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UOMINI & DONNE

FOCUS di Alice Pedrazzi e Massimo Mattacheo

NEL BASKET ITALIANO SONO SOLO DUE LE SOCIETÀ CHE HANNO SIA LA SQUADRAMASCHILE CHE FEMMINILE NEL MASSIMO CAMPIONATO. LA NOSTRA ATTENTA ANALISI, ATTRAVERSO I VARI PAESI, DIMOSTRA COME NON SIA SOLO UN’UTOPIA AUMENTARNE IL NUMERO, MA LA PROVA CHE SIA NECESSARIO

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Nell’eterno conflitto (sano e stimolante, s’intende) con le cugine-rivali del volley, c’è una voce che sorride alle donne dei canestri: nel basket nostrano sono due le società (Reyer Venezia e Virtus Bologna) che hanno tanto la squadra femminile quanto quella maschile nel massimo campionato nazionale. Nel volley solo una (Monza). Quindi? Che razza di dato sarebbe questo? Per comprenderlo fino in fondo, occorre procedere con ordine, incamminandosi per le vie di un ragionamento che parte da lontano e ha molto a che vedere con la crescita, anche mediatica, dello sport femminile e tanto da imparare da altri sport (anche se non - piccola soddisfazione che molte cestiste condivideranno – dalla pallavolo. Almeno in questo caso). Già, perché – ad esempio - l’esplosione del calcio femminile, emerso quasi dal nulla e negli ultimi anni capace di conquistarsi a suon di record spazi ed attenzioni, c’entra molto con il ragionamento che qui si prova ad impostare. Partiamo.

Il movimento cestistico italiano vanta ancora pochi club che hanno allestito sia una squadra maschile sia una femminile di alto livello: il caso più celebre è quello della Reyer Venezia – capace negli ultimi anni di trionfare a ripetizione con Daye e compagni e di confermarsi come solida realtà anche nel femminile. Alla società veneta, attenta alla crescita del club a 360° (un esempio è la Reyer High School Cup, progetto in cui si intrecciano educazione dei ragazzi, marketing e comunicazione) si è aggiunta, dall’estate del 2019, anche la Virtus Bologna: le Vu Nere, con un passato ed un presente gloriosi a livello maschile, hanno deciso di investire anche nel femminile, con l’obiettivo di avvicinarsi sempre di più ai grandi club europei. Non a caso due piazze che respirano basket da decenni, due città dove la passione si aggira tra canali e portici con una forza capace di coinvolgere flussi importanti di persone e imprenditori di livello. Della pallavolo per una volta possiamo non curarci: un’unica squadra, sia femminile che maschile, milita nella massima serie, il Monza.

REYER TONUT E DE PRETTO POSANO PER LA PRESENTAZIONE DELLA MAGLIA 2019/20, LA DIVISA È LA STESSA SIA PER GLI UOMINI CHE PER LE DONNE.

Ma attenzione, stropicciamoci gli occhi per il calcio femminile italiano: il 2016 è stato un anno sfavillante, con il Mapei Stadium di Reggio Emilia teatro della finale di Champions League tra Olympique Lione – poi campione – e Wolsfburg. Due giorni dopo, sabato 28 maggio, Real e Atletico Madrid si sono sfidate al Meazza di Milano per incoronare la Regina maschile del calcio europeo. Tre giorni in cui l’Italia è stata centro di gravità permanente del mondo calcistico. Un traino mica da ridere, per il movimento, che – forse – ha inciso anche sulla scelta fatta nella stagione successiva da moltissimi altri club: a partire dall’annata 2016/17 sono state diverse le società che hanno iscritto la propria squadra femminile alla Serie A, rendendo il campionato più competitivo e smuovendo anche l’interesse delle principali tv nazionali. La punta di un iceberg comunque solido? Il Mondiale di Francia, anno 2019.

