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L’ORA DI SARA
from PINK BASKET N.32
by Pink Basket
Cover Story di Simone Fulciniti
LA GIOCATRICE CHE TUTTI VORREBBERO AVERE. POTENTE, DINAMICA, DETERMINATA AD OTTENERE GLI OBIETTIVI PREFISSATI. DOPO AVER GIROVAGATO PER UN PO’ SEMBRA AVER TROVATO A SESTO SAN GIOVANNI LA PIAZZA IDEALE PER RENDERE AL MEGLIO. E NEL FRATTEMPO SOGNA L’EUROLEGA
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Grinta, applicazione, talento e fisico d’acciaio. Queste sono le virtù che fanno di lei una delle cestiste più quotate nel panorama nazionale. Sara Crudo, ligure, classe 1995, dopo anni di brillante gavetta, è finalmente giunta all’atteso momento della consacrazione, sancita dalla convocazione in nazionale maggiore per le sfide in terra Slovacca e al Palabubani di Faenza, entrambe vinte dalle azzurre. Il suo obiettivo è vincere il più possibile con l’attuale casacca del Geas Sesto San Giovanni, e per il futuro punta a disputare l’Eurolega. Un sogno che potrebbe diventare presto realtà, data la mentalità, considerati i mezzi a disposizione. E pensare che agli inizi non era interessata al basket più di tanto.
«Mi piacevano gli sport in generale. Ai tempi delle elementari, per esempio giocavo a calcio, in porta e in attacco. E facevo anche nuoto. Il basket l’ho approcciato a scuola, nell’intervallo, e nelle ore di educazione fisica, quando arrivavano allenatori da Bordighera per far conoscere ai ragazzini questo sport, attraverso mini corsi. Ho iniziato ad appassionarmi: giocavo sempre coi maschi mai con le bimbe. Ma nel frattempo salivo sugli alberi, facevo palla prigioniera, ero super dinamica». Tuttavia il talento per la palla spicchi è piuttosto evidente.«Un giorno una persona mi venne a chiedere di provare in una squadra femminile Under 13, Ospedaletti. Non mi piacque: ero abituata a giocare coi maschi. Poi cominciò a piacermi sempre di più».
Sara gioca bene, è alta, fisicamente sovrasta le altre. Con quella che definisce “una squadretta” arriva alla finale regionale. E giunge la chiamata in Azzurrina, ma non solo. «Mi sono messa in evidenza, e mi hanno contattata da La Spezia, B d’eccellenza, che al tempo era una categoria importante». E c’è un allenatore che da subito la prende sotto l’ala protettrice. «Iniziai ad allenarmi con Maurizio Scanzani. Un allenatore vincente. Occhi di ghiaccio e cadenza romana. Avevo 14 anni, ero intimorita dalla nuova realtà. Facevo parte della prima squadra, ma, tra junior e senior, disputavo sette campionati». L’impatto è fortissimo. «Scanzani mi insegnò tutto tatticamente, tecnicamente, sul lavoro fisico, e nel frattempo andavo a scuola. Rimasi tre stagioni: promozione, campionati ottimi in A2, e successi nella Coppa Italia di categoria. Stavamo per vincere un campionato, ma fummo superate da Alcamo che al tempo era un Club molto forte, proprio allo scadere». Poi Scanzani si sposta in direzione Libertas Bologna. E Sara lo segue.
«Cominciai da titolare in A2. Mesi molto belli, con grandi esperienze. Dopo due anni lui mi chiese di fare una scelta: “O vai in A1, o provi la carta americana”. Un’ex giocatrice del coach, Cynthia Cooper, avrebbe potuto aiutarla a trovare collocazione oltreoceano, in qualche Università prestigiosa. Ma lei preferisce restare in Italia: si trasferisce a Parma in serie A1, in cerca di nuove avventure. In terra emiliana resta solo un anno, il tempo di arrivare alla salvezza con coach Mauro Procaccini. Un periodo complicato, il primo da sola (fino a quel momento la madre e le sorelle l’avevano seguita). Arrivano due belle stagioni a Vigarano: Sara gioca sempre meglio, le belle prestazioni si susseguono. Ma una vecchia noia si ripresenta all’improvviso. «Un infortunio alla spalla, subito tempo prima: alla fine sono stata co- stretta a operarmi. Un infortunio gestito non bene da chi di dovere, ma me la sono cavata scegliendo la modalità meno invasiva con l’aiuto di un dottore importante. Ero stanca dell’Italia e ho ceduto alle lusinghe di una società francese di seconda serie; un modo per cambiare aria e recuperare».
A Monaco però la vita non è facile. Con Sara c’è Alessia Cabrini, che dopo un po’ rinuncia e rientra in Italia. «Io volevo dimostrare di potercela fare nonostante tutto: volevo si ricredessero sul mio valore, smettessero di prendermi in giro simulando la testata di Zidane a Materazzi. Dopo Natale la situazione è migliorata. Hanno capito che ero tosta. Vivere a Monaco è figo: mi divertivo e quando vincevamo ero soddisfatta». La situazione iniziale si ribalta. Ora Monaco punta su di lei, e date le sue prestazioni vuole confermarla. Sara accetterebbe pure, se la Reyer Venezia non le proponesse un contratto. «Impossibile dire di no. Mi avevano cercato anche in passato, ma avevo preferito proseguire il percorso con Scanzani. Una società che mi aveva sempre affascinato, specie quando alle finali nazionali giovanili perdevo costantemente contro di loro».
