalla tenuta del registro di carico e scarico, sotto l'osservanza del rispetto di alcune condizioni riportate nell'art. 1 comma 8 Legge 524/96. Per quanto concerne invece l'alcool etilico puro, il farmacista è esonerato dalla denuncia UTF (Ufficio Tecnico di Finanza) se il volume totale di alcool etilico conservato in farmacia non supera 20 litri. Adalberto Fabbriconi, Piero Lussignoli, Mario Marcucci, Pietro Siciliano

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PREPARAZIONE DI POMATA OFF LABEL Vorrei sapere in quale regime di dispensazione rientra la seguente preparazione magistrale: amitriptilina 600mg in VERSATILE CREAM (fagron) 29,4g. Sic Volo. L'Aifa ha esteso le indicazioni d'uso della amitriptilina, prevvedendone l'utilizzo, per uso orale, nel dolore neuropatico con pubblicazione in G.U. del 02.01.2009. Per quanto in letteratura vi siano varie evidenze scientifiche che descrivono l'uso topico della amitriptilina nel trattamento del dolore neuropatico, non ci risulta essere attualmente registrata nessuna specialità medicinale (in Italia o in Europa) a base di Amitriptilina per uso topico e/o ginecologico. Se la ricetta in questione è prescritta da un Ginecologo, potrebbe essere stata infatti richiesta per problemi di Vulvodinia, che viene considerata una sindrome del dolore neuropatico. Quindi tale prescrizione se prescritta per dolore neuropatico è conforme alle indicazione terapeutiche registrate ma risulta essere OFF-LABEL per via di somministrazione e quindi necessita dei formalismi prescrittivi previsti dalla legge 94/1998 così detta Legge Di Bella. Adalberto Fabbriconi, Piero Lussignoli, Mario Marcucci, Pietro Siciliano COLLUTORIO A BASE DI CLOREXIDINA Uno studio dentistico ci chiede: clorexidina 5% soluzione idroalcolica 100ml. Come devo procedere per la preparazione? In Tabella 8 F.U.Italiana XII edizione è riportata la concentrazione massima pro dose per la Clorexidina dello 0,2% per sciacqui boccali per cui necessita di ricetta con assunzione di responsabilità da parte del medico. La formula può essere la seguente (tratta da Codex): Clorexidina digluconato 20% 25 grammi Menta essenza 0,04 grammi Polisorbato 80 0,2 grammi Alcool etilico 96° 9,5 grammi Acqua depurata q.b. 100 ml Per quanto riguarda lo zinco cloruro al 30% si può usare la medesima formula sottraendo la quantità in eccesso del p.a. (rispetto alla formula della clorexidina) all'acqua depurata.

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Lo zinco cloruro non ha concentrazioni max pro dose e pro die in Tab 8 per cui si dovrebbe far riferimento al medicinale di origine industriale in commercio. Se il medicinale ha concentrazione inferiore al 30% è necessaria l'assunzione di responsabilità da parte del prescrittore. Si fa notare che attualmente le linee guida in campo odontoiatrico prevedono l'utilizzo di soluzioni per sciacqui boccali SENZA LA PRESENZA DI ALCOOL in quanto tale sostanza è riconosciuta come causa di cancro della testa e del collo (inteso come cavità orale, faringe, laringe); per tale ragione si cerca, per quanto possibile, di evitare tale sostanza. Adalberto Fabbriconi, Piero Lussignoli, Mario Marcucci, Pietro Siciliano DIFESE VETERINARIE Un cliente mi ha richiesto una preparazione veterinaria immunostimolante liquida per il proprio cane in quanto i farmaci in compresse gli risultano di difficile deglutizione. Posso usare estratti fluidi o tinture madri? O potete consigliarmi un'altra preparazione? La scelta dei principi attivi ricade sul medico veterinario prescrittore. Comunque l'utilizzo di tinture madri ed estratti fluidi deve essere ben valutata in quanto tali prodotti apportano un certo quantitativo di etanolo non sempre tollerato dall'animale. Pertanto una soluzione potrebbe essere quella di utilizzare degli estratti secchi titolati (estratti fluidi e tinture madri di norma non lo sono) da veicolare in una base sospendente, magari aromatizzata per migliorarne la palatabilità. Adalberto Fabbriconi, Piero Lussignoli, Mario Marcucci, Pietro Siciliano

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