L’hashtag #RagazzeMondiali, che ha accompagnato l’avventura - terminata ai quarti di finale contro l’Olanda, poi finalista - delle ragazze guidate dalla ct Milena Bertolini, e i grandi numeri fatti registrare da Rai e Sky (complessivamente 24,3 milioni di spettatori hanno guardato le cinque partite dell’Italia, repetita iuvant: ventiquattro virgola tre milioni di spettatori!) sono il segnale di una passione che ha iniziato a bruciare forte e della voglia di crescere, e battere record, del movimento femminile. L’arcinoto sold out fatto registrare dal big match Juventus-Fiorentina giocato all’Allianz Stadium e trasmesso in diretta da Sky Sport, ne è la più eclatante rappresentazione plastica. I grandi club italiani si sono così lanciati in campagne di comunicazione volte a fare conoscere le protagoniste: è il caso, ad esempio, della Juventus che, con l’iniziativa #HimAndHer, ha affiancato, in interviste autoprodotte, giocatori e giocatrici di Serie A. Potere dello story-telling, così famoso, così efficace, per sfondare la barriera del sommerso e diventare uno sport di cui si parla anche al bar. Già, anche al femminile.

E dall’Europa, nessuna nuova? Al contrario, siamo pieni di modelli virtuosi come Spagna e Inghilterra che, negli ultimi anni, hanno visto forti investimenti da parte dei club nel calcio femminile. Iberdrola, Main e Title, sponsor della Primera Division Femenina, e Barclays, sponsor della Women’s Super League, sono aziende che si sono fatte promotrici dello sviluppo nei due paesi, anche attraverso l’organizzazione e la realizzazione di campagne sulla parità di genere tra uomo e donna ed educative, finalizzate ad avvicinare al mondo del calcio il maggior numero possibile di ragazze che frequentano le scuole. In Inghilterra e in Spagna sono nove le squadre che disputano il massimo campionato maschile ad avere una corrispondenza (di sportivi sensi) al femminile in Serie A. Dal luglio 2020 all’elenco delle squadre iberiche si aggiungerà anche il Real Madrid, che ora gioca ancora sotto il nome di CD Tacon pur allenandosi già a Valdebebas. L’affluenza? Robe da non credere: le gare tra Atletico Madrid e Barcellona con 60.739 spettatori al Wanda Metropolitano e l’amichevole tra Inghilterra e Germania, con oltre 77.000 tifosi ad affollare gli spalti di Wembley, parlano da sole. Numeri che il basket femminile si può solo sognare? Può essere, ma intanto tre considerazioni: sognare mica costa. Ed i sogni, se costruiti con passione, lungimiranza e sacrificio, qualche volta – sì – s’avverano. E la più importante: tutti i grandi sognatori, hanno dei modelli a cui ispirarsi. Avanti allora.

RECORD DOMENICA 24/3/19, 39.000 SPETTATORI ALLO STADIO PER LA PARTITA DI CALCIO FEMMINILE TRA JUVENTUS E FIORENTINA. IL BIGLIETTO È GRATIS.

In Inghilterra, in questa stagione, si è svolto il weekend del calcio femminile (16 e 17 novembre 2019): approfittando di una pausa della Premier League, le formazioni sono scese in campo nei grandi stadi in cui solitamente giocano i colleghi uomini. Un evento che ci ricorda, fortemente, il nostro Opening Day, una delle migliori trovate di marketing della Lega Basket Femminile, copiata infatti anche da altri paesi europei, che adesso avrebbe forse bisogno di un po’ di restyling per rinfrescare il suo appeal.