L’entusiasmo iniziale, dura poco. «Avevo 23 anni, non toccavo mai il campo. Una situazione che mi mise in uno contro uno con me stessa. L’allenatore (Liberalotto, ndr) non mi vedeva, neanche se mi allenavo bene. Facevamo campionato e Eurocup». Niente da fare nonostante un impegno incalcolabile. «A fine allenamento restavo in palestra due ore in più, perché desideravo migliorare, pur sapendo che non avrei mai giocato. Una condizione che mentalmente ti uccide. Era la Venezia di Carangelo, Jolene Anderson, Bestagno, Gorini, LaToya Sanders. Abbiamo perso 3 a 2 contro Ragusa in semifinale play off, dopo essere state in vantaggio 2-0. Ho fatto passi importanti, da un punto di vista fisico. Mi chiesero di restare, ma non era il caso. Dovevo tornare a giocare. Rimpiangerò per sempre il fatto che il coach non mi abbia mai provato in campo». Una stagione di allenamenti di alto livello «è stato intenso, ma perdi l’abitudine al campo. Se riguardo indietro ci può stare. Un quadro che ti accende il cervello e ti fa apprezzare quanto sia bello giocare. Lì sono cresciuta e sono diventata quella di oggi».
Il resto è attualità, il cui nome è Geas. «All’inizio ero spiazzata, dovevo riprendere il ritmo della partita. Cinzia Zanotti, la coach, è brava, ti mette a tuo agio, ti dà le giuste possibilità. Mi trovo bene, sono al terzo anno e vorrei vincere con loro, arrivare ai play off e dare fastidio alle squadre più forti». Il primo anno una partita memorabile. «Battemmo Ragusa, in quel periodo fortissima. 92-86 il risultato, è la partita che ricordo con maggiore piacere nella mia carriera. Giocai bene e la soddisfazione di battere una corazzata del genere, trascinata da Hamby fu indescrivibile».
Capitolo Nazionale. Dopo le convocazioni giovanili (europei under 16 a Cagliari, under 18 in Croazia e under 20 a Udine) finalmente arriva l’occasione in prima squadra. «La chiamata era già arrivata l’anno scorso ma ero infortunata. Anche quest’anno, per la verità, avevo problemi alla caviglia ma ho stretto i denti. In Slovacchia, una figata: eravamo sotto di 16 e non avevo messo piede in campo. Poi sono entrata, dopo 30 minuti, e non mi hanno più tolto: abbiamo vinto. Stracontenta». Ma l’emozione più grande a Faenza. «Ho percepito sensazioni uniche mentre cantavo l’inno. Ho ripercorso mentalmente tutta la carriera e mi sono detta “ce l’hai fatta”. Vorrei poter esserci sempre, cerco di lavorare tutti i giorni per arrivare al massimo. Il prossimo obiettivo? Entrare nel gruppo delle 12 che vanno all’europeo. Non è presunzione, ma ambizione». Una soddisfazione colossale pochi mesi dopo il grave infortunio. «Quando mi sono fatta male stavo giocando benissimo. Non ci potevo credere. E soprattutto non lo accettavo. L’ho vissuta male. La prima settimana un dolore terribile, poi ci si è messo anche il Covid. A Milano ho svolto un super lavoro di fisioterapia». Ed ecco la luce. «Quando ho iniziato a “corricchiare” è stata una soddisfazione assoluta. Prima ho cominciato a camminare, poi a pedalare sulla cyclette. Ma nell’istante in cui sono salita sul tapis roulant, ho provato sensazioni uniche. Sono molto sensibile».
Sara è cosciente di vivere una fase fondamentale. «I miei punti di forza sono i rimbalzi e una grande energia, e sì, aggiungo anche la difesa. Devo migliorare il tiro. Ci sto lavorando molto, anche su quello da tre. Devo crescere come continuità, e sul lavoro di piedi». Quindi svela il segreto della felicità. «Fare sempre quello che ti senti di fare, in qualsiasi circostanza». La pasta e la pizza sono i suoi piatti preferiti, e ricorda con nostalgia un viaggio fatto in Spagna coi genitori in tempi lontani «l’ultimo fatto insieme, dopo non siamo più riusciti». L’ultimo libro letto “Amabili resti”, il romanzo di Alice Sebold. Il paese da visitare assolutamente è la Grecia. Una ragazza ottimista che vede il bicchiere sempre mezzo pieno, e ha anche un sogno ricorrente «ma non si può raccontare».
Nel percorso di giocatrici ne ha incontrate tante. «Le più forti? Una volta con la nazionale giovanile affrontammo l’Australia e c’era una certa Liz Cambage. In tempi più recenti sono rimasta impressionata da Diamond DeShields». Ci sarà occasione di ritrovarla presto da avversaria coi colori di Schio. Il futuro sicuramente nell’azienda di papà che commercia in frutta e verdura. «Se non fossi diventata una giocatrice probabilmente sarei già lì a lavorare. Mi piace molto». Infine, per gioco, Sara racconta cosa farebbe indossando i panni del presidente della Lega Basket Femminile. «Proverei con tutte le forze a dare più visibilità al nostro mondo. Lotterei in questo senso. Facciamo tanti sacrifici e non dovremmo essere considerate non professioniste. Dovremmo essere poste sullo stesso piano dei professionisti perché l’impegno che mettiamo nel lavoro è lo stesso».