Il modello maschile-femminile funziona, dunque. E può essere la chiave dello sviluppo anche della metà rosa del cielo dei canestri. Germania, Francia, Olanda, Stati Uniti e Brasile, tutti nel calcio hanno celebrato matrimoni di genere: in Germania, sei squadre di Bundesliga hanno la corrispettiva femminile in Serie A. In Francia la Federazione ha deciso di destinare una parte dei premi della vittoria del Mondiale maschile del 2018 al movimento femminile. In Olanda l’Ajax, per volontà del proprio Direttore generale Edwin Van Der Sar (in passato portiere della Juventus) nel 2019 ha firmato, insieme a Ko Andriessen (direttore del sindacato ProProf), un accordo di equiparazione dei contratti tra uomini e donne: un passo importante verso il professionismo del calcio femminile. Negli USA – che si vantano della Nazionale femminile più titolata del mondo - il calcio è radicato sin dagli anni Settanta, in seguito all’entrata in vigore della legge Title IX che ha messo fuori gioco la discriminazione di genere nei programmi di istruzione promossi dalla Federazione e ha favorito lo sviluppo delle squadre di calcio nei college americani. Già, perché la discriminazione di genere nello sport è fuori legge. Anche da noi sarebbe fuori legge. Il gap però sta tutto tra il condizionale e l’indicativo.

In Brasile c’è un modello più che interessante: la CBF – la Federazione – in accordo con la CONMEBOL – la Confederazione Sudamericana di Calcio - ha introdotto, a partire dal 2018/19, una novità nel Regolamento delle Licenze dei club: tutte le squadre maschili che intendono prendere parte alla Copa Libertadores devono avere necessariamente una corrispettiva femminile militante in un campionato nazionale o regionale. Eccola l’idea forse più forte. Viene dal Brasile. Perché non pensare (sognare?) di estenderla al nostro italico mondo dei canestri? Perché non osare copiare da chi, sui campi, ha dimostrato che può essere vincente, tanto per i maschi quanto per le donne?

Parole, parole, parole, si dirà. Soltanto parole. E pure inutili. Che cosa ci azzeccano tutti questi virtuosi esempi con le nostre, particolarissime vicende cestistiche? Si sente già l’eco di quelli del “vorrei ma non si può” (che poi sarebbe meglio dire “vorrei ma non oso”), “Ma il basket è cosa diversa”, “Il femminile è più tecnico del maschile, ma ha meno appeal” (che poi cosa vuol dire “più tecnico”, non si è mai capito), “Eh ma le donne non schiacciano”, “È tutta questione di revenue, sono gli sponsor che mancano”...Ed invece, se saliamo nell’Olimpo del basket, là dove tecnica, fisica, marketing, show e spettacolo sono spinti all’ennesima potenza, se sbarchiamo oltreoceano nel dorato mondo del basket Usa ci troviamo davanti a cinque nomi che dovrebbero indicarci la via: Robert Sarver, Joe Tsai, Herb Simon, Ted Leonsis e Glen Taylor. Professione?

Proprietari, rispettivamente, delle franchigie NBA di Phoenix (Suns), Brooklyn (Nets), Indiana (Pacers), Washington (Wizards) e Minnesota (Timberwolves). Segni particolari? Proprietari, rispettivamente, anche delle franchigie WNBA di Phoenix (Mercury), New York (Liberty), Indiana (Fever), Washington (Mystics) e Minnesota (Lynx), quella della nostra Cecilia Zandalasini. Sono cinque dunque le franchigie NBA che hanno una sorella in WNBA. Allora forse non solo si può, ma conviene anche. Pensare che tutti i club maschili abbiano una loro versione femminile, è davvero solo un’utopia? Oltre alla sfida Reyer-Virtus, che si declina già sia al maschile che al femminile, aggiungere alle mitiche ed imprescindibili storie infinite tra Schio, Ragusa, Lucca, Geas e tutte le altre protagoniste del movimento, anche i derby Milano-Cantù o Milano-Varese o le sfide Sassari-Reggio Emilia o Trento sarebbe davvero un azzardo?

Chissà, forse l’Italia, anche nel nome del “suo” Kobe che, per amore (di padre) e passione (di basket), è stato il più illustre sostenitore che il basket femminile abbia avuto, potrebbe davvero incamminarsi su questo (bel) sentiero per far volare un movimento che può andare lontano.

USA CINQUE FRANCHIGIE NBA HANNO UNA SORELLA IN WNBA, TRA CUI ANCHE MINNESOTA DELLA NOSTRA ZANDALASINI.

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